Nivola Museo ITA

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MUSEO NIVOLA



F ONDAZIONE C OSTANTINO N IVOLA

MUSEO NIVOLA Testi di Ugo Collu, Luciano Caramel Carlo Pirovano, Fred Licht, Giuliana Altea


In copertina e nei risvolti Esterni del Museo Nivola In frontespizio Nivola nel suo giardino a Springs, 1964. Foto Henri Cartier-Bresson.

Referenze fotografiche Giorgio Dettori: pp. 8, 23, 30 (in alto), 37 (in basso), 49 (in alto), 62-63, 66-68, 84-85, 87, 90-93, 96, 98-107, 110-123, 125, 127-131; Maria Carmela Folchetti: foto copertina e risvolto, pp. 69-83, 86, 88-89, 94-95, 97, 108-109, 126; Pietro Paolo Pinna: foto risvolto quarta di copertina, pp. 12-13, 52 sinistra, 124; John Reed: p. 50; Robert Stahman: p. 33; Donatello Tore, archivio Ilisso: pp. 24 (in basso), 42; Archivio Famiglia Nivola: pp. 10, 22, 32 (in alto), 37 (in alto), 49 (in basso). Le foto di Carlo Bavagnoli appartengono all’archivio Ilisso.

Stampa Industria Grafica Stampacolor, Sassari

Traduzione testo Fred Licht dall’inglese Renata Rossani Bruckner

© Copyright 2004 Fondazione Costantino Nivola, Orani Ilisso Edizioni, Nuoro ISBN 88-89188-26-X


Indice

9 Museo Nivola. Un promemoria per il futuro Ugo Collu

17 Nivola, scultore irrituale Luciano Caramel

29 Scultura per la cittĂ Carlo Pirovano

35 I materiali di Nivola Fred Licht

47 Nivola e il tema del femminile Giuliana Altea

61 Catalogo

133 Cronologia



Museo Nivola. Un promemoria per il futuro Ugo Collu Presidente della Fondazione Costantino Nivola

Il Museo Nivola si colloca nel cuore della Barbagia come segnale vivo di una cultura che rischia di essere travolta dall’omologazione progressiva. Il nome di Costantino Nivola si unisce a quello di altri eccellenti personaggi cui Nuoro e la Barbagia hanno dato i natali: Francesco Ciusa, Antonio Ballero, Mario Delitala, Sebastiano Satta, Grazia Deledda, Salvatore Satta, Salvatore Cambosu, per non citarne che alcuni. E si unisce con particolare merito: l’origine modesta e la vita riservata ne esaltano vieppiù le doti artistiche e l’impegno morale. Fuori da ogni provincialismo e localismo, perché Nivola ha colto ed esaltato forme e significati che interpellano alla radice l’uomo in quanto tale. Chi lo ha conosciuto sa che era uomo semplice e schivo, piuttosto taciturno, un poco rude nelle sue espressioni laconiche e tassative che sembravano provenire da un profondo silenzio e da una assorta meditazione. Ma, nel contempo, egli era capace di slanci sublimi e di pensosa interiorità. Genuino e sognatore, a volte era irruente e istintivo. Un po’ diffidente verso gli adulti, amava i bambini e desiderava arrestare la vita all’infanzia.

Interno del Padiglione delle sculture del Museo Nivola.

Difficile da capire il suo carattere e soprattutto l’opera, se non se ne conosce la terra d’origine. La sua infanzia fu povera in un paesino della Barbagia. Il padre lo avrebbe voluto con sé come muratore. Ma a lui piaceva disegnare, e non era facile accontentarlo. Per la famiglia era un lusso anche l’acquisto di un album da disegno. Per questo egli dipingeva dove gli capitava: sulle pietre, per strada, sui gradini di casa, sui muri. Intorno aveva una natura vergine: rocce di granito, terra rosa e talco, e le forme materiali più strane, scolpite dal vento a popolare sogni e immaginazione. L’infanzia in quella terra e in quella famiglia è la chiave di comprensione della sua opera. Tutto viene dall’infanzia e da quello sguardo di bambino sempre stupito di fronte alla natura e alla vita che lo circondava. Ad incominciare dal rito del pane. La madre lo celebrava per il suo incanto, e la casa si riempiva di profumo. Il pane per la festa assume ancora oggi in molti paesi della Sardegna significati quasi religiosi e viene confezionato con elegante maestria: vere opere d’arte. Le mani delle nostre donne lo lavorano all’alba con le amiche del vicinato e vi disegnano con naturalezza ricami preziosi. Molti di noi hanno visto Costantino Nivola impastare la creta con gli stessi gesti con cui la madre modellava quel pane. Un gesto esemplare, 9


