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NIVOLA L’investigazione dello spazio
NIVOLA
20-04-2010
L’investigazione dello spazio
Copertina Nivola ex Tribunale NU:Copertina Nivola ex Tribunale NU stesa
ISBN 978-88-6202-059-6
9 788862 020596
In copertina: Stanza con muru prinzu, anni Ottanta (particolare)
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FONDAZIONE NIVOLA
NIVOLA L’investigazione dello spazio a cura di Carlo Pirovano Nuoro, T R I B U piazza Santa Maria della Neve 22 dicembre 2009 - 21 giugno 2010 Con la collaborazione di COMUNE DI NUORO
Fondazione Banco di Sardegna
Mostra Progetto espositivo Progetto Media Andrea Nulli Silvana Sermisoni Francesco Vicari
Strutture allestitive Artigianato & Design Domenico Congeddu Bruno Serra
Coordinamento allestimento Claudio Mangoni Catalogo Contributi Giuliana Altea, Antonella Camarda, Simona Campus, Ugo Collu, Margherita Coppola, Maria Luisa Frongia, Concettina Ghisu, Rita Ladogana, Fred Licht, Maddalena Mameli, Micaela Martegani, Carlo Pirovano Grafica e selezioni colore Ilisso Edizioni Referenze fotografiche Le foto, quando non diversamente specificato in didascalia, appartengono a: Archivio Ilisso Edizioni: pp. 38, 48-49 e nn. 123, 144 (N. Dietzel); p. 41 (C. Gualà); p. 58 e nn. 7, 13-14, 25, 38-40, 45, 53, 57, 6869, 76-79, 85, 88-89, 93, 95-99, 113-116, 119-122, 124-134, 139, 145 (P.P. Pinna); p. 51 e nn. 105, 118 (D. Tore); pp. 40, 43 e nn. 1, 32-37, 43-44, 46-47, 65-67, 70-71, 73-75, 94, 100, 112, 117. Archivio Fondazione Nivola: p. 60 e nn. 58-61, 141 (G. Dettori); p. 63 (foto a colori). Archivio eredi Nivola: pp. 16, 19-21, 24, 27, 32-34, 42, 44-45, 62, 75. Archivio Giorgio Dettori: nn. 16-20, 28-31, 52, 143. Archivio Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico: p. 63 (foto in bianconero). Archivio privato: pp. 22-23, 62, 68, 142. Stampa Longo Spa
© Copyright 2010 Fondazione Costantino Nivola, Orani Ilisso Edizioni, Nuoro ISBN 978-88-6202-059-6
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Indice
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Introduzione Carlo Pirovano
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Nivola e Le Corbusier Maddalena Mameli
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La stanza verde. Bernard Rudofsky e il giardino di Nivola Giuliana Altea
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Uno spazio urbano innovativo in Sardegna: Piazza Sebastiano Satta a Nuoro Maria Luisa Frongia
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Due argomenti che tutti conoscono così bene da dimenticarli Fred Licht
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Il messaggio morale e civile nell’opera di Costantino Nivola Ugo Collu
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L’investigazione dello spazio. Un itinerario
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Nota biografica
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Bibliografia citata
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terreno circostante la casa una serie di spazi concepiti come vere e proprie “stanze all’aperto”.19 Nivola realizza da sé l’acciottolato delle pavimentazioni, le palizzate, le panchine e diversi muri non funzionali ornati da dipinti. Al centro è lo spiazzo del barbecue, con un camino in mattoni bianco e alcuni semplici sedili; a far da sfondo, un murale su un muro libero, tra i primi risultati della svolta che, sulle orme di Le Corbusier, ha portato Nivola da una figurazione non priva di spunti decorativi a una ricerca nutrita degli apporti dell’avanguardia europea. Cuore della vita conviviale che anima il giardino nei weekend, quando i padroni di casa ricevono larghe comitive di amici, il barbecue è delimitato a sud ovest da una pergola dipinta di bianco, formante «dieci cubi perfetti»20 che scandiscono geometricamente lo spazio. Poco oltre sorge il solarium, cubo in muratura privo di aperture, cui si accede tramite una scala; all’interno, in parte pavimentato in mattoni e in parte ricoperto di sabbia, la temperatura è tale da consentire di prendere il sole (nudi, secondo le abitudini di Rudofsky) anche in gennaio. Le pareti sono rivestite di murali in cui, trascritte nella sintassi postcubista, sensuali figure femminili inneggiano alla libertà del corpo a contatto con la natura. Non lontano dal solarium, infine, viene collocato un muro indipendente intonacato di bianco, forato da una finestrella attraverso cui passa il ramo di un albero di melo. È un tratto giocoso («per innalzare un muro … un uomo deve possedere lo Spieltrieb, l’istinto del gioco»),21 che riassume però il senso del giardino come “stanza all’aperto”, in cui la natura vive entro una cornice dalla quale trae struttura e significato; ed è anche in certo qual modo un simbolo di tutta l’opera di Rudofsky. ll muro sottolinea il valore dell’integrazione di natura e artificio nella definizione degli spazi abitativi,22 e dichiara la qualità scultorea assunta dall’architettura non funzionale.23 Schermo vuoto sul quale si proiettano le ombre degli uccelli di passaggio, delle nubi e della vegetazione (una concezione molto vicina al sentire Zen di figure chiave del contesto americano di quegli anni, come John Cage e Robert Rauschenberg),24 afferma l’idea del giardino come architettura e dell’architettura come arte. ll tema della open-air room era apparso già nelle ville costruite da Rudofsky in Brasile, e prima ancora si era affacciato nei suoi anni italiani: «Il cortile è la vera camera da stare – aveva scritto su Domus, presentando il progetto di una casa a Procida –. Il suo pavimento è formato da erba rasata con margheritine e veronica … Il cielo coi suoi mille aspetti fa da soffitto».25 Stanze a cielo aperto comprendeva anche l’Hotel San Michele, dove ogni camera aveva «un patio fra protettrici mura che includono nel breve recinto qualche pino e qualche olivo».26 Sempre su Domus, Rudofsky pubblicava nel marzo 1938 il disegno di una stanza senza soffitto, arredata ma col prato al posto del pavimento, che anticipa l’idea del solarium di Springs.27 Il disegno (poi riutilizzato nel 1946 come copertina per Interiors) rivela il fascino esercitato su di lui dall’attico dell’appartamento di Charles Beistegui (1931), stravagante mix di open-air room e tetto-giardino modernista creato da Le Corbusier per un committente ricco quanto eccentrico, con pavimento d’erba, mobili e camino racchiusi da un muro oltre la cui sommità si scorgevano i tetti di Parigi. Al di là del richiamo all’attico Beistegui, Rudofsky condivideva con Nivola l’ammirazione per Le Corbusier, la cui presenza doveva aleggiare come quella di un nume tutelare sul giardino, e che durante i lavori vi si sarebbe recato in carne e ossa, ospite dell’artista sardo.28 Per quest’ultimo, la presenza del maestro del modernismo costituiva un ulteriore stimolo a riflettere sulla “sintesi delle arti”, un tema caro a Corbu e allora di grande attualità nel dibattito internazionale.29 Una nota dei 28
Le Corbusier, attico dell’appartamento di Charles Beistegui, Parigi, 1930.
