Ada Negri fili d'incantesimo, Il Poligrafo

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HUMANITAS

ADA NEGRI FILI D’INCANTESIMO

Produzione letteraria, amicizie, fortuna di una scrittrice fra Otto e Novecento a cura di Barbara Stagnitti

ILPOLIGRAFO



humanitas

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ADA NEGRI FILI D’INCANTESIMO Produzione letteraria, amicizie, fortuna di una scrittrice fra Otto e Novecento omaggio nel 70o della morte (1945-2015)

a cura di Barbara Stagnitti

ilpoligrafo


© Copyright ottobre 15 Il Poligrafo casa editrice srl  Padova piazza Eremitani - via Cassan,  tel.   - fax   e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978---860-0


INDICE

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Premessa Laura De Matté Premoli

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Introduzione Barbara Stagnitti

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Nota al testo

«io non sono che un... lirico, un puro lirico»

21 Il tuo nome Giorgio Baroni 29 «più in alto» Anna Bellio 41 Mara e il libro dell’amore perduto Maria Grazia Cossu 53 «Azzurra è la tua follia, Capri, nube del mare» Anna Maria Palombi Cataldi 61 Ancora sulla religiosità di Ada Negri Pietro Zovatto

Poesie musicate: «gioielli di melodia»

75 Suggestione idilliaca negriana nei Miraggi di Giacomo Orefice Claudio D’Antoni


«Non siete solo una grande Poetessa, cara Ada Negri, siete anche una grande prosatrice»

83 Io, lei, loro: enunciazione e ritratti femminili nella raccolta Le solitarie (1917) di Ada Negri Alison Carton-Vincent 97 Luoghi reali e spazi simbolici ne Le solitarie di Ada Negri Ilaria Crotti 109 «quella che va sola». Scrittura e destino in Ada Negri Elisabetta De Troja 123 Suoni e luoghi della prosa negriana: il rombo del treno e il tram di corso Monforte Francesca Strazzi 139 Guardare/guardarsi per conoscersi: Finestre alte di Ada Negri Vanna Zaccaro 153 Ada Negri “di giorno in giorno” Patrizia Zambon

«E ad ogni passo sulla neve l’orma / s’imporpora»

175 Echi di guerra in prosa e poesia: tessitura di parole e iconografia di alcune pagine negriane Monica Biasiolo

«Vostra / Adanegri». Testimonianze epistolari inedite

191 «Addio, cara Paola. […] Abbiate il mio augurio». Lettere di Ada Negri a Paola Masino Arianna Ceschin 203 Note sul carteggio tra Ada Negri e Giuseppe Antonio Borgese e sulla traduzione negriana di Manon Lescaut Andrea Gallo 217 Spigolature d’archivio per l’edizione di un carteggio. Dalle lettere di Ada Negri a Pietro Pancrazi Gloria Manghetti


227 «un terso diamante». Le carte di Ada Negri nel Fondo Piccoli-Addoli dell’Università Cattolica di Milano. Con appendice di testi e di lettere inedite Paolo Senna 253 «Voi lavorate, lo vedo: e sempre con alto, altissimo senso d’arte». Postille sul carteggio Ada Negri - Mario Puccini Barbara Stagnitti 269 Dal carteggio Ada Negri - Fernando Agnoletti. Con una lettera di Giovanni Papini Cristina Tagliaferri 279 «una sostanza d’umanità». Il carteggio tra Ada Negri e Diego Valeri (1908-1943) Stefano Tonon

Ricezione dell’opera negriana in terra ellenica

297 Sulla fortuna di Ada Negri in Grecia Zosi Zografidou 311

Bibliografia seletta su Ada Negri (2000-2015)

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Note sugli Autori

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Indice dei nomi



ADA NEGRI FILI D’INCANTESIMO

Basta l’ombra d’un bacio alla memoria, basta l’ombra d’un’ala alla felicità. Ada Negri, Ombre d’ali, in Ead., Il dono, Milano, Mondadori, 1936



Barbara Stagnitti INTRODUZIONE

L’11 gennaio 1945, circondata dall’affetto della figlia Bianca, del genero Tonino e dei nipoti Donata e Gianguido, si spegneva a Milano una delle più rinomate personalità femminili nella storia della letteratura italiana: «notte, compagna estrema, / senza dolore affonderò dal tuo / silenzio a quello che non ha mai fine». Così Ada Negri scrisse in un componimento di Fons amoris, quasi presagendo la serenità della propria dipartita, simile a un dolce sonno. La bontà di Dio discenderà sul mio morire. Calmo sarà il trapasso: pari a un calmo sonno. Mi sveglierò senza il mio corpo, in una strada del cielo, incoronata d’astri. E non più sofferenza e non memoria né desiderio più. Pace soltanto.

