Bruno Dolcetta, Michela Maguolo, Alessandra Marin
GIOVANNI ASTENGO URBANISTA Piani progetti opere
I --U --A --V ILPOLIGRAFO
materiali iuav collana di ateneo 6
Bruno Dolcetta, Michela Maguolo, Alessandra Marin
Giovanni Astengo urbanista Piani progetti opere
ilpoligrafo
Comitato scientifico per le iniziative editoriali dell’Università Iuav di Venezia Guido Zucconi (presidente), Andrea Benedetti, Renato Bocchi Serena Maffioletti, Raimonda Riccini, Davide Rocchesso, Luciano Vettoretto Università Iuav di Venezia Area Ricerca, Sistema bibliotecario e dei Laboratori Divisione sistema bibliotecario e documentale Anna Tonicello (responsabile) Archivio Progetti comitato scientifico Serena Maffioletti (presidente), Medardo Chiapponi Renzo Dubbini, Alberto Ferlenga, Luciano Vettoretto staff Serena Maffioletti (responsabile scientifico), Riccardo Domenichini (responsabile) Rosa Maria Camozzo, Sabina Carboni, Antonella D’Aulerio Lorena Manesso, Marco Massaro, Francesca Sardi, Teresita Scalco La pubblicazione del volume si avvale di un parziale finanziamento concesso dal Corso di Studi in Architettura del Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università degli Studi di Trieste
progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon copyright © dicembre 2015 Università Iuav di Venezia Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-922-5
indice
7 Oltre i confini. Giovanni Astengo e la cultura italiana della città Alberto Ferlenga Rettore Università Iuav di Venezia 9 Attualità di Giovanni Astengo Silvia Viviani Presidente INU 15 Introduzione Bruno Dolcetta, Michela Maguolo, Alessandra Marin 19 L’urbanistica di Giovanni Astengo: teoria e prassi Bruno Dolcetta appendice 72 Cenni sul piano urbanistico della regione piemontese Relazione al Sindaco di Torino - febbraio 1946 Gruppo ABRR 77 L’urbanista e l’architettura. L’opera architettonica di Giovanni Astengo Michela Maguolo 111 Da Torino ad Ankara. La dimensione territoriale del progetto Alessandra Marin 141 L’archivio di Giovanni Astengo. Un’autobiografia intellettuale Riccardo Domenichini 145 Giovanni Astengo, le opere. Un percorso di ricerca e documentazione
opere
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389 Crediti fotografici
391 Indice dei luoghi
393 Indice dei nomi
oltre i confini. giovanni astengo e la cultura italiana della citt Alberto Ferlenga Rettore Università Iuav di Venezia
La vita di Giovanni Astengo ha attraversato tempi e vicende fondamentali per la storia d’Italia, lasciando segni tangibili ed eredità fertili. Questo libro ne illustra le molte sfaccettature dagli esordi torinesi, alla fortuna di urbanista, al ruolo di fondatore di scuole presso lo Iuav di Venezia. Passando in rassegna, una dopo l’altra, le sue estesissime attività, sembrerebbe impossibile poterne trarre una sintesi: troppo vasta la sua curiosità, troppo profondo il suo impegno politico e civile per poter essere riassunto in pochi schemi. Eppure la storia di molti tra i personaggi più eminenti che hanno frequentato i campi dell’architettura e dell’urbanistica in un secolo tanto denso come il Novecento è spesso stata costretta in schemi, ancorata a ideologie, letta solo per una piccola parte del loro essere. Forse non poteva che essere così in tempi in cui l’impegno politico e l’adesione ideologica condizionavano ogni giudizio, compresi quelli contenuti nelle storie dell’architettura, ma oggi, anche a causa di questo, è come se avessimo di fronte un paesaggio tutto da riscoprire, in cui i confini di un tempo difendono spazi ormai vuoti. E il paesaggio in cui si muove Astengo è un paesaggio in cui non è facile tracciare confini. Laureatosi in Architettura a Torino con Giovanni Muzio, muove i primi passi con il gruppo ABRR composto da valenti architetti e ingegneri per i quali l’impegno nei confronti dell’architettura e della città non è poi così distinto. Oltre ad Astengo fa parte del gruppo Mario Bianco, che fonderà la scuola di Architettura di Lima in Perù e lascerà in quel paese alcune opere architettoniche di grande interesse che lo collocano tra i tanti ingiustamente dimenticati dell’architettura italiana del secondo Novecento. Astengo sarà urbanista e lo sarà sul campo, con i piani di Assisi e di Gubbio, che gli permettono di affrontare da pioniere il grande tema, tutto italiano, dei centri storici, lo sarà nelle istituzioni, nella politica, nelle associazioni e nella scuola. Ma sarà anche architetto e alcune sue opere come l’edificio per la Pro-Civitate Christiana di Assisi, premio IN/ARCH del 1965, che mi hanno fatto conoscere Alessandra Marin e Michela Maguolo, dimostrano la capacità di interpretare il rapporto tra vecchio e nuovo su di un terreno complesso come quello della città umbra, con una modernità lontana dalle ripetizioni e dagli schematismi del tardo moderno. Nei suoi piani come nelle sue architetture Astengo si misura direttamente con una storia che conosce e comprende, ne fa parte del suo progetto e ne preserva il movimento come bene fondamentale. Che sia prevalentemente urbanista è fuor di dubbio, come è indubbio che all’urbanistica abbia fornito le basi stesse del suo autonomo operare; ma oggi, forse, conta ancor di più saperlo appartenente a una comunità più ampia di quella raccolta dal suo
alberto ferlenga
amico Adriano Olivetti. Una comunità italiana di architetti, designer, urbanisti, che ha nel rapporto stretto con il territorio in cui vive il suo tratto comune. Una comunità che ha saputo rileggere storia, paesaggio e città indagando a fondo forme architettoniche e suoli, monumenti e tessuti, profili del paesaggio e vite, per estrarne complessità e differenze. Un’operazione di comprensione estesa e messa in atto a partire dalla pratica operante del disegnare architetture o piani e da quella dell’ascoltare chi da altri campi – la letteratura, la sociologia, l’economia, l’arte – guarda alle stesse cose. Oggi, forse, più della specificità disciplinare su cui molto ormai sappiamo, appare straordinaria quella sensibilità che si costruisce ai confini tra le discipline e che implica, sia nel praticarla che nel comprenderla, il possesso di un particolare sapere. Un sapere trasversale, indispensabile ad affrontare la contemporaneità e il futuro e sulla cui costruzione alcune scuole – e lo Iuav tra queste – e alcuni personaggi – e Astengo tra questi – hanno particolarmente lavorato fornendo materiali utili a tutti coloro che ritengono la città un bene primario.
attualit di giovanni astengo Silvia Viviani Presidente INU
Nei tempi che viviamo, riflessioni, cronache e dibattiti declinano la città come questione centrale. Ne parlano un po’ tutti, disegnando scenari futuri, mentre la fisicità degli spazi urbani è percorsa da movimenti continui, che ne confermano le qualità simboliche. Individui e gruppi vi cercano nicchie di riconoscibilità, risposte ai bisogni; nell’occupazione della città esistente come nella dispersione urbana si concretizzano progetti di vita e di lavoro, fortemente dipendenti dalle specificità culturali ed etniche. Quanto più i cambiamenti economici e climatici avvicinano le popolazioni, tanto più essi rafforzano, ovunque si trovino, la rappresentazione delle identità. Gli spazi urbani, pubblici e privati, sono attraversati dai comportamenti e dalla rappresentazione delle richieste di cittadinanza. Il progetto urbano si misura con il faticoso cammino dell’integrazione europea e della pacificazione fra i popoli, in tempi segnati dall’impoverimento anche culturale, nonché dalla standardizzazione delle trame interpretative e degli strumenti di intervento. La rappresentazione sociale del nostro Paese conferma, ancora troppo spesso, la prevalenza dell’opinione sul discorso pubblico, una capacità di adattamento resistente persino agli effetti peggiori della crisi, la sfiducia nell’istituzione, la scarsa rilevanza della dimensione pubblica, la difesa della stretta prossimità, orizzonte che poco contribuisce ai valori civici. S’impongono una più consapevole conoscenza delle tensioni sociali, un’idea di città non riconducibile alle mere attribuzioni funzionali dei suoli, investimenti culturali a fondamento di progetti che riprendano ad occuparsi di spazi e persone, di relazioni e di luoghi, ove non si manchi di cogliere il senso stretto fra capacità economica ed efficienza sociale della città. Nel conoscere i caratteri della società contemporanea, nel seguirne cambiamenti profondi e rapide mutazioni, non si può abbassare la guardia nella difesa di diritti universali quali la libertà, l’uguaglianza e la dignità, di diritti storicamente consolidati nelle carte costituzionali a garanzia di cura, istruzione, convivenza, sicurezza. Non molto importa – se non agli addetti ai lavori, che tuttavia vi si devono impegnare – quali tecniche siano più adatte, da quale settore si può cominciare; quel che conta è presentarsi pronti ad accollarsi un tal compito, per rifondare impegno e fiducia, per allargare l’orizzonte del nostro sguardo e delle nostre riflessioni. La qualità della città contemporanea non è questione confinabile in un dibattito tecnico; essa presuppone uno scenario di valori da offrire alle popolazioni. Per farlo bisogna ripartire dalla dimensione culturale ed etica che deve sostenere la fatica del pianificare e dell’amministrare. Il risanamento di città e territori, che ci impegna nel rinnovo delle geografie istituzionali e territoriali, dei saperi esperti, della responsabilità politica, ha bisogno di canoni morali risanati.
