Annuario ABAV, 2012, Che cos'è la scenografia? Lo spazio dello sguardo dal teatro alla città

Page 1

POLIGRAFO ILPOLIGRAFO ILPOLIGRAFO

ANNUARIO ANNUARIO ANNUARIO ACCADEMIA ACCADEMIA ACCADEMIA di di di BELLE BELLE BELLE ARTI ARTI ARTI di di di VENEZIA VENEZIA VENEZIA

Che Che cos’èChe cos’è la scenografia? cos’è la scenografia? la scenografia? Lo spazio Lo spazio Lo dello spazio dello sguardo dello sguardo sguardo dal teatro dal teatro dal allateatro città alla città alla città



Accademia di Belle Arti di Venezia



ABAV ILPOLIGRAFO

annuario accademia di belle arti di venezia a cura di Alberto Giorgio Cassani

Che cos’è la scenografia? Lo spazio dello sguardo dal teatro alla città

2012


Annuario dell’Accademia di Belle Arti di Venezia a cura di Alberto Giorgio Cassani Annuario/Annuary 2012 Che cos’è la Scenografia? Lo spazio dello sguardo dal teatro alla città What is Scenography? The Space of the View from the Theater to the City comitato scientifico Gabriella Belli, Giuseppina Dal Canton, Martina Frank, Marta Nezzo Nico Stringa, Giuliana Tomasella, Piermario Vescovo, Guido Vittorio Zucconi i contributi pubblicati sull’«Annuario» sono soggetti a peer review per la realizzazione di questo numero si ringraziano in particolare Caroline Bourgeois, Martina Carraro, Francesca Colasanti, Giuseppina Dal Canton Stefano Di Buduo, Alessandro Di Chiara, Sergio Fedele, Marco Ferraris Fausto Fiasconaro, Claudia Giuliani, Daniele Lauro, Aureliano Mostini, Marta Nezzo Tali Nidam, Laura Palumbo, Gabriele Pezzi, Giuseppe “Poppi” Ranchetti, Paola Rigon Franco Tagliapietra, Giuliana Tomasella, Guido Vittorio Zucconi referenze fotografiche Le immagini riprodotte provengono dall’Archivio fotografico dell’Accademia e dagli archivi personali degli Autori, salvo dove diversamente indicato. Si ringraziano: l’Atelier di Decorazione dei proff. Gaetano Mainenti e Atej Tutta per le immagini pubblicate nel contributo di Caroline Bourgeois in merito al progetto in collaborazione con Urs Fischer; nella sezione Eventi: Maria Arrechea, Giacomo Briano e Adriano Siesser, per le immagini di “Fare Luce”, corso di Marta Allegri, durante ArtNight 2012; Alberto Balletti, per la foto relativa all’inaugurazione dell’anno accademico; Michele Battistuzzi e l’Atelier di Decorazione B, per le foto dell’allestimento della mostra su Rodcˇenko; Michele Battistuzzi, per la foto della mostra “Vedere Meglio”; Francesca Colasante, per la foto di Punta della Dogana relativa a L’Opera Parla; Andras Nagy ed Elena Molena; Franco Tagliapietra, per l’immagine dell’incontro con Fabrizio Plessi progetto grafico e realizzazione editoriale Il Poligrafo casa editrice Copyright © luglio 2013 Accademia di Belle Arti di Venezia Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN 2280-4498 ISBN 978-88-7115-825-9


Indice

13 Editoriale Alberto Giorgio Cassani 15 Presentazione Luigino Rossi 17 Presentazione Carlo Di Raco 19 To do or not to do. Réflexions sur l’action d’Urs Fischer avec les étudiants de l’Académie des Beaux-Arts de Venise ou comment faire en ne faisant presque rien! Caroline Bourgeois dossier che cos’è la scenografia? Lo spazio dello sguardo dal teatro alla città 29 Lo spazio dello sguardo. Breve storia dell’architettura teatrale Alberto Giorgio Cassani 51 La visualizzazione della scena classica nella commedia umanistica Eugenio Battisti 75 La questione della scena umanistica. Qualche precisazione Alberto Giorgio Cassani 97 Cortine. Un elemento della scena europea Piermario Vescovo 131 Renovatio e forma urbis. Il ruolo dei Palazzi del Sedile nella determinazione della scenografia urbana Gaetano Cataldo


