Pietro Lando
LE ALI DI VENEZIA Nascita e sviluppo dell’aviazione nel Novecento lagunare
NOVECENTO A VENEZIA LE MEMORIE, LE STORIE
collana diretta da Mario Isnenghi
ILPOLIGRAFO
NOVECENTO A VENEZIA. LE MEMORIE, LE STORIE collana diretta da Mario Isnenghi 18
Pietro Lando
LE ALI DI VENEZIA Nascita e sviluppo dell’aviazione nel Novecento lagunare
il
p
o
l
igra
-
Il presente volume viene pubblicato con il contributo di
Municipalità Lido Pellestrina
L’Autore e l’Editore ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa pubblicazione, in particolare le biblioteche e gli archivi veneziani pubblici e privati
copyright © settembre 2013 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-842-6
indice
7
Presentazione Mario Isnenghi
13
Prefazione
17
Introduzione Jacopo de’ Barbari aveva ragione
21
I.
41
II.
53
III.
Ali alla Grande Guerra
83
IV.
Ali fasciste: la Coppa Schneider e i record del mondo
97
V.
Il Giovanni Nicelli primo aeroporto d’Italia: «A Venezia, a volo...» dalla Transadriatica all’Ala Littoria
115
VI.
Il nido della rondinella: le Officine del Lido
123
VII.
Ali spezzate: la Seconda Guerra mondiale
135
VIII.
Rondinella o fenice?
157
IX.
L’aeroporto di sabbia: i primati della posta aerea e del turismo aeronautico Acqua e cielo: nuova vita per l’Arsenale
Bazzera-Lido-Tessera: ritorno alle origini
169
Bibliografia
175
Indice dei nomi
Faremo un mosaico alla veneziana: questa la nostra intenzione, nel dare avvio alla collana. Anzi, qualche cosa di più diffuso: un pavimento alla veneziana, quel che sta sotto e sostiene. Pietruzze e frammenti vari in un composto fantasioso, con i suoi segreti e le sue regole: se ne possono distinguere i particolari variatissimi o averne una visione sintetica, e si stenterebbe a definirne il colore, tanto l’insieme rimane cangiante, fatto com’è di infiniti sottoinsiemi, multiplo di multipli. Questo nostro pavimento alla veneziana non è antichissimo, l’han fatto nel Novecento, spesso però con materiali di riporto, modelli e riecheggiamenti che venivan da più lontano. Anche se la memoria rimane sovrana a Venezia ed è costitutiva di come questa città è e di come la vediamo e viviamo, c’è oramai un Novecento a Venezia che il trascorrere del tempo – rendendo anch’esso “passato” – permette di mettere a fuoco. «Novecento a Venezia. Le memorie, le storie» ha l’improntitudine di “vedere” anche la Giudecca, Mestre, Marghera: il “nuovo che avanza”, o meglio che “avanzava”, cento e più anni fa. Siamo andati e continueremo ad andare anche per archivi, biblioteche e musei, depositi e – quando funzionano – motori della memoria; non mancano i palazzi patrizi, con le mutazioni e i riusi a cui il tempo via via li destina; ma neppure le tappe e i luoghi in cui Venezia cambia, si trasforma. Cioè, semplicemente, vive? Così quelli del bicchiere mezzo pieno. Oppure, nell’innovare, stravolge e nega se stessa? Così i teorici del bicchiere mezzo vuoto. Saranno sorpresi in molti leggendo questa appassionata ricerca sulle strutture, gli uomini, gli eventi del volo a Venezia. Una grande storia, per la precocità, la qualità, la continuità di primati: al Lido, all’Arsenale, nell’isola di Sant’Andrea, fra i dirigibili di Campalto. Le immagini – ancora più ricche e numerose che nella media dei 7
nostri volumetti, che pure sul documento visivo hanno sempre puntato – ci accompagnano alle prime prove di volo in Italia, che avvengono proprio a Venezia, al Lido, sulla sabbia dell’Hotel Excelsior, nel 1911: gare, rècord, prove di bravura con pubblico pagante. Avventura e spettacolo, tecnologia e industria, la modernità dell’immaginario ( Morte a Venezia?!). La Grande Guerra è poi un formidabile moltiplicatore di bisogni e talenti aeronautici; e Venezia ha il valore aggiunto di D’Annunzio – testimonial per l’aviazione – e dell’isola di Sant’Andrea: gli idrovolanti prevalgono ancora sugli aerei a ruote e il canale di Sant’Andrea assicura la migliore e più affollata pista d’Europa. Fra le due guerre si afferma a San Nicolò il campo d’aviazione “Giovanni Nicelli”, con la sua pista erbosa di 900 metri che basta nel 1926 ad assicurare a Venezia le prime linee in Italia di collegamento aereo, internazionali e nazionali. L’autore ricostruisce il succedersi dei modelli di apparecchi e la storia economica e industriale della Transadriatica e delle altre compagnie che volano dal o sul Lido, negli anni Trenta secondo aeroporto d’Italia, con una quarantina di voli giornalieri; o che si servono della straordinaria perizia dei suoi tecnici e delle sue maestranze – nuovi Arsenalotti – per interventi di manutenzione e riparazione, che vedono per decenni primeggiare, con vari nomi, le Officine Aeronavali. Anche questa è una storia tecnicamente e industrialmente di rilievo, che arriva nel dopoguerra a una mano d’opera di oltre un migliaio di lavoratori, capeggiati da imprenditori e tecnici sperimentati, fra i quali campeggia Umberto Klinger: un ‘reduce’ dall’aviazione della Grande Guerra, da Fiume e dal fascismo, chiamato a furor di popolo a rilanciare la produzione. Poi, venuta l’epoca dei jet e di piste adeguate, il nuovo aeroporto nascerà a Tessera, luogo anch’esso delle origini. mario isnenghi