La sua preghiera per una fine pacata e senza tormento fu esaudita. Significativa, in tal senso, la testimonianza resa da Bianca Scalfi a Federico Binaghi in un documento autografo vergato dall’abitazione ambrosiana di via Cosimo del Fante 5: La Mamma ci ha lasciato in pochi minuti, mentre stava bene, senza alcuna malattia: una crisi di cuore. [...] [...] Chiamò di notte verso le 11 e ¾, con l’affanno: alle nostre prime cure parve quietarsi un poco, ma dopo neanche 20 minuti aveva chiusi gli occhi, senza accorgersene e senza soffrire [...]. [...] L’abbiamo vestita e composta [...], e non dimenticherò mai la meravigliosa espressione di pace di quel volto! Barbara Stagnitti, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.  Ada Negri, Notte, dolce notte, in Ead., Fons amoris [1939-1943], Milano, Mondadori, 1946; ora in Ead., Poesie, Milano, Mondadori, 19562, p. 888.  Ada Negri, Alla morte, in Ead., Vespertina, Milano, Mondadori, 1930; ora in Ead., Poesie, cit., p. 748.  Lettera di Bianca Scalfi a Federico Binaghi, [Milano], 12 luglio 1945 (Biblioteca Comunale Laudense, Lodi, Fondo Ada Negri); parzialmente edita in Mauro Pea, Testimonianze religiose e letterarie

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barbara stagnitti

Nel 1892 la poetessa e prosatrice lombarda – allora giovane maestra elementare a Motta Visconti – diede alle stampe la sua prima silloge di versi “fatali” che, sollecitando l’attenzione della critica e avvincendo il pubblico dei lettori, raggiunse tirature ragguardevoli. A Giosue Carducci, orgoglioso degli ottimi dati di vendita della raccolta Lirica di Annie Vivanti, Emilio Treves poté infatti rispondere, in un’epistola del 7 ottobre 1898, puntualizzando il “primato” negriano. Iniziò così, per l’autrice, una carriera costellata di successi e di riconoscimenti, tra i quali il Premio Giannina Milli, il Premio Mussolini, il Premio Firenze e, nel 1940, la nomina al consesso culturale dell’Accademia d’Italia. A Fatalità, libro d’esordio, seguirono, pubblicati presso gli editori Treves e Mondadori, volumi poetici, raccolte di novelle e prose, il romanzo autobiografico Stella mattutina. Postumi videro la luce Fons amoris e Oltre. La fama della poetessa travalicò ben presto i confini del Belpaese. Le sue opere, infatti, furono tradotte integralmente, o solo in parte, in tedesco, inglese, francese, spagnolo, olandese; e, ancora, in rumeno, bulgaro, russo, ceco, sloveno, serbo, giapponese e greco, come documenta il contributo Sulla fortuna di Ada Negri in Grecia di Zosi Zografidou. Consenso attestato dal numero di traduzioni di poesie apparse sia in repertori antologici, sia tra le pagine di alcune delle più importanti riviste elleniche del Novecento. Risale invece al 1985 la versione integrale, in lingua greca, di Stella mattutina. A partire dagli anni novanta dell’Ottocento e per tutto il XX secolo, le liriche della scrittrice vennero non solo tradotte, ma anche trasposte musicalmente da un mannello tutt’altro che esile di compositrici e librettisti. Si possono menzionare, a titolo esemplificativo: Elisabetta Oddone Sulli Rao, Maria Ponzone, Emma Bianchini, Riccardo Zandonai, Pier Adolfo Tirindelli, Francesco Paolo Tosti, Giulio Cesare Paribeni e Giacomo Orefice, pianista e direttore d’orchestra vicentino cui si deve la paternità di una composizione pianistica sui versi di Diluvio (inclusi nella raccolta Maternità, del 1904), argomento dello studio Suggestione idilliaca negriana nei Miraggi di Giacomo Orefice di Claudio D’Antoni. Né può essere taciuto il nome

dal carteggio inedito Ada Negri - Federico Binaghi, «Archivio storico lodigiano», 101, 1982, parte III, p. 154. Si cita dall’originale manoscritto.  Ada Negri, Fatalità, Milano, Treves, 1892.  Missiva di Emilio Treves a Giosue Carducci, Milano, 7 ottobre 1898, in Giosue Carducci, Annie Vivanti, Addio caro Orco. Lettere e ricordi (1889-1906), a cura di Anna Folli, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 69. La prima edizione del volume Lirica (Milano, Treves) di Annie Vivanti risale al 1890.  Ada Negri, Fatalità, cit.; Ead., Stella mattutina, Roma-Milano, Mondadori, 1921; Ead., Fons amoris [1939-1943], cit.; Ead., Oltre. Prose e novelle, Milano, Mondadori, 1946.  Si veda Angela Gorini Santoli, Invito alla lettura di Ada Negri, Milano, Mursia, 1995, pp. 183-185.  Si veda Paola Maurizi, Ettore Patrizi, Ada Negri e la musica, Perugia, Morlacchi, 2007, pp. 87-118.  Ada Negri, Diluvio, in Ead., Maternità, Milano, Treves, 1904; ora in Ead., Poesie, cit., p. 323.

