Raffaele Ciceri

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RAFFAELE CICERI Fotografie di Nuoro e della Sardegna nel primo Novecento

ISre



Fotografie di Nuoro e della Sardegna nel primo Novecento Paolo Piquereddu Agostino Murgia Salvatore Novellu

ISRE

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Il presente volume è stato realizzato in occasione della mostra promossa dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna, con la collaborazione del Comune di Nuoro

Fotografie di Nuoro RAFFAELE CICERI nel e della Sardegna primo Novecento Nuoro, TRIBU Piazza Santa Maria della Neve

31 ottobre 2012-28 febbraio 2013

Catalogo

Mostra

Supervisione Paolo Piquereddu

Ideazione e supervisione Paolo Piquereddu

Coordinamento editoriale e grafica Ilisso Edizioni

Progetto Antonello Cuccu

Copertina Aurelio Candido

Realizzazione e allestimento Settore Musei dell’ISRE Direzione Franca Rosa Contu Assistenza tecnica Claudio Mangoni Collaborazione Susanna Aragoni, Enrico Costa, Luisella Moni, Pietro Oleda, Raffaele Pichereddu

Stampa Lito Terrazzi

Ringraziamenti Il Consorzio per la Pubblica Lettura Sebastiano Satta di Nuoro, sezione Sardegna, nelle persone di Antonello Patteri, Giovanna Fadda, Cristina Guiso. Gianfranco Cualbu, Enrica Delitala, Sonia Meloni, Michele Pintore, Giancarlo Portas.

Acquisizione digitale delle immagini Ignazio Figus, Virgilio Piras Aspetti tecnico-scientifici Servizio Tecnico Scientifico dell’ISRE Direzione Antonio Deias Aspetti amministrativi Servizio Amministrativo dell’ISRE Direzione Marco Mulas Elaborazioni fotografiche e ricostruzione scenografica in 3D Enrico Fois Stampe digitali Publiphoto, Nuoro Strutture espositive Arredil, Mamoiada Cornici Bottega dell’arte, Nuoro

© Copyright 2012, Nuoro ISRE, Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna ILISSO EDIZIONI ISBN 978-88-6202-083-1


Indice

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Raffaele Ciceri: immagini stereoscopiche nella Nuoro deleddiana Paolo Piquereddu

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Raffaele Ciceri: “la gioia sadica del nulla� Agostino Murgia

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Tavole

Catalogo Salvatore Novellu

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Raffaele Ciceri fotografo. Problematiche di un archivio di lastre stereoscopiche Salvatore Novellu

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Bibliografia


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Raffaele Ciceri: immagini stereoscopiche nella Nuoro deleddiana Paolo Piquereddu

Nel mese di maggio del 2008, un’importante raccolta di immagini è andata ad arricchire l’archivio fotografico storico dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico. Si tratta delle 309 lastre fotografiche realizzate da Raffaele Ciceri (1870-1921), farmacista a Nuoro tra Ottocento e Novecento, generosamente donate all’Istituto dal giornalista nuorese Agostino Murgia, che ha voluto in questo modo onorare la memoria della madre, Lidia Murgia Ulzega. Le immagini sono state registrate all’ISRE come Donazione Murgia Ulzega-Fondo Raffaele Ciceri. Più precisamente il Fondo consta di 300 lastre stereoscopiche al cloro-bromuro d’argento del formato di 4,5 x 10,7 cm, più altre 9 dimezzate, quindi con un solo fotogramma, e tre stampe fotografiche, una delle quali recante sul verso il timbro “Raffaele Ciceri Farmacista Nuoro”. Le lastre sono state consegnate nelle loro scatole originali: 14 Lumière, 3 Cappelli, 2 Ilford e 1 Hauff. Completano la donazione un visore e un apparecchio fotografico stereoscopico.1 Al corpus fotografico donato all’ISRE si è recentemente affiancato un altro lotto di immagini di Ciceri, identificate da Salvatore Novellu all’interno di una raccolta di fotografie e filmati acquisita dalla Ilisso quale Fondo Piero Pirari. La mostra e il catalogo cui questo si riferisce riuniscono entrambe le raccolte, quella pubblica e quella privata, offrendo un panorama certamente inedito per ampiezza e qualità della produzione fotografica di Ciceri. Mostra e catalogo che costituiscono l’esito del processo di studio e valorizzazione della figura del farmacista fotografo che ebbe un lontano prologo nel 1982 con una prima prova espositiva e pubblicazione curate da Agostino Murgia. Lo stesso, nel testo riportato più avanti, presenta un vivace e denso ritratto di Ciceri accompagnato da una serie di preziosi dati biografici e notizie sui suoi interessi, amicizie e scelte di vita che inscrivono con efficacia il farmacista fotografo nello scenario sempre sorprendente di quel paese di nemmeno 7000 abitanti che era la Nuoro deleddiana e sattiana. Ciceri offre una rappresentazione visiva di quel mondo: attraverso il suo occhio fotografico definisce luoghi ed edifici, dà forma agli abiti degli uomini e delle donne (queste ultime poche, per la verità) dà volti alle persone, scenari e attori agli eventi. Sono gli stessi luoghi, persone, attività, accadimenti che Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Antonio Ballero, Francesco Ciusa ebbero sotto gli occhi: Grazia tutti i giorni fino al 1900, quando lasciò Nuoro per raggiungere la tanto agognata Roma, e solo ad agosto negli anni successivi, fino alla vendita della