8
LE ALI DI VENEZIA
Introduzione Jacopo de’ Barbari aveva ragione
Finalmente nel XX secolo tutti poterono scoprire com’era Venezia vista dal cielo grazie alle possibilità offerte dalla tecnica fotografica e alla costruzione di palloni e dirigibili da cui poter fotografare dall’alto. Fu così possibile apprezzare ancor di più l’intuizione e la capacità creativa dell’incisore del XVI secolo che aveva saputo immaginarne la vista a volo d’uccello. Per la verità la passione per le ascensioni con aerostati, a gas o ad aria calda, aveva fatto la sua comparsa già nel XIX secolo e vi fu perfino chi si gettò con un paracadute da uno di questi: era la signorina Élisa Garnerin1 che il 13 febbraio 1826 si lanciò scendendo in Piazzetta San Marco2. Comunque solo quei pochi temerari volanti avevano potuto sino ad allora avere l’opportunità di vedere l’ex capitale dell’alto. Altri palloni avevano solcato i cieli della Laguna quando gli austriaci, durante l’assedio del 1849, vollero concedere a Venezia il dubbio onore di essere la prima città mai bombardata dall’aria: fortunatamente la tecnica non era ancora adeguata alle intenzioni belliche e le bombe appese ai palloni caddero lontano dal loro bersaglio3. 1 Élisa Garnerin (1791-1853) è stata nel 1799 la seconda donna a lanciarsi con un paracadute, dieci giorni dopo la moglie dello zio, André-Jacques Garnerin, che era stato l’inventore del marchingegno. Divenne in seguito un’acrobata aerea famosa in tutta Europa. 2 «La Gazzetta di Venezia», 14 febbraio 1826. 3 Cfr. P. Borgonovi, Prove di Guerra aerea. Aerostati su Venezia, Centro Sudi Storici Mestre,Venezia 2000.
17
Introduzione
Sessantadue anni dopo, la vista dei palloni frenati suscitò quindi solo una grande curiosità nei veneziani che li seguivano con il naso all’insù mentre venivano trainati lungo i canali per permettere alle macchine fotografiche appese di scattare delle immagini che composero il primo fotopiano nel 1911. Fino dal 1894 era stato assegnato al Campo Trincerato di Mestre un parco aerostatico a Campalto e quindi gli Aerostieri del Genio avevano avuto la possibilità di ben impratichirsi della zona, ma l’impresa del capitano Cesare Tardivo, comandante della Sezione fotografica del Battaglione Specialisti del Genio4, è degna di essere ricordata per l’enorme sforzo tecnologico che comportò. Era quanto mai difficile riuscire a fissare su una lastra di vetro l’immagine della città rispettando le esatte proporzioni usando una ripresa perfettamente perpendicolare al terreno. D’altronde era quanto mai avvertita l’esigenza di avere un’immagine non opinabile di Venezia come strumento indispensabile per la programmazione di interventi urbanistici importanti. I veneziani rimasero affascinati a guardare svettare sopra la loro città i palloni e i Draken, imparandone a conoscere la sostanziale differenza: i primi erano sferici gli altri invece avevano una forma più tozza del dirigibile, simili a una salsiccia, e presentavano timoni di vario tipo che permettevano di limitare le loro rotazioni attorno all’asse e così aiutavano a mantenere fisso il punto di ripresa. Non potevano certo immaginare che pochi anni dopo, allo scoppio del primo conflitto mondiale, quei palloni avrebbero avuto ben altro uso e significato come strumenti di guerra: sopra le trincee come punto di osservazione5 e sopra la città come difesa dalle incursioni aeree. I cittadini ebbero tanto tempo per osservarli, perché le prime rilevazioni cominciarono nel 1906 con i palloni trainati dalle rive dei canali e abbassati dopo ogni scatto, poiché non esisteva ancora la possibilità di ricaricare automaticamente la macchina con le lastre di vetro quadrate di ventun centimetri 4 Atlante di Venezia 1911-1982, due fotopiani a confronto, a cura di F. Guerra e M. Scarso, Circe-Iuav, Venezia 1999, p. 60. 5 Anche dei veri enormi aquiloni, i cosiddetti Cervi Volanti di origine cinese, furono usati dagli osservatori militari come strumento per potersi alzare sull’orizzonte e dirigere il tiro delle proprie artiglierie.