silvia viviani
A un quadro così complesso, volto al cambiamento, reale e auspicato, la nostra disciplina non può essere estranea. Eppure, in tanto parlare di città, l’urbanistica stenta a trovare posto. Contraddetta nei suoi principi fondamentali dal groviglio legislativo e procedurale, la nostra disciplina, costantemente in evoluzione e paradossalmente irrigidita in canoni che paiono immutabili, riceve dal mondo reale la domanda relativa a capacità di comprendere, rappresentare, raccontare. Gli urbanisti più attenti colgono la necessità del ripensamento dei paradigmi. Giovanni Astengo ci richiama alla necessità, attualissima, di non separare la ricerca di una definizione aggiornata della disciplina dall’approfondimento della «natura dell’oggetto stesso della ricerca e degli interventi, l’insediamento umano sul territorio, nella sua più civile espressione, la città»1. La città contemporanea è una serie di forme urbane diverse, in genere riferibili alla dimensione diffusa, con connotati negativi in termini di ricadute ambientali, ma si conferma il modo che la storia ci ha dimostrato come il più efficace per organizzare le attività umane, promuovere l’impresa, la ricerca e il lavoro, liberare le capacità creative e rendere fertili gli scambi e le aggregazioni. Nella varietà delle forme urbane contemporanee persiste la polarità dei centri storici, indipendentemente dalla loro grandezza. Dalla Carta di Gubbio in poi la salvaguardia della città antica e il progressivo incremento dello spazio e del valore attribuitole sono costanti; fino a far coincidere storia e identità, e di conseguenza spazio fisico e patrimonio culturale. Da allora il centro storico si è progressivamente consolidato come luogo eccellente delle relazioni, della cultura, della residenza, del commercio, del turismo. Si può affermare che la forma fisica della città antica sia stata mantenuta, con ciò registrando un saldo positivo rispetto agli obiettivi di conservazione dei centri storici, ma è necessario riformulare il loro rango strategico, considerare gli spazi di relazione percettiva e funzionale per individuarli quali ambiti di interesse paesaggistico, dotati di capacità territoriali, prestazioni riconoscibili dalla collettività, in grado di alimentare l’integrazione e la ricchezza culturale, e per tal via, di contrastare fenomeni di degrado. La città, pertanto, si offre a noi come risorsa preziosa, per la quale occorre un coinvolgimento politico e sociale complessivo, convinto, senza il quale la domanda di progetto e di qualità urbana potrà ottenere ascolti parziali e parziali risposte: le singole opere pubbliche, le singole politiche. Per questo coinvolgimento dobbiamo guardare alla città reale, un ambito che ha senso se pensato in relazione a tutti coloro che lo usano: il progetto della città non può essere scisso dal progetto di cittadinanza. In questo non dobbiamo dimenticare che la cultura europea ha elaborato l’ideale della convivenza pacifica, che comporta la nozione di conservazione: dei nostri patrimoni naturalistici, storici e artistici, dei nostri paesaggi naturali, rurali, urbani. Esiste una corrispondenza non banale tra la conservazione, i valori, nei quali l’Europa si riconosce, di giustizia, laicità e libertà individuale, gli obiettivi di sostenibilità, inclusione, intelligenza contenuti nella programmazione per le città europee. Nessun pianificatore si occuperebbe della conoscenza delle risorse se non avesse maturato il concetto di conservazione, inteso come il modo in cui l’evoluzione della nostra cultura percepisce le risorse e ne determina tutela e trasformazione. In questa concezione della conservazione sono comprese la protezione e la riproduzione delle risorse, ma anche la possibilità di generarne di nuove. Le risorse non sono stabili, non tutte contengono aprioristicamente i valori rispetto ai quali definiamo gli usi ammissibili, sono soggette a evoluzione, nelle loro proprietà fisiche e nella percezione che ne abbiamo. Il nostro sforzo di conoscere
attualit di giovanni astengo
e interpretare le risorse non è un esercizio astratto, dipende da ciò che ci proponiamo. In definitiva le risorse costituiscono la materia prima per la definizione di obiettivi e progetti strategici; perciò le città vanno pensate come nodi di una rete territoriale ove ricucire le discontinuità create dalla diffusione insediativa. Non vi sono risposte standard univocamente determinate, ovunque applicabili: ogni contesto è specifico. In questo percorso ci fanno riflettere il patrimonio profondo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e la sua storia2 che, nei momenti più fecondi, è caratterizzata da impegno civile, coerenza, passione, sostegno a un progetto di società con la padronanza delle tecniche e la creatività artistica. È un’etica solida, riversata nell’insegnamento, nella produzione dei piani, nell’agire amministrativo e nella capacità industriale non disgiunta dalla cura per il territorio. L’attualità del costante senso di responsabilità sociale di Giovanni Astengo3, Adriano Olivetti, Edoardo Detti, indica la strada per affrontare la complessità e i disagi del mondo contemporaneo, denunciandone i degradi morali. Rileggere le pagine della storia italiana, nelle quali la difesa degli interessi pubblici e il progetto urbanistico erano parte integrante del risanamento morale del Paese, o le pagine che raccontano le vicende urbanistiche e le scelte dell’INU di misurarsi sulla dimensione della cultura politica, per il rinnovamento profondo al quale contribuire, è un esercizio utile. Su quella strada, ritrovando la solidità dell’impegno civile che Astengo ha praticato e ci offre come eredità attiva, si possono affrontare, senza retorica né timori, le riforme in discussione che, se prive del chiarimento sulle ragioni e di una rinnovata centralità dell’attenzione per l’uomo, rischiano di rincorrere, a fronte di risorse drammaticamente ridotte, scelte esasperatamente efficientiste, orfane di un progetto sociale e di ancoraggi etici. Ciò riguarda tutti i temi oggi in agenda, contestualmente, dal generale al particolare: salvaguardia dei paesaggi, tutela dell’ambiente, nuova forma del piano, modalità democratiche di partecipazione alle scelte, convergenza degli interessi pubblici e privati, fiscalità urbanistica e immobiliare, rigenerazione urbana e architettura. Pratiche e processi di governo del territorio dovrebbero assumere connotati di programmazione e di progetto, aperti, comprensibili, accessibili, orientati alla soluzione dei problemi. Le ricadute riguardano tutti gli attori, certo non ultimi i pianificatori, per trasformare il piano da groviglio procedurale a racconto consapevole e scenario prospettabile, per valutare e scegliere progetti nei quali i valori sociali e ambientali assumano un portato economico non riducibile a parametri finanziari. Questioni che attengono alla nostra scienza4, della cui utilità sociale siamo profondamente convinti e che appare mortificata in contrapposizioni ideologiche, percepita come un costo infruttuoso, confinata nelle definizioni normative e in arroccamenti burocratici che non l’hanno protetta dall’essere travolta da vicende di illegalità e corruzione. L’attualità del pensiero di Astengo è componente rilevante del contributo che l’Istituto Nazionale di Urbanistica può dare al Paese, per il consolidamento teorico e le pratiche sperimentali, utilizzando forme e modalità di approfondimento scientifico, dalle quali muovere verso l’esterno con la divulgazione degli esiti più proficui, per incrementare qualità e coraggio delle filiere istituzionali, responsabilità politiche, alleanze fra le forze culturali. Si tratta di investire in un costante impegno formativo, di proporre un miglior funzionamento degli assetti di governo e la produzione di robuste quote di politiche pubbliche: un’efficace applicazione degli attrezzi, a partire da una lucida ma anche coinvolgente interpretazione delle nostre città e dei nostri territori. Sono i temi con i
silvia viviani
quali l’INU ripensa alla propria agenda, nei diversi contesti territoriali. Appare un mondo variegato, che riflette le differenze di condizioni strutturali, istanze culturali e portati storici. Il linguaggio, che pare unitario, si rivela una successione di echi. È il portato di un ventennio di urbanistica riformata su basi regionali, orfana della riforma nazionale, di una prospettiva unificante. Non si può negare che, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, il passaggio dall’urbanistica al governo del territorio sia stato accompagnato dalla consapevolezza circa il necessario miglioramento dei comportamenti umani rispetto all’ambiente e la cura degli aspetti sociali ed economici per la protezione delle popolazioni e dei gruppi svantaggiati. Quanto alle molteplici componenti «geografiche, storiche, ideologiche, culturali, economiche del fatto urbano, le esigenze tecnologiche, igieniche, educative, assistenziali ad esso connesse»5, delle quali l’urbanistica deve interessarsi, in quanto «attività specificamente intenzionata alla progettazione degli sviluppi urbani»6, si può riconoscere che, laddove la formazione di piani ha saputo utilizzare al meglio le leggi cosiddette di nuova generazione, coniugando cultura e tecnica, è stata colta l’occasione per investimenti e produzione di risorse: analisi dello stato dei territori, uffici di piano, gruppi interdisciplinari di lavoro, sperimentazione di tecniche di partecipazione democratica, coordinamento fra municipalità, coinvolgimento degli amministratori. In sostanza, anche un processo educativo: di nuovo, la lezione astenghiana. Da qui ci muoviamo, per quel che il nostro Istituto può e vuole dare, ribadendo la fiducia nel metodo della pianificazione, ritenendo indispensabile recuperare la dimensione vitale del piano (con le parole di Giovanni Astengo: «un piano vivo per un insediamento vivo») e rifondare le basi etiche delle scelte che attengono alle città e ai territori. Per una nuova stagione di buona urbanistica7,si tratta di far tesoro della nostra storia, delle capacità esperte, del senso di responsabilità e dei principi di buon governo, delle capacità di procedere utilizzando metodi e strumenti collaudati, riuscendo nel contempo ad apprendere dal nuovo.
Nella pagina a fianco l’esergo è tratto da «Urbanistica», 7, 1951, p. 5
1 G. Astengo, s.v. Urbanistica, in Enciclopedia Universale dell’Arte, Istituto per la collaborazione culturale, Venezia-Roma 1966. 2 http://www.inu.it/per-una-storia-dellinu. 3 «Ma perché l’impulso a questa profonda trasformazione di struttura sociale possa concretarsi, o, per dirla in termini crociani, possa «soddisfarsi trapassando in azione», è necessario che prima siano definiti gli scopi ed i mezzi e i limiti dell’urbanistica moderna, che siano fugati i possibili equivoci della sinonimia fra pianificazione urbanistica e pianificazione economica, che siano esemplificati i metodi di procedura democratica nella compilazione ed attuazione dei piani. Quando quest’azione chiarificatrice, che è la sostanza del programma della nostra rivista, si sarà sufficientemente sviluppata anche nel nostro ambiente, allora l’urbanistica cesserà di apparire una speculazione astratta e un’accolta di sterili esercitazioni. Essa diventerà non solo strumento di riorganizzazione sociale, non solo strumento amministrativo, ma, infine, non dimentichiamoci, anche il mezzo, l’unico mezzo efficace, per la rinascita dell’architettura moderna», G. Astengo, Attualità dell’urbanistica, editoriale della rinata rivista «Urbanistica», organo ufficiale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, 1, 1949. 4 «Come attività specificamente intenzionata alla progettazione degli sviluppi urbani, l’urbanistica è interessata a tutte le componenti geografiche, storiche, ideologiche, culturali, economiche ecc. del fatto urbano, nonché a tutte le esigenze tecnologiche, igieniche, educative, assistenziali ecc. ad esso connesse», G. Astengo, s.v. Urbanistica, cit. 5 Ibid. 6 Ibid. 7 S. Viviani, Relazione della Presidente dell’INU, Assemblea dei Soci INU (Vicenza, 16 aprile 2015), online al sito http://www.inu.it/assemblee-dei-soci.
GIOVANNI ASTENGO URBANISTA
L’urbanistica non è soltanto dottrina o scienza pura, né solo arte, né fredda tecnica o semplice prassi: è l’uno e l’altro assieme, è cultura, nel più completo senso della parola, è vita, vissuta o sognata.
