biblioteca di architettura
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Angelica e bradamante le donne del design a cura di Raimonda Riccini
ilpoligrafo
Volume promosso da
Con la collaborazione di
progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice grafica Laura Rigon redazione Alessandro Lise, Sara Pierobon copyright Š novembre 2017 Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-986-7
indice
9 Presentazione
Arturo Dell’Acqua Bellavitis 11 Presentazione
Silvana Annicchiarico 13 Introduzione Raimonda Riccini
19 23 29 41 53 65 77 91 95 103
Le designer nella storiografia Anty Pansera Professione e memoria della figura femminile nella storia del design italiano e internazionale Giampiero Bosoni Studio Del Campo. Un’esperienza di artigianato artistico nella Torino del dopoguerra Maria Chiara Salvanelli Clara Garesio. Fuori dall’ombra Francesca Pirozzi Grattacieli di piombo. Lucrezia Gangemi Serena Carbone La Carelia nel cuore. Liisi Beckmann Chiara Cerea Anita Klinz Anty Pansera Storie di mediazione: le donne e la cultura del design in Italia Maddalena Dalla Mura Piera Peroni e il talento senza gender Marco Sammicheli Giuliana Gramigna e la nascita di uno stile editoriale nella cultura del secondo dopoguerra a Milano Cinzia Pagni
127 149 167 173 185 193 207 225 235 249 259 267 271 285
Anna Maria Fundarò. Protagonista della didattica per lo sviluppo dei contesti meridionali e mediterranei (1970-1990) Marinella Ferrara Come Angelica e Bradamante. Antonia Astori e Adelaide Acerbi, le donne della Driade Paola Proverbio Design e culture di genere: rappresentazione e riconoscimento Valeria Bucchetti Donne e cultura del progetto Mara Campana Brunetta, Giulia, Umberta. Primi profili Massimo Dradi Donne della grafica italiana. Per una storiografia inclusiva Francesco E. Guida Le donne di Lora Lamm Valeria Bucchetti Fotografie sbiadite. Donne, comunicazione, tecnologia Letizia Bollini Progettiste e memoria del progetto: simmetrie archivistiche e culturali Luciana Gunetti Progetto MoMoWo. Cronologie/Genealogie Elena Dellapiana Le designer e le altre Raimonda Riccini Mestieri in prova. Donne a Milano 1950-1970 Rossana Di Fazio Petronilla e le altre. La stampa gastronomica come strumento di modernizzazione Fiorella Bulegato, Luisa Simioni Enciclopedia della donna. Il design e la casalinga razionale: emancipazione sotto tutela Rossana Carullo
295 Professione designer. Indagine su “donne designer� e mondi professionali Marinella Ferrara, Francesco E. Guida
309 Note biografiche degli Autori
Angelica e Bradamante le Donne del Design
presentazione
Come ha recentemente avuto occasione di osservare il compianto presidente della Triennale, Claudio De Albertis, «il Pil italiano potrebbe aumentare di circa il 13,6%» qualora il tasso di occupazione femminile raggiungesse quello maschile: è questo il dato che, più di altri, ci può aiutare a comprendere [...] con maggior chiarezza le proporzioni [...] e gli incredibili effetti positivi che un maggior peso delle donne potrebbe significare sotto il profilo economico. Ci piace pensare che, se il design e la moda italiana sono così stimati all’estero ed hanno un forte rilievo nell’economia del paese, ciò sia dovuto anche ad una maggiore partecipazione femminile. Anche in assenza di un preciso studio economico a riguardo, possiamo quindi spingerci ad avanzare l’ipotesi che le grandi “visionarie” del design italiano abbiano comportato per la produzione nostrana un vantaggio diretto.
Ecco dunque un motivo fondamentale e pre-politico per studiare, indagare e invocare l’avvento di un design a maggior partecipazione femminile come possibilità concreta più che di “emancipazione”, di crescita e sviluppo. L’impegno profuso dalle progettiste oggi più celebrate (forse non tanto quanto avrebbero meritato), ma anche l’incredibile mole di studi e il valore dei contributi di tante donne italiane, sono un buon paradigma di come ancora il design può evolvere: se infatti è vero che «la creatività non è né maschile, né femminile» (de Bevilacqua) è infatti altrettanto vero che il design vede ancora «una forte dominanza dell’ambito maschile sul fronte imprenditoriale» (Cappellieri). Nel contempo però ogni retrospettiva, ogni indagine e ogni proposta di studio sul design al femminile, evidenzia spesso un nutrito elenco di esempi e casi studio che fanno del design e della moda forse uno degli ambiti più egalitari, certamente per il nostro paese, ma in parte anche per molte altre nazioni. Quanto al design italiano al femminile ci piace infatti pensare che le storie di successo possano essere dovute anche all’intrinseca natura del design, in quanto disciplina libera e aperta, non dogmatica, capace di accogliere proposte e letture innovative, promotrice esplicita della creatività e con essa, implicitamente (e senza il bisogno di proclami) anche di valori senza colore né genere come l’uguaglianza, la condivisione,
S. Annicchiarico (a cura di), W. Women in Italian Design, catalogo della mostra (Milano, 20162017), Triennale Design Museum - Corraini, Milano-Mantova 2016. Ibid. Ibid.