Tutta la sua estetica soggiace all’etica dell’ambiente. La natura così non è ciò che l’uomo ha, ma ciò che l’uomo è. Non ci appartiene: piuttosto le apparteniamo come al grembo della Grande Madre. La natura è quindi sacra per Nivola; è la vera fonte dell’arte. Da lei il nutrimento dell’intuizione e da lei i materiali semplici e reali di un’arte ontologicamente resistente. In questo senso Nivola è un “antimoderno”, un sopravvissuto del rinascimento animistico che professa l’inseparabilità di soggetto e oggetto e coglie l’essenza e il vero solo nella totalità. Cogliere la propria singolarità nel contesto dell’umanità è impresa difficile nel nostro tempo, malato di localismo o di universalismo. Il processo ottimale di maturazione intellettuale procedeva ancora pochi decenni or sono, per cerchi concentrici, dal villaggio di appartenenza verso la consapevolezza dell’unità morale del genere umano. La comunicazione elettrica e telematica, eliminando le distanze spaziali e contraendo il pianeta, ha quasi rovesciato tale processo. La prima consapevolezza oggi è quella di uno spazio totale che solo nei più avveduti poi muove verso dove si è, ai luoghi del nascere e dell’abitare che premono nell’inconscio. Senza questa compenetrazione fra l’abitare e l’essere non si può parlare di identità personale, intellettuale e artistica. Compenetrazione che Nivola ha realizzato esemplarmente. I nutrimenti culturali dell’infanzia operano in lui come linfa in tutto l’arco della sua produzione. In qualche maniera, si può dire, la sua arte parla sardo. I riferimenti etici, le risonanze e le intonazioni della sua poetica sono sardi o perlomeno riscontrabili in quella civiltà mediterranea entro cui la civiltà sarda è immersa. Un pugno di valori semplici, materiali e spirituali, la cui eclisse è alla base della crisi morale del nostro tempo, vengono proposti da Nivola come memoria ancestrale e insieme come fermento utopico di terapia planetaria. Un vero progetto per il futuro. La rievocazione del lavoro e della fatica, la rappresentazione dell’eros e la sofferenza nei molteplici volti, la sintesi delle divinità umane (la madre, la famiglia, i mestieri), l’esaltazione dei materiali umili e sani (sabbia, creta, cemento, bronzo, legno…): sono indicazioni di una nuova segnaletica per un nuovo progetto di civiltà. È così che Costantino Nivola è insieme e inscindibilmente figlio di Orani e del mondo intero, uomo fermo nelle sue radici e per questo capace di apertura e di disponibilità planetaria. L’arte è libertà, ma deve essere anche bene. Più volte Nivola ripeteva che il suo intento, soprattutto per la produzione destinata al pubblico, era quello di trasmettere gioia e buoni sentimenti. Sentiva quindi un dovere e una responsabilità nei confronti dei contemporanei; ascoltava un daimónion che gli suggeriva limiti e gli apriva orizzonti di senso. Bellezza e Bene non devono andare disgiunti. Per questo, sostando un poco di più davanti alla sua opera, si può rintracciare un disegno di “filosofia visiva” neppure tanto nascosto. Un universo di fondamenti e di significati offerti come intelaiature per la ripresa verso una nuova umanità: una farmacia di principi contro le malattie del pregiudizio, dell’individualismo, del tecnologismo, del consumismo e del relativismo nihilistico, figli tutti del tardo capitalismo. 14


Nivola, Cagliari, 1987. Foto Daniela Zedda.