introduzione Bruno Dolcetta, Michela Maguolo, Alessandra Marin
Il lavoro contenuto in questo volume è frutto di un percorso iniziato nel 1996, con il deposito, presso l’Archivio Progetti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dell’archivio personale e professionale di Giovanni Astengo (Torino, 1915 San Giovanni in Persiceto, 1990). Un lavoro che si configura come una tappa necessaria nel percorso di conoscenza del suo magistero – che ha segnato in modo profondo la storia dell’urbanistica italiana ed europea nella seconda metà del Novecento – e che viene pubblicato in occasione del centenario della nascita. L’obiettivo principale degli autori, e di chi ha collaborato con loro lungo questo percorso, è stato quello di ricostruire, seguendo il filo del tempo e attraverso approfondimenti tematici, le fondamentali vicende, opere, pensieri e scritti di questo protagonista della storia del nostro Paese, basandosi prevalentemente sul lascito prezioso costituito dal suo archivio, così come era stato da lui stesso raccolto per consegnarlo a noi come testimonianza del suo intenso e appassionato operare. L’impegno per la tutela, il restauro e la valorizzazione di questi documenti si è sviluppato a partire dal momento in cui, a pochi mesi dalla scomparsa di Giovanni Astengo, il Dipartimento di Urbanistica dell’IUAV ha promosso l’acquisizione della sua biblioteca e dell’archivio. La prima è stata accolta in uno specifico “fondo Astengo” classificato, ordinato e infine collocato nella Biblioteca generale, mentre il secondo è conservato presso l’Archivio Progetti che, dopo l’ordinamento e la redazione dell’inventario curato nel 2000 da Alessandra Marin, ha provveduto al restauro e alla salvaguardia dei materiali in esso contenuti, procedendo nella loro più dettagliata catalogazione, oggi in via di conclusione. Questo volume ha inteso integrare, in modo significativo, il quadro degli studi su Astengo che si è delineato attraverso alcuni importanti contributi che ne costituiscono il necessario sfondo di riferimento. Primo tra di essi, in ordine cronologico, la raccolta di saggi e di importanti testi inediti La ragione del Piano. Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana, curata da Francesco Indovina nel 1991, cui segue l’accurato e documentato profilo delineato da Paola Di Biagi in Urbanisti italiani nel 1992, testo nel quale Astengo viene collocato nel novero dei protagonisti dell’urbanistica italiana1. Tra i contributi più recenti, e parte del percorso che ha condotto alla redazione di questo volume, il film e il libro Giovanni Astengo. Urbanista militante, realizzati a cura del Dipartimento di Urbanistica dell’IUAV nel 2009 da Leonardo Ciacci, Bruno Dolcetta e Alessandra Marin, a partire da un lungo lavoro di raccolta filmata di testimonianze su Giovanni Astengo2 conservate e consultabili insieme all’archivio e alla biblioteca. Più di recente, va ricordato il volume, promosso da INU edizioni, Le eredità di Astengo, curato da Giuseppe De Luca e Francesco Sbetti; vogliamo infine segnalare, come utile strumento per la ricerca, il sito web dedicato
bruno dolcetta, michela maguolo, alessandra marin
agli scritti di Giovanni Astengo di recente attivato presso il Laboratorio di cartografia CIRCE dell’Università IUAV di Venezia, all’indirizzo http://circe.iuav.it/astengo/prototipo/, curato da Laura Fregolent. In tale quadro, il ruolo che gli autori hanno inteso dare a questo nuovo lavoro è quello di presentare l’attività di Astengo: attraverso l’ampia documentazione archivistica concernente i diversi contributi del Maestro e delineando un profilo critico che, sulla base di tale documentazione, integrata da ogni altra fonte disponibile, offra elementi utili ad approfondire le principali componenti del suo lascito etico, civile e progettuale. L’opera di Giovanni Astengo comprende progetti di architettura, piani urbanistici comunali, di dettaglio e d’area vasta, indagini, ricerche, grandi progetti istituzionali, e un incessante lavoro pubblicistico in ordine allo svolgersi delle vicende politiche, culturali e sociali e che hanno segnato la storia della città e del territorio italiano ed europeo nel dopoguerra. Nel libro sono, quindi, ordinati pensieri, progetti, luoghi, persone che hanno rilievo nella narrazione della vicenda intellettuale di Giovanni Astengo e del suo tempo. Si rivolge agli studiosi, agli studenti, agli amministratori, ai professionisti, a quanti, persone di cultura italiane e straniere, riconoscono la grande avventura urbanistica italiana come componente fondamentale della storia italiana ed europea. Delle opere qui presentate, alcune sono molto note (dal quartiere La Falchera a Torino, ai Piani per Gubbio, Assisi e Bergamo); altre sono meno conosciute (il complesso Ina-Casa di via dei Filosofi a Perugia, il Centro Ospitalità della Pro Civitate Christiana ad Assisi, il lavoro interrotto del Piano di Genova, il contributo alla Commissione Parlamentare di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico archeologico artistico e del paesaggio, l’indagine sulla frana di Agrigento, il Piano di Bastia Umbra o la stessa voce Urbanistica della Enciclopedia Universale dell’Arte); altre ancora praticamente ignote ai più (il sistema di prefabbricazione A.B.C., i progetti per San Leonardo di Cutro o quelli per la cooperativa Ikuvium di Gubbio, i tanti documenti relativi al primo periodo della sua attività e quelli fondamentali, solo in parte editi, relativi invece all’ultima sua stagione). Le opere individuate e inserite in questo volume, a ciascuna delle quali è dedicata una scheda illustrativa e critica, per la maggior parte basata sui documenti originali ora depositati a Venezia, forniscono un quadro articolato, e il più possibile esaustivo, di quasi 50 anni di attività del Maestro. La conoscenza dell’opera di Giovanni Astengo, tuttavia, non si conclude con questo ultimo contributo che invece, a nostro avviso, apre a ulteriori studi e approfondimenti di rilevante interesse, molti dei quali sono già ben individuabili in queste pagine.
1 Il volume, curato da Paola Di Biagi e Patrizia Gabellini, raccoglie anche contributi biografici e critici su altri urbanisti e architetti che in misura diversa hanno caratterizzato le trasformazioni del Novecento nelle città e nei territori d’Italia: Luigi Piccinato, Plinio Marconi, Giuseppe Samonà, Ludovico Quaroni, Giancarlo De Carlo e Giuseppe Campos Venuti. 2 Le lunghe interviste raccolte da Alessandra Marin tra il 2004 e il 2006 vedono protagonisti oltre alla sorella di Astengo, Luciana Priante Astengo, numerosi collaboratori, amici e colleghi che a partire dalle nostre dirette conoscenze, dallo studio dell’archivio, e in special modo della corrispondenza, si sono ritenuti i testimoni privilegiati da interpellare per contribuire a meglio delineare la figura di Astengo: Giuseppe Abbate, Giuseppe Campos Venuti, Paolo Ceccarelli, Giulio De Giovanni, Giuseppe De Luca, Bruno Dolcetta, Bruno Gabrielli, Nerio Nesi, Domenico Patassini, Vera Quaranta Grosso, Bernardo Sarà, Giovanni Spalla e Marcello Vittorini.
l’urbanistica di giovanni astengo: teoria e prassi Bruno Dolcetta
Il padre lo avrebbe voluto ingegnere, Gio, come lo chiamavano in famiglia e si firmava nei primi anni, voleva studiare Storia dell’arte. Con la mediazione della madre, la facoltà di Architettura, da pochi anni inserita come nuovo corso di studi del Politecnico di Torino, fu un onorevole compromesso1. Gio è stato un ottimo studente, si laurea a Torino nel 1938 appena ventitreenne, con il progetto di un grande museo, tema coerente con la sua passione per l’arte, perfettamente documentato in archivio, relatore Giovanni Muzio [infra, p. 148]. Sobrio e compatto l’impianto, architettura moderna il linguaggio, interessanti e maturi gli studi preparatori che comparano le soluzioni espositive adottate, in tempi recenti, in importanti musei e mostre in Europa e negli Stati Uniti, quali Berlage a l’Aia, Clarence Stein a Princeton, Seager e Hobbs a Cambridge, e poi Persico, Nelson, Gropius, Le Corbusier, Lurçat, Perret, esempi che testimoniano l’ampia conoscenza della letteratura contemporanea e del Movimento Moderno. Approfonditi e risolti, infine, i temi cruciali dell’organizzazione espositiva e del controllo dell’illuminazione naturale delle opere, con scelte che modellano lo spazio e danno ordine alle soluzioni tecnico-costruttive adottate. Un bell’esordio, che sembra avviarlo al mestiere dell’architettura, tanto più che, dopo aver sostenuto l’esame di Stato a Roma, nel 1939 partecipa al concorso per la sede EIAR di Milano (con Bairati), nel 1939-1940 con l’Ufficio tecnico del Politecnico redige il progetto esecutivo della sede di Cascina Ceresa, poi non realizzato. È invece del 1940 il concorso (con Bianco, Bairati, Bursi) per il progetto di una “casa littoriatipo” per piccoli centri (2° premio), ed è del 1941 lo sviluppo di una soluzione per il comune trentino di Baselga di Pinè; progetto sobrio e sapiente che Giuseppe Pagano pubblica su «Costruzioni-Casabella», 183 [infra, p. 150]. Nel 1944 si colloca il progetto della industrializzazione di case componibili in metallo, sistema A.B.C. (Astengo, Bianco, Ceratto); progetto di grande impegno, coperto da brevetto italiano e francese, e la cui conoscenza all’epoca, nell’immediato dopoguerra, si diffuse anche in sede internazionale; un omaggio, al tempo stesso, alla futura emergenza abitativa ed alla cultura industriale piemontese e familiare, con soluzioni saldamente entro i canoni della modernità [infra, p. 158]. Sempre nello stesso anno Astengo celebra, con un sorriso, la sua prima parcella, per il progetto e direzione lavori dell’arredo interno di un negozio di profumeria in via XX settembre a Torino.