161 L’Orientalismo tra Ottocento e Novecento. Pittori metteur en scène tra Esposizioni universali, fotografi e nuovi esotici soggetti teatrali Ivana D’Agostino 193 Turandot. Un libretto visionario Elena Barbalich 201 Riflessi barocchi. I futuristi e la riscoperta della tradizione scenografica italiana Maria Alberti 227 Le composizioni sceniche di Vasilij Kandinskij Marina Manfredi 243 È Venezia ma non lo dimostra. La strumentalizzazione scenografica della città Serenissima Carlo Montanaro 253 Ripensando a La Fenice Vanni Tiozzo 2 69 La scuola dello sguardo attraverso il progetto Città Invisibili. Block notes del regista sulla drammaturgia degli spazi Pino Di Buduo 2 91 Lo scopo del Teatro è maravigliare... Degli esiti inattesi di un progetto Bepi Morassi 303 La collaborazione tra la Scuola di Scenografia e il Teatro La Fenice Paola Cortelazzo 305 I costumi di scena de L’occasione fa il ladro di Gioacchino Rossini (1812). Quattro progetti Elena Bonotto, Marta Del Fabbro, Elisa Lombardo, Laura Palumbo 311 Scenografia in transito. Percorsi e discorsi tra eredità e sperimentazione. La scenografia contemporanea nel campo della formazione accademica Carlos G. Coccia saggi e studi 327 Maschere funerarie e “Corpi Santi”. Per una storia della ceroplastica artistica e devozionale Roberta Ballestriero


359 Dallo sperimentalismo artistico alla ricerca di un fondamento ascetico. Note sulla vita e le opere di Hugo Ball Riccardo Caldura 391 Officina Iuav. Le origini dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e l’Accademia di Belle Arti Sileno Salvagnini 3 99 Per un’introduzione alla questione arte e felicità Luca Farulli 411 Le forme del non fare Giulio Alessandri 417 Artisti si nasce o si diventa? Per una concezione della storia dell’arte contemporanea. Un ossimoro in termini? Saverio Simi de Burgis 437 Giancarlo Franco Tramontin: segni e forme della scultura. In occasione della personale tenutasi presso il Museo di Santa Caterina di Treviso dal 10 marzo al 1 aprile 2012 Saverio Simi de Burgis dipartimenti

4 47 Work in regress. Corso di Plastica ornamentale Danilo Ciaramaglia, Maurizio Zennaro 4 57 “Le Quattro Stagioni”. Un’esperienza Erasmus in Lettonia Maurizio Zennaro 4 59 Anatomia artistica. Uno sguardo alle metodologie di ricerca fra tradizione e innovazione Renzo Peretti 471 Spazio per la riflessione teorica. Note sul lavoro di tesi di Federica Bezzoli Riccardo Caldura 4 79 Fragili pieghe: tra storia, disegno e incisione. Dispositivi della visione Federica Bezzoli


fondo storico, archivio, biblioteca, progetto tesi, progetti europei

4 89 La memoria incisa. Interventi di tutela del Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Lorena Dal Poz 505 Le Effigies femminili della Pinacoteca Corneliana nel Fondo storico dell’Accademia. Tra incisioni in volume e illustrazioni librarie Francesca Giancotti 513 Cicognara, ou le Connaisseur. Dall’ideologia “Del Bello” alla Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Angela Munari 523 L’istituzione dell’Accademia di Venezia e l’architettura. Le ragioni di una presenza difficile: appunti su alcune linee di ricerca. Elisabetta Molteni 537 Progetti tesi. Dai documenti conservati nel Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, anno accademico 2011-2012 Enrica Annamaria Ceccon 555 Kiyoo Kawamura, il pittore della Restaurazione Meiji. Alcune riflessioni sulla mostra temporanea per il 20° anniversario del Tokyo Metropolitan Edo-Tokyo Museum Yûji Tanaka 561 Il programma europeo Leonardo in scena. Le esperienze dei diplomati dell’Accademia nei laboratori di scenografia di ART for ART a Vienna e nel Teatro delle Marionette di Lubiana Laura Safred eventi

5 69 Eventi 2011 Mostre, workshop, convegni, conferenze a cura di Manuela Mocellin appendici