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introduzione

del maestro Ottorino Respighi, «il più geniale dei nostri sinfonisti» che, come la Negri stessa ricorda in una lettera a Ettore Patrizi del 19 aprile 1936, musicò alcune sue poesie di Fatalità: Nebbie, Nevicata, Notte, «tre gioielli di melodia». Al versante lirico della produzione negriana è riservata la prima sezione del volume miscellaneo. Due saggi (Mara e il libro dell’amore perduto, di Maria Grazia Cossu, e «Azzurra è la tua follia, Capri, nube del mare», di Anna Maria Palombi Cataldi) si focalizzano sulle raccolte Il libro di Mara e I canti dell’Isola. Gli altri tre prendono in esame aspetti specifici della poetica dell’autrice: l’anonimia o nominazione negata (Il tuo nome di Giorgio Baroni); la sensibilità religiosa (Ancora sulla religiosità di Ada Negri di Pietro Zovatto); il motivo della montagna («più in alto» di Anna Bellio), di volta in volta simboleggiante la bellezza della natura incontaminata, la pace e la libertà, la fatica e il coraggio di vivere, il traguardo di un percorso vittorioso che consente alla fine di goder l’eccelsa libertà montana, sul vergin picco che si slancia ai cieli batter felice il piè.

Nel 1917 vedeva la luce la silloge di profili muliebri Le solitarie, destinata «a inaugurare la stagione novellistica» della Negri; «campo generico, codesto, nel quale l’autrice ha offerto prove significative di scrittura, sia nell’uso sapiente di specifiche tecniche diegetiche, sia nel ricorso a un ampio ventaglio tematico, tra le cui proposte e soluzioni molteplici disporre e concertare la propria ricerca narrativa». Su tale opera si incentrano i contributi Io, lei, loro: enunciazione e ritratti femminili nella raccolta Le solitarie (1917) di Ada Negri di Alison Carton-Vincent; Luoghi reali e spazi simbolici ne Le solitarie di Ada Negri di Ilaria Crotti, puntuale lettura del testo incipitario Il posto dei vecchi; «quella che va sola». Scrittura e destino in Ada Negri di Elisabetta De Troja. Il quarto articolo della sezione, intitolato Suoni e luoghi della prosa negriana: il rombo del treno e il tram di corso Monforte di Francesca Strazzi, è una rassegna inerente alla presenza di taluni mezzi di trasporto nell’arte della narratrice. Seguono i saggi Guardare/guardarsi per conoscersi: Finestre alte di

 Lettera di Ada Negri a Ettore Patrizi, Milano, 19 aprile 1936 (Biblioteca Comunale Laudense, Lodi, Fondo Ada Negri); parzialmente edita in Paola Maurizi, Ettore Patrizi, Ada Negri e la musica, cit., p. 41. Si cita dall’originale manoscritto.  Ada Negri, Il libro di Mara, Milano, Treves, 1919; Ead., I canti dell’Isola, Milano, Mondadori, 1924.  Ada Negri, Vieni ai campi..., in Ead., Fatalità, cit.; ora in Ead., Poesie, cit., p. 83.  Ada Negri, Le solitarie, Milano, Treves, 1917.  Ilaria Crotti, Luoghi reali e spazi simbolici ne Le solitarie di Ada Negri, contributo edito nella presente miscellanea, p. 97.

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ÂŤio non sono che un... lirico, un puro liricoÂť



Giorgio Baroni il tuo nome

Senza nome, la seconda lirica della prima raccolta di versi di Ada Negri, si apre così: Io non ho nome. – Io son la rozza figlia dell’umida stamberga; plebe triste e dannata è mia famiglia, ma un’indomita fiamma in me s’alberga.

La collocazione liminale è importante, dato che tutta questa poesia è una sorta di presentazione; in un’epoca monarchica, in cui il casato contava anche legalmente (ma si sa quanto anche oggi e sempre conti un po’ per tutto ora un bel nome, ora un buon nome o un nome affermato), la Negri non teme di farsi avanti per quello che è, «senza conforti e senza gioie», «provocando il destin», armata del proprio «canto ardito e strano». Nelle liriche successive, accostandosi a un Birichino di strada, di sé dirà: «anch’io son fior di spina»; e, ancora riandando alle proprie origini: «Io nacqui in un tugurio. / Io sbocciai da la melma». L’importanza del nome non è così negata, ma è quasi un vanto per la Negri potersi mostrare una self-made woman che, nell’affermarsi, non ha dimenticato e tanto meno rinnegato la propria estrazione. Il saluto fraterno, poesia che chiude la silloge Maternità, ripropone tale sentirsi sconosciuta, pure in questo unita a un ignoto che riconosce a prima viGiorgio Baroni, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.  Ada Negri, Senza nome (da Fatalità), in Ead., Poesie, Milano, Mondadori, 19562, p. 4. Tutte le citazioni di versi sono tratte da questa edizione. Tra parentesi tonde, d’ora in poi, il riferimento alle singole opere negriane Fatalità (Milano, Treves, 1892), Maternità (Milano, Treves, 1904), Dal profondo (Milano, Treves, 1910), Esilio (Milano, Treves, 1914), Vespertina (Milano, Mondadori, 1930), Il dono (Milano, Mondadori, 1936).  Ada Negri, Senza nome, cit., pp. 4-5.  Ivi, p. 4.  Ada Negri, Birichino di strada (da Fatalità), in Ead., Poesie, cit., p. 10.  Ada Negri, Fin ch’io viva e più in là (da Fatalità), in Ead., Poesie, cit., p. 20.

