Sergio Los
Geografia dell’architettura Guida alla progettazione sostenibile mediante il disegno architettonico
ILPOLIGRAFO
BIBLIOTECA DI ARCHITETTURA 10
Sergio Los
Geografia dell’architettura Progettazione bioclimatica e disegno architettonico
ILPOLIGRAFO
con il contributo di
© Copyright marzo Il Poligrafo casa editrice Padova piazza Eremitani - via Cassan, tel. - fax e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN ----
Indice
Introduzione Parte prima IL CONTESTO
. ARCHITETTURA SOSTENIBILE: UNA SVOLTA EPISTEMOLOGICA . . . . . . . . . . . . . . . .
Implicazioni del progetto sostenibile nella teoria architettonica Approccio costruzionale al progetto architettonico Complessità sensoriale dell’ambiente simbolico Moderno e volgare in architettura Comunicare architettura Esperienza strumentale delle caratteristiche Scarsa riconoscibilità dell’architettura bioclimatica Aspetti grammaticali del disegno di architettura Funzionalismo versus formalismo Il progetto mediante il disegno Il contenuto tipologico dell’architettura Complessità del disegno architettonico Un metodo di progettazione basato sul disegno referenziale testurale Lo spazio/campo dell’energia Il Sole in casa La struttura del campo
. COME CAMBIA IL CONTESTO . . . . . . . . . . .
Verso una ri-territorializzazione del Trentino Una società termo-industriale Città ecologica versus effetto città La cultura uscita dal moderno La modernità particolare dei prodotti immobili Le diverse durate dell’architettura Ideologia estetica della cultura architettonica Contenuti e caratteri ambientali Prestazioni e contenuti Contenuti ambientali e risparmi di energia Compatibilità ecobiologica dei materiali
Parte seconda IL PROGETTO
. REGIA DEL PROGETTO . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Valutazioni semiotiche e fattuali del progetto Quattro categorie di progettisti Esperienza diretta dei caratteri ambientali L’architettura cognitiva: le quattro conoscenze della commessa Conoscenze generali e specifiche Linguaggi e contenuto Teorie dell’architettura e teoria architettonica Programmare il progetto Linguaggi regionali e contenuti ambientali Linguaggi del programma Controllo del programma mediante presentazioni Come conosce l’architettura? La specificità della conoscenza architettonica Esperienza della qualità ambientale e benessere Percezione degli stimoli climatici, luministici, acustici La complessità degli intorni climatico-ambientali (ICA) Il benessere termico e la termoregolazione del corpo umano Il vestiario e l’esperienza dell’ambiente climatico . Apporti energetici gratuiti . Sergio Los, Ecoletto, Milano,
. L’esperienza visiva e la leggibilità dell’ambiente . Controllare l’ambiente sonoro . Fenomeni legati alla propagazione del suono . . . . . .
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Assorbimento acustico Trasmissione attraverso le strutture Diffrazione e barriere acustiche Riflessione Eco Riverberazione
Acustica e architettura Misure per ottimizzare l’isolamento da rumori e da vibrazioni Il disegno analitico del sito Opportunità o vincoli del sito Strumenti da usare sul posto . . . . .
L’indagine sul posto La vegetazione e l’osservazione del vento sul posto Interpretazione dell’architettura vernacolare L’esperienza degli abitanti Tipi situati e ambiti climatici
. Strumenti da usare in studio . L’accesso al Sole e i flussi radiativi . L’accesso al vento e i flussi convettivi
. GRAMMATICA TIPOLOGICA . L’architettura sostenibile come comunicazione, conoscenza, produzione . La stanza come proposizione architettonica . Una grammatica tipologica per l’architettura sostenibile . Può l’architettura essere grammaticale? . . . .
Multiscala e scomponibilità Composizione e modellazione Elementi compositivi e disposizione Sistema compositivo e contenuto tipologico
. Semantica del sistema simbolico architettura . Referenzialità esemplificativa e tipologia in architettura . Caratteri e referenti dell’architettura . Involucro e spazio
. Sintattica del sistema simbolico architettura La cella Orditura della cella Trasparenza della cella Tracciati regolatori della cella Grammatica e repertori tipologici L’organizzazione dei tipi in un repertorio e le regole di base (S, ENT, ET) La definizione delle regole compositive e la trasformazione dei tipi (RC) . Modello tipologico e variazioni . . . . . . .
. Stilistica del sistema compositivo . Schema sintetico della grammatica tipologica e dell’organizzazione del repertorio . REPERTORIO TIPOLOGICO . Metodo tipologico e linguaggio di progettazione . Configurazioni architettoniche e contenuti ambientali . Involucro edilizio e climatizzazione: forma, compattezza e dimensione . Compattezza dell’involucro edilizio e volume apparente . L’involucro orientato
. Involucro edilizio e climatizzazione: aperture, aggetti e ambiente circostante . Un’architettura cibernetica . L’involucro dinamico autoregolato
. Involucro edilizio e illuminazione: aperture, aggetti e ambiente circostante . Qualità ambientale e benessere . Repertorio di tipi da adottare IV LT - Il tessuto urbano
Contenuti climatici flussi conduttivi Contenuti climatici flussi convettivi Contenuti climatici flussi radiativi
III LT - La strada
Contenuti climatici flussi conduttivi Contenuti climatici flussi convettivi Contenuti climatici flussi radiativi II LT - L’edificio Contenuti climatici flussi conduttivi Contenuti climatici flussi convettivi Contenuti climatici flussi radiativi Contenuti ambientali flussi luministici I LT - La stanza Contenuti climatici flussi conduttivi Contenuti climatici flussi convettivi Contenuti climatici flussi radiativi Contenuti ambientali flussi luministici
. La città come sistema di comunicazione . . . . . . . .
L’architettura civica L’isolato urbano solare Tipologia e flessibilità del tessuto urbano per isolati Processi morfogenetici della città Tipi dell’architettura civica Una città sostenibile Criteri da adottare nel progetto Repertorio dei tipi insediativi
. Geografia dell’architettura e metodo tipologico . Tipi situati e atlanti di architettura . Geografia, tradizione e storia dell’architettura . Lettura dei contenuti tipologici dell’architettura . L’architettura bioclimatica . Regionalismo dell’architettura . Cultura delle regioni climatiche fredde . Cultura delle regioni climatiche temperate . Cultura delle regioni climatiche caldo-secche . Cultura delle regioni climatiche caldo-umide . Dalla storia alla geografia
Parte terza VALUTAZIONI FATTUALI
. VALUTAZIONI FATTUALI . Introduzione . Alcune nozioni fondamentali utili al calcolo . I fenomeni fisici nella climatizzazione . I fenomeni fisici nell’illuminazione naturale . I fenomeni fisici nell’acustica
. Evoluzione delle leggi per contenere i consumi energetici nella climatizzazione degli edifici . La legislazione sul fabbisogno energetico degli edifici . Metodi di calcolo per le prestazioni energetiche degli edifici . Certificato energetico
. Metodi di calcolo del fabbisogno energetico degli edifici . . . . . .