casa paterna (1913), Sebastiano Satta fino alla sua morte prematura (1914), Ballero per molti anni ancora. Attraverso la sua attività fotografica Ciceri contribuisce in misura significativa al processo di ricostruzione/emersione di una sorta di catalogo visivo della società nuorese deleddiana che si aggiunge all’opera del fotografo professionista Sebastiano Guiso e dell’eclettico Piero Pirari e, ancora, alle immagini di Sebastiano Satta e di Antonio Ballero, come Ciceri fotografi dilettanti. Non si può infatti non osservare come ad alcuni degli stessi personaggi che di Nuoro illustrarono e rappresentarono vicende, tradizioni, ambienti, colori e persone attraverso una formidabile produzione poetica, letteraria e pittorica si debbano anche alcune tessere della sua rappresentazione fotografica: di carattere intimo e familiare e di quantità modesta quella di Sebastiano Satta, di maggiore respiro quella di Ballero, che oltre a persone e luoghi a lui vicini, ritrae momenti della vita popolare della città e del suo circondario, dando prova di una discreta perizia tecnico-compositiva e di sensibilità verso soggetti che potremmo oggi definire di interesse etnografico. Rispetto ad Antonio Ballero e a Sebastiano Satta – si evita, in questo breve testo, di ritornare sul lavoro dei citati Guiso e Pirari – Ciceri offre una produzione tematicamente più diversificata, ma soprattutto caratterizzata da uno stile di ripresa molto diverso. La maneggevolezza della sua macchina stereoscopica gli consente di operare con rapidità, cogliendo attimi di piccoli e grandi eventi di Nuoro e del suo circondario, ma anche di altre località dell’isola, a partire da Cagliari, del “continente” e della Tunisia. Ma lo stage privilegiato delle sue immagini fu quel singolare luogo di incontro e di confine rappresentato dal terminale superiore del corso Garibaldi tra Ottocento e Novecento, adiacente alla piazza San Giovanni, allora intitolata a Cavallotti e sede di un primitivo mercato: percorso obbligato da parte degli abitanti di Santu Predu che dovessero raggiungere i principali uffici e servizi pubblici della città. Le sue foto possono essere inserite in quella che la storia della fotografia chiama street photography: si tratta di catturare un istante attraverso una macchina con tempi di esposizione brevi, come per l’appunto la Richard di Ciceri. Non a caso un pioniere della street photography, la fotografa inglese Valentine Blanchard, già negli anni Sessanta dell’Ottocento, utilizza per le sue istantanee a Londra una macchina stereoscopica, con la quale realizza una

Gonario Delitala, Caricatura di Raffaele Ciceri, 1911 penna e pastello su carta, 20 x 15,5 cm, Cagliari, coll. privata.

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3. Nuoro, panoramica parziale da Ponente, post 1915 (cat. n. 4)




4. Nuoro, corso Garibaldi, corteo nuziale (cat. n. 6)



9-10. Nuoro, corso Garibaldi (cat. nn. 11-12)



11. Nuoro, corso Garibaldi, ante 1910 (cat. n. 13) 12. Nuoro, corso Garibaldi (cat. n. 21)


13. Nuoro, piazza Cavallotti (attuale piazza San Giovanni) (cat. n. 22)


14. Nuoro, corso Garibaldi (cat. n. 23)





34. Nuoro, piazza d’Armi (attuale piazza Vittorio Emanuele), commemorazione della scomparsa del poeta Sebastiano Satta, in primo piano, a sinistra, il pittore Antonio Ballero, 13 dicembre 1914 (cat. n. 46)