Outdoors-indoors? Indoors-outdoors?, da G. Eckbo, The Art of Home Landscaping, New York, F.W. Dodge Corporation, 1956.
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Bernard Rudofsky, copertina di Interiors, gennaio 1946. Disegno già pubblicato in Domus, n. 123, marzo 1938.
Costantino Nivola, copertina di Interiors, luglio 1948.
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Carnets del settembre 1950 registra discorsi di Nivola indicativi dell’insoddisfazione di questi per la pittura da cavalletto: «Nivola / La morte della pittura / decadenza completa / bisogna che la pittura sia venduta al mq con il giusto coefficiente – il tramonto completo, la caduta attuale / il mercante, / il denaro / la Borsa!!! / morte».30 L’esaurimento della pittura, intrappolata in un’impasse commerciale, spinge l’artista a cercarne il superamento nella dimensione ambientale e nella collaborazione con l’architettura, per sperimentare le quali il progetto del giardino gli offre un’ottima occasione. Quando, nell’ottobre 1951, vengono pubblicate su Domus alcune delle sue ultime ricerche – un murale e tre sculture realizzate con la nuova tecnica del sand-casting, inventata sulla spiaggia di Long Island e perfezionata nel corso dei lavori per il giardino –, l’articolo non manca di sottolinearne il valore “spaziale” e “ambientale”, e l’appartenenza all’orizzonte della Gesamtkunstwerk («Non mi faccio la casa per riempirla di pezzi d’arte, ma la faccio di pezzi d’arte, sembra dire Nivola»).31 A sua volta, la vicinanza di Nivola si direbbe alimenti l’interesse di Le Corbusier per l’integrazione delle arti, spingendolo a progettare un volume sulla propria opera di muralista e scultore.32 Quanto a Rudofsky, ritrova in Le Corbusier il proprio interesse per il Mediterraneo e per una cultura al tempo stesso della mente e del corpo; sul tema del giardino, però, le loro posizioni divergono. Per il francese, infatti, il punto non era tanto “vivere” la natura quanto goderne visivamente. Le sue architetture dovevano posare sul paesaggio come oggetti, senza modificarlo, lasciandone indisturbato il “sogno virgiliano”.33 Neppure Rudofsky era interessato a intervenire sulla vegetazione; ma, se il suo era un “giardino senza giardinaggio”,34 doveva essere un giardino abitabile al pari di qualsiasi ambiente della casa, e per renderlo tale occorreva trasformarlo con strutture costruite dall’uomo, pergole, panchine, recinzioni.35 Il rifiuto di un rapporto puramente visivo con il paesaggio porta Rudofsky a condannare quello che chiama lo “spectator garden”, fruibile attraverso il filtro di una vetrata.36 La vetrata scorrevole era un elemento onnipresente nell’architettura modernista americana, diffuso inizialmente soprattutto nel contesto californiano e canonizzato negli anni Quaranta dal programma Case Study House della rivista Arts & Architecture di John Entenza.37 L’accento posto su questo tratto del razionalismo europeo, così come l’inedita importanza assunta dal tema del giardino, rispecchiavano il diffondersi negli Stati Uniti di un nuovo atteggiamento verso il paesaggio. Con la crescita delle aree suburbane, causata dal rifluire verso le periferie e la campagna di grandi masse di persone trasferitesi in città durante la guerra, era emersa una volontà di appropriazione individuale e intima della natura; si ricercava con essa un rapporto “privato”, il che a sua volta favoriva la nascita di una diversa concezione dell’abitare. Casa e giardino non erano più visti come entità separate, ma come parte di un nuovo senso dello spazio.38 Si voleva vivere a contatto con la natura, sia pure un contatto mediato da cortili e barbecue, staccionate e panchine. Benché Rudofsky enfatizzasse polemicamente il carattere contemplativo di questo atteggiamento verso il paesaggio, non mancavano nella cultura architettonica americana i sostenitori del giardino “abitabile”, le cui posizioni non differivano dalle sue che per qualche sfumatura. La voce più autorevole era quella di Garrett Eckbo, il cui libro Landscape for Living, pubblicato proprio nel 1950 e destinato a esercitare enorme influenza, dichiarava fin dal titolo l’idea di un giardino non solo da guardare. «Il giardino deve essere qualcosa di più di un “soggiorno all’aperto” se 29
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Uno spazio urbano innovativo in Sardegna: Piazza Sebastiano Satta a Nuoro Maria Luisa Frongia
Piazza Satta, Nuoro, 2010.
