Anfione e Zeto, 26, 2016, Franco Purini, Laura Thermes. Abitare l’orizzonte Eurosky, Il Poligrafo

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rivista di architettura

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rivista di architettura

AAZZ

Franco Purini Laura Thermes Franco Purini Abitare l’orizzonte Franco Franco Purini Purini Eurosky, unaThermes Torre Romana, 20 Laura Laura Thermes Thermes Laura Abitare Abitare l’orizzonte l’orizzonte Abitare l’orizzonte Franco Purini Romana, 2012 Eurosky, Eurosky, una Torre una Torre Romana, Romana, 20062006 -2006 2012--2012 tema: matrice Eurosky, una Torre Romana, 20 Laura Thermes tema:tema: matrice matrice Abitare l’orizzonte

tema: matrice Eurosky, una Torre Romana, 20 tema: matrice

ILPOLIGRAFO ILPOLIGRAFO ILPOLIGRAFO ILPOLIGRAFO





ANFIONE ZETO e

rivista di architettura e arti 26

Franco Purini Laura Thermes Abitare l’orizzonte Eurosky, una Torre Romana, 2006-2012

ILPOLIGRAFO


o

direttore margherita petranzan

redazione testi e impaginazione beatrice caroti

vicedirettori francesca gelli aldo peressa

segreteria di redazione beatrice caroti

comitato scientifico marco biraghi massimiliano cannata giuseppe cappochin benedetto gravagnuolo francesco moschini valeriano pastor margherita petranzan franco purini francesco taormina paolo valesio comitato di coordinamento redazionale matteo agnoletto marco borsotti alberto giorgio cassani giovanni furlan nicola marzot livio sacchi redazione alberto bertoni giuseppe bovo gaetano corica brunetto de battĂŠ stefano debiasi massimo donĂ ernesto luciano francalanci paolo frizzarin romano gasparotti ugo gelli franco la cecla francesco menegatti patrizia montini zimolo dina nencini marco peticca saverio pisaniello roberto rossato camilla sacerdoti giovanna santinolli alberto torsello alessandra trentin massimo trevisan paolo valesio giovanni vio lisa zucchini

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ANFIONE e ZETO rivista di architettura e arti numero 26 direttore margherita petranzan

tema: matrice


dichiarazione d’intenti

ANFIONE e ZETO non è un contenitore indifferente

perché ha un orizzonte e un osservatorio internazionali

ANFIONE e ZETO non è un contenitore indifferente

perché è provocatorio, in quanto pratica la critica della critica

ANFIONE e ZETO è un contenitore aperto ANFIONE e ZETO è un contenitore aperto ANFIONE e ZETO è un contenitore concreto ANFIONE e ZETO è un contenitore scomodo ANFIONE e ZETO è un contenitore paradossale ANFIONE e ZETO è un contenitore paradossale

ANFIONE e ZETO è un contenitore neutro

ANFIONE e ZETO è un contenitore neutro

ANFIONE e ZETO è un contenitore limitato

ANFIONE e ZETO è un contenitore modesto

dove la disciplina dell’architettura trova un rinnovato rapporto con altre discipline e diventa struttura di relazione che intende ospitare le forme della città e i suoi problemi che presenta l’opera come fare e come fatto, innanzitutto nel suo farsi perché crede sia necessario parlare di tutta la produzione architettonica, anche se, a volte, solo per demolirla perché si interessa dei luoghi comuni perché si occupa delle assenze che permeano la disciplina dell’architettura e che le danno il volto che oggi assume: assenza di committenza con un mandato sociale forte o con ideologie da tradurre in forme e contenuti; assenza di limiti per la costruzione dei progetti non solo di architettura; assenza di indirizzi e di tendenze significative, assenza di realtà non perché illusoriamente puro o creato astrattamente, ma perché neutro di ideologie, come lo è questo tempo; è uno spazio in cui ciò che riempie il vuoto apparente è la pratica concreta delle scritture (nel senso di linguaggi), che riconduce alla responsabilità dell’opera praticata, da parte di un soggetto che non può dominare la sua pratica se non confrontandola con le altre pratiche, perché lui stesso è il prodotto della sua pratica, essendo tutto interno ad essa perché il soggetto agente si ferma sulla soglia della sua pratica, apparentandosi alla stessa domanda che sorge nelle altre pratiche, perché è consapevole che l’architettura è il luogo dove da sempre tutte le pratiche umane si incontrano e ritrovano il loro significato; è il luogo da dove si può partire per interrogarsi in quanto non chiede i perché, ma chiede i come, e vuole che siano mostrati non sotto forma di ideologie, ma di tecnica, che è la messa in opera della cultura stessa nei confronti della complessità del reale, perché è consapevole che «il deserto cresce»


indice

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architettura come matrice

lettera a franco purini. riflettendo su cosa significa oggi progettare un grattacielo o torre che dir si voglia

margherita petranzan

opera

a cura di margherita petranzan

17 biografia di franco purini e laura thermes 20 l’europarco/castellaccio 26 centro commerciale euroma 2 30

franco purini, laura thermes

una premessa metodologica sulla progettazione di edifici per uffici 31 uffici della procter & gamble 34 uffici 5000 38 uffici wind

roberto masiero

campo neutrale a cura di margherita petranzan

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franco purini

un dialogo con il cielo 150

francesco maggiore

franco purini nei “luoghi” di francesco moschini quarant’anni di storie in parallelo tra “condivisioni” e “allontanamenti” soglie a cura di aldo peressa

161 càsseri in affitto un dialogo tra aldo peressa, roberta cacco, francesco lazzarini, luciano rossi theorein

42 residenze in linea

a cura di massimo donà

44 la torre eurosky

massimo donà

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progetti di anatomia / anatomia di un progetto di lungo corso. frammenti, matrici, la regola e il caso. un concentrato teorico nell’itinerario progettuale di franco purini e laura thermes

il denaro come matrice

francesco moschini

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valerio paolo mosco

la possibilità di una metafora anonima 129

francesco taormina

abitare l’orizzonte nel discontinuo antagonismo del frammento (del progettare in altezza, a roma)

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matrice

massimiliano cannata

170

massimiliano cannata

l’uomo e il denaro: un binomio pericoloso. a colloquio con carlo sini 173

romano gasparotti

danzare la matrice


varietà

a cura di marco biraghi alberto giorgio cassani brunetto de batté

city a cura di francesca gelli francesco menegatti margherita petranzan

179

brunetto de batté

orizzonti interni 182

lina malfona

d’istanze critiche 185

nicolò ornaghi, pietro bonomi

principio di tal’origini furon poeti 194

lorenzo pietropaolo

città, museo, architettura. per un museo progressivo del moderno e del contemporaneo. una ricerca del politecnico di bari con AAM architettura arte moderna 204

massimiliano cannata

la formazione come leva strategica per difendere il valore della progettazione opere prime, opere inedite a cura di francesco menegatti alessandra trentin

207 moduloquattro architetti associati casa in via pepe 23,

nizza di sicilia (me) 213

alessandra trentin

218 luca porqueddu

possibilità di una ricostruzione narrativa. giorgios papaevangeliou: intervento di allestimento e riuso nel palazzo della provincia di frosinone mostre, premi, concorsi

