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il genere nella ricerca storica a cura di Saveria Chemotti e Maria Cristina La Rocca
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Il genere nella ricerca storica Atti del VI Congresso della SocietĂ Italiana delle Storiche a cura di Saveria Chemotti Maria Cristina La Rocca
VOLUME I
ilpoligrafo
Atti del VI Congresso della Società Italiana delle Storiche Padova-Venezia, 12-14 febbraio 2013
© Copyright luglio 15 Il Poligrafo casa editrice srl Padova piazza Eremitani - via Cassan, tel. - fax e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978---847-1
INDICE
19 Presentazione Saveria Chemotti 23 Premessa Isabelle Chabot
I. LA STORIA DELLE DONNE IN EUROPA
«GENESIS» E LE RIVISTE EUROPEE DI STORIA DELLE DONNE a cura di Ida Fazio 31 Introduzione Ida Fazio 32 «Genesis» e la storia delle donne e di genere, in Europa e oltre Giulia Calvi 37 De «Clio. H.F.S.» à «Clio. F.G.H.» Christiane Klapisch-Zuber 40 «L’Homme. Z.F.G.». Contesti europei e prospettive ampliate Margareth Lanzinger 48 «Arenal», historia de las Mujeres e historiografía española Candida Martìnez Lopez II. Identità
PROSOPOGRAFIE FEMMINILI a cura di Sylvie Duval 59 Introduzione Sylvie Duval
69 Rédiger une prosopographie de femmes. L’exemple de la Rome antique Anthony Álvarez Melero 80 Le recluse nella documentazione tardo medievale Eleonora Rava 94 Per un approccio interdisciplinare del fatto musicale: prosopografia delle musiciste degli ospedali di Venezia (XVII-XVIII sec.) Caroline Giron-Panel 105 Nécessité et limites de l’approche prosopographique: la reconstitution d’itinéraires de vie de veuves françaises de la Première Guerre mondiale (XXe siècle) Peggy Bette CROSS DRESSING AND GENDER TRANSGRESSION IN THE MIDDLE AGES a cura di Irene Barbiera 117 Introduction Irene Barbiera 128 Clothes (Un)Make the (Wo)Man: Dress and Gender Crossings in Late Antiquity Mathew Kuefler 137 Women and Weapons in Early Medieval Europe Ross Balzaretti 151 Holy Female Monks-Patterns of Purity: a Comparative Approach of the Visual Representations of Saint Marina the Monk, Saint Eugenia of Rome, Saint Euphrosyne of Alexandria, and Saint Margareta dicta Pelagius Andrea-Bianka Znorovszky DONNE SUL CONFINE IN ISRAELE a cura di Dario Miccoli 171 Lavorare con dolcezza. Le badanti filippine in Israele tra letteratura, cinema e sentimenti Dario Miccoli 182 Le contraddizioni del “pensare in modo materno” nelle colonie ebraiche della Cisgiordania in un romanzo di Mira Magen Emanuela Trevisan Semi 190 Note ai margini di una migrazione: donne ebree dalla Libia tra Israele e Italia Piera Rossetto
SCAUTISMO E GUIDISMO a cura di Antonella Cagnolati 201 Introduzione Antonella Cagnolati 204 Historia del Guidismo en España (1929-2013). La contribución de la educación guía para las mujeres españolas durante el siglo XX María Luisa García Rodríguez 220 Il Guidismo cattolico italiano e il contributo alla ricostruzione dell’Italia nel secondo dopoguerra Paola Dal Toso 234 Lo Scautismo femminile laico. Innovazione educativa e contributi all’emancipazione femminile nell’Italia del primo Novecento (1912-1927) Valeria Vittoria, Aurora Bosna GENDER AND RELIGION IN IMPERIAL RELATIONS:
NEGOTIATING IDENTITIES AND STRATEGIES OF RULE
a cura di Barbara Spadaro 251 Introduzione Barbara Spadaro 255 Colonial Togo in the Missionary Imagination and Practice of German Nuns, 1897-1922 Katharina Stornig 269 Taking the “Invisible Border” further. The Alliance Israélite Universelle in Libya: First Insights on a History of Encounters and Representations Barbara Spadaro 282 Dalla mekteb alla scuola di Stato. Genere, spazio e gerarchia nell’educazione delle bambine musulmane nella Sarajevo austro-ungarica Fabio Giomi 300 Suore missionarie in Africa Orientale Italiana: un modello iconografico di genere Monica Di Barbora DONNE COMMITTENTI E DONNE ARTISTE FRA CODICI ED EPIGRAFI a cura di Nicoletta Giovè Marchioli 315 Introduzione Nicoletta Giovè Marchioli
317 Donne che scrivono, donne che fanno scrivere Nicoletta Giovè Marchioli, Marco Palma 337 «Le Coloriste Enlumineur». Una rivista, le donne e il revival della miniatura nella Francia della fine dell’Ottocento Giulia Orofino 358 Progettare un’epigrafe: un lavoro anche da donna? La committenza femminile in alcune epigrafi del Santo di Padova Giulia Foladore DAL CASTRATO ALLA ROCK STAR.
PERCORSI TRANS-VOCALI TRA EROTISMO E IDENTITÀ DI GENERE
a cura di Simonetta Chiappini 377 Introduzione Simonetta Chiappini 392 Vestire l’uniforme: mascolinità nel melodramma e costruzione dell’eroe risorgimentale Raffaella Bianchi SE VI SONO DONNE DI GENIO a cura di Giovanni Destro Bisol 411 Introduzione Giovanni Destro Bisol 415 Maria Montessori e l’influenza del contesto socio-culturale sull’apprendimento scolastico Marco Capocasa, Fabrizio Rufo 421 Da “I Pigmei d’Europa” a “I cambiamenti secolari della statura” Maria Enrica Danubio 426 Darwin e l’origine della donna Alessandro Volpone III. Ruoli economici NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA SULLA STORIA DEL LAVORO FEMMINILE a cura di Eloisa Betti 445 Introduzione. Il lavoro delle donne. Una lunga storia Fiorenza Tarozzi 451 Donne e lavoro: un’identità difficile. Percorsi, fonti, sguardi Cinzia Venturoli
464 La disoccupazione femminile nell’Italia liberale e la sua rappresentazione statistica: una prima disamina delle fonti Manfredi Alberti 485 Gli archivi dell’UDI come fonti per la storia del lavoro femminile nell’Italia dell’age d’or (1945-1975) Eloisa Betti “FUORI DAI CANONI”. DONNE STRANIERE NELLA SICILIA DELL’OTTOCENTO TRA CULTURA, SCIENZA E IMPRENDITORIA
a cura di Luciana Caminiti 511 Introduzione Luciana Caminiti 517 Frances Churchill Leckie in Sicilia (1801-1807) Diletta D’Andrea 529 Fuori e dentro i canoni: Jeannette Villepreux power a Messina tra “occupazioni scientifiche” e “domestiche cure” Michela D’Angelo 542 Maddalena e Laura Gonzenbach Luciana Caminiti 555 Tina Whitaker Scalia: Sicily & England (1848-1870) Rosario Lentini 569 Conclusioni Mirella Vera Mafrici LE IMPRENDITRICI DEL MEZZOGIORNO. STORIA E STORIE DI DONNE INTRAPRENDENTI A SUD
a cura di Rossella Del Prete 573 Introduzione Rossella Del Prete 576 Donne meridionali tra “terra e mercato”: note per uno studio delle operatrici economiche nel Mezzogiorno medievale Gemma Colesanti, Fiorella Fragnoli 592 Imprenditrici del feudo nel Mezzogiorno moderno Elisa Novi Chavarria 598 Donne a Napoli dal matronage all’impresa della cultura Vittoria Fiorelli
606 L’imprenditoria femminile nel Mezzogiorno industriale: il caso della Campania Rossella Del Prete 643 Storia d’impresa e storia di genere: qualche nota a margine di un recente incontro di studio Ilaria Zilli DEBITI a cura di Angiolina Arru 651 Introduzione Angiolina Arru 654 La forza del debito (Roma, sec. XIX) Angiolina Arru 664 Gender, Debt and Working Class Credit in Twentieth Century Britain Sean O’Connell 672 Debitrici al lavoro. I contratti delle mercantesse Maria Rosaria De Rosa POTERE, POLITICA, ECONOMIA NEL LUNGO OTTOCENTO: REGINE E ISTITUTRICI, IMPRENDITRICI E BRIGANTESSE
a cura di Mirella Vera Mafrici 679 Introduzione Mirella Vera Mafrici 684 Tra Francia e Austria: Carolina Bonaparte regina di Napoli Mirella Vera Mafrici 697 Una governante inglese in casa Murat: Catherine Davies e il soggiorno napoletano Rosa Maria Delli Quadri 711 Antieroine: maschile/femminile nella rappresentazione del nemico tra XVIII e XIX secolo Maria Rosaria Pelizzari 728 Le donne e il mare nel Mezzogiorno moderno: un rapporto conflittuale Maria Sirago 748 Conclusioni Luciana Caminiti
TRA PROFESSIONALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE. L’AFFERMAZIONE DEL SERVIZIO SOCIALE NELL’ITALIA DEL SECONDO DOPOGUERRA
a cura di Domenica La Banca 753 Introduzione Domenica La Banca 756 Welfare professionale. L’UNRRA e l’affermazione del servizio sociale italiano Domenica La Banca 769 Le origini del servizio sociale italiano nell’esperienza filantropica e resistenziale Marilena Dellavalle 784 Impegno sociale e sviluppo di comunità: il contributo di Angela Zucconi alla ricostruzione del tessuto sociale e civile nell’Italia postbellica Deborah Bolognesi TAVOLA ROTONDA a cura di Susanna Biadene, Alessandra Chiarcos, Daria Quatrida 799 Womenmade fra tradizione e innovazione. Creative economy in un’ottica di genere Susanna Biadene, Alessandra Chiarcos, Daria Quatrida 815 L’attenzione al lavoro femminile da parte della Commissione Pari Opportunità del Comune di Padova Milvia Boselli 816 Imprenditrici creative Marina Piazza 818 Il ruolo del territorio nello sviluppo dell’imprenditoria culturale femminile padovana Marina Bertoncin 820 L’industria culturale e creativa: la leadership femminile Elisabetta Vezzosi IV. Relazioni familiari IL NEMICO IN CASA a cura di Claudio Azzara 851 Introduzione. Il nemico in casa. La violenza domestica contro le donne tra sanzione giuridica e rappresentazioni culturali Claudio Azzara
852 De fream suam, qui eam male tractaverit. La violenza domestica sulle donne nella società altomedievale Arianna Bonnini 861 Matrimoni forzati e violenza domestica a Venezia nel Basso Medioevo Ermanno Orlando 878 Il (dis)ordine della violenza familiare: spazi, limiti, strategie (Italia, secoli XV-XVIII) Cecilia Cristellon 889 La violenza giustificata. Il racconto dell’uccisione di una femme fatale: un case study Guido Panico 901 Conclusioni Maria Rosaria Pelizzari L’ESPERIENZA CORPOREA DELLA MATERNITÀ a cura di Francesca Arena, Nadia Maria Filippini 911 Introduzione. La storia della maternità tra rappresentazioni, vissuti e pratiche sociali. Percorsi e prospettive di genere Francesca Arena, Nadia Maria Filippini 918 Uso y abuso del cuerpo femenino. Mujeres y reproducción en las sociedades greco-romanas Carla Rubiera Cancelas 931 El momento de dar a luz. Normas y prácticas en torno al parto Silvia Medina Quintana 945 Être enceinte en France aux XVIIIe et XIXe siècles : une expérience féminine particulière Emanuelle Berthiaud 959 Il puerperio: trasformazioni psichiche e regressioni corporee. Un paradosso della medicina contemporanea Francesca Arena 975 La maternidad en Occidente. Reflexiones desde el feminismo y la historia Rosa María Cid López 996 Meglio un blog oggi che un Prozac domani: le nuove maternità e i blog delle mamme Marina D’Amelia
MADRI-MATRIGNE E SORELLE-SORELLASTRE?
