Giovanni Spitale
Il dono nelle donazioni una prospettiva bioetica
SAGGI
prefazione di Erri De Luca
ILPOLIGRAFO
saggi 62
Giovanni Spitale
il dono nelle donazioni Una prospettiva bioetica prefazione di Erri De Luca
ilpoligrafo
Questo volume è stato realizzato con il contributo di
ADMO - Associazione Donatori di Midollo Osseo
sezioni di Vicenza, Belluno, Trento, Bolzano
AIDO - Associazione Italiana per la Donazione di Organi sezione di Belluno
AVIS - Associazione Volontari Italiani del Sangue sezione di Vittorio Veneto
© Copyright ottobre 2015 Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani – via Cassan, 34 tel. 049 8360887 – fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-913-3
INDICE
11 Prefazione Erri De Luca
17 Introduzione
23 I. Il trapianto di organi, tessuti e cellule: lo status quaestionis
31 1. Prospettiva medica Il sangue 31 32 Il problema della compatibilitĂ 34 Gli organi solidi 40 Altri tessuti 41 Le cellule staminali emopoietiche 43 2. La situazione normativa in Italia: sangue, emoderivati, cellule staminali emopoietiche Decreto ministeriale del 13 dicembre 1937 43 44 Dal dopoguerra agli anni Sessanta 46 Legge 107/1990 48 Legge 52/2001 49 Legge 219/2005 51 3. La situazione normativa in Italia: organi e tessuti Legge 235/1957 e decreti correlati 51 53 Legge 644/1975 e regolamenti attuativi 57 Legge quadro 91/1999 e successive modifiche 64 4. La situazione normativa in Europa
64 La Convenzione di Oviedo 68 Il Protocollo di Strasburgo 72 5. Un problema, alcune soluzioni 72 Scarsità di donatori 73 Xenotrapianto 75 Organi artificiali 79 Medicina rigenerativa 80 Traffico illegale di organi 83 II. Questioni etiche 85 1. Donazione da cadavere: il problema dell’accertamento della morte Paura di non esser morti 85 90 Un fenomeno, molteplici segni 93 Il criterio neurologico per l’accertamento della morte:
storia ed evoluzione 95 Caratterizzazione del criterio neurologico per l’accertamento della morte 100 Critiche generali al criterio neurologico per l’accertamento della morte 102 Il criterio cardiocircolatorio: controversie attuali
103 2. Donazione da vivente: un complesso bilanciamento di beni 103 Le donazioni da vivente 104 Differenti gradi di problematicità 105 Un paradigma: il trapianto di rene 110 3. Ricevere un trapianto: un problema di giustizia 110 Lo squilibrio domanda-offerta 111 Teorie della giustizia 115 Il sistema italiano di allocazione 120 Considerazioni sul modello di giustizia adottato in Italia nell’allocazione
122 4. Reperire nuovi donatori: mercato, incentivi e gratuità 122 Opt-in e opt-out: approcci diversi al consenso 125 Censimento delle volontà riguardo alla donazione post mortem
130 Incentivare il reperimento di organi e tessuti: il mercato legale 135 Altri incentivi
138 5. 138 140 142 144 6. 144
Donatore deceduto e familiari Famiglia e autonomia Comunicare il decesso Chiedere l’assenso alla donazione
Le ragioni di chi non dona
La predazione degli organi: contro il prelievo da persone decedute 150 Il sangue: categorie di non donatori 153 Le motivazioni di chi non dona il sangue 156 Altre donazioni ex vivo: motivazioni del rifiuto 157 Chi non dona il midollo osseo 161 III. Una scelta in comune: la donazione degli organi come tratto identitario 163
1. Il punto di partenza
163 Scarsità di donatori e difficoltà ad applicare la legge 91/1999 164 La possibilità aperta dal Decreto Milleproroghe 165 Il contesto umbro: enti coinvolti e azioni di comunicazione 166 Costruzione del progetto: gli obiettivi 168 Analisi SWOT
