Come un fiore fatato. Lettere di paola Drigo a Bernard Berenson, Il Poligrafo

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COME UN FIORE FATATO COME UN FIORE FATATO COME UN FIORE FATATO Lettere di Paola Drigo a Bernard Berenson Lettere di Paola Drigo a Bernard Berenson Lettere di Paola Drigo a Bernard Berenson a cura di Rossana Melis a cura di Rossana Melis a cura di Rossana Melis

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COME UN FIORE FATATO Lettere di Paola Drigo a Bernard Berenson (1934-1937) a cura di Rossana Melis

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Il presente volume viene pubblicato con il contributo di The Andrew W. Mellon Scholarly Publications Fund Villa I Tatti - The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, Firenze

© Copyright febbraio 16 Il Poligrafo casa editrice srl  Padova piazza Eremitani - via Cassan,  tel.   - fax   e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978---915-7


INDICE

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Introduzione Paola Drigo nelle lettere a Bernard Berenson Rossana Melis

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Nota biografica

71 Nota al testo 73 Abbreviazioni

LETTERE di Paola Drigo a Bernard Berenson

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1934

120

1935

204

1936

251

1937

283 Appendice 285

Indice dei nomi



COME UN FIORE FATATO



Introduzione paola drigo nelle letTere a bernard berenson Rossana Melis

tra ca’ soderini e i tatti There was a time... Vi fu un tempo, – antichissimo, remoto, – in cui una fanciulla alta, bruna, non gobba né zoppa, era in collegio a Venezia e poi a Firenze. Uscitane, subito si sposò e andò a vivere in provincia, a Padova. Colà visse fino alla guerra. Vi lasciò amicizie e conoscenze cordiali, e le conserva tuttora. Ma Padova è città universitaria, non di artisti, è un’aria un po’ immobile senza mutamento, senza correnti varie e vibranti; con una buonissima, ottima società tuttavia, quasi più raffinata, e con caratteristiche più interessanti, che nelle grandi città. Belle vecchie case, vecchi giardini un po’ tristi; un’acqua un po’ stagnante nei canali – (e spiritualmente) –; ricevimenti e riunioni brillantissime, affiatatissime, sempre press’a poco dello stesso gruppo. Poi venne la guerra che sconquassò tutto, e per i veneti fu particolarmente rovinosa.

È la prima volta che Paola Drigo – che a questa data ha già scambiato parecchie lettere con Bernard Berenson – accenna in modi distesi alla storia della sua vita, sia pur velandola con un attacco fiabesco. Colpisce come parli a lui della città della sua giovinezza, di come fosse prima della Grande Guerra. Forse sa già che anche Berenson conosce Padova, e che lì ha avuto rapporti con amici cari. In ogni modo le poche parole con cui la definisce, nel contrasto tra l’immagine di una «città dall’aria un po’ immobile e senza mutamento» e quella della società che l’animava, «quasi più raffinata, e con caratteristiche più interessanti che nelle grandi città», ci mostrano in modo esemplare come l’interlocutrice veneta, diffidente delle definizioni, viva in uno spazio aperto in

 Lettera di Paola Drigo a Bernard Berenson da Ca’ Soderini (Mussolente) del 18 dicembre 1934; insieme alle altre 102 missive della scrittrice al critico, si conserva con i Berenson Papers presso la Biblioteca Berenson di Villa I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies a Firenze. D’ora in poi le lettere citate saranno indicate solo con il numero progressivo con cui sono pubblicate in questo volume, seguito dalla data di stesura. Per i primi paragrafi di questo saggio cfr. anche il mio precedente articolo Patria e mondo nelle lettere di Paola Drigo a Bernard Berenson, in Paola Drigo settant’anni dopo, a cura di B. Bartolomeo e P. Zambon, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2009, pp. 157-196.


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cui potrà agevolmente incontrarsi con il cosmopolitismo e la curiosità intellettuale del celebre critico. All’origine del loro rapporto epistolare c’era stato l’apprezzamento di Berenson per un racconto di Drigo, Fine d’anno in campagna, pubblicato nella primavera di quell’anno su una rivista, «Pan», diretta da un assiduo frequentatore di casa Berenson, Ugo Ojetti. Era una cronaca condotta in prima persona da una proprietaria terriera agée (in una lettera Drigo confesserà a Berenson che molto di quel racconto era autobiografico) in lotta più o meno sotterranea con i contadini delle sue terre e con se stessa, una cronaca messa insieme in una lingua studiatamente quotidiana, ricca di situazioni e osservazioni inconsuete per la narrativa italiana del tempo. La scrittrice aveva saputo che il racconto era piaciuto a Berenson direttamente da un giovane veneto redattore di «Pan», Guido Piovene, cugino dei Piovene suoi vicini di villa, e aveva così dato l’avvio, nel giugno 1934, allo scambio epistolare, mandando con una brevissima dedica un altro suo scritto, L’Amore, di parecchi anni prima, ma a lei carissimo, tanto che poi, quando la fama la raggiunse con Maria Zef, l’avrebbe sempre ricordato ai suoi interlocutori come prova della continuità della sua opera. Berenson dovette ringraziarla immediatamente, elogiandola e invitandola al romanzo, e Drigo gli risponderà, «orgogliosa e timida», con la lettera da Ca’ Soderini del 31 luglio 1934 – la prima conservata – in cui in poche righe presenta tutta se stessa e dichiara, con i suoi limiti, anche le sue passioni: Ella, Maestro, m’incoraggia a tentare il romanzo. Ma badi che romanzi brutti, o insignificanti, ce n’è anche troppi in Italia. Ed io vorrei fare, se mai, una cosa molto bella. Non è facile, e – in ogni modo – non credo sia possibile se non aspettare che il germoglio, se esiste, fiorisca da sé, senza forzarlo. Io non sono una letterata; ma ho grande amore per le mie storie brevi o lunghe che siano, spesso complesse e studiate quanto un romanzo, e cerco di disegnarle col maggior rilievo ed insieme colla massima apparenza di semplicità.