bruno dolcetta
La famiglia Astengo a Pietra Ligure, nel 1929, con amici e due domestiche; al centro della scena Gio, adolescente e sorridente Ai tempi del liceo
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l’urbanistica di giovanni astengo: teoria e prassi
La prima parcella: il negozio di profumeria in via XX Settembre a Torino, 1944
bruno dolcetta
Questa scala dell’impegno, del resto, non ci deve sorprendere posto che era continua anche la collaborazione con il padre, nella ditta di famiglia di produzione di mobili in metallo. Se seguiamo il filo rosso dell’impegno in architettura, troviamo ancora, nel 1946, il progetto di concorso per il Politecnico che ottenne il premio ex aequo, di cui, tuttavia, manca documentazione in Archivio, progetto che sarà realizzato poi, con incarico diretto, da Muzio e Bairati. Questo suo già ricco e riconosciuto profilo, con le articolate conoscenze acquisite nelle tecniche del costruire, gli valgono prima l’impegno di assistente alla cattedra di Architettura tecnica dal 1943 al 1945 (prof. incaricato Mario Bianco) e poi, nel 1944, il primo incarico di docente presso il Politecnico nell’insegnamento di Elementi Costruttivi, corso che terrà per dieci anni. E del resto il progetto di architettura, a vari livelli di complessità, è presente nell’esperienza di Astengo nel corso di buona parte della sua vita, nella duplice accezione di architettura progettata, costruita e di strumento concettuale e tecnico per la comprensione dello spazio urbano e la sua modellazione, a tutte le scale2. La formazione e la scelta Ma noi sappiamo che Gio è stato e ha voluto essere urbanista. Ci chiediamo, allora, quando si manifesta e come matura questa decisione. Per farlo è necessario tentare di ricostruire quale sia stato il contesto e, almeno in sorvegliata ipotesi, quale il percorso entro il quale si è orientata e formata la personalità di Giovanni Astengo nella sua sostanza etica, intellettuale, civile e politica. Passaggio rischioso e incerto negli esiti, soprattutto perché limitato dalla scarsità di documentazione che Astengo ci ha lasciato sulla sua vita privata e sulle vicende strettamente personali e familiari; e tuttavia ineludibile, perché è da questo percorso che discende intrecciata, in modo indissolubile, la figura dell’intellettuale, dell’uomo pubblico e dell’urbanista3. Bisogna, anzitutto, collocare nel tempo gli anni della formazione, avendo ben presente che, proprio nel decennio 1928-1938 in cui Gio frequenta il liceo e poi l’università, la sua generazione affronta tutto il percorso scolastico mentre il regime fascista mette in campo e dispiega la sua trionfante retorica, esercita uno stretto controllo delle manifestazioni di dissenso, ed è al suo massimo di organizzazione e di consenso. Da quel clima e da quei riti Astengo sembra restare immune, grazie anzitutto alla visione colta e libera che vive nell’operoso ambiente familiare ma, evidentemente, anche per una sua personale e precoce adesione a quei valori etici, laici ed europei che pur apparivano così lontani dalla cultura dominante. Certamente un sostegno nel percorso di formazione va ricondotto alla presenza di una viva critica antifascista che percorreva parte della società torinese in quegli anni cruciali e che trovava non solo un’eco, ma adesione coraggiosa, motivata e partecipe proprio nelle scuole superiori della città. Nelle aule del liceo Massimo D’Azeglio, in particolare, la discussione libera e aperta aveva come animatore e principale riferimento il professore di lettere Augusto Monti, amico e collaboratore di Piero Gobetti. Attorno a lui un gruppo di studenti che, alla prova del tempo, riveleranno uno straordinario profilo etico ed intellettuale,
l’urbanistica di giovanni astengo: teoria e prassi
saranno protagonisti di un’avventura politica che pone in assoluta evidenza l’ambiente torinese nel panorama dell’antifascismo militante, lungo tutto l’arco di tempo che va dalla presa del potere fino alla caduta del regime4. Astengo frequenta un liceo torinese diverso, l’Istituto Sociale retto dai Gesuiti, ed entra nella scuola superiore subito dopo che gli studenti sopra ricordati, più vecchi di lui di 5-7 anni, ne sono appena usciti. Ma, come Monti dirà «Fu bene una fucina di antifascisti il Massimo D’Azeglio in quegli anni, ma non per colpa o per merito di questo o di quell’insegnante, ma così, per effetto dell’aria, del suolo, dell’ambiente torinese e piemontese»5. L’antifascismo era, dunque, ben presente nelle aule liceali, per gli studenti che avessero avuto interesse a intenderlo. Ed allora non sorprende che nel registro curriculare scolastico di Giovanni Astengo datato 1932 compaia una notazione che recita “socialista”, scritta di traverso, da uno zelante funzionario. Il ragazzo non ha ancora 18 anni. La nota testimonia di una scelta che Gio aveva, già allora, in qualche modo annunciato e che renderà pienamente palese non appena potrà avere, più tardi, nella nuova Italia del dopoguerra, una piena espressione politica. Ma quale socialismo? Mettiamo da parte, per un momento, la questione sulla quale torneremo fra poco. Dall’anno seguente, Gio sarà all’università, facoltà di Architettura, dove la “corrente accademico-romanista dominante”, assumo qui una locuzione da lui usata6, tendeva a chiudere la concezione stessa dell’architettura in una visione autarchica, enfatica e celebrativa. Ma erano presenti, soprattutto fuori dell’università, gruppi, pur minoritari, di intellettuali, artisti e progettisti di cultura diversa, partecipi del Movimento Moderno e con ben più complesse teorie sull’architettura e sulla città, intellettuali in grado di tenere aperti i canali di conoscenza e i rapporti con le esperienze europee e internazionali. A quei gruppi e a quelle esperienze si legano gli studenti più critici e motivati e, ciascuno a suo modo, trova le risorse per orientare e sostenere le proprie scelte culturali e, per questa via, anche politiche7. Per Astengo, per sua diretta testimonianza, la principale figura di riferimento è quella di Luigi Piccinato8 un urbanista, dunque; e non sarà il solo perché Bruno Zevi, di tre anni più giovane, riconosce anch’egli nei confronti di Piccinato un debito decisivo per la sua formazione9. E se ho introdotto questo inciso è perché li ritroveremo alcuni anni dopo, tutti e tre insieme, profondamente legati da ideali, obiettivi e volontà, a svolgere un ruolo cruciale per le vicende dell’urbanistica italiana. Con la laurea ha inizio la responsabilità di ciascuno per gli indirizzi da dare alla propria vita; sono scelte che Astengo vive con intensità e, certamente, con qualche iniziale conflitto su quale dovesse essere il centro su cui focalizzare i propri interessi. Si impegna, come abbiamo visto, in numerose esperienze di progettazione architettonica, nelle quali manifesta idee e metodo, ma, sul piano della riflessione storica e teorica, è in questo stesso periodo che si fa sempre più chiara la vocazione ad occuparsi di quella complessa e, di norma, assai ardua, disciplina urbanistica. Chiamato dal gennaio 1942 a prestare il servizio militare, Gio lo assolve come ufficiale del Genio Ferroviario, fino al 1943, quando viene congedato10. Aveva avuto, dunque, qualche tempo per riflettere, ma non ha interrotto, per questo, l’impegno ad approfondire e scrivere su temi che sono, ormai, decisamente orientati. E, di quegli stessi anni, infatti, è la collaborazione con «Architettura Italiana», diretta nell’ultimo
da torino ad ankara. la dimensione territoriale del progetto Alessandra Marin
Piano e territorio, una premessa I temi di riflessione che si intrecciano nei primi articoli pubblicati da Giovanni Astengo, tra il 1942 e l’immediato dopoguerra, sono legati alla necessità di immaginare con anticipo il possibile futuro di città e territori travolti dalla guerra, alla ricerca di «un nuovo equilibrio sociale, morale ed economico» che i piani possano favorire e garantire. Ma sono anche frutto della sentita necessità di concretizzare quanto definito dalla nuova legge urbanistica italiana, a partire dalla considerazione che le vicende belliche, con la stasi del settore edilizio e le distruzioni inferte a tante città italiane siano «la ideale piattaforma di partenza per il lavoro di domani»1. I problemi della città, del suo sviluppo – considerato dal punto di vista tecnico, spaziale, sociale ed economico – vengono visti in questi testi come risolvibili non solo attraverso la regolazione dell’attività edilizia e i piani per la ricostruzione delle città esistenti, ma soprattutto tramite la pianificazione e la programmazione su vasta scala, dove tale concetto spazia dalle ipotesi di piano per l’Italia settentrionale, che si sviluppano a supporto di quelle per la regione piemontese, al piano nazionale urbanistico2. In questo modo, coniugando l’attenzione allo spazio, ai fattori economici e ai fattori spirituali e morali, anche attraverso il reiterato richiamo all’uomo come misura di ogni intervento, Astengo inizia a elaborare – in parallelo con quanto il sodalizio con Bianco, Renacco e Rizzotti sta producendo nel contesto di lavoro torinese – un’idea di piano che supera i confini fino ad allora sperimentati in Italia, eccezion fatta per gli Studi e proposte preliminari per il Piano Regolatore della Valle d’Aosta che le Nuove Edizioni Ivrea danno alle stampe nel 1943. Studi che peraltro Astengo cita solo una volta nella sua produzione pubblicistica dedicata al tema del rapporto tra piano e territorio, pur essendogli certamente noti, cosa che porta a supporre che la sua idea di piano sia lontana dagli esiti del lavoro del gruppo formato da Olivetti nel 1937. L’interesse di Astengo per la pianificazione regionale, a quanto si evince dal progressivo esplicitarsi nei suoi scritti giovanili di riferimenti bibliografici e citazioni, si sviluppa invece a partire da letture per lo più di esperienze e teorie europee, legate sia a un’idea di città organica (da Ebenezer Howard a Jean Lebreton3), sia al progetto urbanistico che si riconosce nel movimento funzionalista e moderno (da Tony Garnier a Le Corbusier, attraverso le pubblicazioni dei CIAM e dell’ASCORAL) e che nel testo che per primo suggella il riconoscimento della sua figura come studioso di pianificazione d’area vasta, la voce Piano di coordinamento territoriale nella seconda appendice dell’Enciclopedia Italiana Treccani, vengono affiancati da riferimenti testuali a
alessandra marin
strumenti di piano esemplari come il Greater London Plan di Patrick Abercrombie, il Piano Territoriale della Tennessee Valley, le esperienze di pianificazione territoriale nei bacini industriali sovietici. Questo insieme di letture riemerge, oltreché in parte dalla consultazione dei volumi conservati nella biblioteca di Astengo, dalla presenza di riferimenti espliciti nelle due più articolate pubblicazioni redatte tra gli ultimi mesi del conflitto e la primissima fase della ricostruzione: il volumetto Agricoltura e Urbanistica, pubblicato nel 1946 con Mario Bianco, e l’inedito Abitazione e lavoro nella città di domani. Programma per la ricostruzione urbanistica, al cui testo Astengo lavora tra il 1944 e 1946, avvalendosi della collaborazione di Renacco e Rizzotti per la parte iconografica4. Al loro interno mi sembra si possa individuare la prima definizione di un modo di guardare al progetto urbanistico che supera la dimensione urbana e quella del piano per il risanamento o l’ampliamento delle città, per coinvolgere il territorio nelle ipotesi di sviluppo e di ricostruzione, assegnando ai piani di coordinamento territoriale, da poco istituiti dalla legge urbanistica, un ruolo di «tessuto connettivo fondamentale, su cui possano in seguito inserirsi i piani di maggior dettaglio relativi ai centri urbani e rurali e alle loro parti» e andando in tal modo a predisporre un «piano d’incontro fra esigenze locali, necessariamente frammentarie, ed esigenze nazionali, necessariamente generali e sintetiche»5. Nella prefazione del primo volume, Agricoltura e Urbanistica, Emilio Pifferi esplicita con grande chiarezza il senso dell’opera, riconoscendo nell’urbanistica «la scienza che studia e predispone l’organizzazione della vita collettiva, della quale la città è solo uno dei tanti elementi [...] inseparabilmente connessa al suo “hinterland”» e pertanto lo sviluppo di uno studio delle zone agricole come «entità produttive attive» e del concetto di «area nutritiva di un centro abitato»6 vi appare funzionale all’applicazione sul campo, ovvero nella redazione dei piani urbanistici, degli studi sui rapporti economici tra città e campagne coltivate. Lo studio delle potenzialità agricole di un territorio, delle colture, della manodopera assorbita dal settore primario e del suo rendimento, consente di valutare l’efficienza agricola dello stesso, ma anche di osservare entro quali limiti amministrativi sussista l’autosufficienza agraria delle città o dei loro sistemi, o infine di influenzare la pianificazione delle infrastrutture e la gestione dei servizi di trasporto e produzione. Se in Agricoltura e urbanistica vengono vagliati i rapporti tra città, territorio e settore produttivo primario, in Abitazione e lavoro l’attenzione si sposta verso il settore secondario industriale e la sua relazione, attuale e futura, con la città consolidata, introducendo inoltre la questione del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, favorito dalla riduzione dei tempi di spostamento casa-lavoro. Già nella prima versione del testo introduttivo7 gli autori evidenziano la necessità di impostare la ricostruzione futura attraverso azioni «di un più vasto respiro e di un angolo visuale che superi l’immediatezza del caso singolo», combattendo l’idea radicata del semplice ripristino «in modo tale da riconoscere e predisporre a tempo le direttrici in cui verranno convogliate le forze nascenti»8. La ricerca di queste direttrici si basa sull’esame delle situazioni in cui si sono sviluppate e si trovano, sul finire del conflitto, le grandi città industriali e si confronta in particolare con la necessità di separare gli insediamenti produttivi da quelli residenziali, per evitare le devastazioni e le perdite umane prodotte dai bombardamenti aerei. La più valida risposta a questi problemi viene individuata nella distinzione delle funzioni urbane proposta dai CIAM e da Le Corbusier – abitare, lavorare, ricrearsi
la dimensione territoriale del progetto
e, tra di esse, circolare – esaminati però finora «in sede pratica e teorica separando l’un termine dall’altro» mentre appare chiaro agli autori che «alla vigilia di un nuovo ricominciamento, non è assolutamente lecito impostare un problema urbanistico al di fuori della risoluzione simultanea dei due termini essenziali della vita dell’uomo: LAVORO E ABITAZIONE»9. I criteri di intervento che ne derivano – trasferimento e riorganizzazione degli impianti industriali all’esterno dei centri cittadini e successiva riorganizzazione delle abitazioni «razionalmente pensate e organizzate in nuove unità “urbane-industriali”» da costruire «a giusta distanza dai luoghi di lavoro, con una lottizzazione oculata, con i necessari servizi e con adeguata percentuale di verde, eliminando in tal modo e per sempre tutte le angustie del parcellamento urbano, degli alti costi del terreno, e tutte le incongruenze delle attuali posizioni» – richiamano esplicitamente alcuni enunciati del IV CIAM e i principi della Carta d’Atene10 e dell’urbanistica lecorbusiana, che nella concreta applicazione di queste direttive, nel progetto per Torino e il Piemonte, appariranno ancora più rilevanti. Distribuire nel territorio la crescita urbana, la ricostruzione e lo sviluppo industriale, consente inoltre di «prendere allora serenamente in esame i problemi del restauro e della conservazione dei monumenti storici danneggiati» ma anche di approntare «un metodico piano di ripulimento, rinnovamento e diradamento delle zone centrali» cosicché nella «vecchia città, riportata alla sua antica, naturale e tradizionale funzione di posto di comando, di pensiero e di vita socievole e commerciale fluirà allora una nuova vita»11. Il piano dell’opera di Abitazione e lavoro che si evince da un manoscritto del 1945 prevede nella terza e ultima parte lo studio dei piani regionali e nazionali esistenti, della «distribuzione territoriale delle unità urbane industriali» e l’illustrazione della «idea generale del piano dell’Italia settentrionale» che dimostra sia il travasarsi dalla elaborazione teorica alla pratica delle idee di sviluppo territoriale per Torino, sia la piena titolarità di Astengo, all’interno del lavoro prodotto da ABRR, delle ipotesi di pianificazione sovralocale. Nella sintesi degli argomenti da trattare nelle varie parti dell’opera, Astengo evidenzia chiaramente come il tema del Piano regionale, la sua redazione e la sua realizzazione, con il concorso degli industriali12, sia il nucleo fondante della sua ipotesi urbanistica: Il piano regionale consiste nel coordinamento delle attività produttive secondo grandi direttrici di traffico. Come nella città le funzioni sono: abitare-lavorare e convivere socialmente, e dalla distribuzione delle tre funzioni nasce la circolazione, così per la regione le funzioni base dei nuclei abitati sono: produrre il nutrimento [...]; produrre per i bisogni vicini [...]; produrre per i bisogni lontani [...] Il nastro delle attività produttive sarà diretto secondo le naturali grandi direttrici geografiche: lungo le grandi pianure, collegato ai porti, collegato ai valichi. Esso dovrà essere completamente attrezzato per ricevere il flusso attuale e futuro: la sua creazione consentirà un metodico sviluppo dell’organismo nazionale.13
La lettura di questo testo incompiuto14, oltre a consentire di individuare le origini delle idee per la ricostruzione post bellica di Astengo15 e la genesi del suo interesse per la scala territoriale del progetto urbanistico, ci permette anche di mettere a fuoco una delle dimensioni di progetto che costantemente torneranno nella sua pratica urbanistica, l’attenzione al territorio come fattore di sviluppo (industriale, spesso, ma non solo) e la sua conseguente progettazione, come elemento imprescindibile per la realizzazione del benessere futuro dei cittadini.