«Un progetto artistico … perché nasca, cresca e si sviluppi con armonia deve essere non soltanto desiderato, ma anche voluto con la stessa intensità con cui si vuole e si desidera un figlio»: tale fermo convincimento di Nivola, espresso nell’ultimo periodo della sua vita, in occasione dei lavori commissionatigli per il Palazzo del Consiglio Regionale di Cagliari, dei quali non vide la definitiva sistemazione, a causa della sua morte nel 1988,1 costituisce il filo rosso che unisce i suoi numerosi lavori, eseguiti sempre in stretta collaborazione con grandi architetti internazionali, con i quali fu a contatto, dopo il suo trasferimento a New York, nel 1939. Questo concetto impronta fortemente anche il primo intervento eseguito dall’artista in Sardegna, unico nel suo genere, e caratterizzato da una ideazione unitaria e globale dello spazio, secondo quella visione, cara al suo primo maestro, Mario Delitala, col quale collaborò, giovanissimo “aiutante”, nella decorazione dell’Aula Magna dell’Università di Sassari, alla fine degli anni Venti. Si tratta del rifacimento di piazza Plebiscito a Nuoro, da intitolare al poeta Sebastiano Satta, morto precocemente nel 1914, voluto dal Comune della città, alla metà degli anni Sessanta, per celebrare la memoria di uno dei suoi figli più illustri, nel centenario della nascita. La Sardegna, e la Barbagia in particolare, era allora travagliata dal fenomeno dei sequestri di persona, legato a una criminalità estremamente diffusa che veicolava un’immagine violenta e negativa dell’Isola. Il 1966 si era chiuso con 41 omicidi, tanto che il primo numero del quindicinale politico culturale Il giornale, pubblicato a Cagliari e diretto da Antonello Satta, dedicava a questa realtà drammatica una doppia pagina, titolandola I nostri primati.2 L’idea di un rinnovamento e di una positiva produttività culturale insita nella proposta di un progetto per la piazza, assumeva in quel momento un significato di grande forza, supportato dalla vitale carica di modernità che esso avrebbe prodotto, pur nella salvaguardia del passato e delle radici fertili che ancora in esso permanevano. L’iniziativa fu portata avanti, per usare le parole dello stesso Nivola, da «un Sindaco coraggioso e intelligente come Gonario Gianoglio»,3 che volle offrire al mondo intero un aspetto diverso del capoluogo barbaricino e della Sardegna tutta. Lo faceva, nei mesi più caldi di quell’anno, il 1966, col sostegno del Consiglio Comunale, ma anche col supporto di intellettuali illuminati e della comunità tutta. Mario Ciusa Romagna era stato tra i primi a fare il nome di Nivola per la riqualificazione della piazza da dedicare al poeta, del quale era un profondo conoscitore e studioso, curatore di studi critici dei Canti. Lo guidavano la sua acuta intelligenza, una lungimiranza storica e la consapevolezza che con la presenza di un artista proveniente «dal mondo della vecchia Sardegna», ma che viveva e operava «in una società fra le più avanzate e sature di fermenti», per usare le sue parole, scritte nel 1967, avrebbe certamente compiuto un’operazione di grande attualità. I lavori nella piazza erano allora in fase di attuazione, seguiti con attenzione dall’illustre studioso di Satta e di tutta la cultura in Sardegna, il quale ben comprendeva quanto Nuoro, la sua città, avrebbe guadagnato in immagine positiva e in qualità urbanistica, in un momento di crisi evidente: Nivola poteva contribuire, col suo intervento, anche ad un’ulteriore storicizzazione di Satta, e lo avrebbe fatto con gli strumenti precipui del suo linguaggio formale che nasceva da antiche radici, ma era «estremamente carico di linfe attuali e future».4 Eppure in quegli anni era ancora poco conosciuta in Sardegna l’intensa attività americana di Nivola, le molteplici collaborazioni con architetti famosi, da Marcel Breuer, a José Luís Sert, a Eero Saarinen, fino a Richard Stein, per fare alcuni nomi, 39
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Studio per Piazza Satta, 1966, inchiostro su carta, 20,2 x 25,4 cm, Orani, Museo Nivola (in comodato dal Consorzio per la pubblica lettura “S. Satta” di Nuoro).
L’artista opterà, poi, per la realizzazione di una scena familiare più tradizionale e borghese, quasi la trasposizione immaginaria di un angolo del salotto della casa Satta, dimora che sorgeva nella stessa piazza. Quando inserirà il piccolo gruppo scultoreo in un anfratto creato nella pietra granitica, lo farà con l’attenta sensibilità di chi vuole ricreare un’ideale protezione dell’intimità degli affetti e, ancor oggi, al passante più colto ed attento che volge gli occhi alla sommità concava dell’alta roccia, per scoprire l’immagine del poeta nuorese, circondato dai familiari, pare di udire la dolce litania dei versi della Ninnananna di Vindice dei “Canti del salto e della tanca”.19 Tutte le otto sculture sono improntate, infatti, ad una motivazione figurale e di facile relazione al personaggio, un ritorno necessario all’iconicità, nel rispetto, anche, del pubblico eterogeneo che ne avrebbe fruito. Non per questo l’artista rinuncia alla propria libertà interpretativa, tradotta, prima, nella duttile creta, manipolata col gusto “sensoriale” del gesto delle sue abili mani, in tocchi rapidi e febbrili, che danno forma a una materia irregolare, la quale rivela anche il più veloce colpo delle dita del maestro, a suggerire forme semplificate ed essenziali andamenti spaziali. Saranno poi fissate dal calore del fuoco nella terracotta, per essere fuse definitivamente nel bronzo. Le sue piccole sculture assumono, così, l’aspetto di apparizioni, costruite con una sintesi formale, memore delle più innovative esperienze di artisti ottocenteschi, da Honoré Daumier, con la sua esasperazione dei caratteri e la sottile vena satirica, non lontana dall’humour nivoliano, fino alle sperimentazioni di Medardo Rosso, di stretta derivazione da quelle del maestro francese. Le allusioni narrative, nel contesto della poetica del progetto nivoliano, sono, però, assorbite dalle forme di pietra, nelle quali l’artista è intervenuto con pazienza meticolosa, senza usare loro violenza, consapevole del valore trascendente che possedevano, in quanto già parte di uno spazio naturale, infinito. E in questa orditura 50
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Piazza Satta, Nuoro, 1987.