171 2. Realizzazione ed esiti del progetto 171 Comunicazione alla cittadinanza: stile e azioni 173 Formazione del personale 177 Flusso funzionale 178 Verifica 179 Allargamento del progetto ed evoluzione del quadro normativo 183 IV. Dalle donazioni al dono
1. Le donazioni: una pluralità irriducibile? Irriducibilità medica 186 190 Diversità nelle normative italiane 192 L’Uniform Anatomical Gift Act: una promessa mancata 186
194 2. Gli orizzonti del dono 194 Mauss e il dono circolare 197 Il modello veterotestamentario di dono assoluto 198 Il dono assoluto nel Nuovo Testamento 200 L’impossibilità del dono assoluto 202 Modelli inadeguati 204 3. Il dono nelle donazioni 204 Gratuità 207 Relazionalità 210 Una prospettiva unitaria 213 conclusione 217 Bibliografia
prefazione Erri De Luca
Nessuna civiltà umana ha ignorato la pratica del dono, atto di offerta senza tornaconto. Giovanni Spitale ha conosciuto per disavventura la necessità di attenderne esattamente uno, esclusivamente suo, da un donatore sconosciuto. Gli occorre un trapianto di midollo osseo. La compatibilità è assai rara, il tempo nel suo caso è un frattempo. Lui lo impiega nell’approfondimento del misterioso accidente del dono. Da questo bisogno e da questa attesa provengono le competenze chiuse in queste pagine. Scrive un trattato sul dono da corpo a corpo, sulla storia fisica di questo soccorso. Ne leggo le origini, le applicazioni, le leggi che hanno provato a regolarne le funzioni. Giovanni Spitale da anni va in giro a raccontare in cosa consiste l’offerta di midollo osseo, un prelievo di sangue un po’ più laborioso, senza nessun pericolo per chi sceglie di iscriversi alla lista di chi può salvare una vita così. Con il racconto della sua vicenda quella lista è cresciuta, in molti hanno saputo per la prima volta come sia a portata di mano una resurrezione. Queste notizie le aggiungo io, che conosco Giovanni Spitale da diversi anni. In queste pagine ci sta piuttosto il suo studio sulla vasta materia da lui perlustrata in ogni aspetto. Nella premessa scrive di avere imparato la filosofia del dono con un piede per terra, non in astratto, ma con fondamento. L’altro piede però si solleva, e i due insieme in movimento producono un cammino e un’andatura. Così, da lettore, riesco a
erri de luca
visitare le molteplici forme di questa magnifica specialità della civiltà umana. C’è posto anche per un riepilogo storico, dall’offerta di ospitalità fino al sacrificio di sé. Emerge dall’insieme una economia del dono che rompe la partita doppia dare/avere e introduce la variabile indipendente del gratuito. Il gratis sfugge al PIL, alle statistiche, al contatore, producendo la più pulita delle energie rinnovabili. Un giorno mi è capitato di sbattere contro un verso prodigioso della Scrittura Sacra. Rigo 1, capitolo 11, Kohelet/Ecclesiaste: «Manda il tuo pane sopra i volti delle acque, che in molti giorni lo ritroverai». Riconosco in questo verso la perfetta forma del dono: manda il tuo pane, offri quello che ti nutre, il sostegno, quello che è tutt’uno col tuo corpo; proprio quello mandalo, senza sapere a chi, affidandolo ai volti delle acque, alla corrente. Sia l’offerta doppiamente segreta: anonima e senza sapere a chi. «In molti giorni lo ritroverai»: questo singolo dono ritornerà accresciuto immensamente, molte volte, in molti giorni. Non è rimborso, non è investimento, non è cometa con ciclo programmato di ritorno. È spargimento, è manna, non riguarda più un destinatario, è sciame che irradia, impollina, feconda. Suo fatturato non censibile è la gratitudine che suscita e resuscita le fibre più profonde della specie umana.