18
Introduzione
di lato. In seguito gli aerostati furono invece rimorchiarti in acque aperte in modo di riprendere le altre zone più distanti dalle rive e il lavoro terminò nel 1911. Nel 1913 per poter eseguire il primo rilievo aerofotogrammetrico della Laguna e della città di Chioggia, anche se non ci sono sicurezze sulla modalità dell’esecuzione del fotopiano lagunare6, fece la sua comparsa nei cieli veneziani una novità: il dirigibile. La grande nave aerea che galleggiava nell’aria sopra la Laguna era il Parseval del Regio Esercito che restò per alcuni mesi a disposizione per questo lavoro, ma che come macchina da guerra non era più adeguata e, infatti, fu radiato prima dell’inizio della Grande Guerra. In verità, la prima vista di un’aeronave sopra la città risaliva a qualche anno prima: il 2 ottobre 1910 quando il dirigibile P2, con equipaggio misto dell’Esercito e della Marina, era arrivato da Vigna di Valle7 sulle rive del Lago di Bracciano, nel Lazio, dopo un avventuroso viaggio che era durato molti più giorni di quelli che erano stati previsti. Ritardo imputabile sia a delle difficoltà nella navigazione sopra gli Appennini, dovute alle ridotte dimensioni dell’involucro che non permettevano perciò di raggiungere quote elevate, sia per alcuni guasti tecnici, inevitabili in una macchina nuova. Inoltre anche il tempo inclemente ci mise del suo: a causa della nebbia, il giorno prima dell’arrivo l’equipaggio era stato costretto a ormeggiare l’aeronave a Porto Caleari, sul delta del Po dove, con l’aiuto di cinque guardie di finanza e di alcuni contadini, l’avevano rimorchiata a forza di braccia per una decina di chilometri fino a Porto Fossone sulla foce dell’Adige, dove era stato possibile trovare un ormeggio migliore per passare la notte in sicurezza8.
6
Atlante di Venezia 1911-1982, cit., p. 60. Sul lago di Bracciano, a pochi chilometri da Roma, Vigna di Valle è il più antico insediamento aeronautico italiano, fu base di dirigibili e idroscalo fin dai primordi della storia dell’aviazione. Oggi è sede del Museo Storico dell’Aeronautica Militare. 8 G. Galuppini, La forza aerea della Regia Marina, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 2010, p. 14. 7
19
Introduzione
Quella domenica di inizio ottobre l’attesissimo arrivo del suscitò l’entusiasmo generale come la vivace cronaca de «Il Gazzettino» del giorno dopo ci racconta: P2
D’un tratto cento e cento voci nello stesso istante risuonano: Eccolo! Eccolo! E finalmente l’aeronave passa il margine di Campalto e su Campalton si libra e in un minuto vola enorme siluro sul campo, sulla folla che scoppia in un applauso frenetico, trattenuto lungamente. Dappertutto s’agitano fazzoletti, cappelli, si fanno agire le sirene delle automobili, i campanelli delle biciclette. Evviva. Evviva! Si grida ai piloti che rispondono con breve gesto della mano. Il “due bis” procede dinanzi la fronte a mare del capannone fino al campo di atterramento, alla destra di questo si ferma, gitta la fune di manovra e mentre la folla non ha più ritegno, invade il parco e corre a fare la più entusiastica dimostrazione agli arrivati, e salta fossi, e traversa i ponti provvisori sovr’essi gettati, non badando ai carabinieri a cavallo che cercano di trattenerla, alle esortazioni degli ufficiali, in un bell’impeto che commuove, i soldati specialisti afferrano il cavo per trattenere il dirigibile e gli altri con pronta manovra lo agganciano e si trovano in grado di guidarlo dentro l’hangar.