95. Macomer, Esposizione ippica sarda, 22-25 maggio 1909 (cat. n. 186)


96. Abbasanta, mendicante (cat. n. 189)



97. Sardegna, defunta (cat. n. 190) 98. Sardegna centrale, VenerdĂŹ Santo (cat. n. 191)




99-100. Sardegna centrale, VenerdĂŹ Santo (cat. nn. 192, 194)


101. San Gavino, stazione ferroviaria (cat. n. 201)



102. Cagliari, darsena (cat. n. 202)



Il luogo dello scatto è la tenuta Mura-Musina (cfr. scheda 55-59) – conosciuta come Su favariu –, ampio appezzamento di terreno compreso tra il convento francescano dei frati Minori Osservanti, la Casa della Società Operaia di Mutuo Soccorso (allora ubicata al piano terra dell’attuale Comando provinciale della Guardia di Finanza e l’area attualmente occupata da alcuni degli edifici prospicienti il tribunale. La donna ritratta è Elena Mura, nipote di Giovanni Antonio Musina nonché erede di tutte le sostanze della famiglia Musina, dal podere cui si accennava poco sopra allo storico caffè Tettamanzi e relativo palazzo, includendo anche lo stabile dove aveva sede la Farmacia Floris, poi Ciceri. È stata proprio la protagonista dello scatto, insieme al marito, il radiologo Giuseppe Mura, ad aver fatto pervenire agli attuali eredi (cfr. “Raffaele Ciceri fotografo”, p. 211), il corpus di immagini prodotte da Ciceri, acquisite per donazione dall’ISRE (Istituto Regionale Etnografico della Sardegna) di Nuoro nel maggio 2008 e in buona parte oggetto della presente pubblicazione.

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la realtà concreta di un party acqua e sapone» (TYNDALE 2002, vol. II, p. 51). Se la tranche de vie che John Warre Tyndale tratteggia nel 1849 in The Island of Sardinia si riferisce all’area geografica del Marghine, nondimeno vale a commentare degnamente l’immagine, tanto più che non è stato possibile identificare con esattezza il luogo dello scatto, che, se riferito a Nuoro, potrebbe essere localizzato nella zona sottostante la fontana di Istiritta, dove normalmente si svolgeva questo genere di attività.

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100. Nuoro diapositiva stereoscopica al cloro-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (Archivio ISRE, fondo Ciceri; la lastra è pervenuta anche in negativo nel fondo Ilisso) L’immagine, prodotta anch’essa presumibilmente nella tenuta Mura-Musina (cfr. n. 99), ritrae una donna appartenente al personale di servizio della famiglia.

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103. Sa ria, ante 1908 diapositiva stereoscopica al cloro-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (Archivio ISRE, fondo Ciceri) L’immagine riproduce la celebre tela intitolata Sa ria (il lamento funebre), opera che il pittore nuorese Antonio Ballero, amico del farmacista, ultimò nel 1908 (SCANO NAITZA 2004, p. 39). Nello scatto l’olio appare ancora in fase di elaborazione suggerendo una datazione antecedente.

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101. Nuoro, 1 ottobre 1914 diapositiva stereoscopica al cloro-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (Archivio ISRE, fondo Ciceri) Si tratta dell’unica immagine afferente al fondo Ciceri la cui datazione possa dirsi certa. Il supporto vitreo, infatti, conserva, nello spazio trasparente tra i due fotogrammi, l’iscrizione autografa “1/10/1914”. Lo scatto, del quale non è possibile identificare l’ubicazione, ritrae una donna con un bambino in uno spazio identificabile con una tenuta di campagna o un giardino pubblico. Se la prima ipotesi dovesse trovar credito, non sarebbe ardito il rimando ai possedimenti agricoli di Giovanni Antonio Musina a Isporosile. 102. Nuoro (?), il bucato al fiume (tav. 61) diapositiva stereoscopica al cloro-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (Archivio ISRE, fondo Ciceri) «Al lato della strada, vicino al paese, scorre un ruscello ricco e cristallino che sgorga da una sorgente attorno alla quale stavano raggruppate le graziose giovani del luogo intente a fare il bucato. La varietà e la vivacità dei loro costumi, l’armoniosità delle loro figure, le canzoni allegre, l’espressione felice del viso, si armonizzavano con le bellezze naturali del luogo. Un magnifico noce gettava la sua ombra per difenderle dai raggi del caldo sole mattutino … L’immediata vicinanza delle case e delle strade sudice e la prosaicità delle ninfe alla fonte, non potevano rovinare il fascino di quell’autentica scena al fresco, un amalgama vivace e fantasioso anziché

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104. Nuoro (?) negativo stereoscopico alla gelatina-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (Archivio Ilisso, fondo Ciceri) L’abito indossato dall’anziana donna sembra corrispondere alla tipologia caratteristica del capoluogo barbaricino. La lastra è pervenuta sino a noi priva dell’intero fotogramma sinistro e di una porzione del fotogramma destro.


