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Niccolò Tommaseo, moderno Savonarola

NICCOLÒ TOMMASEO (Sebenico, 9/10/1802 - Firenze, 1/5/1874)

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Nacque a Sebenico, nell’attuale Croazia, figlio di Girolamo, commerciante, e di Caterina Chevessich, umilissima massaia. Uno zio frate gli impartì gli studi elementari, passò poi al seminario di Spalato, tre anni dopo si spostò a Padova dove continuò il seminario. Là conobbe Antonio Rosmini che ne suscitò la passione per le poesie in latino e per la filosofia. Nel 1822 si laureò in legge ma, invece dell’avvocato, preferì fare il giornalista e il letterato. Dopo un breve periodo a Sebenico si trasferì a Rovereto presso Rosmini. Visse alcuni anni fra Padova e Milano lavorando come giornalista e saggista, frequentando personaggi come Manzoni e Rosmini e iniziò a collaborare all’Antologia di G.P. Vieusseux. A Firenze, nel 1827, conobbe Capponi e nel 1830 pubblicò il “Nuovo Dizionario de’ Sinonimi della lingua italiana” cui deve gran parte della sua fama, ma a causa della censura austriaca ad un suo articolo sulla rivoluzione greca dovette autoesiliarsi a Parigi. Si occupò pure di poesia ma senza lasciare grandi opere; nei suoi scritti Tommaseo avversava e offendeva Leopardi per le sue idee. A Parigi, nel 1835, pubblicò l’opera politica “Dell’Italia” , il volume di versi “Confessioni” (1836), da alcuni considerato una sorta di risposta ai “Canti” di Leopardi, il racconto storico “Il Duca di Atene” (1837), il “Commento alla Divina Commedia” (1837) e le “Memorie Poetiche” (1838). Da Parigi si spostò in Corsica, dove proseguì le ricerche sulla lingua italiana contribuendo alla raccolta per un’etica ed un’educazione nuove. La vicenda del romanzo non si discosta dalle “chiavi” consuete del romanticismo dove la donna è sempre vittima di aggressioni, di abusi e non trova altro che uomini pronti a sfruttarla e tradirla, fin che l’intervento di un’anima buona la salva ed ella conosce l’amore vero, sincero e disinteressato. Tommaseo si proponeva di fondere umanità e religiosità, verità e morale. Il romanzo assumerà un valore autobiografico, una

18 Marzo 1848

della copiosa tradizione orale còrsa e definendo la lingua isolana come il più puro dei dialetti italiani (!). Si stabilì poi a Venezia dove continuò a pubblicare numerose opere, fra cui le prime due stesure del romanzo “Fede e bellezza”, considerato il suo capolavoro. Sempre di questi anni è la raccolta dei “Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci” (1841-42), che mostrava l’importanza scientifica delle raccolte di poesia popolare. Nel 1847 venne arrestato per alcune dichiarazioni sulla libertà di stampa; fu liberato il 17 marzo 1848, insieme con Daniele Manin, durante l’insurrezione di Venezia contro gli austriaci. Alla successiva proclamazione della Repubblica di San Marco, ottenne il maggior numero di voti dopo Manin, e assunse importanti cariche nel nuovo Stato. Esiliato a Corfù nel 1849, dopo l’entrata degli austriaci a Venezia, si ammalò agli occhi (conseguenza della sifilide contratta durante il soggiorno parigino) ma trovò comunque il modo di scrivere numerosi saggi, tra cui “Rome et le monde” in francese. Nel 1854, con la vista sempre più compromessa, si trasferì a Torino, poi a Firenze (1859), dove restò fino alla morte. Negli ultimi anni, oltre a una ininterrotta pubblicazione di saggi, edizioni critiche e poesie, si dedicò in collaborazione con Bernardo Bellini al monumentale “Dizionario della lingua italiana” in otto volumi, completato solo dopo la sua morte avvenuta a Firenze nel 1874.

specie di “autoritratto”; il pubblico italiano lo lesse con stupore e sorpresa nel vedere che non rispettava nessuna regola tradizionale ma negli ambienti cattolici meno retrivi e conservatori il romanzo provocò una scossa e uno stimolo a rivedere posizioni ed abitudini. Lo stesso titolo “Fede e Bellezza” poneva il problema del rapporto tra la religione e la spiritualità femminile, le contraddizioni del cuore e i cedimenti della carne. Egli recuperò l’eredità del frate rivo- luzionario Savonarola e il messaggio del martire che, cattolico, additò alla Chiesa la via per tornare alle sue origini democratiche e repubblicane. Rientra nella tradizione del cattolicesimo innovatore, con un sottinteso repubblicano, che tornerà nel Risorgimento e imprimerà le sue caratteristiche nel movimento neoguelfo; Tommaseo insomma incarna la tradizione che discende dal cristianesimo e cattolicesimo di Savonarola conservando pure un po’ dell’asprezza, della

Perché i giovani sappiano

GLI UOMINI CHE FECERO L’ITALIA

“È il ripensamento di un secolo e più, dalle repubbliche giacobine del 1796-99 alla prima guerra mondiale (….), alla ricerca dentro noi stessi, dell’Italia di oggi, dell’Italia che è intorno a noi, piena di contraddizioni e di tensioni laceranti, ma anche di vitali fermenti di revisione e di critica”. Giovanni Spadolini

I PROFETI DEL RISORGIMENTO

1 – Francesco Melzi d’Eril

2 – Silvio Pellico

3 – Cesare Balbo

4 – Massimo D’Azeglio

5 – Cesare Cantù

6 – Giovan Pietro Vieusseux

7 – Nicolò Tommaseo

8 – Francesco D. Guerrazzi

9 – Giuseppe Montanelli

10 – Carlo Cattaneo

11 – Vincenzo Gioberti forza e della violenza del frate. Tommaseo fu un uomo tutto d’un pezzo, la sua posizione spirituale non cambiò mai, anzi, gli eventi successivi, compresa l’unificazione nazionale, lo videro sempre all’opposizione, sdegnoso di onori, insofferente ai riconoscimenti, indifferente alle cariche. C’è in lui una coerenza costante: ad un ideale di cattolicesimo sociale e repubblicano, di lontane origini popolari. Nel Tommaseo sopravvive sempre il dubbio sulla capacità del liberalismo e del laicismo a rinnovare l’Italia, quasi a riproporle un quesito sempre attuale che non ha mai esaurito il suo dramma storico fondamentale: fondare la nazione moderna in una terra dove tutto è antico (o vecchio?).

La statua di Niccolò Tommaseo che si trova a Campo Santo Stefano a Venezia

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