L’entusiasmo era particolarmente grande per chi ne aveva da guadagnare da questo sorvolo: lo stesso giornale spiega che [...] [coloro che vogliono vedere l’aeronave] sono costretti a prendere d’assalto i sandoli dei buranelli che per l’occasione hanno aumentata la tariffa. “Benedetto il progresso!” dice uno di quei vecchi buranelli che aveva bestemmiato prima contro una lancia automobile. Benedetto il progresso dell’aria, non quello dell’acqua per questa differenza, che solo il primo gli dava da guadagnare di più.
A Campalto, in località Campalton, vicino al cimitero locale dove si trova oggi un deposito militare, il dirigibile fu ricoverato in un enorme hangar lungo ottantatré metri, largo ventisei e alto ventidue, di cui oggi non c’è più traccia, e che era in grado di ospitare comodamente la grande mole dell’aeronave. Nei mesi seguenti la vista del P2 e del Parseval nei cieli veneziani suscitò sempre una viva curiosità, ma ormai sempre più spesso si leggeva delle imprese del nuovo mezzo, l’aeroplano, che però sopra la Laguna nessuno aveva ancora visto. Non doveva mancare molto al suo apparire.
20
III.
Ali alla Grande Guerra
Il giro della morte di De Dominicis a Sant’Elena il 21 giugno 1914 in qualche modo segnò la fine dell’aspetto gioioso e ludico dell’aeroplano: poche settimane dopo scoppiò la Grande Guerra e il rombo dei motori significò anche per i veneziani terrore e morte. Durante il periodo di neutralità, man mano che la situazione politica andava precisandosi e per i militari si prospettava sempre più verosimile lo scontro contro gli ex alleati dell’impero austro-ungarico, si erano prese misure precauzionali per difendere da eventuali attacchi dall’aria Venezia e Mestre. In terraferma vi era soprattutto il più importante snodo ferroviario prossimo al confine e vi aveva sede la base di dirigibili di Campalto, una delle tre, assieme a Ferrara e Jesi, attive nel settore adriatico. Il capoluogo lagunare era invece un bersaglio strategico sia militare sia politico: era il grande porto più vicino al fronte e vi si trovava l’importantissima piazzaforte della Marina all’Arsenale. Era anche un importante obiettivo politico: il nemico secolare degli Asburgo e la più conosciuta città italiana nel mondo, era quindi una “città di prima linea sul fronte aereo”. L’Italia non accettò mai la proposta di Vienna di dichiararla “città aperta” e smilitarizzarla, soprattutto per l’importanza della base navale.Venezia, il 22 maggio 1915, venne inclusa all’interno della “zona di guerra” e dichiarata Piazzaforte della Marina: quindi le ordinanze delle autorità militari venivano ad avere valore di legge, militarizzando, di fatto, la città. Il 23 furono subito emesse le istruzioni relative alle misure 53
Capitolo terzo
precauzionali da adottare in caso di attacco aereo, a cominciare dall’oscuramento di edifici e imbarcazioni1. Immediatamente il primo giorno di guerra2, alle 4.10 del mattino del “radioso 24 maggio”, arrivarono sulla città lagunare due velivoli che incominciarono una lunga serie di bombardamenti sulla città3: sarebbero durati per ben tre anni e mezzo fino al 23 ottobre 1918, la vigilia di Vittorio Veneto. Per la difesa dagli attacchi aerei in città si erano “militarizzate” terrazze e altane riempiendole di fanti armati di fucili e di qualche mitragliatrice che con l’aiuto di supporti di legno venivano puntate verso il cielo: anche il tetto del Palazzo Pisani, che ospita ancor oggi il Conservatorio Musicale Benedetto Marcello, fu “tramutato in un pezzo di forte” poiché sulle sue altane, le più alte di Venezia, furono installate delle sezioni di mitragliatrici per il tiro contraereo4. Addirittura dovette intervenire l’autorità militare per proibire ai cacciatori di sparare con le loro inutili doppiette, pericolose piuttosto per i cittadini che non per gli aerei troppo veloci, troppo lontani e troppo grossi per dei pallini da caccia. D’altra parte la difesa antiaerea era stata affidata al nazionalista Piero Foscari, che, anche se era stato capitano di vascello, era, ormai da tempo, tornato a essere un civile: scelta molto indicativa di quanto poco si temesse la minaccia aerea. Un ulteriore indizio di questo scarso timore lo dà la tavola de «L’Illustrazione italiana» del 30 giugno 1915 intitolata Incursione di aeroplani su Venezia: garrule fanciulle dalle altane sembrano salutare con divertita curiosità l’aereo che sorvola la città, quasi fosse uno dei soliti voli degli ammirati, e amati, piloti dell’Arsenale. Il motto delle sentinelle che scrutavano il cielo, naturalmente creato dall’immaginifico d’Annunzio, era “Dall’aria buona guardia” e risuonava da un tetto all’altro infondendo 1