il dono nelle donazioni
Quas dederis, solas semper habebis opes. Marco Valerio Marziale, Epigrammi, 5, 42
I Il trapianto di organi, tessuti e cellule: lo status quaestionis
Il trapianto d’organi, oggi terapia standard per un ampio quadro di patologie, è una pratica medica con radici antiche e mitiche. Chiunque visiti il museo nazionale di San Matteo a Firenze, per esempio, può ammirare la Guarigione del diacono Giustiniano, tempera su tavola realizzata nel 1443 dal Beato Angelico, che raffigura i santi Cosma e Damiano operare il “miracolo della gamba nera” (fig. 1). La vicenda dei due è ben radicata nella tradizione agiografica: il culto dei santi medici è attestato già dal V secolo, con l’edificazione e la dedica di una basilica a Roma ad opera di papa Felice. Ne abbiamo notizie precise dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze: nel III secolo dopo Cristo i due santi avrebbero operato come medici anàrgiri (ovvero senza alcuna richiesta di compenso agli assistiti) in Siria e in Arabia, unendo la professione alla missione evangelizzatrice. Proprio la basilica romana del V secolo sarebbe invece teatro del miracolo postumo: un diacono, afflitto da non meglio precisate ulcere a una gamba, sarebbe stato qui guarito dai due, che gli avrebbero sostituito l’arto malato con quello di un etiope morto da poco. Se l’idea e il mito del trapianto datano dal terzo secolo, la storia scientifica che lo riguarda è decisamente più tarda. I primi esperimenti di cui abbiamo notizia riguardano trapianti autologhi di pelle, operati tra il 1545 e il 1599 dal medico bolognese Giuseppe Tagliacozzi per ricostruire nasi mutilati. Sarà proprio il trapian
Cfr. J. a Voragine, Legenda Aurea, Lipsia, Librariae Arnoldianae, 1850, pp. 636-639. Cfr. Roots of plastic surgery, «British Medical Journal», 2, 1966, pp. 602-603.
capitolo primo
to di pelle, per via della sua relativa semplicità, il banco di prova della nascente trapiantologia del XIX secolo. Per i primi trapianti d’organo propriamente detti bisognerà invece aspettare gli inizi del Novecento e le ricerche del premio Nobel Alexis Carrel, scopritore e sperimentatore della indispensabile tecnica per suturare due vasi sanguigni. Rimane ancora, tuttavia, un grosso problema da risolvere: sebbene la prima operazione tecnicamente riuscita sia del 1902 (Emerich Ullmann, trapianto di rene su cane), bisognerà aspettare la metà degli anni Cinquanta perché un trapianto attecchisca e duri sul lungo termine; il problema è dato dalla non comprensione del meccanismo del rigetto, determinato dagli antigeni leucocitari umani (HLA), sul quale getteranno progressivamente luce gli studi di Peter Medawar, George Snell, Baruj Benacerraf e Jean Dusset. È il 23 dicembre 1954 quando Joseph Murray, chirurgo plastico statunitense, porta a termine il primo trapianto d’organo umano effettivamente riuscito. L’organo trapiantato è un rene, e i problemi dell’incompatibilità immunologica e del rigetto sono risolti utilizzando un organo da donatore vivente, nella fattispecie quello di Ronald Herrick, gemello identico del paziente, Richard Herrick. Da quel primo successo la trapiantologia ha fatto notevoli passi avanti, soprattutto grazie alla scoperta di sistemi per ridurre i problemi di incompatibilità e di rigetto. I primi erano quantomeno grossolani e comportavano forti effetti collaterali: per esempio uno dei sistemi impiegati negli anni Cinquanta consisteva nel bombardare l’intero corpo del paziente trapiantato con raggi X. Lo sviluppo di terapie mirate di immunosoppressione farmacologica permetterà un continuo perfezionamento e un aumento notevole del tasso di sopravvivenza delle persone trapiantate. Dopo le tecniche di chirurgia vascolare e la scoperta dell’HLA (l’antigene leucocitario umano, ovvero il complesso maggiore di istocompatibilità della specie umana), una terza innovazione, costruita sul sottile confine tra medicina e filosofia, ha permesso un ulteriore grande passo alla trapiantologia: si tratta del criterio neurologico per l’accertamento del decesso e della conseguente nozione di “cadavere a cuore battente”, sviluppati a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, indipendentemente dalle tecniche
