humanitas
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tra i longobardi del sud Arechi II e il Ducato di Benevento a cura di Marcello Rotili
presentazione di Claudio Ricci introduzione di Aniello Cimitile
ilpoligrafo
Volume pubblicato con il contributo di Provincia di Benevento Gestione Rete Museale
Atti del Convegno Internazionale “Arechi II e il Ducato di Benevento” Benevento, Museo del Sannio, 15-17 maggio 2014
Un particolare ringraziamento per la partecipazione all’azienda
Gli Autori e l’Editore ringraziano tutte le istituzioni che hanno gentilmente concesso l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini. Tutte le immagini sono state fornite dagli Autori, sotto la loro responsabilità, libere da diritti. Gli Autori restano a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore obbligo in relazione alle immagini riprodotte. progetto grafico e redazione grafica Laura Rigon redazione Alessandro Lise © Copyright ottobre 17 Il Poligrafo casa editrice srl Padova piazza Eremitani - via Cassan, tel. - fax e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978---914-0
INDICE
11
Presentazione Claudio Ricci
13
Prefazione Marcello Rotili
16
Introduzione Aniello Cimitile
19
I Longobardi dell’Italia meridionale: conquista e integrazione Vera von Falkenhausen
31
Arechi II e il ducato: politica, istituzioni, legislazione Claudio Azzara
41
Il principato longobardo di Benevento e le sue circoscrizioni amministrative Bruno Figliuolo
59
Il diritto longobardo nell’ordinamento giuridico del Regnum Ortensio Zecchino
79
La legislazione beneventana: problemi di ricerca Gustavo Adolfo Nobile Mattei
91
Il territorio del Seprio tra Longobardi e Carolingi: un modello per lo studio dell’organizzazione del potere Paola Marina De Marchi
117
Arechi II e Benevento nell’opera di Paolo Diacono Daniele Solvi
133
Per “Adelperga Pia”: i Versus de annis a principio saecolorum di Paolo Diacono Michele Rinaldi
163
La caccia al volo nella Longobardia minore Errico Cuozzo
181
Arechi II e Benevento Marcello Rotili
227 La connessione beneventana e le economie-mondo altomedievali (ca 770-840): una traccia Alessandro Di Muro 237
Organizzazione dello spazio in un settore di frontiera: la Campania settentrionale in età arechiana Nicola Busino
253
Dinamiche insediative e tracce materiali di età longobarda a Quintodecimo Sandra Lo Pilato
273
L’età di Arechi II: forme di produzione artigianale nel ducato di Benevento dopo il 774 Rosa Fiorillo
305
Benevento, scavi nell’area dell’arco del Sacramento: la ceramica comune e da cucina di VIII-IX secolo Silvana Rapuano
319
Il culto di santa Sofia matrona nella Benevento longobarda Laura Esposito
355
Arechi II e Salerno Paolo Peduto
375
Insediamenti, città e luoghi di culto lungo il limes altomedievale nel Bruzio Giuseppe Roma
399
Istituzioni ecclesiastiche e aspetti di vita religiosa Mario Iadanza
427
L’organizzazione diocesana nel ducato di Benevento Giovanni Araldi
465
Arechi II tra cronache e agiografie: una via per giungere al mito? Amalia Galdi
483
Testimonianze archeologiche della traslazione di relique prima e dopo Arechi II: esempi di area longobarda e bizantina Carlo Ebanista
537
Riding to Walhalla: the Role of Horses and Horsemen in Italian Funerary Rituals in the Early Middle Ages Paolo de Vingo
567
Ritualità funeraria nell’area meridionale della Langobardia minor Adele Coscarella
591
La Longibardia minor e Bisanzio Ewald Kislinger
609
Arechi II e i rapporti con il papato Tommaso Indelli
633
Arechi II: verso la monetazione nazionale beneventana Ermanno A. Arslan
657
La lingua dei Longobardi di Benevento Elda Morlicchio
669 Tradizione documentaria, archivi, edizione di testi: il Chronicon Sanctae Sophiae Jean-Marie Martin 683
Beneventan Script, cent’anni dopo Marco Palma
693
Arechi II, Paolo Diacono e la “fondazione” longobarda di Salerno. Il contributo dell’epigrafia Chiara Lambert