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Interventi plastici dei college Morse ed Ezra Stiles, 1960-61, UniversitĂ di Yale, New Haven.
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Interventi plastici dei college Morse ed Ezra Stiles dell’Università di Yale, matita su carta, Menabò D, p. 30 e Menabò C, pp. 30-31.
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Paradossalmente, gli anni monzesi dedicati alla pittura murale e alla grafica pubblicitaria e di seguito, negli anni Trenta, l’esperienza delle Triennali milanesi hanno lasciato in Nivola un ideale di “estetica civica” sganciata da ogni risvolto propagandistico. Certamente quella pubblicità retorica, estesa all’architettura in nome del regime gli ha impresso una sensibilità civile di segno opposto, protesa tutta a ideali alti di umanità. Ma non è solo questo. Una spinta ancor più profonda gli viene dalla tormentata biografia personale. Egli attribuiva all’infanzia una radicale “responsabilità” su quello che divenne. «Il futuro che immaginavo da ragazzo – scrisse – era fantastico. Sì, ma tutto quello che mi è successo in seguito l’ho inventato a quella età». Ma che cosa c’era di così prodigioso in quel suo passato di bambino, in un paesino delle zone interne della Sardegna come tanti altri? 61
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Il riferimento all’infanzia non riguarda certo le teorie artistiche cui avrebbe poi, più o meno intensamente, aderito e neppure le tecniche che avrebbe usato nella sua multiforme produzione. E tantomeno la “felicità”, da lui vissuta in quell’età. Al contrario, la sua infanzia fu tutt’altro che meravigliosa: piena di stenti e dentro una famiglia numerosa cui era difficile assicurare persino la semplice sopravvivenza. Il riferimento è proprio a quello che non aveva, a quello che desiderava, al contributo di sudore e di fatica, immane per l’età, dato col suo lavoro per il sostentamento della famiglia. Orani era allora un paese di muratori; ne aveva più del necessario. E cinque tra i migliori, fra questi il padre, formarono una cooperativa che si spostava a prestare l’opera dove serviva. «Ed è così che a 11 o 12 anni mi portarono con loro in una di queste occasioni».3 Tale esperienza, riportata in un libriccino di memorie, è illuminante. Il paese della spedizione era Orotelli. Un viaggio di 4 ore sul carro. Si partiva per tornare due volte al mese, «silenziosi e cupi nell’andare, sonori e allegri nel tornare».4 «La strada più ostacolata del mondo l’ho vista e percorsa in quel paese terribilmente favoloso. Un paesino costruito in mezzo alle rocce di granito. Alcune rocce rifiutandosi di spostarsi, di lasciarsi convertire in blocchetti, restavano là, spesso in mezzo alle casette, diventavano parte dei mobili e compagne del maiale, della capra e dei bambini».5 Quel paese bizzarro costruito su un ammasso di rocce granitiche, alcune delle quali «dotate di una forma spaventosamente umana», resterà per sempre nel suo immaginario. La natura che si ribella alla volontà di potenza dell’uomo; le figurazioni mitiche (giganti minacciosi e giganti custodi) di quelle rocce. Sono elementi che ricompariranno nella produzione e nel significato delle sue opere. Piazza Satta di Nuoro si sarebbe mai potuta concepire senza queste visioni stampate nel cervello come un imprinting? Il suo compito nella piccola impresa era l’impasto. Acqua, sabbia, calce e cemento. I dosaggi. Il colore della sabbia nella varietà della pietra locale: sabbia rosa, bianca, sabbia scura. E tutte le combinazioni di quella mescolanza. Della Orotelli di quegli anni Nivola ricorda ancora «quella croce sulla roccia più alta, quasi un tentativo di conciliare la torturata densità della terra con la (immensa) serenità del cielo».6 Si può leggere in questi elementi – e appoggiandoci ai suoi ricordi di artista ormai consapevole della lunga strada lasciatasi alle spalle – l’alfabeto poetico che poi elaborò e combinò in modi innumerevoli e mirabili lungo l’arco della vita. Ma la realtà era troppo stretta per i suoi sogni. Era colmo di immagini che una condizione di vita dura e ostile gli impediva di esprimere. La madre – più del padre e di ogni altro essere al mondo essa legge e interpreta i moti anche lievi dell’animo – lo liberò permettendogli contro tutti di seguire a Sassari un affermato pittore del paese, Mario Delitala; gli avrebbe fatto da assistente-apprendista. La madre (e sua madre) resterà una fonte inesauribile di ispirazione e di senso per la sua arte. Un valore assoluto da applicare alla vita nella sua globalità. Per le terrecotte (Lettini, Spiagge, formelle) riferirà esplicitamente di essersi ispirato al gesto di lei che manipolava la pasta per preparare il pane, quello dei giorni feriali e quello della festa. 62
Le Corbusier, La main ouverte, Chandigarh, 1951-65.
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Fase di lavorazione della scultura Uomo di pace, realizzata a Città del Messico in occasione delle Olimpiadi del 1968. Uomo di pace, Città del Messico, dopo il restauro e la ricollocazione del 2006.