649 Riassunti 663 Abstracts 679 Autori 683 Indice dei nomi


Editoriale

Alberto Giorgio Cassani

L’«Annuario» dell’Accademia di Belle Arti di Venezia – che con questa nuova stagione vuole riprendere idealmente una prassi comune, in passato, da parte delle Accademie – intende far conoscere l’attività di ricerca svolta dalla nostra Istituzione all’esterno, non solo alle gemelle istituzioni italiane ed europee (in gran parte opportunamente inserite, a pieno titolo, nel sistema universitario), ma anche ad un pubblico più vasto di operatori culturali del settore delle arti visive. L’«Annuario» è organizzato in cinque sezioni: la prima, «Dossier», affronta un tema specifico dell’ambito dell’arte; la seconda, «Saggi e studi», ha carattere più miscellaneo; la terza, «Dipartimenti», aggiorna sulla didattica e sulla ricerca artistica svolta all’interno dell’Accademia; la quarta, «Fondo storico, Archivio, Biblioteca, Progetto Tesi, Progetti Europei», informa sul patrimonio documentario custodito in Accademia e sugli studi e tesi ad esso dedicati; l’ultima sezione, «Eventi», è dedicata a convegni, conferenze e mostre organizzate dall’Accademia, che vedono coinvolti docenti e discenti. Se l’«Annuario» accoglie principalmente i contributi dei docenti dell’Accademia di Venezia, intende però ospitare al suo interno anche testi di studiosi di chiara fama provenienti da altre istituzioni, accademie italiane e straniere, università e istituzioni culturali (musei, biblioteche ecc.). Sua ambizione, infatti, è quella di costituire il “luogo di incontro” di esperienze, culture e saperi non ristretti alla secolare Istituzione veneziana, che accolga un orizzonte più vasto, che oggi non può essere che quello europeo e internazionale. Cercando di smentire la pur magistrale affermazione di Friedrich Nietzsche delle «cento profonde solitudini» che formano l’immagine di Venezia e che pur costituiscono «il suo incanto», vorremmo che, per quel che riguarda l’Accademia di Belle Arti di Venezia, l’«immagine per gli uomini del futuro» fosse invece quella di un arcipelago di saperi in dialogo tra loro.

Alberto Giorgio Cassani



In un mondo globalizzato in cui più esasperata è la sfida economica, credo debbano essere sempre maggiori gli sforzi di istituzioni culturali come l’Accademia di Belle Arti di Venezia, che ho l’onore di presiedere, nel recuperare la propria originaria vocazione di promotrici di cultura. Che non è orpello, un vuoto contenitore di cui ci si possa privare nei momenti di crisi, ma semmai l’elemento che può costituire, per l’Italia, quel quid in più che la distingua dalle altre nazioni. Per questo uno strumento come l’«Annuario», che dal 2010 si è deciso di ripristinare, può essere assai utile non solo per esibire al pubblico le molteplici attività che l’Accademia svolge, ma anche, se non soprattutto, nell’ottica della conservazione di quanto si attua, per documentare nel tempo ciò che si è fatto. Se non possedessimo infatti – e ciò costituisce, a livello micro, quello che più in generale è stato fatto lungo i secoli in ogni parte d’Italia, e che consente a quest’ultima di vivere quasi di rendita – le testimonianze del nostro passato – documenti, incisioni, disegni, libri, dipinti, gessi e così via, che gli anonimi nostri antenati hanno capillarmente raccolto, e che rappresentano l’eredità più vera dell’Accademia – ora saremmo senza memoria, privi di un tesoro che invece abbiamo. E quindi, lo ribadisco, occorre cura nel raccogliere dal presente affinché in futuro anche i nostri pronipoti ne possano godere. Luigino Rossi presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia



L’Accademia di Belle Arti di Venezia, come sede primaria di alta formazione artistica e di ricerca, si propone di favorire lo sviluppo di un clima di apertura, che consenta ai giovani artisti e ai docenti che operano nella nostra Istituzione di confrontare costantemente gli esiti della propria ricerca con la produzione artistica e scientifica contemporanea. A tal fine, l’Istituzione si impegna nella realizzazione di iniziative espositive ed editoriali rivolte a evidenziare la vitalità della produzione artistica ideata nei Laboratori e a promuovere tutte le attività di studio e approfondimento sviluppate nell’Accademia. L’Annuario, giunto alla terza edizione, costituisce un riferimento fondamentale per la valorizzazione delle attività dell’Accademia, offrendo alla storica Istituzione veneziana nuovi strumenti per approfondire, attraverso il dialogo, i contenuti e le tematiche che qualificano i nostri percorsi formativi. Come ha affermato Gabriella Belli nella esemplare Lectio Magistralis che ha inaugurato l’anno accademico 2011/2012, «l’arte, come straordinario oggetto comunicativo in ascolto del mondo, vive grazie alla sua capacità di stabilire una o più relazioni con chi guarda e partecipa». Per la realizzazione di questo numero dell’«Annuario» si ringraziano, insieme al Presidente Luigino Rossi e ad Alberto Giorgio Cassani, tutti i docenti, gli studiosi e i giovani artisti che hanno offerto il proprio prezioso contributo; un ringraziamento particolare a Caroline Bourgeois, Martin Bethenod, Marco Ferraris, Francesca Colasanti, Daniele Lauro, gli studenti e i docenti dell’Atelier di Decorazione. Carlo Di Raco direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia



dossier Che cos’è la scenografia? Lo spazio dello sguardo dal teatro alla città

Realizzare una scenografia, cioè qualcosa di strettamente legato all’architettura, è molto interessante, perché si ha l’impressione di eseguire un disegno che viene immediatamente posto di fronte agli occhi e non ha i lunghi tempi dell’architettura. Aldo Rossi, Teatri, teatrini e spazi scenici, 1997