G. Scarabello, Il martirio di Venezia, Tipografia del Gazzettino Illustrato, Venezia 1933, vol. I, pp. 57-58. 2 Ivi, p. 60. 3 In questa prima missione oltre le bombe, gli aerei scagliarono sull’Arsenale un migliaio di dardi d’acciaio lunghi circa quindici centimetri con inciso invention française application allemande, alcuni esemplari sono conservati al Museo Storico della Marina Militare di Venezia. 4 G. Damerini, D’Annunzio e Venezia, Mondadori, Milano 1943, p. 176. 54
Ali alla Grande Guerra
almeno un po’ di sicurezza a chi, giù nel buio delle calli oscurate, lo sentiva echeggiare5. In realtà ben poco si poteva fare per la difesa aerea di Venezia nelle condizioni in cui si trovavano le forze armate al momento dell’entrata in guerra; fondamentale per la protezione delle infinite opere d’arte fu l’impegno che il capitano di artiglieria Ugo Ojetti6 dimostrò obbedendo agli ordini impartitigli dal Comando Supremo. La gravità della minaccia per Venezia si può rilevare anche dalla dichiarazione del giornale austriaco «Fremdenblatt» del 14 novembre 1915, quindi dopo la distruzione degli affreschi del Tiepolo della chiesa degli Scalzi avvenuta il 24 ottobre dello stesso anno. Infatti, vi si scriveva che anche agli austriaci dispiaceva la distruzione dei tesori dell’arte, ma questo dispiacere era diminuito dalla gioia del danno arrecato alla ricchezza della nazione italiana e alle sue rendite per “l’industria dei forestieri” e sperava che «questo pensiero avrebbe nell’avvenire servito di guida agli aviatori»7. I veneziani dovettero così fare i conti con la minaccia mortale, per loro ma anche per la città, che portavano quei nuovi strumenti di guerra. Essendo tutti i governi interessati ben coscienti della debolezza della difesa italiana agli attacchi aerei, dopo la firma del patto segreto di Londra del 26 aprile 1915 con il quale l’Italia aveva concluso la sua alleanza con l’Intesa, furono concordate alcune azioni di supporto militare: in particolare il 10 maggio Francia e Gran Bretagna si erano impegnate a inviare in Adriatico navi e aerei. Il tema della difesa aerea di Venezia, minacciata dall’aviazione nemica, era senza dubbio un argomento fra i più sensibili sul tavolo delle trattative con i francesi8. 5
Ivi, p. 136. Ugo Ojetti (1871-1946) esordì alla fine del secolo come narratore e poeta, ma il successo lo ottenne come giornalista e critico d’arte.Volontario di guerra, decorato al valore militare e promosso per meriti speciali, fu incaricato dal Comando Supremo di salvare e proteggere gli oggetti d’arte e i monumenti nella zona di guerra; in questa veste si occupò della difesa dei monumenti e delle opere d’arte di Venezia. Fu direttore del «Corriere della Sera» tra il 1926 e il 1927. 7 U. Ojetti, I monumenti Italiani e la Guerra, a cura dell’Ufficio Speciale del Ministero della Marina, Milano 1917, p. 20. 8 P. Facon, La coopération aéronautique franco-italienne pendant la Grande Guerre: un rendez-vous manqué, in L’Aeronautica italiana nella I Guerra Mondiale, 6
55
Capitolo terzo
In effetti, l’aeronautica italiana soffriva di un grave ritardo rispetto a quella austro-ungarica che si era considerevolmente sviluppata e agguerrita nei mesi di conflitto con Serbia e Russia. Inoltre il mare Adriatico era un teatro ideale per l’aviazione navale: l’altezza delle onde generalmente era abbastanza limitata e ciò favoriva decolli e ammaraggi, l’acqua era abbastanza limpida e i fondali così bassi da permettere con relativa facilità di scorgere un sommergibile in immersione o delle mine di profondità e anche la ridotta autonomia degli aerei di allora era tale da poter coprire la breve distanza fra le due coste. Per questi motivi il 25 maggio 1915, il giorno dopo la dichiarazione di guerra, giunse alla base di Sant’Andrea da Dunkerque una squadriglia di sei idrovolanti francesi FBA del tipo C 9. Il compito del