l’impegno e la dedizione. Valori programmatici che ogni museo dovrebbe proporre come possibile lascito, reperto immateriale di ciò che avviene “dopo” il progetto. Ed è con questa occasione che sono lieto di ringraziare i promotori di questa iniziativa che ha portato ancora nuova luce in quest’ambito, felice anche del ruolo che Triennale sta dimostrando, come vero e proprio hub del design, aperto a visioni plurali e a nuove prospettive per supportare lo sviluppo di questa disciplina che oggi non appassiona più solo progettisti e studiosi, ma ha davvero guadagnato anche un vasto pubblico di persone interessate a capire la storia, il perché e le ragioni delle scelte formali e funzionali di quei progetti che fanno la storia della nostra quotidianità. Arturo Dell’Acqua bellavitis
Presidente Triennale Design Museum
presentazione
Il tema è analogo. Comune l’urgenza di risarcimento, la necessità di rivedere gerarchie consolidate, la volontà di colmare un vuoto. La IX edizione del Triennale Design Museum (“W. Women in Italian Design”) e il convegno “Angelica e Bradamante”, organizzato dall’Associazione degli storici del design, comunicano fra loro a partire da una singolare (e forse anche epocale...) coincidenza cronologica: il concept del Museo cominciava a prendere forma proprio mentre gli storici del design riflettevano e definivano il tema del loro convegno. La coincidenza – inconsapevole, involontaria, ma in qualche modo epifanica – non è solo temporale: dice piuttosto come le riflessioni e le interrogazioni sulla creatività e progettualità femminile non siano più procrastinabili e come diventi sempre più urgente per non dire doveroso dare alle donne quel che è delle donne: uno spazio centrale e un ruolo niente affatto ancillare nella storia ricca e densa del design italiano dal dopoguerra ai giorni nostri. Se “W. Women in Italian Design” ha trovato in Penelope e nel suo perenne tessere, disfare e ritessere la sua musa ispiratrice, il convegno degli storici ha posto invece in una dimensione poeticamente e leggiadramente ariostesca la sua riflessione spregiudicata (cioè senza pregiudizi, schietta e diretta) sulle forme e i modi del contributo femminile all’affermazione e al prestigio del design italiano. Gli atti raccolti in questo volume testimoniano la ricchezza delle analisi e la profondità delle riflessioni maturate durante il convegno, ponendosi in un rapporto di virtuosa complementarietà con il volume-catalogo che ha accompagnato nel Museo della Triennale W. Women in Italian Design. Silvana Annicchiarico
Direttore Triennale Design Museum
introduzione Raimonda Riccini
La donna il palafreno a dietro volta, e per la selva a tutta briglia il caccia [...]. [...] Ecco pel bosco un cavallier venire, il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero: candido come nieve è il suo vestire, un bianco pennoncello ha per cimiero L. Ariosto, Orlando furioso, 1516, I, 13, 60
Angelica e Bradamante occupano, nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, un ruolo cruciale, messo in chiaro fin dai primi momenti della narrazione: una, Angelica, la bella principessa che fugge inseguita dai suoi spasimanti; l’altra, Bradamante, che giunge sotto le mentite spoglie di un cavaliere. Il significato delle due figure del poema cavalleresco (di cui si sono appena festeggiati i 500 anni!) travalica gli aspetti letterari e rivela tutta la sua modernità nell’immaginario che le due eroine incarnano. Angelica è per noi la donna bella e desiderata, Bradamante la donna forte e determinata, ossia donne cristallizzate nella figurazione di due modelli, se non proprio opposti quantomeno divergenti. Ed ecco che Ludovico Ariosto nel primo canto del poema ci fa balenare davanti agli occhi, con versi incalzanti e nervosi, Angelica in fuga sul suo cavallo lanciato nella selva; mentre dell’altra si sofferma a descrivere l’incedere fiero e tranquillo, le vesti e gli ornamenti candidi. Bradamante viene verso di noi, ma ha le sembianze di un uomo. In realtà, nell’Orlando furioso le due protagoniste non corrispondono esattamente agli stereotipi che noi abbiamo in mente (la donna sensuale, vanitosa, oggetto del desiderio, e la donna pragmatica, saggia, “da sposare”). Entrambe provengono dalla tradizione dei poemi carolingi e medievali che ne hanno fissato i canoni, ma Ariosto le ravviva con sfumature caratteriali non sempre aderenti allo schema: in Angelica innesta elementi di cinismo e indifferenza, in Bradamante il seme dell’ambiguità. Un paio d’anni fa, rileggere il poema ariostesco ha costituito per me una vera sorpresa e la doppia caratterizzazione dei due personaggi femminili è stata la molla da cui ha preso avvio il progetto che porta a questo libro. Ho pensato che, forse, la fuga ansiosa di Angelica-donna e l’incedere sicuro di Bradamante-maschio fossero una chiara metafora della condizione femminile contemporanea, nella quale la piena espressione della propria identità non è ancora riconosciuta compiutamente, né accettata. Forse, mi sono detta, è anche una chiave interessante per riflettere sulla storia delle donne in rapporto al mondo del design, delle professioni e delle attività a esso collegate.
Ambiguità ripresa da Italo Calvino, che nel suo Cavaliere inesistente (Einaudi, Torino 1959) assegna alla monaca Teresa la funzione di narratore della storia, per farci scoprire alla fine che si tratta in realtà di Bradamante.