La madre sarda e la speranza del figlio meraviglioso – rappresentata con la prominenza sul grembo levigato ad indicare l’urgenza di ciò che deve venire – si colora di luminosa simbolicità: possiamo guardare con ottimismo al futuro dell’umanità, solo a patto che ne percepiamo le vibrazioni del travaglio e dispieghiamo tutto il nostro contributo alla sua piena maturazione. Il Museo che la Regione Autonoma della Sardegna ha voluto dedicare a Nivola, – questo Museo che ora si arricchisce di un Secondo Padiglione dedicato ai sand-cast, che si completerà presto con altri spazi per i Dipinti e per attività espositive e con il Parco – va quindi più vissuto come compito morale che contemplato come memoria. Esso annuncia un futuro di cui vediamo solo trasparenze dal limitare. Il passaggio richiede coraggio e intelligenza. Nivola ci ha lasciato non pochi segnali per l’accesso: agli uomini di buona volontà il dovere di elaborarli e di varcare quella soglia. 15


Particolare del pannello per lo show-room Olivetti, cemento policromo su sabbia, Università di Harvard, Cambridge, 1953.

Show-room Olivetti, New York, 1953-54. Foto Hans Namuth.

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monumentali) che solidificandosi darà vita alla scultura definitiva, i cui esiti naturalmente risulteranno specularmente rovesciati rispetto alla composizione preparatoria d’origine. Questo procedimento “graduato” dalla sciolta modellazione nella sabbia, fluida e veloce, alla solidificazione cementizia fu il passaggio tecnico privilegiato da Nivola per i suoi interventi a grande scala nel paesaggio urbano americano nella seconda parte degli anni Cinquanta e agli inizi del decennio successivo, quando egli operava in collaborazione con prestigiosi protagonisti4 dell’architettura più aggiornata, non di rado variamente, persino ecletticamente orientata dal punto di vista formale, ma sempre omogenea nella linea essenziale di un razionalismo assolutamente funzionale, spoglio ed essenziale; progettisti certamente accomunati da premesse politico-culturali progressiste d’impostazione quantomeno populista che era la diretta conseguenza degli ideali roosveltiani d’anteguerra proprio nel momento di maturazione di quella che sarebbe stata la nuova visione kennediana della società; l’aspirazione didattica, generosamente utopica, attingeva con assoluta libertà ai fermenti egualitari che da sempre alimentavano la giovane nazione americana, ma anche alla tensione tecnico-progressista delle grandi sollecitazioni progettuali tipiche dell’architettura europea d’avanguardia tra le due guerre, proprio allora travasate, non senza contrasti, nel gusto locale, a partire dai grandi centri della costa orientale, New York in primis. L’originale procedimento di Nivola, ancora sostanzialmente artigianale, ma adattabile a possibilità cantieristiche avanzate (ivi compresi il trasporto come la dislocazione e la messa in opera su posizioni molto impegnative e le dimensioni complessive molto dilatate) si prestava ad una grande scioltezza progettuale ed esecutiva ove la sommarietà del ductus plastico s’adattava perfettamente al frazionamento della raffigurazione in tanti pannelli da ricomporre in situ; inoltre la consistenza materica del conglomerato cementizio, piuttosto rude, poteva rispondere alla sfida di un’esposizione ambientale al limite


Bridgeport Post Newspaper Building di Bridgeport, Connecticut, 1966.

Rilievo del Kansas City Gazette.