Quante volte prima dell’alba sarà stato svegliato – come capitava d’altronde a noi ragazzi dei paesi sardi – dal chiacchiericcio laborioso delle donne impegnate a lavorare la pasta nelle lunghe notti di vigilia! Così ricorda nelle sue Memorie: «Sentivamo i suoni come di una lotta o di sculacciate ad un bambino grasso che, punito, si rifiutava testardamente di piangere … Tutto questo sentivamo, quando si pensava che fossimo addormentati».7 E molte volte si sarà certamente alzato dal letto per partecipare a quel cerimoniale intimo – da eucaristia – concludentesi col profumo del pane caldo che «si spandeva dalla casa in tutto il paese e attirava i mendicanti come mosche». «I vecchi – scrisse ancora ricordando – seduti sulla soglia della chiesa, giravano i loro occhi nella direzione del profumo indovinandone la provenienza. I bambini spostavano la sede dei loro semplici giochi dentro il cerchio delle case benedette. L’equilibrio di tutto il paese era per il momento ristabilito».8 È veramente monca la considerazione sul Nivola artista se non se ne comprende questa fonte più intima: un nucleo di suggestioni profonde dove la fertile fantasia si intreccia con una vita improntata alla fatica e alla solidarietà, e dove il valore dei nutrimenti essenziali era inscindibile dalla valorizzazione della natura nei suoi elementi primordiali: acqua, aria, terra, pietra, sabbia, luce, colore. Elementi questi che diventano nella sua poetica delle idee regolative. Non soltanto cioè materia per la produzione, ma principi a cui essa deve ubbidire. Detto più esplicitamente, la semplicità dei materiali diviene anche una concezione filosofica che ha a che fare con la fedeltà alla natura e col richiamo al suo rispetto. Nivola sembra voler dimostrare caparbiamente che l’arte non ha bisogno di appellarsi alle sofisticazioni della chimica tecnologica, ma può nutrirsi dei materiali più umili e naturali di cui dispone il pianeta e ottenere risultati eccellenti. 63
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43-44. Momenti della mostra di sculture all’aperto, Orani, marzo 1958 (foto C. Bavagnoli).
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45. Scultura, 1958 ca., cemento, 25 x 40 x 16,5 cm, Orani, coll. privata.
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59-61. Interventi plastici dei college Morse ed Ezra Stiles, 1960-61, UniversitĂ di Yale, New Haven.
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65-67. La Stephen Wise Recreation Area, New York, anni Sessanta. 68-69. Studi per il grande pannello della Stephen Wise Recreation Area, 1962 ca., cemento graffito incollato su multistrato, rispettivamente 36 x 68, Orani, Museo Nivola e 35,8 x 68 cm, East Hampton, eredi Nivola.
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La ricezione del gruppo di opere, oggi in parte vandalizzate o trasformate, è stata contraddittoria: apprezzato dai bambini, principali destinatari del progetto, ha destato sospetti ed incomprensioni tra gli adulti per una supposta pericolosità, quando non per una “oscenità” (“The Horsy set”, 1965) oscuramente percepita, forse per quel sentore di idolatria pagana e sensualità mediterranea che le sculture di Nivola possono talvolta suscitare. Antonella Camarda
Bibliografia Altea, 2004; Altea, 2005; Caramel, Pirovano, 1999; Clausen, 2005; Satta, 1987; Solomon, 2005; “The Horsy set”, 1965.
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Monumento alla Brigata Sassari
80. Bozzetto per il Monumento alla Brigata Sassari, 1963, in Domus, n. 406, settembre 1963, pp. 34-35. alle pagine seguenti: 81-84. Monumento alla Brigata Sassari, matita e inchiostro su carta, Menabò A, pp. 109, 111, 108, 110.
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Il bozzetto per il Monumento alla Brigata Sassari rappresenta un significativo esempio della ricerca nivoliana orientata verso un’idea di monumentalità completamente scevra di intenti celebrativi e votata a una destinazione sociale, nella misura in cui si appresta ad essere vissuta, nel senso di percorsa e partecipata, oltre i limiti della mera contemplazione. Nel giugno del 1960 Costantino Nivola presenta un bozzetto al concorso nazionale bandito dal Comune sassarese per la realizzazione del Monumento alla Brigata Sassari, che avrebbe dovuto trovare una sistemazione nel piazzale prospiciente la stazione. La commissione giudicatrice, composta dai rappresentanti delle istituzioni, da ex combattenti, da cittadini autorevoli e, tra gli esperti d’arte e architettura, da Giulio Carlo Argan e Bruno Zevi, seleziona il bozzetto di Nivola tra i primi tre classificati, aventi tutti in comune l’impostazione prevalentemente architettonica e il principio di percorribilità dell’opera, che avrebbe consentito un diretto coinvolgimento dello spettatore. Il bando, con la proposta di tenere conto dei fattori urbanistici e l’indicazione della planimetria e delle fotografie della zona, suggeriva a priori la realizzazione di un monumento pienamente calato nel contesto ambientale, capace di tramandare alle generazioni future il ricordo di un momento di fondamentale importanza per la storia del popolo sardo, da consolidarsi nella memoria. Il bozzetto di Nivola, contrassegnato con il motto “Su Sordadu”, modellato verosimilmente tra il 1959 e il 1960, proponeva la creazione di un «paesaggio sculturale», che, visto dall’alto, poteva evocare l’immagine di una figura umana distesa, oppure la sagoma della Sardegna. I camminamenti