Alberto Giorgio Cassani

Lo spazio dello sguardo Breve storia dell’architettura teatrale*

Quando succede qualcosa di spettacoloso su una superficie piana e tutti accorrono a vedere, quelli più indietro cercano in ogni modo di sopravanzare chi sta davanti: salgono sulle panche, rotolano botti, si accostano con le carrozze, collocano tavole qua e là, vanno ad occupare un rialzo vicino, e in men che non si dica si forma un cratere. Se lo spettacolo vien dato sovente nello stesso posto, si drizza una leggera tribuna per quelli che possono pagare, e il resto della massa si aggiusta come può. Soddisfare tale esigenza collettiva è compito specifico dell’architetto. Egli appresta con arte un simile cratere il più semplicemente possibile, affinché il popolo stesso ne sia l’ornamento. Johann Wolfgang Goethe Das Theater ist tot, es lebe das Theater! Walter Gropius

«Si ha teatro, solamente in quanto tale rappresentazione scenica accade davanti a un pubblico». Così affermava Massimo Bontempelli al Convegno Volta, svoltosi a Roma, nel 1934, e dedicato al tema del “Teatro drammatico”. L’etimo* Questo testo è la rielaborazione dell’omonimo saggio apparso in «Palcoscenico. Guida alle stagioni dei teatri di Ravenna e della Romagna. 2012-2013», supplemento a «Ravenna & Dintorni», 510, 8 novembre 2012, pp. 4-8.  Johann Wolfgang Goethe, Italienische reise (I, 1816; II, 1817), München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1978, trad. it. di Emilia Castellani, Viaggio in Italia, Commento di Herbert von Einem adattato da E. Castellani, Prefazione di Roberto Fertonani, Milano, Mondadori, 1983, pp. 39-40, in data 16 settembre 1786. Goethe si sta riferendo alla forma ovale dell’Arena di Verona, che ha appena visitato.  Walter Gropius, Theaterbau, in [Atti del] Convegno di lettere, 8-14 Ottobre 1934-xii, Tema: Il Teatro Drammatico, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1935-xiii, pp. 154-162: 162 («Il teatro è morto, viva il teatro»).  Massimo Bontempelli, Teatro di masse, in [Atti del] Convegno di lettere, cit., pp. 138-148: 138.




alberto giorgio cassani

logia gli dà ragione: teatro deriva dal greco theáomai: “guardo”, forse la stessa radice di tháuma: “meraviglia” (dunque, testimone Aristotele, il teatro dovrebbe avere a che fare anche con la filosofia). Ma il guardare presuppone ci sia qualcuno che osserva; e questo qualcuno è appunto lo spectator (da spectare, radice anche di spectaculum). Vedremo come il guardare sia senz’altro la parola chiave di tutta la storia dell’architettura teatrale. Qual è lo spazio originario del teatro (se possiamo presupporre di pensare ad un’origine)? È senz’altro il cerchio dell’orchéstra (da orchéo: “danzo”), come ci conferma Fabrizio Cruciani, uno dei massimi storici dello storia del teatro: «L’elemento generatore è l’orchestra, lo spazio circolare in cui avviene l’azione; gli spettatori vi si raccolgono intorno, spesso su un declivio naturale. L’orchestra è lo spazio primitivo, originario, essenziale». Poco dopo (ma è difficile quantificare il tempo delle origini), questo spazio comincia a “restringersi” per la comparsa dell’attore, dell’individuo che “esce” dal coro e comincia a recitare un “parte”. Silvio d’Amico, importante critico teatrale, anche lui uno dei relatori del Convegno del 1934, immagina così la comparsa del logéion (luogo in cui si parla), della skené (tenda) e del kóilon (cavea, gradinate): La primitiva tragedia, come ognun sa, non è che un inno epico-lirico, intonato dal coro disposto in circolo attorno all’ara di Diòniso. Quando all’invocazione del coro risponde un attore, i coristi si ritirano su due terzi del cerchio, lasciando all’attore l’altro terzo; e, dietro a lui, si rizza la scena, ossia una tenda, che gli occorre per i travestimenti, e poi gli servirà da sfondo. Ma la folla, accalcata in più file dietro il semicerchio dei coristi, non lo vede bene; allora la prima fila degli spettatori si solleva su un gradino, la seconda su due, la terza su tre, ecc. Ecco dunque l’ossatura del teatro greco; orchestra (platea) in basso, dove il coro danza e canta; di fronte, l’attore e poi più attori, in seguito elevati a livello più alto dalla platea; intorno alla platea, in gradinate semicircolari sempre più ampie, gli spettatori; fra il proscenio e le gradinate, le due porte da cui il coro entra in platea... Ecco il procedimento; ecco perché il Teatro greco fu costruito come fu.