il trapianto di organi, tessuti e cellule
1. Beato Angelico, Guarigione del diacono Giustiniano, 1443, Firenze, Museo Nazionale di San Matteo
ďœ˛ďœľ
Ii Questioni etiche
La pratica trapiantologica, per la sua stessa natura, è una branca della medicina che solleva un elevato numero di questioni etiche. Innanzitutto è difficile e probabilmente sbagliato pensare organi, tessuti e cellule trapiantabili come semplici oggetti: non possono ancora essere prodotti nel senso convenzionale del termine, ma devono necessariamente provenire da un donatore, una persona che abbia deciso di destinare il suo corpo a questo uso. È il particolare status della “materia prima” necessaria ai trapianti, quindi, a generare alcuni grandi interrogativi. Il prelievo di organi e tessuti vitali (nel senso di indispensabili per la vita dell’individuo) a scopo di donazione è effettuabile esclusivamente da cadavere. Le ragioni sono piuttosto evidenti: alcune parti del corpo umano, come si è detto nel corso del primo capitolo, sono prelevabili da donatori viventi con rischi relativamente bassi; altre invece no, e il loro prelievo su un donatore vivo avrebbe come conseguenza la morte dello stesso. Uno dei concetti cardine dell’etica biomedica, storicamente radicato già nel Giuramento di Ippocrate (ἐπὶ δηλήσει δὲ καὶ ἀδικίῃ εἴρξειν), declinato poi nel noto brocardo latino primum non nocere e recepito infine da Beauchamp e Childress sotto forma di principio di non maleficenza, è che la pratica medica non può e non deve nuocere a chi è soggetto di cura; una delle più evidenti conseguenze di questo principio (nota in letteratura come dead donor rule) è che il donatore di organi dev’essere senz’altro morto e che non dev’essere il prelievo degli stessi a ucciderlo. Il cadavere, sebbene non sia una cosa stricto sensu, non è sicuramente più una persona; quindi non è strutturalmente possibile che il prelievo
capitolo secondo
nuoccia a qualcuno, poiché non si pratica su qualcuno, su una persona, ma su ciò che ne rimane dopo il decesso. Una rilevante parte dei problemi etici legati al prelievo da donatore deceduto risulta perciò inestricabilmente connessa al modo in cui la morte viene intesa e quindi caratterizzata, non in ottica finalistica ma semplicemente come conditio sine qua non. Alcune parti del corpo umano invece, come visto nel corso del primo capitolo, possono essere prelevate da donatori viventi. È il variare del rischio connesso al prelievo, in questo caso, ad alzare “l’asticella etica” delle valutazioni. Su quali basi accettare che una persona sana venga sottoposta a interventi medici che ne violano l’integrità fisica? Quali indici di rischio sono tollerabili, e quali invece no? Il contesto del prelievo degli organi non esaurisce affatto le questioni etiche legate alla trapiantologia; problemi quantomeno rilevanti nascono infatti anche altrove. Dall’allocazione degli organi donati, ad esempio: è giusto che nella distribuzione di queste risorse così scarsamente disponibili (e quindi preziose) vengano considerati solo criteri medici che escludono ogni valutazione di ordine morale, permettendo (ad esempio) di ricevere un trapianto a qualcuno che non abbia a sua volta espresso la volontà di donare, o peggio, abbia espressamente dichiarato di essere contrario al prelievo dei propri organi? Anche a proposito della disponibilità (o meglio, della carenza) di donatori c’è da dire che nel corso del capitolo precedente gli esiti pratici di questa situazione sono stati numericamente presentati nella loro drammaticità, ma è opportuno anche approfondire quali sistemi siano stati proposti per arginare il fenomeno e quali sia possibile o giusto intraprendere, soprattutto alla luce della considerazione che svariati studi evidenziano come le persone siano idealmente favorevoli a donare i propri organi (73% in Inghilterra, 69% in Scozia), ma poche traducano in fatti questo pensiero.