della tenuta, compensandosi empiricamente le implicazioni di elasticità e di durezza, di un mimetismo urbano tecnologicamente avanzato fino al limite del brutalismo, con le suggestioni di un primitivismo remoto, rimemorato sotto le sfumature di un rimpianto utopico, ma tutt’altro che arcadico. Se dal punto di vista dei meccanismi di comunicazione in rapporto alla destinazione urbanistica il discorso evocativo di Nivola presuppone coinvolgimenti emotivi di grande afflato corale, sottolineato dalle cesure lunghe del metro narrativo, il registro formale si caratterizza per una particolare elaborazione della scansione spaziale che impone ai partiti volumetrici una indefettibile continuità con trapassi impercettibili delle modulazioni plastiche che piegano anche i materiali più grevi (come il conglomerato cementizio, appunto), ad una eccezionale reattività atmosferica e perfino a ricercate sofisticazioni luministiche. Naturalmente (ebbi occasione di sottolinearlo presentando a Firenze questi eccezionali documenti plastico-urbanistici)5 questa particolare modulazione dell’immagine sotto la regia ferrea della continuità, comporta nel processo compositivo l’eliminazione di ogni fulcro predeterminato di aggregazione come pure di un asse di lettura privilegiato, in favore di una specie di emersione spaziale libera cui deve corrispondere un coinvolgimento emotivo totalizzante secondo sollecitazioni che postulano una percezione corale; che nel suo risvolto mitico-sacrale è cosa diversa rispetto alla psicologia di massa. Di fatto in questi rilievi imponenti è stato abolito lo schema classico, assurto a codice paradigmatico nelle convenzioni umanistico-rinascimentali (alla Brunelleschi, per intenderci) della visione a fuga prospettica monodirezionale, che privilegia una lettura critica fortemente individualistica, in favore di una scansione per moduli paratattici che potremmo assimilare al continuum espressivo di molta decorazione arcaica, ma anche alla imprevedibilità timbrica di certa musica etnica rivisitata sul pentagramma dell’avanguardia. Il jazz per lo spirito americano poteva essere qualcosa di più di un abito mentale, di puro pretesto ludico. I processi inventivi e l’applicazione compositiva messi a punto da Nivola per questi interventi nel tessuto urbano (nei quali al sand-casting si integreranno via via altre tecniche operative, dal graffito alla decorazione pittorica, fino alla plastica a tutto tondo)6 rispondono con tutta naturalezza a quella particolare scioltezza operativa (da artigiani di altissima classe, quasi prestigiatori) che aveva improntato i programmi didattici della scuola di Monza, ove il presupposto di unitarietà di tutte le arti derivava certo dagli esperimenti nobili esperiti un po’ in tutta Europa (si pensi anche solo ai programmi del Bauhaus) ma era di fatto il punto d’arrivo e la sublimazione di quell’esercizio del mestiere come applicazione pratica dell’arte che era retaggio di una grande tradizione propria delle valli prealpine tra Lombardia e Ticino; il passaggio dalla “decorazione” alla “comunicazione” rispondeva a nuove funzioni sociali. Nel bagaglio culturale dell’antico allievo dell’ISIA, inoltre, di sicuro non mancavano le risonanze e gli stimoli della grande querelle sironiana dei primi anni Trenta sul tema della pittura murale, confrontati anche sui risultati della sperimentazione francese tardo-cubista (Léger 31




Alle pp. 62-63 Interno del Padiglione delle sculture del Museo Nivola.

Maquette del pannello per lo show-room Olivetti a New York, 1953 circa sand-cast in cemento, 45 x 233 x 6,8 cm.

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Senza titolo sand-cast, gesso, 165 x 88 x 9 cm. Senza titolo sand-cast, gesso con inserti ceramici, 180 x 104,5 x 11 cm.

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Senza titolo, 1961 sand-cast, cemento, 38 x 54 x 4 cm.

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Senza titolo, 1984 circa sand-cast, cemento, 28 x 61,5 x 4 cm.

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Letto, 1972, (a) terracotta, 21,5 x 16,5 cm.

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Letto, 1971, (b) terracotta, 21,3 x 17 cm.


Letto, 1971, (c) terracotta, 21 x 16,5 cm.

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Figura maschile, da modello del 1981-85 travertino, 169 x 112 x 51,5 cm.

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Madre, da modello del 1981-85 marmo di Carrara, 146 x 233,2 x 61,5 cm.





Alle pp. 108-109 Lavoratori, 1983, bronzo Pittore (serie Lavoratori), 1983 bronzo, h 25,5 cm.

110


Portatore di fascina (serie Lavoratori), 1983 bronzo, h 25,7 cm.

111


Madre, da modello del 1984 bronzo, 45,5 x 57,7 x 5 cm.

120


Senza titolo, da modello del 1981-82 bronzo, 24,5 x 43,5 x 8,5 cm.

121


Figura femminile, da modello del 1987 botticino, 33 x 14 x 6,5 cm.

131


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