Incontro e abbraccio nella scultura del Novecento. Da Rodin a Mitoraj, a cura di Alfonso Pluchinotta

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incontro e abbraccio nella scultura del novecento da rodin a mitoraj



incontro e abbraccio nella scultura del novecento da rodin a mitoraj a cura di Alfonso Pluchinotta

with english translation

ilpoligrafo


Incontro e abbraccio nella scultura del Novecento da Rodin a Mitoraj

con il patrocinio di

con la partnership di

Padova, Palazzo del Monte di Pietà 16 novembre 2019 - 9 febbraio 2020

sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica

mostra promossa da

in collaborazione con

con il contributo della

dipartimento di salute della donna e del bambino dell’università degli studi di padova

DPSS

Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione

dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università degli studi di padova

con il sostegno di


direzione della mostra

cura del catalogo

ringraziamenti

Alfonso Pluchinotta

Alfonso Pluchinotta

Vittorino Andreoli Filippo Crispo Salvatore Grimaldi Carmelo Lo Bello Cristina Mazagg Gilberto Muraro Elena Peruzzo Gian Paolo Pinton Giulio Sciacchitano Vera Slepoj Fausto Tonello Enrico Vandelli

in collaborazione con Maria Beatrice Autizi coordinamento Fiorenza Scarpa ufficio stampa Esseci, Padova

autori dei saggi Maria Beatrice Autizi Laura De Luca Giacomo Magrograssi Patrizia Manganaro Salvatore Piromalli Alfonso Pluchinotta Barbara Volpi

Peter Paul Eberle

progetto grafico e realizzazione editoriale

allestimento

Il Poligrafo casa editrice Sara Pierobon

progetto e grafica

Pastor - Servizi Speciali restauri Nereo Furlan Raffaela Portieri Laura Stefanello trasporti Gondrand Pastor - Servizi Speciali assicurazioni Assicurazioni Generali webmaster Inartis System, Abano Terme (PD)

crediti fotografici Massimo Bardelli Franco Capovilla Matteo Danesin Giovanni Fortunati Fabrizio Stipari Cristiana Zangrossi traduzioni Chiara Giacomini Elisa Stefanelli

maestri scultori: Giampietro Cudin Novello Finotti Elena Mutinelli Angelo Rinaldi Alfredo Sasso GabriĂŤl Sterk gallerie: Capozzi (Genova) Cesaro (Padova) Gare 82 (Brescia) La Teca (Padova) Jennmaur (San Francisco, CA) prestatori e collezionisti privati, in particolare: Carmelita Frattini Famiglia Nordera Dario Palma Lucia Robustelli Remigio Tonello


Le immagini alle pp. 12, 26, 42, 56, 70, 80, 100 sono tratte da Massimo Campigli, Liriche di Saffo, Venezia, Officina Bodoni, 1944

© Copyright novembre 2019 Il Poligrafo casa editrice ISBN 978-88-9387-106-8 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova via Cassan 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail: casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata senza il consenso dell’editore


indice

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Introduzione La scultura da Rodin a Mitoraj Introduction Sculpture from Rodin to Mitoraj Maria Beatrice Autizi

27 35

Il cammino dell’uomo e l’arte dell’incontro The journey of man and the art of meeting Alfonso Pluchinotta

43 50

L’Altro. L’Inafferrabile. La distanza nelle relazioni amorose The Other. The Elusive. Distance in romantic relationships Salvatore Piromalli

57 64

Empatia. Una grammatica del sentire Empathy. The grammar of feeling Patrizia Manganaro

71 76

Carezze. Un nutrimento irrinunciabile Caresses. A fundamental nourishment Giacomo Magrograssi

81 91

Elogio del tatto. La diserzione dal nostro senso più antico e consolatorio In praise of touch. The defection of our most ancient and comforting sense Laura De Luca


101 108

La trasformazione dei gesti nell’era digitale. Forme Vitali che reggono alla prova del tempo The transformation of gesture in the digital era. Vital Forms keeping up with time Barbara Volpi

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CATALOGO | CATALOGUE

120

Inizio | Inception

128

Formazione | Education

138

Cammino | Path

160

Incontro | Meeting

174

Azione | Action

192

Abbraccio | Hug

204

Attesa | Waiting

222

Lontananza | Remoteness

230

Compassione | Compassion

250

Epilogo | Epilogue

APPARATI

253

Note al catalogo | Catalogue endnotes

255

Indice degli artisti | List of artists


Non vivere su questa terra / come un inquilino / oppure in villeggiatura / nella natura / vivi in questo mondo / come se fosse la casa di tuo padre / credi al grano al mare alla terra / ma soprattutto all’uomo. / Ama la nuvola la macchina il libro / ma innanzitutto ama l’uomo. / Senti la tristezza / del ramo che si secca / del pianeta che si spegne / dell’animale infermo / ma innanzitutto la tristezza dell’uomo. / Che tutti i beni terrestri / ti diano gioia / che l’ombra e il chiaro / ti diano gioia / che le quattro stagioni / ti diano gioia / ma che soprattutto l’uomo / ti dia gioia. N. Hikmet, Forse la mia ultima lettera a Mehmet, in Id., Poesie d’amore, Mondadori, Milano 1993, p. 203 Don’t live in the world as if you were renting / or here only for the summer. / Remember: / in this world you must live aware / act as if it was your father’s house. / Believe in seeds, earth, and the sea, / but in people above all. / Love clouds, machines, and books, / but people above all. / Grieve / for the withering branch, / the dying star, / and the hurt animal, / but feel for people above all. / Rejoice in all the earth’s blessings, / darkness and light, / the four seasons, / but people above all. N. Hikmet, Last letter to my son



incontro e abbraccio nella scultura del novecento da rodin a mitoraj encounter and embrace in the sculpture of the twentieth century from rodin to mitoraj

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Massimo Campigli, Gioie d’Amore (tav. 3)


introduzione la scultura da rodin a mitoraj maria beatrice autizi

Evento importante per Padova è la mostra “Incontro e abbraccio nella scultura del Novecento da Rodin a Mitoraj”, un itinerario nella scultura all’insegna dei grandi temi esistenziali della vita dell’uomo. Le opere creano un percorso emotivo attraverso sezioni che raccontano l’incontro, gli affetti, la compassione, la solidarietà, la capacità di risollevarsi e di sentirsi parte di un unico universo. La mostra si trasforma così in una riscoperta dei grandi valori, sollecita riflessioni sulle potenzialità dell’uomo, sulla sua fragilità ma anche sulle sue capacità di ripresa e di aiuto. L’evento è inoltre l’occasione per ripercorrere gli sviluppi della scultura del Novecento, il secolo delle avanguardie, nel corso del quale gli scultori sperimentano i linguaggi più vari. Già nella seconda metà del XIX secolo il mito del progresso aveva generato un’euforica fiducia nelle future possibilità tecniche, scientifiche, nell’espansionismo coloniale e commerciale. Un clima positivo che aveva dato vita alle Esposizioni Universali, luoghi d’incontro internazionale, di mercato e occasione per promuovere le novità e il prestigio dei grandi stati. Si respirava aria di ottimismo nelle città europee, l’arte coinvolgeva un pubblico sempre più vasto e Parigi, dove si riversavano visitatori e artisti da tutta Europa, si avviava a diventarne la capitale. Le Esposizioni Universali, che si tengono nelle più importanti città del mondo, diffondono un grande entusiasmo di cui diventa emblema la Tour Eiffel, realizzata da Gustave Eiffel che, sfidando l’altezza, innalza una torre di ferro, meraviglia della tecnica, di 312 metri. Un’opera che avrebbe dovuto essere smontata dopo l’Esposizione di Parigi del 1889 e che invece è diventata iconica di un’epoca, un monumento che è ancora oggi il simbolo stesso di Parigi. Ma cos’è la Tour Eiffel se non un’enorme, gigantesca scultura di ferro, punto di riferimento dell’orizzonte parigino? Ci furono apprezzamenti e feroci critiche nei suoi confronti quando si decise di mantenerla, ma intanto una pietra miliare era stata posta. Una scultura che osava bucare il cielo, mimetizzata da architettura, entrava a far parte del panorama cittadino, come poi sarebbe accaduto in molte altre città, tra cui Bruxelles con l’Atomium del 1958 o la Fernsehturm (Torre della televisione) di Berlino del 1969, alta 368 metri. La forma diventa protagonista, anche se in realtà lo era sempre stata. La scultura, nel corso dei secoli, era entrata all’interno e all’esterno dei palazzi 13