Purtroppo del folto carteggio intercorso tra chi viveva nella splendida villa dei Tatti, tra Settignano e Fiesole, e la signora della maestosa Ca’ Soderini, nella campagna vicentina ai piedi del Grappa, durato circa tre anni e mezzo, dal luglio 1934 alla fine del dicembre 1937, pochi giorni prima della morte della scrittrice, conosciamo solo la voce di quest’ultima. Il cospicuo archivio di Paola Drigo, con le lettere dei suoi corrispondenti, conservato nel suo studiolo di Mussolente («una stanzetta tutta porte e finestre che pareva un’uccelliera» aveva scritto in Fine d’anno), che pure era presente nella villa fino ai primi anni

 

Cfr. lettera 4, 10 settembre 1934. Raccolto in P. Drigo, La Fortuna, Milano, Treves, 1913, pp. 96-172.

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paola drigo nelle lettere a bernard berenson

Cinquanta, è andato infatti quasi completamente distrutto per gli incendi e i furti che la villa, lasciata in stato di abbandono, aveva subito. Così la descrive, tra il 1953 e il 1954, una giovane studentessa della Cattolica di Milano che andava allora preparando con Mario Apollonio una tesi di laurea sull’opera di Paola Drigo, e era andata a Ca’ Soderini: [...] chi sale verso la villa s’accorge dell’abbandono che invade i suoi muri screpolati, le finestre senza vetri, le porte murate. L’ingresso è aperto su una sala severa e spaziosa ridotta ora in uno stato indescrivibile: stucchi e cornici giacciono a terra, un sedile è rovesciato, il caminetto distrutto. La biblioteca ha alcuni scaffali rotti, un divano imbottito è sventrato e in una scansia rimasta intatta spiccano le rilegature preziose in marocchino rosso e oro di una collezione ottocentesca di classici. La sala da pranzo, coi pesantissimi mobili di quercia scura, è sepolta sotto uno strato di sudiciume, e riceve luce da uno stanzino piccolo, una specie di «mezà» (come chiamano qui gli studioli degli amministratori). Qui un “secretaire” è spaccato in due: a terra giacciono mucchi di corrispondenza: “cara Dinetta” “Gentile Signora” “N.D. Paola Drigo”. Il vento, entrando dalle finestre prive di vetri, sconvolge un poco le carte e toglie qualche granello di polvere da un ritratto fatto a penna: lei Paola Drigo.

Le lacune documentarie che hanno di conseguenza sempre accompagnato l’opera e la figura di Paola Bianchetti Drigo sono state in anni recenti parzialmente colmate. Il recupero delle 103 missive qui raccolte, inviate a un personaggio eccezionale e insieme centrale nella cultura italiana della prima metà del Novecento, per decenni il genius loci fiorentino, mi pare aggiunga un insieme di dati prezioso. Sono lettere importanti anzitutto per la loro quantità; per l’arco temporale in cui furono scritte, che comprende il laborioso completamento di Maria Zef e l’inizio della sua fortuna presso il pubblico; poi per la possibilità che danno di risalire ad altri tasselli, finora sconosciuti, della corrispondenza che Drigo tenne con donne e uomini dei suoi anni. Della voce mancante, quella di Bernard Berenson, molto si potrebbe dire, sia pure indirettamente, o di riflesso. Dallo stesso Berenson sappiamo anzitutto  M.E. Pontello, La signora di Ca’ Soderini, «Drammaturgia», IV, 9, ottobre-novembre 1957, pp. 805-806. Il saggio è un estratto della tesi di laurea di Maria Elisabetta Pontello, Studi biografici e critici sull’opera di Paola Drigo, discussa all’Università Cattolica di Milano nell’a.a. 1954-1955, relatore Mario Apollonio, correlatore Ezio Franceschini.  Soprattutto per le ricerche affrontate da Patrizia Zambon. Cfr. l’Introduzione, la Nota biografica e la Nota bibliografica, in P. Drigo, Racconti, a cura di P. Zambon, Padova, Il Poligrafo, 2006; cfr. anche, della stessa, Paola Drigo, le opere e i giorni, in P. Drigo, Maria Zef, a cura di P. Azzolini e P. Zambon, Padova, Il Poligrafo, 2011, pp. 27-44.  Cfr. E. Montale, Umanista alla macchia, «Corriere della Sera», 3 febbraio 1950, poi in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, I, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 913-918.  Bernard Berenson, nato nel 1865 in Lituania, era emigrato ancora bambino con la famiglia in America. Si era laureato in materie umanistiche a Harvard; dagli inizi del secolo viveva, quando non

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che amava la conversazione – quella parlata o, in assenza, anche quella scritta (ma per lui, come per Platone, la parola scritta era solo «il fantasma» di quella parlata) sopra ogni cosa. Basti l’immagine con cui apre l’Abbozzo per un autoritratto: Spesso mi par d’essere una vacca con le poppe turgide che muggisce invocando il vitello o chi lo munga. Oppure una pianta che stilli inchiostro invece di sciroppo o resina e aneli a sentirsene liberata. Pertanto, mi dilettano quelle compagnie che mi fanno parlare e quei corrispondenti che mi stimolano a scrivere. [...] Io sono nato per parlare e non per scrivere; e, quel ch’è peggio, più per conversare che per parlare; e per conversare soltanto con interlocutori stimolanti [...] saranno donne assai più spesso che uomini.