Joseph Gregor, anch’egli intervenuto al Convegno Volta, evidenzia qui una criticità spaziale irrisolta del teatro occidentale delle origini, che lui chiama addirittura una «contraddizione capitale»: «la circolarità della platea» contrapposta

Fabrizio Cruciani, Lo spazio del teatro, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 74. Anche se, come sappiamo dalle ricerche di Carlo Anti, almeno il koilon eschileo del teatro di Siracusa era trapezoidale. Cfr. Carlo Anti, Alle origini del teatro greco, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», a.a. 1944-1945, tomo CIV, parte II, pp. 205-216; Id., Teatri greci arcaici. Da Minosse a Pericle, Padova, Le Tre Venezie, 1947 e Id., Guida per il visitatore del teatro antico di Siracusa, rilievi e disegni di I[talo] Gismondi, Firenze, Sansoni, 1948; ma si vedano le precisazioni di Luigi Polacco nella Premessa a Carlo Anti, Luigi Polacco, Nuove ricerche sui teatri greci arcaici, rilievi dell’arch. Italo Gismondi, Padova, CEDAM, 1969, pp. 5-15.  Silvio d’Amico, [Intervento alla discussione della relazione di Gaetano Ciocca], in [Atti del] Convegno di lettere, cit., pp. 206-208: 206-207. 


lo spazio dello sguardo. Breve storia dell’architettura teatrale



alla «quadrangolarità del palcoscenico». Il tentativo di risolvere questo problema accompagnerà tutta la storia del teatro, anche se un’altra civiltà, quella orientale, l’aveva sciolta in partenza: nelle sale del teatro No¯ (dal XIV secolo in poi), il pubblico si dispone “a fianco” dei tre lati di un palcoscenico quadrato. Ma il teatro greco, di cui forse il capolavoro assoluto rimane il teatro di Epidauro, attribuito a Policleto il Giovane (seconda metà del IV secolo), può dirsi uno spazio architettonico? O non piuttosto uno spazio aperto, adagiato com’è sul declivio di una collina, una sorta, per così dire, di “land art” ante-litteram? Molti sostengono, infatti, che queste «grandi linee, colori semplici, panorami assai vasti», come ancora Bontempelli definisce il teatro greco («il teatro in vastità»), divengono vera e propria architettura solo quando i romani decidono di “chiudere” la vista aperta sull’infinito del paesaggio naturale, cioè quando viene innalzata la scænæ frons, che riproduce un’ideale facciata di palazzo signorile. Di più. I romani, a differenza dei greci, non appoggiano le loro gradinate sul terreno inclinato di un colle, ma costruiscono ex novo una complessa struttura fatta di archi, volte, sostruzioni, all’interno della quale inseriscono le scale che conducono gli spettatori ai vari livelli delle gradinate (i vomitoria, da vomere, “espellere”, “emettere”). Ai romani poco importa vedere il paesaggio (come l’incredibile vista della costa, del mare e dell’Etna che si ammirava dal teatro greco di Taormina). Per lo spirito latino è fondamentale che il teatro sia uno spazio chiuso; e anche per questo motivo vengono pensati i teloni tesi sulle teste degli spettatori per ripararli dal sole, ma anche per “racchiudere”, ancor di più, lo spazio. Del tutto diverso è lo spazio del teatro medievale: abbandonati o distrutti i luoghi del lusus romano (ferocemente condannato da Tertulliano nel suo De spectaculis), il teatro si sposta prima nelle chiese e poi, aumentando il “pubblico” dei fedeli, nelle strade e nelle piazze delle città. È il teatro come “sacra rappresentazione”, lauda drammatica, processione itinerante attraverso “luoghi deputati”, le “mansiones” (letteralmente “piccole case”, stazioni di sosta), spazi allestiti che rimandano immediatamente, nell’immaginario dei fedeli, a luoghi tipici (il Paradiso, l’Inferno, la casa di Caifa ecc.). Il teatro medievale raggiunge anche elevate qualità sceniche, come nel caso del palcoscenico della Passione di Valenciennes del 1547. Il teatro umanistico e rinascimentale è un ritorno all’antico, al tentativo di realizzare il teatro descritto da Vitruvio nel De architectura. Ma prima di assistere ad una sua concreta “materializzazione”, il teatro umanistico si svolge nello spazio chiuso del cortile del palazzo del principe, spazio rettangolare in cui, come afferma Gregor, è «vinta la contraddizione fra orchestra e proscenio». In tal modo, ha scritto Manfredo Tafuri, «non è più la città il luogo dello spettacolo, ma il palazzo

