a cura di Martina Carraro e Riccardo Domenichini
ARCHITETTURA, PAESAGGIO, FOTOGRAFIA Studi sull’archivio di Edoardo Gellner
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Architettura, paesaggio, fotografia Studi sull’archivio di Edoardo Gellner
a cura di Martina Carraro e Riccardo Domenichini
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Comitato scientifico per le iniziative editoriali dell’Università Iuav di Venezia Guido Zucconi (presidente), Andrea Benedetti, Renato Bocchi Serena Maffioletti, Raimonda Riccini, Davide Rocchesso, Luciano Vettoretto I volumi della collana Iuav - Il Poligrafo sono finanziati o cofinanziati dall’Ateneo I volumi della collana sono soggetti a peer review
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indice
7 Quella singolare attenzione Serena Maffioletti
11 Nota dei curatori
15 Gellner per un’operante idea di paesaggio Valeriano Pastor 45 Fiume e Abbazia all’inizio del Novecento e la prima attività di Edoardo Gellner Marko Frankovic´ 59 L’invenzione della tradizione. Il regionalismo ben temperato di Edoardo Gellner Luigi Pavan 87 A Cortina d’Ampezzo Martina Carraro 121 «Se vuoi la montagna, va’ dal Touring»: Gellner e Zevi Roberto Dulio 135 Paesaggio: uomo e natura. Gellner all’Elba Michela Maguolo 159 Piani regolatori per la montagna, tra sviluppo turistico e difesa dell’ambiente Alessandra Marin 177 Dalla Scandinavia alla Sicilia: la nuova città di Gela tra modelli internazionali e quartieri INA-Casa Chiara Baglione 199 Per costruire un archivio della conoscenza: Gellner e la fotografia Riccardo Domenichini
221 L’occhio fotografico di Edoardo Gellner
239 Note biografiche degli Autori
243 Indice dei nomi di persona
quella singolare attenzione Serena Maffioletti*
* Responsabile scientifico dell’Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia. 1 E. Gellner, Lettera, febbraio 1944, riferita al progetto per un museo archeologico studiato per Aquileia, esercitazione del corso di Giuseppe Samonà, aa. 1944-1945, in Gellner 1.Formazione/23.
In molti luoghi Gellner avrebbe potuto depositare il suo ambito archivio: ma, nato Eduard come suddito dell’impero austroungarico ad Abbazia nel 1909 da padre ungherese e divenuto Edoardo come cittadino italiano, figlio del mare istriano e poi architetto dei monti ampezzani, dalla storia sradicato ma dalla sua volontà radicato nelle molte culture che attraversa nella sua lunga vita, Gellner decide di lasciare le testimonianze della sua ponderosa opera allo Iuav, che lo laurea, ormai adulto e già professionista, nel 1946. L’archivio che Gellner dona nel 1998 è un documento di quella Scuola e del percorso universitario che egli compie sotto la guida di Scarpa, Trincanato, Cirilli, Torres, Wenter Marini, Minelli e Samonà... In quell’eterogenea tensione, che segna il Regio Istituto dove Gellner s’iscrive nel 1941, appare con evidenza come egli sia non solo un progettista, ma già un profondo, puntuale indagatore, un sistematico, accurato studioso di architettura – quelle che i corsi universitari propongono e quelle che Venezia gli offre. Dai copiosissimi disegni e dalle diverse tecniche usate negli anni universitari, così come nei precedenti anni istriani (dai titoli Abendstimmung, Gedächtnis...) e viennesi (Wienerwald...), emerge come la sua via verso il progetto si svolga lungo uno stratificato percorso analitico e interpretativo dentro l’architettura, colta attraverso gli aspetti figurativi e tecnici nelle sue relazioni con l’uomo e con il luogo, spazio, luce, natura... riconoscendo come essenziale e fondativa la condizione paesaggistica di ogni dato costruttivo. In una lettera, probabilmente indirizzata alla moglie e riferita al progetto per un museo archeologico che va elaborando nel corso di Giuseppe Samonà, Gellner mostra i temi che l’accompagneranno: l’assenza di monumentalità e la sintonia con lo spazio aperto, con il paesaggio, del quale ricerca la misura, radicata nell’individualità della costruzione insediativa e architettonica. «Entrato – così Gellner descrive il museo – ti trovi in un grande atrio a pianta a ventaglio, chiuso da una grande vetrata oltre la quale lo sguardo spazia sulla zona degli scavi. Il museo vero e proprio è suddiviso in una serie di singoli padiglioni, sparsi fra il verde e collegati da una lunga galleria lapidaria. D’estate attenui la visita di ogni padiglione con una lieve passeggiata fra il verde, che ti procura il sufficiente riposo per guardare con nuovo interesse altre collezioni di piccoli oggetti. D’inverno si gode il verde oltre le vetrate. Nessuna costruzione monumentale che possa togliere la grandiosità agli avanzi delle costruzioni romane. I padiglioni (di bugnato rustico) si perdono fra il verde [...]»1. Forse non così casualmente, dall’Istria e da Venezia, ma soprattutto dalla mitteleuropa in cui la sua cultura si radica, Gellner giunge e si stabilisce a Cortina, in
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Informazioni ricevute da Roberto Sordina, frutto delle conversazioni con Edoardo Gellner in occasione della cessione del fondo Gellner all’Università Iuav di Venezia, 1998. 3 B. Zevi, Vernacoli a Cortina. Soppiantare il rustico ampezzano, in Id., Cronache di architettura, Bari 1971, vol. 2, pp. 207, 210.
quell’arco alpino senza frontiere culturali, da dove intreccia continui rapporti con l’ambiente veneziano, italiano e internazionale. In modo singolare per un architetto italiano (che forse italiano non è), Gellner sceglie così di agire entro l’emergente grande opportunità professionale, ma anche di conservare una distanza come salvaguardia del proprio percorso, di quella singolare e libera ricerca rivolta all’innovazione della tradizione, restando strettamente connesso a un mondo più vasto: dal libraio viennese riceve quelle novità che sovente anticipa ai colleghi italiani e che regolarmente aggiornano la biblioteca della casa-studio di Ca’ del Cembro, raffinato teatro del mestiere come quotidiano esperimento artigianale, passione assoluta, continuità dell’uomo con lo spazio, dell’edificio con il paesaggio: dal tetto, che si compie in un pino cimbro, l’abitazione scende attraverso un mosso raumplan negli ambienti di lavoro, nella biblioteca – preziosa, ricca e rara –, nel laboratorio dei plastici e nell’archivio. Della compostezza austroungarica Gellner si libera nel garage, dove è parcheggiata l’automobile sportiva con la quale sistematicamente percorre le valli per studiare, disegnare, fotografare con l’Hasselblad ogni sfaccettatura e ogni luce del paesaggio alpino, di cui documenta tutta la complessa sedimentazione strutturale per coglierne la ricchezza della costruzione culturale. E se il puntualissimo Gellner descrive minuziosamente in un “diario professionale giornaliero” ogni evento della sua attività, il vitalissimo Gellner scandisce l’organizzazione dello studio in ordine alle stagioni, interrompendone quotidianamente il lavoro per consentire a tutti e a se stesso un paio d’ore di sci, nel sole invernale di mezzogiorno2. «Vi era un’eredità da contestare: l’architettura rustica, montana, pseudo-primitiva, fatta di villette simmetriche con tetti spioventi»3, così scrivendo, Bruno Zevi contestualizza le problematiche con cui Gellner si misura, in un percorso che attraverso un numero altissimo di occasioni progettuali, per scala e tema diversi, si compone in unità essenziale: il mestiere come confronto accurato con il paesaggio, in cui sono disposte le radici dell’antica e della nuova architettura. La montagna, e Cortina, rappresentano per Gellner un luogo e un tema del progetto, là dove il turismo si pone come nuovo problema e come suo banco di prova nella tensione tra contemporaneità e tradizione: le fotografie e gli studi che egli compie (così come le pubblicazioni che minuziosamente cura) non sono l’opera di un viaggiatore appassionato ma di un’analista, che sedimenta un insormontabile patrimonio documentale dell’architettura alpina, di cui indaga il manifestarsi nelle successive scale, paesaggistica, insediativa, tipologica, figurativa, costruttiva. Attraverso migliaia di fotografie, Gellner disvela lo strutturarsi nel tempo della costruzione umana delle valli alpine (Aurina, D’Ultimo, Casies, Venosta, Fiorentina, Pusteria, Biois...) e le raccoglie in album con l’obiettivo di una conoscenza sistematica delle modalità insediative e costruttive: accompagnate da mappe tracciate a mano, da appunti in italiano o tedesco (sui quali ritorna anche in tarda età per arricchirli) e da schizzi grafici, le foto sono tutte siglate, numerate e localizzate secondo itinerari, sovente moltiplicate da riprese in condizioni di luce differenti, con ottiche o distanze diverse. Confronta fotografie realizzate nel tempo per scoprire i “tradimenti” del paesaggio perpetrati dalla disastrosa espansione edilizia, dai dirompenti impianti sportivi e dalle nuove infrastrutture e critica le mediocri costruzioni e i modesti restauri, ma soprattutto ricerca le regole di una poetica metrica insediativa che intreccia il disegno della natura a quello del lavoro e dell’abitare umano, il loro relazionarsi e dipendere dal clima, dal sole e dall’acqua, dall’orografia, da antiche strutture e regole sociali.