reparto, costituito in Centre Aéromaritime (CAM) e al comando del lieutenant de vaisseau10 Antoine Lucien Reynaud, era quello della protezione diretta di Venezia dagli attacchi aerei e di eseguire ricognizioni antisommergibili. Fra gli altri ufficiali francesi arrivati vi era anche un pioniere dell’aria ben conosciuto: il lieutenant de vaisseau Jean-Louis Conneau11, che sotto lo pseudonimo di André Beaumont aveva partecipato e vinto numerose gare aviatorie anche in Italia, tra cui la Parigi-Roma davanti al celebre connazionale Roland Garros. Nello stesso idroscalo vi erano gli otto apparecchi della Squadriglia San Marco, la cui utilità bellica era però quasi nulla. Gli idrovolanti francesi e italiani ebbero una base avanzata prima a Lignano e poi a Grado da cui potevano meglio sorvegliare le attività di volo degli aerei nemici. Dopo poche settimane dal loro arrivo, il primo luglio, un’azione di ricognizione antisommergibili porterà alla celeAtti del convegno (Roma, 21-22 novembre 2007), Aeronautica militare - Ufficio Storico, Roma 2010, p. 455. 9 G. Solli, C.A.M. - Centre d’Aviation Maritime - Venise (Centro d’Aviazione Marittimo - Venezia), «La Grande Guerra. Storia e storie della Prima Guerra mondiale», 11, ottobre/dicembre 2013, pp. 30-41. 10 Corrispondente all’italiano tenente di vascello. 11 Per approfondire la conoscenza di questo personaggio fuori dall’ordinario: G. Solli, Jaen-Louis Conneau alias “André Beaumont”. Pioniere del volo e progettista d’idrovolanti, «La Grande Guerra. Storia e storie della Prima Guerra mondiale», 9, gennaio/marzo 2012, pp. 34-39. 56
Ali alla Grande Guerra
brità gli aviatori francesi, autori di un record assoluto: il primo attacco aereo a un sommergibile. L’enseigne de vaisseau12 Jean Jules Henri Roulier ai comandi di uno degli idrovolanti con a bordo, come osservatore, il matelot 13 Pierre Giorzo, mentre stava compiendo una missione di osservazione nel Golfo di Trieste, scorse un sottomarino austriaco (l’U 11) che usciva dal porto di Pirano. Immediatamente si diresse contro il battello che tentava l’immersione rapida. Ad appena 15 metri di altezza Roulier lanciava le sue due bombe che scoppiavano molto vicino alla nave causando danni evidenti, ma che comunque non riuscirono ad affondarla. Quando i due aviatori tornati a Venezia fecero il loro rapporto la notizia si sparse in un attimo in città e non solo; le alte sfere della Regia Marina si congratularono con l’equipaggio, ma i giornali italiani magnificarono in prima pagina l’azione dei piloti alleati14 e la notizia ebbe grande eco anche sulla stampa inglese15. Anche la stampa francese, naturalmente, celebrò l’impresa: scrisse Robert Vaucher corrispondente del giornale francese «L’Illustration»16: C’était place Saint-Marc, où la musique municipale donnait un concert. Tout à coup, dans le ciel bleu, un ronflement de moteur se fait entendre. Puis, débouchant derrière les coupoles de SaintMarc, un hydravion aux couleurs françaises passa lentement, frôlant le Campanile. [...] La musique interrompit instantanément le morceau qu’elle exécutait et entonna la Marseillaise. En même temps, ce fut dans la foule un grand cri: “Evviva la Francia!” et l’on se précipita vers la Plazzetta [sic] pour voir évoluer au-dessus des lagunes l’appareil français, élégant et rapide.17
12
Corrispondente all’italiano sottotenente di vascello. Corrispondente all’italiano marinaio comune di seconda classe. 14 «Gazzetta di Venezia», 2 luglio 1915. 15 «Flight», 341, 9 luglio 1915, p. 486. 16 A cura di D. Méchin, http://albindenis.free.fr/Site_escadrille/CAM_ Venise.htm 17 «In Piazza San Marco, dove la banda municipale stava dando un concerto, all’improvviso si fa sentire il ronzio di un motore. Poi sbucando da dietro le cupole di San Marco un idrovolante con i colori francesi passa lentamente sfiorando il Campanile. [...] Immediatamente i musicisti interrompono il pezzo che stavano suonando e intonano la Marsigliese. E nello stesso tempo la folla 13
57
Capitolo terzo