Quel suo lato di conversatore, di affascinante e generoso causeur, accompagna il ricordo di tutti quelli che l’hanno avvicinato. Scriverà di lui Umberto Morra, presentando i suoi Colloqui con Berenson: Tutti coloro che hanno frequentato Bernard Berenson sanno che cosa fosse la sua conversazione, dai passaggi così rapidi dall’epigramma sferzante al tono della saggezza e i continui richiami a una ricchezza di esperienze culturali, mondane, artistiche, a una conoscenza del passato e del presente, di uomini e di paesi, condivisa da pochissime persone del suo tempo, e da nessuno forse tanto liberamente adoperata nel commercio, anche casuale, dei discorsi con amici e conoscenti, e perfino con ignoti [...]. La verità era che Berenson godeva nel conversare; la conversazione era per lui insieme un «giuoco dello spirito» e un impegno completo, una cosa dilettevole e tuttavia seria [...].

ed Eugenio Montale, in una recensione proprio al libro di Morra: Quando io andai a vivere a Firenze, nel ’27, Bernard Berenson era indubbiamente il maggior faro della città. Non l’unico, perché non vi mancavano altri astri italiani o stranieri, di prestigio locale o internazionale; ma nessuno di questi poteva vantare l’irradiazione di simpatia o di curiosità che emanava dal maestro dei Tatti. [...]

viaggiava, in Italia, ai Tatti, un’antica casa di campagna che aveva riadattato, nei pressi di Settignano; dimora che restò per decenni, fino alla sua morte nel 1959, salvo le parentesi dovute alle vicende belliche, un luogo di incontri e di discussioni cosmopolite sulle arti e sulla cultura. Per un essenziale profilo biobibliografico del critico, cfr. J. Pope-Hennessy, Berenson Bernard, in Dizionario Biografico degli Italiani, 34 (I supplemento A-C), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1988, pp. 349-359; cfr. anche E. Samuels, Bernard Berenson. The Making of a Connoisseur, Cambridge (MA) - London, Belknap Press of Harvard University Press, 1979; E. Samuels, J. Newcomer Samuels, Bernard Berenson. The Making of a Legend, Cambridge (MA) - London, Belknap Press of Harvard University Press, 1987; il sito itatti.harvard.edu/ berenson-library; l’autobiografia di N. Mariano, Quarant’anni con Berenson, Firenze, Sansoni, 1969; per il Berenson degli anni Trenta-Quaranta, gli appunti di U. Morra, Colloqui con Berenson, Milano, Garzanti, 1963.  B. Berenson, Abbozzo per un autoritratto, trad. di A. Loria, Milano, Electa, 1949, pp. 21-24.  U. Morra, Colloqui con Berenson, cit., pp. 5-6, 7.




paola drigo nelle lettere a bernard berenson Molto di lui si spendeva nei discorsi, nei colloqui, animati da un irresistibile dono d’impromptu [...].

Doti che emergono vivaci, per esempio, dal fittissimo carteggio che tenne dal 1927 al 1955 con Clotilde Marghieri, l’amica che darà un giudizio lusinghiero su Maria Zef e che negli anni Sessanta pubblicherà Vita in villa, opera per molti aspetti in sintonia con Fine d’anno della scrittrice veneta. Il carteggio, in parte pubblicato dalla stessa Marghieri nel 1981 con il titolo Lo specchio doppio, parla di un amore lungo nel tempo, ardente e lucido insieme, un incontro iniziato quando il Maestro aveva passato la sessantina e Clotilde aveva circa trent’anni. Un legame libero e liberale, un’esperienza, come ebbe a definirla Luigi Baldacci nella presentazione della raccolta, «che si consuma tutta sotto il novecentesco segno della sincerità». L’abitudine e la predilezione stessa per il rapporto epistolare inducono quindi Berenson a iniziare un intenso carteggio al buio («in questo “dark”» ripeterà Drigo, che risponde in italiano all’inglese del suo corrispondente trascrivendo qua e là qualche parola d’inglese). Una corrispondenza che all’inizio, oltre che lusingarla, la sorprende, l’imbarazza anche, dando luogo per qualche mese a esitanti equivoci, per poi trasformarsi essa stessa in lunghe «conversazioni» – come la scrittrice le definisce più volte – in cui confluiranno racconti della sua vita, dei suoi viaggi, impressioni sulla vita di provincia, sulle sue passioni letterarie, e – con giudizi anche caustici – sulle sue antipatie, in un tono spesso ironico, talvolta accorato, in uno stile vivace ma anche piano, lo stile conversevole, insomma, di Fine d’anno. Il loro, tuttavia, non sarà un incontro tra una giovane e il suo pigmalione. Anzitutto perché nel 1934 se Berenson ha 69 anni, Paola ne ha 58. La sua personalità, appartata ma dal profilo ben deciso, emerge, come abbiamo visto, immediatamente, mettendosi a confronto con il critico, e lui non si sottrarrà, se pensiamo che accetta subito, come se fosse un «gioco del tennis», la condizione preliminare di Paola, disposta a scrivere solo dopo aver ricevuto una risposta. La scrittrice resterà però anche profondamente commossa dai suoi giudizi, ravvivata nella coscienza di sé da un’amicizia le cui radici, nel buio dello scambio epistolare, man mano si rafforzano. E già nel settembre gli scrive:

 E. Montale, Berenson privato, «Corriere della Sera», 17 novembre 1963, poi in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 1446-1447.  Cfr. B. Berenson - C. Marghieri, Lo specchio doppio. Carteggio 1927-1955, Milano, Rusconi, 1981. Il giudizio su Maria Zef compare in una lettera del 19 febbraio 1937 (p. 345).  Lettera 9, 11-12 ottobre 1934.  Lettera 12, 3 novembre 1934.




rossana melis Ma, in fondo, il fatto di incontrarci è cosa di secondaria importanza. Se potrete un giorno venire, ne sarò felice; se non verrete, nulla cambierà di quello che esiste. L’importante è che questa amicizia, nata appena e così inaspettatamente, come un fiore fatato, diventi presto solida, semplice, fiduciosa: diventi in una parola antica.