259 cherubino gambardella

tractatus logico sintattico 261

223

raccontare la città: da mito a distopia

non-classicamente biennale

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patrizia valle

226

patrizia valle

fare disfare rifare architettura: incontro con andrea bruno alla fondazione wilmotte a venezia 230

ugo gelli

la museografia italiana negli anni cinquanta attraverso gli occhi di guido piovene 234

michel carlana, luca mezzalira, curzio pentimalli

wunderkammer / nuova scuola di musica a bressanone 238 +39 Architects

sahel trade center recensioni a cura di marco biraghi alberto giorgio cassani

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alberto giorgio cassani

improbus labor. tradurre l’Alberti

252 il gran ballo dei grattacieli

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le regole di roma e il senso della loro infrazione

un viaggio oltre l’allestimento

l’idea di appropriatezza nei progetti di torricelli per la capitanata

a cura di patrizia valle

ristrutturazione ed ampliamento nuova macelleria e uffici a san martino di lupari (pd) 2011-2014 giorgio papaevangeliou

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filippo cattapan

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orazio carpenzano

andrea morpurgo

margherita petranzan

architetture contemporanee a venezia 264

francesco taormina

per una teoria dell’architettura dei nostri tempi 267

giovanni furlan

la storia di un libro arti visive

a cura di paola di bello

269

lorenzo piovella

stereotipi urbani 276

dario passi

disegnare dipingendo e dipingere disegnando architetture poetiche a cura di alberto bertoni paolo valesio

281

alberto bertoni pier damiano ori

la poesia oggi

codex atlanticus

a cura di paolo valesio

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paolo valesio

codex atlanticus, 14


a Bernardo Secchi



architettura come matrice margherita petranzan

L’edificio è un corpo, e, come tutti gli altri corpi, consiste di disegno e materia: il primo elemento è in questo caso opera dell’ingegno, l’altro è prodotto dalla natura [...] e se è vero il detto dei filosofi, che la città è come una grande casa, e la casa a sua volta una piccola città, non si avrà torto sostenendo che le membra di una casa sono esse stesse piccole abitazioni. Leon Battista Alberti, De re aedificatoria1

Matrice è una parola che evoca l’utero materno, e ciò che in esso prende forma. La parola latina matrix significa infatti sia “madre” che “utero”. Ogni madre è allora matrice perché possiede lo “strumento” che ha contribuito a dare “inizio” ad un processo di nuova e sempre diversa produzione di forma. Ogni madre vive nel suo corpo l’inizio generandolo; ogni madre genera un nuovo inizio e ne scandisce il tempo attraverso la sua lenta costruzione. Dove ci sono forme ci sono sempre matrici che esistono unicamente per produrle, quindi ogni forma può essere ricondotta alla sua matrice. L’architettura, però, è matrice di se stessa. Ogni architettura, per essere tale, genera matrici che danno origine a tutte le forme che la costituiscono nel suo definitivo apparire come forma formata. Rammento ciò che ha scritto Leon Battista Alberti nel quarto libro del suo De re aedificatoria, quando dice che sarà bene seguire l’esempio di Platone, il quale, alla domanda su dove mai si sarebbe potuta trovare la famosa città ideale da lui teorizzata, rispose: “Ciò non mi interessa; importa invece ricercare quale genere di città sia da reputare migliore; dopo ciò sarà da preferire a tutte le altre quella città le cui caratteristiche meno si discostino da tale modello”; aggiungendo infine che è necessario aver sempre presente il detto di Socrate: “quella soluzione nella quale risulti evidente che nulla si possa mutare, se non in peggio, è da reputare la migliore”2. L’edificio, dice Alberti, è un corpo, “in cui ogni parte deve accordarsi con le altre”, generato da ingegno e materia, uniti da un’unica finalità: la produzione infinita di forme, dove “ciascun membro avrà il luogo e la posizione più opportuni: non occuperà più spazio di quanto sia utile, né meno di quanto ne esiga il decoro; né sarà collocato in una posizione impropria o disdicevole, bensì in quella che precisamente gli appartiene, sì che non se ne possa trovare un’altra più conveniente”3. Credo che, nonostante questo tempo organizzi il “corpo” dell’edificio in modo per nulla armonico e molto spesso sconveniente, siano tuttavia sempre validi i consigli dell’Alberti. Ciò che è profondamente mutato è però il rapporto che l’edificio instaura con il contesto in cui viene inserito, e, di conseguenza, la sua funzione sociale. Il contesto è la città contemporanea, che è il luogo per eccellenza dei conflitti sociali, delle presenze di tutte le possibili etnie e culture, delle “dispersioni insediative letteralmente ‘sconfinate’”, delle contraddizioni più macroscopiche tra singoli individui e collettività, tra privato e pubblico, tra ricchezza e miseria. Ma è anche il luogo in cui tutto ciò accade con infinite variabili e presenze, in abbagliante simultaneità. Città è ora dispersione, ma anche concentrazione, corpo e corpi in relazione quasi mai armonica, ma pur sempre in relazione, anche se di un nuovo tipo. Il corpo dell’edificio obbedisce a queste inquietanti “polifonie” che necessariamente “devono” convivere. Ora il corpo della città è “spesso”, denso, esteso in ogni direzione, dalle viscere della terra alle zone più alte del cielo, pulsante in ogni sua parte come un grande e informe animale e decisamente ormai incontrollabile come intero, ma monitora-