Cfr. R. Jarvis, Join the club: a modest proposal to increase availability of donor organs, «Journal of Medical Ethics», 21, 1995, p. 199. Cfr. G. Haddow, “Because you’re worth it?”. The taking and selling of transplantable organs, «Journal of Medical Ethics», 6, 2006, p. 325.
questioni etiche
Saranno infine prese in considerazione le motivazioni di chi, per le ragioni più disparate, è contrario alle donazioni, siano ex mortuo o ex vivo, di organi, di tessuti, oppure di cellule. Accostarsi in maniera intellettualmente rispettosa a queste posizioni non è sempre facile: la conoscenza teorica ed empirica del loro costo in vite umane rende necessaria una notevole capacità di distacco per non considerarle semplicemente vaneggiamenti frutto di egoismo, ignoranza o entrambe le cose. In primo luogo guardare a queste posizioni (che peraltro, lo si voglia accettare oppure no, sono tuttora maggioritarie) in maniera non pregiudizievole, tentando di capirle anziché dandone un giudizio morale, permette di comprendere che il problema della scarsità di donatori è in buona misura un problema di cattiva comunicazione e conseguentemente permette di ipotizzare delle strategie migliorative; in secondo luogo riconoscere (e garantire) il diritto di chi consapevolmente sceglie di non donare è una forma di rispetto per la libertà e il diritto all’autodeterminazione delle persone imprescindibile per uno Stato che non sia totalitario. Infine bisogna ricordare che è proprio la possibilità di non donare, ovvero il fatto che il dono sia un atto libero a cui nessuno può essere costretto, a costituire buona parte del suo valore morale. 1. Donazione da cadavere: il problema dell’accertamento della morte Paura di non esser morti
Nel corso della storia l’uomo si è continuamente confrontato con il fatto della morte, cercando di determinare quali segni delimitassero il confine tra la vita e la sua cessazione. Si tratta di un fatto speculativo, ma al contempo collegato a forti esigenze pratiche, in primis la possibilità di dare sepoltura al defunto, o comunque provvedere in altro modo allo smaltimento del cadavere. Basta considerare quanto accennato nel primo capitolo a proposito di Harvey e della sua dimostrazione sperimentale del funzionamento del sistema cardiocircolatorio per rendersi conto che fino al 1628 il meccanismo dello stesso era conosciuto poco e
capitolo secondo
male; non serve poi speculare troppo per avere un’idea di quanto aleatorio potesse essere il sistema di accertamento della morte per una scienza medica che non aveva ben chiaro neppure il funzionamento del cuore. A fronte di questa grande incertezza, per determinare quando un paziente fosse passato a miglior vita, negli anni si è tentato di utilizzare i sistemi più disparati: durante la grande peste di Marsiglia del 1720-1722, ad esempio, era prassi infilare uno spillo sotto le unghie degli alluci degli appestati per determinare se fossero ancora vivi. Nel 1740 Jacques-Bénigne Winslow, anatomista insigne e docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Parigi dal 1728, pubblicò un saggio dedicato al tema, dall’inequivocabile titolo di Dissertatio an mortis incertae signa minus incerta a Chirurgicis, quam ab aliis experimentis?, nel quale sosteneva l’inaffidabilità dei sistemi diagnostici a lui contemporanei, con il conseguente rischio di finire ancora vivi nella bara o sul tavolo settorio. Per Winslow, che considerava la putrefazione il solo inequivocabile (ma tardivo) segno del decesso, non erano affidabili né l’assenza di respirazione spontanea né la mancanza di pulsazione arteriosa; suggeriva invece di tenere il paziente in un letto caldo e di tentare una serie di prove sperimentali per accertare l’eventuale decesso: Le narici dell’individuo dovevano essere irritate introducendovi “sternutatori, errini, succhi di cipolla, aglio e rafano”. Potevano anche essere solleticate con una piuma, mentre altri preferivano spingere una matita ben appuntita nel naso del cadavere. Le gengive dovevano essere strofinate con l’aglio, e la pelle irritata dalla liberale applicazione di “fruste e ortiche”. Gli intestini potevano essere irritati dai più acri clisteri, gli arti agitati da violenti strattoni, e le orecchie scioccate “da grida orribili e rumori eccessivi”. L’aceto veniva versato nella bocca del cadavere “e dove non fosse disponibile è consuetudine versarvi urina calda, poiché è stato osservato come produca effetti lieti”.
