Musica Figura
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6, 2019
Direzione scientifica Paola DessÏ, Giuliana Tomasella Comitato scientifico Xavier Barral-i-Altet, Franco Bernabei, Lucia Boscolo Folegana Maria Elena Bugini, Franco Colussi, Giuseppina Dal Canton, Iain Fenlon Giulia Gabrielli, Cristina Guarnieri, Marta Nezzo, Dilva Princivalli Vittoria Romani, Antonio Rostagno, Matthias Schneider, Andrea Tomezzoli Giovanna Valenzano, Catherine Whistler, Vasco Zara Comitato di redazione Giovanna Casali, Stefania Cretella, Barbara Maria Savy, Silvia Tessari I contributi pubblicati sulla rivista sono soggetti a peer review La pubblicazione della rivista si ispira al codice etico elaborato dal COPE - Best Practice Guidelines for Journals Editors La rivista viene pubblicata con il contributo di Università degli Studi di Padova - Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica Fondazione Ugo e Olga Levi - Venezia
dipartimento dei beni culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica - universit di padova fondazione ugo e olga levi - venezia
Musica Figura
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ILPOLIGRAFO
6, 9
Musica Figura 6, 2019
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periodicità: annuale sede della redazione c/o Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica 35139 Padova | Piazza Capitaniato, 7 tel. +39 049 8274673 | fax +39 049 8274670 www.beniculturali.unipd.it abbonamento Italia privati: e 30,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) Italia istituzioni: e 40,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) estero privati: e 40,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) estero istituzioni: e 50,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) le richieste di abbonamento possono essere inoltrate all’indirizzo ordini@poligrafo.it amministrazione Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova | via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 | fax 049 8360864 e-mail amministrazione@poligrafo.it direttore responsabile Andrea Tomezzoli autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2474 del 25/2/2019
in copertina elaborazione da un disegno di Paul Klee, Pädagogisches Skizzenbuch, 1924 progetto grafico Il Poligrafo casa editrice copyright © dicembre 2019 Il Poligrafo casa editrice Fondazione Ugo e Olga Levi Università degli Studi di Padova Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova - via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it isbn 978-88-9387-132-7 issn 2284-032x
INDICE
9 Veronica Gambara, Bartolomeo Tromboncino e Antonio Caprioli: intrecci sul tema della Speranza Giorgio Peloso Zantaforni 43 Diego Ortiz: un maestro de capilla español en Las Bodas de Caná del Veronés Manuel Lafarga, Javier Alejano, Penelope Sanz 65
Cleopatra’s varying roles in the opera Giulio Cesare in Egitto by Handel Marjo Suominen
97 Carnevale 1750: il cantante Gizziello per i Grimani ai Servi in una tela di Pietro Longhi Enrico Lucchese 115 Roberto Longhi: una biografia intellettuale ad uso del neofita. II. Perfezionamento metodologico e discussioni sul sistema delle arti postbellico Marta Nezzo 145
Breve nota intorno al «Maestro del Caravaggio». Giovanni Antonio da Pordenone tra Fiocco e Longhi Elisa Bassetto
153
La “fantasia”: un’iconografia coreutica nell’immaginario coloniale italiano Priscilla Manfren
179
Igor Stravinskij, il cinema e la musica per film Roberto Calabretto
215
Strumenti tecnologici innovativi per la fruizione museale. Verso l’Informatica Museale Daniel Zilio, Nicola Orio
237 Illustrazioni
261 Abstracts
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VERONICA GAMBARA, BARTOLOMEO TROMBONCINO E ANTONIO CAPRIOLI: INTRECCI SUL TEMA DELLA SPERANZA Giorgio Peloso Zantaforni
All’interno del percorso biografico e della vasta produzione poetica di Veronica Gambara, trova posto la barzelletta Hor passata è la speranza, musicata da Bartolomeo Tromboncino e inserita nel quinto libro di frottole stampato a Venezia da Ottaviano Petrucci nel 1505.
Sigle utilizzate in riferimento al repertorio frottolistico. Fonti PeI Frottole libro primo, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1504. Frottole libro secondo, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1505. PeII Frottole libro tertio, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1505. PeIII Strambotti ode, frottole, sonetti. Et modo de cantar versi latini e capituli. PeIV Libro quarto, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1505. Frottole libro quinto, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1505. PeV PeVI Frottole libro sexto, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1506. PeVII Frottole libro septimo, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1507. PeVIII Frottole libro octavo, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1507. PeIX Frottole libro nono, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1509. PeXI Frottole libro undecimo, Fossombrone, Ottaviano Petrucci, 1514. PeLauII Laude libro secundo, Venezia, Ottaviano Petrucci, 1507. Edizioni critiche musicali Cesari - Monterosso - Disertori 1954 Le Frottole nell’edizione principe di O. Petrucci: testi e musiche pubblicate in trascrizione integrale. I: Libri 1., 2. e 3., trascrizione di G. Cesari, edizione critica di R. Monterosso, con uno studio di B. Disertori, Cremona, Athenaeum Cremonense, 1954. Disertori 1964 B. Disertori, Le frottole per canto e liuto intabulate da Franciscus Bossinensis, Milano, Ricordi, 1964. Di Zio - Lovato 2013 Frottole Libro Primo. Ottaviano Petrucci, Venezia 1504, ed. critica a cura di C. Di Zio Zanolli, note ai testi e osservazioni a cura di A. Lovato, Padova, Cleup, 2013.