 Joseph Gregor, Theaterarchitektur massentheater und kleintheater, in [Atti del] Convegno di lettere, cit., pp. 76-92. Ma cito dalla traduzione italiana del Riassunto, pp. 92-102: 93.  M. Bontempelli, Teatro di masse, cit., p. 45.  Ibid.  J. Gregor, Riassunto, cit., p. 94.




alberto giorgio cassani

4. Hubert Cailleau, Miniatura dal Mystère de la Passion di Valenciennes, 1547. 5. Andrea Palladio, Teatro Olimpico, Vicenza, 1580 sgg. (da http://filmcommission.it).


lo spazio dello sguardo. Breve storia dell’architettura teatrale

6. Gran Teatro La Fenice, foto degli anni Cinquanta.






7. Charles Garnier, Opéra, Parigi, 1861-1875, disegno del prospetto. 8. Charles Garnier, Opéra, Parigi, 1861-1875, vista del palcoscenico (da http://2photo.ru).

alberto giorgio cassani


lo spazio dello sguardo. Breve storia dell’architettura teatrale

9. Claude-Nicolas Ledoux, Coup d’œil sur le théâtre de Besançon (da L’architecture considérée sous le rapport de l’art, des mœurs et de la législation, Paris 1804, Planche 113, tavola fuori testo).





La scuola dello sguardo attraverso il progetto Città Invisibili

Pino Di Buduo

Block notes del regista sulla drammaturgia degli spazi Il progetto “Città Invisibili” del Teatro Potlach è nato a Fara Sabina nel 1991 un po’ per caso, un po’ per necessità. L’interesse di mettere insieme Teatro, Architettura e Antropologia culturale ha fatto poi il resto. Quando abbiamo avuto la possibilità di realizzare un Festival Laboratorio, abbiamo inserito il progetto nel programma con lo scopo di coinvolgere direttamente nelle rappresentazioni, in un unico progetto artistico, le associazioni culturali di Fara Sabina e del territorio: cori, gruppi di danza, compagnie di teatro amatoriale, gruppi di musica, pittori, scultori, artisti visivi. Il progetto intendeva inoltre utilizzare come scenografia gli spazi interni ed esterni dell’architettura medioevale del centro storico e la sua memoria invisibile. Il teatro si era installato stabilmente nell’antico monastero di Santa Maria del Soccorso dal 1976, e nei quindici anni di attività continua era diventato noto per essere composto da un gruppo di giovani artisti affidabili, seri, riservati, molto apprezzati all’estero. I nostri spettacoli, che sperimentavano nuove forme di drammaturgia, interessavano i grandi Festival Internazionali, ma a livello locale non venivano compresi. Ciò nonostante, ci eravamo guadagnati, attraverso il nostro comportamento quotidiano, un grande rispetto. Questo atteggiamento degli abitanti di Fara Sabina verso di noi è risultato essenziale per la realizzazione del progetto “Città Invisibili”, e quando abbiamo chiesto di utilizzare le loro cantine, i loro cortili, i loro giardini, tutti ci hanno affidato le chiavi dei loro spazi privati, in modo che li potessimo usare liberamente. Ben ventisei spazi diversi! Fantastico! Si trattava di spazi straordinari che neanche gli abitanti stessi di Fara Sabina, spesso, conoscevano. Abbiamo chiamato in quel momento Tersilio Leggio, uno studioso di archeologia, grande conoscitore del territorio, appartenente a un’importante famiglia di medici di Fara Sabina, che ci ha fatto focalizzare l’attenzione su aspetti nascosti dell’architettura antica del centro storico. Ha fatto emergere ai nostri occhi ogni