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G. Samonà, Relazione critica sul villaggio di Borca di Cadore dell’arch. Gellner, dattiloscritto, 1961, p. 4. Il documento si trova nel fondo Giuseppe e Alberto Samonà conservato presso l’Archivio Progetti, alla segnatura Samonà 2.fas/079/23. 5 Mostre: “Edoardo Gellner e Carlo Scarpa. La chiesa di Corte di Cadore”, a cura di F. Mancuso, 2000; “Eniway”, a cura di V. Ciringione e C. Mistura, 2014, dedicata alle opere commissionate da Eni durante la presidenza di Enrico Mattei, tra le quali la ricerca di Edoardo Gellner. Pubblicazioni: Carlo Scarpa e Edoardo Gellner. La chiesa di Corte di Cadore, a cura di E. Gellner, F. Mancuso, Milano 2000; P. Biadene, Edoardo Gellner e Carlo Scarpa, la chiesa di Corte di Cadore, Venezia 2000.
E speculare a quel ciclo di minuziosi acuti studi sul paesaggio alpino (oltre che loro esito) sono i plastici di progetto, la cui fattura così dettagliata nella precisazione delle forme e dei materiali riporta tutta l’eco del luogo cui sono destinati, trasparenti di una volontà totale d’immedesimazione nel paesaggio e insieme di una sua contemporanea interpretazione, segnati dalle tracce del lavorio della prova fin dentro al dettaglio costruttivo, alla decorazione, al colore. E per quanto attraversata da echi neoplastici e wrightiani, poiché l’ampio arco temporale di questa paziente e accurata ricerca s’estende fino ai tardi anni ’70, questa focalizzazione è da confrontare con i nascenti e poi preponderanti studi sui tipi architettonici e le morfologie urbane rivolti quasi esclusivamente alla costruzione della città e non alle radici e forme dei paesaggi territoriali, sovente privi del più ampio spettro analitico sondato da Gellner: egli risulta così tanto un precorritore di approcci futuri, quanto un continuatore degli studi veneziani sui tessuti minori e di quella via verso l’interpretazione progettuale delle preesistenze ambientali che faticosamente Rogers aveva indicato. Ma, per quanto Gellner fosse apprezzato dalla stampa anche generalista italiana e riconosciuto da quella specialistica internazionale, Rogers non lo pubblicherà mai, “lasciandolo” a Zevi e Ponti, secondo quella non sotterranea frattura entro la cultura architettonica italiana, tra le cui sponde la non dissimile ricerca del socio dello Studio BBPR, Enrico Peressutti, ma non di lui solo, avrebbe potuto gettare un fecondo ponte, anche verso l’architetto ampezzano. E’ nella luce della dimensione profondamente paesistica del progetto architettonico che scaturisce fresca dalla sorgente degli studi sul paesaggio alpino tutta la grandezza esemplare del ciclo di opere che Gellner progetta e parzialmente realizza con l’impegnativa committenza di Enrico Mattei e che definisce un ineguagliato orizzonte della ricostruzione italiana nell’incontro tra impresa e qualità architettonica del progetto, inteso come programma sociale e come ricerca di nuove relazioni dello spazio naturale e culturale con il tempo presente: «L’architetto – con queste parole Giuseppe Samonà analizza l’insediamento Eni a Borca di Cadore –, senza indulgere in leziosità che spesso fanno scadere in espressioni troppo astratte la forma dello spazio naturale, ha saputo mantenere la straordinaria luminosità di questo, aggiustando e limitando la natura nei modi spontanei con cui gli si è presentata. Egli è riuscito, così, a dare a questi ambienti una misura che in un certo senso è ancora partecipe dell’indefinita dimensione della montagna, e in parte si riporta alla dimensione dell’uomo»4. Dalla donazione, l’Archivio Progetti ha dedicato assidua cura al fondo Edoardo Gellner, realizzando mostre e pubblicazioni5 ed ora questo libro che, posto a conclusione dell’ordinamento del fondo, si propone, dopo altri considerevoli studi dedicati al maestro ampezzano, d’indagarne l’opera urbanistica e architettonica come elemento costitutivo dei paesaggi. «[...]un’architettura non è altro che una delle componenti di un paesaggio – indica Gellner –. E questa affermazione ci porta a considerare il paesaggio non come fondale di un intervento, ma come principale protagonista. A chiarire la posizione o gli orientamenti metodologici è da dire che questo modo di porsi nei confronti del paesaggio (sia esso paesaggio naturale o umanizzato, o, per dirla coi più puntualizzanti termini tedeschi Naturlandschaft, Kulturlandschaft, Stadtlandschaft ecc.) non va confuso con più o meno equivoche teorie di “ambientamento”. In particolare, non si tratta di una posizione tipo Landschaftgebundenes Bauen: per lo meno, non nell’accezione comunemente intesa, che richiama alla mente ambigue
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tesi di camuffamento o di mimetizzazione folkloristiche, proprie della Heimatschutz, secondo le note idee di uno Schultze-Naumburg. Si tratta di una posizione molto più elastica e articolata. Di una posizione che tra l’altro si è andata man mano precisando nel tempo e che ha assunto, di fronte ad analoghi problemi concreti, a distanza di anni, sfumature anche fortemente diversificate. Questo atteggiamento mentale, che porta a concepire ogni intervento come subordinato alle situazioni di preesistenza, può comportare una certa perdita di unità linguistica o di precisa riconoscibilità formale dell’apporto personale. Ma l’adeguamento alle diverse situazioni ambientali non va confuso con l’eclettismo culturale. E del resto, non notiamo anche in un personaggio rigoroso come Adolph Loos evidenti mutamenti di registro o adeguamenti di linguaggio a seconda delle diverse caratterizzazioni ambientali?» Così Gellner precisava in una conferenza6 tenuta a Vienna in quel tedesco di cui andava fiero che, nel frattempo divenuto arcaico, era stato una delle lingue della sua cosmopolita formazione.