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giorgio baroni

sta «fratello» per esser «nato, come me, da grembo / dolente; o fatto de la stessa carne; / o preda de le stesse adunche e scarne / unghie de l’Ombra». Analogamente si rapporta l’io poetante, nelle vesti di «Fata Dolcezza», con una povera derelitta morente, anch’essa estranea, ma accomunata dalla dura sorte, sintetizzata nella croce («O sconosciuta, in questa ora suprema / abbandónati a me con la tua croce!»); e quello che conta, ancora una volta, non è il nome, ma la cristiana fraternità: e in pace arridi alla tua morte bella, tu fra le braccia mie, tu consolata dalla mia passione, o innominata che nel nome di Dio mi sei sorella.

Non diversa pietà anima L’ignota, lirica dedicata a una «sconosciuta» che «L’uomo del camposanto [...] / distesa [...] trovò sull’erba diaccia, / squallida salma senza sepoltura», decapitata e mutila, dopo una vita di squallido meretricio, in confronto al quale perfino l’assassinio è presentato come la risposta a una muta preghiera di morte; l’anonimato stesso, determinato dalle circostanze della dipartita, è proprio ormai della nuova dimensione: Senza nome sarai come gli steli nati domani dal tuo morto cuore e puri sotto il puro arco dei cieli.

La rilevanza del nome risalta nella silloge Maternità in un altro caso di nominazione negata: in Eliana c’è la storia di una donna egoista e superba che, per sodisfazioni mondane, uccide il bimbo che ha in grembo: il suo «delitto» è definito in un verso come «l’atto che non ha nome», «decretato», come si dice di qualcosa di burocratico che non coinvolge la sfera affettiva. Chi resta senza nome in questi casi è proprio l’«umano / germe che il mondo ignora», «pura alba, che diritto / avevi a la tua sera!...»; negare al feto il battesimo è un modo per negargli l’umanità, secondo uno schema non raro per giustificare l’omicidio. Storicamente si sono spesso presentati i nemici come mostri subumani, alieni, infedeli, su basi razziali, religiose, di civiltà. Come il bimbo senza nome vien

 Ada Negri, Il saluto fraterno (da Maternità), in Ead., Poesie, cit., p. 350: «Salve, fratello. / Tu non mi conosci, / non so il tuo nome: non ti vidi mai / prima d’ora».  Ibid.  Ada Negri, La pietà (da Dal profondo), in Ead., Poesie, cit., p. 361.  Ivi, p. 362.  Ada Negri, L’ignota (da Dal profondo), in Ead., Poesie, cit., p. 417.  Ivi, p. 418.  Ada Negri, Eliana (da Maternità), in Ead., Poesie, cit., p. 253.

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il tuo nome

soppresso con un delitto senza nome, così si consuma la condanna della madre, svuotata da «un sordo male / misterioso». Di segno opposto, nella stessa raccolta, una delle molte esaltazioni della maternità riscontrabili nella poesia della Negri; un bambino agonizzante all’ospedale invoca quel nome da cui ognuno si attende soltanto aiuto e salvezza: Le manine contratte sul lenzuolo annaspano, e la bocca un nome, un solo nome sospira: «O mamma...» ne l’affanno del rantolo.

Per la suora, che sola l’assiste, altro non resta che la pia menzogna e l’assunzione del ruolo invocato, così da rasserenare il bimbo morente «ne l’ultimo sorriso», strappato attribuendosi il nome di madre: Ecco la mamma: ecco, è venuta: taci: senti le mie carezze ed i miei baci?...

Ancora una madre «senza nome» è il personaggio centrale di una storia in versi, La Madonna del Soccorso: protagonista è una delle molte madri «senza nido», senza lavoro, senza mezzi, raminga «col suo piccino in braccio»; alla sua richiesta di aiuto a Dio, quasi una risposta: ... Una porta s’aperse. – Erma, corrosa: e sulla soglia molte facce emunte che fame febbre tedio avean consunte disser cogli occhi: «O madre dolorosa, sieno le nostre povertà congiunte!... Noi siamo i radiati dalle file degli uomini. Al lavoro invan le braccia offrimmo. Civiltà che ne discaccia dall’opre, questo asil d’inerzia vile ne schiude. Vieni, o disperata in traccia di rifugio!...».

Questo muto soccorso tra miseri – ma il parlarsi con gli occhi ha illustri precedenti letterari, persino nel Paradiso dantesco – è il grande riscontro della      

Ivi, pp. 253-254. Ada Negri, «Mater inviolata» (da Maternità), in Ead., Poesie, cit., p. 265. Ibid. Ada Negri, La Madonna del Soccorso (da Dal profondo), in Ead., Poesie, cit., p. 440. Ivi, p. 439. Ivi, p. 440.

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giorgio baroni

cristiana solidarietà: dalla disoccupazione e dalla disperazione nascono l’accoglienza e la condivisione, «fra le lagrime, un sorriso... / riso lucente», e poi il canto che infonde coraggio per vincere le asperità della vita, finché la «trepida, senza nido e senza nome» «si nomò / per essi e pei lor figli, ora e nel corso / dei secoli, Madonna del Soccorso», passando dalla miseria dell’anonimato alla nominazione gloriosa e santa. Questa lirica appartiene alla raccolta Dal profondo, comprendente una poesia con lo stesso titolo che allude alla gioia creativa di cui dice nell’ultima strofe: E il sol su noi, dentro di noi, magnifico dator di grazia, che pei puri sfolgori: e se gioia ne investa dal profondo, piccolo sia pel mio peana il mondo.