e delle chiese, aveva celebrato personaggi illustri al centro delle piazze, ma ora occupava con decisione anche lo spazio urbano. Come accade alla pittura, nei primi anni del Novecento la scultura inizia a liberarsi gradualmente dei codici classici per abbracciare nuovi linguaggi, si adatta a materiali inediti, intensifica le valenze espressive e concettuali, invade gli appartamenti della borghesia; le collezioni escono dalle sedi costituite e si appropriano di nuove aree, spesso trasformano i giardini in gallerie e musei all’aria aperta. Un’invasione lenta ma altrettanto rivoluzionaria. Se la pittura, per le sue stesse caratteristiche, si inserisce nella bidimensionalità, la scultura, piccola o grande che sia, esige spazio, la sua forma diventa luogo, la valenza estetica si traduce in un contenitore di sensazioni, emozioni, sentimenti. Lo stesso approccio alla scultura da parte del fruitore è diverso rispetto alla pittura. La scultura si può toccare, accarezzare, con varie sensazioni rispetto alla materia, freddo il marmo e il metallo, gradevole il legno, e impressioni diverse, liscio e non liscio, derivano dagli altri materiali, la pietra, l’arenaria, il calcare, la terracotta, la ceramica, il vetro, la carta, la plastica. La forma stessa della superfice, arrotondata o spigolosa, abbozzata o rifinita, crea sensazioni. La scultura offre più possibilità di approccio rispetto alla pittura, perché viene percepita diversamente se l’osservatore si sposta e la guarda da punti di vista differenti, se le gira attorno o se la luce cambia. Nella mostra “Incontro e abbraccio” le opere non seguono l’ordine cronologico se non nel titolo che inizia idealmente, e non a caso, con Auguste Rodin, artista francese che rinnova profondamente la scultura della seconda metà dell’Ottocento, e si chiude con Igor Mitoraj, lo scultore polacco che creò il mito della bellezza attraverso un’immaginifica archeologia del contemporaneo. Panorama delle tendenze del Novecento, si trasforma in un itinerario attraverso i principali artisti del secolo, con opere di Rodin e dei suoi allievi più importanti, Émile-Antoine Bourdelle, Alfredo Pina, Georges Colin, Auguste Carli, di artisti rivoluzionari come Henry Moore e Marcel Duchamp, di precursori della scultura contemporanea come George Segal, Soler Etrog e Paul van Hoeydonck. La sequenza di artisti italiani comprende nomi molto importanti tra cui Arturo Martini e Pietro Canonica, ma anche Vincenzo Gemito, Ernesto Bazzaro, Francesco Messina, Luciano Minguzzi, Adolfo Lucarini, Angelo Frattini, Aurelio Nordera, oltre a scultori dell’ambiente padovano tra cui Amleto Sartori, famoso a livello internazionale per i suoi studi sulle maschere e la loro realizzazione, Luigi Strazzabosco, Carlo Mandelli, e artisti contemporanei tra cui Angelo Rinaldi e Giampietro Cudin. Non mancano, infine, le opere di molti artisti che si dedicarono sia alla pittura che alla scultura, come Pablo Picasso, Henri Matisse, Salvator Dalí, Fernand Léger ed Ernst Oldenburg, a dimostrazione di come la scultura abbia saputo percorrere le strade aperte dalle avanguardie pittoriche. Tra le artiste sono presenti in mostra le opere di Isa Pezzoni, allieva di Laurens e Giacometti, la spagnola Julia Fabregas, Raffaella Robustelli ed Elena Mutinelli.

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Il percorso espositivo inizia con la grande opera di Arturo Martini (18891947), Figliol Prodigo (1926, cat. 1), realizzata dall’artista dopo la scomparsa del padre. Immerso nel clima delle avanguardie, Arturo Martini, soggiorna a Parigi, partecipa alla Secessione romana, espone alla mostra “Libera Futurista”, alla Biennale di Venezia e alle prime due mostre di Novecento. Attento alle tendenze contemporanee, riesce a intrecciare valenze del passato con il ritorno all’ordine di Valori plastici, elaborando uno stile autonomo basato su un uso lirico della materia e della forma, dove il sentimento mantiene sempre un ruolo fondamentale. La scultura del Figliol Prodigo dà forma all’amore tra il genitore e il figlio che ritorna pentito a casa. Il giovane, magro, con la schiena nuda e le spalle curve, sembra piegato dal dolore, mentre il padre, avvolto da un ampio mantello, lo fissa commosso. I gesti, umanissimi, diventano emozione, le mani dell’uno esplorano con pudore la fisicità dell’altro, il figlio accarezza il genitore, mentre il padre sembra aggrapparsi a lui facendo fronte con la rigidità alla commozione dell’incontro, in un atteggiamento che prelude a un abbraccio. Il gruppo va al di là del tema evangelico, assume una valenza simbolica, contrapponendo i limiti della giovinezza alla stabilità della vecchiaia, l’incoscienza alla saggezza. Poiché rielabora anche la realtà personale dell’artista, che aveva da poco perso il padre, l’incontro si trasforma in saluto, in commiato straziante, sia pure nella certezza che l’amore andrà oltre il tempo. Le numerose e intense valenze dell’opera di Martini trasformano il singolo episodio in un’essenza di tutte le tematiche affrontate dalla mostra, l’incontro e lo scontro, la formazione e l’insegnamento dei valori, il cammino, il mito come recupero del passato, l’azione, il tatto e la carezza, la riflessione, l’attesa, la vicinanza e la lontananza, l’empatia, la compassione e l’aiuto. Nella parte iniziale, tra i molteplici linguaggi, si incontrano le due sculture di Virgilio Guidi (1891-1984) (catt. 8, 9), pittore, poeta e scultore affascinato dalla essenzialità delle forme. Orientato a tornare sugli stessi argomenti per approfondirli e sottoporli a un processo di semplificazione, l’artista ha dato più versioni di uno stesso soggetto, come nel caso dell’Incontro, cui ha dedicato alcune opere pittoriche e scultoree. Il bassorilievo in bronzo Ohne Titel (Drei Personen) (1990 ca, cat. 11) di Ernst Oldenburg (1914-1992), scultore e pittore espressionista tedesco, interpreta l’incontro come relazione interpersonale, dove le figure sembrano fondersi una nell’altra, diventando un unicum di cui entra a far parte lo spazio stesso. Il Bacio dell’Angelo (2003, cat. 4) di Igor Mitoraj (1944-2014) traduce la vicinanza in un malinconico abbraccio tra due figure mutile. Scultore polacco, Mitoraj è celebre a livello internazionale per i suoi frammenti, busti maschili e volti, anche di grandi dimensioni, che si pongono come residui del tempo ormai trascorso, archetipi ed evocazione di un mitico mondo antico. Grande innovatore della scultura moderna, Auguste Rodin (1840-1917) ne La mère (1895, cat. 13) interpreta come fusione di corpi l’abbraccio di una madre seduta che stringe a sé il suo bambino. Nelle sue opere Rodin, che in Italia scopre il linguaggio plastico di Michelangelo, vuole liberare lo spirito e