pino di buduo

pietra di ogni muro di Fara Sabina spiegandone la provenienza, ha fermato la nostra attenzione su vicoli che oggi non esistono più, passaggi invisibili, cantine scavate a tre livelli sotto il suolo e che sboccano in giardini nascosti. Archi medioevali e tecniche di costruzione irripetibili, solidità e compattezza sorprendenti. Percorsi e spazi inusuali nell’architettura di oggi. Scenografie quindi, scenografie in ogni angolo, spazi orizzontali, verticali, obliqui. Forme architettoniche straordinarie e nascoste agli sguardi quotidiani. Una ricchezza sorprendente. Dietro i portoni e portoncini comuni si rivelavano spazi inimmaginabili, scalinate di ogni tipo. Archi meravigliosi e giardini incastonati tra mura di pietra alte abbastanza per impedire la vista dall’esterno, giardini pieni di vegetazione anche esotica appena organizzata, spesso con grandi alberi, spazi organizzati per riposare nei pomeriggi estivi pieni di calura, nascondigli segreti a volte. Forme e spazi pieni di memoria da evocare. Volevamo guidare lo sguardo dello spettatore alla scoperta delle “Città Invisibili”, guidarlo allo stupore, alla meraviglia, alla sorpresa del pensiero in movimento. Tanta ricchezza poteva mobilitare energie impensate negli spettatori, potevamo accendere e colpire i loro sensi e le loro emozioni. Volevamo suggerire un percorso dove lo spettatore si sentisse libero di reagire alle nostre suggestioni nate dal silenzio e dall’ascolto di queste pietre, di queste forme, di queste memorie sopite. Ogni volta che inizio un nuovo progetto di “Città Invisibili”, la prima cosa da fare è prendere due o tre giorni per conoscere la città nella quale mi hanno invitato, poi devo individuare un luogo all’interno del quale definire un percorso di circa 600-700 metri. Devo quindi stabilire un punto di partenza facilmente individuabile per lo spettatore e un punto di arrivo per il finale. La scelta del percorso è importante e rappresenta la struttura ossea e nervosa che tiene in piedi il corpo della rappresentazione. Dedico molta attenzione a questa fase iniziale. Perché scelgo un percorso invece che un altro? Dietro ogni minima scelta c’è una ragione o un’intuizione. La scelta della zona della città dove creare il percorso si decide in base a ragioni pratiche e ragioni artistiche. Le ragioni pratiche in questo progetto giocano un grande ruolo e sono alla base di molte scelte. Bisogna partire dal principio che ogni difficoltà, ogni ostacolo, ogni impossibilità sono benedetti da Dio perché sono stimoli creativi, sono possibilità di invenzione, di scoperta. Da un punto di vista pratico, soprattutto per le situazioni urbane, scelgo un percorso senza ristoranti o bar o attività aperte di sera, comunque che sia possibile chiudere al traffico. Importante è la possibilità di spegnere totalmente la luce pubblica. Quindi un percorso protetto da interferenze esterne alla rappresentazione che possano deviare l’attenzione costruita per lo spettatore. Alcune volte è molto difficile ottenere queste condizioni, come nel caso di Karlsruhe nel sud della Germania, dove sembrava impossibile ottenere di fermare il traffico per alcune ore e soprattutto impedire il parcheggio delle macchine. Avevo scelto il quartiere chiamato Südstadt che si apre proprio accanto all’enor-