L’attesa di questa grazia scaturisce da un recupero nostalgico della dimensione operaia: riandando in un mondo già suo, la Negri si spoglia di tutto, della fama e della posizione acquisite, per ritrovare l’«ardor» della sua prima selvatichezza. Perde quindi il nome per riscoprirne uno che non chiede d’essere pronunciato: Né mi chiedete il nome mio: sui ciottoli della strada mi cadde, ed a raccoglierlo io non mi volsi; il nome io l’ho nel viso, e nell’ardor del mio selvaggio riso.

Un altro non dissimile caso di cancellazione del nome si ha nel componimento La sera straniera, della raccolta Esilio, dove l’occasione per scordare il proprio nome è offerta da un soggiorno all’estero e dalla conseguente voglia di leggerezza. Libertà s’intitola la poesia che nella stessa silloge contesta il nome, rifiutato perché «è il doppio nodo, al collo, della corda / che un dì ti strozzerà, né saprai come». Nell’accompagnarsi a un vagabondo, cui pure non dice il suo nome, considerato burocratica annotazione da lasciare nei «registri dello stato / civile, in un grigio angolo del mondo», accetta il rischio della persecuzione

Ivi, pp. 440-441. Ada Negri, Dal profondo (da Dal profondo), in Ead., Poesie, cit., p. 453.  Ibid.  Ada Negri, La sera straniera (da Esilio), in Ead., Poesie, cit., p. 494.  Il tema è ripreso nella lirica Partire (da Il dono), in Ada Negri, Poesie, cit., p. 843: la poetessa discute con le proprie inquietudini interiori che la spingono ad andare per il mondo, magari per raggiungere ignote spiagge remote, tutte «d’oro e d’azzurro», tali che «chi vi giunge scorda il proprio nome».  Ada Negri, Libertà (da Esilio), in Ead., Poesie, cit., p. 508. 

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sociale, dell’arresto per vagabondaggio, cercando di evitare almeno in carcere di doversi registrare: Lì ben dovranno imprimere le scarne dita il suggel di riconoscimento, il nome: tatuaggio che l’armento umano porta sulla viva carne... Ma noi – tendi l’orecchio, a bassa voce parlo, che non ci ascoltino i roveti – ma noi ci fingeremo analfabeti, fratello!... E traccerem, nuda, una croce.

Questo «nome», evidenziato con il corsivo, appare strumento di un potere che, ognuno registrando, tutti controlla e domina, mentre l’autrice sogna di liberarsi da strutture e apparati che condizionano la vita, per raggiungere «il Dio che agogn<a>». Così nella lirica La suora immagina di trovarsi malata a morte in un letto d’ospedale e per questo auspica d’aver soltanto vicino «bianca in azzurra tonaca, una suora»: Alla sua carità basti l’orrore della misera carne che inabissa entro il mistero, senza nome, scissa dall’anima, e vestita di dolore.

Quando nei versi de I sopravvissuti è rappresentata la distruzione quasi completa del mondo, dopo la quale d’uomini solo «un manipolo restò», «ultimi d’una stirpe di titani, / progenitori di più eccelsi eroi», a ognuno di costoro, richiamato per quel che era nel mondo di prima, vien rivolta la domanda: «rammenti / tu il tuo nome?». E una sorta di risposta collettiva è questa:

Ivi, pp. 508-509. Ivi, p. 509.  Ada Negri, La suora (da Esilio), in Ead., Poesie, cit., p. 512. La poetessa qui si augura una fine simile a quella del proprio padre, come da lei descritta nella lirica A l’Ospedale Maggiore della raccolta Tempeste (Milano, Treves, 1895); ora in Ead., Poesie, cit., pp. 141-143: «Corsia di San Giuseppe, a destra, in fondo, / numero venti. – Il letto è vuoto, adesso. / Or son tant’anni, sul guanciale istesso, / mio padre moribondo / giacque e spirò. – Gracile bimba in culla / ero; e di lui, di lui che m’adorava, / che, per me lacrimando, agonizzava, / nulla ricordo – nulla. – / [...] tu qui spirasti, desolato, solo: / su te una suora arrovesciò il lenzuolo / e disse una preghiera». Dalla tragedia del padre nella stessa composizione scaturisce un’invocazione forte formulata nel suo nome: «Qui, dal tragico orror dell’ospedale, / nel nome vostro un voto al mondo io grido: / quanti ha figli la terra abbiano un nido / pieno di canti e d’ale» (p. 143).  Ada Negri, La suora, cit., p. 512.  Ada Negri, I sopravvissuti (da Esilio), in Ead., Poesie, cit., pp. 573-574. 