713
La scultura nella Langobardia minor tra “maniera beneventana” e “maniera greca” Francesco Abbate
721
Pittura e miniatura a Benevento al tempo di Arechi II: problemi critici Alessandra Perriccioli Saggese
739
Testimonianze di “pittura beneventana” tra VIII e X secolo: Benevento e Salerno Andrea Improta
751
Sequens vestigia regum. Note conclusive Gabriele Archetti
769
Abstracts
tra i longobardi del sud arechi II e il ducato di benevento
presentazione
La Provincia di Benevento, in questo inizio di millennio, con i presidenti Carmine Nardone e Aniello Cimitile (anche quale Commissario straordinario), si è impegnata per valorizzare l’epoca del Ducato e Principato di Benevento, città capitale della “Longobardia Meridionale”. Puntando sulla Sezione Longobarda del Museo del Sannio, istituto culturale fondato nel 1873 dalla Provincia, dal 1929 ubicato nell’area del cenobio annesso alla chiesa di Santa Sofia, eretta nell’VIII secolo dal duca, quindi principe di Benevento Arechi II, i miei predecessori principalmente lavorarono, il primo, per l’inserimento di quella chiesa (inclusa nel sito seriale “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere”) nella World Heritage List dell’Unesco; e, il secondo, per la rinascita degli studi sulla “Longobardia Meridionale”, promuovendo dal 15 al 17 maggio 2014, la prima “Biennale di Studi Longobardi”, per il coordinamento scientifico del professor Marcello Rotili e la partecipazione di luminari italiani e stranieri. Quale consigliere provinciale, insieme ai colleghi, seguii con interesse e incoraggiai il lavoro dei miei predecessori e, dall’ottobre 2014, quale presidente (in un contesto istituzionale, legislativo e, soprattutto, economico-finanziario, ahimè, profondamente mutato in peggio) ho voluto impostare politiche a tutela dei beni e giacimenti culturali, patrimonio dell’Ente. Uno degli effetti di tali iniziative è che la sede istituzionale della Provincia, la Rocca dei Rettori, che ingloba i resti del fortilizio “longobardo” di Porta Somma, viene oggi frequentata da un gran numero di scolaresche e da turisti italiani e stranieri. Ciò significa che questi edifici monumentali sono sempre di più concepiti non solo come “luoghi del potere politico-amministrativo”, ma anche come poli e giacimenti culturali in cui si visitano gli scavi archeologici, si realizzano performances artistiche, si svolgono dibattiti: in altre parole, si è costruita una nuova consapevolezza del valore aggiunto di questi beni per il territorio, la dignità della sua storia e la ricchezza e la vastità delle sue emergenze. Dunque, nel solco di questo mio impegno, sono onorato di presentare gli Atti del Convegno Internazionale di studi “Arechi II e il Ducato di Benevento”: essi costituiscono, a mio giudizio, un fondamentale tassello nella storia di questa Provincia. Istituita per volere di Giuseppe Garibaldi il 25 ottobre 1860, essa
presentazione
nacque per effetto delle lotte dei patrioti sanniti che, in una Italia unita, intesero l’Ente come la leva per la rinascita degli splendori antichi di questo territorio: ebbene, io reputo le seguenti pagine curate dal prof. Rotili come una pietra miliare in questa direzione. Mi spiego. Sono nato e cresciuto, anche politicamente, in una “non grossa” comunità e ne sono stato Sindaco e sono attualmente Presidente di una “non grossa” Provincia delle aree interne campane: avendo, dunque, vissuto e vivendo sulla pelle talune situazioni, credo di essere legittimato a dire che il concetto di grandezza fisica vada correttamente e lucidamente interpretato e cioè che, se qualcosa “non è grosso”, ciò non vuol dire che sia “trascurabile”, “marginale” o “insignificante”. Purtroppo, da tempo si registra, con scarso o nullo contrasto, una corsa degli abitanti dei comuni “non grossi” verso le “grosse” aree metropolitane. L’abbandono delle aree interne (o “desertificazione sociale”) non solo depaupera fisicamente il territorio lasciandolo privo di manutenzione, ma getta al vento scrigni ricchi di perle, cioè di storia, di giacimenti archeologici, di monumenti, di opere d’arte e di cultura, creati da chi per secoli vi ha vissuto. È, questo, un delitto per un paese con la più estesa concentrazione di beni culturali al mondo. Le pagine di storia beneventana e sannita, in quella che oggi è la “meno grossa” Provincia della Campania, sono antichissime; le testimonianze illustri; i giacimenti culturali imponenti; i poli di attrazione turistica numerosi: e, se è impossibile elencarli in poche righe, vorrei, in tutta umiltà, ricordare che anche in queste contrade si è scritta la storia e si è formata la cultura d’Italia e d’Europa. Come giudicare diversamente, a titolo esemplificativo, il “più bel vaso al mondo” e cioè “Il ratto d’Europa”, il Cratere di Assteas del IV secolo a.C.; oppure il “poema in pietra”, l’Arco di Traiano di Benevento del I secolo d.C.; ovvero il Canto beneventano e la Scrittura beneventana di epoca longobarda; oppure l’esito della battaglia del 26 febbraio 1266, ad un chilometro da questo torrione longobardo, in cui perse la vita Manfredi di Svevia e si infranse il sogno suo e di suo padre Federico II di “costruire” il Regno d’Italia in opposizione al potere temporale del Papa-re? Questi Atti del Convegno di Studi Longobardi, dunque, caro Lettore, da un lato, sono il valore aggiunto dell’impegno di questa Provincia a favore del territorio; dall’altro, testimoniano l’importanza, lo spessore il respiro internazionale della storia locale sannita. Quanto al valore scientifico delle relazioni agli Atti, per invitare a riflettere sulle prossime pagine, citerò un passo dell’incipit dell’Editto di re Rotari del 643: «Quanta è stata, ed è, la nostra sollecitudine per la prosperità dei nostri sudditi lo dimostra il tenore di quanto è aggiunto sotto...». Benevento, dalla Rocca dei Rettori giugno 2017
Claudio Ricci
Presidente della Provincia di Benevento
Prefazione
Nei giorni 15-17 maggio 2014, nella sala delle conferenze del Museo del Sannio di Benevento, ubicato nel complesso di Santa Sofia, si è svolto il Convegno Internazionale di studi “Arechi II e il Ducato di Benevento”. Mentore dell’iniziativa, volta a promuovere la conoscenza dell’Italia meridionale longobarda e quella di Arechi II, duca dal 758 al 787, è stato il professor Aniello Cimitile, già rettore dell’Università del Sannio e presidente della Provincia di Benevento della quale nel 2014 era commissario di governo. Il convegno, concepito come il primo di una “Biennale di Studi Longobardi” che potrebbe avere a breve termine il suo prosieguo, è stato strutturato su relazioni tenute da studiosi invitati e su comunicazioni di ricercatori per lo più giovani che hanno subito il vaglio del Comitato scientifico; sono state analizzate le seguenti tematiche: potere, legislazione, economia; il ducato nelle relazioni internazionali; le città, l’organizzazione ecclesiastica e la prassi funeraria; la cultura, l’arte, la lingua. Il 15 maggio, dopo i saluti delle autorità e l’introduzione al Convegno tenuta da Aniello Cimitile, la prima sessione dei lavori, dedicata a Potere e istituzioni è stata presieduta da Francesco Sabatini ed ha comportato la lettura di quattro relazioni (von Falkenhausen, Azzara, Figliuolo, Zecchino) e di due comunicazioni (Nobile Mattei, De Marchi). La seconda sessione, tenuta nel pomeriggio, ha illustrato il tema Arechi II e Benevento: società, economia, territorio ed è stata coordinata da Mario Ascheri. Alle quattro relazioni previste (Solvi, Rinaldi, Cuozzo, Rotili) sono seguite sei comunicazioni (Di Muro, Busino, Lo Pilato, Fiorillo, Rapuano, Esposito). Nella mattinata di venerdì 16 maggio