interni e le trincee avevano la funzione di ricreare in maniera suggestiva l’ambiente in cui il soldato aveva combattuto e rievocare il dolore del sacrificio umano, riflesso nei bassorilievi delle pareti, raffiguranti le sagome dei corpi dei soldati. Intorno al complesso centrale era prevista la sistemazione di quattro grandi sculture: una con la funzione di dominare il monumento «ispirata alle costruzioni monolitiche dell’antichità sarda» e, nello stesso tempo, «evocatrice della figura del pastore»; un’altra sul lato frontale a fungere da «sentinella», modellata secondo la scomposizione di volumi tipica delle figure maschili nivoliane; una terza, discostata maggiormente dal centro, a rappresentare il soldato che torna e riscopre la propria casa; infine, «la figura traforata di fianco piatta e aperta» che simboleggia la Madre. Nivola, oltre a fornire una descrizione dettagliata, indicava anche i materiali da utilizzare per la realizzazione del monumento: il mar-
mo per le sculture e «una composizione di cemento bianco, sabbia, e polvere di marmo e di granito» per gli elementi centrali, i quali, nella struttura delle sagome, rimandano direttamente agli elementi plastici di alcuni sand-cast realizzati alla fine degli anni Cinquanta. Un monumento in grande scala, come testimonia il rapporto proporzionale dato dalla presenza delle figure umane nel bozzetto in gesso e degli edifici nei disegni. L’intenzione dell’artista era quella di offrire una molteplicità di prospettive, corrispondenti ad una molteplicità di emozioni e rievocazioni, concentrandosi sul significato profondo del dramma storico, legato al sacrificio umano speso dai combattenti della Brigata Sassari, simbolo dell’esperienza tragica della prima guerra mondiale. Il tema del concorso è risolto in un monumento alla memoria dei caduti e si propone di essere «la figurazione di come la guerra colpisce e lacera i popoli», invitando alla riflessione universale sull’atrocità della morte in guerra. Un’opera densa di significati simbolici nella manifesta essenzialità delle forme, inserita nella linea evolutiva di una vasta e articolata ricerca di elaborazione e formalizzazione della memoria, iniziata nei primi anni del secondo dopoguerra che ha prodotto, soprattutto in Europa, un gran numero di monumenti consacrati al coinvolgimento della coscienza collettiva: dall’immobile e silenzioso reticolo di metallo del Monumento ai caduti nei campi di concentramento in Germania dei BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers), all’immensa griglia di colonne di cemento dell’Holocaust-Mahnmal di Peter Eisenman, amplificazione estrema del percorso labirintico di tumuli, che pur con tutte le differenze di forma, di misura e di contesto, era anche nell’idea di Nivola. Il modello si classifica secondo in graduatoria poiché, nonostante il riconoscimento «di qualità di invenzione, di ispirazione e di esecuzione plastica di alto livello», appare troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo, «appellandosi a motivi di larga umanità più che specificamente storici», che erano, invece, pienamente riconosciuti nella funzione civile espressa dal bozzetto vincitore realizzato dagli architetti Sara Rossi e Cesare Tropea. Nivola non si serve di riferimenti che assolvano esplicitamente alla funzione educativa, come il modello degli architetti romani, ma preferisce offrire la possibilità di costruire un percorso individuale della memoria che non può essere veicolato da uno schema preordinato. Il monumento prevede, infatti, diverse vie di ingresso, o di uscita, e non è possibile individuare alcun punto nevralgico di attrazione, anche per l’equilibrata disposizione delle sculture all’esterno. Un viaggio senza tappe, nel quale
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La fonte
La monumentale fontana sul tema della Grande Madre che in un certo senso firma lo spazio ordinato del parco del Museo Nivola di Orani è lo sviluppo a dimensioni paesaggistico-ambientale del progetto che secondo testimonianze dirette (Ruth Nivola e i fidati collaboratori dell’atelier artigiano del marmo da lui frequentato in Versilia) Titino predispose negli anni Ottanta: ne lasciò un modello in gesso (completato con la sagoma di figura in rame) nell’officina di Giorgio Angeli, sognando una sua collocazione in uno spazio pubblico. La sofisticata invenzione spaziale destinata da Ruth al Museo di Orani trovò la sua realizzazione concreta in un grande blocco di marmo bianco statuario proveniente dalle cave carrarine in occasione del completamento della sistemazione del parco che ha voluto realizzare i desideri dell’artista nella interpretazione dello spazio ambientale tipico della sua terra, sulla falsariga dei terrazzamenti degli orti. La trasposizione a dimensione monumentale è stata curata da Fred Licht e Carlo Pirovano per conto della fondazione museale dedicata allo scultore. Il tema di fondo dell’investigazione nivoliana è quello del cangiantismo polimorfo dell’immagine mitica della madre terra, la cui sagoma travalica dalla sicura consistenza materica della statua marmorea eretta, alla vibrazione fluida del suo guscio in negativo che fa da ricettacolo dell’acqua per riproporsi a livello di puro profilo metallico nell’aria trasparente come un disegno tracciato nel vuoto. Carlo Pirovano
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144. La fonte, primi anni Ottanta, marmo e ottone, 59,8 x 31,6 x 55,5 cm, Orani, Museo Nivola.