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la bellezza racchiusi nella materia, esalta la fisicità dei personaggi femminili e maschili senza escludere la sensualità intrinseca dei loro corpi e, staccandosi dalle convenzioni, crea un inedito, anticonvenzionale realismo espressivo. A lui si devono alcuni principi estetici della scultura contemporanea e sua è l’intuizione, seguita da molti artisti, che un frammento può contenere una forza espressiva più intensa dell’intero corpo. Egli dimostra che i bozzetti, come venivano chiamati un tempo, cioè le esercitazioni fatte in studio relative all’analisi di una parte del corpo, possono assumere la dignità di un’opera d’arte completa come dimostrano le splendide mani di Sans Titre (1900 ca, cat. 60) esposte in mostra. A raffigurare i molteplici significati dell’uomo in “Cammino” sono le sculture che raffigurano l’avanzare a volte faticoso dell’uomo nelle esperienze della vita, come Towards the Unknown (1910 ca, cat. 22) di Lorado Taft (1860-1936), artista statunitense autore di famosi monumenti a contenuto psicologico, e il Diogenes (1920 ca, cat. 24) di Eugène Marioton (1854-1933), artista parigino ancora legato alla tradizione neoclassica. Antieroici sono i protagonisti di Der Schreitende (L’uomo che cammina, 1984, cat. 36), di Ernst Oldenburg, immagine di un uomo esile e disperato che avanza faticosamente, del drammatico Sans Titre (1920 ca, cat. 34) di Auguste Carli (1868-1930), autore di importanti monumenti a Marsiglia, e di Le Vaincu (Il Vinto, 1920 ca, cat. 35), eroe piangente di Alfredo Pina (1887-1966), scultore italo-francese. Ricco di pathos è l’avanzare di Burgher (Andrieu de Andres) (1907, cat. 37), di Auguste Rodin, una delle figure del monumento dedicato a I borghesi di Calais, sei cittadini che nel corso della Guerra dei Cento Anni si sacrificarono per la liberazione della città. È un modo inedito di celebrare l’eroismo quello di Rodin, perché l’uomo avanza con il cappio al collo in un atteggiamento disperato. Le vesti, magistralmente modellate, sembrano bloccare il movimento e accentuano la tragicità del momento. Rincorre le sue fantasie l’Alma del Quijote (1969, cat. 26) di Salvator Dalí (1904-1989), pittore spagnolo che, all’insegna del Surrealismo, diede un’interpretazione della realtà con metodo paranoico-critico, com’egli stesso ebbe a dire. Il suo cavaliere errante, Don Chisciotte, plasmato di pura materia, ha solo il corpo, e le armi sono la sua fantasia. Eppure, senza cavallo, senza lancia e senza scudo, egli si slancia in avanti correndo, pronto ad affrontare il nemico. Nella sezione dell’“Incontro”, dove le opere parlano dei diversi modi di incontrarsi, diventa simbolica la scultura Two Figures (1970 ca, cat. 56) di Henry Moore (1898-1986), un’opera astratta dove le figure che si fondono insieme sono due personaggi indistinti e, come tali, possono rappresentare indifferentemente la madre e il figlio, un uomo e una donna, o due amici. Grande innovatore del linguaggio plastico, lo scultore inglese ha quale fonte d’ispirazione gli stimoli visivi provenienti dal paesaggio, dalle rocce, dall’anatomia umana e animale. Per anni indaga il corpo umano che lui ritiene capace di stimolare un’infinità di interpretazioni, arrivando a realizzare grandi figure, ideali simboli del femminile. Poi, partendo da forme piene, Moore introduce nelle sue opere lo spazio, servendosi di fori e buchi profondi, lasciando che l’aria attraversi la forma plastica con il suo spirito vitale.

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La sezione dedicata all’“Azione”, oltre che dalle mani Sans Tirtre di Auguste Rodin, ospita le mani astratte Knotted Hand (1962, cat. 63) di Soler Etrog (19332014), artista israeliano-canadese di origine rumena, La main longue (1964, cat. 61) del belga Paul van Hoeydonck (1925-), le mani spezzate a metà Senza Titolo (Mano) (1973, cat. 64), di Agostino Pisani (1937-), e le mani aptiche, ossia multisensoriali, dotate di occhi, labbra e naso, della significativa composizione Sans Titre (1990 ca, cat. 65), attribuita a Louise Bourgeois (1911-2010). Esprime una grande energia vitalistica la mano che sembra voler afferrare lo spazio, Helping Hand (1970 ca, cat. 62), di Pablo Picasso (1881-1973), il grande maestro del Cubismo, che si dedica con passione alla scultura attratto dalla sua fisicità e dalla possibilità di utilizzare materiali eterogenei. Nella sottosezione “Tatto-Carezza” si susseguono le opere di Lorenzo Quinn (1966-), Aprés l’amour (2002, cat. 70), dove la mano maschile si sovrappone a quella femminile, e di Anamaria Vieira (sec. XX), O toque das maos (2000, cat. 71), le cui mani affusolate sembrano dialogare tra loro. George Segal (19242000), scultore statunitense famoso per i suoi calchi in gesso di persone a grandezza naturale, è uno dei più importanti esponenti della Pop art. Nelle sue due opere, Beauty and Strength (1979, cat. 72) e Two Hands II (1978, cat. 73), l’artista riduce le mani a frammenti di anatomia pietrificata, elementi imbalsamati per l’eternità, chiusi in una sorta di capsula atemporale, per portare con sé non solo la forma ma anche le sensazioni che hanno saputo trasmettere. Originale e provocatoria, Prière de toucher (1947, cat. 76) è l’opera di Marcel Duchamp (1887-1968), ideata per la copertina del catalogo della prima mostra surrealista del 1947, che rappresenta un seno femminile appoggiato su un panno di velluto nero. Ironico, polemico, dissacratore, quando nega la qualità estetica dell’opera d’arte e afferma che qualsiasi oggetto può diventare tale, Duchamp distrugge qualunque legame con il passato e apre la rivoluzionaria strada della concettualizzazione. Singolare l’opera Touchez donc! (1930 ca, cat. 77), di Luc Albert Moreau (1882-1948), in cui la potenza del tatto è enfatizzata da polpastrelli ipertrofici che anticipano the sensory homunculus, la rappresentazione della figura umana con parti del corpo (s)proporzionate in base alla loro sensibilità. Infine, nella scultura di Remo Brindisi (1918-1996) Senza Titolo (1990 ca, cat. 75), ceramica dipinta, una madre accarezza con tenerezza il collo del bambino. L’artista si serve del colore per rendere viva l’immagine con un originale linguaggio neofigurativo più immediato. Avvincente la sezione dedicata all’“Abbraccio” che comprende, tra l’altro, Abisso (1910 ca, cat. 83), di Pietro Canonica (1869-1959), gesso preparatorio della omonima scultura conservata al Museo Pietro Canonica di Villa Borghese a Roma. Fitti intrecci, movimenti avvolgenti delle braccia e incroci delle mani che danno unità ai corpi avvinti dalla forza prorompente dell’abbraccio si ritrovano anche in Umarmung (Abbraccio, 1922, cat. 82), di Robert Ullmann (1903-1966), un gesso patinato di straordinario effetto emozionale, e nel bronzo sensuale Pregrŭdka (Abbraccio, 1960, cat. 86) di Assen Peikov (1908-1973), lo scultore della monumentale statua di Leonardo da Vinci nell’aeroporto di Roma. Nella sezione “Attesa”, riconducono alla “Riflessione” una serie di opere molto eterogenee. Tra queste spicca Sans Titre (Homme assis) (1910 ca,