alessandra marin
stesura del Piano di Assisi e in quello di Gubbio. Ma sono ideali anche per proporre un quadro di sviluppo economico e degli insediamenti basato su difesa e utilizzo (potremmo forse dire) “sostenibile” di valori del territorio e del paesaggio umbro, contro le ipotesi di deregulation dello sviluppo industriale “indotto” che al contempo proprio ad Assisi stava cercando di combattere, sia nella redazione del Piano Paesistico, sia nella seconda stesura del Piano Regolatore. Della coerenza tra le ipotesi avanzate dall’Associazione prima e poi dal Centro è un esempio la continuità tra alcune attività di ricerca promosse dall’Associazione negli anni Cinquanta – come accade per il problema dell’utilizzazione irrigua o per la produzione di energia delle acque umbre – e le ipotesi di Astengo per lo sviluppo di interventi economici nel territorio assisano43. Ma il lavoro svolto dal gruppo dedicato all’urbanistica e al turismo nel Piano di sviluppo va oltre, ipotizzando, dopo una dettagliata analisi della situazione dei centri storici, delle comunicazioni e delle risorse turistiche della regione, una sorta di piano strutturale per lo sviluppo dell’economia regionale basato sul corretto utilizzo delle risorse culturali, ambientali e paesaggistiche dell’Umbria. L’obiettivo della ricerca che conduce a questa proposta di piano è «ricavare elementi per un indirizzo generale di incentivazione, di finalizzazione e di coordinamento [...] negli interventi volti ad una più efficace opera di conservazione e risanamento dei centri storici», alla trasformazione e sviluppo di infrastrutture territoriali e abitati «ad una scoperta e valorizzazione programmata delle risorse paesaggistiche ed ambientali ai fini turistici»44. La ricerca sui centri storici, affidata a Coppa, Insolera e Pardi, vuole individuare esistenza, consistenza e condizioni di un patrimonio urbano storico ampiamente diffuso in regione, ma poco conosciuto e spesso in cattivo stato di conservazione, valutando i suoi rapporti con il paesaggio circostante e suggerendo strumenti per la sua rivitalizzazione. A latere, la ricerca sul turismo intende comprendere i motivi dell’insufficiente utilizzo, ad eccezione di alcuni poli, delle risorse culturali e paesaggistiche come volano dell’economia turistica locale, per fondare su questo settore produttivo uno degli assi di rinnovamento delle strategie regionali. Se la ricerca sui centri storici coinvolge, per carenza di risorse umane e tempo, tre ambiti territoriali – valle del Clitumno, comprensori del Peglia e del Nestore e di Amelia-Montecastrilli – lo studio turistico osserva tutta la regione, con la schedatura dei caratteri ambientali, di quelli culturali, dei punti di forza e di debolezza per lo sviluppo turistico, e viene organizzato in schede che individuano 11 comprensori funzionali, a loro volta delineati in base alla presenza di centri di grande importanza turistica, caratteristiche ambientali e morfologiche omogenee e concentrazioni di risorse naturali di rilevante interesse. Le schede, articolate in stato di fatto e proposte d’intervento, quantificano e qualificano l’esistente e suggeriscono strategie e azioni di progetto – sul patrimonio, per l’accessibilità e l’accoglienza – individuando tipi di turismo su cui orientare la nuova offerta e le priorità nella realizzazione. Il mosaico di queste schede funge da guida per la definizione di correttivi immediati alle situazioni di degrado, di un’adeguata politica di sviluppo, di «traguardi comuni a lungo termine, nell’assetto infrastrutturale della regione, nelle prospettive di sviluppo economico e turistico, nell’uso generale del suolo e soprattutto dei centri storici e del “paesaggio storico”, per i quali traguardi [...] verranno prospettate a titolo esemplificativo alcune indicazioni d’insieme»45. Queste indicazioni sono contenute
la dimensione territoriale del progetto
Gli abitati di Mestre e Marghera visti dal cielo, 1960
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indice delle opere
Progetto di gallerie per mostre d’arte, tesi di laurea, 148 Casa Littoria, Baselga di Pinè, 150 Studi per il Piano regionale piemontese, 152 Case componibili ad elementi prefabbricati A.B.C., 158 Abitazione e lavoro nella città di domani. Programma per la ricostruzione urbanistica, 160 Concorso per il Piano regolatore generale di massima della città di Torino, 162 Quartiere La Falchera, Torino, 166 Allestimento della sezione di Urbanistica della IX Triennale di Milano, 178 Quartiere Lucento, Torino, 180 Criteri di indirizzo per lo studio dei piani territoriali di coordinamento, 182 Casa per l’altipiano silano, 186 Piano di trasformazione e centro servizi, San Leonardo di Cutro, 190 Sopraelevazione della palazzina Grosso, Torino, 194 Indagine sociale urbanistica nella zona del ghetto a Cannaregio, Venezia, 196 «Urbanistica», 1949-1976, 198 Piano regolatore generale del Comune di Assisi e piani particolareggiati di primo intervento, 216 Piano regolatore generale del Comune di Ancona, 246 Complesso residenziale in via dei Filosofi, Perugia, 248 Case economiche per dipendenti comunali, Assisi, 254 Concorso per il Piano regolatore generale del Comune di Venezia, 256 Concorso per il quartiere CEP di San Giuliano, Venezia, 260 Complesso residenziale Ikuvium, Gubbio, 262 Piano regolatore generale del Comune di Gubbio e piani particolareggiati di espansione, 266 Case di civile abitazione nella zona di espansione fuori Porta Nuova, Assisi, 276 Studi per la riforma della legge urbanistica, 278
Refettorio e servizi della Pro Civitate Christiana, Assisi, 282 Allestimento del padiglione umbro alla Mostra delle Regioni di «Italia ’61», Torino, 290 Piano regolatore generale del Comune di Saluzzo e piano particolareggiato del centro direzionale, 292 Piano regolatore territoriale per l’area di sviluppo industriale di Taranto, 296 Concorso per il Centro Direzionale di Torino, 298 Studi per il nuovo stabilimento Ico di Scarmagno, 302 Studi per la revisione del Piano regolatore generale del Comune di Genova, 304 Voce Urbanistica, Enciclopedia Universale dell’Arte, 312 Piano regolatore generale del Comune di Bastia Umbra, 326 Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, 330 Piano regolatore generale del Comune di Bergamo e piano particolareggiato per un campus scolastico, 332 Commissione d’indagine sulla situazione urbanistico-edilizia di Agrigento, 340 Piano per l’area metropolitana di Ankara, 346 Piano regolatore dei consolidamenti e trasferimenti degli abitanti della Basilicata interessati da fenomeni di frana, 348 Piani per Firenze e la sua area metropolitana, 350 Istituzione del Corso di laurea in Urbanistica, 356 Studio preliminare delle zone di sviluppo della città di Mogadiscio, 360 Piano regolatore generale del Comune di Pavia, 362 Piano per l’edilizia economica e popolare del Comune di Gela, 364 Pianificazione e gestione urbanistica della regione Piemonte, 368 It. Urb. ’80. Rapporto sullo stato dell’urbanizzazione in Italia, 372 Pianificazione comprensoriale in Trentino, 374 Variante generale al Piano regolatore del Comune di Pistoia, 378 Revisione del Piano regolatore generale del Comune di Pisa, 380
opere
concorso per il piano regolatore generale di massima della città di torino Torino 1947-1949 Comune di Torino con Nello Renacco (capogruppo) e Aldo Rizzotti (motto “Nord Sud”); con Franco Albini (capogruppo), Nello Renacco, Aldo Rizzotti, Ettore Sottsass Sr. (motto “45 parallelo”) La partecipazione del gruppo ARR al concorso per il Piano Regolatore di massima della città di Torino si configura come la naturale prosecuzione dell’impegno profuso negli studi per il Piano regionale, e ne sviluppa coerentemente le ipotesi. Già il 29 agosto 1945 la Giunta Popolare istituisce una Commissione per lo studio del piano, incaricata sia di analizzare gli studi urbanistici già svolti, sia di dare pareri in merito ai problemi urbanistici più immediati e contingenti. La Commissione termina nove mesi dopo i suoi lavori, raccomandando che le zone già dotate di direttive dal PRG vigente siano oggetto di concorso urbanistico e che «l’Amministrazione debba al più presto indire un concorso pubblico, limitato all’elaborazione di un Piano Regolatore di grande massima [...] con schemi essenziali, i criteri e le direttive generali [...], l’ossatura fondamentale della sistemazione urbanistica e dell’espansione futura dell’agglomerato urbano» (Verbali G.P. Torino, 7 giugno 1946). Il «debole ed incerto alveo» dei precedenti piani regolatori, travolto dalla crescita urbana tra le due guerre, era stato oggetto di studio già nel 1943 (Commissione Chevalley) e nel 1944, con l’incarico ad Armando Melis, Orlando Orlandini e Giorgio Rigotti per un piano di risanamento del centro e uno schema di piano generale. Nel 1946 la Giunta popolare azzera queste esperienze e avvia l’iter del concorso, ignorando la proposta di Astengo e soci di procedere attraverso una «pubblica discussione-concorso» per definire gli indirizzi generali prima, la redazione del Piano Regolatore da parte di una Commissione e la stesura dei piani particolareggiati mediante concorsi poi. Mentre gli uffici comunali predispongono un piano di ricostruzione che «concepito senza nerbo e senza idee, attuato senza coraggio non poteva fruttificare» (Astengo, 1955), il concorso viene bandito nel gennaio 1948 e i suoi risultati giungono a novembre; nella Commissione giudicatrice spiccano i nomi
opere
28. Planimetria della proposta concorsuale presentata dal gruppo Astengo, Renacco, Rizzotti 29-30. Il sistema di attraversamento veloce nord-sud di Torino, le nuove unità organiche residenziali, i servizi di scala urbana e comprensoriale, inseriti schematicamente in una foto aerea della città e nuovamente indicati in uno schema di progetto (fig.16). A lato, lo schema distributivo del quartiere organico periferico di S. Spirito