primi nomi e primi argomenti Come si intuisce indirettamente, della scrittrice, della sua antica bellezza, della sua appartenenza a un’antica famiglia veneta legata alla borghesia terriera e al mondo dell’aristocrazia gli devono aver già parlato Ugo Ojetti, che conosce Drigo da alcuni anni, e ovviamente anche Guido Piovene e Pietro Pancrazi. E, possiamo aggiungere, per Berenson, uomo sempre incline a giocare tra presente e passato, deve valere sicuramente anche l’aura, il fascino che Drigo porta con sé per la sua origine, l’essere nata a Castelfranco, la patria di Giorgione, uno dei pittori da lui più amati. Gli preme poi la necessità di collocare la nuova corrispondente in una rete amicale, e, all’inizio, deve averla travolta con notizie su amici e conoscenti suoi (Cagnola, Cecchi, Moravia, Federzoni). Tanto che le lettere di risposta dei primi mesi portano le tracce delle reazioni diffidenti di Drigo e dei suoi irrigidimenti. Intanto però gli manda tutti i racconti, accompagnandoli via via con chiarimenti sui personaggi, aggiungendo precisazioni per noi preziose. In una di queste prime lettere, per esempio, spiegando il finale del racconto Paolina, si lascia andare a notazioni che danno luce anche al gesto finale della futura Maria Zef. Nella stessa lettera, riferendosi al Dramma della Signora X, riconosce quale sia il motivo dominante che alimenta e accomuna le sue raccolte: Avete ragione: questo essay – e i racconti che lo precedono – possono significare, senza che io l’abbia deliberatamente voluto, a lament sulla sorte della donna. [...] Certe donne hanno nel loro orizzonte solo miseria, fatica, maternità, un uomo, o più uomini, brutali; nessuna luce, nessun conforto. E se mancano ai loro cosidetti doveri, se rubano, se tradiscono, se diventano delinquenti, sono giudicate e punite

Lettera 4, 10 settembre 1934. Cfr. B. Lattes, Memorie di un avvocato ottimista, Treviso, Canova, 1946, p. 49; L. Montobbio, La giovinezza di Diego Valeri, in Una precisa forma. Studi e testimonianze per Diego Valeri, Padova, Editoriale Programma, 1991, p. 156.  Cfr. lettera 7, 25 settembre 1934. Un cospicuo gruppo di missive di Drigo è conservato nel Fondo Ugo Ojetti della Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.  Sui rapporti tra Pancrazi e Drigo (testimoniati anzitutto dagli articoli che il critico dedicò alla scrittrice già dal 1913, e dalle lettere di Drigo conservate nel Fondo Pancrazi dell’Archivio Contemporaneo A. Bonsanti - Gabinetto Vieusseux di Firenze) cfr. anche N. Mariano, Quarant’anni con Berenson, cit., p. 204.  




paola drigo nelle lettere a bernard berenson quasi sempre senza attenuanti. Osservate i processi per infanticidio... Di queste donne io ho grande pietà.

Sempre in una delle prime lettere inizia ad apparire il nome di un autore che dichiarerà fondamentale per lei, il «vecchio e caro» Romain Rolland di Jean Christophe, nome che torna nella lettera successiva, in cui confida che lo legge e rilegge, perché «quasi ad ogni aprir di pagina» trova in lui «una parola profondamente umana, vera, consolatrice». In un’altra si spiega più diffusamente: Mi domandate che mai trovo in Rolland; voglio dire nel Rolland di Jean Cr., ché negli altri libri egli è di gran lunga diverso, e minore. Trovo l’ingegno e il coraggio sparsi a piene mani colla prodigalità di chi ne ha tanti da poter anche sprecarne; trovo delle creature umane, – non dei fantocci o delle maschere –, trovo la vita col suo bene e col suo male, piena di dolore e di amore, degna in ogni modo di essere vissuta. E su tutto questo “la puissante bonhomie du narrateur”... Per me Jean Cristophe, pur coi suoi errori di proporzioni, di misura, ecc. ecc. è uno di quei libri – come dire? – da consultare come la Bibbia, per esempio, se un esempio e un paragone si può dare. – Certo mi piace molto, moltissimo; e di tanto in tanto, con pochi altri libri, lo riapro a caso qua e là, e lo rileggo: è uno dei pochi che hanno l’onore di seguirmi in giro per il mondo, se mi assento di casa per più di due mesi.

La predilezione per questo scrittore vivente, che aveva vinto nel 1915 il Nobel proprio per le sue posizioni pacifiste, e allora noto anche come oppositore del fascismo, durava per Drigo da tempi molto antichi. Già nel 1912, infatti, aveva pubblicato un racconto, parzialmente autobiografico, in cui la protagonista aveva nella sua libreria «i nove volumi di Rolland, del suo Rolland ch’ella adorava». Nella stessa lettera prosegue poi con parole che, se ci illuminano sul carattere schivo della scrittrice, accennano anche al nome di un’amica e di un centro culturale su cui tornerà più avanti: Con tutto ciò, caro Amico, non ho mai voluto conoscere personalmente Rolland. Avrei potuto conoscerlo facilmente perché egli va abbastanza spesso a prendere il thè da una mia amica che sta in Isvizzera e della quale io fui ripetutamente ospite. Ma no: a che serve? La mia amica mi ha detto che egli può dare colla sua presenza un’impressione di glaciale freddezza. Specialmente alle persone nuove. Ed io lo capisco benissimo.

Lettera 9, cit. Lettera 8, 6 ottobre 1934.  Lettera 9, cit.  Lettera 12, cit.  P. Drigo, Il voto alle donne, «Illustrazione italiana», XXXIX, 22, 2 giugno 1912, pp. 544-548, poi in Ead., Codino, Milano, Treves, 1918, pp. 73-104.  





