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Nebbia d’Oltremare: VITTORIO BOTTEGO

Tra l’esperienza coloniale, una confusa memoria cittadina e il nostro complesso presente

DI LATINO TADDEI

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Benvenuti in città, l’esploratore vi accoglie.

Per il visitatore che raggiunge Parma col treno la prima immagine che balza alla vista è un imponente monumento, che rappresenta tre figure umane poste su altrettanti massi: sul più alto c’è un uomo eretto, in vesti militari e con una mano in tasca e l’altra sull’elsa della spada; più in basso, ai suoi lati, si trovano altri due uomini, seminudi e proni, in evidente atteggiamento di sottomissione.

La figura dominante è Vittorio Bottego, militare, colonialista ed esploratore parmigiano della seconda metà dell’Ottocento; gli altri invece sono due uomini africani, rappresentanti la personificazione di due fiumi esplorati da Bottego, l’Omo e il Giuba.

Il trittico bronzeo fu realizzato più di un secolo fa da Ettore Ximenes; venne inaugurato il 26 settembre 1907 e da quel giorno ha rappresentato una sorta di “biglietto da visita” di Parma per i visitatori che vi arrivavano e un “arrivederci” per chi invece la lasciava (funzione che tuttora conserva, nonostante nel 2014 ne sia stato modificato l’orientamento).

Andando un po’ più in profondità il monumento a Vittorio Bottego oggi offre anche altro: ai suoi piedi infatti spesso si ritrovano (attendendo gli autobus o semplicemente per fare un po’ di socialità) persone afrodiscendenti o cittadini stranieri, la cui somiglianza con i nativi che sottostanno all’esploratore risulta evidente e, allo stesso tempo, contraddittoria. Guardare oggi il trittico di Ximenes, così come gli altri segni legati all’esperienza coloniale presenti in città, ci porta dunque ad interrogarci in maniera profonda non solo sul nostro passato, ma anche sul presente e sulla nostra società sempre più complessa e variegata, e quantomai bisognosa di spazi e momenti di conoscenza, di condivisione e di discussione.

Parma – Africa Orientale: andata senza ritorno.

Vittorio Bottego (1860-1897) fu un militare ed esploratore italiano; protagonista del primo colonialismo italiano, ne incarnò i valori ed i limiti, segnandone anche, con la sua morte, la fine definitiva.

Militare nello spirito e nella formazione professionale, Bottego guidò con durezza e pugno di ferro tre spedizioni; se nella prima, riguardante la regione della Dancalia (1891), i risultati furono poco rilevanti, le altre due, alla ricerca delle sorgenti del Giuba (1892)

Sotto: particolare del monumento a Vittorio Bottego Parma, (Parma 29 luglio 1860 e Daga Roba, 17 marzo 1897), eretto da Ettore Ximense nel 1907 in occasione dei dieci anni dalla scomparsa, davanti alla stazione ferroviaria.A Bottego, a Parma, è stato intitolata anche una scuola media, un museo e un viale e della foce dell’Omo (1895) diedero importanti informazioni all’establishment coloniale, permettendogli di fare luce su una parte della regione fondamentale per progettare un attacco diretto all’Impero etiope. Accompagnato da centinaia di uomini armati, Bottego si mosse nei territori dell’attuale Etiopia, Eritrea e Somalia con la durezza e il senso di superiorità che in quell’epoca tra molti era accettato, dato per naturale e dunque indiscutibile: il ricorso alla violenza, alle rappresaglie e ad altre angherie sulle popolazioni locali erano la logica ed estrema continuazione del paradigma coloniale, basato sul principio che, volente o nolente, “il nero deve sottostare al bianco”, al suo progresso e al suo dominio.

Il 17 marzo 1897, a trecento chilometri da Addis Abeba, Vittorio Bottego e i pochi uomini che rimanevano della sua carovana furono uccisi dalle truppe etiopi; si spegneva così, sul colle chiamato Daga Roba, una figura di primo piano del colonialismo italiano, e che proprio grazie a questo fenomeno (e all’azione incessante dei suoi promotori) era diventato famoso in tutta la nazione con l’appellativo di “Leone del Giuba”.

La sua morte, distante circa un anno dalla sconfitta di Adua, chiuse definitivamente la stagione del colonialismo crispino, inaugurando al contem-

In alto, il monumento a Vittorio Bottego oggi

Sotto, inaugurazione del monumento a Vittorio Bottego, 26 settembre 1907, cartolina po l’epoca del mito di Bottego che, caduto lontano dalla sua città e dal suo Paese, si apprestava a ritornarne, quantomeno idealmente, come una leggenda.

Il mito di Bottego e un passato che non passa.

La fine cruenta del “Leone del Giuba”, nonostante la notorietà del personaggio, non ebbe grande eco in Italia: la fase coloniale viveva un forte declino, e in pochi vollero ricordare Bottego e le sue gesta.