Per la verità la scena descritta assomiglia anche troppo a quella riportata da «L’Adriatico» per il volo di Umberto Cagno di tre anni prima per non sollevare qualche dubbio sulla sua autenticità, ma a volte l’entusiasmo popolare si ripete uguale a se stesso. O forse, più probabilmente, il cronista ha voluto colorare il pezzo diretto ai suoi lettori d’oltralpe con una ricercata retorica esaltante i sentimenti filofrancesi dei veneziani. Il primo settembre 191518 ci fu un duello aereo tra i già famosi Conneau e Rollier e il futuro asso dell’aviazione navale austro-ungarica Gottfried de Banfield19, l’Aquila di Trieste, come lo chiamavano i suoi concittadini, e che era stato allievo di Beaumont nel 1913 ad Argenteuil, alla scuola di volo. In quell’occasione non ci furono vittime, anche se gli aerei francesi furono costretti a ritirarsi. Gli attacchi austro-ungarici alla città non cessarono e fu necessario un altro aiuto alleato, questa volta rappresentato da una squadriglia di aerei francesi basati su un campo d’aviazione ai bordi della laguna, dove il Regio Esercito aveva costruito le infrastrutture necessarie per i velivoli che però non possedeva ancora. Per la protezione della terraferma era stato, infatti, sfruttato il Campo Trincerato di Mestre, una grande opera di fortificazione che era stata costruita con l’obiettivo di proteggere Venezia e la pianura da un attacco da terra; il lavoro, che francesi e austriaci avevano iniziato già nel XIX secolo con forte Marghera, era stato così ampliato e adeguato alle nuove armi. Circondava la città di Mestre una serie di fortezze indipendenti ma strettamente collegate fra loro in modo da darsi reciproca
scoppia in un gran grido: “Evviva la Francia!” e si precipita verso la Piazzetta per vedere evoluire l’apparecchio francese, elegante e rapido». 18 G. Solli, Jaen-Louis Conneau alias “André Beaumont” Pioniere del volo e progettista d’idrovolanti, cit., p. 38. 19 Gottfried von Banfield (1890-1986), ufficiale della marina Austro-ungarica, ne fu il più grande asso con nove abbattimenti confermati. Per le sue vittorie fu insignito del titolo di barone e dell’Ordine Militare di Maria Teresa, la massima decorazione militare al valore dell’impero austro-ungarico. Con l’arrivo degli Italiani al termine delle ostilità la sua stessa vita fu in pericolo e dovette lasciare il paese. In seguito fondò un’impresa per il recupero degli innumerevoli relitti navali, affondati per cause belliche. Prese nel 1926 la nazionalità italiana.
58
Ali alla Grande Guerra
protezione: l’evoluzione però dell’arte bellica le rese praticamente inutili come roccaforti e, infatti, i cannoni, appena dopo l’inizio delle ostilità, furono smontati e trasportati in postazioni più utili allo sforzo militare. I forti però mantennero la loro importante funzione di depositi e di infrastrutture di sostegno, soprattutto per la neonata componente aviatoria. A Campalto, vicino appunto a uno dei forti, accanto all’hangar che aveva ospitato un dirigibile fin dal 1910, ne era stato costruito uno più ampio in modo da poter permettere il ricovero di un’altra, più grande aeronave: il 24 maggio 1915 vi si trovavano di stanza il modello P4 (Piccolo) a disposizione della Marina e il tipo M1 (Medio) dell’Esercito. Secondo gli ordini del Comando in Capo della Piazza Marittima di Venezia emanati il 23 maggio, il giorno prima dell’entrata in guerra, i dirigibilisti di Campalto prepararono la propria aeronave per la prima missione di guerra italiana, da compiersi appena scattata la mezzanotte; il maltempo l’avrebbe però impedita20. L’azione venne infine compiuta due giorni dopo, bombardando gli obiettivi già prefissati: Pola e Lubiana. Venezia, così, grazie ai mezzi moderni, poteva di nuovo portare offesa agli antichi nemici. La reazione austro-ungarica non si fece attendere e, all’alba dell’8 giugno, un idrovolante riuscì a bombardare il cantiere: provocò danni abbastanza gravi, ma subito riparati, al dirigibile e alle infrastrutture, ci furono anche cinque feriti. Rimase ucciso un unico sfortunato soldato che ebbe il dubbio onore di essere il primo militare caduto nella difesa di Venezia. Il suo nome era Romualdo Guicciardi ed era Caposquadra dei soldati addetti alla manutenzione del P4; venne sepolto nel locale cimitero e lì i suoi resti mortali rimasero fino al 10 giugno 1928. La sua salma venne allora traslata nella cripta del Tempio Votivo del Lido appena terminata: fu il primo a morire per Venezia e il primo a essere sepolto nel monumento ai caduti della città lagunare21.