Metodo semplificato Metodo quasi-stazionario Metodo dinamico Architettura dei codici di calcolo dinamici Codici di calcolo per la simulazione dinamica di un edificio Impostazione del calcolo del sistema edificio-impianto
. I metodi di certificazione ambientale . Introduzione alla certificazione . Protocollo LEED . Protocollo ITACA
Geografia dell’architettura
Introduzione
Ho scritto questo libro per gli architetti che – come me – amano la terra, i suoi luoghi e da questo amore fanno emergere l’architettura. Essa esprime il desiderio di stare in un certo luogo, di abitarlo, di prendersene cura. Questo amore per i luoghi, che anima il parlare dell’architettura, si sta perdendo da quando è diventato strumentale e pare delegabile al calcolo degli impianti. Essi correggono (e anche aiutano) il progressivo analfabetismo dei progettisti, ma a un prezzo altissimo: inquinamento, spreco energetico, bassa qualità ambientale e soprattutto cecità per i luoghi, per la loro identità. Gli impianti hanno reso l’architettura estranea ai luoghi, l’hanno resa paradossalmente nomadica. In questa perdita dell’identità dei luoghi, non sono in gioco soltanto la climatizzazione, l’energia e l’inquinamento, ma anche la nostra capacità di anticipare pericoli e rischi che minacciano la nostra sopravvivenza e la nostra felicità. È un sentimento d’amore per la terra che la rende abitabile, ci fa sentire a casa, radica nel suo linguaggio la nostra consapevolezza1. Noi architetti abbiamo la responsabilità di testimoniare questo rischio, siamo vicini alla terra quanto gli agricoltori, piantiamo e coltiviamo semi di case che la terra e l’aria nutrono quotidianamente. Il primo segnale che annuncia questa possibile perdita della terra è proprio l’incapacità di vederla, riconoscerla, distinguerla. Chi apre il Phaidon Atlas of Contemporary World Architecture2 e ne scorre i diversi luoghi comprende che gli architetti non li amavano, non li guardavano con attenzione e cura nel progettare. Credevano e credono, forse, che altri fattori abbiano da generare l’architettura. La risorsa più preziosa è la terra che ci nutre: il suolo, il territorio, la natura, l’ambiente, il luogo che abitiamo. Il sonno che contraddistingue gran parte dell’architettura attuale, la “bella addormentata”, ha dato spazio alla diffusione di tecnologie che hanno conseguenze drammatiche. Soltanto l’assenza dell’architettura poteva permettere questa confusione dei luoghi. Gli architetti non sono stati custodi responsabili del linguaggio architettonico, che ha perduto il contatto con i luoghi, mentre la diffusione delle macchine e l’omologazione del pianeta globalizzato hanno aperto le porte a interventi che ne stanno aumentando progressivamente la temperatura. Tanti eventi e fenomeni, ormai visibili a occhio nudo, confermano questa prospettiva, anche se molti attendono impossibili quanto inutili certezze. Noi siamo più vicini alla tropicalizzazione prossima ventura del Mediterraneo che alle avanguardie moderne del Novecento3. Mentre la prima dista poco più di trent’anni (se non ci risveglieremo prima), quelle trion-
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introduzione
fanti avanguardie sono tre volte più lontane, anche se la nostra esperienza del passato le fa apparire a noi più vicine del futuro. Chi avesse osservato con cura la flora e la fauna del suo giardino avrebbe notato qualcosa: in tutto il mondo vi sono animali, piante, pesci e insetti, che si stanno spostando lentamente verso settentrione. Ogni dieci anni, in media, le piante e gli animali spostano il proprio territorio di circa sei chilometri verso i poli e di sei metri in altezza. Il ritmo annuale con cui fioriscono le piante, nascono i cuccioli, migrano gli uccelli, ha anticipato negli ultimi trent’anni ogni primavera, per un totale di oltre quattro giorni ogni dieci anni. Chi non ha dimestichezza con questi numeri potrebbe considerarli trascurabili, ma si sbaglia di grosso. Le forme di vita stanno migrando sotto il nostro naso, ma noi continuiamo a dubitare pensierosi. Pretendiamo certezze assolute sulla velocità e la posizione del nostro predatore, ma per questo saremo prede raggiunte e divorate. D’altronde la nostra passione è conoscere – a costo di morire – non sopravvivere (“fatti non foste a viver come bruti”). Meglio fuggire una volta in più che una volta in meno. Se quel vostro giardino, che vi invitavo a osservare, avesse seguito la migrazione dei suoi ospiti viventi, piante e animali, esso avrebbe abbandonato la vostra casa e oggi si trascinerebbe verso nord alla velocità di un metro e mezzo ogni giorno. Non è difficile calcolare le conseguenze del riscaldamento globale4. Molti speculatori hanno già investito enormi risorse finanziarie per acquistare terreni nel circolo polare artico, dopo aver capito che gli accordi per fermare il riscaldamento globale sarebbero miseramente falliti. Adesso cercheranno di fare in modo che le ben documentate profezie geografiche di Laurence C. Smith si avverino per non perdere i loro investimenti. Sono loro i più interessati a pretendere quelle certezze scientifiche assolute sullo stato del pianeta, poiché il tempo necessario ad approfondire quelle ricerche, oggi più che sufficienti, gioca a loro favore, certo non di coloro che amano la cultura mediterranea. Quella meccanizzazione che emerge proprio nelle regioni fredde, nei paesi della “cultura del fuoco” e della rivoluzione termo-industriale, ha prodotto e venduto tanti impianti, pure a paesi mediterranei che, come l’Italia, non ne avrebbero avuto alcun bisogno, contribuendo a scaldare l’intero pianeta con le loro emissioni. Un riscaldamento che renderà tropicali le regioni temperate e aride mediterranee, spostando i climi temperati nelle regioni fredde del nord. Quando la già annunciata tropicalizzazione arriverà nelle nostre belle regioni, gli architetti moderni dovranno cambiare soltanto gli impianti dei loro edifici internazionali: solo gli impianti infatti sono “regionali”, dettati dal clima. Anche se potrebbe sembrare una beffa, è la pura verità. Quasi una premonizione di quella cultura che li ha sviluppati, una sua anticipazione. Quella tropicalizzazione renderà però impossibile la lettura delle città greche e romane che hanno plasmato la nostra cultura, e che amando i loro luoghi sapevano raccontare trame architettoniche di regioni culturali climatiche temperate e aride. Se dovessimo leggere i luoghi attraverso l’architettura oggi, diversamente dal passato, dovremmo farlo attraverso i suoi impianti (celati o monumentalizzati), che riflettono funzionalmente il clima dei luoghi e anche la loro cultura (più o meno consapevolmente). Dopo avere scoperto l’aria condizionata – “la respirazione esatta” – 14
introduzione
Le Corbusier consigliava (e purtroppo sarà prontamente obbedito) di progettare le case uguali in tutte le regioni del mondo5. È proprio da qui che emergono i nostri attuali problemi: l’inquinamento, lo spreco energetico, la dissipazione delle identità locali, l’omologazione del pianeta, ormai percepito come un’unica area climatica in attesa di divenire un’unica area culturale: quella dell’Europa continentale di origine anglosassone, matrice di quella “cultura del fuoco”6, che con la rivoluzione termo-industriale ha meccanizzato la terra. Una regione globale caratterizzata non dai suoi spazi ma da quell’unica e unificata dimensione temporale del progresso, che giudica e classifica tutti i luoghi del mondo in più o meno progrediti (secondo i suoi criteri, naturalmente). È un giudizio implicitamente morale che legittima, con la sua asimmetrica antropologia, la graduale colonizzazione democratica e scientificotecnologica del pianeta7. Queste trasformazioni silenziose e altalenanti sono molto lente: è difficile comprendere quando dobbiamo agire. Se butto un pesce in un vaso con l’acqua troppo calda quello salta fuori immediatamente, ha le forze per farlo; se aumento di pochi gradi l’acqua ogni giorno il pesce si accorgerà dell’acqua troppo calda solo quando sarà lesso e non avrà più la forza per saltare fuori. Noi oggi siamo quel pesce con l’acqua che già da tempo continua a scaldarsi. Come risvegliare gli architetti e i loro clienti diradando la nebbia delle illusioni che offusca la viva esperienza della realtà? Sono