Giovanni Vitolo ha presieduto la sessione dedicata a Città, organizzazione ecclesiastica, pratiche religiose e funerarie, con sette relazioni (Peduto, Roma, Iadanza, Araldi, Galdi, Ebanista, de Vingo) e una comunicazione (Coscarella). I lavori sono proseguiti nel pomeriggio, sotto la presidenza di Angelo Baronio, sul tema Il ducato nelle relazioni internazionali: sono stati tenuti due dei tre interventi previsti (Kislinger, Indelli) per lo spostamento di quello di Ghislayne Noyé alla mattinata del 17 maggio unitamente all’intervento sul tema La monetazione. Nel contempo è
prefazione
stata anticipata la sessione Lingua, fonti scritte che ha comportato la lettura delle relazioni previste (Morlicchio, Martin, Palma, Lambert); la seduta del 17 mattina, presieduta da Alfio Cortonesi, ha riguardato quindi La monetazione (relazione Arslan) e Le testimonianze artistiche (relazioni Abbate, Perriccioli Saggese; comunicazione Improta). I lavori sono stati conclusi da Gabriele Archetti. Al termine della seduta pomeridiana del giorno 16 Marcello Rotili ha guidato la visita della chiesa di Santa Sofia e del Museo del Sannio. Gli Atti comprendono tutte le relazioni e le comunicazioni tenute nel corso del convegno, tranne una, e fanno emergere la singolare figura di un capo politico che, pur imposto dal re Desiderio nel 758 nell’ambito della sua più vasta iniziativa di controllo territoriale del regno, volta, fra l’altro, a contrastare il tentativo autonomistico di Liutprando di Benevento, attuò personali iniziative per il governo del ducato, esteso dal Lazio e dall’Abruzzo meridionali al Molise, a quasi tutta la Campania, alla Basilicata, alla Calabria settentrionale e al territorio della Puglia fino a Taranto. Dotato di un notevole prestigio personale, accentuato dal matrimonio con Adelperga (la pia e colta principessa figlia di Desiderio che implementò la sua rete di relazioni antipapali con queste nozze), Arechi acquisì il profilo, confermato dalle fonti, di uomo di governo forte e pio, continuatore dell’opera dei suoi antenati, colto e audace, bello e coraggioso, protettore di artisti e letterati, amante della cultura e costruttore di città, come sottolinea anche Gabriele Archetti nel bilancio conclusivo del convegno. Le doti e le capacità politiche del duca, dalle origini di problematica definizione, gli consentirono di gestire il difficile rapporto con Carlo, re dei Franchi e futuro imperatore, e di non soccombere alla potenza del più forte stato europeo del tempo, pur dovendo accettare, quasi alla fine della sua vita, la limitazione della sovranità dello stato beneventano nel quale, dopo la sconfitta di Desiderio nel 774, era confluita quella del Regnum di Pavia. In quella circostanza Arechi assunse l’eredità politica della gens Langobardorum suggellando la nuova condizione di indipendenza con l’attribuzione autocefala del titolo di princeps e con l’espletamento di attività legislative, come avrebbe ricordato nell’866 il Prologo delle leggi del principe Adelchi in riferimento al vuoto di potere determinato dalla conquista franca. La percezione che la gens Langobardorum e più ancora la corte franca e la curia pontificia ebbero della profonda trasformazione politica e istituzionale fu soprattutto legata ai nuovi simboli del potere e ad alcune significative espressioni edilizie e artistiche dell’autorità del principe quali il Sacrum Palatium di Benevento con la cappella palatina dedicata al Salvatore, quello di Salerno con la chiesa dei Santi Pietro e Paolo (San Pietro a Corte), quali ancora la chiesa beneventana di Santa Sofia dove Arechi si recava abitualmente a pregare, le mura della Civitas nova di Benevento, le difese di Salerno, città che sostanzialmente deve le sue
prefazione