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Ilaria Crotti LUOGHI REALI E SPAZI SIMBOLICI NE LE SOLITARIE DI ADA NEGRI

Le solitarie, la silloge che apparve per i tipi della casa editrice milanese Treves nel 1917, si compone dei racconti destinati a inaugurare la stagione novellistica di Ada Negri; campo generico, codesto, nel quale l’autrice ha offerto prove significative di scrittura, sia nell’uso sapiente di specifiche tecniche diegetiche, sia nel ricorso a un ampio ventaglio tematico, tra le cui proposte e soluzioni molteplici disporre e concertare la propria ricerca narrativa. La produzione novellistica delle letterate, già a partire dal secondo Ottocento, come ha saputo dimostrare l’attenta analisi di Patrizia Zambon, si è rivelata un ambito di singolare perspicuità e di estremo interesse al fine di ottenere un quadro compiuto e, nel contempo, non monocorde, sia formalmente che dal punto di vista tematico, delle molte sembianze che la scrittura delle donne ha assunto. Le potenzialità suggerite dalla forma breve, infatti, misura che poteva trovare agevole accoglienza tra i fogli della stampa periodica, assecondando la creazione di un pubblico di lettrici disposto a recepirne con prontezza i messaggi, favoriva modalità lettoriali “snelle”, confacenti ai ruoli privati, familiari e sociali attribuiti alle donne, mentre poneva a loro dispoIlaria Crotti, Università Ca’ Foscari, Venezia.  Mi attengo alla edizione milanese Treves del 1920 [d’ora in poi SOL], giunta in quell’anno al decimo migliaio, riprova del successo editoriale che arrise al volume.  Consistente è la mole dell’opera lirica apparsa anteriormente a detta data, vale a dire le ben cinque raccolte Fatalità (1892), Tempeste (1895), Maternità (1904), Dal profondo (1910) ed Esilio (1914), edite presso la prestigiosa Treves di Milano.  Si veda il volume Novelle d’autrice tra Otto e Novecento, a cura di Patrizia Zambon (Roma, Bulzoni, 1998), in cui alla sezione critica e bibliografica introduttiva fa seguito una scelta antologica molto rappresentativa, dove figurano prove di Maria Antonietta Torriani, Matilde Serao, Eva Cattermole, Vittoria Aganoor, Maria Majocchi, Anna Zuccari, Clarice Gouzy, Grazia Deledda, Ada Negri, Maria Messina, Amalia Guglielminetti, Eugenia Codronchi Argeli, Carola Prosperi, Annie Vivanti e Teresa Ubertis. Di Ada Negri è riproposta in particolare L’appuntamento, terzultima novella de Le solitarie.  Per un’analisi socio-storica dei fattori, dettati dal modello educativo imperante, che contribuirono a condizionare le scelte delle donne lungo il corso del XIX secolo, si veda L’educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento, a cura di Simonetta Soldani, Milano, FrancoAngeli, 1989.

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ilaria crotti

sizione un nutrito patrimonio di personaggi e di eventi, tra le cui alternanze riconoscersi e, soprattutto, rivelarsi. Il genere novella, insomma, prefigura una sorta di laboratorio, fertile in accezione sia contenutistica che stilistica, nel cui dominio giungono a confrontarsi e a epifanizzarsi a vicenda per un verso le istanze afferenti all’autrice, per un altro quelle che riconducono tout court alla lettrice. Esso rappresenta, pertanto, uno spazio di condivisione che investe sia il versante creativo che quello ricettivo. C’è da notare che, nel multiforme settore della novellistica esperito dalle letterate, la gamma praticata da Negri spicca per prerogative e peculiarità che qualificano le sue scelte nel segno dell’eccellenza. Mi riferisco in particolare a un’opzione che nella lodigiana perviene a una compiutezza programmatica di rara intensità proprio privilegiando i moduli del ritratto. La scrittrice, infatti, ricorre alle risorse non solo strutturali ma anche descrittive e introspettive offerte dalla ritrattistica per perseguire un obiettivo duplice. Animato da un intento più isolazionistico, il primo di detti obiettivi privilegia “fotografare” la sagoma di una figura femminile specifica, come ritagliandone il contorno, per dedicare a essa una singola novella, così da destinarla a cogliere le sue peculiari fattezze, le esteriori come le interiori. Ecco che si istituisce una sovrapposizione emblematica tra i parametri suggeriti dal ritratto e i tracciati del discorso narrativo. Il secondo “effetto”, d’altro canto, è volto a formulare silhouettes le quali, una volta accostate le une alle altre grazie a un percorso giustapposto, dove ciascuna novella-ritratto va a inserirsi in una sequenza dai toni mutevoli, risultano tra loro dialoganti nella discriminante della disparità. Tanto è vero che codesto loro dialogare si avvale di strategie fondate sull’alternanza sapiente di profili che riconducono a condizioni sociali, a realtà individuali e a contesti affettivi dissonanti, non di rado incompatibili tra loro. Accostarne le molte “vite” come le “relazioni pericolose” che sottendono, in altri termini, comporta che il registro delle affinità, per un verso, e quello delle dissomiglianze, per un altro, concorrano a dare vita a un palinsesto composito in cui, tuttavia, alcuni fili conduttori supportano “affinità elettive” dalla portata epifanica. Appunto per interpretare più compiutamente in una veste bifronte la polifonia che pervade detto palinsesto ritrattistico, nel corpus delle diciotto che costituiscono Le solitarie, avrei privilegiato la lettura di una singola novella,

 Per una disamina diacronica del ritratto letterario in accezione comparatistica rimando a: Il volto. Ritratti di parole, Atti del Convegno (Parma, 27-28 novembre 2000), a cura di Rinaldo Rinaldi, Milano, Unicopli, 2002; “Il Ritratto”, Atti del Seminario di Studi sul tema del progetto di ricerca 2006 (Bari, 11 giugno 2007), a cura di Ruggiero Stefanelli, Pasquale Guaragnella, Maria Stomeo, Roma, Aracne, 2008. La funzione della ritrattistica, intesa come schermo analitico della soggettività del personaggio, è stata sondata in Stefano Ferrari, La psicologia del ritratto nell’arte e nella letteratura, Roma-Bari, Laterza, 1998.