DINAMICHE ECONOMICHE, GENERAZIONALI E AFFETTIVE
NELLA REPUBBLICA VENETA IN ETÀ MODERNA
a cura di Francesca Medioli 1015 Introduzione Francesca Medioli 1018 «Faranno quel che vorranno»: testamenti femminili ed empowerment nella Venezia del Cinquecento Anna Bellavitis 1 030 Solitudine di figlia, ambiguità di madre. Conflitti al femminile nella Venezia di primo Seicento Alessandra Sambo 1043 Tarabotti e le altre: lasciti testamentari alle monache nella Venezia fra Cinque e Seicento Francesca Medioli 1057 Il confine quotidiano. Scritture di donne in Friuli tra Cinque e Settecento Laura Casella LA CONCILIAZIONE DEI TEMPI DELLE DONNE:
QUESTIONI TEORICHE, METODI DI RILEVAZIONE, POLICY
a cura di Maria Rosaria Garofalo 1073 Introduzione. Interdisciplinarietà e analisi di genere Maria Rosaria Garofalo 1 082 Conciliazione famiglia-lavoro: strumenti di valutazione e confronti internazionali Mary Fraire 1 098 Le fatiche della conciliazione. Il fronteggiamento degli oneri di cura tra disequilibri demografici e asimmetrie di genere Antonello Scialdone 1116 Come le donne usano il tempo. Un confronto tra approcci economici e strumenti di rilevazione Maria Rosaria Garofalo, Roberto Ruggiero 1131 Occupazione femminile e welfare nel Mezzogiorno. La rilevanza del contesto nel disegno delle future politiche di conciliazione Mita Marra
V. Cittadinanza e politica IL DESIDERIO DI CITTADINANZA NEL LUNGO OTTOCENTO a cura di Rosanna de Longis 1155 Introduzione Rosanna De Longis 1157 Vogliamo educarci noi e i nostri figli. Esperienze di protagonismo femminile a Venezia e nelle province venete (1848-1866) Deborah Pase 1171 «Com’è caro ricordare»: memorie di famiglia e relazioni epistolari nel lungo Ottocento Marcella Varriale 1 188 Lettere dal disincanto risorgimentale Antonietta Angelica Zucconi 1 196 Sorelle. Strategie della partecipazione politico-sociale femminile nell’Ottocento Laura Guidi ALLE ORIGINI DEL PARLAMENTO a cura di Marina d’Amelia 1 209 Dalle tribune: lo sguardo femminile Marina D’Amelia 1231 Il Parlamento di Firenze capitale (1865-1870): rappresentazioni di genere e della politica tra giornalismo e letteratura Maria Teresa Mori 1 247 Tra eloquenza, eroismo e caricatura. Ritratto ideale del deputato nell’Italia del 1848 Alessio Petrizzo LE DONNE E IL CONCILIO a cura di Liviana Gazzetta 1261 Le Democristiane e il Concilio Tiziana Noce 1 279 Femminismo e cattolicesimo del dissenso: appunti per una ricostruzione storica Roberta Fossati
1 286 Le suore missionarie comboniane, l’Africa, il Concilio Vaticano II Valentina Catania 1 297 Virgo et sacerdos. La questione del sacerdozio femminile al Concilio Vaticano II Liviana Gazzetta 1310 Considerazioni conclusive Anna Scattigno ABITARE LO SPAZIO PUBBLICO.
PERCORSI DI GENERE DALLA CURA AL PROGETTO
a cura di Claudia Mattogno, Paola Di Biagi 1317 Introduzione. Temi di discussione e ragioni del panel Claudia Mattogno 1332 Per una filosofia della cura Elena Pulcini 1342 Sapere femminile e cura della città Ida Faré 1 349 Abitare la quotidianità: dallo spazio domestico allo spazio pubblico Paola Di Biagi 1357 Soluzioni abitative innovative per comunità condivise: uno sguardo di genere Assunta D’Innocenzo 1372 Le dimensioni della cura. Welfare e città nei dibattiti dell’UDI a cavallo degli anni Sessanta Cristina Renzoni 1379
Autori
il genere nella ricerca storica
PRESENTAZIONE
Assumere le donne come soggetto e oggetto di discorso significa porsi il problema di ridiscutere gli stessi fondamenti epistemologici della dimensione simbolica e genealogica del femminile, formulare nuove ipotesi, nuove esplorazioni, interrogandosi preliminarmente sulla consistenza e sulla resistenza della tradizione del sistema simbolico androcentrico sin qui, con la consapevolezza, inoltre, che molto sapere femminile è stato affidato alle pratiche, è un sapere di esperienza, di relazione, di modalità espressive che difficilmente si riesce ad esplicitare senza correre il rischio di depauperarne il carattere primario di conoscenza vissuta e sperimentale. Il problema della trasmissione dei saperi non può prescindere, quindi, dalla critica delle definizioni autoreferenziali dei saperi dominanti che continua a essere fonte di semplificazioni, perché si pone in stretto collegamento con quello della ricognizione della storicità originale dei saperi delle donne e della trasmissione generazionale della memoria. Per cogliere il significato del passato, del tempo trascorso nel presente, bisogna necessariamente puntare sulla genealogia, reinterpretando il passato a partire dal presente: se per memoria intendiamo “rimembrare”, significa che è imprescindibile “saper rimettere insieme i brandelli” di un flusso continuo di vita che è l’esperienza femminile vivente, recuperandola dal groviglio delle tradizioni omologate fin qui, affermando con forza la falsità di ogni forma di pensiero neutrale, per rileggere e diffondere un vastissimo patrimonio che impone, necessariamente, il coraggio di nuovi approcci di interpretazione e di nuovi orientamenti di critica e di metodo. Per questo siamo grate, riconoscenti e debitrici alle studiose della SIS per aver affrontato per prime la questione di un nuovo approccio alla ricostruzione della storia delle donne, alla storia di genere, togliendola dagli scaffali polverosi in cui era stata relegata e mettendola in prima vista, analizzando figure e movimenti, ma delineando soprattutto un nuovo metodo di ricerca e di confronto con la storiografia patriarcale. Anche noi, da Padova, seguendo le vostre orme, a partire dal 2003, dieci anni fa esattamente, abbiamo provato a sperimentare
saveria chemotti
e a ricercare parole nuove con le iniziative e i convegni realizzati dal Forum d’Ateneo per le politiche e gli studi di genere, grazie al contributo ideativo e organizzativo delle sue componenti, e abbiamo privilegiato il confronto interdisciplinare come elemento cardine del nostro approccio alla storia e alla cultura delle donne, cercando così di contribuire anche a scardinare la resistenza dei tradizionali canoni disciplinari, tema dopo tema. Trarremo da questo vostro convegno nuove proposte, nuovi stimoli, nuovi percorsi di attraversamento di un arcipelago di scritture che dobbiamo restituire prima di tutto a noi stesse per trasmetterle alle nuove generazioni. La scrittura delle donne, infatti, ha offerto nel corso dei secoli una produzione molto ampia di testi, ricca sia come quantità che come qualità, che si configura come patrimonio di voci disperse, spesso dimenticate o perfino sconosciute. Riscoprire questi testi, variegati e compositi, che si dipanano tra forme creative e forme memorialistiche o di reportage (romanzi, racconti, biografie, diari, libri di viaggio, giornali, strenne, pamphlet, saggi di critica storica e di critica d’arte, graffiti e fumetti) significa rivelare una collezione prestigiosa di opere d’ingegno di singolare bellezza e intensità sia per l’intreccio dei generi sia per la prospettiva degli sguardi che si incrociano. Diversa per i temi, per i messaggi, per l’impasto stilistico da quella della tradizione maschile: scrutando la vita da un punto di vista altro, la scrittura delle donne è sempre scrittura originale che penetra gli avvenimenti della storia pubblica e di quella privata, coglie e descrive la sfera della propria quotidianità e della propria soggettività come specchio e riflesso della scansione di giorni circoscritti nella storia, non immobili. Pur nello spazio breve in cui è spesso segregata e costretta dalla storia, la donna costruisce un discorso che può nascere come pulsione, riflesso ed eco della sua interiorità, della sua identità, dei suoi orizzonti e valori, ma che si dilata oltre la vita singolare entro risonanze e interrogativi plurali che interpretano la realtà degli altri e delle altre e coinvolgono l’assetto e le manifestazioni della società in cui vive. Per questo la rappresentazione dei gesti, dei luoghi, degli oggetti, della realtà storica viene filtrata, riflessa nella “verità” soggettiva che coglie non l’“attimo qualunque”, ma la pienezza e la profondità di ogni istante della vita di chi scrive e suggerisce spesso una sintesi straordinaria e complessa di relazioni e di genealogie culturali e letterarie, ma anche di differenze, esclusioni, soglie, silenzi, frontiere e macerie, vuoti, assenze, presenze, vincoli biologici e trame dell’immaginario che sono ricreati, anzi intagliati e tessuti sulla pagina così che la ricerca ha, in tale dimensione, una particolare rilevanza perché ricostruisce le percezioni soggettive della Storia attraverso racconti non neutri, ma sessuati e desideranti. Per questo la scrittura delle donne non si esprime mai dentro l’anonimato tradizionale; aderisce con concretezza alla semplicità delle cose, ma comunica
presentazione