convinto che l’architettura sia un’arte, quindi un sistema simbolico, figurativo (non verbale), con la facoltà del conoscere e del comunicare, dotato di un sistema di notazione: il disegno. Con questo libro vorrei convincere anche il lettore del fatto che l’architettura sia un sistema simbolico perché è fondamentale la sua referenzialità. Non tanto la sua funzionalità, ma una referenzialità che comprende anche la funzionalità. Per l’architetto le figure sono simboli, stanno per qualcosa: un quadrato è una stanza in pianta oppure un muro in elevazione, un prospetto. Non è geometria, decorazione oppure grafica. Nel disegno come nella costruzione le figure tracciate o edificate si riferiscono a qualcosa che il progettista deve comprendere. I suoi pensieri, sentimenti, desideri, accoppiano sempre, come le parole ai significati, le figure ai loro referenti. I suoi disegni comunicano, prima di tutto a lui nel progetto e poi agli altri, i contenuti delle sue composizioni. Comprendere questo sistema simbolico vuol dire connettere continuamente figure e prestazioni per sapere, disegnando, valutare cosa scegliere. Ma, come non esiste un linguaggio privato, individuale, non esiste neanche un sistema simbolico privato, individuale. Dunque, poiché ogni sistema simbolico ha un certo grado di condivisione dei suoi referenti, del suo campo semantico, esso ha pure un certo spessore temporale, non è istantaneo: ha memoria, dura per la comunità simbolica che lo condivide. Perché esista una conoscenza architettonica occorre naturalmente estendere il campo d’azione dell’epistemologia, abbandonando la ricerca ossessiva della certezza. Se essa può comprendere ciò che è valutativo, figurativo e non-verbale, allora coglie le affinità significative tra simboli verbali e figurativi, proposizioni letterali e metaforiche, descrittive e normative. Un’epistemologia alternativa può abbracciare la comprensione in tutte le sue modalità, dalla percezione alla raffi15
introduzione
gurazione, dal sentimento alla descrizione, esplorando i modi in cui ognuno di questi configura ed è configurato dagli altri. Una reciprocità che si applica anche all’esperienza, che dipende dalla conoscenza tanto quanto la conoscenza dipende dall’esperienza. La relazione tra conoscenza ed esperienza è circolare. L’esperienza controlla lo stato delle nostre conoscenze per intervenire, quando è necessario, a correggere il comportamento, incrementando così la nostra conoscenza8. Nel progettare come nel costruire, conoscere il senso delle figure architettoniche significa avere la competenza per comporre proposizioni sensate, comprensibili (quindi anche fruibili nella loro utilità), nell’ambito di una determinata comunità simbolica, di una particolare cultura. Affrontare i problemi attuali significa concepirli nei termini di questo sistema simbolico, tradurre le questioni nel linguaggio architettonico, riflettere e rispondervi con quello stesso linguaggio. Ho avuto molto presto questa intuizione, prima in penombra poi sempre più illuminata, del carattere simbolico che l’architettura moderna celava. Quando vedevo lavorare Carlo Scarpa, sentivo la sua consapevolezza delle connessioni tra le figure disegnate e le relative prestazioni, che egli commentava sottovoce a se stesso. Nei tanti disegni degli studenti che vedevo per correggerne le composizioni, comprendevo quelli intenzionali che rappresentavano – attraverso l’architettura – dei contenuti, dei temi elaborati che essi sapevano rimodulare, come se ne conoscessero le regole: racconti sensati perché quei segni erano parlanti. Avvertivo la voce dell’architettura, la sua felicità. I contenuti di questo “discorso” architettonico sono evidenti da secoli: utilitas (i contenuti organizzativi del fare spazio alle attività), firmitas (i contenuti costruttivi del reggersi in piedi e sostenere per racchiudere spazi protetti), venustas (i contenuti formali che mostrano, la bellezza che fa riconoscere l’identità delle cose e le fa ricordare). L’esserci dei contenuti presuppone un linguaggio/ discorso che li ha come referenti. A questi contenuti originati da una teoria antica, che sta nel profondo di ogni architetto, ho proposto di aggiungere i contenuti ambientali: quell’aria luminosa e calda, materna, in cui siamo immersi per essere vivi9. Tutti i trattati evocano e commentano implicitamente i caratteri ambientali ma non li esplicitano: è giunto il tempo di evidenziare quanto gli edifici producano soprattutto quell’aria che ci fa sentire a casa. Anche perché avvertiamo il pericolo che ci venga strappata, magari per venderla, come tutto il resto. Dopo avere reso l’architettura “testo” e avere tematizzato i contenuti ambientali, il libro elabora questo sistema simbolico con una grammatica e un repertorio tipologico. Alle molte figure familiari dell’architettura storica e moderna ho accoppiato i relativi contenuti ambientali. Per imparare a riconoscerli e a riusare quegli accoppiamenti nei progetti per luoghi analoghi. È difficile non riconoscere che avere un calcolatore sempre pronto a computare tutte le prestazioni – ogni volta nuove – delle figure, indebolisce quelle referenzialità costruttive, ambientali. Allo stesso modo in cui la presenza di un navigatore in un’automobile indebolisce la capacità di orientarsi del guidatore, che è la sua competenza nel riconoscere i luoghi attraverso la presenza di segni che riferiscono dove si trova. Gli architetti hanno progressivamente indebolito questa referenzialità del loro linguaggio architettonico, come una lingua non più parlata perché non più necessaria o utile. 16
parte prima
Il contesto
1. Architettura sostenibile: una svolta epistemologica
Implicazioni del progetto sostenibile nella teoria architettonica Questo libro è indirizzato ai progettisti che, operando nel settore edilizio, si chiedono se le conoscenze di cui dispongono sono tali da rendere efficaci i loro progetti nel risolvere, con soluzioni adeguate, i problemi posti dalla committenza pubblica e privata di fronte all’esigenza di una forma di vita sostenibile. Se sono insoddisfatti delle loro conoscenze, e interessati alle tematiche della sostenibilità e agli stimoli culturali che si propongono in questo lavoro, allora dovrebbero impegnarsi ad approfondire tali tematiche. I due maggiori problemi, per i quali le conoscenze apprese nelle scuole sono carenti, riguardano la città e le risorse energetiche e materiali. Le persone che progettano architettura applicano nei loro progetti una pratica appresa dalla scuola e consolidata dall’esperienza professionale. Questa pratica, comune alle varie regioni del mondo perché insegnata con piccole variazioni in tutte le scuole di progettazione, presenta una teoria che – implicitamente o esplicitamente – accetta una divisione tra discipline estetiche e scientifiche. Tale divisione presuppone una progettazione nella quale le forme disegnate seguono una logica essenzialmente estetica che non ha referenti costruttivi e ambientali, mentre le valutazioni prestazionali di tali referenti seguono una logica scientifica che le computa matematicamente per ogni singolo progetto. Il progetto procede attraversando competenze diverse, che invece di cooperare competono per difendere la propria autonomia disciplinare. L’architetto difende l’autonomia della forma (estetica) dai vincoli (scientifici) costruttivi e ambientali posti dall’ingegnere. Si rovescia così il senso del progetto: invece che comporre le forme per comunicare, mediante esemplificazione, i contenuti costruttivi e ambientali, si rende la forma il più possibile indipendente dalle perturbazioni provenienti da tali contenuti. La forma perciò esprime sempre meno la presenza delle proprietà relative alla stabilità della costruzione e all’esperienza dell’ambiente. Così nelle opere la presenza dei sistemi strutturali e ambientali (climatizzazione, illuminazione ecc.) viene attenuata per non interferire con l’articolazione della forma, la cui resistenza alle perturbazioni dei contenuti è molto facilitata dal suo carattere sempre più univocamente visuale, dovuto alla trasmissione attraverso i media. La questione che intendo porre con questo libro riguarda la compatibilità di tale divisione con i requisiti delle forme di vita sostenibili. Sono convinto che la pra1.