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cat. 92) di Henri Matisse (1869-1954), opera dalla forte intensità plastica che raffigura un uomo seduto assorto nei suoi pensieri. Matisse è considerato il più importante pittore della corrente francese dei Fauves, i cui artisti stravolgevano la realtà semplificandone le forme e accentuando i colori. Scultore attento e sensibile, Matisse vede nella scultura un mezzo per trovare nuove soluzioni stilistiche, per esprimere tridimensionalmente i suoi pensieri, e più volte dipinge nei suoi quadri piccole sculture. Interessante la scultura Il Pensieroso (1920 ca, cat. 93), di Ernesto Bazzaro (1859-1937), artista in contatto con la Scapigliatura, che sarà determinante per la sua formazione. La Gedankenkopf (Testa di pensieri, 1978, cat. 104), di Rainer Kriester (1935-2002), sembra suggerire che i troppi pensieri precludono la possibilità di esprimersi correttamente, impedendo di vedere e di parlare, per questo le mani si stringono sul viso e chiudono la bocca. Man and mirror (1978, cat. 94), di Alfredo Sasso (1946-), usa uno specchio immaginario per creare un confronto tra un uomo e la sua immagine scultorea. Entrambe le figure, intercambiabili e in tensione reciproca, sembrano interrogarsi sul senso di fare scultura, di cercare un’aderenza alla vita, di avere una sopravvivenza in futuro. L’“Attesa” è dominata dalla Penelope (1907, cat. 105) di Emile-Antoine Bourdelle (1861-1929), allievo di Rodin che sembra voler realizzare una controparte al femminile del Pensatore del maestro, con una Penelope imponente, nella quale tutto serve a creare un effetto di massa vitale. Le pieghe della tunica, come scanalature di una colonna, si adagiano sulle forme, mentre le braccia allacciate ispirano un senso di raccoglimento e ne fanno una figura solitaria. Rappresenta una donna che si affaccia alla finestra appoggiandosi a una balaustra immaginaria la scultura di Angelo Frattini (1910-1975) Duplice Attesa (1962, cat. 106). La giovane, che si sporge guardando in lontananza, è in attesa del compagno mentre essa stessa attende un bambino. Nella sezione della “Lontananza” troviamo tutte le forme di involontario allontanamento. Dal bronzo Fuga in Egitto (1960 ca, cat. 113) di Carlo Sessa (1909-1974), alle slanciate figure in legno di rovere di Karl Mohr (1904-1991) (cat. 117), alla grande terracotta Famille en exil (1920 ca, cat. 114) di René Pajot (1885-1966), allievo di Rodin, al bronzo massiccio Emigranti (1900 ca, cat. 115) di Gennaro Raiano (1856-1916), al legno circolare Exodus (1960 ca, cat. 116) di William J. Bluman (sec. XX), all’Exodus I (1998, cat. 112) di Yetty Elzas (1934-), un’artista che rappresenta i temi della diaspora e dell’identità per riflettere sul destino degli uomini, siano essi sopravvissuti a una guerra o costretti a una lotta introspettiva. Altrettanto importante la varietà e l’importanza delle sculture della sezione “Compassione”. Tra queste, Disperazione (1950 ca, cat. 118), pietra scolpita di Toni Boni (1907-1980), il drammatico alluminio Vietnam (1970 ca, cat. 120) di Claudio Trevi (1928-1987), la misteriosa scultura in marmo nero Perdono (1990 ca, cat. 126) di Raffaella Robustelli (1939-2008), il bassorilievo in bronzo della tedesca Tisa von der Schulenburg (1903-2001) Der Barmherzige Samariter (Il Buon Samaritano, metà del XX secolo, cat. 129), e San Carlo visita gli appestati (1960 ca, cat. 128) di Luciano Minguzzi (1911-2004), opera simile a quella inserita nella V Porta del Duomo di Milano.

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Infine, una sintesi della riflessione, ma anche dell’angoscia, della reciproca vicinanza e della solidarietà, quasi a raccogliere le ultime sezioni della mostra, l’opera Untitled (Two seated figures) (1960 ca, cat. 47), proveniente dall’atelier americano di Jacques Lipchitz (1891-1973) e attribuibile a uno dei suoi allievi. L’uomo e la donna sono seduti una accanto all’altro, apparentemente chiusi nei propri pensieri. La mano di lui sulla spalla della donna e il gomito di lei sulla gamba dell’uomo uniscono emotivamente i due personaggi, e la solitudine diventa incontro, sostegno.

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Massimo Campigli, Lontanza (tav. 7)


il cammino dell’uomo e l’arte dell’incontro alfonso pluchinotta

Beato l’uomo il cui aiuto è in te, che ha sentieri nel suo cuore. Salmo 84,6

Un buon incontro ci trasforma, ci fa sentire diversi. Potersi incontrare e confidare l’uno nell’altro, ascoltando ognuno parole diverse, può cambiare le prospettive della nostra storia fino ad attribuire a essa nuovi significati. Sappiamo che senza gli altri, quelli che veramente contano, la nostra esistenza sarebbe impossibile, ma pochi considerano che senza gli altri sarebbe impossibile anche un giusto pensiero di noi stessi. «La vita, amico, è l’arte dell’incontro» è un verso di Vinicio de Moraes, che ci ricorda come nell’incontro abbiamo la possibilità di esercitare una vera arte, quella di ottenere il meglio di noi stessi. Possiamo, ma anche dobbiamo, cogliere questo tipo di opportunità in quanto si tratta di un vantaggio reciproco che, in quanto tale, assume anche un significato etico. Infatti ogni «incontro possibile, non già necessario», implica delle scelte responsabili che non possono essere date per scontate ma che richiedono la messa in opera di un decidere in piena libertà. Come per una buona amicizia, si può affermare che il buon incontro non dev’essere solo apprezzato in quanto tale (intenzionalità contemplativa), ma deve essere anche provato come fattore di trasformazione sociale (intenzionalità pratica). Se, a livello individuale, potremmo dire con Maurice Barrès, che «non è la ragione che ci dà una guida morale, ma la sensibilità»1, a livello sociale l’argomento diventa ancora più vasto. Possiamo farci guidare dall’etica della convinzione (che si attiene a princìpi assoluti assunti a prescindere dalle conseguenze cui essi possono condurre), oppure dall’etica della responsabilità, che agisce tenendo sempre presenti le conseguenze del suo agire, anzi è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce (Max Weber)2. Due etiche opposte e inconciliabili, quella della convinzione e quella della responsabilità, che fanno capo a due diversi modi di intendere la società civile: l’etica dei princìpi e delle convinzioni è un’etica apolitica e opportunistica; al contrario, l’etica della responsabilità è indissolubilmente connessa alla politica, proprio perché non perde mai di vista (e anzi le assume come guida) le conseguenze dell’agire nella polis, nel nostro vivere sociale finalizzato al benessere fisico e mentale. Anche l’arte non dovrebbe solamente compiacere la nostra sensibilità, ma avere la pretesa di allargare le nostre esperienze di vita. È quello che ci siamo proposti di fare attraverso questa mostra di sculture, alcune fortemente espressive, altre didascaliche, altre da scoprire nel loro essere semiastratte. E non solo. Poiché nel presente siamo diventati “osservatori frettolosi” di tut27


to, abbiamo cercato di interessare il visitatore con tematiche coinvolgenti che predispongono alla sensibilità in un gioco artistico di immancabili emozioni. Siamo infatti convinti che le emozioni dicono quello che avviene in noi, nella nostra psiche, nella nostra interiorità, nella nostra anima. In definitiva le emozioni sono forme di conoscenza e forse – come afferma Ezra Pound – «senza emozione non vi è intelligenza». La scelta delle opere abbraccia un insieme di temi in dialogo tra loro: il cammino della vita, l’incontro, la relazione, la lontananza, l’attesa, l’empatia e la compassione. Il percorso espositivo intende offrire una visione dell’Uomo che si vorrebbe più ampia e positiva, in contrapposizione a chiusure, indifferenza o disimpegno. Nell’epoca digitale, l’Umanesimo appare sempre più lontano, scavalcato (ma non domato) dalla velocità e dalle nuove possibilità di comunicazione, che limitano l’esercizio dell’attenzione e della riflessione, il farsi della sedimentazione e della memoria, la dimensione reale e rispondente dei contatti. L’opera d’arte scultorea si fa qui sollecitazione, introspezione, ricerca delle forme e dei gesti. L’arte plastica esalta la complessità dei volumi e richiama l’attenzione sul dettaglio, aspetto valorizzato dalla possibilità data ai visitatori di rigirare e toccare alcune delle opere in mostra. Soprattutto la figura umana a più dimensioni suscita osservazioni diverse, invita a riflettere sulla vita, le sue grandezze e le sue fragilità, più di quanto potrebbero le immagini bidimensionali di uso comune. Ci stiamo diseducando alla tridimensionalità, al tatto, alla durata che genera rappresentazione, avvertendoci così del rischio di diventare meno capaci di cogliere le disposizioni dell’animo e dell’affettività. La mostra percorre diverse tematiche, tutte dense di concetti e meritevoli di approfondimenti. CAMMINO  Per Eugenio Borgna il cammino quotidiano di ogni persona si rivela inquietamente simile al cammino dell’emigrante, caratterizzato dall’ignoto:

[...] noi andiamo continuamente incontro all’ignoto, alle infinite forme che l’ignoto assume nelle cose ultime della vita e della morte, e che in mille modi si manifesta nella nostra vita, e in quella degli altri. L’ignoto nasconde i nostri pensieri, e le nostre emozioni, e a volte appare improvvisamente nel volto di una persona, o nel mio volto, che si riflette in uno specchio, e che non mi è possibile riconoscere.3

Un ignoto al quale vorremmo fare molte domande, senza sperare di avere delle risposte. Troppi buoni propositi ci potrebbero illudere su un mondo che non esiste se non nelle intenzioni, su un’impresa di cui non è garantito il risultato, su un cammino con una meta a dir poco incerta, insomma su una utopia. Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.4 AZIONE  L’agire individuale che costruisce, che inizia e re-inizia (qualche inizio parte anche dalla fine di qualche altro inizio), è un concetto ripreso più volte da Luce Irigaray che più specificatamente parla di un costruire il tra-due, lo spazio di un cammino, un passaggio, un ponte...:

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[...] tale spazio che proviene dal ritegno dall’altro o verso l’altro esige da noi rispetto, ma un rispetto che dovrebbe essere non reticente ma operativo, un motivo di trasformazione di tale spazio che dovrebbe condurre ad una sorta di cammino, di passaggio, ad un ponte che si stabilisce tra l’uno e l’altro, una costruzione tradue. Occorre preparare le vie che ci consentano di andare verso l’altro e inoltre di ritornare a noi stessi, favorire tragitti e luoghi in vista dell’incontro che preservino la singolarità di ciascuno e non aboliscano il due in un’unità definitiva, quindi senza vita, fittizia.5

Per questo non è sufficiente solo il desiderio di incontrarsi, ma vi deve essere pure la determinazione a superare le difficoltà e persino correre il rischio che non ci sia nessuno ad aspettarti o a corrisponderti. INCONTRO  Vi sono diversi modi di incontrarsi. Un tipo d’incontro è quello capace di suscitare in noi una reazione moderata e spassionata: osserviamo l’altro così come si presenta, mettendo insieme i vari elementi, facendo le nostre considerazioni, giudicando a livello puramente cognitivo senza farci coinvolgere emotivamente. Un altro tipo d’incontro è invece quello in cui l’altro ci colpisce, agisce sui nostri impulsi volitivi, così che, oltre a concentrarci sulla sua persona, ci occupiamo delle nostre reazioni interiori nei suoi confronti. Si potrebbe affermare che il primo tipo ci porta a conoscere l’altro, mentre il secondo ci aiuta a conoscere meglio noi stessi. Solo in questo caso i tempi della conoscenza si allungano, le relazioni diventano più complesse e, per quanto meno istintive, comportano molti più vantaggi ma anche incertezze ed errori. Tra il disinteressarci dell’altro e il desiderio di comprenderlo attraverso la sua apparenza esterna, tra il minimo e il massimo d’interessamento, c’è una serie infinita di gradi intermedi che costituiscono i livelli d’intensità dell’ascolto. In ogni caso, ogni vero incontro ha una sua tensione, una sua capacità di agire, che lascia una traccia che ci cambia, sia pure in maniera impercettibile. CONTATTO  Toccare è senza dubbio l’aspetto non verbale più universale

nelle interazioni interpersonali. Il contatto con l’altro suscita il riconoscimento della propria esistenza, la volontà di andare avanti, di aprirsi al mondo, esprime il desiderio di entrare in relazione profonda con chi si ha di fronte, di accarezzare il viso di chi si ama, o più semplicemente la mano di un anziano, di un amico, di un bambino. Sono attimi unici e irripetibili nei quali c’è uno scambio di emozioni forti fra chi accarezza e chi riceve la tenerezza del tocco. Sono situazioni in cui le parole non riescono a esprimere le proprie sensazioni e forse potrebbero suonare come una stonatura e rovinare l’incanto. Nessuno mai semplicemente tocca l’altro, ma solo e sempre ci si tocca. Infatti, a differenza di altri sensi, il tatto necessita di con-tatto. Attraverso il con-tatto sentiamo simultaneamente sia il nostro corpo che qualcosa o qualcun altro essere senziente. Perciò il tatto è la piega tra noi stessi e ciò che è altro da noi, ed è solo attraverso questa zona di intimità che è possibile il sentire. Il tatto è il senso che più di ogni altro può essere considerato il trait-d’union fra corpo e mondo, Sé e Altro, pensiero e percezione, materia e spirito.

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caresses. a fundamental nourishment giacomo magrograssi

If, like Aladdin, the Genie would offer us to rub the lamp to achieve anything we desire – even if limited by the condition that no one will find out what we are about to obtain – we would consider it a convenient offer. However, as soon as we realise the real meaning of “no one will find out” we will probably be disappointed. After an initial exhilaration, any desire projected under this inexpressible condition will lose its charm. Every realisation that involves the relationship with others will be excluded from this circumstance, because those people will be informed about what we are doing. What is the meaning of possessing material goods if no one can see and experience them with us? What is the purpose of travelling or explore new places in solitude if our discoveries and our experiences cannot be revealed? Why gaining more knowledge if we cannot share it with anybody? These observations make us understand how, once we satisfy the minimum and physiological conditions of existence, the meaning of our actions in the world is connected more to the social context where the action is expressed rather than to the choice in itself. Since our choices revolve around the concept of avoiding any “pain” or achieving “pleasure”, our unintentional guide is always the Other, both in the generous actions and in the heinous ones. Thoughts of this kind, moving up to the social sphere in order to attain the motivation for acting, are found randomly scattered throughout our history of literature and philosophy. An interesting observation on the theme has been made from Abraham Maslow with his «Hierarchy of needs», portrayed in the shape of a pyramid with the largest, most fundamental physiological needs at the bottom (such as homeostasis, food, sex, sleep etc.). once a person’s physiological needs are fulfilled, we proceed to more acquired emotions, for instance safety needs, feeling of belongingness, self-esteem and self-respect needs and eventually the need for self-actualisation and transcendence, the very highest and most inclusive or holistic levels of human consciousness, at the top. Despite Maslow’s theory was fundamental to systematically explain the concept of need/motivation, it has been contested by many as simplifying to much the complexity and importance of psychological needs. Let us see why. In the 50s, René Spitz carried out a series of studies on infants. In one of them, Spitz followed a group of 90 babies raised in an orphanage, where the 76


babies were more or less cut off from their mothers contact in their cribs. In the first period, the state of development of the babies was stable and similar to the other babies equal in age of the region. At the age of three months, after weaning, a nurse who had to take care of an average of ten children at a time raised them. They received adequate care, but no kind of mother affection. (that is they where treated as objects to take care for). After being separated from their mothers, these babies went through different stages of weakening: they suffered from apathy, infections, insomnia, weight loss, motor delay, facial muscles rigidity, aggressive behaviour and even self-violence. The deterioration constantly progressed and, by the end of the second year of life, 34 children were dead (37%). After appropriate testing, the development of the survivors was only on the 43% compared to that of children raised in normal family settings: it is the level of mental retardation. Simultaneously, Spitz could observe that in another institution where babies were raised from their own mothers none of the 220 kids died in the first four years of life. Around the same time, John Bowlby studied the infant-mother bond from the first instant of extrauterine life. He adopted experimental and direct observational methods, that allowed him to make the documentary film A Two-Year Old Goes to Hospital (1952), which illustrated the impact of loss and suffering experienced by two years old child separated from her families before going to the hospital. In contradiction with the psychoanalyst ideas of the age, Bowlby was able to demonstrate the significant importance of the caregiver figure for the future balance and for an adequate psychic development of the child, underlining the relevance of a persistent relationship with the family sphere. A further step in the neonatal field comes from Daniel Stern: his studies, starting from videotapes of the infant-mother bond, proved the existence of interpersonal relationships emerging, and later on consolidating, from the first moments of breastfeeding, nursing, caring. Thus, the base of Maslow’s pyramid is not only formed by physiological needs and an adequate amount of food, shelter, sleep etc. but also a need for sensory stimulations is arisen from the beginning, and without them the development mechanism does not run or, if started, it will stop. This is what Spitz proved. His conclusions gave Eric Berne the validation to assume an essential human need, a real hunger for sensorial stimulations, which feed life. Being held, hugged, cradled, hearing human voice, being able to experience with your body the body of who and what is next to you, are all fundamental nourishments for the child, equal to the craving for food. Salimbene de Adam, a friar, theologian and chronicler of the Holy Roman Emperor Frederick II (XVI century), in his Chronica (“Chronicle�) narrates how the Emperor curiosity encouraged him to embark upon an experiment to determine if there was an original language of mankind. He raised young infants with language deprivation: the nurses were ordered not to interact with the children, they could be fed and bathed, but not to be spoken under any circumstances. Eventually the children, starved from any form of affection, warmth and basic interaction, died, quite simply, of a lack of love.