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E. Gellner, Architettura e ambiente. Appunti su esperienze personali di progettazione, conferenza tenuta a Vienna, 12 ottobre 1973, testo in italiano di E. Gellner, pp. 1-2, in Gellner 5.Ricerche, NP: 060738.
architettura, paesaggio, fotografia
1. Lettera di Edoardo Gellner a Valeriano Pastor, 15 aprile 1955 (da Collaboratori, stipendi e varie. NP: 054067)
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Sobria ebrietas: è sicuramente un azzardo iniziare con un ossimoro di marca paradossale un dialogo su Edoardo Gellner, persona e autore di alta classe, anche se l’enunciato proviene dal discorrere dello Pseudo-Longino su Demostene a elogio dei suoi modi innovativi di condurre i dibattiti, rompendo le regole della retorica; ed è in latino per distogliere il senso dal valore comune del linguaggio abituale, adombrando invece a un valore d’origine. Perché questo azzardo? Ancora, nel titolo l’espressione «...per un’operante idea...» segna l’indirizzo di una progettualità che indaga nel costruito allo scopo di trovare l’autentico e darsi futuro; vuole richiamare alla mente l’espressione simile «...per un’operante storia urbana...» di un altro architetto, docente di penetrante pensiero, i cui lavori sulle tipicità delle forme dell’architettura, delle città e degli insediamenti territoriali, hanno valore disciplinare canonico – la somiglianza dell’espressione sollecita a rivalutare distintamente i tratti che possono rivelarsi complementari nel campo di lavoro di due autori, Edoardo Gellner e Saverio Muratori, che mai si sono conosciuti, o solo a mettere in luce il livello disciplinare degli studi sulle tipicità sviluppato da Gellner. Perché ancora un azzardo? Solo perché tutta la logica chiara e giusta di quel che si può dire sull’architettura di Edoardo Gellner è già scritta e stampata ne Il mestiere di architetto da Franco Mancuso nel 19961 con un rigore che lascia spazi ristretti per variazioni tematiche – entrando con azzardo. L’enunciato ha sviluppo in una lunga traiettoria che fa capo al dubbio posto tra parentesi da Mancuso nel paragrafo che, al termine della prima parte del libro, chiude la presentazione dei due bellissimi testi di Edoardo Gellner Architettura anonima ampezzana (1981)2 e Architettura rurale nelle Dolomiti venete (1988)3 – ma conviene citare:
1 F. Mancuso, Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Milano 1996. 2 E. Gellner, Architettura anonima ampezzana nel paesaggio storico di Cortina, Padova 1981. 3 E. Gellner, Architettura rurale nelle Dolomiti venete, Cortina d’Ampezzo 1988.
Nella varietà delle forme insediative, scaturita dalla esplorazione di situazioni estremamente diverse, rivela la profonda correlazione fra l’estremamente piccolo – il dettaglio – e le forme nel loro insieme: una lezione ben presente in tutta l’attività progettuale di Gellner (ma non sarà piuttosto il contrario, e cioè che la scoperta di tali correlazioni derivi da quella consuetudine esplorativa, nel procedere progettando, secondo un approccio multiscalare e dall’importanza che egli attribuisce alla contestuale prefigurazione dell’insieme e alla precisazione degli elementi di dettaglio di cui esso è composto?).
Due chiose sono derivabili. La prima consolida l’idea che la progettualità, scavando il proprio percorso, trovi e ricomponga, altresì costituisca verità iconiche: quella di Edoardo Gellner nel suo svolgersi esperisce il modo di fare, pensiero e lavoro di generazioni d’operatori, scopre e si arricchisce di quella straordinaria, anonima opera
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2-3. Edifici nei dintorni di Cortina d’Ampezzo. Fotografie di Edoardo Gellner, [s.d.] (da Architettura anonima ampezzana. NP: 058105)
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di trasfigurazione del territorio in sistema operante per fini civili. La seconda cade sull’ipotesi che l’interpretazione elaborata nei suoi libri proietti il proprio sé progettuale nei fatti analizzati, tagliandoli col suo bisturi – ipotesi da escludere: in Edoardo Gellner ho visto il valore-lavoro della ricerca progettuale, dato con autentica dedizione; del resto non pensava di farsi sentire tanto grande presentandosi piccolo nella veste d’interprete dell’architettura anonima. Il primo tratto della mia traiettoria d’azzardo attraversa le tesi fondamentali sostenute da Gellner nei testi del 1981 e del 1988, costanti nella sostanza anche se con differente ampiezza svolte. È vana, in quanto parascientifica, l’idea che intenda dimostrare l’esistenza di una forma tipica di casa ampezzana, e meno che mai delle Dolomiti venete. È mero pregiudizio affermare che la sussistenza delle due forme d’insediamento abitativo che caratterizzano il sistema paesaggio dolomitico veneto, l’aggregazione detta annucleata di case unitarie e l’ammansamento (dispersione di grandi unità poderali) abbia origine etnica, o meglio sia effetto della volontà distintiva dell’etnia dei coloni. Gellner è categorico su tali questioni: con ragioni di metodo e contenuto disciplinare inerenti la tipologia, con documentazione storiografica sui motivi etnologici. Il modo categorico dapprima stupisce, poiché dichiara che il riconoscimento dei caratteri che costituiscono in forma tipica, con metodo scientifico definita, la casa rurale ampezzana (o, più in generale, la dolomitica veneta) dovrebbe avvenire con riscontro invariante, e con assoluta costanza di metodo, in una grande serie di case rurali anonime; mentre l’esperienza, l’osservazione e il rilievo di una alta percentuale di tali case dimostra una continua variazione di forme individuali, tanto eterogenee da impedire una classificazione tipologica. Da tale impaccio Gellner è indotto a rendere preciso e plastico lo studio analitico, penetrando nel corpo stesso dell’eterogeneità dei fenomeni. Il modo categorico si apre allora a una valutazione sistemica delle differenze, muovendosi dalle stesse ragioni che lo hanno motivato: la forma tipica non è ricercata seguendo un mondo di immagini e non si ferma all’esperire edonistico; pone questioni sul modo di costruire e abitare organismi appropriati a quel sito e a quel clima, generati nella specifica cultura del produrre – quella rurale nel segno della fienagione e dell’allevamento, o quella mineraria nel segno prevalente della metallurgia. L’analisi dei modi sostanziali e delle differenze riguarda allora (sintetizzando le classificazioni di Gellner) i caratteri distributivi di luoghi, camere e stalle (con dignità tanto delle persone che degli animali), le relative comunicazioni e i disimpegni verticali, nella correlazione per l’appunto tipica del rapporto tra l’abitazione e il rustico – luogo di deposito e conservazione delle grandi scorte invernali degli alimenti (fieno in massa) – che merita la definizione di casa unitaria. Considera quindi i materiali della costruzione, pietra solo per l’abitazione (camere e stalle), legno per il rustico, secondo le tecniche dell’edificare, con particolare interesse per la carpenteria (nelle varianti del castello – Blockbau –, delle colonne e panconi – Ständerbohlenbau –, e del più recente Bundwerk – a crociera). Temi di ulteriore, forte caratterizzazione sono il tetto a falde piane inclinate sempre al 45%, con un manto di scandole, e l’interessante sistema dei fuochi, controllati nell’alimentazione e nel camino – la casa incomincia dal fuoco e cresce intorno ad esso determinandosi nel carattere. Tale dispositivo di studio e giudizio porta in nuce la condizione estetica dell’opera di Edoardo Gellner (si vedrà).
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4-5. Fogli d’album di provini a contatto con fotografie scattate da Edoardo Gellner nel corso di sopralluoghi in Cadore, 1958 (da Album di provini a contatto. NP: 057548)
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6. Tabià nella valle di Agordo. Fotografia di Edoardo Gellner, [s.d.] (da Agordino. NP: 056973) 7. Fienili a Falcade. Foglio d’album con fotografie di Edoardo Gellner, 1957 (da Valle del Biois, Falcade, Vallada. NP: 058243)
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e condizionati da una storia, una tradizione e una visione comunitaria»30. L’opera di Gellner non è localista nonostante quell’empatia per un Heimatstil che ben conosce ma dal quale vuol distinguersi: uomo di mare e di città trapiantato in montagna, egli partecipa senza sentimentalismi alla cultura costruttiva e produttiva traendone la linfa necessaria per un processo di rinnovamento. È al contempo consapevole che tale nozione integrata di territorio, paesaggio e ambiente assume significato solo entro alcuni limiti che, sin dai primi anni Settanta, vede minacciati dall’ansia economicista del turismo31. Tra regionalismo e sperimentazione Gellner ha dimostrato – loosianamente – di non voler parlare il linguaggio dello spaccapietre, dedicando i propri sforzi all’espressione dell’adeguata soluzione tettonica e costruttiva aderente allo spirito costruttivo del luogo. Raccordarsi alla «tradizione indigena», in un mondo sempre più banalizzato, oltre che utile è doveroso: in un’epoca che, dall’internazionalismo novecentesco al globalismo attuale, torna periodicamente a trascurare il significato dei luoghi, la sua opera si è avvalsa di analisi che non sono rimaste inoperose e si sono sostanziate in piani urbanistici, progetti e realizzazioni architettoniche significative perché fondate sulla comprensione dei valori attivi della tradizione locale: La cultura architettonica regionale può assumere un ruolo decisivo rappresentando il doveroso e necessario richiamo alla continuità del nuovo con la tradizione, non attraverso formalismi esteriori ma mediante una riflessione sulle tecniche, sui materiali e sulle forme storiche dell’abitare. In questo senso quindi i regionalismi si faranno garanti della sopravvivenza delle microdifferenze locali in un ambito che tenderà sempre più a dissolverle.32
È, una volta ancora, la riproposizione della massima loosiana : «Non costruire in modo pittoresco. Lascia questo effetto ai muri, ai monti e al sole. L’uomo che si veste in modo pittoresco non è pittoresco, è un pagliaccio. Un contadino non si veste in modo pittoresco. Semplicemente lo è»33.