una visione rigorosa e immediata del senso profondo della vita, interagendo, quasi in cortocircuito, con gli avvenimenti interni ed esterni, e non si può ridurre dentro il mero tracciato delle emozioni, del vissuto autobiografico o dell’impeto militante o esclusivamente rivendicativo, così come si è giudicato con grande supponenza per anni, sottovalutandone esplicitamente l’innovativa e complessa ricchezza espressiva e documentaria. La forza che la caratterizza proviene dalla grafia eccentrica, unica e irripetibile di chi scrive perché rivela la sua capacità di mantenere una distanza critica dal presente e cioè di coniugare «agire e pensare» con il «proprio sentire», emancipandosi dal potere e dalle egemonie delle conoscenze diffuse e dei saperi acquisiti. Accostarsi ai testi originali delle donne potrà ri-velare gli infiniti e sconosciuti (rimossi o cancellati) transiti tra microcosmo e macrocosmo compiuti nel corso dei secoli. Sono memorie di riflessioni quotidiane, di analisi sociali e di progetti politici, in cui si mescolano temi civili e temi sentimentali, storie di successi e di fallimenti, di scelte e di incertezze, di passioni e di convinzioni, di desideri, di affetti, di gusti, di opinioni, di ruoli: collocandole una accanto all’altra forse potremo provare a ridiscutere i confini stessi della nostra storia, componendo un disegno che riveli l’identità più autentica del nostro passato per consentirci di rivolgere lo sguardo a un futuro da protagoniste. Saveria Chemotti Delegata per la cultura e gli studi di genere Università degli Studi di Padova
«GENESIS» E LE RIVISTE EUROPEE DI STORIA DELLE DONNE a cura di Ida Fazio
INTRODUZIONE Ida Fazio
Il panel plenario su «Genesis» e le riviste europee di storia delle donne e di genere ha celebrato il decennale di «Genesis. Rivista della Società Italiana delle Storiche», invitando sei riviste europee a confrontarsi con «Genesis» a proposito della loro evoluzione e trasformazione negli anni in cui il lavoro delle riviste è giunto a maturità e si è profondamente modificato rispetto alle esperienze delle origini, mentre nel contempo si sono avviate nuove esperienze di riviste transnazionali. Oltre a Giulia Calvi, attuale direttrice di «Genesis», sono intervenute Eleanor Gordon per «Gender and History», Christiane Klapisch-Zuber per «Clio. Histoire, Femmes et Sociétés», Margareth Lanzinger per «L’Homme», Didier Lett per «Genre&Histoire», Barbara Spadaro per «Genre et colonisation/Gender and colonization», Rosamaria Cid per «Arenal». Il confronto si è articolato attorno alla proposta di una griglia comune di interrogativi che, partendo dalla situazione del percorso di ricerca intrapreso dalle donne nei diversi contesti locali, si sono concentrati sui rapporti di circolazione del sapere non più nazionali, ma europei, internazionali e globali. Quali cambiamenti hanno vissuto le riviste a partire dalle intenzioni che ne avevano animato la fondazione? Quali le criticità di un simile processo, e, nello stesso tempo, quali invece le novità, inaspettate o attese? Pubblichiamo qui di seguito quattro dei contributi prodotti in occasione del panel plenario, da cui emergono una vitalità e una particolare ricchezza di temi e di aperture problematiche, insieme a una significativa sincronia in direzioni condivise, pur nella specificità delle caratterisitiche di ogni contesto.
Dobbiamo lo scritto sulla rivista «Arenal» alla co-direttrice Cándida Martínez López, che ringraziamo.
«Genesis» e la storia delle donne e di genere, in Europa e oltre Giulia Calvi
A festeggiare i dieci anni di «Genesis» e i venti volumi pubblicati siamo una redazione quasi interamente nuova rispetto a quella che ci ha preceduto, e dunque con un carico di lavoro e di responsabilità culturale assai minore rispetto alle redazioni e alle direzioni che si sono susseguite. Fra tutti i gruppi redazionali e la Società Italiana delle Storiche c’è stato e c’è un rapporto osmotico, proficuo e profondo che il primo editoriale del 2002 ricorda, attribuendogli un valore peculiare nel percorso della storia delle donne e di genere in Italia dal 1989. «Genesis» è una rivista che privilegia la continuità. La sua struttura non è mai cambiata in questi dieci anni, eccezion fatta per qualche variazione nelle rubriche, e di fatto rappresenta il punto di maggiore visibilità e durata nel tempo della ricerca sulla storia delle donne e di genere in Italia. Il fascicolo doppio, Culture della sessualità, a cura di Enrica Asquer, continua in direzione dell’internazionalizzazione avviata dalla redazione precedente e da Andreina de Clementi, che ha introdotto il call for papers e, negli ultimi tre anni, il sistema di double blind peer review. A partire da Culture della sessualità «Genesis» inizia a pubblicare contributi in inglese, francese e spagnolo, allineandosi con quanto avviene in altri paesi europei e nelle principali riviste di storia. Con quest’ultimo numero doppio «Genesis» recupera del tutto il lieve ritardo accumulato in passato ed è oggi autonoma finanziariamente, grazie agli abbonamenti delle socie. Vorrei ancora una volta dare valore a questo legame con la SIS, fondamentale per la vita di «Genesis». In occasione del decennale della rivista e della tavola rotonda che ha ospitato al Congresso sia alcune delle più consolidate riviste europee, sia la più recente e aperta ai nuovi temi della storia extraeuropea e del colonialismo, mi soffermerò sul filo rosso che lega «Genesis» alla ricerca che si fa oggi in Europa e nel mondo. Rifletterò dunque su alcune sintonie, aperture e trasformazioni che connettono la tradizione e dunque il passato della rivista al suo presente e al suo futuro. Stiamo attraversando una fase di profonda trasformazione nella produzione di ricerca storica a livello internazionale si accompagna e si intreccia a un mercato intellettuale che si muove oltre l’Europa e a una diaspora che ha coinvolto studiose e studiosi extra europei soprattutto verso gli USA e coinvolge le giovani generazioni intellettuali anche in Italia oggi. La trasformazione dei linguaggi, delle pratiche della ricerca e della conservazione documentaria (digitalizzazione), e una politica editoriale sempre più diffusa di open access hanno radicalmente trasformato non solo la produzione e il consumo di storia, ma
«genesis» e le riviste europee di storia delle donne
anche l’agenda stessa della ricerca. Queste trasformazioni e questi percorsi accidentati, ma ricchi di innovazione, sono visibili fra le socie più giovani della SIS e nella nostra redazione. «Genesis» è e vuole essere una rivista sperimentale ed eclettica: capace di misurarsi su più piani in tensione ed evoluzione fra loro, ma senza soluzione di continuità rispetto al passato. Le sue pagine hanno rappresentato negli anni una tradizione italiana di studi, vicina ad alcune aree europee (come testimonia il numero delle «Annales» curato da Didier Lett). Le peculiarità di questa tradizione, agli inizi radicata soprattutto nella ricerca sulla prima età moderna, sono: un forte radicamento in una storia sociale poco sensibile alla cultural history e attenta a una dimensione pragmatica della ricerca e dei suoi oggetti studiati attraverso il costruirsi delle pratiche, delle circolazioni dei saperi, delle relazioni e dei networks, e in cui l’ibridazione fra genere e storia delle donne ha permesso un’articolazione “morbida”, come scrive Angela Groppi, fra storia delle rappresentazioni e delle relazioni e storia sociale delle donne. Anche la multidisciplinarità e la lunga diacronia scandita da una sostanziale accettazione delle periodizzazioni convenzionali fanno parte di questa tradizione e di un uso storiografico che ha finito per prevalere nella scansione quadripartita di antica, medievale, moderna e contemporanea. Questa peculiarità è significativa se, come ha recentemente scritto su «History and Theory» Mary Louise Roberts, la gender history, nelle sintesi storiografiche più diffuse, fa parte della storia contemporanea, dalla Rivoluzione francese in poi. Nella pagine di «Genesis», il genere diventa strumento utile a ridefinire una storia fortemente contestualizzata entro un ventaglio variabile di scale di grandezza, dal locale, al nazionale, alla comparazione internazionale, più che una categoria discorsiva che decostruisce le mainstream narratives. Si apre alla storia comparata in diversi fascicoli: l’Italia e la Francia in Una donna un voto (2006), a cura di Vinzia Fiorino, e in Flessibili/precarie (2008) a cura di Anna Bellavitis e Simonetta Piccone Stella; l’Italia e la Spagna nel numero curato da Andreina De Clementi, Il mestiere di storica (2009). I confini sono ben tracciati e la comparazione si struttura attraverso entità prestabilite (i contesti urbani, istituzionali e nazionali). C’è poi un secondo filone di studi, vicino alla storiografia internazionale, ma che si ricollega anche a una serie di iniziative avviate dalla SIS in collaborazione con altre istituzioni e società scientifiche, che mette in primo piano lo spazio nel senso di attraversamento dei confini, geopolitici e simbolici, in vista di una storia transnazionale, costruita attraverso l’agency di soggetti in movimento. I movimenti politici delle donne, i movimenti LGBQT, i femminismi, che intersecano anche le conferenze internazionali: città del Messico, Nairobi, Pechino, e la più generale tematica dei diritti umani che comprendono quelli delle donne. La critica postcoloniale al femminismo e alle categorie analitiche occiden-
i. la storia delle donne in europa
tali sono al centro di questo filone che mette a tema lo spazio costruito dai movimenti, dai diritti e dalle conferenze internazionali. Il fascicolo curato da Silvia Salvatici, Profughe (2004), apre con questa riflessione: I venti milioni di profughi nell’Europa del dopoguerra costringono a ripensare categorie politiche consolidate (cittadinanza, diritti, stato-nazione, comunità politica) e a riformulare concetti come quelli di spazio e di confine, intesi sia nel loro significato geo-politico, sia nella loro accezione metaforica e simbolica di spazi e confini culturali e identitari. L’obiettivo è quello di avvalersi della prospettiva di genere per produrre una tensione continua fra la dimensione individuale, nazionale ed internazionale.