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catalogo catalogue

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1 Arturo Martini

Figliol Prodigo, 1926 bronzo a patina medaglia cm 219 (h) ∞ 149 ∞ 100 Acqui Terme, Casa di Riposo “Jona Ottolenghi”

Martini rivisita il brano evangelico del Figliol Prodigo, imprimendovi il segno della forza immediata dei sentimenti. Due figure di eguale grandezza si incontrano lentamente, definendo il gesto in cui l’incontro culmina: l’abbraccio della riconciliazione, nel quale il figlio sembra gettarsi con tutto il peso del suo pentimento. Nella fissità dello sguardo del padre si legge il tempo dello smarrimento, che prelude al momento del riconoscimento. Nelle sue mani protese, l’una posata sulla spalla, l’altra a sorreggere il corpo del figlio, il padre porta la rivelazione dell’Amore che, trasceso il suo sgomento, si fa spazio tra luci e ombre, tra esitazione e stupore e si riversa nella piena accoglienza dell’abbraccio.

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Martini revisits the evangelical Prodigal Son, giving it his own imprint of the immediate strength of feelings. Two figures of equal size meet slowly, defining the gesture in which the encounter culminates: the embrace of reconciliation, in which the son seems to throw himself with all the weight of his repentance. In the astonished glance of the father we read the time of loss, its prelude to the moment of recognition. In his outstretched hands, one resting on his shoulder, the other supporting his son’s body, the father transmits the revelation of Love which, passed his dismay, makes space between light and shadow, between hesitation and amazement and pours into the full acceptance of the embrace.


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uguali / diversi similar / different

2 Carl Brunotte

Mutter Erde (Madre Terra), 1917 legno di tiglio firmato «C. Brunotte», datato «1917» cm 55 (h) ∞ 60 ∞ 35 coll. priv.

Rappresentazione allegorica della Madre Terra, nella forma di una figura femminile con le braccia aperte e un’ampia veste sagomata con poche pieghe lineari. Da questa raffigurazione altri scultori, tra cui Ernst Barlach, hanno cercato di cogliere ancora più intensamente l’ispirazione al mistero della Natura e dell’Uomo, al ripensamento e alla riflessione su di sé.

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Allegoric representation of Mother Earth, in the form of a female figure with open arms and a wide shaped gown with a few linear creases. An image that has inspired many other sculptors. Ernst Barlach has made two similar versions, trying to express even more intensely the feeling of rethinking, of reflecting on the self, of recollection.


3 Angelo Rinaldi

Una Famiglia, 1970 ca bronzo a patina verde cm 85 (h) ∞ 69 ∞ 40 Padova, Galleria La Teca

Tutti gli uomini hanno un volto, un’espressione, un temperamento. Lo stesso i fiori e gli animali: alcuni sembrano sorridere e altri esprimono tristezza; alcuni appaiono pensierosi e diffidenti mentre altri ancora sono semplici e aperti. La Madre Terra ci insegna – come scrive Henri Matisse – che «ci sono fiori ovunque per chi è disposto a vederli». Questo può volerci dire questa Famiglia, in cui i fiori formano un insieme in piena libertà, in armonia tra loro, sebbene diversi l’uno dall’altro.

Every man has a face, an expression and a temperament. It is the same for flowers and animals: some seem to smile while others look sad; some look pensive and defensive while others seem simple and open. Mother Nature teaches us – as Henri Matisse writes – that «there are always flowers for those who want to see them». This can tell us this Family, where flowers freely form an ensemble, in harmony with each other, even if they are all different.

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formazione education

Insegnare è imparare due volte Joseph Joubert, Riflessioni, 1779 3 To teach is to learn twice over

Attraverso il contatto delle mani il bambino capta tutto: il nervosismo o la tranquillità, l’incertezza o la sicurezza, la tenerezza o la violenza. Sa se le mani lo desiderano. O se sono distratte. O, ciò che è peggio, se lo rifiutano. Davanti a delle mani premurose, affettuose, il bambino si abbandona, si apre. Davanti a delle mani rozze, ostili, si isola, si nasconde, si chiude. Di modo che, prima di animarsi a inseguire le onde che percorrono il suo piccolo corpo, basta lasciar riposare le mani immobili sul bambino. Delle mani che non devono essere inerti, distratte, assenti. Ma delle mani attente, vive, che inseguano e osservino il minimo sussulto del bambino. Mani leggere, non autoritarie. Che non chiedono nulla. Che sono semplicemente lì. Leggere, ma piene di tenerezza. E di silenzio. Frédérich Leboyer, Per una nascita senza violenza, 1975 4 But our hands may also remain immobile. The hands that touch the child reveal everything to it: nervousness or calm, clumsiness or confidence, tenderness or violence. The child knows if the hands are loving. Or if they are careless. Or worse, if they are rejecting. In attentive and loving hands, a child abandons itself, opens itself up. In rigid and hostile hands, a child retreats into itself, blocks out the world. So that before we even think of recreating the prenatal rhythms which once flowed around this little body, we must let our hands lie on it motionless. Not hands that are inert, perfunctory, distracted. But hands that are attentive, alive, alert, responsive to its slightest quiver. Hands that are light. That neither command nor demand. That are simply there. Light... and heavy in the weight of tenderness. And of silence.

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13 Auguste RODIN

La mère, 1895 bronzo a patina bruna lucida firmato «A Rodin» cm 22 (h) ∞ 14 ∞ 12 coll. priv.

L’abbraccio tra madre e figlio si compie secondo un movimento di apertura e di raccoglimento, quasi a riflettere il doppio ritmo del respiro delle due figure. La madre distende un braccio verso l’esterno, per lasciare spazio alle gambe del bambino, mentre raccoglie l’altro a cingergli il capo e accostarlo al suo volto. Il sentimento di appartenenza è cosi intenso che le mani della madre sembrano fondersi nel corpo del figlio, come a volerlo ancora plasmare della sua vita. The embrace between mother and son is here carried out by a movement of opening and self closing, as to reproduce the dual rhythm of the breath of the two figures. The mother stretches her arm out, to make room for the child’s legs, while the other arm encloses the head and approach it to her face. The feeling of belonging and mutual fusion is so intense, that the hands of the mother seem to blend into her son’s body, as to forge it in his life.

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14 Luigi PANZERI

Amore materno, 1920 ca bronzo a patina scura firmato «Panzeri» cm 52 (h) ∞ 28 ∞ 25 Padova, Galleria Cesaro

L’artista sembra ricordarci che il primo abbraccio di una madre è il grembo materno a cui si vorrebbe tornare. Una bimba che corre ad abbracciare la madre conferisce a questa maternità un inconsueto movimento. L’incrocio degli sguardi diventa riconoscimento, dialogo e promessa di felicità. The artist seems to remind us that the first embrace of a mother is the mother’s womb to which we would like to return. The rushing of the girl towards her mother gives this motherhood an unusual movement. The exchange of glances becomes recognition, dialogue and a promise of happiness.