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capitolo Primo
tica del progetto sostenibile sia fortemente ostacolata da una serie di credenze che provengono da tale divisione e condizionano, più o meno consapevolmente, il lavoro degli architetti. Infatti, il progetto sostenibile comporta delle implicazioni nella cultura architettonica, che dovrebbero emergere nella pratica professionale e nell’educazione degli architetti, ma che invece sono (troppo spesso) generalmente eluse. Non intendo qui proporre una teoria normativa, che risulterebbe naturalmente velleitaria, ma limitarmi a osservare alcune consuetudini che ricorrono nel comportamento dei progettisti, teorie incorporate nelle azioni e nelle opere che sarebbe utile esplicitare. La divisione del progetto in discipline estetiche e scientifiche risale al XVIII secolo. L’architettura comprende un complesso di saperi (qualcuno li chiama “magisteri”) che il progettista utilizza quando pensa, disegna e costruisce un edificio. La lettura dei trattati evidenzia molto bene la varietà dei saperi compresi nel progettare e costruire architettura. Dal XVIII secolo, per effetto dell’influsso esercitato dalle scienze naturali, tali saperi sono stati interpretati come discipline. Assumendo lo statuto delle discipline, questi saperi ne hanno acquisito i tratti caratteristici della specializzazione e della reciproca separazione: ogni sapere è autonomo e separato da altri. Tale statuto presuppone anche la separazione delle analisi conoscitive (che dovrebbero alimentare il progetto) dalla loro utilizzazione progettuale; dunque una separazione dei saperi descrittivi da quelli propositivi. L’approccio delle scienze naturali implica inoltre la separazione dell’osservatore dall’oggetto osservato, perciò i saperi di chi osserva riguardano un mondo da lui indipendente sul quale però egli interviene, con l’idea che anche gli interventi restino indipendenti. L’osservazione inoltre è individuale e non presuppone codici socialmente condivisi: anche gli esperimenti per verificare o falsificare le ipotesi conoscitive formulate possono essere svolti da individui senza presupporre alcun consenso sociale. Diversamente dalle azioni comunicative, morali e artistiche, le azioni finalizzate dei saperi scientifici si confermano o contraddicono individualmente. Questa autonomia dei saperi scientifici li rende implicitamente internazionali. Una società basata su tali saperi, condivisi in modo obbligatorio e non consensuale, porta alla mercificazione delle opere prodotte, che vengono usate senza acquisirne i saperi incorporati. L’incapacità di costruire città con gli strumenti delle scienze naturali consiste proprio nel presupporre che anche le città, come complesso di prodotti edilizi mercificati, debbano eludere qualsiasi condivisione consensuale, essere quindi razionalità scientifica convalidata individualmente. I tentativi di sottoporre il progetto delle città a tale presunta razionalità si sono sempre dimostrati fallimentari, e d’altra parte è evidente che non poteva essere altrimenti. Le conseguenze ontologiche del naturalismo consistono in un mondo senza progetto1. Per progettare sistemi insediativi occorre separare gli edifici dalle città, considerarli mercificabili perciò oggetti edilizi isolati dal contesto. Possiamo suddividere le discipline – almeno per ciò che concerne l’educazione nelle scuole di architettura e la pratica professionale – in due grandi gruppi: le discipline scientifiche (riguardanti il progetto ingegneristico controllato oggettivamente mediante il calcolo) e quelle compositive (riguardanti il progetto architettonico controllato soggettivamente mediante valutazioni essenzialmente este32
architettura sostenibile: una svolta epistemologica
tiche): le scienze della natura e le scienze dello spirito. Mentre fra le varie discipline scientifiche esistono caratteristiche comuni e, per quanto riguarda in particolare il progetto, la comune origine positivista (che presuppone un controllo matematico delle ipotesi progettuali) consente interazioni e integrazioni, fra le discipline scientifiche e quelle estetiche esistono differenze tali da renderle poco confrontabili. Le prime mirano a conoscere causalmente l’oggetto, che rimane esterno a chi lo conosce, le altre invece mirano a comprenderlo, a riviverlo intrinsecamente portandolo all’interno di chi conosce. Nello schema epistemologico – secondo il quale il mondo risulterebbe diviso in res cogitans, la mente soggettiva conoscente, e res extensa, il mondo oggettivo conosciuto, – sarebbe difficile integrare il linguaggio, che non può essere né soggettivo né oggettivo. Non incontriamo il linguaggio nella realtà del mondo esterno oggettivo e quantificabile, ma neanche nella mente soggettiva: possiamo comprenderci proprio perché ne condividiamo la semantica. L’articolazione oggettivo – soggettivo non è compatibile con il linguaggio, che è comune. Nella tradizione dell’architettura il progetto procedeva operando molto più secondo lo schema del linguaggio messo in comune che non secondo lo schema citato, oggettivo versus soggettivo. A tale schema appartiene la produzione delle opere basate su quella logica conoscitiva, che comprende le opere prodotte con l’aiuto delle scienze naturali. Esse sono strumentali e presuppongono azioni finalizzate a uno scopo e non azioni comunicative. Jürgen Habermas distingue due modi fondamentali dell’agire umano: – l’agire strumentale, o agire razionale rispetto allo scopo, che è organizzato secondo regole tecniche basate su un sapere empirico; – l’agire comunicativo che rappresenta una interazione mediata simbolicamente2. Nel primo caso, troviamo un comportamento che, quando viola regole tecniche sperimentate, è considerato incompetente e destinato, di per sé, al fallimento; nell’altro caso, un comportamento che viola norme codificate vigenti, è considerato deviante perché scatena sanzioni collegate a regole sociali, convenzionali. A macchine che non funzionano si contrappongono messaggi che non comunicano. A questo punto, dobbiamo chiederci se le case e le città debbano appartenere all’agire strumentale oppure all’agire comunicativo; non se attualmente appartengono all’uno o all’altro, ma se sarebbe meglio cercare di spostarle verso l’agire strumentale o verso l’agire comunicativo. In una prospettiva costruttivista dobbiamo comprendere verso quale realtà intendiamo muovere. Accanto alla questione del senso che adottiamo per le case e le città dobbiamo porre anche la questione della percorribilità del cammino intrapreso, della loro fattibilità. Gli edifici presentati in questo libro dovrebbero essi stessi poter comunicare questi saperi. Poiché la pubblicazione presenta proprio questa specifica finalità, chi la sfoglia dovrebbe leggere le case, comprenderne il contenuto e riusarne i saperi applicandoli nei suoi progetti. Progettare macchine complesse non è difficile: gli aerei attraversano ogni giorno l’oceano trasportando in modo confortevole centinaia di persone. Queste sono macchine che non presentano intenzionalità comunicative, funzionano e
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capitolo Primo
1. Questi due disegni presentano rappresentazioni schematiche di prospetti dei progetti di Johann Bernhard Fischer Von Erlach a Vienna – palazzo Schwarzenberg e palazzo Trauthson – “purificati” da qualsiasi ornamentazione secondo l’intenzione di Paul Wijdeveld, autore di un libro sul progetto di Ludwig Wittgenstein per la casa della sorella a Vienna (P. Wijdeveld, Ludwig Wittgenstein architetto, Milano, Electa, 2000). L’eliminazione degli ornamenti, riducendo la costruzione ai volumi che la compongono, ne facilita l’analisi logica.