Un anno dopo, in Femminismi e culture. Oltre l’Europa (2005), Maria Clara Donato, muovendo dalle indicazioni della Piattaforma di Pechino, ferma lo sguardo sui movimenti di donne in Sud Africa, America Latina, Iran e Cina, su quel grande arco di possibili contesti in cui si colloca la disuguaglianza di genere che, su scala regionale e mondiale assume diversi aspetti, presenta problemi disparati e interconnessi, fra cui l’insorgere di nuove forme di disuguaglianza.
Un’ottica transnazionale e una tensione globale si accompagnano a un restringimento della scala temporale, che è contemporanea. Globale è il tempo presente. Come mantenere una temporalità lunga entro una storia che “oltrepassa i confini”? Quali aree d’indagine mettere a fuoco per progettare una storia di genere dei processi di globalizzazione? Le scansioni temporali, le periodizzazioni e le continuità che segnano le vicende dei movimenti politici vanno ripensate se la prospettiva transnazionale indaga i sistemi matrimoniali, familiari e lavorativi; le forme e i luoghi della segregazione di genere nella costruzione degli stati; il nesso religione-politica nella esperienza storica degli imperi e poi dei colonialismi; il corpo nel suo diventare “moderno” e dunque soggetto di pratiche e resistenza, ma anche oggetto di manipolazione, scienza e disciplinamento in contesti europei ed extraeuropei. Come sappiamo da molta storiografia europea e anglo-americana, le forme e il controllo dell’intimità e della sessualità sono intrecciate ai discorsi sulla razza e alle molteplici dinamiche del potere nei contesti extra-occidentali. La complessità dei regimi patriarcali indigeni, in tensione con quelli occidentali, apre uno straordinario campo di studi in cui il genere è una categoria fondante per ridefinire la stessa storia dell’Occidente. Il ripensamento e la critica al concetto di modernità sono al cuore di questi studi in ambito internazionale e le categorie cronologiche convenzionali, con le loro partizioni accademiche, andranno ridefinite. In questa direzione si muove il fascicolo Conversioni a cura di Giulia Calvi e Adelisa Malena (2007) introducendo una prospettiva transnazionale diacronica che attraversa l’età moderna e contemporanea. Il collante sta nella scansione biografica dei singoli contributi, in cui, come scrive Adelisa Malena,
«genesis» e le riviste europee di storia delle donne le conversioni sono storie, vissute e raccontate di frontiere e confini varcati, percepiti e ridefiniti: confini tra culture diverse, tra un sé e un altro da sé, tra un prima e un dopo, tra un dentro e un fuori. La conversione sembra configurarsi, in senso lato, come esperienza di tali confini e di una condizione di liminalità, dove ibridazione e sincretismo religioso e culturale s’intrecciano a una complessa integrazione di minoranze religiose.
Una storia politica dei movimenti internazionali e transnazionali delle donne in età contemporanea si ripropone in Femminismi senza frontiere (2009) a cura di Elisabetta Bini e Arnaldo Testi, che ribadiscono: Questo interesse è in parte legato alla più generale messa in discussione della nazione come oggetto di studio privilegiato, nel momento in cui i processi economici, politici e sociali legati alla globalizzazione evidenziano l’importanza, anche storica, dei legami tra gruppi e istituzioni a livello sovranazionale, regionale e locale, ponendo l’accento sulla molteplicità delle esperienze storiche e sulle reciproche influenze tra gruppi e regioni, e all’interno di estensioni spaziali – quali gli imperi – non riducibili alla nazione. La critica post coloniale, le conferenze dell’Onu a partire da quella di Città del Messico, e i movimenti lgbtq hanno trovato nella dimensione inter/transnazionale uno spazio di azione necessario per mettere in discussione le forme di discriminazione ed esclusione presenti a livello nazionale. Forse più di altri gruppi, essi si sono costituiti da subito come una comunità globale, se pur differenziata al proprio interno, che trascende i confini nazionali.
Infine, il primo numero della attuale redazione Oltre i confini (2011), a cura di Elisabetta Bini, Teresa Bertilotti, Catia Papa, richiama – come leggiamo nell’Introduzione delle tre curatrici – una complessa geografia di luoghi fisici, circuiti relazionali e rappresentazioni identitarie che ammettono, e al tempo stesso trascendono, il contesto nazionale quale “unità di misura” dei processi culturali e delle soggettività politiche. Oltrepassando la storia comparata, il volume propone un’analisi attenta agli scambi, agli influssi reciproci, alle appropriazioni o agli scarti e ai conflitti portati dalla globalizzazione, alle migrazioni e alle nuove forme di soggettività politica, interrogando l’interscambio fra il femminismo italiano degli anni Settanta e Ottanta, in cui le tematiche coloniali e razziali sono passate sotto silenzio, e l’area balcanica, il femminismo lesbico americano e il gruppo francese di “Psycanalyse et politique”. Il corpo è al centro di Culture della sessualità, a cura di Enrica Asquer (2012), che si pone nella prospettiva di un’indagine che attraversa le discipline (la medicina, il diritto, le fonti orali, la teoria queer, la produzione artistica), i contesti (gli Stati Uniti degli anni Sessanta, l’Italia degli anni Settanta e Ottanta; il Libano e l’Egitto contemporanei), gli orientamenti sessuali (intersessualità) per proporre un’agenda volta alle pratiche politiche ed alle forme esperienziali di sapere queer fra Europa e Stati Uniti, piuttosto che a un discorso identitario,
i. la storia delle donne in europa
in questo riallacciandosi a quanto anticipato nel 2009 in Femminismi senza frontiere. Il numero interroga il Novecento, secolo per eccellenza della liberazione sessuale, ma anche periodo di ambivalenze, backlashes. L’attraversamento dei confini che definiscono l’eteronormatività, il desiderio, le classificazioni e gli universali, è ancora una volta, una storia del tempo presente.
Infine Ecostorie. Donne e uomini nella storia dell’ambiente, a cura di Stefania Barca e Laura Guidi (dicembre 2013), vuole riflettere sulle interazioni possibili tra storia di genere e storia dell’ambiente attraverso un’ampia varietà di temi, aree geografiche ed epoche storiche, studiando, fra l’altro, i tratti distintivi dell’esperienza femminile e maschile in contesti coloniali e postcoloniali: nella trasformazione agro-ecologica nelle colonie; nei movimenti di rivendicazione dei diritti indigeni; nelle strategie militari finalizzate alla distruzione delle condizioni ecologiche di esistenza; nella messa in atto di “grandi opere” capaci di stravolgere interi ecosistemi nell’ambito di strategie politiche/di potere. Il primo numero del 2014, Donne migranti fra passato e presente, a cura di Maria Rosaria Stabili e Maddalena Tirabassi, pone al centro della ricerca e della riflessione le esperienze femminili di dislocazione e le trasformazioni nelle relazioni di genere che l’esperienza migratoria produce. Il numero si propone di rielaborare e ridefinire concetti e categorie analitiche per la lettura dei fenomeni migratori più recenti: le migrazioni interne e le immigrazioni, con particolare attenzione ai rapporti intergenerazionali e alla dimensione esperienziale e soggettiva. In sintesi «Genesis» ha due anime: una si definisce attraverso l’analisi del contesto, la centralità del sociale e il tempo lungo, l’altra attraverso lo spazio, la centralità dei movimenti e dei diritti, il tempo breve. La biografia e la soggettività intersecano tutte e due le anime, attraverso la dimensione micro del caso di studio e dell’esperienza. La costruzione storica dello spazio come luogo dell’attraversamento dei confini geopolitici e simbolici dà vita oggi ad un’epistemologia dello scambio, dell’ibridazione e della risignificazione del sé attraverso l’altro, a una scrittura della storia sperimentale e alla costruzione di archivi in cui l’ordinamento dello Stato nazionale fa problema, e in cui il genere diventa uno dei criteri di organizzazione della memoria pubblica. Una progressiva convergenza fra le due anime di «Genesis», che a tutt’oggi rimangono separate, mi sembra una delle vie più fruttuose di innovazione e creatività da percorrere negli anni futuri.