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bile nella parzialità dei singoli fenomeni, che comunque necessariamente sono, o meglio, devono essere in relazione tra loro e con l’insieme. Si è realizzato un paradosso che vede il globale travasato nel locale e vissuto come parzialità, mentre il locale si trasforma in “spirito globale” di un tempo in cui tutto è diventato possibile. Tutto ciò ha generato e genera profonda inquietudine nell’abitare le varie forme urbane, anche se la città è da sempre inquieta, altrimenti non sarebbe città. La città offre dunque “riparo” e “disagio” insieme, perché è Babilonia e Gerusalemme, sempre antagoniste ma conviventi. Che “il mondo vero si sia trasformato in favola” forse è possibile, anche perché il mondo vero cela insidie e contraddizioni ormai sempre meno arginabili, quindi terrorizza. Oggi il corpo dell’edificio cerca spazio nei territori urbanizzati definiti città, metropoli o megalopoli, e dichiara, a volte in modo violento, la propria autonomia da ogni altro contesto, costruito o naturale; si propone come risposta al senso di impotenza che sta vivendo l’uomo del XXI sec. nei confronti dei grandi cambiamenti ormai in atto sia sul piano dei rapporti interculturali tra i popoli sia su quello tecnico-scientifico. La crisi della politica, oggi al servizio dell’economia di mercato che si sta velocemente trasformando in sofisticate e astratte tecniche finanziarie, mina alla base l’assetto del delicato equilibrio istituzionale che permetteva la crescita controllata (anche se per parti) delle strutture urbane. Ma lo spazio dell’architettura, che costruisce i luoghi in cui si vive, è essenzialmente uno spazio politico, perché la città è spazio politico per eccellenza, da sempre, e l’architettura è città, con tutte le stratificazioni del tempo presenti, con consistenze diverse, sui piani formale e sociale. La sola realtà dell’architettura è l’architettura: essa “avvolge l’uomo in se stesso” e non si finge altro da sé, come dice Valéry per bocca di Socrate in Eupalino; per questo è matrice di se stessa. Non imita nulla, è semplicemente creazione “simbolica e autonoma, destinata a dar forma all’ambiente esterno dello spirito”4. Questo numero è dedicato alla torre Eurosky a Roma di Purini Thermes. È un grattacielo di 28 piani ad uso prevalentemente residenziale inserito in un contesto urbano in prossimità dell’EUR progettato dallo studio Purini Thermes e dallo studio Transit, dove le due torri verticali equilibrano l’orizzontalità dell’europarco Castellaccio, una delle 18 centralità metropolitane previste dall’ultimo piano regolatore generale. La strada progettuale percorsa da Purini Thermes è quella della “scrittura architettonica”, che supera il vecchio-nuovo concetto di “stile”. È anche quella dell’attento controllo del “processo generatore” di ogni scelta progettuale, mettendo in atto la logica della “molteplicità” del reale anche all’interno di un singolo prodotto architettonico che, secondo loro, deve uscire da rigide logiche identitarie/unitarie e, finalmente, mettersi in relazione con la città, i suoi bisogni e le sue contraddizioni. Non solo emerge in modo determinante, diversificandosi così dai sistemi costruttivi attuali che “nascondono” con forme mimetiche la gestione di strutture per energie rinnovabili, un nuovo sistema di progettazione di queste strutture, le cui forme sono dichiarate in tutta la loro autonomia e diversità. Diviene fondamentale, inoltre, lo spazio pubblico tra gli edifici; spazio che assume l’identità di una piazza di oltre trecento metri di lunghezza (la stessa di piazza Navona). Ma quel che emerge molto chiaro dal loro fare è la presenza-ricerca di importanti matrici che generano ogni gesto progettuale e lo trasformano in “cosa” costruita. La loro produzione del nuovo volge comunque lo sguardo alla storia, all’architettura che permane, che segna e insegna. Purini e Thermes si soffermano da sempre, sostando, sulla “soglia” dell’interpretazione dello spazio architettonico, vedendolo sia come spazio costruito che come spazio aperto, intervallo, località. Il disegno di Purini è pensiero vigile e illuminato, consapevole che l’essere da sempre “gettati” nello spazio dell’architettura comporta il vivere e il sentire profondamente lo spazio del linguaggio, che è “il più pericoloso dei beni”5, che l’uomo custodisce e da cui trae la sua forza, e della cultura del tempo in cui è immerso. Ma il linguaggio, che è il “costruttore supremo”, permette la nascita dell’architettura, perché solo l’uomo, come diceva Socrate-Valéry nell’Eupalinos, dà un nome a tutto ciò che tocca e che vede, trasformando così le cose prima in idea, poi in forma. La sua dimora, dunque, non può che avere un nome, un luogo, una relazione con l’insieme: questa è l’architettura, eretta con la parola prima che con le pietre. Per Purini Thermes, come per Valéry, “il costruire e il conoscere sprofondano l’uno nell’altro”, e l’identità di sapere


e fare, comprendere e costruire, è il segreto di un pensiero “costitutivamente” architettonico. Tuttavia “Di tutti gli atti, il più completo è quello del costruire”6 e l’idea stessa di costruzione rappresenta il tipo di azione più completo e la sfida più importante per il costruttore che deve mettere in gioco, per edificare, le diverse resistenze date dai materiali, dalla gravità e dalle regole. Il costruire comporta l’azione, e agire per costruire è potenza, incarnata dal progettista che, necessariamente “visionario”, organizza infinite relazioni passando attraverso altrettanto infinite resistenze: da quelle dei materiali a quelle della politica, dell’economia, dell’estetica e delle mentalità. Deve negoziare con un grande numero di poteri, consapevole che l’architettura non è, e non può essere, una disciplina circoscritta. In questo momento storico – paradossalmente però – l’essere visionario diventa esercizio salvifico, perché aiuta chi progetta a collocarsi al di fuori della banalità dignitosa che caratterizza gran parte delle edificazioni, aiuta cioè ad evidenziare il risultato come novitas. Conoscere bene queste tensioni che caratterizzano la produzione architettonica contemporanea, spesso funzionale unicamente alla messa in mostra di identità malate presenti sia tra i progettisti che tra i pubblici amministratori, significa, come fanno Purini Thermes e pochi altri, avere come obiettivo la messa in atto, nel momento in cui si progetta e si costruisce, di tutte le relazioni necessarie per la costruzione di uno spazio “politico” complesso e appartenente a molteplici ambiti, non unicamente a quello tecnico-economico-formale. Tuttavia oggi, dice Purini, “non è più possibile fare l’architetto senza sovraesporsi. L’appartenenza al circuito dei media appare sempre più indispensabile [...] In tal modo ha guadagnato la scena la figura dell’architetto performativo e atopico proposta dall’universo mediatico. Un architetto il cui comportamento incorpora le modalità comunicative dell’artista, dello stilista, della rockstar [...] con conseguente perdita di concentrazione, di rigore, di consapevolezza delle finalità reali del nostro mestiere”. Per questo “quando un’architettura è autentica sa riproporsi ogni volta come qualcosa che si è appena materializzato nel mondo [...] solo se si riesce ad agire all’interno di una serrata dialettica tra permanenze e mutamenti, tra stabilità e fluidità, tra realtà e utopia, tra ragione ed emozione”7. Tutto ciò porta a comprendere come la torre Eurosky di Purini Thermes sia un’architettura al di fuori del tempo, perché progettata e costruita per la durata, “sottraendo”, non aggiungendo. È la trasformazione per “sottrazioni successive” (alla ricchezza dei materiali, alla molteplicità degli scopi), che, come diceva Alberti, aggiunge qualità e valore all’opera e costituisce la meraviglia della costruzione architettonica sancendo la sua unicità.

Note 1 2 3 4 5 6 7

L.B. Alberti, L’architettura (de re aedificatoria), Il Polifilo, Milano 1966, I, pp. 14, 64. Ivi, I, libro quarto, p. 276. Ivi, I, p. 64. G.W.F. Hegel, Estetica, Feltrinelli, Milano 1978. P.F. Holderlin, Im Walde, trad. it. in Le liriche, Adelphi, Milano 1993. P. Valéry, Eupalinos o l’architetto, Mimesis, Milano-Udine 2011. F. Purini, Scrivere architettura, Prospettive, Roma 2012.

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opera a cura di margherita petranzan

“La parola greca ‘costruire’ significa anche orna­mento, in un duplice senso del tutto simile a quel­lo della parola kosmos”. L’opera di architettura è, come dice Gottfried Semper, questa capacità di costruire da parte di un autore che porta a compimento una meditazione attraverso l’uso della mani, che operano secondo un progetto. La fabrica è meditazione continua attraverso la pratica quotidiana. L’opera consiste nel suo farsi. L’opera di architettura è unità nella molteplicità e il suo fine è la forma re­lazionata con ciò che esiste: società‑storia‑natura. L’autore si mette al servizio dell’opera, per portarla alla luce, per permettere il suo realizzarsi.