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Il posto dei vecchi, ovvero il pezzo che apre la sequenza narrativa e, quindi, anche la policroma galleria dei suoi profili femminili. Con l’avvertenza che la raccolta contempla altre prove atte a far interagire in termini eccellenti la dimensione spazio-luogo con le virtualità messe a disposizione dalla ritrattistica; alludo, ad esempio, a Nella nebbia, la novella immediatamente seguente alla citata, o, ancora, a Una volontaria, la quartultima della serie, destinata a concludersi con Il denaro, un testo ampio e, per certi versi, programmatico, sul quale mi sono già soffermata altrove, date anche le sue attinenze con l’unico romanzo della scrittrice: Stella mattutina. Mi limito, pertanto, ad accennare al fatto che, mentre Nella nebbia e Una volontaria privilegiano, delle rispettive protagoniste, Raimonda e donna Marcella, la prima lo spazio-tempo di una giornata, mentre la seconda solo alcuni fotogrammi, selezionando così un punto di vista determinato da un’eloquente frammentarietà, Il posto dei vecchi assume quale tracciato narrativo un’ampia porzione dell’esistenza del personaggio. In codesta novella, infatti, le coordinate spazio-temporali che segnano il destino di una figura femminile risultano molto segnate, a partire dalla giovinezza, attraversando la maturità, per pervenire a una senilità protrattasi a lungo, fino alla morte, vissuta come un aldilà salvifico da cui affacciarsi, ormai pacificati, a guardare il faticoso tragitto pregresso con uno sguardo disincantato. Feliciana, il nome della protagonista; un nome che, come non di rado in quelli accordati ai propri personaggi femminili da Negri, esprime per contrappasso il suo destino di donna “usurata”, sfruttata sia nella sfera lavorativa che in ambito familiare e privato.

 A proposito si veda Ilaria Crotti, Lettura della novella Il denaro di Ada Negri, in Un tremore di foglie. Scritti e studi in ricordo di Anna Panicali, a cura di Andrea Csillaghy, Antonella Riem Natale, Milena Romero Allué, Roberta De Giorgi, Andrea Del Ben, Lisa Gasparotto, Udine, Forum, 2011, I, pp. 159-167.  Ada Negri, Stella mattutina, Roma-Milano, Mondadori, 1921.  Per un prospetto delle diverse problematiche chiamate in causa nel rapporto ricorrente tra la condizione delle letterate e la loro scrittura, in particolare ove interpretato alla luce della discriminante spazio-temporale, sono da tenere presenti nel loro complesso i contributi editi in Lo spazio della scrittura. Letterature comparate al femminile, a cura di Tiziana Agostini, Adriana Chemello, Ilaria Crotti, Luisa Ricaldone, Ricciarda Ricorda, Padova, Il Poligrafo, 2004.  Merita un accenno, ad esempio, la protagonista della novella La promessa, la quale trascorre la propria esistenza lavorativa tra gli stracci maleodoranti e infetti di una tintoria in attesa dell’amato, Marco, e del futuro che costui, lasciata la fidanzata per emigrare oltreoceano in cerca di miglior fortuna, le avrebbe ipotizzato. Infatti il nome attribuitole, Fresia, quello di un fiore dal delicato profumo, rimanderebbe a tutt’altro, mentre l’esistenza “sospesa” della giovane donna, destinata ad attendere inerte l’amato, accerchiata da un paesaggio segnato pesantemente dal degrado ambientale, viene soffocata da miasmi inquinanti: «Cenci luridi, sbrendoli filamentosi d’ogni colore traboccavan dagli orli e dalle sbrecciature dei sacchi. Asfissiante odor di polvere emanava da essi; acre odor d’acidi veniva dalla tintoria» (SOL, p. 51).

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La prima scena la mette a fuoco in uno spazio ospedaliero, già “in-felice”, sebbene determinata, mentre prende atto, indurita dagli stenti quotidiani e da un’esperienza coniugale desolante e squallida, che suo marito, il numero cinquantanove della corsia di San Giuseppe, proprio quel Gigi Fracchia, detto Rossini, «popolare nelle taverne di porta Ticinese per la sua splendida voce tenorile e per la burlesca e parolaia prodigalità, colla quale gettava nel fondo paonazzo dei bicchieri i suoi guadagni di vetturino pubblico e quelli di sua moglie, cucitrice di bianco» (SOL, p. 4), ormai ridotto in fin di vita per etilismo, era spirato, lasciandola finalmente libera di farsi carico, da sola ma in piena autonomia, del sostentamento della piccola famiglia, con due figlioli ancora in tenera età da crescere: Suo marito era morto in tempo. Per due bimbi piccoli, è ben più provvida una madre vedova, ma attiva e sana, che non lo siano cento padri beoni. E basta, di uomini, nella sua vita. Quell’uno, in sette anni di malinconica esperienza coniugale, gliene aveva lasciata la nausea. Avrebbe tirato il carro da sola, fino a quando le fossero bastate le forze; e allora i ragazzi, cresciuti ed a posto, avrebbero pensato a lei. (SOL, p. 4)