De «Clio. H.F.S.» à «Clio. F.G.H.» Christiane Klapisch-Zuber
La revue «Clio. Histoire, Femmes et Sociétés» est une dame mûre. Sinon par ses années d’existence, 18, qui la font tout juste atteindre la majorité légale, du moins par le nombre de ses numéros, 37 numéros «révolus» aujourd’hui. Sur son berceau s’étaient penchées deux fées tutélaires: Françoise Thébaud et Michelle Zancarini-Fournel, à l’initiative desquelles le projet prit forme dès 1994, et qui bientôt convoquèrent quelques adjuvantes, au nombre de sept, pour constituer le premier comité de rédaction. Ce fut en effet une entreprise née de volontés individuelles, sans lien institutionnel, sans armature associative, sans subventions ni espace propre. L’ambition était certes de promouvoir et diffuser les travaux en histoire des femmes et du genre, de faire accéder à la conscience des historiens de métier et à un public plus large la légitimité de ces dimensions dans l’analyse des phénomènes historiques. Nous étions toutes les neuf historiennes de formation, l’une d’entre nous pourtant, Agnès Fine, ajoutait à cette qualité les compétences de la sociologue, la démographe, l’anthropologue. La revue se voulait trans-périodes, Claudine Leduc faisant office de “représentante” des cultures antiques et moi des médiévales. Le poids de la contemporanéité, exprimé par les spécialités ou les intérêts des membres de ce premier comité de rédaction, en fidèle écho de l’immense majorité des recherches en cours, s’exprimait bien dans sa composition: il reflétait en effet très exactement l’histoire des études féministes et des études sur les femmes (on ne parlait guère encore du genre) dans la France du début des années 1990. Fidèles à notre vocation d’historiennes, nous nous sommes penchées sur notre court passé à diverses reprises. Notamment, pour nos cinq années de vie et ses dix premiers numéros, nous avions organisé en 2000 à Lyon une discussion du type de celle que notre cadette, Genesis, encore en gestation à l’époque, a organisée aujourd’hui à Padoue. Nous avions alors réuni les représentant-e-s de six revues étrangères d’histoire des femmes, toutes nées à la fin des années 1980 et dans les années 1990, et de sept revues généralistes françaises qui s’ouvraient (plus ou moins) à ce champ de recherche. Les textes de ces interventions ont été publiés dans le numéro 16 (2002) de «Clio. H.F.S.». À l’occasion de ses dix ans, «Clio» a de nouveau sollicité, en 2006, retour sur soi et regards extérieurs critiques. Les revues amies qui avaient répondu à notre invitation en 2000 («Gender and History», «L’Homme», «Arenal») sont ici aussi, à Padoue, pour faire le point. S’ils ne se limitent pas à se décerner des satisfe-
i. la storia delle donne in europa
cit, ces rencontres sont l’occasion de confronter les expériences et de mesurer aussi le chemin parcouru entre deux étapes, bref de dresser d’utiles bilans. Dans les douze années suivantes, des innovations sont intervenues du côté de «Clio». Elles ont d’abord consisté dans l’élargissement du comité de rédaction. Il s’est ouvert, d’une part, à des historiennes et des anthropologues spécialistes de cultures éloignées (Afrique, Amérique du sud); d’autre part, il s’est accru de nouvelles voix anglophones. Enfin, il a sauté le pas et a intégré des hommes, faisant tourner court la critique de l’entre-soi féminin, du ghetto de femmes, qui faisait les beaux jours de certains collègues et comités universitaires. Il comprend aujourd’hui dix-sept membres, nombre limite pour son bon fonctionnement, mais nombre nécessaire pour répondre aux nouvelles attentes que je vais évoquer. La seconde innovation formelle a été la mise on line des numéros de la revue. Après quatre années de latence où ne sont accessibles en ligne que les éditoriaux et les comptes rendus, la version intégrale des articles peut se lire sur le site (gratuit) clio.revues.org pour les seize premières années d’activité (1995-2009, numéros 1 à 30). En accès payant, l’ensemble des numéros est lisible sur le portail CAIRN. Par ailleurs, la revue connait ces temps-ci des mutations considérables. Ce n’est pas que le contexte académique français ait profondément changé: la suspicion, la dérision, un certain dédain sont en France toujours rampants face aux études historiques de genre et aux prétentions des femmes à avoir une histoire et à la «faire», dans tous les sens du mot. «Clio. H.F.S.» cependant a contribué à mieux faire admettre en France la légitimité de l’analyse de genre et les thèmes de recherche qui font passer les femmes dans la lumière de perspectives historiques. Bien qu’on constate toujours dans la plupart des revues d’histoire des «bilans qualitatifs oscillant dans une marge étroite, allant de l’absence à la parcimonie», voire la tendance à renvoyer à une revue comme «Clio. H.F.S.» les articles qui leur sont proposés en histoire du genre et des femmes, les «Annales HSS» ont récemment donné le bon exemple, en consacrant un numéro propre – ou une partie de numéro – à ces problématiques. «Clio. H.F.S.» s’est taillé une place respectée, semble-t-il, dans le concert des périodiques scientifiques, les classements officiels en font foi et plus encore l’offre que le Centre National de la Recherche Scientifique lui a récemment faite. L’histoire des femmes ne peut plus être considérée en France «comme une affaire des femmes », voire une histoire de (bonnes) femmes... En effet, au moment même où nous allions passer des Presses Universitaires du Mirail, à Toulouse, qui nous avaient éditées depuis 1995 chez un éditeur privé, Belin, pour essayer d’élargir notre diffusion – proposition assortie d’un remaniement du titre, devenu «Clio. Femmes, Genre, Histoire» –, le CNRS nous a proposé de sortir du «carcan» linguistique du français, de moins en moins
«genesis» e le riviste europee di storia delle donne
appris et lu dans le monde, et d’offrir une version anglaise des articles principaux de chaque numéro en préparant une publication en ligne qui sortirait en même temps que la revue en français sur papier. Cette politique de traduction simultanée doit être subventionnée par le CNRS pendant plusieurs années, mais il est évident qu’elle va redoubler les tâches du comité de rédaction et nécessiter un gros effort, en particulier de celles d’entre nous qui sont anglophones. Parallèlement, toutefois, pour la première fois dans son existence «Clio» va pouvoir s’appuyer sur une secrétaire de rédaction, à temps partiel, ce qui n’a jamais été le cas jusqu’à aujourd’hui, chacun-e de nous faisant office d’éditeur-e et rédacteur-e en chef, collectivement ou à tour de rôle, selon le numéro thématique dont il ou elle a la responsabilité. On peut donc penser que les instances dirigeantes de la recherche française admettent que «Clio» a fait un certain travail en matière d’encouragement et de diffusion des travaux français sur l’histoire du genre et des femmes tout en estimant que cette diffusion est trop enfermée dans l’Hexagone. Aux yeux de ces instances, il deviendrait alors nécessaire de faire connaître en dehors des milieux francophones les travaux développés dans les deux dernières décennies en France. Si notre objectif reste celui qui fut à l’origine de «Clio», à savoir «intégrer l’histoire des femmes et du genre à l’histoire générale, à la recherche et à l’histoire enseignée» en entendant ces recherches «non comme un nouveau territoire mais comme une nouvelle approche qui, en conceptualisant la différence des sexes, interroge l’ensemble de la discipline », il faut espérer que l’esprit dans lequel l’entreprise fut lancée et a vécu d’heureuses années d’échanges et d’engagements ne se tarira pas dans ces restructurations et face à ces nouvelles missions. Nous avons toujours pensé que «la meilleure compréhension des relations entre les hommes et les femmes et de la structuration de genre dans le passé» devait aussi tendre à «créer un monde plus égalitaire ». Souhaitons que cette prise de conscience se généralise dans nos sociétés fatiguées.
«Le Coloriste Enlumineur». Una rivista, le donne e il revival della miniatura nella Francia della fine dell’Ottocento Giulia Orofino
Dopo gli interessi antiquari e collezionistici del XVIII secolo e prima di entrare a pieno titolo e con autonomia nella storia dell’arte – non più quindi in rapporto ancillare con la paleografia, la pittura, la documentazione storica e di costume – nell’Europa occidentale della seconda metà del XIX secolo la miniatura diventa una componente strutturale dell’identità sociale e culturale femminile. Sia come consumatrici che come esecutrici, le donne contribuiscono a fissare sulle pagine dei libri, riprodotti o imitati, tutta la polisemia del Medioevo modernamente rigenerato: pretese legittimiste e utopie progressiste, trionfalismo cattolico e soprattutto celebrazione di domestiche virtù. Ciò che, nell’Europa borghese, rende la miniatura l’art des femmes par excellence è soprattutto la sua diffusione in ambiti privati, il suo farsi specchio di una dicotomia sociale di genere, che finisce con investire anche la divisione delle arti. Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie ai progressi delle tecniche di riproduzione, dalla litografia alla cromolitografia alla fotografia, il manoscritto antico esce dai circoli esclusivi dei gentlemen-conoscitori per raggiungere un mercato decisamente più largo.
Si ripropone qui in parte un tema da me già trattato nel saggio Femmes au foyer-femmes cloitreés. Le donne e il revival della miniatura medievale tra Otto e Novecento, in Medioevo: arte e storia, Atti del X Convegno internazionale di studi (Parma, 18-22 settembre 2007), a cura di A.C. Quintavalle, Milano, Electa, 2008, pp. 637-647, aggiungendo in appendice un breve estratto dal lavoro di ricerca condotto da Lucia Vendittelli per la sua tesi di laurea magistrale «Le Coloriste Enlumineur» e il revival della miniatura nell’Ottocento, discussa presso l’Università di Cassino e del Lazio meridionale, a.a. 2011/2012, relatore Giulia Orofino. E. Castelnuovo, La cattedrale tascabile. Miniatura e vetrate alla luce della storiografia ottocentesca, in Id., La cattedrale tascabile, Scritti di storia dell’arte, Livorno, Sillabe, 2000, pp. 207-212; Manuscript Illumination in the Modern Age: Recovery and Reconstruction, eds S. Hindmann, N. Rowe, Evanston, Mary and Leigh Block Museum of Art, 2001. Per una lettura di genere del fenomeno si veda J. de Maeyer, Des vierges et des manuscrits dans des châteaux et des abbayes. Réalité médiévale ou fiction romantique?, in The Revival of Medieval Illumination. Renaissance de l’enluminure médiévale. Manuscrits et enluminures belges du XIXe siècle et leur contexte européen, eds T. Coomans, J. De Maeyer, Leuven, Leuven University Press, 2007, pp. 63-77; I. Saint-Martin, Rêve mèdiéval et invention contemporaine. Variations sur l’enluminure en France au XIXe siècle, in The Revival of Medieval Illumination, cit., pp. 109-135: 126-128. M. Camille, The Très Riches Heures: An Illuminated Manuscript in the Age of Mechanical Reproduction, «Critical Inquiry», 17, 1990, pp. 72-107; S. Hindmann, M. Camille, Reproductions. Transmission of Manuscript Illumination in the Nineteenth Century, in Manuscript Illumination in the Modern Age: Recovery and Reconstruction, cit., pp. 103-175.