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architettura sostenibile: una svolta epistemologica
2, 3, 5. Interpretando alcuni elementi fondamentali dell’architettura in termini di figura e sfondo, secondo le analisi svolte dalla Psicologia della Forma, si possono considerare alcune modalità percettive come codificate da sistemi simbolici, che ricorrono proprio in virtù della loro condivisione nell’ambito di particolari comunità culturali. Nel delimitare un luogo prescelto per distinguerlo dal contesto, il muro segue un percorso in varie direzioni (regolato da moduli angolari), caratterizzato da diverse aperture e da una certa lunghezza (regolata da moduli lineari). Alternativamente è figura la colonna (un pieno su un vuoto) oppure l’apertura (un vuoto su un pieno). Il tetto completa l’involucro. (disegno di Sergio Los, d’ora in avanti dsl) 4. La “Maison Domino” proposta da Le Corbusier può essere interpretata come un ordine lecorbusiano, specialmente se associata alle sue elaborazioni del cubismo.
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48. L’”ecoletto” è un arredo proposto da Sergio Los nel 1980 al Salone del Mobile di Milano, che riflette con le mutevoli velature estive e invernali del letto a baldacchino un clima e una luce particolari, offrendo una climatizzazione basata sull’energia termica emessa dal corpo umano.
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regia del progetto
dai vincoli del clima locale. Oggi sappiamo che l’internazionalismo promosso da questa cultura, la rimozione della qualità ambientale, lo spreco di energia e l’indifferenza dell’architettura all’identità culturale dei vari luoghi hanno prodotto un’architettura con un bilancio negativo, se confrontiamo costi e benefici. 19. L’esperienza visiva e la leggibilità dell’ambiente Sin dalle origini la luce naturale ha fornito all’architettura una particolare dinamica percettiva. L’invenzione dell’illuminazione artificiale è stata facilitata dal suo rapporto con quella naturale, dalla sua capacità di rispondere alle costrizioni dei ritmi solari. Se edificare significa fare spazio e questo per essere riconoscibile deve essere illuminato, allora fare spazio luminoso vuol dire illuminare lo spazio. Il senso di ciò consiste nell’aprire alla luce un involucro edilizio per renderne visibile l’interno (non per aumentarne indiscriminatamente l’intensità luminosa); consiste dunque nel regolare la trasparenza di un guscio protettivo fino a raggiungere una visibilità soddisfacente. Fare spazio significa allora costruire la luce giusta: né eccessiva né carente. I maestri dell’architettura possono, a buon diritto, essere considerati maestri dello spazio illuminato. Il fascino che esercita su di noi la luce solare deriva da necessità estetiche e biologiche fondamentali. La nostra capacità di orientamento nello spazio e nel tempo è una funzione critica sia per la sopravvivenza che per il benessere. Si può prevedere la luce solare nei suoi cicli giornalieri e stagionali come nella sua direzione, ma è difficile prevederne i variabili modelli di comportamento rispetto alle caratteristiche meteorologiche, alle molteplici riflessioni e ombre, alle eventuali ostruzioni ecc. Il progetto dello spazio luminoso assicura un orientamento appropriato, ma apre anche alle sorprese di comportamenti differenziati, al gioco della luce naturale sulle facciate e alla sua captazione per illuminare l’interno. Tutto ciò costituisce per la progettazione e la tecnologia dell’architettura una sfida stimolante. Si tratta di un problema essenzialmente relazionale. Un oggetto sotto il Sole può essere illuminato milioni di volte più che nel chiaro di luna, tuttavia percepiamo chiaramente entrambi – eccetto che nelle condizioni estreme, i valori assoluti sono meno importanti di quelli relativi (o di relazione). La percezione visiva si basa non solo sulla effettiva illuminazione, ma su analogie, esperienze e aspettative; il progettista deve riferirsi al contesto perché l’illuminazione dello spazio è essenzialmente contestuale. È incredibile come la maggior parte degli architetti abbia una conoscenza tanto incompleta dei fenomeni che interessano lo spazio illuminato e quanto invece tale conoscenza si dimostri essenziale nel produrre la qualità dei progetti negli architetti veramente grandi; lo vedremo considerando le opere dei maestri dell’architettura. Due processi spiegano queste carenze del progetto architettonico, inteso sia come processo progettuale che come opera di architettura. Nel processo progettuale è avvenuta una progressiva espropriazione della capacità di controllare le prestazioni ambientali, come quelle costruttive, dovuta al trasferimento di tali competenze agli ingegneri: l’illuminotecnica è infatti controllata dagli ingegneri meccanici; nell’opera il carattere contestuale dell’architettura è stato gradatamente sostituito dall’oggettualità propria della produzione edilizia industriale. 133
capitolo terzo
regia del progetto
Se qualche progettista può ritenere poco interessante la climatizzazione, è difficile pensare a un buon architetto che consideri trascurabile il problema di conoscere l’effetto della luce sull’edificio che sta progettando. La luce rende infatti visibile, fotografabile, quell’edificio. È proprio la luce giusta che rende fotogenica un’architettura, ma è opportuno sottolineare che i fotografi devono correggere continuamente usando schermi e riflettori la mancata competenza degli architetti, per rendere pubblicabili gli edifici. Anche la luce, come il clima, è essenzialmente regionale: non esiste una luce naturale internazionale. Basti pensare all’architettura di Alvar Aalto, per esempio, che non si potrebbe spostare in un’area diversa da quella dove è nata. I suoi edifici più importanti si trovano in Finlandia, un’area climatica dove la luce naturale manca quasi completamente nei lunghi mesi invernali ed è invece ininterrotta per gran parte dell’estate. Questa condizione richiedeva un’accurata combinazione di luce naturale e artificiale. Aalto sapeva distinguere le necessità dell’illuminazione estiva e invernale, sviluppando così un sistema tipologico – o un linguaggio di “componenti per dare luce” – che egli usava in tutti i suoi edifici. Questi elementi costituiscono un repertorio tipologico valido per le regioni che presentano analoghe condizioni di luce, in quanto incorporano una conoscenza specifica del modo di usare quella luce per abitare. Si tratta di tipi situati la cui generalizzabilità è legata al contesto, al luogo per il quale sono stati progettati. Le aperture nel tetto, i lucernari, le finestre opportunamente schermate, le “prese di luce”, vengono composti consapevolmente come gli elementi tipologici principali del suo linguaggio architettonico. Tali elementi sono usati per coronare o accentuare particolari spazi, per denotare – illuminandone il percorso – determinati spostamenti da uno spazio all’altro, per puntualizzare specifiche attività che richiedono un’illuminazione controllata. Ogni “luce” viene sempre considerata in rapporto alle operazioni umane che essa illumina, sia che si tratti semplicemente di un atrio o di una sala di lettura, dell’interno di una chiesa o di una fabbrica. La lezione che questi progetti propongono consiste nel mostrare delle figure architettoniche cui corrispondono delle straordinarie prestazioni luministiche: esse presentano la luce disposta proprio dove si vuole che sia. Ma aggiungono anche il carattere contestuale, e perciò relativo, delle soluzioni: senza quel Sole finlandese sarebbe sbagliato copiare i lucernari di Aalto. Come tipi situati, essi sono validi per tutte le regioni che presentano condizioni simili a quelle finlandesi. Questa architettura rappresenta un esempio molto importante di architettura regionalista: essa non eccede mai nel dare un tono teatrale, drammatico, alla luce – la usa invece per articolare gli spazi con figure complesse formate da nuvole luminose prodotte mediante riflessione con superfici illuminate direttamente, composte da chiaroscuri e penombre, da macchie di Sole ecc., variamente combinate in modo da assicurare la giusta visibilità degli interni. Aalto ha disegnato molti lampadari – per lui è particolarmente efficace la metafora dell’edificio come lampadario capovolto – e si possono infatti riconoscere nei suoi progetti quei due componenti, presenti nei sistemi di illuminazione naturale, che ho indicato come essenziali per migliorare la qualità luminosa degli ambienti: le fonti di luce e i diffusori (si ricordi l’immagine della lampadina e del piatto diffusore). Nei suoi pro134