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15 Margit DoMBOSNE Untitled, metà sec. XX bronzo a patina scura firmato «Margit Dombosne» cm 30 (h) ∞ 17 ∞ 18 coll. priv.

Questa opera, apparentemente didascalica, è ricca di genuinità narrativa: la semplicità degli abiti, la forza espressiva dei volti, la naturalezza delle pose, l’alzarsi del dito indice, il corpo del fanciullo proteso in affidato ascolto, la mano della vecchia donna posata affettuosamente sulla sua spalla. This work, apparently didactic, is rich with elements of narrative naturalness: the simple clothes, the expressive force of the faces, the movement not only of the finger but of the whole body of the child upwards, the hand of the older woman on her shoulder.

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16 Maurilio COLOMBINI

Senza Titolo, 1970 ca bassorilievo in bronzo firmato «Maurilio Colombini», timbro della fonderia Luigi Tommasi di Pietrasanta cm 70 (h) ∞ 51 ∞ 13,5 coll. priv.

La scena si svolge tra le acque di un mare tranquillo, e del mare potrebbe rievocare numerose metafore legate al tema della formazione: l’imprevedibilità degli eventi, l’incresparsi delle onde, il senso di libertà, la paura di non farcela da soli, gli scogli da evitare e il bisogno di cercare un appiglio o un riferimento. Questo potrebbe rappresentare la figura adulta, che sembra trasmettere il ritmo di cui è padrona al bambino, che la affianca per appropriarsene. The scene seems to take place in the waters of a calm sea, but many metaphors about growth are connected to the sea, and could be evoked here: the unpredictability of events, the ripple of waves, the feeling of freedom and the fear of not making it by yourself, the rocks to avoid and the need to keep your feet well planted on the ground. The adult figure appears to have this meaning: to transmit her marked sense of rhythm to the child, who approacher her in order to seize it.

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17 Georg BENTELE-ÜCKER

Drei Generationen, 1988 bronzo a patina medaglia monogrammato «B» cm 36 (h) ∞ 31 ∞ 14 coll. priv.

Tre figure femminili in tre momenti diversi della vita, l’infanzia, la maturità e la vecchiaia, unite e nel contempo distinte dai sentimenti che esprimono. La bambina, leggermente indietro, appare fiduciosa e sorridente nell’atto di intraprendere il proprio cammino, cui va incontro a braccia aperte e colma di aspettative. Le fa da contraltare la donna anziana, che si sorregge su un bastone, con lo sguardo ormai spento e rivolto verso il basso. La giovane madre al centro avanza con lo sguardo aperto e diretto in avanti: con la sua forza apre simbolicamente la strada alla figlia, che trae sostegno dalla presenza silenziosa della madre. Three female figures in three different stages of life, childhood, adulthood and old age, united together and at the same time apart because of the feelings that they express. The child, slightly backward, looks confident and smiling at the start of her path, to which she heads with open arms and full of expectations. Her contrast is the older woman, supporting herself with a cane, with a dull look in her eyes, looking at the floor. The young mother in the middle advances dynamically with her eyes fully planted forward: in the prime of her life, she symbolically opens the path to her daughter and at the same time she is supported by the silent presence of her mother.

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55 Genesio FUMAGALLI

Intimità, 1940 ferro battuto e verniciato titolato e firmato su etichetta «Intimità / Genesio Fumagalli» cm 42 (h) ∞ 20 ∞ 13 coll. priv.

Noto per le sue sculture in ferro battuto, l’artista si concentra su un sentimento astratto, concedendo all’aspetto figurativo solo le sagome di due figure in armonica relazione di intrecci, intersezioni e movimenti. Sarà il titolo inciso alla base a dare significato all’opera. The artist, known for his sculptures in wrought iron, focuses here on an abstract feeling, giving in to the figurative aspect only with the silhouettes of two figures, harmonically related to each other in movement and intersections. The title engraved on the base give full meaning to the work.

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56 Henry MOORE

Two Figures, 1970 ca bronzo a patina bruna firmato «Moore», numerato «5/9» cm 44 (h) ∞ 10 ∞ 7 coll. priv.

Moore titola con Due Figure quasi tutte le sue sculture semi-astratte con due personaggi, senza specificare se si tratti di madre e figlio, di due amanti o di incontri di altro tipo. Vi è forse quella differenza che tutti noi crediamo di vedere? Oppure la natura dell’incontro, quella che egli riporta alla più estrema essenzialità formale, è tale anche al di là dei dettagli e delle circostanze? Moore uses this title for almost all of his semi-abstract sculptures with two characters, without specifying if they are mother and son, lovers, of other kind of encounters. Is there really a difference as we think we see? Or is the nature of the encounter, the one he brings back to the most formal essentiality, the same despite all details and circumstances?

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57 J.A.H.

Christophorus, fine sec. XX bronzo a patina grigia monogrammato «JAH» cm 36 (h) ∞ 21 ∞ 12,5 coll. priv.

La scultura richiama metaforicamente l’idea di incontro come viaggio, all’insegna di una alleanza e di una fiducia vicendevole. Ognuna delle due figure assume il proprio compito nel percorrere il tratto da condividere: Cristoforo offe un sostegno sicuro e apre la strada, il Bambino sulla sua spalla mostra il cammino, collocandosi tra il suo sguardo e una mano molto aperta che si fa sostegno e scudo. Rispetto all’iconografia tradizionale, qui l’incontro diventa dialogo implicito e azione confidente.

58 Ernst BARLACH

Das Wiedersehen (Il ricongiungimento), 1926 ca bronzo a patina verde cast 1965 firmato «E. Barlach» cm 48 (h) ∞ 19 ∞ 12 coll. priv.

Barlach interpreta il tema biblico dell’incredulità dell’apostolo Tommaso, mettendo in drammatico risalto il moto dell’anima dell’apostolo nel momento del riconoscimento del suo Signore e della verità della sua resurrezione. La scultura è incentrata sul sollevarsi dell’apostolo, incredulo e pieno di timore quando comprende che chi lo tiene è davvero il Figlio di Dio, e sullo sguardo del Maestro, carico di quiete.

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Barlach reinterprets the biblical theme of the doubt of Thomas the Apostle, putting dramatic emphasis on the movement of the soul of the apostle when he recognises his Lord and the truth of His resurrection. The sculpture is focused on the rising of the apostle, doubtful and fearful, in the moment of realisation that he who holds him is really the son of God, and on the peaceful gaze of the Master.

The sculpture is a metaphor for the idea of meeting as travel, under the omen of an alliance and of mutual trust. Each one of the two figures takes on its own task before the path that they share: Christopher offers a steady support and opens the path, the Child on his shoulder shows the way, placing himself between his eyes and a very open hand that becomes a support and a shield. Compared to traditional iconography, the meeting here becomes implicit dialogue and confident action.


59 Otto FLATH

Der Gang nach Emmaus (Cammino a Emmaus), 1960 ca legno di cirmolo firmato «Flath» cm 60 (h) ∞ 40 ∞ 25 coll. priv.

Non una tradizionale Cena a Emmaus, che limita l’evento all’interno di una casa e attorno a un tavolo, ma un cammino (Gang). È il momento in cui i due apostoli, ancora in viaggio, vengono raggiunti da un forestiero (che non riconoscono subito e si rivelerà essere il Risorto) e lo invitano a unirsi a loro. Uno dei due volge lo sguardo all’indietro, mentre il passo continua a essere diretto in avanti. I gesti parlanti rivelano il ritmo assunto dall’incontro: l’apertura (prima figura), l’offerta di camminare insieme (figura in centro), la richiesta di essere accolto (terza figura). Not a traditional Dinner at Emmaus, where the event is limited to the inside of a house and around the table, but a Passage (Gang), the moment when the two apostles, still on the road, meet a stranger (a man who does not promptly recognize and who will turn out to be the Risen) and invite him to join them. One of them looks behind him, while he is walking forward. The talking gestures show us the rhythm of the meeting: the opening (first figure), the proposal of walking together (centre figure), the request to be accepted (third figure).