ii. identit
In Inghilterra a partire dal 1860 e in Francia dal 1880-1890 intorno alla miniatura si sviluppa una vera e propria industria che va dall’edizione di manuali, guide e brevi sintesi storiche divulgative all’indotto dei corsi pratici e dei prodotti del fai-da-te. Nel giro di soli quattro anni in Francia escono tre riviste specializzate: la prima, «L’Enlumineur», è fondata nel 1889 da Joseph Emmanuel van Driesten e da Alphonse Labitte, che nel 1894 edita anche «Le Manuscrit: Revue spéciale de documents, manuscrits, livres, chartes, autographes etc.». Abbandonata la rivista diretta con Labitte, nel 1893 van Driesten ne lancia una sua, «Le Coloriste Enlumineur» . Il boom dell’offerta risponde evidentemente a una domanda reale e diffusa da parte di un pubblico che ha voglia di imparare, a cui bisogna fornire modelli e di cui occorre formare il gusto. È un pubblico prevalentemente amatoriale: nel primo editoriale del «Coloriste» Louis Cloquet promette «de n’être pas ennuyeux comme un archéologue» e aggiunge «je ne perdrai jamais de vue que le public distingué... je le sais, n’aime pas les pédant et ne raffole pas des érudits» . La rivista non solo pubblica articoli divulgativi sulla storia della miniatura, ma soprattutto offre strumenti e metodi pratici per imparare a decorare libri da messa, di matrimonio, di prima comunione, ma anche inviti e menu; i lettori possono acquistare per corrispondenza riproduzioni da imitare e chiedere consigli attraverso una utile rubrica di domande e risposte. È un pubblico formato soprattutto da donne. La copertina neogotica dell’«Enlumineur», nata come accompagnamento ai corsi di enluminure per dames che van Driesten dal 1888-1889 aveva cominciato a tenere a Parigi il martedì e il giovedì mattina, al prezzo di 7,5 franchi al mese, mostra una giovane scriba nel suo studio, una Christine de Pizan messa in posa, con tanto di levriero, per un’illustrazione di moda del XIX secolo (fig. 1). R. McLean, Victorian Book Design and Color Printing, London, Faber & Faber, 1963, in part. pp. 60-80; S. Hindmann, M. Camille, Reproductions. Transmission of Manuscript Illumination in the Nineteenth Century, cit., pp. 133-134, 149-151; R. Watson, Publishing for the Leisure Industry. Illuminating Manuals and the Reception of a Medieval Art in Victorian Britain, in The Revival of Medieval Illumination. Renaissance de l’enluminure médiévale. Manuscrits et enluminures belges du XIXe siècle et leur contexte européen, cit., pp. 79-107. L. Morowitz, A Home is a Woman’s Castle: Ladies’ Journals and Do-It-Yourself Medievalism in Fin-de-Siècle France, «Nineteenth Century Art Worldwide. A Journal of Nineteenth Century Visual culture», Autumn 2006, http://www.19thc-artworldwide.org/index.php/autumn06/159-a-home-is-awomans-castle-ladies-journals-and-do-it-yourself-medievalism-in-fin-de-siecle-france [ultima consultazione 2 agosto 2013]. Sul «Coloriste Enlumineur» si veda infra, l’Appendice di Lucia Vendittelli. «Le Coloriste Enlumineur», I, 1, 1893, p. 3. L. Morowitz, A Home is a Woman’s Castle: Ladies’ Journals and Do-It-Yourself Medievalism in Fin -de-Siècle France, cit.; I. Saint-Martin, Rêve mèdiéval et invention contemporaine. Variations sur l’enluminure en France au XIXe siècle, cit., fig. 6.14.
donne committenti e donne artiste fra codici ed epigrafi
Con processo inverso, la miniatura conquista le pagine dei periodici femminili, facendosi spazio tra il ricamo di un sacchetto profumabiancheria e i consigli per apparecchiare la tavola, tra la pubblicità di un corsetto e quella di un sapone. Come per tutti gli altri oggetti del Medioevo “domesticato”, dai bibelots alle finte vetrate che, incollate alle finestre, mascherano i tristi panorami della città industriale, è attraverso l’ouvrage des dames che le miniature, dopo aver arredato a inizio secolo le raffinate librerie à la cathédrale, i saloni e le finte rovine di Horace Walpole a Strawberry Hill, di Sir John Soane a Lincoln Inn Fields e di August W. Pugin a Scarisbrick Hall, vengono ora applicate a prodotti commerciali, dai menu dei ristoranti ai biglietti da visita, dalle cornici alle bomboniere, dai gettoni da gioco agli abat jour, una moda che presenta ancor oggi alcune sacche di resistenza, soprattutto nei paesi anglosassoni. La stampa incoraggia le donne non solo a decorare il loro regno, la casa, con riproduzioni di manoscritti medievali, ma a crearne esse stesse, riattualizzando un’arte che, mentre rinnovava antiche pratiche aristocratiche e attizza-
Si veda, tra gli altri, il «Journal des Ouvrages de Dames et des Arts Féminins. Revue mensuelle publiée sous la Direction de M.me Laure Tédesco», XVII, 201, déc. 1904, che alle pp. 470-474 ospita un articolo firmato Fulanos e intitolato L’enluminure. Son histoire - Ses procédés. Dopo una carrellata sulla storia, le tecniche e i protagonisti della miniatura soprattutto rinascimentale, l’autore (o autrice) segnala «et ceci intéressera particulièrement nos lectrices – la part prise par les femmes à la pratique de cet art charmant où beaucoup excellèrent. Des saintes, comme Mélanie et Césaire, des filles de roi comme Rathrude, des abbesses comme Harlinde, Reltilde, et la fameuse Herrade de Landsberg, Marguerite Van Eyck, ont exercé la légèreté de leurs doigts féminins à ces délicats travaux d’enluminure” e conclude affermando che «de nos jours ... beaucoup d’amateurs, de femmes, de jeunes filles, en confectionnant elles mêmes leur livre de messe, de mariage, de première communion, y trouvent une occupation et une récréation charmantes» (p. 474). Per il tema più generale del rapporto tra riviste femminili ed arte nel XIX secolo si veda A. Higonnet, Berthe Morisot’s Images of Women, Cambridge (MA) - London, Harvard University Press, 1994, p. 91 e T. Garb, Sisters of the Brush. Women’s Artistic Culture in Late Nineteenth Century Paris, New Haven - London, Yale University Press, 1994, in part. p. 54. E. Emery, L. Morowitz, Consuming the Past. The Medieval Revival in fin-de-siècle France, Aldershot 2003, pp. 61-84, fig. 3.6; E. Emery, L. Morowitz, From the living room to the museum and back again. The collection and display of medieval art in the fin de siècle, «Journal of the History of Collections», 16, 2004, pp. 285-309. A.N. Munby, Connoisseurs and Medieval Miniatures 1750-1850, Oxford, Clarendon Press, 1971, pp. 142-143; S. Hindmann, M. Camille, Specimens. Transformations of Illuminated Manuscripts in the Nineteenth Century, in Manuscript Illumination in the Modern Age: Recovery and Reconstruction, cit., pp. 47-101: 63; R. Watson, Publishing for the Leisure Industry. Illuminating Manuals and the Reception of a Medieval Art in Victorian Britain, cit., p. 80. L. Rousseau, Modèles de décoration moderne. L’Enluminure appliquée aux objects usuels, Paris, Henri Laurens, 1892; I. Saint-Martin, Rêve mèdiéval et invention contemporaine. Variations sur l’enluminure en France au XIXe siècle, cit., p. 130. Si veda ad esempio il sito di Cynthia Virtue, Modern Medieval Home. Being a Page of Suggestions and Techniques for bringing Middle Age decorative motifs into your own home: www.virtue.to/articles/ home_companion.html [ultima consultazione 2 agosto 2013].
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1. «L’enlumineur», copertina
donne committenti e donne artiste fra codici ed epigrafi
2. «Le Coloriste Enlumineur», II, 6, 1894, pl. I
vestire l’uniforme: mascolinità nel melodramma e costruzione dell’eroe risorgimentale Raffaella Bianchi
I ruoli maschili e femminili sul palcoscenico operistico sono tradizionalmente caratterizzati da ambiguità di genere, travestimenti e trasformazioni. Susan McClary pone questa libertà, di trasformazione nelle rappresentazioni di genere, in relazione al sapere medico antico. Galeno considerava gli apparati sessuali maschile e femminile come opposti. Quindi, da questa concezione della sessualità originerebbe, sempre secondo McClary, una rappresentazione teatrale di genere “al rovescio”. In altre parole la possibilità di ribaltamento dei ruoli femminili/ maschili sul palcoscenico viene legata alla concezione contemporanea della sessualità come rovescio. Inoltre, il concetto che il piacere femminile fosse condizione necessaria per procreare poneva un importante accento sul piacere. Ne conseguiva che il desiderio femminile doveva essere in qualche modo titillato nella/ dalla rappresentazione. In seguito, in particolare nel secolo dei lumi, si sviluppa il sapere anatomico e si affievolisce l’influenza delle concezioni mediche di Galeno. Gli apparati sessuali maschile e femminile non vengono più rappresentati come l’uno l’opposto dell’altro e si sviluppano nuove teorie per spiegare la procreazione nelle quali il piacere femminile non trova più posto. Queste differenti concezioni del genere biologico e della concezione riproduttiva sarebbero quindi, secondo la McClary, alla base del mutamento delle rappresentazioni nelle performances operistiche dove scompaiono i travestimenti di genere. La tesi è affascinante, tuttavia questi due mutamenti culturali avvengono a un secolo di distanza l’uno dall’altro. Infatti, mentre il concetto di sessualità di Galeno viene archiviato nel Settecento, sui palcoscenici dei teatri d’opera il mutamento non è ancora maturato: nel secolo dei lumi imperano i castrati. Con i loro corpi al di fuori dell’ordinario, che esulano dalla concezione della sessualità funzionale alla riproduzione, evirati cantori pongono l’ambiguità di genere proprio al centro della rappresentazione dell’opera. Nell’arte stravagante l’immaginario sessuale rimane ricco di allusioni performative al cui Un sentito ringraziamento a chi mi ha aiutato a sviluppare questi pensieri e a dargli una forma compiuta grazie a commenti e suggerimenti, mi riferisco in particolare a Simonetta Chiappini, Massimiliano Locanto, Michela Niccolai, Philip Gossett, Bruno Grazioli e Raffaele Taddeo. Ringrazio la Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” per aver acconsentito all’utilizzo delle immagini per questa pubblicazione a carattere scientifico. S. Mcclary, Feminine Endings: Music, Gender & Sexuality, Minneapolis & Oxford, University of Minnesota Press, 2002, pp. 35-53.