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getti le aperture che captano la luce esterna sono sempre accompagnate da superfici correttamente orientate che la riflettono verso le aree da illuminare. Per far comprendere meglio come operare con i caratteri ambientali, con la luce, per ottenere la qualità nell’architettura, vorrei adottare un modello concettuale del sistema di illuminazione. Il sistema è formato da: un operatore, un’entrata e un’uscita9. L’entrata è la fonte di luce, l’uscita è la luminosità richiesta nello spazio per svolgervi determinate attività e l’operatore è il mezzo, il percorso della luce capace di conseguire, con quella data entrata dal sito, l’uscita richiesta dall’utenza. Il percorso seguito dalla luce per raggiungere lo spazio interno sarà definito dall’involucro edilizio. Abbiamo chiamato tale involucro lampadario capovolto per la sua capacità di accoppiare le aperture che captano la luce con i piani diffusori che la riflettono, allo scopo di illuminare l’ambiente interno. Le uscite, cioè lo spazio luminoso richiesto dalle attività che l’utenza si propone di svolgere, costituiscono il contenuto da esprimere; le entrate sono invece costituite dalle risorse disponibili nel luogo del progetto, cioè dalla luce solare disponibile nella località dove sarà costruito l’edificio; l’operatore costituisce il complesso delle configurazioni dell’involucro edilizio disponibili nel repertorio tipologico, cui attingere per realizzare i contenuti richiesti dal programma, che costituiscono la forma e la disposizione delle aperture, i componenti trasparenti, schermanti e riflettenti, dunque la soluzione che l’architetto deve formulare al problema definito dalla committenza. Il problema da risolvere, definito nel programma di progettazione, comprende sia i dati da raccogliere sul sito, cioè la luce locale accessibile, che i requisiti di luce richiesta dall’istituzione, da concordare con l’utenza. Il progetto, manipolando sapientemente la trasparenza dell’involucro edilizio in modo compatibile con le risorse luministiche disponibili, deve raggiungere l’obiettivo prestabilito che consiste nel realizzare quello spazio luminoso. Nel sistema di notazione dell’architettura – utile per descrivere nei disegni (in sezione o in pianta) questo modello comprendente le entrate, le uscite, e l’operatore – la direzione e il verso della luce vengono rappresentati normalmente con frecce, che indicano i raggi luminosi come dei vettori. Per valutare le condizioni di illuminazione in uno spazio architettonico occorre determinare la distribuzione del “fattore di luce diurna”, che è il rapporto tra illuminazione orizzontale interna in un determinato punto (uscita) e illuminazione esterna nello stesso momento, in assenza di ostruzioni e di radiazione solare diretta (entrata) in vari punti dello spazio interno principale. Di solito si esegue una misura di riferimento all’esterno, rilevando l’illuminazione diffusa sul piano orizzontale, ottenuta schermando i raggi del Sole. Seguono poi i controlli dell’illuminazione orizzontale all’interno, in funzione dei punti di rilevazione stabiliti rispetto alle attività svolte all’interno. Queste analisi consentono di tracciare le curve di isolux, ottenute dai “fattori di luce diurna” normalizzati sul piano del pavimento. L’articolazione di tali curve risulta più significativa dei valori assoluti nei singoli punti, ciò dipende dall’abilità dell’occhio umano di adattarsi ai mutevoli livelli di illuminazione globale interna, mantenendo la capacità di distinguere in ogni momento differenze anche leggere entro lo spazio. I livelli di illuminazione interna possono 135
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49. Il cielo sereno (clear sky) delle regioni mediterranee meridionali si presenta piĂš scuro della superficie terrestre, con bassa trasparenza degli involucri edilizi. 50. Il cielo nuvoloso (overcast sky) delle regioni continentali settentrionali si presenta piĂš chiaro del suolo, con alta trasparenza degli involucri edilizi.
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cambiare molto per la presenza di nuvole, senza con questo ridurre la possibilità di svolgere le normali operazioni con la sola illuminazione naturale. Cambiano infatti i valori assoluti globali, mentre rimane quasi inalterato il sistema di contrasti, ovvero il complesso dei valori relativi dello spazio luminoso interno. È importante, mediante un progetto appropriato, servirsi di un sistema di illuminazione a “sorgenti luminose secondarie”, la cui comune articolazione può essere interpretata come una “tipologia di spazio luminoso”. Se si considera il complesso degli spazi (o stanze) caratterizzati da specifiche esigenze di luce, e questi vengono identificati utilizzando tipi di testure differenti a seconda dell’illuminazione dello spazio (il soggiorno, la camera da letto, la cucina ecc.), ci si rende meglio conto delle differenti esigenze luministiche degli ambienti, che possono rendere necessario il ricorso alla schermatura delle aperture per evitare fenomeni di abbagliamento (figg. 49, 50). Con una opportuna inclinazione, le aperture schermate possono selezionare l’immissione della luce, funzionando come superfici trasparenti per la radiazione solare invernale, mentre diventano diffusori traslucidi per quella estiva, che può penetrare soltanto indirettamente dopo essere stata riflessa due volte dalle schermature parallele. Un progetto dettato da una particolare latitudine che sarebbe naturalmente modificato in un’altra. Una lettura comparativa delle piante delle biblioteche di Aalto, con indicate le isolux, consentirebbe la rilevazione delle analogie nell’organizzazione dello spazio luminoso, tanto che una rappresentazione della sola distribuzione degli spazi diversamente illuminati potrebbe denotare il tipo della biblioteca nella concezione di Aalto10. Questa osservazione finale apre una serie di questioni riguardanti la tipologia in architettura, che approfondirò in seguito (fig. 51).
51. Il disegno consente di illustrare i processi di illuminazione con fonti di luce puntuali (clear sky) e piani di riflessione perfettamente riflettenti. (dsl)
Questo modello è usato per studiare le schermature frangisole oppure i sistemi solari passivi di climatizzazione. Esso può descrivere correttamente i processi di illuminazione solo nel caso in cui il percorso comprenda fonti di luce emessa da una sorgente puntuale (Sole, lampadina ecc.) e piani di riflessione perfettamente riflettenti (riflettori speculari, vetri riflettenti ecc.). Quando si cerca di estendere queste convenzioni grafiche a sorgenti di luce distribuita, cioè non puntuali (volta celeste, superfici luminose ecc.) e a piani di riflessione diffusori, cioè non speculari (vetrate traslucide, superfici ruvide ecc.), che caratterizzano la progettazione corrente, la confusione delle frecce diviene tale da rendere il metodo inefficace (fig. 52). 137
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52. Quando operiamo con fonti di luce distribuite (overcast sky ) o indirette e piani di riflessione diffusori, non speculari, la complessità dei processi di illuminazione è tale da richiedere metodi alternativi. (dsl)
Un modo alternativo consiste nel considerare l’illuminazione dal punto di vista della ricezione, come un’entità che può essere vista da chi la riceve. L’uscita in questo caso dovrebbe poter vedere l’entrata, dopo le mediazioni intervenute attraverso l’operatore che è l’involucro edilizio. Questo approccio presuppone che in ogni punto dello spazio luminoso la quantità di illuminazione presente sia l’apporto combinato risultante da tutte le superfici luminose e oscure (le fonti distribuite) che si trovano nel campo visuale di quei punti. Questo concetto è assai simile a quello che caratterizza l’approccio ecologico alla psicologia della percezione visuale e che si basa sulla optical array di Gibson11. Se consideriamo il campo visuale come una optical array, e passiamo da una concezione meccanicistica dello spazio a una relativistica, possiamo comprendere compiutamente la differenza tra i due modelli (fig. 53). 53. Se consideriamo i processi di illuminazione esperiti da un ricettore, l’involucro edilizio media tali processi in modo che ogni punto dello spazio luminoso rappresenti l’apporto combinato di tutte le fonti distribuite presenti. (dsl)
In termini più precisi, l’illuminazione di (l’intensità di luce presente in) ogni posizione che la riceve, risulta essere il prodotto della luminanza (l’intensità luminosa) per la grandezza apparente delle superfici illuminanti (l’angolo solido) viste dalla posizione ricevente. In questa concezione non occorre distinguere tra le diverse sorgenti luminose; per esempio, un cielo nuvoloso visto attraverso un lucernario può fornire, la stessa quantità e qualità di luce di una superficie riflettente illuminata quando presenta uguale luminanza, colore, e grandezza apparente (fig. 54).