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105. Nuoro (?) diapositiva stereoscopica al cloro-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (Archivio ISRE, fondo Ciceri) L’albero ritratto sembra proprio il celebre pino più volte decantato da Grazia Deledda e altrettanto spesso immortalato in tanto celebri quanto differenti scatti d’epoca (sembra riferirsi al medesimo soggetto anche lo sfondo di SCANO NAITZA 2004, p. 107, foto 110). Se si eccettuano pochi scorci dell’abitato di Nuoro, alcuni paesaggi e qualche scatto realizzato nel corso dei suoi viaggi nelle città dell’Isola e d’oltre mare, questa è una delle rarissime evenienze nelle quali Ciceri esclude l’elemento umano dalla ripresa.

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263-296. Tunisi diapositive stereoscopiche al cloro-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (lastre 263285, 287-296 Archivio ISRE, fondo Ciceri; la lastra 291 è pervenuta anche in negativo nel fondo Ilisso) negativo stereoscopico alla gelatina-bromuro d’argento, 45 x 107 mm (lastra 286 Archivio Ilisso, fondo Ciceri; la lastra è pervenuta anche in diapositiva nel fondo ISRE) Il cospicuo nucleo di immagini realizzate da Ciceri nel corso di uno o più viaggi a Tunisi fornisce un’importante documentazione rispetto allo spesso troppo esiguo numero di scatti sopravvissuti di alcune tra le più note città italiane, quali Pisa, Firenze, Venezia, Udine, Milano, Genova e Palermo, escludendo dal novero Roma e Torino, per le quali può essere ipotizzabile che scopo di una delle trasferte siano state le due Esposizioni del 1911. Il reportage tunisino, invece, restituisce la sfaccettata quotidianità della città, le operazioni di carico e scarico nell’area portuale (nn. 266-268); alcune panoramiche della città comprendenti anche qualche abitazione dei dintorni (nn. 269-273); le vie principali (nn. 274-278); il mercato cittadino (nn. 279-284); i vicoli più interni (nn. 287-289); una noria che ricorda quelle sarde mosse dagli asini (nn. 291-292); monumenti locali (n. 293); senza tralasciare i ritratti del gruppo di amici (nn. 285-286) nonché il resoconto di una traversata a bordo di un piroscafo (nn. 263-265). Per quanto riguarda in particolare le immagini 295 e 296, non è escluso che si riferiscano ad uno dei due padiglioni regionali che furono allestiti in occasione dell’Esposizione Internazionale di Roma o di Torino del 1911, ma, in assenza di riscontri certi, data l’assonanza con le architetture locali – che pure rimandano agli edifici normanni della Sicilia –, è preferibile localizzare gli scatti in Tunisia. La lastra 281 è pervenuta sino a noi priva di una porzione del fotogramma sinistro.

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Raffaele Ciceri (in primo piano sulla sinistra) posa, all’interno della propria farmacia insieme a un gruppo di amici, in un autoscatto databile intorno al 1910.

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Raffaele Ciceri fotografo. Problematiche di un archivio di lastre stereoscopiche Salvatore Novellu