1. Paola Drigo giovinetta (da «La Lettura», XXXIX, 5, maggio 1939)


2. Paola Drigo nel 1906 3. Paola Drigo nel 1908 (da «La Lettura», XXXIX, 5, maggio 1939)


4. Paola Drigo, Ca’ Soderini, Mussolente di Vicenza, dopo il 1910 (collezione privata)


5. Paolo Drigo bambino, primi del Novecento (collezione privata) 6. Paola Drigo (da Ead., Fine d’anno, a cura di P. Zambon, Lanciano, Carabba, 2005)


7. Copertina della prima edizione di Maria Zef, Milano, Treves, 1936


8. Bernard Berenson nel 1936 9. Bernard Berenson con Ugo Ojetti (Š Biblioteca Berenson, Villa I Tatti The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, courtesy of the President and Fellows of Harvard College)


10. Ca’ Soderini, Mussolente di Vicenza, cartolina illustrata inviata da Paola Drigo il 24 dicembre 1934, Biblioteca Berenson


lettere di paola drigo a bernard berenson

dono certo ch’io bestemmi. Vi ho mandato Shakespeare di M. Arn. tradotto. Spero di essere arrivata abbastanza vicina allo spirito, al pensiero del poeta. Attendo presto e con tanta gioia l’interpretazione che mi avete promesso. Quanto al venire a Firenze prima durante o dopo il Maggio fiorentino, state certo che farò il possibile per giungervi in tempo per non perdervi. Ogni raccomandazione è un di più. Ma... per l’amor del cielo, caro Amico, non aspettate con impazienza di “vedermi”! Vi è un tempo in cui “il vedere” ha grande importanza, sia per la gioia che può dare, sia perché “the body”, come voi dite, appare a chi guarda come l’annunciatore, l’interprete e il rivelatore dello spirito. Interprete non sempre fedele, assai più spesso falsamente lusingatore, ma in ogni modo, sì, di grande importanza. Vi è un altro tempo... Ma sarebbe poco allegro, e di gusto discutibile, descrivervi il secondo tempo. Probabilmente ci siamo già arrivati? Le illustrazioni sono superflue. Questo io posso promettervi, e questo domando a voi: di volervi bene da amica anche se voi vi presentaste à quatre pattes, o senza un braccio senza una gamba e senza un occhio. Potete promettermi altrettanto? Molte cose cordiali, ed una stretta di mano con viva amicizia da Paola Drigo Scusate gli sgorbi, le correzioni ecc. ecc. [Lettera, 4 ff. su 2 cc.; allegata una fotografia di Ca’ Soderini innevata, datata sul verso «febbraio 1935».]

[24] 26.2.35 Caro Amico, ho forse tardato un poco a rispondere alla cara vostra? Non per mancanza di desiderio di farlo subito, ma per evitare di visitarvi troppo spesso, e per non forzarvi, o quasi, a scrivere alla vostra volta. Non ve lo dico “fishing compliments”, ma perché è proprio questo il pensiero cui ho obbedito tacendo. Spero 

Si veda lettera 21, 21 gennaio 1935, nota 103.




lettere di paola drigo a bernard berenson

molto, che in questi giorni la salute di M.rs Berenson sia andata migliorando, o per lo meno non vi dia maggiori preoccupazioni. Prendo sinceramente parte alla vostra pena, e vorrei sapervi più tranquillo. Questi giorni, sotto la pioggia dirotta, sono passati per me piuttosto monotonamente. E perché non partite? – direte voi. Mah! Perché all’amica vostra molto spesso basta sapere di potere fare una cosa; non gliene importa altrettanto di farla. So che posso, se voglio, partire anche all’istante, e perciò lascio accumulare pigramente tempo su tempo... Per questa errata concezione, o sentimento che dir si voglia, ho rinunciato talvolta a cose molto importanti della vita. Ora io prego le mie amiche: “fatemi delle scenate perché vada via” Ma non vogliono farmele! Questa pigrizia, questo attaccarsi alle abitudini, al sapore dei cibi, al colore dell’aria, alla voce della propria cameriera e allo scodinzolamento del proprio cane, è però segno di decadenza, non vi pare? Quando non si è in decadenza, si guizza via molto più rapidi e spensierati. A proposito di cane – la monotonia di questi giorni è stata interrotta da una tragedia: la scomparsa del cane Libi. Il quale non era né di razza pura, né giovane, né bello; ma godeva di grande estimazione per le sue “qualità morali”. Fuggito una sera, forse per qualche avventura galante, non ha più fatto ritorno. E siccome in un podere contiguo al nostro mettono i lacci per la volpe – lacci di una tale barbara ingegnosità che altri cani capitatici dentro ne hanno avuto il collo atrocemente squarciato – riteniamo per certo che sia avvenuto altrettanto del nostro povero Libi. Tutte le ricerche per rintracciarlo sono riuscite finora vane, e sono già passati parecchi giorni dalla scomparsa. Dispiacere del mio figliolo cui ho scritto a Roma, dispiacere mio che del sentimento canino ho un’opinione altissima, superiore a quella che ho del sentimento umano – insomma un vero lutto famigliare. – E questa è stata la distrazione più notevole dell’ultima settimana. Caro Amico, non mi sorprende che conosciate incompletamente Leopardi. In generale l’attenzione degli stranieri – perdonate questa parola che non si addice del tutto a voi – è attirata o richiamata sugli artisti più rappresentativi del nostro popolo, della nostra razza. Così almeno io credo. Ora, Leopardi non rappresenta affatto lo spirito latino, e, di conseguenza, italiano. Potrebbe essere un finlandese un cinese, o un negro. Rappresenta solo sé stesso e il suo dolore, elevandoli per mezzo dell’altissima arte a sentimento universale, trasfigurandoli nel dolore e nel tormento dell’umanità. È insomma “l’uomo” senz’altro attributo (non importa dire italiano romano o greco); il mortale, che si dispera di essere nato, e dei suoi mali, della sua vita e della sua morte, chiede ragioni con strazianti accenti alla madre. Bellissime le prose, anche le minori, benché in esse l’insistenza del leit motif ingeneri una certa monotonia. Alcune delle poesie poi, sono quanto di più perfetto di più sconsolato e di più sincero, abbia la lirica nostra, e del mondo.