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biografia di franco purini e laura thermes

Franco Purini è professore ordinario dal 1981. La sua attività didattica lo ha visto impegnato nell’insegnamento del Disegno e della Composizione architettonica in diverse università italiane (a Reggio Calabria, a “La Sapienza” di Roma, al Politecnico di Milano, ad Ascoli Piceno, all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e, infine, di nuovo a Roma). Dal 1985 è professore onorario del CAYC (Centro de Arte e Comunicaciòn) di Buenos Aires, dal 1989 membro dell’Accademia Nazionale di San Luca e dal 2000 dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Ha ricevuto nel 1984 il Premio dell’Associazione Critici d’Arte Argentini, nel 1985 il Leone di Pietra della Biennale di Venezia, nel 2003 il Premio Grotta di Tiberio per l’architettura, nel 2008 a Napoli il Premio Sebetia per l’architettura, nel 2003 la Targa d’Argento e nel 2011 la Targa d’oro dell’Unione Italiana per il Disegno. Nel 2013 la Presidenza della Repubblica Italiana gli ha conferito la Medaglia d’oro di Benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Membro del comitato scientifico di importanti riviste di architettura, attraverso i suoi numerosi scritti e i suoi disegni esemplari, che giustificano la sua collocazione fra i maggiori protagonisti della cosiddetta Architettura Disegnata, è presente con continuità nel dibattito internazionale sviluppandone con chiarezza e incisività le questioni disciplinari teoriche e operative. Tra le numerose mostre personali di Franco Purini si ricordano quelle alla Syracuse University (NY) e alla Columbia University di New York del 1978; all’Architectural Association di Londra nel 1984, in occasione della quale è stato pubblicato il catalogo Around the shadow line: beyond urban architecture; nel 1985 al CAYC di Buenos Aires e all’Accademia Americana di Roma; nel 1986 al Museo di Belle Arti di Caracas; e al Trevi Flash Art Museum of Contemporary Art di Trevi; nel 1998 al Centro de Arquitectura e Urbanismo di Rio de Janeiro, in occasione della quale è stato pubblicato il catalogo O que està feito està por fazer. Anonimato, fragmento, descontinuidade; alla Galleria Comunale di Cesena nel 2003 e dal 1979 alla Galleria AAM di Roma, che ha ospitato con continuità suoi progetti e disegni. Nel 2015 è stata dedicata a Franco Purini la mostra personale “La serie e il paradigma. Franco Purini e l’arte del disegno presso i moderni” al Politecnico di Milano e alla Triennale di Milano, ospitata successivamente a Roma nella sede dell’Ordine degli Architetti presso l’Acquario Romano e alla Facoltà di Architettura di Fontanella Borghese. Franco Purini è inoltre autore di numerosi allestimenti tra i quali quelli per il Padiglione Italia alla Triennale di Milano del 1996 in occasione della mostra “Identità e differenze”, di cui è stato curatore; per la mostra “Lo spazio sacro nella modernità” nella Basilica Palladiana di Vicenza nel 2000, per la mostra “Incontri” alla Galleria Borghese di Roma del 2002 e per il Padiglione Italiano per la prima volta presente alla Biennale di Venezia del 2006. In questa occasione, in quanto direttore della sezione italiana, ha coordinato il Progetto Vema, inerente a una nuova città di fondazione tra Verona e Mantova di 30.000 abitanti. Nel 2007 ha curato la sezione “Architettura disegnata” alla Triennale di Milano.

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Laura Thermes, nata nel 1943, membro dell’Accademia Nazionale di San Luca, ha insegnato dal 1971 al 1989 alla Facoltà di Architettura di Roma, per poi trasferirsi come professore ordinario di Progettazione architettonica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dove è stata Direttore del Dipartimento di Arte, Scienza e Tecnica del costruire dal 1999 al 2005 e dal 1999 al 2014 coordinatore del dottorato di Progettazione architettonica e urbana “Il progetto dell’esistente e la città meridionale” da lei stessa istituito, dirigendone il periodico trimestrale “A2Architettura”. È stata responsabile scientifico di tutti e dieci i “Laboratori Internazionali di Architettura” (LIdA), che dal 2002 si sono svolti sul temi del progetto dell’esistente e del restauro del paesaggio in alcuni centri urbani della Calabria e della Sicilia in stretto rapporto con le amministrazioni locali. Il suo lavoro didattico e di ricerca sul tema della modificazione della città meridionale è stato raccolto e sistematizzato nelle numerose pubblicazioni dei LIdA (Iiriti edizioni, Reggio Calabria 2005; 2006; 2007; 2010; 2012; 2014) e documentato nei due volumi Laura Thermes. Progetti per il sud (Il Poligrafo, Padova 2008) e Laura Thermes. L’Area Metropolitana dello Stretto (Gangemi, Roma 2014), entrambi curati da F. Ciappina, A. Russo, G. Scarcella. Laura Thermes è autore della raccolta di Scritti teorici. Tempi e spazi. La città e il suo progetto nell’età posturbana (Diagonale, Roma 2000) e, con F. Berlingieri, della Guida Architetture del Novecento in Calabria (Kaleidon, Reggio Calabria 2012). Dal 1966 Franco Purini e Laura Thermes condividono lo stesso studio a Roma e hanno dato origine a un lungo e produttivo sodalizio segnato da un’intensa attività progettuale fortemente votata alla sperimentalità sui temi del progetto in rapporto alla rappresentazione, alla città e al paesaggio. L’attività dello Studio Purini Thermes si è espressa in un numero consistente di progetti, tra i quali quelli elaborati per numerosi concorsi, ampiamente documentati sulle riviste internazionali e nelle principali mostre di architettura ed è inserita in più storie ed enciclopedie dell’architettura del Novecento. Negli ultimi anni lo studio è stato impegnato nella progettazione della centralità urbana di EUR Castellaccio a Roma, dove sono stati realizzati gli Uffici della Procter & Gamble e la torre residenziale Eurosky, oggetto della monografia di Ruggero Lenci L’enigma Eurosky (Gangemi, Roma 2014). Sono in corso di costruzione una torre per uffici e la sede della Wind. Recentemente, sempre a Roma, è stata inaugurata la nuova Stazione Jonio della Metropolitana B.


Europarco Castellaccio, fotoinserimento dell’intervento urbano.

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la torre eurosky

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progetto 2009-2014 committente Parsitalia Real Estate srl cubatura mc 79.800 progetto Franco Purini, Laura Thermes collaboratori Massimiliano De Meo, Carlo Meo Colombo, Roma progetto esecutivo e coordinamento Parsitalia General Contractor srl (Gianfranco Bartoccioni e Luca Giani) progetto strutture Sbg & Partners Biggiguerrini ingegneria spa, Roma progetto impianti Progetto Cmr, Modena strutture in cemento armato Siace spa, Frosinone strutture prefabbricate Tecnostrutture srl, Effegi spa, Roma carpenterie metalliche in copertura e sistema fotovoltaico Far System Spa Cordioli & C., Verona facciate e infissi Plm srl, Roma impianti meccanizzati Panzeri spa impianti elettrici Leonardo Tecnologie srl, Roma impianti di sollevamento Schindler spa, Roma sistema smaltimento rifiuti Oppent spa, Roma partizioni interne in cartongesso Isoltecnica srl impianti domotici Easydom Italia srl crediti fotografici Matteo Benedetti, Massimiliano De Meo, Ruggero Lenci, Fabrizio Ronconi, Parsitalia General Contractor srl

Torre dei Capocci a piazza San Martino ai Monti, Roma.