145. La fonte, 2007-08 (da modello primi anni Ottanta), Orani, parco del Museo Nivola.
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Nota biografica
1911 Costantino Nivola nasce a Orani il 5 luglio. Suo padre è muratore, e lui, fin da ragazzo, impara e pratica questo mestiere. 1926-31 Viene preso a bottega a Sassari dal pittore Mario Delitala e ne diviene assistente. Modella in gesso e lavora come stuccatore. 1931 A vent’anni vince una borsa di studio della Camera di Commercio di Nuoro per l’Istituto Superiore per le Industie Artistiche di Monza (ISIA). Tra i suoi insegnanti ci sono Marino Marini, De Grada, Semeghini, gli architetti Pagano, Persico, il grafico Nizzoli. 1934 Incontra Ruth Guggenheim, anch’essa studentessa all’Istituto d’Arte di Monza, che sposerà nel 1938. 1935 Finisce il corso di studi e si diploma come “Maestro d’Arte”. 1936 Ralizza alcuni murali per la Triennale di Milano. 1937 A ventisei anni diventa art director della sezione grafica dell’Ufficio Pubblicità della Olivetti di Milano. Viene coinvolto nella stesura del Piano regolatore della Valle d’Aosta. Esegue dei murali per il padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Parigi. 1938-39 Trascorre nove mesi a Parigi, dove incontra Giorgio de Chirico, Carlo Levi ed Emilio Lussu. Si trasferisce negli Stati Uniti. 1940 Si stabilisce nel Greenwich Village di New York dove la temperie della scena artistica newyorkese sta cambiando rapidamente con l’arrivo degli artisti europei rifugiati. Le amicizie stabilite da Nivola con questi artisti e con quelli della nuova generazione americana, riflettono la varietà di quell’ambiente. Si lega d’amicizia con Willem de Kooning, Franz Kline, Esteban Vicente, Hedda Sterne, Fernand Léger, Alexander Calder, e rinsalda un durevole legame con Saul Steinberg, che, da studente, aveva incontrato a Milano. Diventa art director della rivista d’architettura Interiors and Industrial Design (che diventerà di lì a poco Progressive Architecture), incarico che ricoprirà per sei anni. Contestualmente è art director per la rivista femminile You. Tramite il suo lavoro nel-
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l’ambito editoriale, Nivola conosce anche noti fotografi e architetti, molti dei quali saranno suoi amici per tutta la vita. 1942-43 Espone con Saul Steinberg in una collettiva alla Betty Parson Gallery di New York. 1944 Espone dipinti e sculture in una mostra con Saul Steinberg alla Wakefield Gallery di New York. Nasce il figlio Pietro. 1945 circa José Luis Sert presenta Nivola a Le Corbusier e nasce una profonda amicizia. Per un paio d’anni Nivola divide lo studio con lui. 1947 Nasce la figlia Chiara. 1948 Compra una casa a East Hampton, Long Island, e ciò rafforza il suo legame con quel gruppo di artisti americani che aveva scelto di isolarsi nella parte orientale di Long Island, e tra questi Jackson Pollock, Ibram Lassaw, James Brooks, John Little, Hans Namuth. 1949 Nivola inventa la tecnica della colata di gesso o cemento sulla sabbia modellata per le sculture a bassorilievo (sand-casting). 1950 Apre la sua prima personale di scultura nella Tibor de Nagy Gallery di New York. Espone alla Quadriennale di Roma. 1951 Espone al 9th Street Show di New York. 1953 Esegue una decorazione murale a bassorilievo con la tecnica sand-casting per lo showroom della Olivetti a New York. 1954 Riceve la commissione di disegnare un monumento ai caduti, I quattro cappellani, vicino a Washington. Inaugura una personale alla Peridot Gallery di New York. Sert lo sceglie per aprire e dirigere il Design Workshop alla Architectural School of Design (che diventerà poi il Carpenter Center) della Harvard University. Diventa direttore del Design Workshop alla Graduate School of Design ad Harvard, carica che ricopre sino al 1957. 1955 Esegue otto pannelli per il giardino di casa Ray-
mond Loewy, 1025 Fifth Avenue, New York. Tiene una seconda personale alla Peridot Gallery. 1956 Ottiene un “certificato di eccellenza” dall’American Institute of Graphics. La Graduate School of Design della Harvard University allestisce una sua mostra personale. 1957 circa Riceve l’Enrico Fermi Competition Award, assieme a Huson Jackson, Vincent Solomita e Joseph Zalewski. 1958 Conclude la decorazione del palazzo della Mutual of Hartford Insurance Company iniziata l’anno precedente. Si apre un’ampia esposizione del suo lavoro alla Architectural League di New York. Decora la facciata della chiesa di Sa Itria di Orani; sempre a Orani realizza la tomba della madre e del fratello ed espone per strada le sue sculture. Esegue un bassorilievo in sand-casting per l’International Legal Studies Building ad Harvard. Con l’architetto Richard Stein partecipa al concorso per il Monumento ai caduti nell’isola di Batan Corregidor, progetto che non venne mai realizzato. Affresca un murale per la Gagarin House di Litchfield, Connecticut. 1959 La Galleria del Milione di Milano organizza una personale di Nivola, che partecipa anche alla Triennale milanese. Personali a New York presso la Stable Gallery e la Signa Gallery di East Hampton. Realizza una decorazione a bassorilievo di circa 3300 mq, all’interno di un centro per esposizioni, il McKormick Plaza Exposition Center di Chicago, oltre a murali e sculture per il cortile della Public School 46 di Brooklyn, a un bassorilievo e un murale a graffito per la Quincy House nell’Università di Harvard. Partecipa all’VIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. 1960 Lavora con l’architetto Eero Saarinen ai college Morse ed Ezra Stiles dell’Università di Yale, dove realizza 35 sculture e un bassorilievo per una installazione esterna permanente. Esegue un murale per il Motorola Building a Chicago. Tiene una personale all’Arts Club di Chicago, e un’altra, itinerante, promossa dall’American Federation of Arts. Suoi lavori sono presentati alla mostra “Aspect de la Sculpture Americaine” della Galerie Claude Bernard di Parigi. Inventa la tecnica del cement-carving. Partecipa al concorso per il Monumento alla Brigata Sassari. 1961 È invitato a partecipare alla campagna internazionale per la salvaguardia dei templi di Abu Simbel.