giorgio peloso zantaforni
La famiglia Gambara, infatti, era dedita alle lettere e alla musica. Diverse notizie ci giungono circa la frequentazione degli ambienti musicali coevi da parte della casa gambaresca, nelle sue varie diramazioni, la quale sempre più intendeva emulare le costumanze e le abitudini delle grandi corti con cui si relazionava in maniera stabile. Particolare attenzione era rivolta dalla famiglia anche alla pratica musicale. Ne è un esempio il caso della Collegiata di Verolanuova (Vigriola Alghisii), su cui i conti Gambara avevano il giuspatronato grazie alla sua costituzione da parte del cardinale Uberto Gambara. Fra le
Schwartz 1935 Ottaviano Petrucci. Frottole, Buch I und IV, hrsg. von R. Schwartz, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1935. Giacomazzo - Di Zio 2016 Frottole libro secondo. Ottaviano Petrucci. Venezia 1504 (m. v. = 1505), ed. critica a cura di G. Giacomazzo, osservazioni a cura di C. Di Zio Zannolli, Padova, Cleup, 2016. Boscolo 2006 Frottole libro septimo. Ottaviano Petrucci Venezia, 1507, ed. critica a cura di L. Boscolo, Padova, Cleup, 2006. Boscolo 1999 Frottole libro octavo. Ottaviano Petrucci Venezia 1507, ed. critica a cura di L. Boscolo, Padova, Cleup, 1999. Facchin - Zanovello 1999 Frottole, Libro nono. Ottaviano Petrucci, Venezia 1508 m.v., ed. critica a cura di F. Facchin, ed. dei testi poetici a cura di G. Zanovello, Padova, Cleup, 1999. Luisi - Zanovello 1997 Frottole libro undecimo. Ottaviano Petrucci, Fossombrone 1514, ed. critica a cura di F. Luisi, ed. dei testi poetici a cura di G. Zanovello, Padova, Cleup, 1997. Repertori Vogel E. Vogel - A. Einstein - F. Lesure - C. Sartori, Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700, Nuova edizione interamente rifatta e aumentata con gli indici dei musicisti, poeti, cantanti, dedicatari e dei capoversi dei testi letterari, Genève-Pomezia, Minkoff-Staderini, 1977. RePIM Repertorio della Poesia Italiana in Musica, 1500-1700, base dati a cura di Angelo Pompilio, consultabile nell’Università di Bologna, Dipartimento di Musica e Spettacolo (http://www.repim. muspe.unibo.it). Cfr. M. Mazzetti - L. Ticli, Per «il mantenimento d’una compitissima Musica». Il soundscape gambaresco fra diletto domestico, erudizione accademica e mecenatismo, in I Gambara e Brescia nell’Italia del tardo Rinascimento. Diplomazia, mecenatismo, cultura e consumi, Milano, FrancoAngeli, 2019, pp. 191-230. Cfr. P. Guerrini, La collegiata insigne di Verolanuova, «Memorie storiche della Diocesi di Brescia», I, 1930, pp. 5-31: 9.
intrecci sul tema della speranza
preoccupazioni di questo e del suo successore, il nipote Gianfrancesco, anch’egli cardinale, ci fu l’istituzione e il mantenimento di una cappella musicale che eseguiva musica sacra, «almeno a quattro voci», di compositori quali Giovanni Pierluigi da Palestrina e Giovanni Croce, come documentano alcune partiture di messe e vespri conservate all’interno dell’archivio della piccola chiesa. Risulta interessante, in questo senso, una lettera del summenzionato Gianfrancesco, del 3 febbraio 1577, il quale, nel tentativo di normare la vita del Capitolo, specifica fra le altre cose che «pronunciato Pater noster officium inchoetur illudque alternatis vocibus canant et recitent clare et distinctae», lasciando intendere l’uso, all’interno della pur piccola Collegiata, della consueta pratica dell’alternatim. Di qualche anno più tardi è la lettera del famoso musicista e didatta Lelio Bertani inviata al conte Francesco Gambara nel 1600, dalla quale risulta il vivo interesse che la casata nutriva verso la cappella musicale della Collegiata di Verolanuova: Mando a V.S. Ill.ma il Laudate pueri che mi comandò ch’io facessi per mandare a Reggio et m’iscuso della tardanza, la quale è ben proceduta dalle mie occupationi ma anco dal volere io inviarglielo per il presente Sig.r Giov. Maria Amico mio carissimo, che molti dì son o doveva venire costì per suoi rispetti ad adottarsi.
Questo messaggio, unito a un «ruotoletto di Musica», ben dimostra quanto la corte gambaresca fosse il centro di numerose figure di spicco della cultura musicale padana del tempo. Lo spoglio dell’archivio epistolare dei Gambara mostra inoltre come la località di Verolanuova fosse un centro di formazione scolastica: nel 1505, anno in cui Veronica frequentava i luoghi natii, è attestata la presenza del maestro Don Pietro Totto, del cui operato, tuttavia, Uberto Gambara non fu per niente soddisfatto. Ivi, p. 11. «Una volta pronunciato il Padre nostro, si dia inizio all’ufficio, lo cantino a voci alternate e lo recitino in maniera chiara e distinta». Il dettagliato statuto viene riportato in Guerrini, La Collegiata, cit., p. 12, in cui si dà tale documento come contenuto all’interno dell’Archivio della Curia Vescovile di Brescia, sotto il nome di «Atti della Vicaria di Verolanuova». Riportata da P. Guerrini, Per la storia della musica a Brescia. Frammenti e documenti inediti, «Note d’archivio per la storia musicale», XI, 1934, pp. 1-28: 8-9. Lettera di Uberto Gambara, datata 25 giugno 1505 indirizzata allo zio Nicolò, in cui si lamenta di «pessimi deportamenti» del sacerdote, poiché «insegna cative littere et etiam per esser uno deli cagneti di M. Mathia de li Ugoni», il quale aveva atavici contrasti con la casata gambaresca. Riportato in P. Guerrini, Scuole e maestri bresciani del Cinquecento, «Commentari dell’Ateneo di Brescia», CXX, 1921, pp. 73-127: 125.
giorgio peloso zantaforni
del refrain fa seguire una più concisa coda apparentemente strumentale, nella trascrizione integrata con la ripetizione del secondo emistichio «s’era partita» (miss. 10-11, 21-22). A livello di struttura formale, tuttavia, il veronese pare più attento alla coerenza fra rime e incisi musicali: nella ripresa, infatti, mentre Tromboncino fa corrispondere alla rima centrale (y-y) una uguale semi-frase musicale (a2-a2), Caprioli intona i versi a rima baciata (y-y) con semi-frasi differenti (a2-b1), mentre lo stesso intona il secondo verso y (batt. 2-3) riproponendo, trasportato un tono sopra, il medesimo incipit musicale intonato per il precedente verso x (batt. 1-2). Hor passata è la speranza versi semi-frase frase 8 A ripresa x a1 y a2 B y a2 x b1
Ritornata è la speranza versi semi-frase frase 8 A ripresa x a1 y a2 B y b1 x b2
refrain
x y
a1 a2 + coda
A’
refrain
x y
a1 a2 + coda
A’
piede
a b a b b c c x
c1 c2 c1 c2 c2 a2 a2 b1
C
piede piede
D
volta
c1 c2 c1 c2 c2 b2
C
C
a b a b b x x y
a1 a2 + coda
x y
a1 a2 + coda + coda strum.