La torre Eurosky è uno dei due edifici alti che sorgono nella piazza dell’Europarco Castellaccio. L’edificio, a destinazione prevalentemente residenziale, si confronta con la severità volumetrica e la solidità iconica delle torri medioevali che punteggiano il centro di Roma, tra le quali spicca la torre delle Milizie che presidia con la sua potente staticità i Fori Imperiali, e con le presenze architettoniche dalla forma essenziale che disegnano lo skyline dell’EUR (il Palazzo della Civiltà Italiana, Il Palazzo dei Congressi, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo). Realizzato in calcestruzzo e rivestito in granito, l’edificio lamellare è misurato dalle bucature regolari delle logge, che creano un gioco di ombre dense e profonde e introducono nel paesaggio urbano, con la loro modularità, un forte segno ordinatore. Il manufatto, una lastra a pianta rettangolare di 60,00 × 30,00 m, incisa verticalmente da un taglio attraverso il quale è possibile vedere il cielo, comprende ventotto piani. I primi tre ospitano oltre all’atrio di ingresso alcuni uffici. Altri due piani, destinati a servizi per gli abitanti (palestra condominiale, lavanderia, depositi), sono situati a quota +16,50 m e +10,50 m, dove prospettano su un giardino con una vasca d’acqua. L’edificio fuoriesce dal profondo scavo del giardino ed è collegato alla piazza da due passerelle, che sovrappassano lo spazio verde. Due sono gli accessi a Eurosky: uno alla quota +10,50 m, l’altro alla


quota + 16,50 m, quella della piazza. L’atrio è uno spazio a tripla altezza che ospita una fontana e un bassorilievo in terracotta di Mimmo Paladino. Dal grande spazio pubblico, il cuore di Europarco, l’edificio si eleva per 89,04 m, corrispondenti a 105,54 m sul livello del mare. Sopra questa quota è previsto un volume che accoglie gli impianti tecnici. Pur configurandosi come un’architettura unitaria, la torre Eurosky è articolata in due prismi verticali, ciascuno dei quali servito da blocchi contenenti le scale e gli ascensori, collegati fra loro attraverso ponti dello spessore di due piani. All’estremità della copertura si proiettano nel vuoto tre grandi strutture: una orizzontale che sostiene i pannelli solari, una inclinata rivestita di pannelli fotovoltaici e un traliccio che si slancia nel cielo rievocando tonalità costruttiviste. Eurosky è un edificio sostenibile. I pannelli solari e fotovoltaici, il riutilizzo delle acque piovane, il traliccio che centralizza tutte le antenne televisive, le modalità di raccolta dei rifiuti, le serre tra spazi interni ed esterni delle residenze e le stesse logge che nel tempo saranno ricoperte di verde fanno sì che tale costruzione dia una riposta avanzata su questo importante aspetto del costruire. C’è da aggiungere comunque che come progettisti non siamo mai stati molto interessati a sottolineare questo tema, poiché riteniamo che sostenibilità dovrebbe essere sinonimo di architettura. Per questo motivo nei disegni di progetto non abbiamo mai rappresentato l’aspetto naturale della torre una volta che le fioriere delle logge saranno coltivate, preferendo portare l’attenzione sull’identità tettonica della costruzione piuttosto che trarre vantaggio dalle seduzioni ecologiste che poteva sprigionare. La torre Eurosky si propone come un elemento chiaramente riconoscibile, un segno metropolitano autorevole e duraturo che rappresenta una porta ideale nel paesaggio urbano, un’emergenza architettonica che sta divenendo un luogo fortemente caratterizzato, un ulteriore elemento della grande narrazione architettonica romana. Il grande murale Fino agli anni Sessanta negli edifici residenziali di un certo pregio gli atrii erano spesso decorati da opere d’arte. Bassorilievi in marmo, ornamenti figurativi o astratti in stucco, pannelli in ceramica o in metallo introducevano negli ingessi di palazzine o intensivi una presenza pittorica o plastica che, assieme a una luce attentamente studiata, aggiungeva a questi interni la magia del segno, del colore e della materia. Gli atrii si configuravano così come ambienti dal suggestivo sapore scenografico, spazi architettonicamente preziosi che accoglievano chi entrava nobilitando l’edificio, annunciando che in esso la vita era libera e felice, inviando ad abitanti e visitatori un grande messaggio di accoglienza. Questa tradizione, che ha dato vita a esempi di grande qualità, si è totalmente perduta dopo gli anni Sessanta. Progettando la torre Eurosky abbiamo ragionato a lungo sul carattere di un edificio residenziale, individuando nella presenza dell’arte un elemento importante della sua identità complessiva. Un elemento il quale riesce a conferire alla torre Eurosky, un edificio privato, un connotato istituzionale, come se questo edificio, già entrato nel profilo di quella parte della città come un landmark coinvolgente e condiviso, fosse un edificio pubblico. Del resto il contiguo EUR presenta nelle sue architetture originarie affreschi murali da tempo entrati pienamente nella storia dell’arte. Riprendendo i precedenti appena richiamati, abbiamo quindi chiesto al committente Luca Parnasi di destinare una parete dell’atrio a un’opera murale di Mimmo Paladino, uno degli artisti italiani più famosi e più interessati alle relazioni tra l’arte e gli spazi architettonici. La proposta è stata accolta. Il grande artista, uno dei cinque protagonisti della Transavanguardia, ha ideato una grande opera murale in pannelli di terracotta con inserti polimaterici. Il tema è Roma e la sua costruzione nel tempo. Si tratta di un’opera, ormai completata nella sua complessa tessitura, che sarà montata quando le ultime finiture dell’edificio saranno concluse. Con una straordinaria capacità evocativa, che sa estrarre dalla memoria elementi e segni ancestrali proiettandoli nel futuro, il grande murale è un canto polifonico attraverso il quale Roma esprime la sua identità compositiva, molteplice, metamorfica, creativamente conflittuale, un’identità stratificata ispirata all’eloquenza poetica del frammento. Una Roma che riafferma il suo essere uno dei centri della storia del mondo e al contempo di vivere al di là della storia stessa. Torre delle Milizie, Mercati di Traiano, Roma; torre dei Graziani a piazza San Martino ai Monti, Roma; torre dei Conti, largo Corrado Ricci, Roma.

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La Roma delle torri e la Roma delle cupole.


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Franco Purini, Laura Thermes, La torre INARCH - SIR, 1973.

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varietà a cura di marco biraghi alberto giorgio cassani brunetto de batté

Sezione “Varietà” come varietas e come variété. Luogo di incontro e di scontro tra diversi saperi e pratiche, libero da coerenze troppo asfissianti, che non teme di accostare tra loro mondi apparentemente lontani. Intermezzo, benjaminiana “costellazione di eventi” e frammenti, crocicchio di strade che qui si incrociano ma anche si dipartono, costituisce un momento di riflessione aperta a ospitare su uno stesso piano e con gli stessi diritti progetti di architettura, opere prime, arti, filosofie, interviste, libri, mostre. Privilegiando soprattutto quei luoghi di cui questi differenti linguaggi dialogano tra loro, pur parlan­do una propria lingua. In questo il riferimento al concetto di varietas alber­tiana appare inevitabile: contro ogni “normatività”, tipologia fissa e “canoni”, stabiliti, la sezione riflette le differenze, le mistioni, lo spettacolo vario e multiforme che costituisce la nostra attualità. “Tamen quid affirmen, nihil satis apud me constitu­tum habeo: tam varia de istiusmodi rebus apud scrip­tores comperio, tamque multa et diversa ultro sese consideranti offerunt”. (De re aedificatoria)

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city

a cura di francesca gelli francesco menegatti margherita petranzan

brunetto de battĂŠ

orizzonti interni

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lina malfona

d’istanze critiche

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Il nostro procedere in ogni caso è un continuo frugare tra le cose, anche minime – e qualcuno direbbe anche tra i frammenti delle macerie – per interrogarle, disoccultarle, cercarne il senso, per liberare le parole che un silenzio pieno di frastuoni e di disturbi ha celato. Luciano Anceschi