Occorse infatti un decennio per vedere, nella sua città, l’erezione del monumento e la contestuale apertura del Museo Zoologico Eritreo a lui intitolato, primi importanti segni di memoria pubblica dell’esploratore; negli anni successivi il mito di Bottego, tra alterne fortune, seguì le grandi fasi della storia nazionale, arrivando fino ai giorni nostri.

Innalzato dal regime fascista a “precursore dell’Impero” e “camerata” ante litteram, l’esploratore caduto sul Daga Roba divenne un simbolo dell’espansionismo in camicia nera, con tutto il suo ingombrante corollario ideologico.

Dopo la fine del Ventennio la figura di

La copertina de La vita eroica del capitano Bottego (1893-1897) di Aroldo Lavagetto Sotto, Vittorio Bottego durante l’occupazione di Asmara, 1889. Fotografia di Luigi Naretti

A destra, interno del Museo Zoologico Eritreo Vittorio Bottego

Bottego, liberata (giocoforza) dall’irricevibile narrazione fascista, rimase nell’immaginario cittadino, cambiando però leggermente forma: l’aggressivo e inflessibile militare, razzista fin nel midollo, lasciava spazio all’intrepido amante della patria (e della città), oltre che all’appassionato scienziato. Nell’Italia repubblicana, che rinne-

Vittorio Bottego. Studio fotografico

Bartolomeo Baroni ed Enea Gardelli – Parma

Nell’altra pagina, Una tavola tratta da Vittorio Bottego di Borghesi/Restani gava la parentesi fascista ma ancora non era pronta ad affrontare seriamente la ben più lunga esperienza coloniale, Bottego (ed i segni pubblici a lui connessi) rimasero al loro posto, simboleggiando in maniera inequivocabile la mancata rielaborazione del passato coloniale ed il persistere di alcuni suoi retaggi materiali ed ideali. Di celebrazione in celebrazione la figura dell’esploratore, soprattutto nella sua città natale, rimase intatta, nonostante in pochi, col passare degli anni, sapessero chi fosse stato Vittorio Bottego e per quale motivo fosse così presente nel tessuto urbano: una densa nebbia ha avvolto, anno dopo anno, la sua figura, rendendola di fatto ancora più mitica, ma perdendo al contempo ogni legame con le sue vicende personali e con la storia nazionale.

Questo fenomeno, che ha coinvolto, oltre a Bottego, altre numerose figure del colonialismo nostrano, oggi appare in tutta la sua evidenza, in particolare nel contesto cittadino, e alle sue gesta, soprattutto a come la sua figura fu utilizzata dopo la sua morte, sia per quanto riguarda l’ambito culturale (con particolare riferimento alla letteratura ed al cinema) che quello cittadino, nel quale ricoprono un ruolo di primo piano il monumento ed il museo a lui intitolati. dove, per alcuni, l’esploratore rimane un “grande” di Parma, un personaggio che diede lustro alla città e per questo non deve essere messo in discussione.

“L’esploratore perso nell’oblio. Vittorio Bottego tra mito, storia e rimosso coloniale” (Pgreco, 2022, 18 euro) è una recente pubblicazione incentrata sulla figura dell’esploratore parmigiano.

Il libro offre una visione di Vittorio Bottego multidisciplinare e critica, intrecciando campi e settori differenti per restituire la complessità di una figura che ancora oggi risulta particolarmente visibile in città.

Nei vari contributi presenti, opera, oltre che dei curatori Andrea Bui e Latino Taddei, di Sofia Bacchini, Margherita Becchetti, Emanuele e Filippo Marazzini e Lorenzo Tore, vengono messi in luce alcuni aspetti del tempo, della vita e del mito di Vittorio Bottego, nel tentativo di fornire un’immagine dell’esploratore parmigiano profonda, oltre la narrazione semplicistica che per lungo tempo ha avuto fortuna.

Il testo dunque offre al lettore notizie e concetti legati, oltre che al contesto in cui si mosse Bottego

I profondi cambiamenti della nostra società e le nuove sensibilità che si sono affacciate tuttavia offrono l’opportunità, davvero interessante, di discutere nuovamente della figura del “capitano” e più in generale del colonialismo italiano, troppo a lungo definito, soprattutto nel sentire comune, con termini caricaturali e autoassolutori: non per giudicare coi criteri odierni uomini o epoche passate, ma piuttosto per capire, oggi, quanto di quei tempi rimane in noi, e quanto di questi retaggi vogliamo conservare e quanto eliminare. Comprendere il passato per discutere seriamente, senza preconcetti, campanilismi di provincia e luoghi comuni non solo su quello che è stato ma soprattutto su ciò che verrà, sui valori che vogliamo che segnino il futuro della nostra comunità e sui simboli che desideriamo vedere ogni giorno nei luoghi che attraversiamo e viviamo.

Felice Casorati, Beethoven, 1928, olio su tavola. Mart, Rovereto Collezione VAF-Stiftung

Nelle Pagine seguenti: Felice Casorati, Notturno, 1912-1913, olio su tela 130 x 115 cm

Felice Casorati Le signorine, 1912, tecnica mista su tela. 2022 © Archivio Fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro

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