30 F. Burkhardt, «L’intreccio delle radici è madre di ogni cosa», «Rassegna», 83, 2006, pp. 4-6. 31 E. Gellner, La trasformazione del paesaggio..., cit., p. 3. 32 Dattiloscritto per il convegno di Linz del novembre 1993, pubblicato in Bau-Kultur-Region: regionale Identität in wachsende Europa, Bregenz 1996, cit. in P. Biadene, Un paesaggio costruito e umanizzato, «Rassegna», 83, 2006, pp. 32 ss. 33 A. Loos, Regole per chi costruisce in montagna, cit., p. 271.
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In proposito restano solo alcuni schizzi in Gellner 2.Professione/1/124/18. 2 Cfr. il progetto di allestimento del negozio Vanotti a Cortina del 1948, in Gellner 2.Professione/1/085. 3 Si veda quanto conservato in Gellner 2.Professione/1/238. 4 Cfr. la documentazione contenuta in Gellner 2.Professione/1/124/18. 5 In proposito va detto che non è chiaro il motivo per cui si sia scritto che l’edificio «chiude la fase dei grandi lavori a Cortina», cfr. F. Mancuso, Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Milano 1996, pp. 154-155. Allora come oggi, documenti, cronologie e regesti delle opere attestano il contrario, visto che nel 1953 la vicenda del nuovo centro città è appena agli albori. 6 M. Cereghini, Costruire in montagna. Architettura e storia, Milano 19562, pp. 370-371.
Dopo la laurea e il matrimonio (1946), Gellner decide di fissare la propria dimora a Cortina d’Ampezzo. La residenza resta però nella città della moglie (in via San Nicolò a Trieste) almeno fino al 1953. Solo allora, dopo l’abbandono di una primitiva idea di casa monofamiliare1, è definitivamente trasferita in via Menardi a Cortina nel condominio noto come Ca’ del Cembro, sede anche dello studio professionale. L’intervento, promosso da Gellner stesso, nasce grazie al finanziamento di alcuni privati: l’ingegner Giuseppe Vanotti, già suo committente2 e proprietario della parcella fondiaria lungo via Menardi, il dottor Emilio Ghirardi, medico chirurgo e amministratore di un’azienda farmaceutica di Milano, il triestino Isidoro Tassi, amico di famiglia e titolare di una ditta di lavorazione del legno, e il dottor Carlo Amigoni, anche lui di Trieste, il cui nome ricorre spesso tra le carte dell’archivio per essere l’avvocato personale di Gellner e committente almeno di un altro lavoro rimasto irrealizzato3. Saranno infatti costoro a occupare la quasi totalità delle unità immobiliari e a incaricare l’architetto degli allestimenti e degli arredi dei loro appartamenti4. Ca’ del Cembro (1951-1953) è la sua terza importante realizzazione a Cortina dopo la casa di Leo Menardi (1945-1946) e la colonia per bambini La Meridiana (19491952), ma prima della serie degli impegnativi incarichi per il nuovo centro della città con cui, del resto, ha scarse relazioni5. Tratti distintivi li rivela anche rispetto ad altri coevi progetti rimasti sulla carta o costruiti in anni successivi, nei quali il linguaggio risente ancora di formule tipiche del rustico locale, come l’irrealizzato condominio Carnelli (1951-1954). Al contrario, casa Gellner mostra una diversa sensibilità (“modernista” per dirla con Cereghini6) fondata su una interpretazione in chiave astratta e decisamente più libera di alcuni elementi tradizionali. Sintesi, stilizzazione e semplificazione risultano particolarmente evidenti sul prospetto principale rivolto a sud, dove ad animare la superficie sono esili montanti e leggere strutture lignee orizzontali, siano esse pensiline o portafiori, ma dove dominano anche inedite bucature. Su questo fronte l’architetto si serve di logge, non di ballatoi, per dare movimento al prospetto che affida agli effetti chiaroscurali prodotti da lievi rilievi e più marcate rientranze. Non c’è alcuna forte sporgenza volumetrica a tutta altezza, come invece sperimenta nei progetti per casa Sette (1950-1959); semmai, anche in questo caso, si può parlare di un movimento contratto. Infatti, l’unica reale articolazione è costituita dallo scarto di 60 centimetri tra il basamento, formato da seminterrato e rialzato,
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1. Ca’ del Cembro a Cortina. Veduta della facciata sud. Fotografia di Edoardo Gellner, [s.d.] (da Cortina d’Ampezzo: casa Gellner. NP: 057368)
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Solo al seminterrato, in aderenza alla costruzione, vi è l’aggiunta di un altro “modulo” a un piano, coperto da un tetto terrazza, che funge da garage. 8 Dei calcoli strutturali si occupa lo stesso Gellner come testimoniano tra l’altro un fascicolo fitto di conteggi e l’inesistenza di disegni tecnici espressamente dedicati: i dati su fondazioni, travi e armature compaiono solo su alcuni disegni di sezione e di prospetti-sezione. 9 Che la scala sia “l’anima” dell’edificio risulta evidente e non solo per la sua posizione: consentendo di limitare al minimo i disimpegni comuni, lo schema distributivo a dislivelli ne accentua l’immagine di vero e proprio nucleo.
e il volume in aggetto dei piani superiori. Ca’ del Cembro resta un prisma compatto a base quasi quadrata con rilievi minimi: la copertura si distende di quanto necessario a proteggere i ballatoi dei lati est e ovest. Il fronte su strada è di quattro piani. In totale, però, i livelli sono sette, sei più il sottotetto. Tale impostazione è resa possibile dalla forte pendenza del lotto; condizione che però non giustifica, se non in minima parte, la scelta di uno schema distributivo a piani sfalsati né la complessità dell’impianto. Solo il seminterrato, il livello più basso dell’edificio, asseconda il declivio del terreno: qui gli ambienti rivolti a sud, per lo più adibiti a garage, si impostano infatti a una quota più bassa rispetto ai locali addossati al muro di contenimento (vani tecnici e magazzini). Per il resto lo sfalsamento di 136 centimetri che caratterizza tutti i piani si sviluppa in senso trasversale alla linea di pendenza seguendo l’impianto dell’edificio, formato da quattro setti portanti che suddividono in tre sezioni uguali la pianta dell’immobile7. Tre dei quattro setti prevedono una struttura a telaio con trave armata incastrata nel terreno di spalla e appoggiata su un pilastro rastremato anch’esso in calcestruzzo armato; uno è invece muro portante a tutta altezza8. Per quanto tripartito, l’edificio si articola in realtà in due parti, ancorate a quest’ultimo muro di spina: una di queste è un blocco unitario caratterizzato da una lieve sporgenza che si ripete lungo tutti i piani, mentre sull’altra il sistema trave-pilastro svincola i due livelli più bassi dai piani superiori, consentendo al seminterrato e al rialzato di impostarsi su fili di facciata diversi, cui segue l’ulteriore aggetto del volume superiore. L’idea di una distribuzione interna per piani sfalsati ha la sua matrice nel desiderio di Gellner di occupare per intero la sommità dell’edificio, realizzando per se stesso un’abitazione-studio dislocata su tre livelli. La parte abitata si sviluppa in duplex con zona notte nel sottotetto, più giardino pensile all’esterno, e zona giorno sottostante; a quota inferiore è lo studio professionale. Sfera privata e sfera pubblica hanno il loro punto di incontro al centro del sistema, lungo il modulo mediano della tripartizione d’impianto dove l’architetto colloca l’ufficio personale e la biblioteca privata; l’ufficio è rialzato di due gradini rispetto agli altri ambienti di lavoro e collegato alla biblioteca tramite una parete scorrevole. Il dislivello complessivo si salda poi attorno al blocco scala-camino di wrightiana memoria (già impiegato in casa Menardi) ed è raccordato visivamente dalla lunga libreria a parete che si estende tra biblioteca e soggiorno. A scendere si contano altri quattro piani abitati, accomunati a due a due per suddivisione planimetrica: in pratica esiste una sorta di doppio “piano tipo” determinato dalla diversa taglia degli appartamenti. Al seminterrato la situazione è più complessa perché caratterizzata da un duplice sfalsamento, quello longitudinale che asseconda il declivio del terreno, di cui si è detto, e quello trasversale determinato dall’andamento della scala di accesso ai piani9. Questo doppio ordine di dislivelli consente di ottenere, nell’angolo di sud-est dell’edificio, un comodo ambiente quasi a doppia altezza che, diversamente dai locali adiacenti, Gellner si guarda bene dal destinare a garage. Inizialmente ipotizza di farne un piccolo duplex a funzione residenziale, ma in realtà se ne servirà come appendice dello studio che si rivela ben presto inadeguato ad accogliere tutte le funzioni e gli aiutanti necessari.