La scuola dello sguardo attraverso il progetto Città Invisibili



me costruzione in cemento armato del teatro stabile della città, costruito dopo la Seconda Guerra mondiale al posto della stazione ferroviaria completamente distrutta dai bombardamenti. Un quartiere nato per ospitare operai italiani, che erano emigrati a Karlsruhe prima della guerra per costruire la ferrovia e la stazione. Un quartiere nato dal nulla, fatto di blocchi praticamente uguali con strade perfettamente parallele e perpendicolari. Costruzioni basse tutte uguali, di massimo tre piani. Facciate compatte e simmetriche. Südstadt è un quartiere che ha subìto un lungo processo di degrado: molti degli abitanti di origine italiana lo hanno abbandonato e sono andati ad abitare altrove. Ora è un quartiere sempre con matrice e spirito italiani, ma popolato da molti emigranti di altre parti del mondo. Una piazza centrale, stretta e lunga, con molti alberi alti, una bella fontana e una chiesa protestante, tanti negozi e attività commerciali. L’anima del quartiere. Perché scegliere un posto come questo in una città con castelli meravigliosi, giardini e distese di prati verdi, con laghetti e parchi enormi all’inglese? Come abbiamo detto, ci sono ragioni pratiche e ragioni artistiche. Gli allestimenti esterni di luci, proiezioni, e teli bianchi che utilizziamo lungo il percorso per le “Città Invisibili”, con più di cento fari con tre chilometri di cavi elettrici, otto dia-proiettori e otto videoproiettori, e centinaia di metri quadrati di teli devono essere smontati ogni sera e rimontati il giorno dopo per evitare furti. Non si può rischiare. Il teatro vicinissimo ci permetteva di fare tutto a piedi con carrelli appositi, mentre in altri luoghi della città avremmo dovuto caricare l’attrezzatura sul furgone e riportarla al deposito. Ma non basta: il castello, i giardini, i parchi sono luoghi molto conosciuti e frequentati da turisti e abitanti, che ci vanno per prendere il sole nelle belle giornate e per far giocare i bambini. Südstadt, invece, è un quartiere poco visitato da turisti, è un quartiere dove abita molta gente, operai, studenti, alcune persone della classe media, un po’ degradato, ma con case a misura d’uomo e cariche di memoria. Sappiamo che saranno gli abitanti stessi che poi inviteranno i loro parenti, gli amici, i conoscenti, i colleghi di lavoro ad assistere alle rappresentazioni, raccontando come gli artisti stanno trasformando il quartiere con le loro installazioni. Tutto questo negli spazi del castello e nei grandi parchi adiacenti sarebbe accaduto in misura molto minore, perché noi proviamo le luci e le proiezioni di notte, e di notte questi luoghi sono deserti. Se partiamo dal teatro, entriamo subito dentro le antiche stradine di Südstadt, penetriamo attraverso portoni e passaggi privati che immettono nei cortili e giardini interni spesso sconosciuti agli abitanti, attraversiamo il cinema, la scuola, per uscire sulle strade parallele. Trasformiamo lo spazio di alcune stradine ed entriamo dentro la ex fabbrica di stoffe, ora museo di macchine antiche. Nella exfabbrica entriamo dagli scantinati del cortile interno, risaliamo al piano superiore fino a uscire nella strada opposta. Alla fine arriviamo sulla piazza principale dalla strada laterale per terminare sul sagrato della chiesa davanti all’antica fontana. Dal teatro alla chiesa di Südstadt: il percorso stesso dice qualcosa, ha un fonda-




pino di buduo

13. Installazione su un palazzo, Carouge (Ginevra, Svizzera), maggio 2011. 14. Installazione davanti al Tempio calvinista, Carouge (Ginevra, Svizzera), maggio 2011.


La scuola dello sguardo attraverso il progetto Città Invisibili

15. Installazione multimediale nella Sala bianca dell’Odin Teatret, Holstebro (Danimarca), giugno 2011. 16. Installazione multimediale nella Sala bianca dell’Odin Teatret, Holstebro (Danimarca), giugno 2011.




ďœ˛ďœ¸ďœ˛

pino di buduo

17. Installazione sulla facciata del Castello nuovo, Ingolstadt (Germania), ottobre 2011. 18. Videoinstallazione sulla facciata laterale della cattedrale, Braga (Portogallo), settembre 2012.


La scuola dello sguardo attraverso il progetto Città Invisibili



19. Videoinstallazione sulla facciata laterale della cattedrale, Braga (Portogallo), settembre 2012. 20. Videoinstallazione sulla facciata dell’Università di Minho, Braga (Portogallo), settembre 2012.




pino di buduo

21. Videoproiezione nel quartiere di Borgo Pace, Lecce (Italia), settembre 2012. 22. Installazione lungo una strada del quartiere di Borgo Pace, Lecce (Italia), settembre 2012.


La scuola dello sguardo attraverso il progetto Città Invisibili

23. Installazione nella chiesa del quartiere di Borgo Pace, Lecce (Italia), settembre 2012.






Saverio Simi de Burgis

1. Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907, olio su tela, cm 243,9 × 233,7, New York, The Museum of Modern Art. 2. Umberto Boccioni, Materia, 1912, olio su tela, cm 150 × 225, Milano, collezione privata, temporaneamente conservata presso il Museo Guggenheim.


Artisti si nasce o si diventa?






Saverio Simi de Burgis


Artisti si nasce o si diventa?

3. Marcel Duchamp, 1919, ready-made, cm 19,7 × 12,4, New York, collezione privata. 4. René Magritte, Ceci n’est pas une pipe, 1928-1929, olio su tela, cm 60 × 81, Los Angeles, Los Angeles County Museum of Art. 5. Odilon Redon, Martyr, o Tête de martyr sur une coupe, o Saint Jean, 1877, carboncino e matita su carta, cm 37 × 36, Otterlo, Kroller Muller Foundation.




ISSN 2280-4498

ISSN 2280-4498

e 50,00 e 50,00 e 5 ISBN 978-88-7115-825-9 ISBN 978-88-7115-825-9 ISBN 978-88-7115-8


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.