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lettere di paola drigo a bernard berenson

Ben volentieri, caro Amico, se proprio vorrete, vi dirò sul Leopardi il poco che so, o meglio il poco che penso, poiché, quanto a sapere, vi ho già detto che non so niente. Volete che vi indichi le liriche che a me piacciono di più, e le prose che mi sembrano più interessanti? Certo saprete che sta per uscire il I° Volume dell’Epistolario – o è uscito in questi giorni –; io lo farò venire e, una volta o l’altra, vorrei andare fino a Recanati. Visto sul Corriere della Sera gli articoli di Pancrazi sulle esumate poesie del Carducci? Malgrado la mia venerazione e devozione per il Carducci, vi confido sottovoce che le poesie mi sono sembrate quasi tutte brutte, quasi tutte immeritevoli di stampa. Povero Carducci, come si adirerebbe se potesse vedere come frugano tra le cose sue, col risultato di diminuirlo! I dislike, I dislike. Obbediscono a uno straccio di carta che dispone, che so io, di una sedia, di un tavolo, di un anello, e tradiscono così atrocemente la volontà dell’artista che in sua scienza e coscienza aveva creduto di dover scartare certe cose sue come inferiori. I dislike! Strano che Pancrazi abbia accettato di sovraintendere a una simile ... pubblicazione. Ma forse, anche senza di lui, l’avrebbero fatta egualmente. E allora! Meglio Pancrazi che un altro. Non ho mai conosciuto, né veduto, M. Serao, ma non mi sono ignoti i... difettucci suoi, cui accennate. Peccato. Aveva molto ingegno, e lo ha prodigato generosamente, e talvolta senza molta misura né discernimento, con verbosità meridionale. Provinciale malgrado Parigi? Lo credo senz’altro! Non è certo il frequentare le capitali, o il viverci, che guarisce dal provincialesimo. Il quale, secondo me, non dipende affatto dal dove si vive, ma dal come si è. Esiste però una tara ancor peggiore del provincialesimo in sé stesso, ed è “la paura di parere provinciali”. Ne ho esempî esilaranti tutti i giorni. Quali eleganze, quali audacie, quale disinvoltura! Caro Amico, dunque il croquis non vi ha persuaso. Eppure è proprio così. Meno male che siete magnanimamente disposto a continuare alla sventurata donna la vostra amicizia, ed ella respira di sollievo ora che sa di poter permet Il primo volume dell’Epistolario di Leopardi, curato da F. Moroncini, era uscito dal fiorentino Le Monnier nel tardo autunno 1934. Cfr. G. De Robertis, Epistolario di Giacomo Leopardi, «Pan», II, 12, 1 dicembre 1934, pp. 600-603.  Cfr. P. Pancrazi, L’Edizione nazionale del Carducci, «Corriere della Sera», 27 gennaio 1935; Poesie e frammenti inediti del Carducci, «Corriere della Sera», 7 febbraio 1935.  Berenson e Matilde Serao si erano conosciuti probabilmente a Saint Moritz, dove d’estate anche la scrittrice andava abitualmente. In BP sono conservate 3 brevi lettere di Serao, del 27 agosto 1904, del 20 e del 23 agosto 1906, tutte da Saint Moritz.  Accenna al foglio sciolto conservato nella corrispondenza (1 f. su 1 c.) dove Drigo si era disegnata come una donna grassa, con cappellino piumato, un braccio ingessato su cui era scritto «braccio rotto»; con l’altro braccio indicava una pila di libri. Il libro posto più in alto portava sulla costola: «De consolatione Philosophiae»; quello successivo «Arnold», poi sugli altri tre una scritta solo accennata. Sotto il disegno la scritta: «– oh, daigne enfin paraître!».

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tersi di essere brutta a volontà. Quanto a... “to look a lady”... farà del suo meglio, cercherà il possibile... E spera, spera assai, in un discreto risultato, benché abbia il tempo così ristretto... Ma che castigo di Dio dovevate esser voi una volta, e forse tuttora siete! Vi annuncio trionfalmente il prossimo arrivo di A Backw. Gl. – Spero sia qui stassera o domattina. Come lo leggerò volentieri, e come mi farà piacere averlo. Poi mi presterete qualche altro libro dello stesso autore, non è vero? Io vivo, letterariamente parlando, nell’ozio più vergognoso, da mesi e mesi. Bisognerà che mi scuota, che reagisca all’inerzia, non tanto per gli altri quanto per me, poiché infine il costruire qualche cosa era per me fino a ieri ragione di vita. Ma mi pare di non aver nulla da dire... Frattanto per “Fine d’anno” sto tentando con Mondadori. Mondadori è essenzialmente un commerciante, e mi faccio poche illusioni. In ogni modo, – comunque vada a finire, –...“O Critone, se così piace agli Dei, così sia fatto. Anito e Melito mi possono bensì uccidere, ma non offendere”. E con ciò vi stringo amichevolmente la mano Paola Drigo [Lettera, 4 ff. su 2 cc.]