raimonda riccini
Tutto questo si inserisce in un momento storico in cui, dopo una lunga stagione di sordina, le tematiche legate alla presenza femminile nella società sono tornate al centro dell’attenzione, sotto molteplici punti di vista. Positivi e negativi. Anche se qui il nostro intento non è quello di riproporre le “vecchie” questioni del femminismo militante (la cosa, peraltro, non sarebbe affatto disdicevole), la realtà che abbiamo di fronte ci dice che non tutte le rivendicazioni aperte da quella stagione si sono realizzate. Anzi. Senza voler toccare temi di sconvolgente attualità, come la condizione femminile in molti paesi del mondo (si pensi alle restrizioni della libertà e dei diritti in molti paesi, fino alla legge recente che in Russia depenalizza la violenza sulla donna all’interno della famiglia) o il cosiddetto femminicidio, basta guardarsi intorno per constatare l’enorme divario che ancora separa gli uomini dalle donne nel mondo del lavoro e delle professioni, le differenze di retribuzione per gli stessi livelli occupazionali, le difficoltà di accesso alle cariche apicali in istituzioni, università, imprese, associazioni ecc. Per non parlare dell’uso fatto in questi decenni del corpo femminile, mercificato come strumento di comunicazione e come vessillo del potere maschile. Seppure dunque dentro un contesto così problematico, cosa che non dovremmo mai dimenticare, il tentativo di questo progetto è quello di spostare leggermente il punto di vista. Senza addentrarci nell’attuale discussione sulla questione gender, che potrebbe essere fuorviante nell’affrontare una tematica ancora poco esplorata nella storia del design, abbiamo voluto interrogarci e discutere sull’“altra metà del design”, su quello che ancora non si sa ed è invece giusto sapere. Ovvero fare ciò che si addice alla buona ricerca storica, il cui compito è colmare le lacune nella trama del proprio racconto e portare i riflettori su temi finora trascurati, ma significativi e importanti, anche alla luce della cultura contemporanea. Il richiamo alla fortunata mostra curata nel 1980 da Lea Vergine sull’“altra metà dell’avanguardia” (L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, Il Saggiatore, Milano 2005), che portò alla luce pittrici e scultrici che avevano svolto un ruolo primario nel grande rinnovamento artistico della prima metà del Novecento, vuole sollecitare un analogo lavoro sulle donne che hanno contribuito da protagoniste alla storia del design. Un lavoro, questo, che già può contare sulla ricca ricognizione avviata diversi anni fa da Anty Pansera (come racconta la stessa Pansera nel saggio di apertura), ma di cui si intravedono ancora possibilità di approfondimento e completamento. Oltre a un doveroso atto di riconoscimento del valore e della qualità del lavoro di tante professioniste, i saggi del volume offrono l’opportunità di individuare nuovi elementi per una revisione – oggi quanto mai necessaria – delle storie del design di cui disponiamo, storie nate nel Novecento con uno sguardo fortemente maschile e con gerarchie di valori da riconsiderare. Se le storie del design non hanno incluso le donne per ragioni ideologiche, non faremo però un’operazione ideologica di segno opposto. Il mio obiettivo è, direi, più ambizioso. Quando, quasi un secolo fa, sono stati avviati studi in aperto contrasto con la visione dominante basata sulla storia événementielle, in particolare da parte degli storici della cosiddetta scuola delle «Annales» (la rivista fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre nel 1929), si sono aperti campi d’indagine nuovi: i mezzi di produzione,
introduzione
la tecnologia, gli strumenti del lavoro, ma anche la demografia, gli oggetti della vita quotidiana, il cibo, la sessualità ecc.; si sono affermati nuovi approcci, come quello della “lunga durata”, che spostavano l’accento dagli accadimenti puntuali alle strutture sottostanti, caratterizzate da permanenza e temporalità dilatata; si sono stabiliti metodi scientifici per la ricerca storica, a partire dal primato delle fonti ecc. Quando, dalla fine degli anni Sessanta, si sono sviluppati negli Stati Uniti i women’s studies – che hanno posto al centro la nozione di genere come costrutto culturale delle diverse società – sono state messe a punto metodologie specifiche, sono state introdotte nella ricerca tematiche sino ad allora inesplorate. Io credo che oggi la storiografia del design abbia necessità di stabilire nuovi campi di ricerca, selezionandoli anche in base alla loro rilevanza nel discorso pubblico contemporaneo. La storiografia sul design in Italia si sta ancora affrancando dalla visione novecentesca, dove si sono confrontate, com’è ormai noto, due visioni prevalenti: da un lato la tradizione mutuata dalla storia dell’arte e dell’architettura, che privilegiava l’autore / gli autori e l’opera / le opere; dall’altro quella legata a un approccio (per la verità più confuso) che mescolava storia anonima, storia economica, della tecnica e delle imprese. In questi ultimi anni si sono sviluppate anche in Italia – è vero – alcune ricerche sulla cultura materiale, sul design anonimo, sugli aspetti professionali e non artistici del mestiere del design. Ciò nonostante si avvertono ancora una ripetitività tematica e una debolezza metodologica diffuse, che sarebbe ora di rimuovere dal nostro orizzonte. Le ricerche proposte in questo volume rappresentano un primo passo nella direzione di integrare e completare il primo dei due filoni, quello autoriale, dal quale mancano con tutta evidenza le protagoniste femminili. Sono testimoni di questo filone tutti i saggi volti a ricostruire storie di donne designer che hanno dato contributi importanti nel loro settore di progetto, sia nella fase ibrida del passaggio dall’arte e dall’artigianato