Un convegno organizzato dall’Accademia Nazionale di San Luca e dalla Triennale di Milano1 pone l’attenzione sulla questione della “critica oggi”, in un momento in cui sembra che la figura gloriosa del critico sia stata trafugata e venduta, o più spesso fatta a pezzi e riciclata nelle molteplici e più accattivanti vesti del curatore di spazi espositivi, nelle spoglie del promotore e divulgatore di eventi, dello showman, del mastro di chiavi del web. Sembra che queste figure abbiano rinunciato alla loro identità alimentandosi, certo in modo fecondo, di tutto ciò che le circonda e che proviene non solo dal loro intorno culturale, spesso fin troppo ingombrante. Tuttavia esse vengono caricate da un potere che le sovrasta e che ne determina i movimenti, da quelle logiche di mercato che giungono anche a decretarne la caduta. E sono poche le penne che riescono a svincolarsi da questa condanna, proponendo chiavi di lettura trasversali in un panorama profondamente segnato da voci senza storia, da echi e rumori di fondo che spesso non vanno oltre la didascalia o la relazione tecnica2, la descrizione o il racconto. La figura del critico è dunque definitivamente scomparsa o ha finito per adeguarsi alle pressioni, alle urgenze, alle mode del tempo presente, incarnandone tutte le contraddizioni? Appare necessaria una pausa di riflessione. Tutto farebbe pensare a una definitiva morte della critica, causata da fibrillazione o da astenia, probabilmente procurata da un eccesso bulimico di condanne e sentenze o, al contrario, da quel progressivo sostituirsi delle opinioni alle idee. Nel primo caso ci si riferisce alla critica che domina lo spazio digitale di internet3, preda di un violento parlare d’istinto o di un più pacato ma di certo non qualificato eloquio emotivo. Ne ha discusso a Milano Marco Brizzi, una voce chiara, caratterizzata da una forte consapevolezza, ma che di certo non rassicura sulle sorti di questa pratica. Anzi, Massimo Ilardi ha enfatizzato la differenza tra il conflitto di idee che si esercita in rete e quello che si combatte sul territorio reale, niente affatto “fluido”. Sulla “critica ai tempi di Tripadvisor”4, anche Gianni Canova, a Roma, ha denunciato l’uso di un tono sprezzante, apodittico, lapidario, cui si aggiunge un linguaggio riduttivo, semplificato, tribale. E lo stesso Peter Eisenman, nel suo testo Note sulla critica, ha denunciato l’effetto soffocante dei social media in America, lo smarrimento delle competenze, la banalizzazione delle istituzioni culturali, la messa in discussione della necessità di un’architettura con la A maiuscola5. Tuttavia, se nelle esperienze in rete si può rintracciare qualche forma di vivacità intellettuale e si può incappare talvolta anche in prese di posizione ardite, meno interessante appare quella critica che si vanta di essersi liberata di ogni sovrastruttura ideologica, arrendendosi – a ben vedere – a un relativismo di adeguamento, a un realismo soffocante e schiacciante che occupa lo spazio che un tempo si lasciava al sogno, all’immaginazione, all’utopia. Il risultato di questa deriva è la comparsa di quella che Franco Purini ha definito una critica merceologica, una pratica cioè che ha perso la capacità di anticipare i cambiamenti, o meglio di produrli. Qual è il ruolo della critica


oggi? Quello di mappare o quello di investigare? Quello di constatare lo stato di fatto o quello di sondare, psicanalizzare, dissezionare l’oggetto e infine trasfigurarlo? È possibile intercettare nuove traiettorie di critica creativa? Alla luce delle diverse posizioni emerse durante il convegno, si ritiene che sia possibile identificare diversi approcci alla critica, che corrispondono a diversi modi di vedere l’architettura. C’è chi adotta uno sguardo che trafigge, che passa cioè attraverso la materia dell’opera, sondandola per sezione, quasi dissezionandola come in un rito autoptico, sulla scorta di grandi personaggi come Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi e Manfredo Tafuri. Tali maestri hanno lasciato il posto, in Italia, a figure tese tra teoria, sperimentazione e pratica dell’architettura. Tra i presenti al convegno, i critici legati alla scuola di Aldo Rossi – come Alberto Ferlenga – sono stati capaci di elaborare sintassi poeticamente oggettive, che sussurrano anziché svelare, facendo proprio il linguaggio del maestro. Dalla scuola di Ernesto Nathan Rogers si è distaccata, superandone anche certe istanze, la figura di Vittorio Gregotti, che da Il territorio dell’Architettura (1966) a Il possibile necessario (2014) è riuscito a mantenere una straordinaria e rinnovata coerenza, consegnando ai giovani un esempio di saggezza e rigore, analogamente a quanto hanno fatto maestri come Emilio Battisti e Pierluigi Nicolin. Nell’attesa di “un’altra storia”, Nicolin, in particolare, ci offre una speranza, intravedendo una possibilità di rigenerazione, quasi di redenzione, in quello stupore, nell’impazienza, nel senso del pericolo che caratterizza l’operare delle giovani generazioni6. La vocazione didattica di Franco Purini lo avvicina a Gregotti e al suo ruolo di guida, laddove la sua scrittura – contraddistinta da quella profondità di analisi a cui corrispondono distacco, freddezza e lucidità di sintesi – mostra tracce dello psicologismo scientifico tafuriano e del rigore matematico di Leonardo Sinisgalli. Sulla linea della scrittura colta e, per certi versi, letteraria di Purini, troviamo quella di un critico puro, antidogmatico, difficilmente etichettabile, come Francesco Moschini, che è stato capace, negli anni, di promuovere arte e architettura secondo una sua particolare linea critica. Inoltre occorre citare anche lo sguardo aperto di Marco Biraghi, tra i più attenti osservatori di tendenze e modalità operative della contemporaneità. La seconda posizione critica che è possibile rintracciare è quella di chi adotta uno sguardo per così dire diagonale, cioè trasversale rispetto alle cose, passando intorno all’oggetto della critica e osservandolo da lontano, facendo valutazioni che coinvolgono anche le “condizioni al contorno”. E se il primo tipo di sguardo intendeva l’oggetto nella sua autonomia, escludendo la componente politica, le valutazioni di mercato, i valori etici e civili, i riflessi sociali, facendo cioè di ogni questione un problema di scrittura, questa seconda modalità critica considera l’architettura nella sua dimensione eteronoma. Questo sguardo ben si attaglia alla figura del curatore che, in quanto critico del presente, utilizza strumenti nuovi, dall’intervista tanto cara a Hans Ulrich Obrist alla video-inchiesta. Se tali nuovi metodi contribuiscono ad attrarre un pubblico sempre più numeroso, troppo spesso però la cura sorvola sulla profondità di analisi. Se curatori come Maurizio Bortolotti, Vincenzo Trione e Maurizio Coccia, presenti al convegno, hanno offerto un’ampia panoramica della loro attività, sarebbe stato interessante ascoltare anche personaggi come Massimiliano Gioni e Cino Zucchi, ad esempio, capaci di suscitare conflitti, come ha fatto peraltro Achille Bonito Oliva. Sarebbe stato anche utile sentire il controcanto di teorici come Michael Sorkin, che affronta questi temi delineando nuove traiettorie di ricerca, e di figure note al grande pubblico, come Philippe Daverio o Vittorio Sgarbi. In tutti i casi le due modalità critiche qui indagate propongono un pensiero sull’oggetto che non pretende di esaurirne la conoscenza, mostrandone anzi le contraddizioni senza adoperare una dialettica risolutiva7. Tuttavia c’è ancora un altro sguardo che, se si vuole, coinvolge i due precedenti, ed è lo sguardo che seleziona, tipico del critico progettista. Egli sceglie dei temi-cardine cercando da un lato di scandagliare l’oggetto e scomporlo nelle sue parti, dall’altro di distaccarsene e guardarlo dall’esterno nelle sue connessioni e nei suoi rapporti. Il processo critico, infatti, ricrea l’opera, la ri-fonda, seguendo le indicazioni di chi – come Luciano Anceschi e Luigi Russo, sulla scorta di Charles Baudelaire – ne ha tracciato i caratteri. E come quando si cerca di ricordare la forma di un oggetto per poi, immediatamente dopo, dimenticarla per ricrearla attraverso la fantasia, questo terzo sguardo si nutre di quella linfa vitale che solo l’immaginazione può fornire8. Esso inquadra l’opera da lontano, cercando di ricucire processi, operare connessioni, ricollegare tracce e frammenti di verità sull’opera.