origini al principe. L’iniziale, probabile, dedica di Santa Sofia alla stessa santa matrona romana Sofia (al cui culto era legato quello delle figlie Pistis, Elpis e Agape, testimoniato a Brescia) trasse partito dall’intitolazione del monastero di Santa Sofia a Ponticello, fondato dall’abate Zaccaria entro i primi tre decenni dell’VIII secolo poco fuori Benevento; ma questa dedica, funzionale alle esigenze politiche del giovane duca nei suoi iniziali anni di governo, venne sostituita da quella alla divina sapienza di Cristo, l’ÑAg¤a So�¤a, dopo la sconfitta del re Desiderio. Si era infatti determinata l’esigenza di dare una diversa sostanza alla chiesa che da quel momento avrebbe dovuto essere intesa come il tempio della gens Langobardorum (e, in rapporto alla deposizione di reliquie, come il sacrario della stirpe da tempo convertita) edificato con l’intenzione devozionale di ottenere la redenzione del fondatore e la salvezza della sua gens e della patria, cioè dell’organismo sociale e territoriale posto sotto il dominio del capo politico: l’evidente analogia con la basilica di Costantinopoli rifondata da Giustiniano si intreccia così con l’attesa di favori divini richiesti dal sovrano per la sua gente, com’è peraltro indicato dalle formule impiegate in alcuni documenti del novembre 774 a favore del monastero annesso al tempio «quam a fundam(en) tis edificavi p(ro) redemptione anime mee seu p(ro) salvatione gentis nostre et patrie». Come nel modello della basilica giustinianea, cui l’edificio beneventano si richiama con l’intitolazione ma non per le caratteristiche architettoniche, risulta evidente la funzione pubblica e nazionale della chiesa. Il governo di Arechi segnò anche un notevole sviluppo economico esemplificato dalla ricchezza delle produzioni artigianali, anche di uso comune, e fu accompagnato dalla volontà di un saldo controllo territoriale. Molta cura venne altresì dedicata alla gestione dell’enorme patrimonio fondiario ducale, attribuito in parte ai più grandi cenobi del Mezzogiorno (Montecassino, San Vincenzo al Volturno e Santa Sofia), la cui redditività si accompagnò al dinamismo dei rapporti commerciali col mondo islamico, bizantino e carolingio. Organizzato in collaborazione con il Dipartimento di Lettere e Beni culturali della Seconda Università di Napoli (da novembre 2016 Università della Campania “Luigi Vanvitelli”), con l’Università del Sannio, con il Centro interuniversitario per la storia delle città campane nel medioevo, con il Centro europeo di studi normanni ed il CSL, Centro studi longobardi, il convegno deve molto all’apporto del Comitato scientifico e a quello del Comitato organizzatore (Maria Felicia Crisci, Pierina Martinelli e Gabriella Gomma) e al fondamentale ausilio logistico offerto dalla stessa dott.ssa Gomma e dallo staff dell’Amministrazione provinciale di Benevento. Alla presente edizione hanno altresì validamente collaborato il prof. Carlo Ebanista, le dott.sse Silvana Rapuano, Iolanda Donnarumma, Assunta Campi e la casa editrice Il Poligrafo. Marcello Rotili
INTRODUZIONE
Arechi II è indiscutibilmente il personaggio e la figura politica più importante della pur ricchissima e lunga storia beneventana. Prima come duca (758-774) e poi come principe (774-787) governò per 29 anni il ducato ed il principato di Benevento, rivelandosi un grande statista in tempi difficilissimi. Mentre il Regno dei Longobardi crollava, anteponendo la diplomazia alla guerra, non solo garantì la pace e la sopravvivenza della “Longobardia meridionale”, ma seppe anche promuovere e realizzare la Civitas nova, uno straordinario progetto di crescita e sviluppo di Benevento, con molti segni caratterizzanti e visibili ancora oggi. Negli eventi scientifici è la ragione a farla da padrone, ma durante il convegno si è avvertito un vento piacevole e leggero di bella emozione culturale, dettata dalla singolare connessione di due fatti. Il primo è consistito nella