piede volta
refrain
C D
E refrain A’
A’
intrecci sul tema della speranza
L’aderenza al testo del Tromboncino non riguarda solo la struttura metrico-formale ma anche, per alcuni aspetti, quella semantico-contenutistica. Il compositore sceglie per la tessitura polifonica le chiavi di Mezzosoprano per il Cantus e per l’Altus, di Contralto per il Tenor e di Baritono per il Bassus. La scelta del Mezzosoprano al Cantus, insieme all’uso del tono di Re, contribuisce a imprimere coerenza fra il carattere mesto del testo e la musica, con uno sviluppo delle voci nel registro grave. Questa pertinenza della musica rispetto allo stato emotivo enunciato dal testo, evidente nel processo generale di “abbassamento” del registro sonoro, si evince anche dal ripetuto uso di frasi discendenti che fanno sentire tutti i suoni dell’intervallo di ottava. Tali frasi sono introdotte nella fonte originale a stampa dalla figurazione di minima puntata seguita da semiminimae (figure restituite negli esempi in partitura con notazione moderna e valori dimezzati), con una scrittura imitativa fra le parti 3 che entrano, nell’ordine, all’Altus, al Cantus e al Tenor (miss. 3-5, 6-9):
3 ran za za ran
che mi ten ni un tem po͜ ar che mi ten ni un tem po͜ ar
ben mi duol, ben mi duol, 7 7
poi poi
den
den
do, do,
ché com pren
do
ché com pren
do
giorgio peloso zantaforni
Il compositore veronese mette in musica la contritio chordis con un andamento melico quasi unanimemente volto alla discesa e con un ambitus delle voci confinato in un registro medio-grave, carattere invero comune nella tecnica compositiva del Tromboncino. Il Cantus non si spinge oltre al Re4, arrivando, di converso, a toccare la posizione di Sol2, in ottemperanza alla chiave per cui è scritto, l’Altus ricopre l’intervallo di note Fa2-Do4, oltrepassando nel grave l’usuale estensione del Mezzosoprano, arrivando a lambire l’ambitus di Contralto, così come il Tenor esce dall’estensione propria del Contralto (Re2-Do4) per spingersi nell’ambitus del Tenore. Anche gli incisi di carattere imitativo presenti all’interno del Tenor, a miss. 26 e 27 della barzelletta, in cui una minima puntata è seguita da tre semiminimae discendenti (es. 2 con figure di valore dimezzato), che peraltro nascono dalla prassi liutistica e sono assai frequenti nel repertorio frottolistico nella sua fase più matura, concorrono a creare la reiterazione di una catabasi intorno a cui si svolge uno sviluppo del brano in corrispondenza dei primi due versi di ogni strofa «Hor passata è la speranza / che mi tenni un tempo ardendo»:
26
-
co
m’ha
te
nu
Interessante appare, inoltre, l’episodio presente all’interno della prima Cauda, in cui pare trasparire una volontà descrittiva del contenuto semantico del testo, attraverso un comportamento non atteso nel repertorio frottolistico. Il tessuto musicale si sviluppa, infatti, per mezzo di una rapida successione di movimenti scalari di semiminimae in corrispondenza della reiterazione del verbo «ardendo», in una costruzione che predilige in un primo momento l’anabasi (miss. 57-64), contrapponendosi al
intrecci sul tema della speranza
significato che prima il testo aveva veicolato, per poi continuare con movimenti scalari, sempre per grado congiunto, stavolta discendenti (miss. 64-74). Questa giustapposizione melodica potrebbe rimandare all’incostanza e alla volubilità dell’ardore, rafforzata dal disegno melodico di seconda ascendente e discendente del Cantus in corrispondenza delle note Do-Re (miss. 67-68), La-Si (miss. 69-70), Fa-Sol (miss. 71-72), con la riproposizione in imitazione della medesima frase melodica su gradi sempre più bassi della scala. Anche la barzelletta Ritornata è la speranza musicata da Antonio Caprioli, a una prima analisi, pare esprimere sin da subito coerenza semantica, proiettandosi in un registro più acuto, concorde con uno stato emotivo ristabilito dal “ritorno” della speranza. La tessitura scelta, infatti, prevede il Soprano al Cantus, Contralto per le parti di Altus e Tenor e infine Baritono al Bassus, con una conseguente preminenza sonora della voce del Soprano sulle altre voci di registro inferiore. L’innalzamento dell’ambitus vocale è rafforzato anche dall’impiego del tono di Sol. Se tali elementi compositivi sembrano coerenti con una messa in musica che guarda con una certa attenzione al contenuto semantico del testo Ritornata è la speranza, un’analisi dello sviluppo della barzelletta sembra invece contraddirlo. Il brano composto dal musicista bresciano, pur con un rapporto testo/musica ancorato a stilemi frottolistici, mostra una forte presenza di andamenti che abbassano il registro vocale a detrimento del senso generale del testo adespoto, che guarda in direzione contraria rispetto al brano di Veronica. Nella frottola di Caprioli si evidenzia infatti un analogo andamento in catabasi (miss. 1, 7, 18-19) con un’evidente ripresa del tessuto musicale del Tromboncino che va oltre al comune modulo ritmico nella declamazione dell’ottonario delle due barzellette e a un rispetto degli accenti mediante l’utilizzo del medesimo andamento. L’assetto musicale entro cui si sviluppano i movimenti discendenti del Caprioli nasconde al suo interno un ulteriore indizio di vicinanza alle scelte del Tromboncino; la scrittura imitativa delle voci di Altus e Tenor in Hor passata è la speranza si ritrova, pur poco variata, in Caprioli, al Tenor e all’Altus, in corrispondenza delle significative parole che aprono il distico iniziale «Ritornata è la speranza», stabilendo così una connessione narrativa fra i due brani fin da subito:
manuel lafarga, javier alejano, penelope sanz
Año
Acontecimiento
Ciudad
Editor / Fuente / Ubicación
Francisco Martínez de Loscos sucede a Diego Ortiz como “maestro de capilla”
Nápoles
?