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Artisti che lavorano con lo spazio pubblico. Artisti che si relazionano con lo spazio urbano e architettonico. Artisti che si relazionano col pubblico e che fanno di tale relazione il fulcro del loro operare. Artisti che fanno del “pubblico” il loro “politico”. La città non come scenografia, ma come luogo dei cittadini e dei loro comportamenti. Una visione non monumentale della città, ma del suo uso. Considero espressione del vero spirito dell’arte pubblica un’opera che con la sua forza metta in gioco una situazione, dalla quale scaturisce una reazione e coinvolgimento del pubblico.

lorenzo piovella

stereotipi urbani

Slice/Highrise I, 2012. Slice/Highrise II, 2012. Slice/Highrise III, 2012. Slice/Highrise IV, 2012. Slice/Highrise V, 2012. Slice/Highrise VI, 2012. Slice/Highrise VII, 2012. Slice/Highrise VIII, 2012.

arti visive

a cura di paola di bello

La mia ricerca è incentrata sull’architettura e sugli spazi urbani ma, nonostante le derive socioculturali che questa tematica porta con sé, tendo a distaccarmi da ogni forma reportagistica. Tendo piuttosto ad affidarmi al valore intrinseco delle forme cercando di creare un ecosistema a sé stante, sono più interessato alla creazione di un immaginario che ad una mera documentazione. Agisco per serie, talvolta anche di poche immagini, non amo concentrarmi su di un lavoro per troppo tempo anche se il filo conduttore che attraversa la mia produzione appare evidente e dichiarato. Nei miei lavori alterno serie fotografiche con altre generate completamente in computer grafica. Penso che la molteplicità dei linguaggi visivi sia mutata in un’unica grammatica capace di accogliere ogni sfumatura espressiva: ciò che viene definito virtuale è così invischiato con ciò che è fisico che ridurre il tutto a mere camere stagne risulta un’operazione che, oltre ad essere obsoleta, rischia di dimostrarsi presuntuosa. Tento sempre di abbattere queste linee di demarcazione e, occupandomi di spazi architettonici, questa modalità di azione risulta piuttosto naturale e in un certo senso obbligata. L’architettura si è infatti appropriata delle più svariate forme espressive fino a rinnegare il concetto di edificio e la sua connotazione edilizia. Non a caso nel mio percorso sono determinanti quelle visioni urbane di cui è ricco il panorama fantascientifico. Devo ammettere di essermi avvicinato all’architettura in una modalità piuttosto atipica e in un certo senso banale: ero affascinato dalle astronavi. È stato un passo piuttosto breve quello di creare un parallelismo tra il concetto di astronave inteso come entità urbana autonoma e quello di grattacielo. La serie Slices/Highrise, cominciata nel 2012 e ancora in sviluppo, si pone l’obiettivo di creare un archivio dei cliché formali che accomunano i grandi edifici verticali. Decontestualizzando l’edificio dal territorio circostante attraverso l’utilizzo di un teleobiettivo, questi oggetti architettonici mostrano la loro omologazione perdendo la loro identità territoriale. I soggetti ripresi potrebbero tranquillamente essere delle texture ripetute. Il risultato è una serie di immagini che mostrano sezioni di grattacieli quasi fossero un’ibridazione tra un modellino e un disegno tecnico. Attraverso questo progetto sono giunto a domandarmi se effettivamente, oltre la scorza esterna di tali costruzioni, ci fosse qualcosa di reale o meno. Naturale è stato il rimando ai videogame in cui gli edifici sono semplici cubi con applicate texture prese dal mondo reale. A tutti gli effetti dall’ambiente videoludico attingo a piene mani. Penso di aver visitato, visto e vissuto più luoghi virtuali di quelli reali: ho visitato così spesso alcuni di questi territori da finire per sovrapporli a livello mnemonico a quelli della mia esperienza fisica. Anche quando mi trovo in ambienti reali in cerca di scatti tendo a muovermi come se fossi in territori completamente avulsi dalla realtà. Mi rapporto con la città come se fossi calato in una sorta di accuratissimo game-level da cui attingere screenshots o, in termini più fotografici, uno sterminato negativo da cui trarre infiniti ingrandimenti.

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Il videogioco è un prodotto trasversale, rivolto ad un pubblico vasto ed eterogeneo: è naturale dedurre che chi lo realizza debba generare luoghi che rappresentino la sintesi di tutti quelli possibili. Un dato scenario dovrà avere tutte le caratteristiche per essere riconoscibile indistintamente da ogni utente. Ho iniziato così a considerare la figura del level-designer come una sorta di ossessivo collezionista di stereotipi ambientali, spaziali e architettonici: i livelli di un videogioco trasmutano così in immensi archivi di immagini e immaginari. Lo spunto per creare un lavoro incentrato su tali dinamiche si è manifestato quando mi capitò di giocare a Mirror’s Edge, un videogame d’azione del 2011. Ciò che più mi colpì erano le ambientazioni che permettevano di fruire di enormi e complessi spazi urbani da un punto di vista inedito: la sommità dei grattacieli. Nel 2014 ho sviluppato così la serie Site Specific_Mirror’s Edge in cui ho agito nello spazio virtuale del videogame esattamente come un fotografo di architettura che immortala i suoi soggetti. Ciò che ne deriva è una serie di immagini di paesaggio urbano di grandi dimensioni nelle quali l’unico riferimento al videogioco è legato forse al titolo. Sono scatti quasi da cartolina o da rivista di viaggi, pubblicitarie e appositamente intrise di un certo lirismo. Negli ultimi tempi ho iniziato a sviluppare luoghi virtuali partendo da zero. La serie Next City / Storage City parte dal presupposto che ogni dato online occupa anche uno spazio fisico all’interno di un server: l’aumento della quantità di dati digitali coincide quindi con un’espansione architettonica tangibile. Ho così creato Storage City, una città che si configura come una distesa di capannoni adibiti ad ospitare sterminate server-farm, una sorta di archivio dell’inesistente. In un certo senso Next City / Storage City è il mio progetto maggiormente architettonico in quanto il fulcro del lavoro è più legato alla progettazione e costruzione di uno spazio fittizio piuttosto che all’immagine in sé. Un altro aspetto che mi ha sempre intrigato è inerente alla quantità di modelli in 3D che si possono trovare sulla rete, ne sono un geloso collezionista. Ciò che trovo più affascinante è l’eredità che portano con sé: racchiudono qualità archetipiche in quanto oggetti funzionali ad una simulazione di realtà. Sono la rappresentazione stereotipata della quotidianità ma anche dei sublimi ready-made. In questo momento sto lavorando alla serie Oh Gold! nella quale appaiono scenari sviluppati partendo da modelli di edifici in tre dimensioni presi dalla rete e che sono una semplificata imitazione di grattacieli realmente esistenti. Attraverso questo lavoro ho cercato di riassumere la banalità stereotipata dei landmark architettonici che sono le sedi delle grandi aziende, oggetti-icona nei quali avvengono scambi economici e politici che sono motore della società occidentale. Tento di incanalare le mie ossessioni attraverso una pratica a tratti quasi catalogativa, sono un collezionista intento ad archiviare elementi strutturali redigendo un’enciclopedia in cui alterno realtà e finzione. Questo processo mi porta alla creazione e alla ricerca di spazi e luoghi verosimili ma anche profondamente distaccati dal loro contesto. Sono attratto da tutti quegli elementi, standardizzati, precostituiti e stereotipati che sono una costante dell’architettura contemporanea e di ciò che rappresenta.