54. L’illuminazione di ogni punto dello spazio risulta essere il prodotto della luminanza per la grandezza apparente delle superfici illuminanti. (dsl)
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Anche se questo modello dei processi di illuminazione costituisce ancora una semplificazione – che non include, tra altro, l’effetto di riduzione dell’intensità luminosa su un piano di riferimento, dovuto all’angolo di incidenza dei raggi di luce – esso comunque rappresenta un valido aiuto per comprendere intuitivamente le tecniche di illuminazione naturale da usare nei progetti. Se pensiamo a “prese di luce” che non si limitano a deviare il flusso, come potrebbe fare una chiusa con un corso d’acqua, ma che in quanto superfici bianche riflettenti costituiscono delle “fonti secondarie” ad alta “luminanza”, esse proiettano la luce del Sole e del cielo captata attraverso lucernari in modo da diffonderla verso l’interno. Diversamente da ciò che potrebbe suggerire la forma di quei lucernari a uno sprovveduto architetto, essi non “prendono” una certa quantità di raggi luminosi per immetterli nell’edificio, ma producono – accoppiando fonti e diffusori – un “campo ottico” che realizza un’appropriata distribuzione di luce. La posizione, la forma e l’inclinazione di questi bianchi riflettori costituiscono una buona mediazione progettuale tra l’esposizione verso la fonte di luce primaria, al fine di massimizzare la luminanza del riflettore, e l’esposizione verso l’area che deve ricevere quella luce, al fine di massimizzare la grandezza apparente di tale riflettore. L’orientamento ottimale del riflettore diffusore che ne risulta, è quello che si avrebbe se la superficie fosse uno specchio e riflettesse in modo perfettamente speculare la fonte di luce primaria verso una determinata posizione ricevente. 20. Controllare l’ambiente sonoro Dire che l’ambiente umano è simbolico significa porre l’accento sul valore che assume la percezione dei suoni. Essa condiziona profondamente la nostra vita poiché gran parte dei messaggi vengono comunicati mediante il linguaggio verbale che si esprime attraverso i suoni. Il senso dell’udito è inscindibile dalla nostra sensazione del fluire del tempo e permette di valutare la distanza da una sorgente sonora o la spazialità di un ambiente. Un mondo privo di suoni sarebbe altrettanto angosciante dell’esposizione continua a rumori frastornanti. Nel prestare attenzione a ogni tipo di suono per interpretarne l’origine, comprendiamo il senso degli stimoli che diventano segnali o indizi. Poiché gran parte degli stimoli sonori che ci raggiungono attraversano ambienti costruiti, la buona o cattiva progettazione di tali ambienti è fondamentale per la chiara ricezione sia dei segnali che degli indizi (fig. 55). Ma cos’è il suono e come interagisce con gli spazi in cui viviamo? Già Boezio, nel V secolo dopo Cristo, definiva il suono percussio aeris indissoluta usque ad auditum. Il suono è quindi una perturbazione della pressione atmosferica che si propaga nello spazio, con un meccanismo oscillatorio mediante onde di compressione e rarefazione (figg. 56, 57). L’acustica è la scienza che studia la generazione, la propagazione e la ricezione di onde in mezzi elastici. Occorre tuttavia distinguere il fenomeno fisico, misurabile secondo grandezze di tipo oggettivo, dagli aspetti peculiari della percezione dei suoni da parte dell’apparato uditivo umano (sensazione sonora), che sono l’oggetto della psico-acustica. Infatti, lo stesso fenomeno fisico connesso alla generazione di onde sonore provoca sensazioni uditive diverse in relazione allo 139
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55. Giacomo Balla, VelocitĂ astratta + rumore, 1913. Il quadro rappresenta la propagazione delle onde luminose e sonore nello spazio. 56. Il suono si diffonde nello spazio mediante onde di compressione e rarefazione.
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57. Propagazione di onde sonore in ambienti adiacenti.
stato psicofisico ed emozionale del ricettore. Quindi, la distinzione fra “suono” e “rumore” è puramente soggettiva. La grandezza principale che contraddistingue un suono è la sua intensità, che è a sua volta legata alla pressione della perturbazione generata dalla sorgente sonora. Un’altra caratteristica peculiare del suono è la frequenza con cui si ripropone nel tempo la perturbazione acustica; la maggiore o minore frequenza di un’onda sonora determina il fatto che il suono sia percepito, rispettivamente, come “acuto” o “grave”. Le onde sonore inoltre si propagano con differente velocità nell’aria e nei vari materiali e interagiscono fra loro e con le superfici dell’ambiente, modificandosi durante il percorso che separa la sorgente sonora dal ricettore. La concatenazione sorgente-ambiente-ricettore è quindi di fondamentale importanza per definire la “qualità” acustica degli spazi in cui viviamo e lavoriamo. Per il celebre compositore Frank Zappa, “la musica, quando viene eseguita, è un tipo di scultura. L’aria nello spazio della rappresentazione è scolpita dentro qualcosa: questa scultura-molecolare-nel-tempo viene quindi osservata dalle orecchie degli ascoltatori o da un microfono. Il suono è un dato decodificato dall’orecchio. Le cose che creano suono sono cose in grado di creare perturbazioni. Tali perturbazioni modificano (scolpiscono) il materiale grezzo (l’aria statica della stanza)”. In questo senso, la forma dell’ambiente e i materiali impiegati nella costruzione e per gli arredi ne determinano le caratteristiche acustiche. Quando l’energia acustica incide su una superficie viene in parte riflessa, in parte assorbita e dissipata e in parte trasmessa dalla parte opposta (fig. 58).
58. Assorbimento acustico e isolamento del suono mediante adeguate schermature.
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capitolo quarto
174-176. Orditure di pianta che mostrano l’applicazione delle regole della grammatica tipologica nella composizione in: a) Cassa Rurale di Brendola (1980); b) Casa sostenibile ITER di Tenerife (1996); c) progetto di concorso per gli Insediamenti Universitari di via Torino, Mestre, Venezia (1995). (dsl).
Stilistica del sistema compositivo Parlare di stilistica in architettura è difficile per due motivi: innanzitutto perché la cultura architettonica usa il termine “stile” per definire i modi compositivi di interi periodi storici (lo stile barocco, neoclassico ecc.), poi per la concezione assai diffusa che considera l’architettura solamente nella dimensione poetica. La stilistica non dovrebbe riguardare i “testi architettonici in poesia”, ma tutti quelli considerati appartenenti all’architettura. Poiché è proprio tale concezione che legittima l’autoreferenzialità del progetto architettonico, può essere interessante sperimentare una distinzione che renda criticamente evidenti le conseguenze di questo assunto. 7.