Diego Ortiz pasa al servicio de la familia Colonna como “famigliare”
Roma
Morucci (2018, p. 22)
1572
Pagos mensuales a Ortiz de 3.75 escudos desde abril
Roma
Morucci (2018, p. 37)
1573
Pagos mensuales a Ortiz hasta diciembre
Roma
Morucci (2018, p. 37)
1575
Pagos mensuales a Ortiz en mayo
Roma
Morucci (2018, p. 37)
1576
Pagos mensuales a Ortiz en enero, marzo, abril, mayo, agosto, y septiembre
Roma
Morucci (2018, p. 37)
1601
Scipione Cerreto menciona a Ortiz ya fallecido
Nápoles
Della Prattica Musica vocale... Giovanni Giacomo Carlino
1613
Elogio común a Morales y a Ortiz
Nápoles
Pietro Cerone
Un “Sr. licenciado de Roma” atribuye a Ortiz la intención de emular a Morales
Nápoles
Pietro Cerone
CLEOPATRA’S VARYING ROLES IN THE OPERA GIULIO CESARE IN EGITTO BY HANDEL Marjo Suominen
cleopatra as a (true) character The last ruler of the Greek period in ancient Egypt was Cleopatra Philopator c. 70 or 69 BCE - 30 BCE. Her multifaceted, historic, and cryptic events of life have inspired artists. There are several constructed versions of stories of her and of the factual persons she met during her lifetime. In our times, Giulio Cesare in Egitto, Julius Caesar in Egypt appears likely among the most frequently performed operas by George Frideric Handel. It is a description of Cleopatra in a bildungsroman way, a story of her development from a girl into a ruler. The libretto for it was originally in Italian. The author was a Roman born musician Nicola Francesco VII
Cleopatra, «Britannica Academic Encyclopædia Britannica», 2015, 29 May, online at academic.eb.com.libproxy.helsinki.fi/levels/collegiate/article/24335 German literary genre. Type of a novel which explores moral and psychological development of the protagonist via gaining experience by working, studying etc. Bildungsroman has traditionally a positive ending. Cf. Bildungsroman, «Encyclopedia Britannica», 2020, 6 May, https://www.britannica.com/art/bildungsroman, retrieved July 27, 2020. Giulio Cesare by Handel has been performed both in German and English versions. The German libretto originates from performances at the Oper am Gänsemarkt in Hamburg in 1733, the first public opera house in Germany and the studio performance in 1984 in London by the English National Opera company. Cfr. Mr. Möhring et al. Giulio Cesare. Libretto (in print). German [Hamburg?, Gedruckt mit Spieringischen Schriften, 1733?, monographic] Image of ML48 [S11690], the Library of Congress, Books, Printed Material-collection, www.loc.gov/item/2010665403/. Julius Caesar. An audiovisual recording: scenic direction John Copley (live performance in 1979), John Michael Phillips (video in 1984); music G.F. Händel; musical realization English National Opera Orchestra by musical direction of Sir Charles Mackerras; costume design Michael Stennett; staging John Pascoe; actors / soloists James Bowman - Ptolemy, Valerie Masterson - Cleopatra, Sarah Walker - Cornelia,
marjo suominen
Haym. It was based on a namesake Venetian libretto in 1676 by Giacomo Francesco Bussani, and composed by Antonio Sartorio. Giulio Cesare by Handel was first performed 48 years later in London in 1724 of which there exists a performance score. There are various mythic suppositions of Cleopatra the character (existing), reflecting mostly from the other famous characters related to her. Often, these have been contrasted into mere beliefs instead of historical facts. Accordingly, it is probably impossible to try describing the true personation of her precisely. Giulio Cesare, the opera by Handel has two main themes, revenge and love, which both function as the protagonists affects emotional musical expressions. In the opera, Cleopatra is personalised as the representative of love, which is being manifested, embodied via her variable roles, i.e. personages appearing in the opera, which aims to reveal a part of her myth for us. embodiments of cleopatra in giulio cesare In Giulio Cesare by Handel, the character of the magical Egyptian Queen Cleopatra is enlivened and elucidated by variable personage changes. She represents a carefree juvenile, loving seductress, complaining victim, and tireless righteous hero-ruler (the last personage added by me). These types of characters have been later utilised for example in the nineteenth-century operas and in the twentieth-century film noir genre cinematic narrative (see, for ex. femme fatale, the fatal female character). Like Cleopatra by Handel and Haym, the femme fatale and film noir female characters are portrayed as manipulative temptresses by their abilities to attract their leading hero men. Via this, they have gained power over the men by their means of evoking sympathy. Handel and Haym’s femme fatale representation of Cleopatra in the opera Giulio Cesare is among the first such portrayals of her. Soprano June Dams has Della Jones - Sextus, John Tomlinson - Achillas. Publisher: HBO / Pioneer; VHS, Virgin Classics; RM Associates; VVD 383. Length: c. 180 min. in English, translated into English by Brian Trowell. G.F. Handel, Il Giulio Cesare Direktionspartitur, ms., 1724, Hamburg, Staats- und Universitätsbibliothek Hamburg Carl von Ossietzky, Microfiches nn. 1-5: SUB M A / 1019. J. Ethnersson, Opera seria och musikalisk representation av genus, «Stm online, Svenska samfundets för musikforskningen internetpublikation», 2005, http://musikforskning.se/ stmonline/vol_8/ethnersson/index.php?menu=3 D. Leeming, Femme fatale, in The Oxford Companion to World Mythology, New York, Oxford University Press, 2005 http://www.oxfordreference.com.libproxy.helsinki.fi/view/10.1093/ acref/9780195156690.001.0001/acref-9780195156690-e-547?rskey=tkBWc1&result=1 Film noir, «Encyclopedia Britannica», https://www.britannica.com/art/film-noir
cleopatra in the opera giulio cesare in egitto by hendel