Cfr. J. Bondeson, Buried Alive. The terrifying history of our most primal fear, W.W. Norton & Company, 2002, pp. 32-33. Cfr. ivi, p. 53. Ivi, pp. 55-56, trad. mia.
questioni etiche
Il testo di Winslow ebbe vita lunga, soprattutto grazie al taglio sensazionalistico adottato dal primo traduttore, Jean-Jacques Bruhier d’Ablaincourt, che volle allegarvi una raccolta di casi di cronaca (quasi sicuramente inventati) in cui la mancata applicazione delle procedure suggerite avrebbe condotto al seppellimento di persone ancora vive; Bruhier, persuaso dell’opportunità di avviare una massiccia campagna per la revisione delle politiche mortuarie, non è dato sapere se per un’effettiva convinzione scientifica o per la ricerca del successo che non aveva altrimenti raggiunto, riuscì a cavalcare magistralmente l’onda, fino a farsi ricevere da re Luigi XV nel 1745. Il re fu profondamente colpito dalle posizioni di Winslow e di Bruhier, e la ventilata riforma venne indefinitamente posticipata solo in seguito alla considerazione dei suoi costi. Il dibattito sorto attorno al tema della sepoltura prematura durò a lungo, non senza polemiche. Nel 1752 Antoine Louis, giovane medico chirurgo all’ospedale parigino Salpêtrière nonché discepolo del chirurgo ufficiale del re, pubblicò un volume intitolato Lettres sur la certitude des signes de la mort, in cui esaminava e in buona misura confutava le storie proposte da Bruhies, sostenendo che fosse profondamente sbagliato «far credere alle persone del popolo cose straordinarie senza prove sufficienti». Louis propose anche una sua interpretazione su quali fossero gli inconfutabili segni della morte: escludeva la putrefazione, in quanto può manifestarsi anche in persone vive sotto forma di gangrena, suggerendo di osservare invece il rigor mortis e le variazioni di pressione del bulbo oculare. Aveva anche sviluppato un suo sistema sperimentale per escludere i falsi positivi che potevano risultare dall’osservazione dei segni clinici: un apparato simile a una cornamusa per «somministrare clisteri di fumo di tabacco per risvegliare i morti che fossero solo apparentemente tali». Cfr. J.B. Winslow, Dissertation sur l’incertitude des signes de la mort, et l’abus des enterremens, 1742, pp. 87 ss. Cfr. J. Bondeson, Buried Alive, cit., p. 61. Ivi, p. 73, trad. mia. Ivi, p. 75, trad. mia.