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azione action

E adesso so che bisogna alzare le vele / e prendere i venti del destino, / dovunque spingano la barca [...] /è una barca che anela al mare eppure lo teme. E.L. Master, George Gray, 1915 13 And now I know that we must lift the sail /and catch the winds of destiny / wherever they drive the boat [...] / it is a boat longing for the sea and yet afraid.

Noi ci tocchiamo a vicenda in miriadi di modi, a volte senza pensarci, altre di proposito, a volte con sensualità , altre con romanticismo, a volte amorevolmente, altre in modo aggressivo, a volte in modo insensibile, a volte con rabbia. A seconda di come veniamo toccati ci possiamo sentire amati, accettati e stimati oppure ignorati, non rispettati o assaliti. [...] In qualunque modo tocchiamo e qualunque cosa tocchiamo, che sia inanimata o animata, pianta, animale o essere umano, estraneo, cliente, collega, amico, figlio, genitore, amante, la possiamo toccare in consapevolezza oppure no. E in ogni singolo momento possiamo sapere direttamente, tramite la consapevolezza, come veniamo toccati a nostra volta; e come ci sentiamo e che cosa stiamo provando, attimo per attimo, in conseguenza del modo in cui tocchiamo o veniamo toccati. Questo è il panorama del contatto, il panorama tattile. Jon Kabat-Zhin, Riprendere i sensi, 2005 14

We touch each other in myriad ways, sometimes automatic, sometimes perfunctory, sometimes sensuous, sometimes romantic, sometimes loving, sometimes aggressive, sometimes unfeeling, sometimes with anger. Depending on how we are touched, we can feel loved, accepted, and valued, or ignored, disrespected, assaulted. [...] However we touch and whatever we touch, inanimate or animate, plant, animal or human being, stranger, client, colleague, friend, child, parent, lover, we can touch either mindfully or mindlessly. And in any and every moment, we have a chance to know directly, through awareness, how we ourselves are being touched, and how we are feeling and what we are sensing from moment to moment as a consequence of both we are touching and how we are being touched. This is the landscape of touch, the tactile landscape. 174


mano hand

60 Auguste RODIN

Sans Titre, 1900 ca bronzo cast 1980 ca firmato «A. Rodin» cm 36 (h) ∞ 35 ∞ 21 coll. priv.

In questo bronzo di Rodin si vedono due mani, entrambe destre: una mano più grande spinge per allontanarsi, trattenuta invano da una mano più piccola. La contrattura spasmodica di entrambe evoca forti sentimenti e la scena presenta aspetti comuni con un’altra opera di Rodin, La grande mano contratta con implorante, nella quale la figura in basso rappresenta una donna respinta. In this bronze by Rodin, a larger right hand seems to be attempting to escape, detained in vain by a smaller right hand. The spasmodic contracting of the hands is highly emotional and has much in common with The large clenched hand with an imploring figure, another work by Rodin in which at the bottom a rejected woman is represented.

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121 Adolfo LUCARINI

Affetto materno senza tempo, 1930 ca bronzo a patina verde cm 54 (h) ∞ 30 ∞ 40 Genova, Galleria Capozzi Antichità

Il titolo recita tutto ciò che vi è da dire sul significato di questa scultura. La posizione delle mani della madre, adagiate sulla schiena del figlio, richiama il dipinto de Il Figliol Prodigo di Rembrandt: mani delicate e composte per calmare, offrire protezione e consolazione. The title tells us all we need to know on the meaning of this sculpture. The position of the hands on the back of the son recalls the painting of The Prodigal Son by Rembrandt: delicate and composed hands to calm, offer protection and consolation.

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122 Valmore GEMIGNANI

Il perdono, 1940 ca ceramica smaltata etichetta autografa «scultura del Gemignani» cm 41 (h) ∞ 46 ∞ 22 coll. priv.

Rappresentazione alquanto emblematica del perdono, che risente di un certo influsso religioso: la piena consapevolezza che il gesto che perdona (qui simboleggiato dalle due mani aperte di una figura femminile che somiglia a una Madonna) racchiude in sé il potere della ricostruzione e della riconquista: una ricostruzione dell’amor proprio e della propria autostima e una riconquista di se stessi, con la cui rinnovata forza riprendere il proprio cammino. Emblematic portrait of forgiveness, affected by a certain religious influence, that of the full awareness that the forgiving gesture (represented here by the two open hands of a female figure that looks like a Madonna) holds in itself the power of reconstruction and recovery: a reconstruction of self respect and of self esteem, and a recovery of oneself, after which you can go forward on your path.

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123 Hans KASTLER

Untitled (Schade), 1990 ca bronzo a patina bruna firmato «H Kastler» cm 30 (h) ∞ 17 ∞ 8 coll. priv.

Ponendo la rappresentazione su di un’alta colonna, il corpo di Cristo è l’unica linea orizzontale della scena che, seguendo un andamento di linee squadrate, ne aumenta la drammaticità. Tutto obbedisce alle leggi terrene della gravità, la testa cade realisticamente all’indietro, il busto è dinoccolato, le mani e i piedi pendono incrociati. Tutto sembra esprimere la fine di una grande speranza. By placing the scene on a high column, the body of Christ is the only horizontal line of the scene which, following a pattern of square lines, increases its drama. Everything obeys the laws of gravity, the head realistically falls backwards, the bust is slouching, the hands and feet hanging out crossed. Everything seems to express the end of a great hope.

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124 Alfredo PINA

La douleur, 1920 ca bronzo a patina chiara cm 33,4 (h) ∞ 21 ∞ 29,5 coll. priv.

Una donna, sola e fragile, seduta su una panchina, con il volto nascosto tra le mani e la schiena ricurva. Indoviniamo i suoi vestiti semplici e il grembiule. Non sappiamo se stia piangendo e siamo all’oscuro delle ragioni del suo dolore, ma la vediamo sconvolta, infelice e tuttavia composta nella sua sofferenza. Con una rara economia di mezzi, l’artista riesce a cogliere l’elusivo – emozione, sofferenza –, per dare vita alla materia evitando l’aneddotico, il decorativo, il superfluo. A frail young woman sits on a bench, with her face hidden between her hands and her back curved. We guess that she wears simple clothing and an apron. We do not know if she cries and we do not know the reasons for her pain, but we see her upset, unhappy but stoic. With a rare few means, the artist is able to grasp the fleeting – emotion, pain – giving life to matter and avoiding the anecdotal, the decorative, the unnecessary.

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125 Käthe KOLLWITZ

Der Abschied (L’addio), 1940-1941 bronzo a patina scura cast 1975 firmato «KK» cm 17,5 (h) ∞ 9 ∞ 15 coll. priv.

L’opera rappresenta l’abbraccio dell’artista al marito che, malato, sta per morire. Mentre la donna si aggrappa con forza a lui, l’uomo abbandona le braccia, lasciandole cadere lungo il fianco e volge lo sguardo lontano, verso un imprecisato altrove. Un abbraccio, quindi, che unisce due regni, quello terreno e quello dei morti. This artwork depicts the embrace between the artist and her husband, who is sick and close to dying. While the woman holds the man strongly, he abandons his arms, and his glance is already addressed somewhere else. An embrace that unites two realms, that of Earth and that of the Netherworld.

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126 Raffaella ROBUSTELLI

Perdono, 1990 ca marmo nero belgio 38,5 (h) ∞ 33 ∞ 19 coll. priv.

Una raffigurazione del perdono inedita e intensa: il capo abbandonato sulla spalla come rinuncia a qualsiasi rivalsa; le braccia sconsolatamente indifese nell’abbandono confidente; lo sguardo di chi perdona che sembra indugiare lontano, forse nella memoria del passato o nel desiderio di un diverso futuro. Due figure vicine, ma al tempo stesso distinte, ricongiunte dal perdono alla fine della sofferenza che le aveva allontanate. A portrait of forgiveness unusual and intense: the head abandoned on the shoulder as if giving up further claims, the arms dejectedly in friendly abandonment; the look of the forgiving person that seems to linger far, maybe in a memory of the past or in the desire of a different future. Two figures close to each other but at the same time distinct, as if forgiveness should bring the end to the pain of two solitudes.

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