opere di Bottoni, Chiodi, Chevalley, Muzio e Olivetti. Nessuna proposta viene considerata pienamente convincente, vengono perciò individuati due primi classificati ex aequo – Luigi Dodi, Mario Morini e Giampiero Vigliano con “Piemonte 48” e Astengo, Renacco e Rizzotti con “Nord Sud” – e un secondo gruppo di quattro pari merito tra cui il progetto “45° parallelo”, dove gli ARR si associano a Franco Albini ed Ettore Sottsass Sr. Le due proposte che vedono partecipare gli ARR non si differenziano in modo rilevante nelle scelte generali, pur essendo la prima molto più dettagliata e convincente, e una sostanziale omogeneità di intenti dimostrano anche con il progetto del gruppo Dodi, specie in termini di grande viabilità, localizzazione industriale e realizzazione di nuovi quartieri organici. Il progetto “Nord Sud” vuole dimostrare innanzitutto la necessità di modificare i criteri d’impostazione del piano: da strumento negativo e vincolistico a piano “elastico”, ovvero di coordinamento delle opere nel tempo, da piano organizzato secondo un criterio geometrico-spaziale a strumento di sviluppo organico della città. Individuando i problemi cui il piano deve dare risposta. La relazione segnala il sovraffollamento e l’adeguamento igienico delle abitazioni, la riorganizzazione delle aree di espansione industriale e delle infrastrutture ad esse necessarie, l’individuazione di principi razionali di progetto dell’espansione insediativa e di riorganizzazione del tessuto urbano e del sistema di comunicazioni cittadino. E sviluppa la sue proposte, con attenzione ai costi e alle modalità di attuazione, in modo da opporre all’idea di urbanistica come mero fatto tecnico quella del piano come fatto sociale, economico e politico. Le soluzioni alla grande scala sono molto simili a quanto previsto dal Piano regionale nel 1947, anche se le strategie localizzative sono in parte diverse, e le previsioni alla scala urbana più dettagliate: sia per la viabilità che per il disegno dei quartieri organici periferici e la suddivisione in zone d’intervento, 77, per ognuna delle quali si indicano linee guida per i successivi piani particolareggiati. Particolare attenzione viene data alla dotazione di attrezzature e aree verdi, con la previsione di un centro commerciale presso Porta Nuova, un centro direzionale presso Porta Susa, una
zona di preminenza socio culturale tra piazza Castello e via Po, un polo di studi scientifici nell’area della Piazza d’armi. I riferimenti culturali e di progetto citati sono per lo più di area anglosassone e del nord Europa, nonostante le figure progettuali richiamate siano spesso coerenti con le proposte di insediamenti lineari industriali lecorbusieriane e altre ipotesi dei CIAM, mai esplicitamente citati. A riprova di questa particolare attenzione ai riferimenti inglesi e americani, i dichiarati obiettivi generali del piano, efficienza economica e benessere della collettività, vengono suggellati da una citazione finale di Lewis Mumford, che nel dicembre 1947 illustra il piano di Filadelfia in The Architectural Forum. Il 7 febbraio 1950 il Consiglio comunale delibera di istituire una nuova Commissione esecutiva e un ufficio speciale per il nuovo Piano Regolatore, da redigersi entro l’ottobre 1952. La Commissione è presieduta, come nel 1944, da Giorgio Rigotti, ma di essa fa parte anche Astengo, polemico con il modo di intendere l’urbanistica da parte del presidente al punto da redigere una relazione di minoranza assai critica, alla quale Rigotti non tralascia di replicare, dimostrando la totale estraneità delle due figure. La redazione del piano procede a rilento, arrivando all’adozione solo nel 1956 e all’approvazione nell’ottobre del 1959. [a.m.] Riferimenti AP FGA fas/11, fas/19. Bibliografia Astengo, G., Antefatti del piano regolatore di Torino, «Atti e rassegna tecnica della società degli ingegneri e degli architetti di Torino», 4, 1955, pp. 146-154. Concorso per il piano generale di massima di Torino, «Urbanistica», 1, 1949, pp. 32-53. Mazza, L., Trasformazioni del piano, in Cantieri e disegni. Architetture e piani per Torino 1945-1990, a cura di C. Olmo, Allemandi, Torino 1992, pp. 59-83. Ramello, M. - Depaoli, A. - Palmieri, G., Torino. Piani urbanistici per la città-fabbrica tra il 1945 e il 1980, «Storia e problemi contemporanei», 65, 2014, pp. 41-63. Renacco, N., Interventi sul piano regolatore generale, «Atti e rassegna tecnica della società degli ingegneri e degli architetti di Torino», 4, 1955, pp. 164-166.
31. Schemi delle grandi vie di comunicazione e delle nuove unità insediative 32-33. Nuovo progetto di attraversamento veloce nord-sud, immagini d’insieme e particolari di alcuni nodi urbani
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quartiere la falchera Torino 1950-1960 ina-Casa con Sandro Molli-Boffa, Mario Passanti, Nello Renacco, Aldo Rizzotti (progetto urbanistico) Dopo l’individuazione dell’area su cui edificare il nuovo complesso residenziale operaio, a nord-est della città a cinque chilometri dal centro, l’INA-Casa nel 1950 incarica Astengo, in qualità di capogruppo, insieme a Sandro Molli-Boffa, Mario Passanti, Nello Renacco e Aldo Rizzotti, di redigere il Piano Urbanistico per un quartiere per seimila abitanti, che in breve tempo viene definito nei suoi aspetti generali. Il progetto si basa sulla suddivisione dell’area in quattro settori congiunti da una strada che, con andamento nord-sud, raggiunge il centro del complesso. Su di essa si innervano i percorsi laterali: le strade minori che raggiungono i blocchi abitativi e, sulla destra, l’ampia via che conduce alla chiesa e alla scuola. I blocchi abitativi con la loro reciproca posizione definiscono i confini arrotondati dell’area. La caratteristica forma a U aperta deriva, come spiega Astengo nel numero di «Metron» dedicato al quartiere nel 1954, dal tipico impianto delle cascine piemontesi, scelto dopo aver scartato sia quello a corte quadrata chiusa, per le inevitabili zone d’ombra perenne e per evitare la scacchiera torinese, sia quello in linea, per la monotonia che ne sarebbe risultata, dimostrata dal recente esempio di Mirafiori. Le ragioni di tale schema compositivo, che diventerà una delle icone del programma INA-Casa, sono prettamente funzionali e sociali: esso permette infatti di creare degli spazi aperti circoscritti, di disporre per ogni alloggio di visuali sull’intorno e di un buon soleggiamento. Assicura agli abitanti, attraverso una considerevole distanza fra gli affacci, una sufficiente privacy. Coniuga insomma, le esigenze dell’unità di vicinato con quelle specifiche di coloro cui il quartiere è destinato. Rispetto all’assetto originario che prevedeva blocchi ben spaziati, il centro definito e compatto, la chiesa appartata e un unico edificio a torre all’estremità nord come elemento di chiusura visiva del complesso, il quartiere
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34. Veduta aerea. La Falchera in costruzione. La movimentata geometria del complesso si contrappone a quella regolare e seriale degli insediamenti in secondo piano 35. Plastico del quartiere esposto alla Mostra dell’Urbanistica della IX Triennale di Milano nel 1951. È evidente la chiesa in posizione decentrata come previsto nel primo progetto 36. Primo progetto. Planimetria generale. La chiesa è in posizione appartata e un edificio a torre è posto a chiusura dell’arteria nord-sud 37. Progetto finale. Planimetria generale. La chiesa è avvicinata al centro, ruotata per essere visibile dalla strada principale e trasformata in elemento cardine della piazza. La torre residenziale (che non faceva parte del nucleo INA-Casa e avrebbe dovuto essere realizzata con altre risorse) è eliminata e sostituita da uno dei blocchi che viene a delimitare il lato nord dell’insediamento
opere subisce alcune modifiche nella seconda fase di progettazione. Il mancato acquisto di alcuni terreni e la richiesta dell’Opera diocesana di spazi maggiori e di una posizione più centrale per la chiesa, costringono a rivedere la parte settentrionale del complesso per il quale si riesce comunque a evitare l’assalto di investimenti speculativi grazie all’approvazione del Piano Particolareggiato nel 1954 e al mantenimento di un’identità costruttiva e linguistica con l’adozione delle norme di fabbricazione. Fra queste: il trattamento dei fronti esterni con mattone a vista, il limite d’altezza degli edifici a tre piani fuori terra, la superficie minima degli alloggi compresa fra 45 e 75 metri quadrati, l’altezza del piano rialzato a 86 centimetri e le dimensioni unificate di alcuni serramenti e dei corpi scale. La progettazione dei blocchi del primo lotto viene assegnata ai gruppi formati da Ettore Sottsass junior (capogruppo) con Molli-Boffa e Passanti, e da Renacco (capogruppo) con Astengo, Rizzotti, Romano e Becker. Per il secondo lotto intervengono invece Passanti, Perone, Becker, Fasana, Grassi, Renacco, Rizzotti e Oreglia. Mentre i primi due lotti residenziali saranno conclusi nel 1954, il terzo, corrispondente al settore nord-est, sarà avviato solo dopo il 1956, insieme al centro civico. Questo è previsto fin dall’inizio come vero e proprio cuore del quartiere, nucleo necessario per fornire identità al complesso residenziale, per farne una “comunità” anziché un “dormitorio”, come scriveva Astengo su «Urbanistica» nel 1952. A Falchera le attrezzature collettive assumono un ruolo particolarmente importante data anche la notevole distanza dal centro di Torino che impone un’autonomia sociale e di approvvigionamento. Oltre alla chiesa e alla scuola elementare si prevedono quindi botteghe artigiane, uffici, ambulatorio, ristorante, bar, cinema, e poi negozi e nidi-asilo in ognuno dei settori. Astengo si occupa personalmente del centro, con numerosi studi sulla sua forma e progetta il complesso di costruzioni che definisce la piazza: bar, ristorante, emporio, cinematografo, mentre sono di Renacco la chiesa e gli annessi parrocchiali. Il cuore del quartiere è inizialmente pensato come un sistema a due centri, sociale e commerciale, collegati fra loro da un diaframma porticato. La scelta di due piccole piazze circoscritte, anziché
un’unica, più ampia e aperta, è giustificata in termini di aggregazione fra le persone: la dimensione limitata, si legge su «Metron», serve ad «agevolare l’incontro e la fusione dei vari gruppi sociali». Nelle elaborazioni ulteriori lo schema viene dapprima modificato, allargando la prima piazza per aprirla alla chiesa, e poi abolito a favore di una sola piazza dove le diverse funzioni sociali e commerciali risultano compattate in un unico centro civico. La soluzione finale, studiata da Astengo fra il 1955 e il 1956, sviluppa in modo sistematico, fino a farlo diventare la cifra caratterizzante del gruppo architettonico, il tema dell’esagono, presente in forma solo accennata nella prima versione del centro. Tema tipicamente wrightiano, introdotto nelle usonian houses dalla metà degli anni Trenta, è piuttosto diffuso in Italia fra i sostenitori dell’architettura organica. Astengo, uno dei fondatori della sezione torinese dell’APAO e promotore in quegli anni di un’urbanistica organica, si affida all’esagono in tutti i suoi progetti di attrezzature pubbliche di quegli anni: a San Leonardo di Cutro, a Falchera, ad Assisi. Nel quartiere torinese è il nido-asilo, poi non realizzato, il progetto più interessante da questo punto di vista. Ha impianto tipicamente usoniano, con grandi aule esagonali cui gli altri spazi si connettono come per accrescimento organico. Nel centro civico l’esagono permette una disposizione spaziale più articolata dei vari edifici e del porticato a funghi e la sua forma si ritrova anche nelle finestre a nastro e negli elementi di arredo della piazza. I blocchi residenziali progettati da Astengo sono il 22 e il 41, quest’ultimo in collaborazione con l’ingegnere Guido Gigli e destinato ai dipendenti del Ministero dell’agricoltura e delle foreste. Nel progettare il blocco 22, nel settore inferiore, fra i primi ad essere realizzato, egli si concentra principalmente su due temi: soleggiamento e illuminazione, da un lato, e varietà tipologica degli alloggi dall’altro. Per quest’ultimo riesce a ottenere, nei tre corpi che formano il blocco, appartamenti con tre diverse pezzature. Per il primo tema, già oggetto di studi approfonditi con Mario Bianco alcuni anni prima, stabilisce sui fronti est e ovest l’inclinazione dei serramenti