al design (su questo, i testi di Maria Chiara Salvanelli, Francesca Pirozzi, Serena Carbone), sia in quella più matura della partecipazione a un design pienamente inserito nei processi industriali e del consumo, fra Italia e altrove (Chiara Cerea, Anty Pansera, Valeria Bucchetti, Luciana Gunetti), con uno sguardo alla dimensione internazionale del fenomeno (Elena Dellapiana), il tutto accompagnato da una sintesi di Giampiero Bosoni. Particolarmente significativa la presenza di donne nel settore della grafica, come evidenzia Mara Campana nel suo testo introduttivo, e come viene analizzata nei saggi di Massimo Dradi, Francesco Guida e di Letizia Bollini, che mostra l’apporto delle donne allo sviluppo delle discipline della comunicazione in relazione alle tecnologie informatico-digitali. Un secondo gruppo di interventi, aperto dal testo di Maddalena Dalla Mura, mette in luce figure di donne che, pur non essendo designer, o non essendolo in prevalenza, sono state protagoniste nei settori della cultura e della formazione, dell’editoria e dell’imprenditoria. Su questi temi cruciali intervengono i contributi di Marco Sammicheli, Cinzia Pagni, Marinella Ferrara, Paola Proverbio. Il successivo gruppo di ricerche propone diversi campi d’indagine storica ancora piuttosto inesplorati, che
raimonda riccini
attraverso l’ottica femminile emergono con maggiore facilità. Introdotte dalla sintesi di Valeria Bucchetti, scrivono delle professioni femminili nell’Italia del dopoguerra e degli strumenti di acculturamento delle donne alla modernità Rossana Di Fazio, Raimonda Riccini, Fiorella Bulegato, Luisa Simioni e Rossana Carullo, portando in primo piano la dimensione sociale e culturale caratterizzata dal genere. Accanto a questa prospettiva, i contributi di questo volume sottendono anche due aspetti fortemente intrecciati alla cultura e alla prassi del design. Da un lato, le tematiche relative all’immagine della donna nella storia e nel mondo contemporaneo, consapevoli che il design della comunicazione ha un ruolo centrale nei meccanismi che presiedono la costruzione sociale e culturale del femminile, per esempio per come esso agisce nell’ambito dei modelli di consumo (si vedano entrambi i contributi di Valeria Bucchetti). Dall’altro, la questione delle donne designer nel mondo della professione e in ambito accademico, cercando di capire qual è il peso della componente femminile e come questa si possa sviluppare entro vincoli, retaggi e opportunità. Su questo aspetto segnalo un prima, significativa indagine su donne designer e mondi professionali a chiusura del volume (Marinella Ferrara e Francesco Guida). Naturalmente, come ogni repertorio che si rispetti, questo lavoro dichiara anche moltissime omissioni. Sin dall’avvio, a una prima ricognizione delle ricerche in atto, è risultato chiaro che non si sarebbe potuto render conto di tutta la ricchezza e varietà delle storie e delle figure che emergevano continuamente. Allora, piuttosto che affastellare casi provenienti da tutti i campi possibili, si è preferito circoscriverne segmenti ben definiti. Così sono rimasti fuori da questa (speriamo) prima esplorazione il design del tessuto e del gioiello, la moda, la fotografia, e altri ancora, tutti ambiti che mi auguro potranno essere oggetto di approfondimenti e di prossime occasioni di incontro. Questo volume prende le mosse dal terzo convegno nazionale dell’Associazione italiana degli storici del design - AIS/Design (Triennale di Milano, 17-18 giugno 2016), che ha voluto contribuire alla riflessione contemporanea sul ruolo delle donne nella società, nelle professioni e nella cultura, mettendo al centro il rapporto fra donne e design. L’associazione dal 2009 si occupa di incentivare una ricerca storica scientificamente e criticamente fondata e di promuovere un’autentica cultura del design, in un paese dove “design” è diventato una parola magica ma spesso malintesa, e dove la storia è troppe volte ancora soltanto un brillante racconto senza incrinature o dubbi, se non un vero e proprio esercizio encomiastico. Un’associazione come la nostra ha il dovere, io credo, di stimolare le ricerche verso direzioni non consuete. I primi due convegni nazionali sono stati dedicati a una discussione tutta interna alla disciplina: uno su temi fondativi (Triennale di Milano, 1-2 dicembre 2011: Il design e la sua storia, Lupetti, Milano 2013); l’altro sulla didattica della storia e sulla formazione dello storico di design (Triennale di Milano, 28-29 novembre 2013: Storia hic et nunc. La formazione dello storico del design in Italia e all’estero, a cura di Pier Paolo Peruccio e Dario Russo, Allemandi, Torino 2015). Con il terzo incontro si è voluto guardare all’esterno, nella speranza che i risultati di questa esplorazione possano aiutare la discussione critica su quello che accade e contribuire a rinnovare la disciplina, compresa la rivisitazione delle storie del design.
introduzione