named two stereotypical female characters in Georges Bizet’s opera Carmen. These are femme fatale who is an «exotic» independent, confident «daring» personage using her sexuality to her advantage; and the «trusting» and simple natured sentimental heroine. Giulio Cesare, the opera also contains another aspect of the femme fatale character type of Cleopatra, which is brilliance. It appears as obvious starting from the second act’s Parnasso scene of the opera, in which Cleopatra not only performs one of her most beautiful arias V´adoro pupille, but also shows her true goddess-like character, after having been hiding disguised as Lydia her handmaiden. According to professor of communication Patrick Keating, a pioneering cinematographer of 1930s, Victor Milner suggests for creating of Cleopatra’s character in films different possibilities o f choices for points of views for film directors. In these, Cleopatra could have been viewed either via her emotional phases, or as having had secondary importance to Caesar and Anthony. Or as the American filmmaker Cecil B. DeMille portrayed her in his Cleopatra film from 1934, as a «showman» having been fully aware of every setting around her and planned displaying the wealth of Egypt to the Roman empire whenever she could and saw gain in it. The latter choice of Cleopatra’s extroverted and daring characterisation, which was realised by DeMille, Milner emphasised by underlining it by lighting her via «richness in every scene» of the film, that was «kept richly brilliant to maintain the audience’s subtly awareness of the splendor of the settings and costumes». The aspect of brilliance makes a femme fatale out of the character of Cleopatra by creating a myth of her instead of aiming for illustrating her historical person. Lighting has been in the centre of attention considering the particularities of the style of film noir. J. Dams, The Femme Fatale versus the Sentimental Heroine in Georges Bizet´s Opera: Characterisation and Performance, a paper at the Conference “5th Global Conference, Evil, Women and the Feminine” (Prague, 18-20 May 2013), «ResearchGate», 2013, https://www.researchgate.net/publication/271965834_The_Femme_Fatale_versus_the_Sentimental_Heroine_in_ Georges_Bizet’s_Operas_Characterisation_and_Performance Mount or mountains of Parnassus, Parnasso (in It.) located in Central Greece. It is considered the nest of poetry and learnedness, the habitat of Oracle of Delphi. Parnassus was dedicated to the classic Greek and Roman god of the sun and light Apollo and the muses, which were daughters of Zeus and Mnemosyne (memory). Each of the muses represents a separate art: Clio - history, Euterpe - lyric poetry, Thalia - comedy, Melpomene - tragedy, Terpsichore the dance, Erato - love poetry, Polyhymnia - sacred songs, Urania - astronomy, Calliope - epic poetry and eloquence. P. Keating, Hollywood Lighting from the Silent Era to Film Noir, edited by J. Belton, New York, Columbia University Press, 2010, p. 169.
elisa bassetto
sissima nota pubblicata nel XXIII fascicolo de «La Critica d’Arte», volta a demolire lo scritto di Fiocco sul Demio. Qui lo studioso lucchese, dopo un’accurata descrizione della relazione Demio-manierismo, si affrettava ad escludere ogni carattere di “venezianità” dell’artista, precisandone la formazione sull’ambiente romano, con un occhio al manierismo mantovano ed emiliano. Ma è a metà della nota che un Ragghianti “longhianissimo” affronta, e di petto, il reale oggetto del contendere, il punctum dolens intorno a cui ruotano le vicende qui brevemente ricostruite: A me pare che il Fiocco faccia del suo meglio per tornare alla vecchia teoria municipale e regionale, che faceva escire il Caravaggio da pure viscere veneziane, da Giorgione, Tiziano, Tintoretto; lo dimostra anche l’altro tentativo recente dello stesso Fiocco, del tutto indipendente da questo e non so quanto conciliabile, di fare del Caravaggio “erede” anche del Pordenone [...]. Ora, si può dire che nell’intera storia dell’arte non esiste forse tracciato storico meno discutibile, meno reale, di quello svolto dal Longhi nei Quesiti caravaggeschi, a proposito della formazione lombarda del Caravaggio. Lo studio del Longhi comportò la distinzione, il chiarimento e l’affermazione di intere serie di valori autonomi nell’arte italiana, che la tradizione storica aveva assimilato e confuso, o addirittura negato, per assorbirli in una parabola vacuamente illustre dell’arte veneziana. Dopo ciò, sarà forse possibile approfondire, precisare ulteriormente nelle sue connessioni e singolarità la restaurazione storica del Longhi; ma non certo tornare, neanche per vie traverse o per surrogati, alla
C.L. Ragghianti, recensione all’articolo di Fiocco, L’eredità di Giovanni Demio, «La Critica d’Arte», parte II, 1940, XXIII, pp. IV-V, riedita col titolo Manierismo e Caravaggio in Id., Miscellanea minore di critica d’arte, Bari, Laterza, 1946, pp. 171-177, con minime revisioni. Si veda anche la lettera di Longhi a Ragghianti, databile ai primi mesi del 1940, in cui si complimenta per la recensione all’articolo di Fiocco: FR, ACLR, Critica d’arte, b. 2, fasc. 7. Tema ripreso e sviluppato da Giuliano Briganti nella sua tesi di laurea discussa con Longhi e dedicata a Pellegrino Tibaldi: G. Briganti, Il manierismo e Pellegrino Tibaldi, Roma, Cosmopolita, 1945. Come è noto, l’argomento gli fu suggerito proprio da Ragghianti: cfr. la lettera di Ragghianti a Briganti del 13 gennaio 1940, in cui compare il primo accenno a quello che sarà l’argomento della tesi: Giuliano Briganti: un carteggio con Carlo Ludovico Ragghianti (1937-1946), a cura di L. Laureati, R. Donati, «Paragone», 2003, 47-48, pp. 3-78: 34; cfr. anche le lettera di Ragghianti a Briganti del 28 febbraio 1940: «Quanto alla tesi sul Tibaldi, ne riguardavo l’altro giorno la formazione, a proposito del De Mio, sul quale il solito Fiocco ha scritto un articolo del tutto sciocco, di recente» (ivi, p. 39); quindi quella dell’8 marzo [1940]: «bisognerebbe che tu avessi la compiacenza di fare una piccola ricerca urgente per me, e che del resto coincide anche con i tuoi studi attuali sul Tibaldi. Sto stroncando lo sciocco articolo del Fiocco sul Demio, pieno di coglionerie, e fatto con la solita disinvoltura, e trascuratezza... geniale!!!» (ivi, p. 57).
breve nota intorno al «maestro del caravaggio»
falsa posizione zuccaresca, che voleva vedere nel Caravaggio nient’altro che un epigono di Giorgione.