[25] 8.3.35 Caro Amico, per Shylock passi, ma per Jehova! Dovrei cominciare questa lettura “leticando” con voi – come dicono i fiorentini – per avermi costretto colle vostre straordinarie quanto per me oscure comparazioni, a sprofondare il naso nei libri per attingere notizie. Ma oggi è giornata di sole, e ci sono tante

A Backward Glance, l’autobiografia di Wharton di cui parla diffusamente nella lettera successiva. La casa editrice fondata nel 1921 a Milano da Arnoldo Mondadori (Poggio Rusco, MN 1889 Milano 1971) si stava sempre più espandendo nel settore della narrativa italiana e straniera. Drigo nel 1930 si era già rivolta senza esito all’editore per pubblicare la raccolta La Signorina Anna (cfr. AV, lettere del 25 e del 29 novembre 1930).  È la conclusione del Manuale di Epitteto nella traduzione di Leopardi: «Ancora in terzo luogo: o Critone, se così piace agli Dei, così sia. Anito e Melito mi possono bene uccidere ma non già offendere» (Manuale di Epitteto, in G. Leopardi, Opere minori, II, Prose, cit., p. 540).  Comparazioni con riferimenti ebraici almeno per Shylock, il celebre usuraio ebreo dello shakesperiano Mercante di Venezia. 

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primule nei prati, ed un’aria così dolce viene dal Grappa, che non può essere, questa, giornata di battaglia. E così... buon per voi! Dunque, caro Amico, il libro di M.rs Wharton è qui; non ne ho ancora iniziato regolarmente la lettura, ma da quel poco che ne ho saggiato sfogliandolo, vi dico subito che mi pare interessante assai, ma interessante del pari è senz’altro l’autore come donna, – com’era, e come certo, press’a poco, sarà tuttora –: intendo nella sua persona fisica, nelle linee del suo volto e nell’espressione. Compatirete se femminilmente prima che al testo sono corsa alle illustrazioni, come i bambini. Quanto mi piace M.rs W. nel ritratto dell’84! Non precisamente bella, ma meglio e più, con quegli occhi profondi e intelligenti, la piccola testina, il corpo perfetto. E benché la moda dell’84 sia così lontana da quella d’oggi, là dal ritratto si capisce come debba essere stata anche elegante, pregio raro, a que’ tempi, per una scrittrice. Qua e là sfogliando, ho incontrato nomi di conoscenza: Browning, M.rs Bronson, Donà delle Rose, Papafava, Pasolini... Browning figlio dimorò a lungo, come saprete, ad Asolo; ed era molto amico di nostro zio Carlo, se si può chiamare amicizia l’umana comprensione con cui l’uno dei due uomini compativa le varie debolezze dell’altro. M.rs Bronson, se è la madre della M.sa Rucellai, l’ho conosciuta anch’io, già vecchia, parecchi anni fa; e quando sposai mi regalò un servizio cinese molto bello, che ho tuttora. Tanto il Browning che M.rs Bronson appartenevano alla colonia anglo-sassone di Asolo, insieme al Benson a cui già vi accennai – pittore di non so quale merito, e poeta certo non grande – ma uomo simpatico e gentilissimo da cui ebbi, fanciulla, alcune lezioni d’inglese. Mi pare che lo zio mi dicesse essere stata M.rs Bronson a portare la Duse ad Asolo. La villa di

 In A Backward Glance i nomi di Robert Browning e Arthur Bronson appaiono nel cap. VII, Henry James (pp. 169-196); gli altri sono brevemente ricordati soprattutto nel cap. IX, The secret garden (pp. 197-212).  Robert Barrett Browning, detto Pen (Firenze 1849 - Asolo, TV 1912), pittore, era il figlio di Robert Browning e Elizabeth Barrett.  Carlo Bianchetti (Asolo, TV 1835-1901), medico chirurgo, fratello di Valerio Bianchetti.  La scrittrice nordamericana Katharine De Kay (1834-1901), moglie di Arthur Bronson (1824-1885), madre di Edith Bronson (1861-1956) che nel 1895 aveva sposato il fiorentino conte Cosimo Rucellai. Il fascino e la liberalità con cui M.rs Bronson riceveva nella sua dimora veneziana sul Canal Grande furono poi celebrati da Henry James nel ricordo Casa Alvisi (raccolto in Italian Hours, London, Heinemann, 1909; trad. it. Ore italiane, a cura di A. Brilli, Milano, Garzanti, 1984, pp. 95-102). Anche la casa La Mura, che Katharine De Kay Bronson aveva acquistato nel 1888 a Asolo, divenne, come quella veneziana, punto di incontro di artisti e scrittori, tra cui Browning e Henry James.  L’attrice Eleonora Duse (Vigevano, PV 1858 - Pittsburg 1924) frequentatrice del salotto Bronson, aveva progettato di passare i suoi ultimi anni a Asolo, dove aveva acquistato una casa, e dove volle essere seppellita.

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S. Eusebio, di cui parla M.rs Wharton, disgraziatamente non appartiene più oggi ai Donà; forti rovesci di fortuna li hanno costretti a privarsi quasi di tutto ciò che possedevano, compresi gli oggetti d’arte, – ma certo lo saprete – e a ritirarsi in una piccola villa a Ponte di Brenta. – S. Eusebio, non so se l’abbia acquistata ora lo Stato, o se sia caduta in mano a qualche droghiere arricchito. Certo è difficile, a questi lumi di luna, che un privato possa assumersi l’impegno di ville così grandi e di giardini di manutenzione così costosa. C’è anche qui, nelle vicinanze, Cà Rezzonico, dalla Co. Pasolini lasciata morendo all’ospitale di Bassano: l’ospitale vorrebbe disfarsene e la darebbe, dicono, per poco assai, ma nessuno la vuol comprare, e così andrà sempre più decadendo, deserta e abbandonata. In una delle “barchesse” di Cà Rezzonico abitavano le Alexander quando venivano a villeggiare quassù. Mi dite di Croce e di sua sorella? Non conosco Croce se non per fama, e della sorella nulla so, se non che sorelle e mogli di grandi uomini, in generale, ne sono così sature, che non ne possono più. Lasciamo da parte la Signora Carducci, poveretta, che era una donnicciola, e diceva: – Avessi sposato un ciabattino, quanto sarei stata più felice! – ma la storia e la vita ci offrono infiniti esempi di consimile “saturazione”. Del resto dicono che succeda così anche ai mariti, per esempio, di donne troppo belle, e che il Conte Morosini, per citarne uno, negli ultimi suoi anni corresse dietro alle gobbe, alle zoppe, alle... Matildi Serao, per riposarsi della insopportabile bellezza della moglie. Quanto al “non completo abbandono” del filosofo verso di chi intuisce egli non condividere completamente le sue idee, non vi stupirebbe che fosse altri-