Ringraziamenti Vorrei ringraziare innanzitutto Valeria Bucchetti e Anty Pansera, che hanno partecipato sin dall’inizio alla preparazione di questa avventura. Il loro contributo, sia come studiose sia come rappresentanti, la prima, del gruppo di ricerca DcxCG - Design della Comunicazione per le Culture di Genere e Presidente, la seconda, dell’Associazione DcomeDesign, è andato ben oltre la semplice collaborazione. A entrambe devo molte delle scelte, tanto nella fase di preparazione del convegno, quanto nella cura e revisione del volume, senza dimenticare il piacere delle lunghe amichevoli discussioni e dei momenti conviviali di cui si nutre ogni buon progetto collettivo. Grazie alla Triennale di Milano, che ha condiviso il nostro progetto inserendolo nelle manifestazioni della XXI Esposizione Internazionale e ospitando il convegno nelle sue sale. In particolare, ringrazio Arturo Dell’Acqua Bellavitis e il Triennale Design Museum che ha dedicato la sua nona edizione alle donne con la mostra a cura di Silvana Annicchiarico (“W. Women in Italian design”). Ringrazio personalmente Silvana, anche perché l’ideazione e lo sviluppo parallelo dei nostri due progetti, benché casuali, ci hanno permesso di ragionare e discutere sulle diverse visioni – spesso anche discordi, a volte polemiche – che circolano sul tema donne/design. Grazie a coloro che hanno preso parte al convegno e che non sono presenti fra gli autori del volume: Alberto Bassi e, protagoniste della tavola rotonda finale, Luisa Bocchietto, Luisa Collina, Susanna Vallebona, Giovanna Talocci. Un ringraziamento alla Fondazione Isec di Sesto San Giovanni che, oltre a ospitare la sede della nostra Associazione, ha accolto i gruppi di discussione negli spazi di Villa Mylius nella giornata preparatoria al convegno (30 novembre 2015). A tutti coloro che vi hanno partecipato, dando un contributo importante all’avvio di questo progetto, va il mio ringraziamento: oltre alle autrici e agli autori dei saggi del volume, sono intervenuti: l’assessora alla Cultura del Comune di Sesto San Giovanni, Rita Innocenti; Mariateresa Chirico; Rosa Chiesa; Emilia Garda, Caterina Franchini (MoMoWo); Laura Cara; Cristina Demaria (Università di Bologna, Semiotica); Claudia Padovani (Università di Padova, Sociologia); Arianna Mainardi (Milano Bicocca, Sociologia e Ricerca Sociale); Francesca De Vecchi (Università Vita-Salute San Raffaele, Facoltà di Filosofia); Elena Caratti, Marta Reina, Silvia Pizzocaro (Politecnico di Milano, Design); Teresita Scalco (Università Iuav di Venezia, Archivio Progetti); Gianluca Grigatti; Luisa Steiner; oltre a grafiche professioniste come Valentina Ascione (Studio grafico Mosne); Ginette Caron (Ginette Caron Communication Design); Paola Lenarduzzi (Studio Paola); Roberta Manzotti (Rossodigrana). Un tributo di riconoscenza a Daniele Savasta, che ha generosamente regalato al convegno e al libro un’immagine grafica bella e sofisticata, che rispecchia, fra le altre cose, il nostro modo di guardare al passato e di essere immersi nel presente. Infine un ricordo e un pensiero affettuoso a Daniele Baroni, vicepresidente di AIS/Design, storico del design della comunicazione e designer, scomparso nel 2016. Daniele sin dall’inizio ha lavorato con noi, portando avanti questi propositi e questo progetto. Ci mancherà, come studioso e come amico.
Medaglia per il Premio “MAM - Maestri d’Arte e dei Mestieri”, realizzata dalla Scuola dell’Arte della Medaglia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, su bozzetto di Francesca Muscianesi; le medaglie sono state consegnate in occasione della premiazione tenutasi nel 2016 presso la Triennale di Milano
le designer nella storiografia Anty Pansera
Mi rafforzo sempre più nell’idea della necessità di “studiare” e di portare alla luce l’attività delle donne nella cultura del progetto, soprattutto intesa nella sua più ampia eccezione, per non dimenticare le visual designer... Ultima – meglio penultima – riflessione, imposta dalla premiazione, in Triennale, in un affollatissimo Salone d’onore, del Premio MAM, Maestri d’Arte e dei Mestieri, voluto dalla certo benemerita Fondazione Cologni delle Arti e dei Mestieri, iniziativa a cadenza biennale, seconda edizione nel 2018, con la quale «s’intende valorizzare e portare all’attenzione del grande pubblico e dei media la straordinaria opera di alcuni dei più significativi protagonisti del nostro alto artigianato». Sessantacinque i “diplomi” assegnati, con la consegna di una medaglia realizzata dalla Scuola dell’Arte della Medaglia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (unica scuola d’arte al mondo interna a una Zecca di Stato) su bozzetto di Francesca Muscianesi di questa Scuola. Il soggetto, una figura femminile simbolo dell’Italia e del pathos creativo, ornata da una collana di fiori di corbezzolo, che regge la stella a sette punte (allegoria di armonia e ricerca, in un gesto che mette in luce l’abilità umana nel trasformare la materia). Medaglia disegnata da una progettista, certo, ma con cui solo dieci donne sono state decorate e, per i mondi più a noi vicini, una sola presenza nella cinquina dell’arte del vetro, Vanessa Cavallaro, e le sorelle Vignoli nella cinquina dei maestri ceramisti. La parallela chiamata, con Alma, nel mondo della gastronomia, ha avuto premi assegnati solo a uomini, e non certo giovani di nuovo talento. Ad aprire la serie, Gualtiero Marchesi. Ottima l’iniziativa, importante, ma... si sono comunque avvantaggiate figure maschili e non certo sconosciute: a citare solo Dante Ferretti, Maestro per la scenografia. E, ancora: tra i tredici personaggi insigniti del Compasso d’Oro alla carriera, nella sua ultima edizione, nessuna progettista e scorrendo poi i premi ai prodotti... analoga constatazione. Tornando alle nostre più puntuali problematiche, una recente domanda di Silvana Annicchiarico – in occasione della rassegna che il Design Museum della Triennale di Milano, alla sua nona uscita, sta dedicando alle donne, “W. Women in Italian Design” – mi ha portato a riflettere ancora su come si possa spiegare la rimozione operata da buona parte della storiografia italiana nei confronti della cospicua presenza femminile nella storia del design nel nostro Paese. E ho riletto il percorso che avevo in fondo già compiuto, quando all’apertura del XXI secolo le amiche dell’UDI di Ferrara, e Lola Bonora in particolare, mi avevano
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maria chiara salvanelli
studio del campo. un’esperienza di artigianato artistico
1. Vaso, 1956-1957, smalto dipinto su rame 2. Piatto, su progetto di Gio Ponti, 1957, smalto dipinto su rame