Insomma, che si parli pure del Pordenone, oppure del Demio, l’importante è che «si lasci stare il Caravaggio».
Ragghianti, Manierismo e Caravaggio, cit., pp. 172-173. Ivi, p. 177. Nella biblioteca personale di Ragghianti, conservata presso l’omonima Fondazione a Lucca, è presente una copia della monografia di Fiocco, Giovanni Antonio Pordenone, postillata dallo stesso Ragghianti, che si apprestava a recensire l’opera su «La Critica d’Arte», come si evince dalla rubrica Notizie e letture, «La Critica d’Arte», 1940, XXV-XXVI, pp. XIII-XXVIII: XVI. Il fascicolo in questione fu l’ultimo della prima serie, con Longhi e Ragghianti condirettori per la parte medievale e moderna: siamo a ridosso della violenta rottura dei loro rapporti, occorsa a Bologna il 31 gennaio del 1941: cfr. E. Pellegrini, La fine della prima serie de «La Critica d’Arte», «Annali di Critica d’Arte», 2010, 6, pp. 413-460. Sul Pordenone Ragghianti sarebbe intervenuto anche con lo scritto del 1941 Un ritratto del Pordenone, riedito in Id., Miscellanea minore, cit., pp. 166-170; riferimenti alla sua produzione grafica in Id., Sul metodo nello studio dei disegni, «Le Arti», III, 1940-1941, 1, pp. 9-19: 12-13. Sull’importanza delle postille rimando alle osservazioni di D. Levi, Le storie, le carte, la critica, con una nota sulle ‘postille’, in Rodolfo Pallucchini: storie, archivi, prospettive critiche, atti del convegno (Udine, marzo 2019), a cura di C. Lorenzini, Udine, Forum, 2019, pp. 19-29, in part. pp. 25-26.
LA “FANTASIA”: UN’ICONOGRAFIA COREUTICA NELL’IMMAGINARIO COLONIALE ITALIANO Priscilla Manfren
Nell’arte orientalista e nella letteratura di viaggio dell’Ottocento relativa a soggiorni di europei in terre oltremare si presenta, non di rado, una certa attenzione per episodi e soggetti legati ai temi della danza, del canto e della musica. I visitatori stranieri rimanevano infatti particolarmente colpiti da queste esibizioni, accompagnate da un insieme di elementi che contribuivano a delinearle come assai diverse da quelle dello stesso genere che si potevano osservare nel Vecchio Continente: specie per quel che concerne le azioni coreutiche, movenze e toni talvolta sensuali, talaltra brutali, venivano esaltati e amplificati dalla presenza di accessori colorati ed esotici, quali vesti, armi e strumenti musicali, o al contrario, dall’assenza di indumenti che rivelava allo sguardo degli spettatori la quasi totale nudità dei performers indigeni. Tali spettacoli, presto noti poiché più volte narrati con il moltiplicarsi delle testimonianze scritte e visive in merito a viaggi nel Vicino Oriente e nei domini coloniali degli Stati europei, assumono in se stessi tratti stereotipati che, perdurando, conducono alla genesi di vere e proprie iconografie nell’ambito dell’arte orientalista e, in seguito, espressamente coloniale. Tra gli esempi più conosciuti di viaggiatori-scrittori che fermano la propria attenzione su scene del genere, contribuendo a trasformarle in veri e propri tòpoi, è certamente da ricordare Gustave Flaubert che, come osserva Edward Said nell’ormai classico studio sull’Orientalismo, non manca in ogni suo romanzo di associare l’Oriente con l’evasione, sotto forma di fantasticherie sessuali. Nel volume Voyage en Égypte la celebre Cfr. E.W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, trad. it. di S. Galli, Milano, Feltrinelli, 2013 (Ia ed. New York, Pantheon Books, 1978; Ia ed. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1991), p. 191.
priscilla manfren
descrizione flaubertiana del ballo di Kuchuk-Hânem – l’almea che esegue la cosiddetta danza dell’ape, sorta di striptease d’antan poi immortalato in opere quali l’omonimo dipinto di Vincenzo Marinelli –, dà forma a un soggetto che, di fatto, sarà fra i più in voga nell’immaginario orientalista e in seguito coloniale, ossia quello di una Tersicore esotica pronta a soddisfare le fantasiose proiezioni erotiche del maschio europeo. Per la letteratura di viaggio italiana riservata all’Africa mediterranea e intrisa di clichés è doveroso invece menzionare Edmondo De Amicis, il quale nel 1876 pubblica Marocco, reportage realizzato durante il viaggio al seguito della prima missione diplomatica nazionale diretta a Fez e composta, fra gli altri, anche dai pittori Stefano Ussi e Cesare Biseo, i cui disegni illustreranno una successiva edizione del reportage stesso. Anche L’artista, rientrato da una serie di viaggi in Grecia e nel Vicino Oriente, realizza infatti Il ballo dell’ape nell’harem, presentato all’Esposizione internazionale di Londra del 1862 e oggi facente parte delle collezioni del Museo di Capodimonte a Napoli. Si veda la lettura datane da Giuliana Tomasella in G. Tomasella, Esporre l’Italia coloniale. Interpretazioni dell’alterità, regesto delle esposizioni di P. Manfren, C. Marin, Padova, Il Poligrafo, 2017, pp. 27-29. In merito agli stereotipi femminili orientalisti presenti nell’opera dell’autore francese si vedano: “Orient as Woman, Orientalism as Sentimentalism: Flaubert”, terzo capitolo del volume di L. Lowe, Critical terrains. French and British Orientalisms, Ithaca and London, Cornell University Press, 1991, pp. 75-101; C. Bernat Mateu, Orientalisme i gènere: Flaubert i la mirada colonial sota les dones, «Asparkía. Investigacío feminista», 2017, 30, pp. 107-114, online http:// www.e-revistes.uji.es/index.php/asparkia/article/view/1945/2288 (consultato il 29 ottobre 2019). Sulla figura femminile nell’arte orientalista si veda almeno L. Thornton, La femme dans la peinture orientaliste, Paris, ACR, 1985. Alcuni interessanti spunti di riflessione su questo tema, indagato però per quel che concerne la sua presenza nell’ambito cinematografico di inizio Novecento, si rintracciano in: E. Uffreduzzi, Orientalismo nel cinema muto italiano. Una seduzione coreografica, «Cinergie: il cinema e le arti», 3, marzo 2013, pp. 20-30, online https://cinergie.unibo.it/issue/viewIssue/650/59 (consultato il 30 ottobre 2019); Ead., Danse et orientalisme dans le cinéma muet italien, «Images secondes: Cinéma & Sciences humaines», 2018, 1, online http://imagessecondes.fr/ index.php/2018/06/28/danse-et-orientalisme-dans-le-cinema-muet-italien (consultato il 29 ottobre 2019). Sui reportages di viaggio di De Amicis e sulla componente letteraria di matrice orientalista che li caratterizza, si