 La seicentesca Villa Barbarigo, costruita a Valsanzibio sui colli Euganei, che i conti Donà delle Rose dovettero vendere nel 1929.  La Villa di Ca’ Rezzonico – dal fastoso salone d'onore decorato da Antonio Canova e Domenico Pellegrini – di proprietà di Silvia Baroni (Bassano, VI 1852 - Cesena 1920), figlia di Marina Baroni Sprea di Semitecolo, sposata al conte Giuseppe Pasolini Zanelli (Faenza, RA 1844-1909), era stata lasciata alla sua morte alle Opere Pie di Bassano, che la vendettero nel 1937. Sulla contessa Silvia Baroni Pasolini cfr. ora A. Casalboni, Carte d’amore. La contessa di Villa Silvia: una intellettuale tra Cesena e l’Europa, Roma, Aracne, 2012.  Come dirà nella lettera successiva, aveva letto «sister» per «daughter».  Paola Drigo aveva conosciuto la moglie di Carducci, Elvira Menicucci (Firenze 1835 - Bologna 1915), incontrata a Bologna nel dicembre 1894 durante una sua visita con la madre (cfr. CC, lettera di Anna Bianchetti Loro da Padova, 7 dicembre 1894; cfr. anche la successiva da Asolo del 12 settembre 1895).  Le considerazioni di Berenson sulla difficoltà di rapporti con il quasi coetaneo Benedetto Croce (Pescasseroli, AQ 1866 - Napoli 1952) nascevano effettivamente da due diversissimi avvicinamenti alle opere d’arte. Croce aveva in passato espresso più volte giudizi negativi sulle teorie estetiche berensoniane (cfr. la raccolta di saggi La critica e la storia delle arti figurative, Bari, Laterza, 1934, in particolare la recensione del 1921 Sulla teoria di Berenson, pp. 172-176). Tuttavia i due si stimavano e si frequentavano; osservava però, a questo proposito, Eugenio Montale: «Della filosofia Berenson diceva “non fidarsi”, e questa diffidenza restò sempre alla base della sua ambivalente amicizia per Benedetto Croce» (E. Montale, Berenson privato, «Corriere della

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menti? E voi, parlereste a cuore aperto, con chi non vi segue, o vi segue a metà, o a malincuore? Io credo che ogni creatura umana abbia la sua essenza speciale, il suo modo di essere profondo, che determina intorno ad essa una speciale atmosfera – cioè credo nell’atmosfera che emana da ciascuno di noi, e lo circonda, ed influisce su chi ci avvicini. Naturalmente è influenza del tutto spirituale, e può essere anche reciproca, e non soltanto del più forte sul più debole. E credo anche che l’atmosfera che emana da voi di fronte al sistema di Croce, da cui dissentite, non sia precisamente la più calda e la più incoraggiante. Inde... l’incompleto abbandono, che deriva, o coincide, col vostro incompleto abbandono. Sono lieta che possiate pensare al viaggio di un mese. Lieta per modo di dire, e più per voi che per me, caro Amico, ché un po’ per la mia immobilità, un po’ per il vostro moto perpetuo, finiremo per non vederci! Ma come fare, se voi guizzate via ogni momento? Quello che è certo si è che io a Firenze verrò: lo scorso anno vi rimasi un mese e mezzo. Un po’ di rimorso per aver tardato, e per tardare, l’avrei, ma poi dico a me stessa: “Per tardi che io giunga là, giungerò sempre prima di quel che non giunga Berenson qui”. E con tale constatazione Lapalissiana conforto e tranquillizzo gli scrupoli della mia coscienza, e... le debolezze della mia pigrizia. Se vedeste com’è bello qui, adesso! Sulle montagne ancora la neve, e i cespugli di fior giallo già fioriti, fiammeggianti come accese torciere – e i pirus japonica, tanti diavolini rossi; e tutti i miei cari alberi che chiamano la primavera. Io giro con una grossa forbice da giardino in mano – prendo raffreddori, guarisco, e sto benone. In fondo sono una contadina. Forse avrò qualche antenato che zappava la terra. E ci sono dei giorni che proprio lo sento. E mi costa uno sforzo strapparmi di qui, per andare per le vie lastricate delle città. Ma “giorno verrà, presago il cor mel dice”... E quel giorno sarà presto! – Caro Amico, non abbiate paura per M.rs Berenson se le arriva il nipotino. Se è una così grande gioia, non le farà male. Scrivetemi presto. E credete all’amicizia sincera di Paola Drigo

Sera», 17 novembre 1963, poi in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, p. 1448). In BP sono conservate 13 lettere di Croce, dal 1925 al 1952; alla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce di Napoli 24 lettere di Berenson, dal 1926 al 1952.  Il pronipote di Mary Berenson, Roger Hultin, nato nel 1934, figlio di Olaf Hultin e della nipote di Mary, Barbara Strachey, figlia di Ray Costelloe e di Oliver Strachey. Avrebbe trascorso molta parte dell'infanzia ai Tatti.

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ISBN ---- ISBNISBN ---- ----


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