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maria chiara salvanelli
3. Piatto, 1970 ca, smalto dipinto su rame 4. Posacenere e vaso, 1970 ca, acciaio inox e smalto dipinto
studio del campo. un’esperienza di artigianato artistico
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5-6. Vaso e scatola, 1970 ca, smalto dipinto su rame 7. Studio Del Campo al lavoro in via Bellardi, 1958 ca
maria chiara salvanelli
studio del campo. un’esperienza di artigianato artistico
la consistenza luminosa attraverso le finissime linee graffite, o il fantasioso gioco di positivo-negativo debitore di Bruno Munari. Soprattutto è da evidenziare il modus operandi con cui sono stati prodotti e distribuiti, e cioè la possibilità di commercializzarli con colori variabili (ne sono stati prodotti anche gialli e verdi), per adattarsi alle esigenze di arredamento del compratore. Questo principio, per così dire stilistico, di ideazione non è abbandonato nemmeno nella produzione di oggettistica iniziata negli anni Settanta. Sia che si faccia riferimento a una maggiore variegatura cromatica e libertà delle linee che ai cosiddetti “oggetti polimaterici” in rame smaltato e acciaio inox, le regole progettuali non cambiano: persistono le fini linee graffite e la nettezza dei contorni, così come il forte impatto cromatico garantito dalle campiture ben definite. Concludo con una nota personale, avendo avuto la possibilità di conoscere Bianca Tuninetto e Euclide Chiambretti, ascoltare i loro racconti e vedere e studiare il loro archivio. Fin da subito ho capito come fossero state figure totalmente all’avanguardia per l’epoca storica in cui hanno iniziato a lavorare e allo stesso tempo furono molto riservate per indole, tanto da volersi sempre presentare come gruppo senza mai dare risalto alle singole individualità. Credo che questo sia uno dei fattori fondamentali per comprendere anche il ruolo che hanno avuto le due donne all’interno del gruppo. Se è vero che certi lavori, definiamoli “di fatica”, erano affidati agli uomini, non si percepisce una loro leadership. Dalla visita, già citata e fondamentale per loro al Museo Poldi Pezzoli di Milano, iniziò uno studio faticoso e costante per padroneggiare la tecnica dello smalto, attività in cui Bianca Tuninetto e Lidia Lanfranconi ebbero un ruolo di primo piano. Le due donne quindi avevano un ruolo totalmente intercambiabile con i loro partner, sia nella fase creativa e progettuale che in quella realizzativa degli smalti, inoltre erano proprio loro a seguire la vendita al pubblico nel negozio che aprirono in centro a Torino. Due donne dunque che riuscirono a coniugare, grazie al sodalizio con i loro mariti, la loro passione con la vita privata e la famiglia, forti anche di quello spirito tipicamente torinese riservato e pragmatico.
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francesco e. guida
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le donne di lora lamm Valeria Bucchetti
Il contributo di Lora Lamm nel panorama della grafica italiana è certamente di grande importanza e lo è per tante ragioni. A dispetto della limitata visibilità che i suoi lavori hanno avuto nelle diverse storie del design grafico pubblicate in Italia, il lavoro di Lora Lamm ci permette di riflettere attraverso alcuni suoi progetti per riconoscere loro un peso determinante nella Storia del design, e del Design della comunicazione in particolare, contribuendo alla costruzione di un percorso critico, in grado di dare evidenza all’apporto offerto dalle progettiste nello sviluppo delle discipline e delle pratiche del progetto. Per parlare di lei in questo contesto ho scelto di fare riferimento agli anni Cinquanta e Sessanta basandomi su alcuni lavori realizzati da Lamm nel suo periodo milanese. Lora Lamm si trasferisce, infatti, a Milano nel 1953 nel pieno avvio del boom economico, in una città nella quale molti sono i designer svizzeri che si spostarono per beneficiare di un clima intellettuale vivace e di abitudini progressiste che si andavano affermando. Un ventennio prima Xanti Schawinsky, poi Max Huber, Carlo Vivarelli, Walter Ballmer, Aldo Calabresi, Bruno Monguzzi, sono tra i protagonisti di questa avventura che precedettero Lora Lamm e che, con lei, concorsero a un indirizzamento della cultura del progetto grafico e al suo consolidamento. Un indirizzamento talmente significativo da portare Enric Satué a scrivere (1988, p. 336), nel testo El diseño gráfico. Desde los orígines hasta nuestros días, che «una delle porte che la svizzera aprì fu quella verso l’Italia, grazie alla quale autori come Huber, Vivarelli, Ballmer e Lamm contribuirono in modo decisivo alla creazione di una suggestiva variante transalpina convertita e commercializzata nel mondo intero come “design italiano”». La riflessione sul contributo milanese di Lora Lamm va dunque situata in quella realtà intellettuale e il suo lavoro letto nel contesto di riferimento; ma oltre alla funzione di tassello nella storia della grafica italiana, esso costituisce anche la base per alcune considerazioni che vanno la di là del momento storico specifico, offrendosi,
Lora Lamm nasce in Svizzera ad Arosa, nel Cantone dei Grigioni (1928). Si veda in questo senso: la Storia del design grafico (Baroni, Vitta, 2003); Abecedario. La grafica del novecento (Polano, 2002); La grafica del made in Italy (Piazza, 2010); la Storia della pubblicità in Italia (Cesarani, 1988). Possiamo trovare una testimonianza di rilievo nella mostra dedicata alla progettista tenutasi presso il MAX museo di Chiasso nel 2013 nel catalogo a corredo. Si tratta dunque di un periodo circoscritto rispetto alla lunga attività professionale proseguita con il suo ritorno in Svizzera e che vede la progettista, ancora oggi, impegnata a Zurigo. Corsivo traduzione dallo spagnolo a cura dell’autrice.