vedano: G. Scarcia, Sul «Marocco» di Edmondo De Amicis (1876), in La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, a cura di A. Gallotta, U. Marazzi, 3 voll., Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984-1989, I.2, 1984, pp. 1045-1058; V. Bezzi, De Amicis in Marocco. L’esotismo dimidiato. Scrittura e avventura in un reportage di fine Ottocento, Padova, Il Poligrafo, 2001; Ead., Nell’officina di un reporter di fine Ottocento. Gli appunti di viaggio di Edmondo De Amicis, Padova, Il Poligrafo, 2007; C. Bedin, L’Orientalismo in Edmondo De Amicis: Spagna, Marocco, Costantinopoli, «Mediterráneo», 2010, 2, pp. 49-70; S. Notarfonso, Ritratto di un «mondicino affricano»: testo e immagini in Marocco di De Amicis, «Il capitale culturale», 2016, 13, pp. 557-579, online https://riviste.unimc.it/index.php/cap-cult/article/view/1460/1053 (consultato il 29 ottobre 2019); C. Bedin, Il reporter meravigliato. Le «memorie mediterranee» di Edmondo De Amicis tra reportage, esotismo e narrativa, Istanbul, Edizioni Isis, 2017.
un’iconografia coreutica nell’immaginario coloniale italiano
lo scrittore ligure dedica svariati punti della narrazione a momenti di musica e di danza, che tuttavia, in certi casi, appaiono ben diversi rispetto a quelli osservati da Flaubert nella racchiusa stanza ove ballava KuchukHânem. De Amicis tratteggia infatti performances coreutiche pubbliche, inscenate all’aperto, magari legate a cerimonie o a ritualità di tipo religioso, e non di rado segnate da atteggiamenti e movenze tutt’altro che seducenti. Molte descrizioni di tal genere si rintracciano, per esempio, nel primo capitolo di Marocco, dedicato all’arrivo nella città di Tangeri. Qui lo scrittore ha occasione di ascoltare, per la prima volta, la musica araba, «barbara, ingenua e piena di dolcezza», e assistere alla singolare parata danzante della confraternita degli Aïssaua, i cui adepti, con le «faccie [sic] livide e convulse, cogli occhi fuori dell’orbita e la bocca schiumosa» e i «visi di febbricitanti e di epilettici», gli evocano alla mente «gli ossessi del Rubens, i morti risuscitati del Goya e il moribondo magnetizzato del Pöe». Sempre nella città portuale marocchina l’autore osserva svariati spettacoli di musica e di danza inscenati in occasione delle feste per la nascita di Maometto, durante le quali «lo strepito delle fucilate, gli urli dei cavalieri, lo scampanellio degli acquaioli, le grida festose delle donne, il suono dei pifferi, dei corni, dei tamburi, formavano tutt’insieme un frastuono inaudito, che rendeva più strano ancora quello spettacolo selvaggio [...]». Numerosi sono poi gli accenni e le evocative descrizioni, sparse nei vari capitoli, che De Amicis fa del lab el barod (il “gioco della polvere”) eseguito in onore della rappresentanza italiana; questa suggestiva esibizione, consistente in una turbinante parata di cavalieri dalle vesti multicolori che simulano una battaglia, viene spesso indicata con il più semplice e generico termine di fantasia – così la ricordava già Eugène Fromentin –, vocabolo che il linguista tedesco E. De Amicis, Marocco, Milano, Fratelli Treves, 1908 (Ia ed. Milano, Fratelli Treves, 1876), p. 31. Ivi, p. 58. Per quel che riguarda il «moribondo magnetizzato del Pöe», De Amicis pare qui riferirsi a The Facts in the Case of M. Valdemar, racconto sul tema del mesmerismo che l’autore americano aveva pubblicato nel 1845. De Amicis, Marocco, cit., pp. 62-63. L’autore ne parla, o quanto meno lo cita, nei capitoli relativi all’arrivo della legazione italiana a Tleta de Reissana, a Fez, a Mechinez (cfr. ivi, pp. 134-138, 283, 445). Sulla scia di Delacroix, che fra l’altro dipinge svariate fantasie arabe, Fromentin si distingue come pittore orientalista legato, in particolare, all’Algeria, e come autore di libri di viaggio a soggetto africano, quali Un été dans le Sahara del 1857 e Une année dans le Sahel del 1859; proprio in quest’ultimo testo compare una descrizione della scenografica e impetuosa fantasia (cfr. E. Fromentin, Une année dans le Sahel, Paris, Michel Lévy Frères, 1859, pp. 322-331), esibizione che a parere dello scrittore, alludendo e mimando la carica dei cavalieri in una battaglia,
daniel zilio, nicola orio
addirittura non più disponibili per il pubblico perché non mantenute correttamente o non aggiornate con l’evoluzione tecnologica. È auspicabile che, similmente alla figura dell’architetto che progetta gli spazi, sia considerata all’atto della creazione di uno spazio espositivo la presenza di una figura, che può essere inquadrata come “informatico museale”, che progetti, assieme all’architetto e al curatore del museo, soluzioni adeguate per realizzare quanto sopra descritto. Egli sarà quindi parte attiva nella fase di realizzazione, allestimento e mantenimento del museo collaborando con gli altri professionisti sin dal principio e non come semplice collaborazione esterna. Questa figura inoltre va ad ampliare l’elenco dei nuovi profili professionali che dovrebbero integrare quelli attualmente presenti nella classificazione proposta dall’ICOM. In sintesi, le competenze necessarie dovrebbero riguardare l’utilizzo delle tecnologie di smart heritage per l’interazione e il monitoraggio dei visitatori, su cui costruire esperienze personalizzate sia in base agli interessi che alle individuali capacità motorie, sensoriali e percettive. Non sono state trattate espressamente in questo contributo altre competenze generalmente ritenute tipiche del settore informatico, ovvero quelle legate al mondo del Web e dei social network che, pur importantissime per la funzione comunicativa del museo sia nel pre-visita che nel post-visita, richiedono una formazione più legate alla comunicazione e al marketing. Ovviamente a una nuova figura di “informatico museale” va associato un percorso di formazione e di ricerca che bilanci la cultura tecnica con un’approfondita formazione umanistica. Il settore delle digital humanities sta vivendo una continua espansione come argomento di ricerca interdisciplinare, partendo dall’analisi dei testi, all’elaborazione dei suoni e della musica per arrivare alle arti visive e al cinema. Un punto di incontro per gli studiosi di diverse discipline sono da anni le biblioteche digitali, e l’informatica museale potrebbe a buon diritto inserirsi in questo contesto.