20 Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito - Roma, Piazza Marittima di Venezia, Comando difesa Regio Esercito, Diario dal 22 maggio al 25 agosto 1915, p. 8. 21 «Gazzetta di Venezia», 1° giugno 1928.
59
39. La fusoliera del Bresciani 2 terminata e fotografata all’interno dell’Arsenale; in prua il cannone da 25 mm (Archivio Fotografico Museo Storico della Marina Militare di Venezia).
40. L’aereo, in decollo dalle acque della laguna, porta la scritta Bre[sciani] 3,
in realtĂ era un progetto quasi completamente nuovo disegnato da Alessandro Guidoni (Archivio Fotografico Museo Storico della Marina Militare di Venezia).
41. Il trimotore Caproni 3, matricola C 2334, trasformato in silurante (Fototeca Archivio Ufficio Storico Marina Militare, Roma). 42. Lo stesso aereo il 29 settembre 1917, fotografato mentre lancia il suo siluro durante l’ultima esercitazione nelle acque della laguna, prima dello sfortunato attacco a Pola (Fototeca Archivio Ufficio Storico Marina Militare, Roma).
43. Un Macchi L. 3 sorvola il Lido: facilmente riconoscibile il piazzale Santa Maria Elisabetta, via Lepanto e quella che oggi è via Sandro Gallo. (Fototeca Archivio Ufficio Storico Marina Militare, Roma).
44. Il 15 settembre 1918 ci fu la cerimonia della donazione di un Caproni 5
da parte degli Irredenti Adriatici alla Squadra Aerea di San Marco, agli ordini di d’Annunzio; si noti la pista dell’aeroporto pavimentata per permettere il decollo e l’atterraggio dei grandi trimotori (Fototeca Archivio Ufficio Storico Marina Militare, Roma). 45. La scritta minacciosa è in italiano ma l’aereo, ripreso a San Nicolò, è francese: si tratta del Nieuport 23 del maréchal-des-logis (sergente) Eduard Corniglion-Molinier, accreditato di quattro vittorie contro gli aerei austriaci (Fototeca Archivio Ufficio Storico Marina Militare, Roma).
46. Foto ripresa da un ricognitore austriaco il giorno del sanguinoso bombardamento del 14 agosto 1917: si vede a sinistra il forte di San Nicolò
e in basso il forte di Sant’Andrea e parte dell’idroscalo (Archivio Fotografico Museo Storico della Marina Militare di Venezia).
47. Gabriele d’Annunzio davanti a un aereo SIA 9B della squadriglia
Siluranti Aeree, di cui si vede l’insegna con la trireme alata e che porta il motto, creato dal Vate, “Sufficit Animus” (Archivio Fotografico Museo Storico della Marina Militare di Venezia).
48. Il programma delle feste organizzate dalla CIGA in occasione della Coppa Schneider del 1927 (Archivio Luca Perale). 49. Cartolina del settembre 1927 che illustra il percorso della Coppa Schneider (Archivio Luca Perale).
99. Progetto del comune di Venezia per l’ampliamento del Nicelli.
Si vede l’area prevista per l’interramento e per la costruzione delle due piste, lunghe circa 1.800 metri l’una. Sarebbe così stata eliminata la storica aerostazione; lo scalo passeggeri sarebbe stato spostato verso nord (Archivio Storico del Comune di Venezia).
100. Il progetto dell’aeroporto all’isola delle Vignole (1954): come si può vedere, la pista avrebbe dovuto estendersi sulle isole delle Vignole e della Certosa (Archivio Storico del Comune della Celestia).
101. Giugno 1958, la barena su cui sorgerà l’aeroporto Marco Polo (Archivio fotografico SAVE).
102. Il 29 marzo 1959 il patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli partecipò alla cerimonia della posa della prima pietra del nuovo aeroporto (Archivio fotografico SAVE).
e
,
ISBN ----