nelle stanze di soggiorno per renderli normali ai raggi meridiani e predisporre delle aperture allungate a filo del soffitto per far penetrare in profondità la luce nei mesi invernali. Adotta poi una piegatura delle pareti settentrionali per inserire aperture rivolte a est da cui derivano giochi di luce che giovano a un fronte altrimenti piatto. L’attenzione a questi temi risulta sostanzialmente assente nel blocco 41, che chiude a nord-est l’insediamento. Composto di tre corpi consecutivi, progettato fra il 1954 e il 1956, presenta alloggi di due diverse superfici con logge verso l’interno. La caratterizzazione dei prospetti nella versione finale è ottenuta con elementi in cotto a sezione circolare per definire i parapetti, le cornici e le aperture in corrispondenza dei vani scala. Il disegno di Astengo e dei suoi soci, secondo cui Falchera doveva essere «il primo dei grani di un rosario che si poteva snodare con civile dignità sul territorio in modo da creare una vera e propria città lineare», non si è realizzato: essa appare come una piccola porzione di territorio, compresa fra tangenziale e autostrada, perfettamente definita ma isolata. [m.m.] Riferimenti AP FGA corr/1952-54, dis/07, dis/08, fot/25. Bibliografia La pianificazione organica come piano per la vita? Gli architetti della pianificazione organica in Italia 1946-1978, a cura di C. Doglio, P. Venturi, Cedam, Padova 1979, pp. 338-345. «Metron», numero monografico, 53-54, 1954. Pace, S., Oltre Falchera, in La grande ricostruzione. Il piano INA-Casa e l’Italia degli anni Cinquanta, a cura di P. Di Biagi, Donzelli, Roma 2001, pp. 263-275. Tafuri, M., Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Einaudi, Torino 1986, p. 44. «Urbanistica», 7, 1951, pp. 12 e 35-38.
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38. Studio per il centro di Falchera. Soluzione a due piazze, con il mercato in uno spazio separato 39. Studio per il centro di Falchera. Soluzione a piazza unica con i funghi in c.a. per il mercato al centro 40. Planimetria del centro e del settore nord. La soluzione finale (novembre 1955) prevede un’unica piazza libera, edifici diradati e profondo portico a funghi. Risultano in costruzione la chiesa e la scuola e in progettazione il centro e i blocchi residenziali settentrionali
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41-42. Vedute aeree del centro in costruzione. Nella prima si notano a sinistra la schiera di negozi con abitazione soprantante di Aldo Rizzotti, e a destra la chiesa con annessi parrocchiali di Renacco. A sinistra, in secondo piano, l’autorimessa pubblica a pianta circolare. È visibile inoltre la pavimentazione della piazza a grandi triangoli contrapposti, in parte mantenuta nell’intervento di riqualificazione curato da Serena Maffioletti e Roberto Sordina nel 2004 che ha comportato l’inserimento nel vasto vuoto centrale di elementi architettonici tesi a una migliore fruizione della piazza da parte degli abitanti 43. Progetto del nido-asilo previsto fra i blocchi 22 e 23 («Metron», 53-54, 1954)
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«urbanistica» 1949-1976
In un saggio dedicato al progetto e all’atto di nascita della rivista (La rivista «Urbanistica»), Astengo ci invita ad assistere all’inizio di questa straordinaria avventura etica, politica, civile, culturale e, infine, editoriale. La scena è quella del secondo congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, tenuto nel 1948 a Roma, in Campidoglio, teatro della rifondazione democratica dell’Istituto, la cui storia aveva avuto inizio nel 1934-1935. «Nelle votazioni che furono fatte al congresso (c’erano liste contrapposte di destra e di sinistra, conservatori e pianificatori), la lista vincente portava il nome di Adriano Olivetti, oltre che di alcuni di noi che entrarono così a formare il direttivo dell’INU. La presidenza fu affidata a Leone Cattani, allora Ministro dei Lavori Pubblici e, successivamente – dopo poco tempo – ad Adriano Olivetti» (p. 183). L’incontro con Astengo e con i suoi giovani colleghi era già avvenuto in precedenza a Torino su iniziativa di Olivetti stesso e sui temi della pianificazione regionale, che la loro lista avrebbe poi portato alla discussione nel congresso di Roma. Si ritrovavano ora, nell’INU, con prospettive di azione pubblica e di politica intellettuale che apparivano molto promettenti e per le quali, tuttavia, era necessario dotare l’Istituto di uno strumento adeguato a diffondere le idee dell’urbanistica progressista. «Olivetti mi incaricò di pensare ad una rivista che fosse una rassegna esemplare di casi scelti, insieme con una rassegna ampia sulle cronache regionali, sulle situazioni locali, soprattutto sulle iniziative delle possibili trasformazioni della legislazione italiana. Il numero uno della rivista «Urbanistica» si apre con un’introduzione, molto breve, ma estremamente significativa, che porta la firma di Adriano Olivetti, e che è di suo pugno» (pp. 183-184). Olivetti assume la funzione di direttore, Astengo di redattore capo. Così sarà fino al numero 11; dal numero successivo, su proposta di Olivetti, il Consiglio direttivo affiderà ad Astengo anche la direzione che terrà ininterrottamente fino al numero 65.
Per il primo numero Olivetti discute a lungo con Astengo «non tanto sul contenuto, quanto sul formato, se quadrato o rettangolare, e per la copertina; non sono cose da poco, non sono solo aspetti esteriori; pensava al lancio, alla presa sul pubblico e a una azione capillare che la rivista doveva svolgere. Olivetti fece un concorso fra alcuni grafici [...]. Alla fine aveva già scelto la copertina di Marcello Nizzoli» (p. 186). Era nata, così, quella che per tutta la gestione astenghiana (1949-1976), secondo la definizione di Manfredo Tafuri, è stata «la più bella rivista internazionale specializzata». Il formato, ci dice Astengo, «si è mantenuto nel tempo perché consentiva di aggiungere inserti a colori e di sfruttarne al massimo le possibilità», che appaiono in tutta la loro ricchezza guardando i diversi numeri che mutano continuamente in base all’intelligente struttura comunicativa progettata, di volta in volta, a seconda del materiale che deve essere impaginato. Tutto ciò fa parte del fascino di «Urbanistica», connesso alla predominanza dell’immagine (foto, planimetrie tematiche, progetti ecc.) e del disegno sullo scritto. La copertina del numero 2 sulla ricostruzione è firmata da Max Huber e Remo Muratore; con il numero 3 si avvia la collaborazione con Egidio Bonfanti, che aveva anche il compito di organizzare la veste interna della rivista come responsabile dell’impaginazione. La collaborazione durerà a lungo con risultati di grande rilievo. Successivamente la responsabilità delle copertine oltre che dell’impaginazione sarà affidata a Vera Quaranta Grosso. La rivista ha goduto del regolare finanziamento di Adriano Olivetti fino alla sua morte improvvisa, avvenuta nel 1960. Il finanziamento è continuato, fino al 1963, a carico delle Edizioni di Comunità che ne curavano, peraltro, anche la pubblicazione. In seguito l’equilibrio finanziario si fa precario e necessita di continue, sempre più aleatorie, integrazioni. La questione dei costi è connessa all’impostazione stessa della rivista,
con la straordinaria ricchezza della documentazione e, soprattutto, il lavoro di ridisegno e stampa a colori dei piani che richiede «una laboriosità di preparazione (che) nessun’altra rivista attualmente affronta» (G.A. Vent’anni, editoriale del numero 5455). Anche quel precario equilibrio, retto per lunghi e difficili anni da Astengo con caparbietà e generosità, alla fine verrà valutato dall’INU non più sostenibile. Dal numero 66 la rivista cambierà responsabili che non potranno che modificare il programma scientifico e culturale che Astengo aveva interpretato e rappresentato. In seguito la rivista cambierà, più volte, anche editore, progetto grafico e formato. Fin dal primo numero «Urbanistica» è strutturata con un ampio Comitato di redazione, formato dal Comitato Direttivo dell’INU. Vi sono, inoltre, sedici redattori regionali per dieci regioni e dieci corrispondenti esteri da altrettanti paesi dell’Europa e delle Americhe. La rete internazionale, che in seguito si amplierà ulteriormente, non sarà più richiamata in sommario dal numero 15-16 né lo sarà, successivamente, quella regionale. Un’esperta struttura redazionale, con i necessari aggiornamenti, accompagnerà sempre la rivista ma, senza nulla togliere al contributo di ciascuno dei protagonisti di quest’avventura intellettuale, vanno riconosciuti ad Astengo, con il sostegno di Olivetti nella fase di esordio, la definizione dei contenuti e delle strategie di comunicazione, la progettazione dei numeri e la loro distribuzione nel tempo, la chiamata di prestigiosi autori italiani e stranieri che hanno collaborato alla rivista, il decisivo contributo personale di scritti e documentazione, l’instancabile attività organizzativa per ogni grande tema affrontato, la ferrea regia generale e la personale soprintendenza nel licenziare ogni pagina stampata. Per tutti, infatti, «Urbanistica» è di Giovanni Astengo. La rivista si muove subito su due scenari: il primo attiene alle idee, ai contributi teo-
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Le copertine della rivista 98. La 1 di Marcello Nizzoli, scelta da Olivetti: dal buio del ventennio emergono nitidi i segni della nuova razionalità urbanistica 99. La 65, ultimo della gestione astenghiana, di Vera Quaranta Grosso, presenta la consunta e ormai illeggibile tavola del piano di Napoli del 1939 100. La 22, di Remo Muratore, richiama il tema della costruzione del suolo in Olanda 101-104. Due inconfondibili opere di Egidio Bonfante, che ha pittoricamente elaborato, di volta in volta, temi contenuti nei diversi numeri della rivista: una veduta di Perugia; l’Arcipelago delle Eolie, Lipari
