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Calo III, un giallo parmigiano

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CARLO III, UN GIALLO PARMIGIANO

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Il duchino Ferdinando nacque nel 1823. Ricevette una buona educazione, che fece di lui un politico istruito e poliglotta. Dopo l’abdicazione del padre, divenuto Duca di Parma con il nome di Carlo III, non riuscì mai ad accattivarsi la simpatia dei sudditi: i suoi difetti sopravanzavano di troppe lunghezze i pregi. Non gli bastò esordire al governo concedendo ampia amnistia; l’indole altera e le abitudini dispotiche contribuirono a mantenere sempre bassa la popolarità del sovrano. Era uomo le cui ambizioni risultavano sproporzionate ai mezzi: perseguì per tutta la vita sogni di gloria militare. Per soddisfare il capriccio, teneva in servizio seimila

Abolì le scuole universitarie, introdusse la “pena del bastone” e si arricchì a spese della collettività

Ferdinando, divenuto Duca con il nome di Carlo III, fu ucciso dal tappeziere Antonio Carra nell’attuale via Cavour: un omicidio che nessuno seppe, o volle, mai

soldati, gravando le casse dello Stato di spese enormi e, quel che è peggio, inutili. Si occupava personalmente delle uniformi dell’esercito e acquistava armi da tutte le fabbriche d’Europa. Per addestrare le truppe, il Duca fece costruire un inutile fortino tra ponte Dattaro e il campo di Marte. Costrinse gli impiegati e i magistrati a vestire la divisa come i militari. Nel ’49 soppresse le scuole universitarie, licenziò molti valenti professori, varò alcuni provvedimenti che rendevano l’istruzione dei poveri assai difficoltosa. Mantenne nel Ducato lo stato d’assedio perpetuo. Assecondando la peggiore tradizione militare, introdusse a Parma la “pena del bastone”, mai prevista per iscritto, che consisteva nel punire i reati a suon di vergate. In quattro anni, la sanzione fu inflitta a oltre trecento sudditi. Nel 1854, accecato dalla passione per le imprese belliche, Carlo III si superò. Varò un prestito forzoso per costringere i Parmigiani a finanziare la partecipazione delle truppe ducali alla guerra Turco-Russa. Un delirio. Se le spese per l’esercito erano eccessive, quelle per la corte toccavano livelli ancor più scandalosi. Dissoluto e vizioso, gran frequentatore di ballerine, il Duca non seppe neppure circondarsi di persone capaci. Nella sua cerchia, l’uomo più influente era Tommaso Ward, ex fantino elevato al rango di barone. Ward, ministro della casa reale e di corte, pensava soprattutto a sfruttare le debolezze del sovrano per il tornaconto personale. Gli fu concesso perfino il privilegio di usufruire delle miniere dello Stato per novantanove anni senza pagare alcuna tassa. In poco tempo si arricchì ai danni delle finanze pubbliche. Carlo III fu sempre isolato. La politica dall’indirizzo incerto gli alienò le simpatie dei liberali, dei filo austriaci e dei preti. Solo i contadini, in cui favore approvò svariate misure demagogiche, lo tolleravano. Anche la moglie, Luisa Maria, Duchessa di Berry, prese le distanze: si sforzò a lungo di far conoscere alle corti europee le stravaganze del marito; una sua missiva molto critica alla corte di Vienna fu intercettata dagli agenti del consorte. Non fa meraviglia che alcuni (non meglio identificati) sudditi abbiano orchestrato un regicidio dai contorni assai sospetti. Il 26 marzo del 1854, il Duca, tornando dalla consueta passeggiata a piedi, fu pugnalato nell’attuale via Cavour. Morì ventiquattro ore dopo. L’attentatore era Antonio Carra, sellaio e tappezziere di trent’anni. L’artigiano fu arrestato, liberato poco dopo e fatto fuggire. Prima in Inghilterra, poi in America. In seguito, – chissà perché? – sul delitto non si fecero mai accurate investigazioni. Anzi, tutti quelli che ci provarono finirono in malo modo. Il 13 giugno 1854, per esempio, alcuni ignoti aggredirono il giudice Gabbi, che voleva fare luce sull’imboscata. Non è da escludere il coinvolgimento, nel truculento episodio, di Luisa Maria o di importanti personaggi della corte. Antonio Carra, che avrebbe potuto raccontare molte cose, morì a Buenos Aires nel 1895. E così resta aperto un grande giallo parmigiano.

Di Luigi Alfieri

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