valeria bucchetti
le donne di lora lamm
1. Estate e moda, la Rinascente, 1958
4. Distensione nella casa, la Rinascente, 1959
valeria bucchetti
le donne di lora lamm
5. Apertura di stagione, la Rinascente, 1957 6. La moda si diffonde con la Rinascente, 1959
valeria bucchetti
le donne di lora lamm
7. Vivere sui tappeti, cento tappeti nuovi per Milano, la Rinascente, 1959
valeria bucchetti
le donne di lora lamm
rossana di fazio
trasformato in realtà neppure oggi. Certamente però certe esperienze professionali hanno avuto buon gioco in questo “spazio” senza nome che era possibile occupare con intelligenza e senso del proprio tempo. È quando un settore si struttura e si istituzionalizza che sorgono i problemi di gerarchia e quindi di potere. E lì, ai piani alti, sono poche le donne che riescono ad avere ruolo insieme alla qualifica. Forse queste osservazioni suggeriscono anche che i “miracoli” economici o culturali non dipendono dalla moltiplicazione delle “professioni” in senso stretto, che l’esplosione delle specializzazioni e la loro continua atomizzazione, con relativo riconoscimento accademico, possono congelare in mille cubetti di ghiaccio la fonte miracolosa della immaginazione e della progettualità. Forse, per guardare anche propositivamente all’inclusione non solo delle donne ma anche a quella delle nuove generazioni nel mondo del lavoro, si deve incoraggiare una relazione dinamica, flessuosa ed empatica con il proprio tempo e una capacità d’ascolto per le domande e i vuoti che mette a disposizione come occasioni di futuro.
petronilla e le altre. la stampa gastronomica come strumento di modernizzazione Fiorella Bulegato, Luisa Simioni
Nel periodo fra le due guerre mondiali, in Italia, l’editoria di cucina o, più propriamente, la stampa gastronomica ha coinvolto un numero crescente di autrici femminili. Il loro apporto è inserito all’interno di un genere di pubblicazioni scarsamente indagato negli studi di storia delle comunicazioni visive ma di cui la storiografia di ambito gastronomico ha da tempo riconosciuto l’importanza sociale e politica nella costruzione dell’identità nazionale e il suo apporto alla modernizzazione del paese (Capatti, De Bernardi, Varni, 1998; Capatti, Montanari, 2005; Montanari, 2013), individuandone il capostipite nel celeberrimo volume La scienza in cucina. L’arte di mangiar bene. Manuale per le famiglie di Pellegrino Artusi (1891), la cui portata è così riassunta da Piero Camporesi (1970, p. xvi): L’importanza dell’Artusi è notevolissima e bisogna riconoscere che La Scienza in cucina ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi. [...] Un manuale che non è soltanto un libro di cucina come tanti altri: accanto a Cuore (e a Pinocchio) è uno dei massimi prodotti della società italiana del secondo Ottocento, una di quelle bibbie popolari che il moderatismo sociale italiano ha espresso per la costruzione di un cittadino fabbricato secondo i postulati dell’etica borghese, corroborato da uno slancio e da una serietà che la letteratura sociale non riuscirà più a ritrovare.
Il volume, rivolto alle famiglie borghesi, colloquiale e non tecnico – come lo erano i testi fino ad allora indirizzati ai cuochi professionisti (Capatti, Montanari, 2005, p. 188) –, partecipativo e popolare, diviene da fine Ottocento il modello per molte pubblicazioni successive, anche quelle scritte da donne. Data solo due anni dopo infatti il primo libro di cucina al femminile in Italia, il Manuale di cucina per principianti e per cuoche già pratiche, traduzione di Ottilia Visconti-Aparnik di un testo austriaco con alcune ricette italiane (Prato, 1893), mentre Come posso mangiar bene? di Giulia Ferraris Tamburini (1900), segna l’inizio del vero e proprio apporto autoriale di ge-
Si intendono più artefatti a stampa, riassumibili in editoria di cucina (volumi e periodici), pubblicazioni di propaganda, opuscoli e ricettari aziendali pubblicitari. Utili e documentate la raccolta di titoli, rivolta ai bibliofili, di Moroni Salvatori, 2014 e di ricettari pubblicitari di Musci, 2009. A questo proposito, una prima ricostruzione storica sull’argomento è contenuta in Simioni, 2015, tesi di laurea magistrale discussa all’Università Iuav di Venezia che ha approfondito il tema dell’editoria di cucina fra le guerre mondiali in Italia, analizzando le fonti primarie dal punto di vista grafico e fornendo un ampio regesto di opere (1918-45). Il testo qui presentato si basa sui risultati di tale ricerca. Inserisce invece questi materiali in una storia del design del prodotto alimentare Bassi, 2015.