Il “posto” lavorativo di Feliciana, già occupata come «cucitrice di bianco» tra le mura della propria casa, entro le quali l’impegno richiesto dalla cura del piccolo nucleo familiare doveva anche conciliarsi con lo sfruttamento domestico che quel lavoro “ai domiciliari” disciplinava, si trasforma divenendo anche extradomestico. È l’officina detto luogo ulteriore, dove, entrata grazie alla influente raccomandazione del cavaliere Agliardi, il proprietario di un lanificio «al quale da anni ed anni portava camicie e colletti per conto di un elegante magazzino» (SOL, pp. 4-5), solo dopo alcuni mesi ella viene promossa al ruolo di assistente di una squadra di tessitrici, riuscendo a ottenere una lira e settantacinque centesimi di guadagno al giorno, come ci si perita di puntualizzare. Anche perché, fornendo un dato preciso, e certo non privo di senso per avere contezza della “bontà” dell’imprenditore Agliardi («Già. Una lira e settantacinque centesimi al giorno. Poiché il cavaliere Agliardi era buono», SOL, p. 6), vale a dire dello sfruttamento sistematico cui andò soggetto il lavoro femminile negli ultimi decenni del XIX secolo, «verso il milleottocentosettanta, le paghe

 La vicenda sia biografica che lavorativa del personaggio Feliciana presenta non pochi né ininfluenti tratti in comune con quella della madre “reale” della scrittrice, vale a dire l’operaia Vittoria Cornalba, la quale rimase presto vedova del padre di Ada, Giuseppe Negri, perito presso l’Ospedale Maggiore di Milano nel 1871. Per un profilo bio-bibliografico della lodigiana si veda Angela Gorini Santoli, La vita, in Ead., Invito alla lettura di Ada Negri, Milano, Mursia, 1995, pp. 23-51; trascritto invece narrativamente quello dovuto a Elisabetta Rasy, Soltanto una voce, in Ead., Ritratti di signora, Milano, Rizzoli, 1995, pp. 105-177.

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femminili non salivano più in là. [...] In quei tempi non si parlava ancora di cooperative operaie, di sindacati e di scioperi» (SOL, p. 6). Assunte le fattezze quasi metalliche di un macchinario («Maschera di resistenza: piccolo organismo d’acciaio, nel quale ogni molla era al proprio posto, ogni rotella funzionava a tempo, come nelle macchine di fattura perfetta», SOL, p. 5), ella diventa non solo abilissima ma anche determinata per tenere testa da sola al carico derivante dal sostentamento dei due figli, potendo fare affidamento su un’unica fonte di reddito. Francesco e Leonardo, infatti, stavano ormai crescendo, l’uno già avviato al lavoro di meccanico, mentre l’altro, grazie a un sussidio governativo, era riuscito a entrare come studente meritevole nelle scuole normali. Ecco che la “macchina” Feliciana, disumanizzata a causa dei martellanti ritmi lavorativi quotidiani imposti dalla fabbrica, sembra destinata a perdere progressivamente gli attributi, sia corporei che psicologici, propri di una donna: Era come se andasse e venisse con le spolette d’acciaio: come se accordasse le pulsazioni del cuore e dei polsi a quelle dei licci, dei brancali, delle leve, di quei piccoli e silenziosi bracci di macchina che sembrano moncherini dal gesto tragicamente preciso. Non poteva più immaginare la propria vita senza rotear di cinghioni sul capo, polvere di lana e odor d’olio rancido in gola, e l’amicizia rumorosa e cordiale dei compagni di fabbrica. (SOL, p. 7)

In età critica, verso il declinare dei suoi quarant’anni, proprio quella fibra «d’acciaio», che aveva provveduto a rimuovere sistematicamente la sfera del desiderio, si sorprende scoprendo in sé, ma con un ritardo ormai non più sanabile, una dimensione corporea tanto travolgente da indurla quasi a delirare. Sono pulsioni, tuttavia, destinate a restare inespresse: Cosa che non le era mai accaduta prima, e che l’opprimeva di vergogna, non poteva fissar gli occhi sulle larghe spalle o sulle massicce collottole de’ suoi compagni, senza sentirsene la carne turbata da brividi. Mani invisibili, ma delle quali aveva profonda la sensazione, le scorrevano lungo il corpo, gonfiato e appesantito da un misterioso travaglio interiore. (SOL, p. 8)

Quei suoi occhi furtivi che non osano accettare le proprie fantasie erotiche, misurandosi “frontalmente” con la loro potenza, mentre indugiano a spiare di nascosto alcune porzioni dei corpi dei compagni posti di spalle, dicono di pulsioni sessuali che lei, proprio in quanto donna, non avrebbe neppure il diritto di esternare. Appunto quello sguardo, sfuggito al controllo della censura, non

 Una nutrita campionatura dei lavori e dei mestieri delle donne nella modernità è stata oggetto d’analisi in Donne al lavoro: ieri, oggi, domani, a cura di Saveria Chemotti, Padova, Il Poligrafo, 2009.

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ISBN ----


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