martina carraro
2. Ca’ del Cembro a Cortina. Pianta del seminterrato alle quote -544 e -663, 17 luglio 1951 (da Condominio in via Menardi. Progetto definitivo. NP: 050561) 3. Ca’ del Cembro a Cortina. Sezione parallela alla struttura, 18 giugno 1951 (da Condominio in via Menardi. Progetto definitivo. NP: 050546)
a cortina d’ampezzo
4. Ca’ del Cembro a Cortina. Sezione parallela alla struttura, 20 giugno 1951 (da Condominio in via Menardi. Progetto definitivo. NP: 050547) 5. Ca’ del Cembro a Cortina. Veduta del modello da sud-est, ca 1951 (da Condominio in via Menardi. NP: 054347)
martina carraro
6. Ca’ del Cembro a Cortina. Pianta del quarto piano alle quote +816 e +680, 3 agosto 1951 (da Condominio in via Menardi. Progetto definitivo. NP: 50553)
a cortina d’ampezzo
7. Ca’ del Cembro a Cortina. Facciata sud, 3 agosto 1951 (da Condominio in via Menardi. Progetto definitivo. NP: 50551)
martina carraro
8. Ca’ del Cembro a Cortina. Schizzo prospettico dell’appartamento F al seminterrato, 30 settembre 1951 (da Condominio in via Menardi. Dossier di documentazione. NP: 060120)
a cortina d’ampezzo
9. Ca’ del Cembro a Cortina. Schizzi della stanza per gli ospiti al quarto piano, ca 1952 (da Condominio in via Menardi. Dossier di documentazione. NP: 060120)
paesaggio: uomo e natura. gellner all’elba Michela Maguolo
Sulle coste, per le coste
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F. Tentori a E. Gellner, lettera del 13 settembre 1963 alla segnatura Gellner 5.Ricerche/01. 2 Ai cinque progetti si aggiungono studi per la lottizzazione di un’area e per un condominio a Marina di Campo datati 1960. La disamina dei documenti d’archivio ha permesso di ampliare e completare le informazioni contenute nel capitolo “Isola d’Elba” di F. Mancuso, Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Milano 1996, pp. 209-221. 3 Se non con i progetti per l’Elba, Gellner sarà comunque presente nel primo numero della rivista dedicato alle coste, citato nel saggio di Tentori in merito al ruolo delle soprintendenze nel rapporto paesaggio costiero-sviluppo turistico. Cfr. F. Tentori, Ordine per le coste italiane, «Casabella», 283, 1964, p. 17. 4 Dall’appello di Detti del 1950 per la salvaguardia delle pinete di Viareggio (E. Detti, Pianificazione regionale e il destino delle pinete a levante di Viareggio, «Monti e boschi», dicembre 1950) agli interventi di Italia Nostra a partire dal 1957 per il Golfo del Tigullio, Migliarino, Gaeta, Capri, Napoli, fino alle denunce di Fera al convegno Inu di Lucca del 1957 (C. Fera, La Liguria o della distribuzione [sic] di un paesaggio, in Difesa e valorizzazione del paesaggio urbano e rurale, atti del VI convegno nazionale di urbanistica [Lucca, 9-11 novembre 1957], Roma 1958, pp. 257-272). 5 Camera dei deputati, Relazione della II commissione permanente sul disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica. Parte prima, Turismo, relatore V. Gagliardi, 4 ottobre 1963; Camera dei deputati, Seduta di sabato 12 ottobre 1963, Disegno di legge. Stato di previsione della spesa del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, Discussione. 6 Dieci anni di attività, in Italia Nostra, Dieci anni di attività 1955-1965, Roma 1966, p. 7.
In margine alla lettera che Francesco Tentori gli scrive nel settembre 1963, prospettandogli un numero di «Casabella» sulle coste e quindi chiedendogli materiali sul “progetto dell’Elba”, Gellner annota: «questo sarebbe più urgente di tutto»1. I progetti per l’isola d’Elba cui, in quel momento, sta lavorando sono in realtà due: il Centro Turistico di Cavoli (1959-1960) e il Condominio Punta Est di Marciana Marina (1963). Ha inoltre da poco concluso il piano per il villaggio turistico Istia a Marina di Campo (1957-1960) e il progetto per l’abitazione di Ilvo Del Signore a Campo nell’Elba (1959). Continua, invece, a riflettere sul disegno della propria casa, a Marina di Campo, per la quale giungerà a un progetto definitivo nel 19682. Tentori, nella stessa missiva, sollecita l’invio del materiale per la pubblicazione del villaggio di Corte di Cadore, ma né questo lavoro né quelli elbani giungeranno sulle pagine della rivista milanese3. Per quasi dieci anni Gellner è impegnato con i progetti per l’Elba e, in quest’arco di tempo, il tema del futuro delle coste italiane assume una posizione sempre più centrale nel dibattito sulla salvaguardia del patrimonio nazionale e sulle modalità di coniugare turismo e tutela. Allarmi e denunce restano inizialmente quasi isolati e inascoltati4 ma nei primi anni Sessanta, quando il turismo è ormai diventato la seconda industria italiana e, dopo aver pressoché saturato coste e monti del centro-nord, si appresta a “valorizzare” il sud e i suoi litorali, la questione diventa rilevante. In particolare nel 1963 si concentra, in ambiti diversi, una serie di episodi che ne testimonia l’urgenza e dà avvio a iniziative concrete. Il 1963 è l’anno in cui Italo Calvino pubblica La speculazione edilizia, romanzo scritto nel 1956-1957 a denuncia del dilagare della prassi speculativa, dello scempio della Riviera ligure e del relativo scadimento della domanda turistica. È anche l’anno in cui una flessione del numero di presenze, soprattutto straniere, induce il Ministero del turismo, che attribuisce tale “crisi” all’indiscriminato sfruttamento del patrimonio naturale e paesaggistico, a sollecitare la formazione di una “coscienza turistica” nel popolo italiano e a considerare l’urgenza del binomio “preservazione e valorizzazione” nei confronti del patrimonio naturale, paesaggistico, artistico5. Ancora nel 1963 Italia Nostra aumenta l’impegno nell’ambito della salvaguardia delle coste, a cui viene riconosciuta uguale importanza e urgenza delle altre battaglie che sta conducendo sulla tutela dei centri storici e del paesaggio6. Così l’associazione si attiva su due fronti: quello dell’indagine diretta, sul campo, e quello dell’impostazione teorica del problema. Si accorda quindi con la Cassa per il Mezzogiorno
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La Cassa per il Mezzogiorno accorda un contributo finanziario a Italia Nostra per lo svolgimento dell’indagine. Non potendo censire tutti i litorali italiani, l’associazione decide di concentrarsi su quattro aree emblematiche: Latina, Taranto, Gargano, Gallura. I progettisti incaricati sono F. Giovenale, V. Quilici, M. Tafuri per la costa fra Roma e Gaeta, M. Branca per la Gallura, I. Insolera per il Gargano e M. Manieri Elia con B. Rossi Doria e G.F. Moneta per il golfo di Taranto. Gli esiti saranno presentati nel 1964 al X convegno nazionale di Italia Nostra. 8 Al seminario partecipano, oltre al presidente dell’associazione F. Caracciolo, i presidenti delle sezioni di Firenze F. Gori Montaselli e di Roma T. Staderini. Relatori ufficiali sono Ghio, Aymone, Quaroni, De Carlo, Rogers, ma interessanti sono gli interventi di Tafuri, Cederna e Insolera. Cfr. Italia Nostra, Atti del I seminario di studio su “Le coste e il turismo in rapporto alla conservazione del paesaggio” (Roma, 8-9 novembre 1963), dattiloscritto ciclostilato. 9 Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Per la salvezza dei beni culturali in Italia: atti e documenti della Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Roma 1967, p. 528. 10 Attrezzature per il turismo. Convegno nazionale, Istituto nazionale di architettura, Roma 15-16 giugno 1965, Milano s.d. [1965?]. 11 A. Cederna, Premessa, in Coste d’Italia. Dal Gargano al Tevere, a cura di E. Ascione, I. Insolera, Milano 1967, pp. 8-9. Primo volume dei cinque dedicati ai litorali nazionali voluti dall’Eni e usciti fra il 1967 e il 1971. Un’altra serie di cinque volumi sui Monti d’Italia fu interrotta al terzo nel 1975. Si tratta del primo studio interdisciplinare sul patrimonio naturale italiano. 12 L. Quaroni, Panorama europeo degli studi e delle iniziative per le coste, in Italia Nostra, Atti del I seminario..., cit., p. 157. 13 Discussione conclusiva. Interventi di Insolera. Quilici, Tafuri, Manieri Elia, De Carlo, Giovenale, Quaroni, De Carlo, Andriello, Gori Montaselli, ivi, p. 264. 14 E.N. Rogers, Principi generali e problemi specifici: l’esperienza di Migliarino, ivi, pp. 195 ss. Inoltre per la posizione di Rogers sul tema si veda C. Baglione, La corsa al mare. La «creazione del paesaggio» e la questione dello sviluppo turistico delle coste italiane, in Ernesto Nathan Rogers 1909-1969, atti del convegno (Milano, 2-4 dicembre 2009), a cura di Ead., Milano 2012, pp. 112-121.