dal castrato alla rock star
centro si situano il corpo e la voce del cantante. Sarà così ancora per tutto il secolo, fino ai primi decenni dell’Ottocento. Se la voce del castrato è un mistero insondabile e carico di fascino ancora per gli studiosi contemporanei, anche il corpo del cantante assume delle caratterizzazioni di genere attraverso i costumi e i travestimenti teatrali, in un gioco carnevalesco ricco di allusioni e di capovolgimenti di senso che liberano desideri sociali e sessuali nel pubblico. Il fenomeno del travestitismo dei ruoli sopravvive ai castrati. Sarà solo con il melodramma ottocentesco che l’opera acquisirà un codice di rappresentazione di genere più rigido, nel quale il sesso del cantante e quello del personaggio che interpreta divengono rigidamente univoci. Questo asincronismo tra l’introduzione di nuove nozioni mediche e il cambiamento di modalità performativa di genere fa riflettere. Sembra, dunque, di non poter ascrivere il mutamento di cui parla la McClary all’introduzione di un concetto medico illuministico che, nell’Ottocento, non rappresentava più una novità ed era, altresì, appannaggio di pochi. Ritengo, invece, che l’opera venga influenzata da altri fenomeni di moralizzazione della società borghese. In particolare, il mio contributo suggerisce che più che a un mutato cambiamento del concetto della sessualità, i ruoli maschili e femminili vengano ad assumere caratteristiche differenti in un contesto storico preciso, quello dell’età delle rivoluzioni borghesi. Si tratta di una ricerca in corso d’opera che si sofferma in particolare su alcuni cenni di genere relativi a un mutamento nella gerarchia delle voci e su come a questo cambiamento si accompagni anche una trasformazione dei costumi sui palcoscenici operistici della Penisola. I costumi di scena divengono qui rappresentazioni dei (mutati) costumi della società del tempo; con essi muta anche la rappresentazione della mascolinità. disambiguamento della mascolinit: l’eroe in pantaloni I castrati furono a lungo le star del teatro d’opera. Diverse sono le cause che hanno portato alla scomparsa della pratica dell’orchiectomia sui giovani cantori. Nel suo pioneristico saggio sulla condizione sociale dei cantanti d’opera John Rosselli individua, tra gli altri, un mutato clima culturale legato anche a una più prospera condizione economica della penisola italiana che indusse
Si veda per esempio il tentativo di riprodurne la voce nell’affascinante documentario narrato dallo storico della musica Nicholas Clapton, J. Wake, Castrato, London, BBC documentary, 2006. Per questa funzione del carnevale si veda il classico studio M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi, 2001 [1965].
ii. identit
meno famiglie a indirizzare i propri figli verso questa professione. Eppure, il solo fatto economico non appare sufficiente per spiegare un mutamento di gusto di tale portata che sconvolge l’estetica operistica. Sicuramente dobbiamo vedere queste considerazioni economiche anche nel contesto di una nuova temperie culturale che ha accompagnato l’avvento della società borghese e ha mutato radicalmente i valori, anche estetici. Un cenno al Romanticismo sembra, quindi, un atto dovuto. Specie se ricordiamo il riferimento in endecasillabi sciolti di una delle più importanti composizioni in versi del tempo, a opera di un precursore del Romanticismo del calibro di Ugo Foscolo: Forse tu fra plebei tumuli guardi vagolando, ove dorma il sacro capo del tuo Parini? A lui non ombre pose tra le sue mura la città, lasciva d’evirati cantori allettatrice, non pietra, non parola; e forse l’ossa col mozzo capo gl’insanguina il ladro che lasciò sul patibolo i delitti.
Com’è noto il Foscolo si riferisce alla tomba nella fossa comune del poeta Giuseppe Parini la cui città (Milano) non ha potuto, per via delle nuove leggi introdotte dal governo napoleonico, e forse non ha voluto, per via del mutato clima politico, dedicare una degna sepoltura a questo poeta che sarebbe potuta divenire fonte d’ispirazione per i posteri. Ai fini del nostro discorso, giova sottolineare come Foscolo faccia riferimento ai castrati per evidenziare la decadenza culturale e morale della città di Milano. Questo è un esempio significativo di un tentativo di moralizzazione dei costumi introdotto da una mutata sensibilità protoromantica. Questa nuova temperie estetica non poteva non avere un impatto anche sulla produzione operistica. Nasce, dunque, il melodramma romantico, con le caratteristiche che ben conosciamo, e, con esso, mutano le rappresentazioni di genere. Con l’affermarsi della società e della mentalità borghese nel primo Ottocento sui palcoscenici operistici, non solo si assiste a un’epocale trasformazione dei ruoli vocali dovuta alla sparizione dei castrati, ma si viene anche J. Rosselli, Il cantante d’opera. Storia di una professione 1600-1900, Bologna, il Mulino, 1993. La letteratura sui castrati è sterminata, per un recente contributo in italiano si veda S. Guarracino, La Primadonna all’opera: scrittura e performance nel mondo anglofono, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2010, pp. 49-76. U. Foscolo, I sepolcri, in I Sepolcri versi di Ugo Foscolo e di Ippolito Pindemonte, Firenze, Morini, Landi & Co., 1809 [1806], p. 10. Milano era sede del teatro alla Scala, del teatro alla Canobbiana, e in seguito anche del teatro re e del teatro Caracano; l’opera era un genere d’intrattenimento molto popolare.
dal castrato alla rock star
operando una trasformazione culturale che eliminerà gradualmente le ambiguità di genere tra le possibilità performative dell’opera lirica, nella quale i costumi di scena hanno un ruolo centrale. La fine dell’ancien règime e del libertinismo aristocratico corrispondono alla fine della rappresentazione di sessualità che la nuova sensibilità percepiva come ambigue sui palcoscenici dei teatri d’opera italiani. Le voci dalle altezze inarrivabili dei castrati tacciono. Si afferma un nuovo gusto di rappresentazione dove i corpi e le voci subiscono un processo d’irrigidimento e di “normalizzazione”. Mentre il teatro barocco giocava sull’ambiguità, si viene gradualmente a costituire un concetto di genere rigido, che, peraltro, incontra i gusti del pubblico della Restaurazione. Sulla «Gazzetta Privilegiata di Milano» del 14 Novembre 1831 leggiamo una critica alla celebre cantante Giuditta Grisi, che viene ripresa per aver prestato la voce a Enrico di Montfort nell’ononima opera dove portava: un vestimento d’uomo... tutt’altro che confacente alla sua gentile figura. Se le nostre parole potessero giungere a persuaderla, noi le consiglieremmo di lasciar la banda e la parrucca e quel soprabito che le sta cosí male.
Questo cambiamento di gusto presso il pubblico del tempo che non apprezzava la vista di “gentili figure” femminili in abiti maschili è alquanto singolare. Il teatro è per definizione maschera e travestitismo. Questo passaggio di critica teatrale non sarebbe stato concepibile solo cinquanta anni prima e mostra come nell’Ottocento, il sesso biologico dei cantanti divenga rilevante per l’assegnazione dei ruoli sul palcoscenico dell’opera italiana. Wendy Heller concepisce questa sparizione del travestimento di genere all’interno del processo di costruzione della mascolinità. In particolare, Heller vede questa ridefinizione dei ruoli di genere in parallelo alla nascita e all’affermarsi della voce tenorile dell’eroe. Seguendo le trasformazioni del personaggio dell’Achille in Sciro nelle rappresentazioni operistiche durante il Settecento, Heller nota come Achille venga gradatamente a perdere le carattistiche di oggetto del desiderio. La sua ambigua mascolinità costituita da travestimenti gradualmente scompare, e viene sempre più ad affermarsi un nuovo Achille, un eroe maschile che abbandona le tuniche per vestire pantaloni e uniformi, abiti che venivano esclusivamente portati dagli uomini. Si tratta di una lenta trasformazione dei costumi di scena e dei valori che questi rappresentano. Per un altro secolo rimarrà comunque invalsa la pratica
Appendice critico-letteraria teatrale e di varietà, «Gazzetta Privilegiata di Milano», 318, 14 novembre 1831, p. 1. W. Heller, Reforming Achilles: gender, opera seria and the rhetoric of the enlightened hero, «Early Music», 26, 4, 1998, pp. 562-581.
