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ChatGPT e i nuovi confini dell’intelligenza artificiale
CHATBOT È un software che simula i comportamenti umani.
Tanti sviluppi positivi ma anche qualche preoccupazione
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Nel frattempo, proprio nelle scorse ore OpenAI ha rilasciato GPT4, l’ultima versione della tecnologia di intelligenza artificiale generativa su cui è basato ChatGPT, a 5 anni ormai dalla prima versione.
Ma riavvolgiamo per un attimo il nastro. Per intelligenza artificiale si intende l’insieme dei sistemi informatici che possono simulare il comportamento del pensiero umano. Ovviamente l’intelligenza artificiale può trovare soluzioni in modo più freddo, lucido e rapido, pur basandosi sempre sugli input iniziali forniti dall’uomo.
Quanto a ChatGPT, è in grado di generare racconti, tanto che qualche lettore potrebbe essere indotto a pensare che l’articolo che sta leggendo sia frutto non del lavoro di un giornalista bensì di una applicazione, in grado di fare meno errori, di essere più aggiornata (assorbendo migliaia di notizie in tempo reale) e magari più “intelligente”.
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D’altra parte già nel 2017 il Washington Post dichiarò di aver pubblicato un migliaio di news elaborate da un’intelligenza artificiale nel corso di un anno. Addirittura esiste un giornale canadese che vanta due secoli di storia, il Globe and Mail, il cui sito internet è diretto da Sophi, un motore di intelligenza artificiale. Non scrive nulla, ma semplicemente gestisce i contenuti, insomma è un vero e proprio direttore. Se pensiamo dunque ai possibili sviluppi positivi, oltre a quelli del sottoscritto che potrebbe starsene al sole mentre un chatbot scrive da solo il pezzo per cui è pagato (ma l’inganno durerebbe poco: la sostituzione con la macchina sarebbe dietro l’angolo), i più rilevanti riguardano la medicina, in particolare la cura delle malattie ma anche la diagnostica e i servizi a favore dei non autosufficienti. Però, come sempre avviene per le grandi novità, ci sono anche ombre, e non di poco conto. Se la tecnologia da tempo rappresenta un pericolo per il lavoratore, sempre più spesso sostituito dalla macchina, non se la passano molto meglio i dirigenti aziendali, se non addirittura gli imprenditori: l’intelligenza artificiale infatti si candida oggi a strumento di organizzazione del lavoro efficiente in ogni fase del rapporto: dall’assunzione allo svolgimento fino al licenziamento. Anche in questo caso, per osservare benefici e rischi cui la nostra società va incontro,
In America
vediamo quanto sta accadendo al di là dell’oceano. Qui esiste una multinazionale che ha deciso di affidare ad un “robot” il giudizio sui livelli di produttività anche individuali, come sa bene quella lavoratrice che ha ricevuto una lettera di licenziamento per scarso rendimento rilevato attraverso sistemi automatizzati esterni. Insomma, non c’è più nemmeno il fastidio di dover comunicare a qualcuno la brutta notizia. Per la verità, non c’è più nemmeno il dirigente che decide e comunica, sostituito da una macchina, esente da errori, pregiudizi e condizionamenti umani.
Un’azienda ha un robot che assume e licenzia, un’altra misura i passi dei dipendenti, un giornale ha un direttore “artificiale”
Un caso ancor più preoccupante ci viene dal Texas, dove un’impresa ha proposto ai dipendenti un piano di welfare aziendale con coperture assicurative aumentate in caso di adozione di un corretto e sano stile di vita, che si valuta non solo da abitudini negative come fumare, ma anche dal numero di passi al giorno, misurati da un apposito dispositivo. Altro che privacy! Qui in gioco c’è ben più della protezione dei dati personali.
I robot magari un giorno faranno tutti i lavori, si assumeranno e licenzieranno tra loro, pagheranno e riceveranno lo stipendio, andranno in ferie e in malattia, mentre noi umani ce la godremo facendo la bella vita. Ma quale vita? E se poi i robot decidessero di sostituirsi a noi anche nel mangiare, nel fare i bisogni, nei momenti di relax e pretendessero la loro dignità, a scapito della nostra già vacillante di suo?