(da poco dotatasi di un ufficio per lo sviluppo del turismo) per delle “ricerche settoriali” in quattro specifiche zone litoranee7 e organizza un seminario (“Il turismo e la tutela del paesaggio costiero”, Roma 8-9 novembre 1963), coinvolgendo architetti urbanisti, sociologi, economisti, funzionari pubblici8. Contemporaneamente la redazione di «Casabella» prepara i due numeri sulle coste, dedicati il primo all’urbanistica, il secondo alle tipologie, che usciranno a gennaio e febbraio 1964. Negli anni successivi l’attenzione viene tenuta alta. Il decimo convegno nazionale di Italia Nostra (1964) sarà dedicato a “Tutela del paesaggio e sviluppo turistico della costa adriatica da Grado ad Ancona”. Sarà ancora Italia Nostra, nel 1965, a insistere con la Commissione Franceschini per un’attenzione particolare al problema9. Nel corso del convegno nazionale InArch sulle attrezzature per il turismo (1965) si propone la creazione di parchi costieri naturali10. Parallelamente le pubbliche istituzioni cominciano a muoversi: il Governo vara un piano per lo sviluppo turistico del Mezzogiorno che prevede l’individuazione di ventinove comprensori per i quali sono forniti indicazioni, limiti e standard per urbanizzazione ed edificazione (legge 717/1965: fra i comprensori vi è l’isola d’Elba, inserita, fin dall’inizio, nei programmi di intervento della Cassa per il Mezzogiorno); il Ministero della marina mercantile, competente per i litorali, promette una revisione del Codice della navigazione11. Il seminario di Italia Nostra del 1963 costituisce probabilmente il primo effettivo momento di confronto sul tema e, sebbene Gellner non risulti fra i partecipanti, è probabile che, in quanto membro della sezione bellunese, fosse al corrente dei temi al centro di dibattito, che vale quindi la pena ripercorrere. Dal seminario emerge soprattutto l’esigenza di una conoscenza puntuale e approfondita di tutti gli aspetti della turisticizzazione delle coste, per poter individuare modi e strumenti d’azione. Nella riflessione su tali aspetti si evidenziano posizioni non allineate, che offrono la misura della loro problematicità. C’è, sicuramente, sostanziale accordo su alcuni obiettivi: un’azione coordinata fra le istituzioni coinvolte, la definizione di standard urbanistici per le aree costiere, il sensibilizzare opinione pubblica, politici e amministratori, l’individuare possibili soggetti (Italia Nostra, «Casabella», la Triennale, le università, gli istituti di ricerca) per una indagine approfondita e capillare sui livelli socio-economico-politico, di programmazione e pianificazione, urbanistico-architettonico. Ma appaiono distanti le posizioni di chi, come Antonio Cederna, concepisce il paesaggio come essenzialmente naturale e quindi non modificabile dall’uomo se non in senso distruttivo, e di chi, come Ernesto Nathan Rogers, ne sottolinea l’aspetto prevalentemente antropico e storico e quindi considera legittima la trasformazione. Posizione, quest’ultima, condivisa da Ludovico Quaroni, per il quale si tratta di «sostituire a un paesaggio naturale al 100% o al 90%, un paesaggio che sia naturale in misura molto minore»12. E da Manfredo Tafuri che sottolinea la preponderanza della componente storica nel paesaggio, non sufficientemente considerata13. Rogers, affermando le idee di “proteggere per valorizzare” (contenendo quel “per” il richiamo a una protezione attiva), “creare” paesaggi o meglio “una dimensione nuova del paesaggio”, “distruggere per costruire”14, anticipa al seminario i contenuti del suo editoriale su «Casabella» 283 e usa per indicare il paesaggio la definizione baconiana dell’arte (homo additus naturae) che diverrà il titolo di quell’editoriale. I due fascicoli della rivista riporteranno numerosi esempi di come la qualità progettuale possa connotare positivamente il paesaggio. Cederna, dal canto suo, denuncia l’ambiguità dei termini “valorizzazione” e “paesaggio”, afferma l’esigenza non estetica, ma funzionale alla vita dell’uomo della difesa
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del paesaggio15, e insisterà, negli anni successivi, sulla necessità di difendere l’integrità delle poche coste superstiti, imputando il degrado dei litorali allo Stato, agli speculatori privati e agli architetti-urbanisti, artifices additi naturae, come scriverà nel 1967, nella Premessa al primo volume di Coste d’Italia16. Divergenti sono anche le posizioni di Rogers e Giancarlo De Carlo sui modi di guidare l’espansione del turismo, la trasformazione delle coste. Se, per entrambi, la costruzione di strutture ricettive è inevitabile, Rogers sostiene in pratica l’importanza del singolo intervento, De Carlo la necessità di strumenti di pianificazione a livello territoriale, perché anche un buon progetto può diventare “copertura professionale” alle grandi trasformazioni speculative del territorio, con la scusa che se non lo fanno loro, lo farebbero altri meno qualificati: infatti la distruzione avviene lo stesso e la copertura professionale compromette la possibilità di ottenere i risultati di più ampio raggio. Distoglie cioè notevoli forze dal ricercare soluzioni più radicali articolate ad una visione urbanistica più ampia, per concentrarle nello sforzo di ottenere alcuni sminuzzati vantaggi qualitativi che si esauriscono in loro stessi e non lasciano eco.17
E il “caso per caso”, indicato da Rogers come modalità per garantire un alto livello qualitativo, non è sufficiente se non vi è a monte, come scriverà anche Tentori su «Casabella», una pianificazione che sia non solo su scala comunale, ma anche comprensoriale18. Strumenti legislativi certi sono indispensabili perché, continua De Carlo, anche quando si cerca di perseguire individualmente una visione urbanistica più ampia non si ha garanzia di risultati positivi, come dimostrano due sue esperienze: il piano per la pineta di Donoratico (1956-1957) e il piano regolatore di Ameglia (1962). Entrambi falliti, il primo per la debolezza dell’ente preposto alla tutela, il secondo per l’opposizione anche violenta degli abitanti, sobillati da una società immobiliare. Disseminazioni, concentrazioni, integrazioni
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Discussione sulle relazioni Quaroni e Rogers. Interventi di Staderini, Aymone, Cederna, Rogers, De Carlo, Rogers, ivi, pp. 223 ss. 16 A. Cederna, Premessa, cit., p. 6. 17 G. De Carlo, Problemi emersi da due esperienze di progettazione in località turistiche marittime: Bocca di Magra e Donoratico, in Italia Nostra, Atti del I seminario..., cit., pp. 113 ss. 18 Cfr. F. Tentori, Ordine per le coste italiane, cit., p. 18. 19 La lottizzazione della pineta di Donoratico era stata oggetto di concorso a inviti nel 1956. Fra le proposte dei quattro gruppi invitati (G. De Carlo, L. Quaroni, N. Renacco e M. Valori) venne scelta quella del primo. Cfr. E. Detti, L’urbanizzazione del litorale e il concorso per la pineta di Donoratico, «Urbanistica», 23, 1958, pp. 48-62.