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grammatica tipologica
Molti trattatisti nell’affrontare la teoria della composizione architettonica si sono rivolti alla composizione musicale per trovare un riferimento all’idea di armonia e di struttura in essa contenute. Seguendo lo stesso percorso, aggiungiamo alcuni contributi originali. Le analogie fra il concetto di armonia proprio della musica e quello dell’architettura interessano relazioni metriche tra lunghezze, anche quando esse riguardano le tre misure canoniche per definire una cella: larghezza, profondità e altezza. Sono armoniche le celle che presentano misure regolate da specifici rapporti proporzionali. L’armonia delle misure architettoniche percepita dall’occhio sarebbe analoga a quella delle note musicali, prodotte da corde di varie misure e percepite dall’orecchio. Le regole proporzionali scoperte per i rapporti armonici tra i suoni sarebbero dunque applicabili, secondo questa teoria, anche all’architettura. Per rendere più complessa questa analogia abbiamo introdotto una corrispondenza tra le note e le direzioni di pareti, trabeazioni, cornici ecc. disposte nello spazio12. Ai rapporti tra la lunghezza degli elementi si aggiungono così i rapporti tra gli angoli che essi formano disponendosi in diverse direzioni. La lunghezza di tali elementi in una determinata direzione corrisponde alla durata della nota musicale quindi anche al ritmo, mentre l’insieme delle direzioni che percorrono le pareti o le trabeazioni forma reticoli geometrici che corrispondono alla tonalità musicale. Potremmo dunque definire “tonalità ortogonale” quell’orditura che per essere tanto diffusa non viene tematizzata. Le pareti presentano pilastri, lesene, colonne che definiscono il ritmo allo stesso modo di aperture, porte e finestre. Anche l’armonia trova una possibile corrispondenza poiché le testure che caratterizzano nei pavimenti, nelle pareti o nei soffitti la compresenza di varie direzioni rappresentano accordi armonici. Seguendo queste indicazioni è possibile immaginare una stilistica per l’architettura che tenga assieme i vari elementi che ne costituiscono la logica compositiva. È pensabile un approccio polifonico ove la compresenza di varie linee nello spazio definisce configurazioni complesse, ma anche contrappunti prodotti dall’intreccio di colonnati con ritmi diversi e con differenti disegni tematici. Nelle schede che seguono si possono trovare: a. elementi che rappresentano diverse direzioni nello spazio: in successione, come nei piani che piegano seguendo itinerari articolati; o in parallelo, come nei poliedri formati da piani convergenti; b. varie strutture ritmiche ottenute con moduli diversi applicati in colonnati o facciate variamente composte; c. testure formate da reticoli che rappresentano determinate articolazioni geometriche corrispondenti a particolari tonalità; d. uso di strutture figura/sfondo nelle quali è difficile identificare stabilmente ciò che svolge il ruolo di figura e di sfondo; uso di strutture prospettiche come strumenti di composizione, non solo di visualizzazione – per sospendere l’illusione della prospettiva come percezione visiva naturale (fig. 177).
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capitolo quarto
177. In alto, ritmica e sistemi proporzionali lineari. Il sistema diatonico di Gaffurius con le “areae” di Leon Battista Alberti, aggiunte a sinistra; in mezzo, i sistemi proporzionali angolari, che ho proposto e applicato in molte composizioni sin dagli anni Sessanta, con un sistema di direzioni nello spazio riferito alle dodici note musicali; in basso, le trabeazioni come “linee melodiche” in contrappunto, le colonne come “ritmi” e i tracciati regolatori come “tonalità”, che coordinano armonicamente le direzioni nello spazio. Il disegno esemplifica ritmi, melodie e tonalità nella Chiesa del Redentore di Andrea Palladio a Venezia (1576). (dsl)
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grammatica tipologica
Schema sintetico della grammatica tipologica e dell’organizzazione del repertorio La grammatica del “sistema architettura” rappresenta uno strumento finalizzato a produrre le configurazioni che ne caratterizzano le varie espressioni; esse presentano una struttura definita dalla cella, che presuppone un’articolazione gerarchica complessa. La cella rappresenta la “forma iniziale” e, come tale, costituisce l’obiettivo della grammatica. La struttura configurazionale di un sistema insediativo presenta dunque un’organizzazione gerarchica costituita da figure distinguibili a vari livelli, che abbiamo definito livelli tipologici (LT). Le figure distinguibili sono sempre delle celle che, ai vari livelli, sono: la stanza, l’edificio inteso come insieme di stanze, la strada come stanza senza soffitto e l’unità insediativa come insieme di strade o stanze. La cella è sempre costituita da elementi compositivi che sono elementi piani (muri con aperture, tetti, piante, ecc.), formati assemblando componenti (colonne, architravi, ecc.) che sono invece elementi lineari. Ognuno degli elementi, che costituiscono le celle, ai vari livelli tipologici, svolge uno specifico ruolo: il complesso di questi ruoli forma un insieme di categorie sintattiche, comprendenti tutti gli elementi che svolgono uno stesso ruolo, definiti Elementi Non Terminali (ENT). A ognuno dei diversi ENT, che contraddistinguono la cella, corrispondono nei vari sistemi molti Elementi Terminali (ET) relativi ai tanti referenti/contenuti che essa deve comunicare. La grammatica comprende, oltre al repertorio contenente i vari ET, organizzati nelle categorie ENT, le regole compositive che consentono di effettuare una serie di operazioni, consistenti nella trasformazione delle figure volte a produrre testi architettonici significativi. Il progetto/composizione consiste nela selezione degli ET corrispondenti alle varie categorie ENT, mediante regole di sostituzione, da un repertorio tipologico organizzato per categorie sintattiche, e nella loro disposizione sul disegno del luogo dell’intervento. Queste operazioni compositive, o composizioni, presuppongono delle trasformazioni isometriche che alterano la posizione degli elementi, trasferendoli dal repertorio al disegno del sito, senza alterarne le configurazioni. La disposizione degli elementi selezionati, che presuppone anche eventuali repliche e combinazioni, produce una serie di configurazioni, basate su regole di simmetria, come traslazione e rotazione, volte a formare celle dotate di senso attraverso regole di interazione tra elementi compositivi, sia appartenenti a categorie grammaticali diverse, quindi a diversi ENT, che a una stessa categoria, allo stesso ENT. La selezione, in quanto effettuata per categorie sintattiche ovvero per ENT, presuppone la disposizione degli elementi compositivi rispetto alla cella che rappresenta la “forma iniziale” del sistema, e questo permette di applicare le regole di sostituzione che consentono di tradurre gli ENT nei rispettivi Elementi Terminali (ET), provenienti dal repertorio degli elementi lessicali specifici di una determinata regione. A quale repertorio si riferiscono oggi i progettisti? Essi trovano nelle riviste e nei libri di architettura gli elementi del repertorio, direttamente applicati in progetti specifici e senza alcuna sistemazione ordinata che rifletta le 8.
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grammatica tipologica
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capitolo quinto
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repertorio tipologico
273 a-h. Il progetto di un villaggio per vacanze di Sverre Fehn a NorrkÜping del 1997 presenta soluzioni interessanti, oltre che per la soluzione bioclimatica proposta dall’organizzazione degli spazi, anche per le potenzialità offerte alla costruzione (che potrebbe essere auto-costruzione) dai materiali poveri e bio-compatibili utilizzati. Le immagini fanno comprendere sia l’articolazione degli ambienti che il processo costruttivo.
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274 a, b. Un clima assai diverso troviamo espresso da questo progetto di Robert Smythson: la Hardwick Hall, nel Derbyshire, risalente al 1590. Le tante modulazioni del clima temperato e della sua luce comportano notevoli differenze fra questo e l’edificio palladiano quasi contemporaneo. Qui non esistono portici, ma bow window che offrono uno spazio luminoso molto speciale.
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repertorio tipologico
275 a, b. La casa Davis che Wright costruisce a Marion nel 1945 presenta la forma caratteristica della tenda indiana: sono questi i temi attraverso i quali l’architettura comunica una identità culturale oltre che climatica.
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e 37,00 ISBN 978-88-7115-816-7