1. Copertina stesa della rivista fondata e diretta da Ada Giaquinto Boni, «Preziosa», XX, 9, settembre 1934, con annuncio pubblicitario dedicato alla IV edizione de Il talismano della felicità 2. Copertina di Ada Giaquinto Boni, Il talismano della felicità, Edizioni di «Preziosa», Roma 1925 (illustrazione di Carlo Alberto Petrucci)
fiorella bulegato - luisa simioni
petronilla e le altre
3. Copertina di Lidia Morelli, Per voi massaie d’Italia, Tipografia Silvestrelli e Cappelletto, Torino 1938, fornito in omaggio dalla Società Reale Mutua Assicurazioni (illustrazione di Attilio Mussino)
petronilla e le altre
E altrettanto connotata da influenze moderniste è l’edizione rinnovata dalla Morelli del volume di Amedeo Pettini, famoso cuoco di casa Savoia, Massaia 900. La cucina moderna interpretata da il capo cuoco del Re Amedeo Pettini (Pettini, Morelli, 1940) per la ditta Rebaudengo di Torino che, riprendendo l’edizione del 1936, presenta copertina aerografata alla maniera futurista di Giuseppe Borgni, interno impaginato a due colonne ospitanti testi in carattere bastone e immagini fotografiche. Petronilla e la cucina a sostegno delle famiglie Ancora più vicine alla stampa popolare sono le pubblicazioni di Amalia Moretti Foggia della Rovere (Mantova 1872 - Milano 1947). Figlia di farmacisti, si laurea prima in Scienze naturali a Padova, poi in Medicina e chirurgia a Bologna e si specializza in Pediatria a Firenze, dove conosce Anna Kuliscioff, medico e fra i principali fondatori del Partito socialista italiano, assieme al compagno Filippo Turati, che sarà il suo tramite per stabilirsi a Milano. Qui dal 1902 svolge la professione medica nell’ambulatorio della Poliambulanza di Porta Venezia, una delle strutture di pronto soccorso gratuite per l’assistenza alle classi del proletariato urbano e, in particolare, a donne e bambini. Impegnata nell’insegnamento anche presso la Società Umanitaria nell’intenzione di diffondere norme igieniche elementari e principi di prevenzione, nel 1926 inizia a collaborare con «La Domenica del Corriere» occupandosi prima della rubrica La parola del medico sotto lo pseudonimo Dottor Amal e poi di altre due intitolate Tra i fornelli e La massaia scrupolosa (Dall’Ara, 1998; Danesi, 2011). Firma quest’ultime con il nome Petronilla – ispirandosi alla striscia di fumetti Arcimboldo e Petronilla, che dal 1921 veniva pubblicata su «Il Corriere dei piccoli» – e con lo stesso nome escono dal 1935 al 1944 i volumi della serie “Ricette di Petronilla” che raccolgono gran parte delle sue ricette pubblicate settimanalmente, il primo per le edizioni Olivini (Petronilla, 1935) e i successivi per Sonzogno (Petronilla 1937, 1941a, 1941b, 1943, 1944) (fig. 6). Scritti in tono confidenziale, rivelano con più allusioni di altri testi le sanzioni di guerra e le necessità di risparmiare, passando dalla cucina autarchica a quella del tempo di guerra quando, con i generi alimentari primari razionati o introvabili, garantire il vitto alla propria famiglia era un problema non solo per la classi disagiate ma anche per la piccola borghesia a cui Petronilla si rivolgeva. Petronilla scrive perciò alle lettrici con l’idea di educare ed emancipare la massaia rendendola abile, parsimoniosa e consapevole dell’indispensabilità del proprio ruolo in «tempi eccezionali» (Petronilla, 1941b). Dato il loro carattere popolare, le copertine dei volumi, di formato ridotto (18 × 12 cm circa), ricalcano le caratteristiche di alcuni periodici a larga diffusione illustrati di quegli anni, con una composizione a fasce ben scandite da colori brillanti con titoli in bianco, bastone in corpo notevole, e la parte centrale occupata dall’immagine fotografica in bianco e nero che rappresenta ambienti di cucina. All’interno le ricette sono descritte in modo narrativo, distinguendo la parte aneddotica da quella istruttiva, e corredate da illustrazioni semplificate.
fiorella bulegato - luisa simioni
Questioni aperte La ricerca, brevemente delineata, apre a molti possibili filoni che qui possiamo solo accennare, fermo restando che non si tratta essenzialmente di distinguere fra contributi di genere, ma di studiare e interpretare ambiti, personalità e interventi progettuali ancora poco esplorati dalla storiografia del design. L’approfondimento potrebbe pertanto portare a collocare le pubblicazioni, legate alla stampa gastronomica, nella storia delle comunicazioni visive confrontandole con quanto succede per altri artefatti del periodo. Così come, riferendoci a lacune presenti nella storia dell’editoria, sarebbe interessante ricostruire i legami fra editori, autori, grafici e altre figure interne alle case editrici per verificare non solo i legami ma anche i processi ideativi e decisionali nella realizzazione delle pubblicazioni. E per continuare nei confronti, si potrebbero utilmente indagare influenze e distanze dagli esempi stranieri. Sul fronte della definizione dei codici grafici contemporanei dell’editoria di cucina parrebbe importante invece studiare l’apporto dato negli stessi anni dalle pubblicazioni più specialistiche, a esempio quelle relative all’alta pasticceria che, trattando di piatti in cui ingredienti e misurazioni devono essere minuziosamente precisati nelle fasi del processo, necessitano di una organizzazione visiva dei contenuti più puntale e di immagini chiare del percorso di preparazione e dei risultati finali. Infine, riferendoci alle opere di ampia diffusione, dal confronto con tirature e pubblico di riferimento si potrebbe stabilire più precisamente la loro incidenza nel processo di modernizzazione del Paese, ad esempio, per quanto riguarda l’ambito domestico sia per spazi e dotazioni di attrezzature, sia per la scelta di alimenti, quest’ultimi collegandoli, ad esempio, al tipo di pagine pubblicitarie ospitate. Non c’è dubbio infatti sul fatto che dall’analisi delle pubblicazioni di questo periodo si possano dedurre in modo diretto e suggestivo gli usi dell’epoca. Un linguaggio più moderno o più tradizionale nell’uso di immagini e testi, oltre ai toni e ai soggetti rappresentati, può mostrarci un’immagine molto chiara degli stili di vita, e in particolare della concezione della donna e del suo lavoro.
Bibliografia Artusi, P. (1891), La scienza in cucina. L’arte di mangiar bene. Manuale per le famiglie, Salvatore Landi, Firenze. Bassi, A. (2015), Food design in Italia. Progetto e comunicazione del prodotto alimentare, Electa, Milano. Boni, A. (1915), Editoriale, «Preziosa», 1, febbraio, p. 1. — (1925), Il Talismano della felicità, Edizioni della Rivista «Preziosa», Roma. Camporesi, P. (1970), Prefazione in Artusi, P., La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Einaudi, Torino. Capatti, A. - De Bernardi, A. - Varni, A., a cura di (1998), Storia d’Italia. Annali XIII. L’alimentazione, Einaudi, Torino.
Finito di stampare nel mese di novembre 2017 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso le Grafiche Callegaro di Peraga di Vigonza (Padova)