Il caso di Donoratico19 – le scelte fatte da De Carlo, la ricerca di soluzioni non banali in risposta a problemi di tutela e trasformazione – offre la possibilità di leggere i progetti di Gellner per l’Elba situandoli in un contesto culturale specifico, all’interno di un dibattito di cui, anche se non direttamente partecipe, il progettista triestino dimostra di essere informato e consapevole. Le questioni centrali del piano di Donoratico (il rapporto fra terreno e lotti, la disseminazione piuttosto che la concentrazione del costruito in vista della salvaguardia dell’ambiente, le forme di controllo sulle future costruzioni per mantenere la qualità paesaggistica) sono determinanti anche nei progetti elbani di Gellner, in particolare per il villaggio Istia e per il centro turistico di Cavoli. De Carlo studia una forma particolare per i lotti, basata sull’andamento del suolo e sulle caratteristiche del terreno, evitando una griglia indifferenziata, per non perdere l’irregolarità e la spontaneità del luogo. Decide poi di lottizzare l’intera area per disporre di appezzamenti molto estesi a bassissima densità edilizia e mantenere il più possibile integra la pineta. In seguito, dopo che parte di essa viene dal proprietario lottizzata intensivamente, De Carlo riterrà la propria scelta sbagliata e indicherà quella proposta da Ludovico Quaroni per la stessa area la più corretta. L’idea di Quaroni consisteva nel divi-
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Comune di Campo nell’Elba, centro turistico Cavoli, relazione, 21 luglio 1964, alla segnatura Gellner 2.Professione/1/174/5. 21 L’area del villaggio Istia, 10 ettari, apparteneva all’imprenditore tedesco Erich Schleicher; quella di Cavoli, 80 ettari, al romano Guglielmo Federici. 22 L. Quaroni, La “città” residenziale Anic a Gela, «Urbanistica», 35, 1962, p. 91. 23 F. Tentori a E. Gellner, del 13 settembre 1963, cit. 24 Comune di Campo nell’Elba, villaggio turistico Istia, relazione, alla segnatura Gellner 2.Professione/1/159/4. 25 Corte di Cadore. Villaggio sociale Eni. Relazione. Parte seconda, la progettazione generale, dicembre 1958, aggiornata al dicembre 1959, alla segnatura Gellner 2.Professione/2/01.
dere la pineta in due parti, una edificabile con lotti di media grandezza, l’altra vincolata a verde e intangibile. Una soluzione “poco realistica” ma giusta, constata De Carlo, perché i vincoli debbono essere molto netti affinché l’azione di salvaguardia sia efficace. Gellner dimostra di condividere, in linea di massima, il principio di tenere nettamente separate area fabbricabile e area vincolata. Afferma, per esempio, nella relazione al piano per Cavoli che «la prassi di accentrare la fabbricazione in singole zone e di vincolare a verde altre zone sarebbe uno dei mezzi più efficaci per l’attuazione di un buon intervento di protezione del paesaggio»20. Ma ciò, in ambiti di diffuso frazionamento delle proprietà, diventa impraticabile per la forte sperequazione che viene a determinarsi. All’Elba, dove il problema delle proprietà non si pone, dal momento che i terreni coinvolti nei suoi progetti appartengono a proprietari unici21, sperimenta entrambe le possibilità, distribuzione sparsa e accentramento, subordinandole al tipo di territorio in cui si trova ad agire. Ed è il territorio il punto di partenza per ogni riflessione e idea di progetto. Esso viene osservato, studiato, rilevato con l’accuratezza e la profondità di sguardo che contraddistinguono Gellner e che fanno notare a Quaroni, a proposito del progetto per Gela, la «capacità di comprendere e interpretare un mondo, una luce, un paesaggio, un modo di vita», l’amore e l’intelligenza con cui osserva «un paesaggio naturale e l’architettura che la storia umana vi semina sopra a trasformarlo»22. Per i due complessi elbani Gellner scatta decine di fotografie, annota tipi di vegetazione, conformazioni orografiche, costruzioni esistenti che descrive minuziosamente nelle relazioni e riproduce in schizzi, plastici, fotomontaggi in cui prevale la vista dal mare, quella che distingue il paesaggio costiero dal montano. La vista dal mare infatti consente di abbracciare più ampi tratti di territorio e ciò induce l’architetto a elaborare «prospettive didascaliche sul modo di inserimento dei singoli nuclei residenziali»23 (che Tentori gli chiede per «Casabella»), a progettare con grande attenzione le strade i cui tornanti sono previsti incassati nel terreno per evitare che se ne veda il terrapieno sassoso. In modo opposto aveva operato in Cadore, adottando per i muraglioni contro terra lo stesso calcestruzzo a vista molto irregolare delle abitazioni, nella ricerca di un’unità discorsiva, di un racconto che si dispiega mano a mano, praticamente impossibile a leggersi in un colpo d’occhio. Partendo dunque dalle caratteristiche fisiche e visive dell’area e dalla conformazione del terreno, Gellner costruisce l’immagine dei nuovi insediamenti, studiando modalità distributive dell’edificato e forme di lottizzazione. Per l’Istia, area di 10 ettari sul fianco occidentale della baia di Marina di Campo, prevede di collocare le ville singole in raggruppamenti orizzontali, a quote diverse, intervallati da ampie fasce verdi inedificabili. Il sistema a ville sparse, spiega nella relazione di progetto, oltre a essere estraneo al paesaggio elbano tende all’individualismo, a «una eccessiva varietà di forme e di colori tutta visibile in un solo colpo d’occhio per la conformazione del terreno in pendenza e per l’assenza di ogni schermatura arborea»24. La disseminazione è sempre avvertita da Gellner come un rischio: «un pericolo» la definisce nella relazione sulla seconda fase delle opere a Corte, aggiungendo che si tratta di uno schema urbanistico «poco felice». Anche lì aveva scelto di addensare le villette in gruppi – ovviamente assai più consistenti (60-80 unità), data la maggiore estensione dell’area (200 ettari) – ben leggibili nel paesaggio e separati da ampie zone piantumate estese fino al centro del villaggio, per legare quest’ultimo al “grandioso scenario naturale”25.