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dei cantanti d’opera di travestirsi per impersonare ruoli di sesso diverso. Come abbiamo visto, c’era quell’Enrico di Montfort che così dispiacque alla critica milanese. Si era ancora in un momento in cui la voce principale era quella sopranile. Tra le ultime opere italiane a utilizzare due voci femminili per la parte degli amanti troviamo I Capuleti e i Montecchi di Bellini che venne rappresentata per la prima volta per il Carnevale alla Fenice di Venezia nel 1830. Sono anni di grande fermento rivoluzionario nella vecchia Europa, dove le ideologie nazionali spingono giovani (perlopiù) uomini a combattere e morire contro polizie ed eserciti di governi assolutistici e spesso composti da diverse comunità nazionali. Essendo l’opera un’arte performativa tradizionalmente vicina alla corte, ci si dovrebbe aspettare un irrigidimento della narrazione operistica a favore del “Principe” di turno, ma gli intellettuali e gli artisti romantici che partecipavano alla scrittura, composizione e alla rappresentazione dell’opera erano spesso a favore di questa nuova idea di nazione. Inoltre, come ha notato Carlotta Sorba, l’opera era estremamente popolare e metteva in scena i drammi del cuore e le passioni politiche che incontravano i favori del pubblico del tempo. In Italia si era infatti passati da una gestione dell’opera della corte all’opera degli impresari, il “Principe” non decideva delle poetiche di rappresentazione. L’unico limite posto dal governo al potere alla libertà di rappresentazione era la censura politica che era rigidamente applicata, a riprova della rilevanza politica e propagandistica dell’opera. Dobbiamo vedere in questo contesto la nuova concezione dell’eroe che si sviluppa in quegli anni di fermento politico. La progressiva affermazione, sul palcoscenico operistico, di una mascolinità scevra da caratterizzazioni femminili è un processo che si attua lentamente, ma che conduce verso una nuova concezione dell’eroe. Nasce un nuovo eroe dalla voce mutata. Si tratta dell’eroe del melodramma, che prenderà a cantare con voce tenorile. Sarà, infatti, il melodramma romantico a irrigidire i ruoli di genere nelle rappresentazioni operistiche. È l’epoca degli amori infelici, dei soprani che muoiono, ma anche e soprattutto dell’affermazione della voce te Per una disamina delle figure maschili interpretate da cantanti donne si veda H. Hadlock, Women playing men in Italian opera, in Women’s voices across musical worlds, a cura di J.A. Bernstein, Boston, Northwestern University, 2003. Per una prospettiva queer sul cresente disagio di fronte all’omoeroticismo femminile nell’opera di questo period si veda C.E. Blackmerand, P.J. Smith, Introduction, in Women, Gender, Subversion, Opera, a cura di C.E.B., P.J. Smith, New York, Columbia University Press, 1995, pp. 1-19. C. Sorba, To please the public: composers and audiences in Nineteenth-Century Italy, «Journal of Interdisciplinary History», 36, 4, 2000, pp. 595-614. Si vedano per esempio le edizioni critiche a cura di P. Gossett, The Works of Giuseppe Verdi, Chicago and Milan, The University of Chicago Press and Casa Ricordi, in corso di pubblicazione e F. Izzo, Years in Prison: Giuseppe Verdi and Censorship in Pre-Unification Italy, in Oxford Handbook of Music Censorship, a cura di P. Hall, New York, Oxford University Press, 2014.
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norile. Dopo la “parentesi” belcantistica che vede le voci femminili dei soprani al centro della rappresentazione, l’eroe diviene rigorosamente maschio, con voce tenorile, e il tenore diviene ora il cantante meglio pagato dall’impresario operistico. Questo passaggio dall’eroe castrato all’eroe tenore è un’evidente trasformazione della rappresentazione della mascolinità nel teatro d’opera italiano. La scena di quest’ultimo si era aperta con un Orfeo che «fu per i greci l’uomo del sentire e dell’agire poetico [...]. Più vicino a Dioniso che a Apollo, fu inventore della tragedia». Nell’Ottocento operistico questo eroe, rappresentazione dell’uomo poetico, si trasforma gradualmente in quello che Duccio Demetrio definisce «l’uomo del fare». Gradualmente Orfeo diviene Davide, Caino Esaù, ma in uniforme a pantalone. In altre parole, l’eroe diviene una figura dagli attributi guerrieri più marcati che si rifà anche a una tradizione classica, ma che veste i panni moderni del maschile post-Rivoluzione francese. Il costume assume quindi una valenza politica. È evidente come la mascolinità dell’immaginario operistico venga a costruirsi anche in riferimento al momento storico e politico. In Europa fervono i moti nazionalisti e in Italia si preparano e combattono le battaglie risorgimentali. In questo contesto storico e di mutati valori etici e ideologici, gli eroi operistici assurgono a modelli di comportamento ideale per i giovani del tempo. Ovviamente, ci riferiamo qui alla funzione educativa del teatro che facciamo risalire al periodo della Rivoluzione francese e, altresì, alla concezione artistica mazziniana che vede l’opera come l’arte principe per la propaganda di una sensibilità patriottica. Di certo i cori riecheggiano di riferimenti, più o meno velati, alla nazione in divenire. L’importanza politica del coro come momento collettivo nel quadro risorgimentale è stata rimarcata, soprattutto per il caso di Giuseppe Verdi, da Philip Gossett. A questa importante ricerca riteniamo di aggiungere come i messaggi patriottici non siano semplicemente contenuti nelle parole delle arie, ma vengano anche a impregnare il significato della vi Questo riconoscimento economico dell’affermazione del tenore si riscontra nei contratti che gli impresari redigono per scritturare i cantanti. D. Demetrio, L’interiorità maschile: le solitudini degli uomini, Milano, Raffaello Cortina, p. 41. Per i simbolismi e le implicazioni politiche relativi al mutamento di vestiario introdotto dagli echi della Rivoluzione francese in Italia si veda C. Sorba, Il 1848 e la melodrammatizzazione della politica, in Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, Torino, Einaudi, 2007, pp. 481-508. G. Mazzini, I fratelli Bandiera. Dante. Filosofia della musica, Milano, Sonzogno, [1827] 1836. Vedi anche l’analisi di C. Sorba, Comunicare con il popolo. Novel, drama and music in Mazzini’s work, in Giuseppe Mazzini and the globalisation of democratic nationalism 1830-1920, a cura di E. Biagini, C. Bayles, Oxford, Proceedings of the British Academy, 152, pp. 75-92. P. Gossett, Le edizioni distrutte e il significato dei cori operistici nel Risorgimento, «Il Saggiatore Musicale», XII, 2, 2005, pp. 339-387; Id., Becoming a Citizen: The Chorus in “Risorgimento” Opera”, «Cambridge Opera Journal», 2, 1, 1990, pp. 41-64.
ii. identit 1. Madama Maria F. Malibran, nella parte di Romeo, Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” 2. Giovanna d’Arco, dramma lirico di Temistocle Solera, messo in musica dal maestro Giuseppe Verdi, stampato dall’editore Giovanni Ricordi, dedicato a S.E. la Signora Giulia Samoyloff, nata Contessa di Pahlen, Scena Finale IV, “S’apre il cielo”, eseguita dai signori coniugi Poggi e dal signor Callini, Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” 3. Costume di militare greco, Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” 4-5. Costume di militare turco, 1830 ca, Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” 6. La Battaglia di Legnano, Milano, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”
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Qual è il ruolo delle fonti storiche nella riflessione sull’identità, i diritti e l’affermazione delle donne nei secoli, dall’antichità alla contemporaneità? Quali opportunità può offrire la ricerca declinata in una prospettiva di genere? Quali sono gli scenari che si aprono, anche alla luce degli intrecci tra la riflessione storiografica e altre discipline come il diritto, la sociologia, l’economia, l’urbanistica e la tecnologia? Sono molteplici le difficoltà con cui le protagoniste di questi studi – regine e donne del popolo, letterate e illetterate, religiose e scienziate, filantrope e brigantesse – si sono dovute misurare nel corso dei secoli: sopraffazione, violenza domestica, monacazioni imposte e matrimoni forzati, la difficile conciliazione di attività lavorativa e mondo degli affetti, il rapporto problematico e conflittuale con l’universo familiare. Al tempo stesso, tuttavia, numerosi sono stati anche gli ambiti in cui si sono dispiegate le competenze, i talenti e la creatività di queste donne: non solo la famiglia, ma anche lo studio, l’insegnamento, l’arte, la scienza, lo scoutismo, il volontariato, la filantropia, l’attività missionaria. Attraverso memoriali, resoconti, missive, contratti e testamenti, esse sono riuscite ad esprimere la loro volontà, gettando luce su aspetti poco noti, rari, sconosciuti. Le loro voci inascoltate diventano udibili da parte del lettore contemporaneo proprio grazie alle fonti storiche, preziose testimonianze di un sentire che, più di quanto immaginiamo, si avvicina sorprendentemente al nostro. Saveria Chemotti insegna Letteratura italiana di genere e delle donne all’Università di Padova. Ha pubblicato saggi su Foscolo, sul Romanticismo italiano ed europeo, sulla narrativa del primo Novecento, su Antonio Gramsci, Tonino Guerra, Giuseppe Berto, su numerosi altri autori e temi otto-novecenteschi, sulla letteratura delle donne. Tra i suoi numerosi scritti, per le edizioni Il Poligrafo ha pubblicato: La terra in tasca: esperienze di scrittura nel Veneto contemporaneo (2003); L’inchiostro bianco. Madri e figlie nella narrativa italiana contemporanea (2009); Lo specchio infranto. La relazione tra padre e figlia in alcune scrittrici italiane contemporanee (2010); A piè di pagina. Saggi di letteratura italiana (2012); ha inoltre curato la riedizione di Vigilie (1914-1918) di Antonietta Giacomelli (2014). Nel 2014 ha esordito come narratrice con La passione di una figlia ingrata (L’Iguana). Maria Cristina La Rocca è professore ordinario di Storia medievale all’Università di Padova. I suoi interessi di ricerca si articolano su vari aspetti dell’età altomedievale, considerando il caso italiano in rapporto al contesto europeo. Ha esaminato il problema della città nell’alto Medioevo, sotto il profilo sociale, topografico e politico. Ha esaminato, sotto il profilo storiografico, il problema dell’interpretazione ‘etnica’ delle sepolture altomedievali nella ricerca italiana dell’Ottocento. Ha realizzato una serie di lavori sui testamenti altomedievali e, successivamente, sui rapporti tra i generi e la struttura della parentela. Ha partecipato a numerosi convegni internazionali. Fa parte del comitato per l’edizione delle fonti per la Terraferma veneta; è membro del comitato scientifico di diverse riviste; dal 2010 fa parte del direttivo della Societa Italiana delle Storiche.
in copertina Felice Casorati, Una donna (L'attesa), 1918-1919 Collezione privata
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