Next City / Storage City I, 2014. Next City / Storage City II, 2014. Next City / Storage City III, 2014. Next City / Storage City VII, 2014.

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a metodologica sulla progettazione di edifici per uffici; uffici della procter & gamble; uffici 5000;

esidenze in linea; laarchitettura torre eurosky ta petranzan, come matrice

margherita petranzan, architettura come matrice

margherita petranzan, petranzan, architettura architettura come matrice come matrice esidenze inmargherita linea; torre eurosky aolo mosco, lalaarchitettura possibilità dicome una metafora anonima ta petranzan, matrice franco purini - -laura thermes, l’europarco/castellaccio; euroma franco franco purini purini - laura laura thermes, thermes, l’europarco/castellaccio; l’europarco/castellaccio; centrocentro commerciale centrocommerciale commerciale euroma euroma 2; 2;2; o moschini, progetti di metodologica anatomianel/ sulla anatomia diantagonismo un progetto di uffici; lungo corso. una premessa didiedifici per uffici della procter &&gamble; ourini taormina, abitare l’orizzonte del frammento (del in uffici altezza, - laura thermes, l’europarco/castellaccio; centro commerciale euroma 2&;progettare una premessa una premessa metodologica metodologica sulla discontinuo progettazione sullaprogettazione progettazione di edifici per edifici uffici; per uffici; uffici della uffici procter della procter gamble; gamble; uffici 5000 uffici;5000 5000;a; roma) matrici, la regola e wind; ilresidenze caso. uninconcentrato nell’itinerario progettuale di franco purini e laura thermes residenze in inlinea; la teorico eurosky ufficiuffici wind; uffici wind; residenze linea; torre latorre eurosky torre eurosky a metodologica sulla progettazione dilalinea; edifici per uffici;significa uffici della & gamble; uffici 5000; masiero, lettera a franco purini. riflettendo su cosa oggi procter progettare un grattacielo francesco moschini, progetti di dianatomia / /anatomia didilungo aolo mosco, lalapossibilità di una metafora anonima francesco moschini, moschini, progetti progetti di anatomia anatomia / anatomia anatomia di un diprogetto diununprogetto progetto di lungo corso. lungocorso. corso. esidenze infrancesco linea; torre eurosky ir si voglia

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franco purini, unundialogo franco franco purini, purini, unpurini. dialogo dialogo con ilcon cielo con ilfrancesco odonà, maggiore, franco purini nei “luoghi” diil cielo moschini. di storie in parallelo masiero, lettera a franco riflettendo sucielo cosa significa oggiquarant’anni progettare un grattacielo matrice francesco maggiore, neinei“luoghi” didifrancesco moschini. quarant’anni didistorie ininparallelo francesco francesco maggiore, maggiore, francofranco franco purinipurini nei purini “luoghi” “luoghi” di francesco francesco moschini. moschini. quarant’anni quarant’anni di storie instorie parallelo parallelo ioni” e “allontanamenti” ir si voglia ano cannata, il“condivisioni” denaro come matrice; l’uomo e il denaro: un binomio pericoloso. a colloquio con carlo sini tratra“condivisioni” e “allontanamenti” tra “condivisioni” e “allontanamenti” e “allontanamenti” essa, roberta urini, un dialogo cacco, con il cielofrancesco lazzarini, luciano rossi, càsseri in affitto peressa, roberta cacco, francesco lazzarini, luciano rossi, ininaffitto aldoaldo aldo peressa, peressa, roberta roberta cacco, cacco, francesco francesco lazzarini, lazzarini, luciano luciano rossi, rossi, càssericàsseri càsseri in affitto affitto gasparotti, danzare la matrice matrice odonà, maggiore, franco purini neimatrice “luoghi” massimo donà, massimo donà, matrice matrice di francesco moschini. quarant’anni di storie in parallelo de batté,massimo orizzonti internidonà, ioni” ecannata, “allontanamenti” massimiliano cannata, il denaro l’uomo e eil ildenaro: ununbinomio acon con carlo ano il denaro come matrice; 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l’uomo e il denaro: un binomio pericoloso. a colloquio con carlo sini ona, d’istanzedi critiche del politecnico bari con a.a.m. architettura arte moderna nicolò ornaghi, pietro bonomi, principio didital’origini nicolò nicolò ornaghi, ornaghi, pietro pietro bonomi, bonomi, principio principio di tal’origini tal’origini furonfuron poeti furonpoeti poeti gasparotti, danzare la matrice naghi, pietro bonomi, principio dicittà, tal’origini furon poeti ano cannata, lapietropaolo, formazione come leva strategica perperdifendere il valore della progettazione lorenzo pietropaolo, museo, architettura. ununmuseo progressivo del lorenzo lorenzo pietropaolo, città,città, museo, museo, architettura. architettura. unperper museo museo progressivo progressivo del moderno delmoderno moderno e del econtemporaneo. edel delcontemporaneo. contemporaneo. de batté,unaorizzonti unauna ricerca deldelpolitecnico bari con architettura arte ricerca ricerca delinterni politecnico politecnico di baridi dicon bari a.a.m. cona.a.m. a.a.m. architettura architettura arte moderna artemoderna moderna pietropaolo, città, museo, architettura. per un museo progressivo del moderno e del contemporaneo. piovella, stereotipi urbani massimiliano massimiliano cannata, cannata, la formazione formazione leva comestrategica levastrategica strategica per difendere perdifendere difendere il valore valore della della progettazione dellaprogettazione progettazione massimiliano cannata, la laformazione come leva per il ilvalore del politecnico di bari con a.a.m. architettura artecome moderna ona, d’istanze critiche ssi, disegnare dipingendo e dipingere disegnando lorenzo lorenzo piovella, stereotipi stereotipi urbaniurbani urbani lorenzo piovella, stereotipi ano cannata, lapiovella, formazione come leva strategica per difendere il valore della progettazione naghi, pietro bonomi, principio di tal’origini furon poeti ertoni, pier damiano ori, la poesia oggi dario dario passi, passi, disegnare disegnare dipingendo dipingendo e dipingere dipingere disegnando disegnando dario passi, disegnare dipingendo e edipingere disegnando piovella, stereotipi pietropaolo, città,urbani museo, architettura. per un museo progressivo del moderno e del contemporaneo. alberto alberto bertoni, bertoni, damiano pierdamiano damiano ori, ori, laori, poesia poesia oggi oggi oggi esio, codex atlanticus, 14 pierpier alberto bertoni, lalapoesia del politecnico di bari con a.a.m. architettura arte moderna ssi, disegnare dipingendo e dipingere disegnando paolo paolo valesio, valesio, codexcodex atlanticus, codexatlanticus, atlanticus, 14 1414 paolo valesio,

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