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Accetta, come visiting professor, la cattedra di Scultura alla Columbia University. Suoi lavori sono presentati in una collettiva alla New School for Social Research di New York. 1962 Riceve la medaglia d’argento al merito per la scultura della Architectural League di New York e un certificato al merito della Municipal Art Society di New York. Con l’architetto Richard Stein disegna e realizza sculture, murali e una fontana per la Stephen Wise Recreation Area, un progetto per la New York City Housing Authority. Esegue due murali per la Charles Patterson Van Pelt University della Pennsylvania Library. Mentre è professore associato per le Arti alla Columbia University, si tiene, alla scuola d’architettura della stessa università, una sua personale. Un’altra personale si inaugura a Milano, alla Galleria dell’Ariete. 1963 Completa una serie di pannelli scolpiti per il Federal Office Building di Kansas City. Realizza un affresco per il cortile della Public School 17 di Long Island City. Personali alla Andrew Morris Gallery di New York e al Capitello di Cagliari. 1964 Viene incaricato di disegnare ed arredare il campo giochi della Public School 55 a Staten Island, New York. È guest critic per la Pittura e la Scultura alla Columbia University. 1965 Viene premiato con la medaglia d’argento dalla Architectural League di New York ed è presentato per un diploma dalla Park Association di New York. Espone alla Sculptor’s Guild Annual Exhibition e al Museum of Contemporary Crafts di New York, alla “Mostra del piccolo formato” al Capitello di Cagliari; tiene una personale alla Byron Gallery di New York e partecipa alla IX Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. 1966 A Nuoro espone alla Galleria L’acquario e realizza e sistema la piazza dedicata al poeta Sebastiano Satta. Scolpisce la facciata del nuovo Bridgeport Post Newspaper Building, a Bridgeport nel Connecticut. Apre una seconda personale alla Byron Gallery di New York. Espone alla First Flint International, a Flint nel Michigan, e ancora alla Sculptor’s Guild Annual Exhibition di New York. In collaborazione con l’architetto Percival Goodman esegue i pannelli in bassorilievo per la Public School 345 di Brooklyn. 1967 Porta a termine le sculture per la Public High School 320 di Brooklyn. Tiene una personale alla
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Byron Gallery di New York. Ottiene la medaglia d’oro per le belle arti dall’American Institute of Architects di New York.
1976 Personali alla Galleria Arte Duchamp di Cagliari e al Loretta Yarlow Fine Arts Center di Toronto.
1968 Esegue una monumentale scultura per rappresentare l’Italia alle Olimpiadi di Città del Messico. Partecipa al concorso per il Monumento ad Antonio Gramsci. Riceve l’incarico per due importanti progetti: un rilievo murale, un graffito e il parco giochi per il Children’s Psychiatric Hospital nel Bronx; e la facciata scolpita della Janesville Gazette di Janesville nel Wisconsin. Lavori di Nivola sono esposti al Guild Hall Museum di East Hampton. Personali al McKormick Plaza Exposition Center e alla Superior Street Gallery di Chicago.
1977 È artista residente alla American Academy di Roma, dove sue opere sono esposte in una mostra collettiva. Altra collettiva alla Stable Gallery di New York.
1969 Viene incaricato di disegnare ed eseguire due murali a graffito per la Hurley House e lo State Office Building di Boston. 1970 Diventa visiting professor al Carpenter Center for the Visual Arts dell’Università di Harvard. Realizza un rilievo murale e una scultura per il Continental Office Building di Philadelphia. 1972 Viene eletto membro della American Academy and Institute of Arts and Letters di New York. È artista residente alla American Academy di Roma. Termina un bassorilievo murale per il Legislative Office Building di Albany, New York, oltre a nove grandi sculture per la Intermediate School 183 del Bronx. 1973 Intensifica l’attività espositiva: personali alla Galleria il segno e alla Galleria Marlborough di Roma, all’Università di Cagliari, alla Williard Gallery di New York. Esegue un affresco e un graffito murale per la Provident Institution for Savings di Boston. L’Università di Harvard lo invita ancora come visiting professor al Carpenter Center for the Visual Arts. 1974 Porta a termine tre grandi sculture per la Beach Channel High School nel Queens di New York. Tiene una personale all’Institute of Contemporary Art di Boston. 1975 È incaricato di eseguire tre grandi sculture per la New Family Criminal Court House del Bronx. Diventa membro onorario della Royal Academy of Fine Arts dell’Aja. Suoi lavori vengono esposti in una collettiva al Guild Hall Museum di East Hampton.
1978 Il Dartmouth College di Hanover, nel New Hampshire, invita Nivola come artista residente e organizza una sua personale. Più tardi accetterà l’incarico di visiting professor di arte alla California University, a Berkeley, per il 1978-79 e l’82. Due personali a San Francisco: Paul Anglim e Quay Gallery. All’International Design Conference di Aspen, Colorado, viene insignito del premio Eliot Noyes Fellox. 1980 Il Parrish Art Museum di Southampton, New York, e il William Benton Museum of Art di Storrs, Connecticut, espongono opere di Nivola. 1981 È membro della giuria che seleziona i partecipanti al concorso per il Vietnam Memorial di Washington. Conclude le sculture di marmo per i Mobil Oil Headquarters di Fairfax, Virginia. 1982 È visiting professor di Arte alla Royal Academy of Fine Arts dell’Aja. Si tiene una personale alla Galleria Arte Duchamp di Cagliari. 1984 Ottiene la commissione per la realizzazione di sculture in bronzo e bassorilievi per il Dipartimento di Polizia e Vigili del fuoco del 18° Distretto di New York. Diventa membro onorario dei college Morse ed Ezra Stiles dell’Università di Yale. 1985 Inaugura due personali nelle due sedi (Uptown e SoHo) della Washburn Gallery di New York. L’architetto Gyo Obata lo incarica di eseguire tre sculture per i Kellogg Company Corporate Headquarters di Battle Creek, nel Michigan. La Commissione Artistica della città di New York propone Nivola per l’Award for Excellence in Design. 1986 La Bernice Steinhaum Gallery di New York seleziona alcuni lavori di Nivola per “Elders of the Tribe”, mostra itinerante negli Stati Uniti per due anni. Realizza una colonna scolpita per Campo del Sole a Tuoro, sul Trasimeno.
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