Solo il caso ha voluto che ancora oggi, a circa un secolo di distanza dalla sua realizzazione, si possa godere del repertorio fotografico prodotto per diletto dal farmacista nuorese Raffaele Ciceri in un arco di tempo compreso tra i primi anni del Novecento e il 1921, anno della sua morte. Dopo questa data, tutte le sue sostanze, consistenti in denaro, immobili e beni di altra natura dei quali non è dato sapere, furono donate per volontà testamentaria all’ospedale civile di Nuoro. Una delle cose più preziose che Giovanni Antonio Musina, di Ciceri amico fraterno e figura di riferimento, nonché esecutore testamentario, trattenne per sé fu una scatola in legno del formato di 34 x 34,5 x 7,5 cm cui era profondamente legato avendo consapevolezza dell’elevato valore del materiale conservato al suo interno, del quale era stato spesso testimone e, talvolta, anche protagonista: si trattava della raccolta di lastre stereoscopiche su vetro impressionate da Ciceri con la sua fotocamera Richard Verascope. Dopo Musina, fu la nipote Elena Mura (cfr. cat. n. 99) a farsi custode della preziosa eredità iconografica che, proprio per suo tramite, pervenne agli attuali eredi insieme all’archivio fotografico del marito, Giuseppe Murgia, radiologo e appassionato fotografo, al quale probabilmente si deve la tutela effettiva del piccolo tesoro. Il sistema fotografico utilizzato da Ciceri consisteva dunque nella stereoscopia, procedimento teorizzato già dal 1838 da Charles Wheatstone, partendo da disegni che potevano essere osservati attraverso un rudimentale prototipo di stereoscopio. L’anno successivo, ufficializzata l’invenzione della fotografia la cui paternità veniva concordemente attribuita a Louis-Jaques Daguerre (attribuzione corretta solo se limitata al Daguerrotipo), su richiesta dello stesso Wheatstone si mettevano in atto i primi esperimenti di stereoscopie fotografiche a opera di William Henri Fox Talbot – l’inventore del processo fotografico incentrato sulla stampa da negativo (Calotipia), quello che concettualmente sarà poi, di fatto, alla base della moderna fotografia – sperimentazioni volte a perfezionare il nuovo sistema che, attraverso l’illusione della tridimensionalità, contribuiva ad enfatizzarne la suggestione e il coinvolgimento dell’osservatore (cfr. cat. n. 56). Prima che la fotografia stereoscopica entrasse nell’uso pratico comune si dovette aspettare il 1849, quando David Brewster brevettò uno stereoscopio portatile, prodotto poi in Francia da Duboscq & Soleil, e diverse aziende si specializzarono nella realizzazione e commercializzazione in serie di raccolte di riprese stereoscopiche dei luoghi più conosciuti della terra. Fu un successo commerciale sensazionale (NEWHALL 1984, pp. 151-158).

Quanto al tipo di fotocamera impiegata, Ciceri scelse, come già accennato, la rinomata Verascope, un piccolo apparecchio portatile costruito a Parigi da Jules Richard a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento e rimasto in produzione, con gli opportuni aggiornamenti, fino agli anni Cinquanta del Novecento; si tratta, nello specifico, di «un apparecchio rigido tutto di metallo … costruito nei formati 45 x 107, 6 x 13,7 x 13. È provvisto di un magazzino per 12 lastre che permette il facile scambio. Il Verascope è un apparecchio di gran precisione, munito di un otturatore d’obbiettivi … montato con anastigmatici perfetti e può dare fotografie nitidissime che sopportano un forte ingrandimento» (NAMIAS 1934, p. 220). Dotato di due obiettivi affiancati, nella maggior parte dei casi prodotti dalla Carl Zeiss di Jena o dalla francese Eugéne Krauss e, nei modelli più recenti, dalla Som Berthiot, anch’essa, come nel caso precedente, di Parigi, era capace di impressionare su ogni lastra due fotogrammi affiancati. Questi, per quanto apparentemente uguali, essendo stati ripresi da due punti di vista leggermente differenti, una volta sviluppati e osservati con lo stereoscopio (strumento utilizzato per l’osservazione in trasparenza delle diapositive), consentivano di conferire all’immagine uno straordinario effetto tridimensionale. La stereoscopia, dunque, riproduce il processo che normalmente si compie nella visione binoculare umana, nella quale il cervello ricostruisce, fondendole, le due diverse immagini formatesi su ciascuna delle retine, calcolando su questa base la distanza che intercorre con l’oggetto osservato. Riguardo alla consistenza del repertorio fotografico originariamente prodotto da Raffaele Ciceri, il materiale superstite si compone di due nuclei distinti, il primo e più sostanzioso dei quali fu donato dagli eredi di Giovanni Antonio Musina agli archivi dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico nel maggio del 2008. Nel complesso il fondo ISRE (descritto dal direttore dell’Istituto a p. 7 del presente volume) si presenta in buono stato di conservazione, soprattutto vista la fragilità dei supporti e l’utilizzo al quale nel tempo è stato sottoposto. Per essere osservate in trasparenza, infatti, le diapositive dovevano essere inserite nel visore stereoscopico, operazione meccanica che implicava uno sfregamento delle superfici e, ripetuta nel tempo, ne ha segnato inevitabilmente l’emulsione. Le lastre lesionate sono 7, se ne contano 8, invece, pervenute fino a noi sotto forma di frammento, ovvero prive di porzioni consistenti del supporto. Oltre ai vetrini, la donazione comprende anche tre stampe fotografiche: la prima (cfr. foto p. 10), 20 x 25 cm, montata su cartoncino, reca sul verso il timbro a secco 211



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