capitolo secondo
Nonostante la posizione di Louis non fosse isolata e altre voci nella comunità medica si levassero a difesa di un più razionale atteggiamento nei confronti del tema, la tesi di Bruhier aveva dalla sua il sensazionalismo e la conseguente forte presa sul popolino, caratteristiche che ancor oggi, in un’epoca di maggior diffusione della cultura e più vasta possibilità di informazione, determinano il successo di posizioni indifendibili, come dimostra il dibattito contemporaneo sulla pericolosità dei vaccini o sulle scie chimiche. I sistemi di accertamento della morte utilizzati nel XIX secolo non hanno nulla da invidiare, in quanto a stranezza, a quelli suggeriti da Winslow: nel 1805 il dottor August Struwe introdusse un apparato elettrico che prevedeva l’applicazione di una corrente all’occhio e al labbro del paziente, che, se ancora vivo, avrebbe mosso i muscoli facciali. A partire dal 1837 il professor Pietro Manni, docente di tossicologia alle università di Napoli e Roma, bandì un concorso per ricercare i migliori sistemi per accertare il decesso. Nel corso degli anni vennero proposte idee di ogni genere: sanguisughe poste sull’ano, termometri per misurare la temperatura dello stomaco, pinze per applicare correnti elettriche ai capezzoli, bollitura degli arti, lunghi aghi muniti di una bandierina all’estremità da piantare nel cuore del supposto cadavere. Questa ridda di sistemi truculenti e dall’apparenza quantomeno sadica è una chiara testimonianza di quanta presa avesse nella cultura dell’epoca la paura di essere sepolti vivi, o più in generale di essere trattati da cadaveri quando invece ancora in vita, come tra l’altro è ben testimoniato dalla letteratura che ha affrontato il tema (fig. 8). In mezzo a questa serie di bislaccherie, un’idea semplice e sensata, affermatasi e rimasta in uso fino a tempi molto recenti: Eugene Bouchut suggerì di utilizzare lo stetoscopio, recentemente inventato da René Laennec, per diagnosticare la cessazione del battito cardiaco; Bouchut sosteneva che l’assenza dello stesso per
Cfr. ivi, p. 142.
questioni etiche
8. Harry Clarke, The premature burial, 1919, illustrazione per il racconto La sepoltura prematura di E.A. Poe
ďœ¸ďœš
Iii Una scelta in comune: la donazione degli organi come tratto identitario
Come si è abbondantemente argomentato in tutto il presente lavoro considerando prospettive di diverso genere, da quella medica fino a quella economica, la scarsità di donatori di organi, tessuti e cellule rappresenta un grave problema. Negli anni sono state proposte, discusse e tentate soluzioni diverse, alcune presentate nel cap. 1, § 5, altre trattate nel cap. 2, § 4; ciononostante rimane il fatto che nessuna, ad oggi, è riuscita a risolvere il problema delle migliaia di persone che non hanno accesso al trapianto per mancanza di donatori: si consideri che in Italia nel 2013 la carenza di organi è costata la vita a 414 pazienti, uno ogni 21 ore; purtroppo non è disponibile un dato su quante delle 778 persone che lo stesso anno erano in attesa di trapianto di cellule staminali emopoietiche e non hanno avuto la possibilità di riceverlo siano ad oggi ancora vive. È da pochi anni che in Italia, dapprima in alcuni comuni dell’Umbria e in seguito anche in altre regioni, viene utilizzato un sistema di censimento delle posizioni in materia di donazione di organi e tessuti ex mortuo che già dalle sue prime fasi sperimentali, realizzate nei comuni di Perugia e Terni, ha dimostrato di avere delle grandissime potenzialità: in soli quattro mesi, dal 23 marzo al 23 luglio 2012, sono state raccolte le volontà di 2.343
Cfr. Centro Nazionale Trapianti, Attività di donazione, cit., pp. 37-41. Cfr. Registro Italiano donatori di midollo osseo, Report di attività, cit., pp. 18, 26.