M.G. Confetto, A. Siano, Museo e tecnologie digitali: profili professionali emergenti, «Il Capitale culturale», XV, 2017, pp. 103-135. Per dettagli si veda la Carta nazionale delle professioni museali http://www.ufficiostudi.beniculturali.it/mibac/multimedia/UfficioStudi/documents/1261134207917_ICOMcarta_nazionale_versione_definitiva_2008%5B1%5D.pdf
ILLUSTRAZIONI
manuel lafarga, javier alejano, penelope sanz
1. Portada del Tratado de Glosas
diego ortiz: un maestro de capilla espaol
2. Ortiz y el Círculo de Oro completo (5 pintores incluyendo a Benedetto Caliari, hermano del Veronés, a la derecha, en pie), más un piffanista sin rostro y dos presuntos cantantes, en pie, detrás de Tiziano (en rojo), probablemente también pintores
enrico lucchese
3. Pietro Longhi, Il rinoceronte, Venezia, Museo del Settecento Veneziano, Ca’ Rezzonico
una tela di pietro longhi
4. Pietro Longhi, Concerto di clavicembalo (Il cantante Gioacchino Conti detto Gizziello), part., collezione privata (foto Sergio Tenderini)
enrico lucchese
una tela di pietro longhi
7. New York Public Library for the Performing Arts, MUS RES *MP ITALIAN, Arias from Italian Operas of the 18th Century, vol. 4, p. 92 8. New York Public Library for the Performing Arts, MUS RES *MP ITALIAN, Arias from Italian Operas of the 18th Century, vol. 4, p. 94 9. Anton Maria Zanetti di Girolamo, Caricatura di Gioacchino Conti detto Gizziello, in Album Zanetti, Venezia, Fondazione Giorgio Cini 10. Alexander van Haecken (da Charles Lucy), Gioacchino Conti detto Gizziello, incisione mezzatinta
priscilla manfren
3. Achille Beltrame, Il Re in Somalia. Durante il viaggio di circa 2500 chilometri attraverso la terra somala, le popolazioni hanno eseguito pittoresche danze e fantasie in onore del Sovrano, copertina, part., «La Domenica del Corriere», XXXVI, 1934, 46, 18 novembre (foto dell’autrice)
un’iconografia coreutica nell’immaginario coloniale italiano
4. Giuseppe (Pippo) Oriani, Fantasia di Dubat, ubicazione ignota (foto d’epoca, tratta da U. Ortona, Le terre d’Oltremare e l’arte italiana contemporanea, Napoli, Edizioni della Mostra d’Oltremare, 1941, p. 147)
priscilla manfren
8. Edoardo Del Neri, Suonatrici di “tarabuka”, ubicazione ignota (riproduzione tratta da A. Piccioli, La porta magica del Sahara. Itinerario Tripoli-Gadames, Tripoli, Libreria Editrice Minerva, [1931], tav. a p. 413)
un’iconografia coreutica nell’immaginario coloniale italiano
9. Mariano Gavasci, Gadames. La “fantasia” delle etrie, ubicazione ignota (riproduzione tratta da A. Piccioli, La porta magica del Sahara. Itinerario Tripoli-Gadames, Tripoli, Libreria Editrice Minerva, [1931], tav. a p. 483)
priscilla manfren
10. D’Angelo, Un film preso dal vero, vignetta, «La Domenica del Corriere», XXXVI, 1934, 13, 1° aprile, p. 15 (foto dell’autrice)
ABSTRACTS
Giorgio Peloso Zantaforni Veronica Gambara, Bartolomeo Tromboncino e Antonio Caprioli: intrecci sul tema della Speranza Inside the fourth and fifth Frottole’s books, both printed in 1505 in Venice by Ottaviano Petrucci, there are two pieces that seem to dialogue with each other: Hor passata è la speranza, with text by Veronica Gambara and music by Bartolomeo Tromboncino, and Ritornata è la speranza, textually anonymous and with music by Antonio Caprioli. They show a series of references and internal echoes both on a literary and musical level. In the literary aspect, the compositional dependence of one on the other seems to be clearly visible; from the point of view of the compositional structure, there are also points of contact, even if they are mediated by distinctive traits common to the frottolistic genre, which lead us to reflect on the role of textual and musical quotations and on the relationships of intertextuality that this poetic-musical repertoire increasingly shows to have. All’interno dei libri Quarto e Quinto di Frottole, stampati entrambi nel 1505 a Venezia da Ottaviano Petrucci, trovano posto due brani che paiono dialogare fra loro: Hor passata è la speranza, con testo di Veronica Gambara e musica di Bartolomeo Tromboncino e Ritornata è la speranza, testualmente anonimo e con musica di Antonio Caprioli. Essi mostrano una serie di richiami ed echi interni sia a livello letterario che musicale. Nel primo aspetto la dipendenza compositiva di uno sull’altro testo pare distinguibile; dal punto di vista dell’assetto compositivo si notano altresì punti di contatto, seppur mediati da tratti distintivi comuni al genere frottolistico, che inducono a riflettere sul ruolo delle citazioni testuali e musicali e sui rapporti di intertestualità che sempre più spesso questo repertorio poetico-musicale mostra di avere.