paesaggio: uomo e natura. gellner all’elba
1-2. La baia di Cavoli all’isola d’Elba. Fogli d’album con fotografie di Edoardo Gellner, 1959 (da Toscana: marine. NP: 058016)
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3. Villaggio Istia. Planimetria della sistemazione urbanistica, 4 settembre 1957 (da Villaggio turistico Istia a Marina di Campo, isola d’Elba. NP: 042307) 4. Villaggio Istia. Planimetria di un gruppo di cellule, 30 aprile 1958 (da Villaggio turistico Istia a Marina di Campo, isola d’Elba. Primo progetto. NP: 042312)
paesaggio: uomo e natura. gellner all’elba
5. Concorso per Elviria, Spagna. Veduta prospettica a volo d’uccello, 1960 (da Zona residencial Elviria-Marbella-Malaga. NP: 058040)
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paesaggio: uomo e natura. gellner all’elba
6. Centro turistico nella baia di Cavoli. Veduta prospettica a volo d’uccello di una soluzione di progetto, 1961 (da Centro Turistico Cavoli, comune di Campo nell’Elba, isola d’Elba. Prime proposte progettuali. NP: 042474) 7. Centro turistico nella baia di Cavoli. Veduta prospettica a volo d’uccello di una soluzione di progetto, 7 giugno 1961 (da Centro Turistico Cavoli, comune di Campo nell’Elba, isola d’Elba. Prime proposte progettuali. NP: 042477) 8. Centro turistico nella baia di Cavoli. Planimetria di una soluzione di progetto, 18 maggio 1961 (da Centro Turistico Cavoli, comune di Campo nell’Elba, isola d’Elba. Prime proposte progettuali. NP: 042478) 9. Centro turistico nella baia di Cavoli. Planimetria di una variante di lottizzazione, 12 novembre 1962 (da Centro Turistico Cavoli, comune di Campo nell’Elba, isola d’Elba. Prime proposte progettuali. NP: 042490)
riccardo domenichini
realizzati in Puglia nel 1959, in occasione del viaggio a Lecce per il convegno Inu durante il quale, racconta, si costruì “fama di buon fotografo” mostrando molti suoi scatti nel corso dell’intervento sul villaggio di Corte di Cadore24. È molto interessante questa attenzione che Gellner dedica all’aspetto cromatico delle proprie fotografie, perché ci ammonisce a non tenere la produzione a colori, presente in grandissima quantità nell’archivio, in posizione ingiustamente subordinata rispetto a quella in bianco e nero. Davvero sarebbe un errore sottovalutarla: negli ultimi progetti editoriali trovò posto l’idea, non giunta a realizzazione, di quello che Gellner chiama «una specie di trattato sulla percezione ottica del paesaggio umanizzato e naturale», per il quale aveva previsto di utilizzare fotografie tratte da un gruppo di alcune centinaia che ritraggono la Tofana, la montagna che domina Cortina: «scattate sempre dallo stesso punto del ballatoio del mio studio e che coglievano questa montagna nei più impensati colori e nelle più varie luci della giornata»25. In quella sorta di imponente archivio della conoscenza costituito dalle sue decine di migliaia di fotografie, questo gruppo dedicato alla montagna che lo ha accompagnato per la parte più lunga della sua vita costituisce un nucleo in qualche modo a sé stante. Realizzato nel corso degli anni e accresciuto giorno per giorno di nuovi scatti, è come un grande mosaico che rappresenta la dichiarazione d’amore di Edoardo Gellner a quel territorio e a quel paesaggio e la esprime con il mezzo che, assieme all’architettura, è stato il leitmotiv della sua vita, lunghissima e vissuta nella certezza che nulla è così poco importante da meritare di essere abbandonato al caso o considerato senza la massima cura e attenzione.
24
Ivi, p. 90. Ivi, p. 149. Il libro, a cui Gellner lavora dal 1983, avrebbe dovuto intitolarsi Paesaggio ampezzano. Le diapositive della Tofana, oltre quattrocento scatti, si trovano alla segnatura Gellner 4.Fotografie/3/054. 25
lÉocchio fotografico di edoardo gellner
Dopo anni di appassionata, ma più “disordinata”, pratica della fotografia, Edoardo Gellner inizia a formare il proprio organizzatissimo archivio fotografico il 28 aprile 1957. Questa data portano infatti i primi scatti di una serie che arriverà a contare oltre ventiseimila unità soltanto per quel che riguarda i negativi in bianco e nero. Parallelamente ai quali, sfruttando la potenzialità dei cambi di corpo macchina offerta dalla sua Hasselblad 500C, Gellner produce almeno altrettanti scatti a colori, negativi o diapositive. Per almeno vent’anni gestirà questi due gruppi in maniera diversa, conservando il bianco e nero in una serie rigorosamente cronologica e smembrando invece i rullini a colori per distribuire i fotogrammi entro cartelle tematiche. Scorrere uno dopo l’altro i quindici album che contengono i provini a contatto del bianco e nero significa ripercorrere per immagini la vicenda umana, culturale e professionale di Gellner da quell’aprile 1957 fino almeno alla metà degli anni Settanta. Quelle che si succedono senza soluzione di continuità sono immagini delle escursioni finalizzate allo studio sul campo del territorio alpino e della sua architettura, fotografie di famiglia, fotografie legate agli incarichi professionali e ai viaggi. La scelta che è stata operata per questo album è una delle moltissime possibili e ha privilegiato lo sguardo attento che Gellner ha riservato alla montagna e all’architettura alpina, con un andare e venire continuo dallo studio del rapporto, mai casuale, dell’edificato con la morfologia del territorio fino al singolo dettaglio costruttivo, anch’esso indagato alla ricerca non solo di logiche strutturali e di connessioni culturali, ma anche di valori formali che possono scaturire persino dal semplice accostarsi di alcune tavole di legno. La scelta non vuole costruire un percorso organico, meno che mai una cronologia, ma solo procedere per salti e assonanze nel tentativo di afferrare i connotati dell’occhio fotografico di Gellner e, magari, suggerire la permanenza negli anni di più o meno evidenti costanti nella composizione dell’immagine. Nelle didascalie, le indicazioni di data sono ricavate dagli album dei provini a contatto e da due carte manoscritte conservate da Gellner assieme ai negativi; solo in pochi casi devono limitarsi all’anno o agli anni cui l’album che contiene il provino si riferisce, mentre quasi sempre l’estrema precisione dell’architetto ci consente di conoscere il giorno esatto in cui la fotografia è stata realizzata. Le altre informazioni sono state recuperate in qualche caso dagli stessi album, più spesso dagli altri materiali dell’archivio o dalle pubblicazioni di Gellner.
l'occhio fotografico di edoardo gellner
1. 21 maggio 1957, presso Arsiè (neg. 147)
13. 1960-1961 (neg. 5276)
24. 3 ottobre 1964 (neg. 10731) 25. 27 novembre 1975, casa Toldo - De Pellegrin Costantin, Fornesighe (neg. 19153)
2. giugno 1957, Corvara (neg. 162)
14. 3 gennaio 1964 (neg. 9661)
3. 10 giugno 1957, Colfosco (neg. 240)
15. 7 luglio 1964 (neg. 10297)
4. 2 marzo 1959, valle Isarco presso Chiusa (neg. 3042)
16. 27 novembre 1975, casa Toldo - De Pellegrin Costantin, Fornesighe (neg. 19145)
5. 1960-1961, San Giorgio di Eores (neg. 6068) 6. 14 maggio 1964 (neg. 10015) 7. 1959 (neg. 3241) 8. 30 luglio 1973 (neg. 16891) 9. 1962, fienile De Luca, Borca di Cadore (neg. 6693) 10. 29 ottobre 1974 (neg. 17956) 11. 1° dicembre 1957, Cencenighe Agordino (neg. 974) 12. 14 agosto 1964 (neg. 10575)
17. 10 giugno 1975, Casso (neg. 18553) 18. 10 giugno 1975, Casso (neg. 18546) 19. 16 giugno 1975 (neg. 10587) 20. 1° ottobre 1975, Sappade (neg. 18913) 21. 30 luglio 1973 (neg. 16890)
26. 27 novembre 1975, casa Toldo - De Pellegrin Costantin, Fornesighe (neg. 19136) 27. 17 luglio 1970 (neg. 14257) 28. 21 settembre 1972 (neg. 16172) 29. 21 settembre 1972 (neg. 16254) 30. 21 settembre 1972 (neg. 16239) 31. 21 febbraio 1975, val Zoldana [?] (neg. 18159) 32. 20 marzo 1964 (neg. 9851)
22. 27 novembre 1975, casa Toldo De Pellegrin - Costantin, Fornesighe (neg. 19165)
33. 14 maggio 1964 (neg. 10038)
23. 1° ottobre 1975, Sappade (neg. 18915)
34. 1960-1961, val Zoldana (neg. 6240)
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