capitolo terzo
persone, con un aumento dei consensi del 51,6%; il dato è impressionante se si considera che nei 12 anni precedenti le dichiarazioni raccolte dalle ASL degli stessi comuni sono state 3.376. A distanza di due anni e mezzo il numero di persone che hanno comunicato ai comuni le proprie volontà in merito alla donazione di organi e tessuti ha continuato la sua crescita, arrivando a quota 10.585, con 10.162 consensi e 423 opposizioni, dimostrando anche sul medio termine la straordinaria efficacia del sistema: nel frattempo le dichiarazioni raccolte dalle ASL sono salite solamente a 4.839, con 4.398 consensi e 441 opposizioni. Uno degli aspetti più rilevanti del progetto “La donazione organi come tratto identitario” (così è stato chiamato il sistema umbro per il reperimento delle posizioni in merito alla donazione) è che i suoi grandi risultati non sono conseguenza di alcuna modifica profonda al sistema normativo, come ad esempio il passaggio dall’opt-in all’opt-out, né tantomeno dell’apertura al mercato legale o a sistemi di incentivazione non finanziaria. Tutto si basa molto semplicemente su un serrato piano di comunicazione istituzionale e sul censimento delle volontà dei cittadini all’atto del rinnovo della carta di identità, momento che nel giro di massimo dieci anni viene affrontato da ciascun residente. È anche per questo motivo che il progetto viene considerato molto promettente: come si vedrà nel dettaglio in seguito, informare e interpellare tutti i cittadini in merito alle loro volontà, registrando l’avvenuta notifica di ciò (come previsto dagli articoli 4 e 5 della legge 91 del 1999), permetterebbe di superare definitivamente le disposizioni transitorie di cui all’articolo 23 della stessa legge. Nel corso di questo capitolo il progetto umbro verrà dettagliatamente preso in esame in ogni suo aspetto, dall’analisi preliminare agli esiti, dalla pianificazione della comunicazione di
Cfr. B. Gobbi, Come raddoppia il sì alla donazione, «Il Sole 24 Ore», 31/07/2012,
p. 15. Cfr. La donazione organi come tratto identitario. Rapporto Finale, p. 11. Cfr. Centro Nazionale Trapianti, Statistiche, 2014, https://trapianti.sanita. it/statistiche/ (consultato il 15/01/2015). Cfr. ibid.
la donazione degli organi come tratto identitario
retta ai cittadini alla formazione offerta agli ufficiali d’anagrafe, allo scopo di identificare le ragioni del suo successo, individuare eventuali criticità e valutare la possibilità di una sua estensione, sia in senso geografico che in riferimento alla tipologia di dono anatomico. 1. Il punto di partenza Scarsità di donatori e difficoltà ad applicare la legge 91/1999
La legge 91/1999, prendendo atto del problema della scarsità di donatori, già critico al tempo, introduce una rilevante innovazione strutturale rispetto alla precedente legislazione, datata 1975: si tratta, come si è detto nel cap. 1, § 3, dell’adozione del sistema opt-out: ogni cittadino a cui sia stata notificata la possibilità di esprimere la sua posizione e che non abbia registrato un parere contrario viene considerato donatore di organi. Tuttavia per una serie di ragioni, alcune culturali (difficoltà a confrontarsi con l’idea della propria morte) e altre normative (mancata emanazione del decreto attuativo), di fatto gli articoli 4 e 5 della legge 91 del 1999, relativi al cosiddetto “silenzio-assenso”, non sono mai entrati in vigore, e il reperimento dei consensi è rimasto regolato dalle disposizioni transitorie dell’articolo 23: per le persone di cui non è nota la volontà non si procede al prelievo senza il consenso esplicito dei familiari. Di fronte alla constatazione dell’attuale funzionamento a consenso esplicito della legge è possibile attuare due differenti scelte: “forzare la mano” con interventi normativi atti ad avviare un’effettiva ed efficace applicazione del sistema opt-out, oppure predisporre un sistema di informazione e reperimento dei consensi che risulti funzionale nel contesto dell’attuale quadro legislativo. È proprio dalla constatazione di questo stato di cose che nasce l’idea del progetto “La donazione organi come tratto identitario”, che fondamentalmente mira a dare efficace attuazione alla legge 91 del 1999 così come viene applicata oggi (tenendo
Cfr. Legge 91/1999, artt. 4-5. Cfr. ivi, art. 23.
e ,
ISBN ----