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118. Fort Worth, «Urbanistica», 20, 1956 119. Il Townscape in Architectural Review, «Urbanistica», 32, 1960 120. Il centro di Providence, «Urbanistica», 40, 1964 121. Il centro di Leicester, «Urbanistica», 44, 1966 122. La città nuova di Harlow, «Urbanistica», 1, 1949 123-124. Hook new town, «Urbanistica», 36-37, 1962 125. Harlow, «Urbanistica», 36-37, 1962 126. Il centro di Stevenage, «Urbanistica», 36-37, 1962 127. Cumbernauld, «Urbanistica», 39, 1963 In anticipo rispetto all’esplosione dell’interesse disciplinare per l’urban design la rivista, con un lungo e documentato saggio di Bruno Zevi, presenta la rivoluzione urbanistica dell’area urbana centrale di Forth Worth, con la espulsione dell’automobile, la pedonalizzazione e la trasformazione radicale del paesaggio urbano. Il tema della riqualificazione delle aree centrali delle città, con regolazione o espulsione del traffico individuale automobilistico, è ribadito con numerose e cadenzate riprese in più numeri. Particolare attenzione viene riservata dalla rivista alle soluzioni adottate nelle new towns inglesi che rappresentano, come città di fondazione, soluzioni radicali della tesi del centro integralmente pedonale e degli accessi controllati anche nei quartieri residenziali
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140. Piano di Copenhagen, «Urbanistica», 30, 1960 141. Piano di Varsavia, «Urbanistica», 34, 1961 142. Piano di Amburgo, «Urbanistica», 336-37, 1962 143. Piano di Bursa, «Urbanistica», 36-37, 1962 144. Piano di Belgrado, «Urbanistica», 63-64, 1976 I Piani Regolatori delle città, di ogni dimensione e complessità, sono una costante di grandissima suggestione e, per la rivista, di enorme impegno editoriale. La scelta dei casi di studio riguarda la carica innovativa dei progetti e la loro – a vario titolo – esemplarità. Il lavoro di redazione è volto a restituire una efficace leggibilità del processo ideativo, dell’apparato documentale e, infine, del progetto sottoposto, nella maggior parte dei casi, a rielaborazione grafica delle planimetrie secondo i canoni della rivista. L’impegno di Astengo è, talvolta, diretto e personale, come nel caso del lungo ed elaborato saggio (numero 36-37) che illustra il piano generale della città anseatica di Amburgo. Nello stesso numero della rivista è pubblicato il Piano di Bursa, di Luigi Piccinato e, in questo caso, sono di Astengo tutte le fotografie che illustrano la città. Il piano di Belgrado tra gli ultimi pubblicati nella stagione astenghiana della rivista (numero 63-64, del 1976) è qui riportato per ricordare che in quella esperienza Astengo aveva ritrovato, come procedimento centrale per individuare e scegliere la soluzione contenuta nel piano generale, la presentazione di “alternative spaziali” (prima fase 18, seconda fase 4) da valutare ex ante, procedimento che aveva adottato, dieci anni prima, a Genova e poi a Bergamo
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concorso per il piano regolatore generale del comune di venezia Venezia 1956-1957 Comune di Venezia con Mario Coppa, Egle Renata Trincanato Il 3 aprile 1956 il Consiglio comunale di Venezia decide di bandire un concorso di idee per la stesura del Piano Regolatore Comunale. L’obbligo di redigere ed adottare il PRG entro due anni era stato sancito dalla pubblicazione nel maggio 1954 del primo elenco dei Comuni obbligati a redigere il Piano Regolatore dal Ministero dei Lavori pubblici, obbligo slittato all’aprile del 1958 dopo la promulgazione della legge speciale per Venezia del 1956. Il bando di concorso pubblicato il 9 giugno successivo non fornisce indicazioni di indirizzo, ma il dibattito già sviluppato negli anni precedenti, anche ad opera di esponenti della Commissione giudicatrice – che vede al suo interno personaggi del calibro di Giuseppe Samonà, Wladimiro Dorigo, Edoardo Detti, Armando Melis e Cesare Valle – può certo influenzare le proposte. Solo l’anno prima Samonà sosteneva che «Mestre, se acutamente pianificata, concentrerà energie, attività, lavoro, soprattutto commerciale, a vantaggio diretto di Venezia, perché con Venezia dovrà essere una comunità sola» e che il futuro piano «dovrebbe proporsi come scopo finale l’integrazione di questo nucleo alla città madre» (Samonà, 1955). Dopo la scadenza del 15 gennaio 1957, infatti, tra i 13 elaborati pervenuti viene premiato quello del gruppo di Giorgio Amati, che organizza il suo disegno intorno a quattro azioni che instaurano un forte scambio tra città insulare e terraferma, significativamente rappresentato dal legame fisico costituito dall’urbanizzazione della gronda lagunare presso San Giuliano, dove un nuovo centro residenziale e commerciale da 60.000 abitanti conclude la marcia verso la laguna dell’abitato mestrino iniziata dal quartiere INA-Casa San Marco, che il gruppo di progettisti guidato da Samonà e Piccinato stava ancora realizzando. Il progetto presentato da Astengo, Coppa e Trincanato si classifica al secondo posto ed è, tra i premiati, l’unico a non assecondare almeno in parte questa ipotesi. Se la maggiore
210-212. Schemi generali di tre proposte presentate al concorso di idee per il PRG di Venezia, caratterizzate dalla prefigurazione di contrapposte idee di città, specie per quel che riguarda lo sviluppo urbano della terraferma veneziana: 1. Gruppo Astengo, Coppa, Trincanato; 2. Gruppo Amati, Bernardo, Pastor, Pastorini, Salvarani, Clauser, Tentori (vincitore); 3. Gruppo Quaroni, Benvenuti, De Carlo, Giovannini 213. Gruppo Astengo, Coppa, Trincanato. Schema dell’azzonamento e della nuova viabilità per l’area di Mestre e Marghera
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opere problematica di Mestre è quella di conservare le caratteristiche di un borgo sparso, che tenda ad assumere una struttura urbana, la soluzione dovrà essere cercata nell’evitare l’espansione a macchia d’olio, realizzandola invece per nuclei insediativi chiaramente definiti e attrezzati. Ma questo aspetto è solo uno dei punti di forza della proposta di Astengo. Basato su un accurato studio analitico e dotato di una sistematica e accurata documentazione cartografica – in parte derivati dalle attività didattiche svolte da Astengo e Trincanato allo IUAV e innovativi al punto che Romano Chirivi sostiene in «Urbanistica» più di dieci anni dopo che siano ancora rilevanti – il progetto fornisce un particolare contributo di ipotesi operative in merito al problema del risanamento del centro storico, dove si individua in particolare l’apporto di Egle Trincanato e Mario Coppa. Al contrario, sembra più facile individuare il contributo astenghiano nell’inquadramento dei problemi di Venezia e delle loro soluzioni, alla scala del comprensorio provinciale, e nella metodologia di lavoro, che fa della conoscenza e comprensione preliminare dello stato di fatto la condizione necessaria per la valutazione e la definizione degli interventi da proporre. Nella sua impostazione generale, il progetto parte dal rilevare due situazioni opposte: a Venezia una vitalità dei sistemi insediativi storici minata dal tempo e dall’incuria, in terraferma strutture urbane e attrezzature recenti ma «viziate da errori congeniti di funzionalità». La politica di piano, che assume il titolo “Dalla città alla regione e dalla regione alla città”, è basata su cinque capisaldi e tre condizioni di successo. I primi si configurano come: un intervento radicale di risanamento e restauro dell’edilizia storica, monumentale e ambientale insulare; la realizzazione di un centro d’affari e uno culturale nel centro storico; la distribuzione sull’isola e nel resto del territorio comunale di una diffusa rete di attività produttive e terziarie; la strutturazione di un nuovo impianto stradale per la terraferma e la migliore organizzazione delle attività primarie e secondarie nel territorio. I secondi sono sintetizzati nel trittico “sapere, volere e potere”, che si traduce nell’istituzione di un centro studi sull’urbanistica di Venezia, nella capacità di coordinare interventi pubblici e privati e in quella di control-
lare usi del suolo e investimenti necessari. In concreto le previsioni più interessanti riguardano censimento, riuso e innovazione degli spazi inutilizzati e «liberabili», come molte aree industriali insulari, in alcuni casi utilizzate per creare nuovi quartieri abitativi che permettano la rotazione degli abitanti dei comparti da risanare, in altri per la realizzazione di attrezzature e servizi; tra questi il centro culturale da realizzarsi nell’area dell’Arsenale, in parte restaurata e in parte possibile sede di nuove grandi architetture per la comunità. Ugualmente rilevante l’intervento per la testa di ponte (da piazzale Roma a San Basilio), dove alle attività direzionali e a un nuovo grandioso parcheggio multipiano si associa, nell’area dell’ex cotonificio e dei magazzini portuali, il progetto per un nuovo quartiere residenziale. Un progetto nel complesso fortemente innovativo per la città, in cui il volano dell’edilizia – nuova e da restaurare – diviene volano economico, grazie al previsto utilizzo per interventi sull’esistente dei fondi per l’edilizia sovvenzionata. Il «rimodellamento» della città di terraferma viene infine pensato come operazione di ampliamento e chiusura dei nuclei edilizi esistenti, a volte con edifici alti, altre con lottizzazioni più articolate e meno dispersive di quelle a scacchiera, definendo margini certi tra edificato e campagna e dotando di aree di piccola industria anche altre zone, oltre ad una potenziata Porto Marghera. [a.m.] Riferimenti AP FGA fas/33. Bibliografia Comune di Venezia, Idee per il piano regolatore di Venezia, «Rivista di Venezia», supplemento, 1, 1957. Chirivi, R., Eventi urbanistici dal 1846 al 1962, «Urbanistica», 52, 1968, pp. 84-113. Samonà, G., Per un Piano regolatore di Venezia, «Urbanistica», 15-16, 1955, pp. 71-79. Zevi, B., Due concorsi timidi: Venezia e Siracusa, «L’architettura, cronache e storia», 20, 1957, p. 79.
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214-215. Gruppo Astengo, Coppa, Trincanato. Analisi e proposte di intervento per il risanamento dell’edilizia storica minore veneziana 216. Gruppo Astengo, Coppa, Trincanato. Sintesi delle proposte per la riqualificazione urbana e gli interventi di sostituzione edilizia nelle aree dismesse o in via di dismissione del centro storico di Venezia
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