straordinaria presenza di tanti autorevoli professori, di ricercatori e studiosi della storia dei Longobardi, convenuti per esporre i risultati del proprio appassionato lavoro. Il secondo è stato determinato dalla scelta di tenere l’incontro nello splendido scenario dell’antico monastero femminile voluto da Arechi II che appare come vera e propria propaggine della chiesa di Santa Sofia, voluta dallo stesso duca e principe beneventano che l’aveva concepita come santuario nazionale dei Longobardi del Sud. È un po’ l’emozione sottile di un passato che ritorna futuro negli stessi luoghi in cui divenne. In effetti, in questo tipo di connessione c’è il fondamento stesso, la nascita dell’idea di una “Biennale di Studi Longobardi”. L’idea semplice di una Benevento che vuole continuare ad essere, anche oggi, una grande capitale longobarda, anzi la capitale della Langobardia meridionale. Vogliamo continuare ad essere Ticinum geminum, e se qui passò ed operò Paolo Diacono, se questo fu un centro di produzione politica, giuridica, amministrativa, culturale ed artistica, vorremmo che anche oggi trovassero, qui a Benevento, un naturale e attivo luogo di azione ed espressione i “Paolo Diacono” del nostro tempo, gli storici e quanti, nei molteplici settori scientifici e culturali coinvolti, danno a quella produzione modernità di riscoperta e comprensione. Credo di poter dire che questo non è solo un nostro desiderio da quando si è avuta l’inclusione del sito seriale “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere”
introduzione
nella World Heritage List dell’Unesco. Questo complesso di Santa Sofia in cui si è svolto il convegno appartiene a questo sito, che, con la sua storia, è diventato un patrimonio mondiale dell’Umanità. Ciò significa che di questo complesso e della sua storia noi siamo ora responsabili di fronte al mondo: è quindi nostro impegno alimentare una nuova stagione di conoscenza e valorizzazione di questo patrimonio. Naturalmente ci guida anche la consapevolezza che l’istituzione della Biennale può essere uno dei fattori più rilevanti nel potenziamento del patrimonio identitario, dell’immagine e dell’offerta culturale della città e della provincia di Benevento. Si comprende allora come questo convegno e la sua stabilizzazione nel tempo siano parte importante di uno degli assi strategici, quello della cultura e del patrimonio culturale, di un modello più generale di sviluppo e crescita delle nostre aree. Se il riconoscimento Unesco ha aperto la strada ad una nuova primavera dei Longobardi, noi vogliamo rimarcare che, com’è ovvio, tale riconoscimento mette in luce solo una rappresentanza esemplare di un patrimonio molto più vasto e profondo. Con riferimento al nostro territorio, ciò riguarda non solo l’enorme quantità di beni culturali longobardi distribuiti sull’intera provincia sannita, ma anche il periodo storico preso in considerazione. Non sono uno storico, ma credo di poter dire che la storia dei Longobardi vada divisa in almeno tre periodi ben caratterizzabili: il primo periodo, che copre i primi due secoli (568-774), è proprio quello associato al sito seriale e va da Alboino e dalla nascita del Regno fino alla sua caduta con la resa di Pavia a Carlo Magno; il secondo è quello del principato beneventano che fino alla seconda metà del IX secolo (dal 774 all’848) resterà compatto ed unitario; il terzo periodo, che è quello della divisone del principato e poi della sua dissoluzione, va dall’849 al 1077. La storia dei Longobardi non finisce, dunque, dopo due secoli dal suo inizio con la caduta di Desiderio e le note vicende poeticamente immortalate dall’Adelchi di Manzoni. Ci saranno altri tre secoli di storia, in cui, peraltro, l’unica Langobardia esistente sarà quella meridionale. Ed è proprio nel passaggio dal primo al secondo periodo e nel breve ma intenso sviluppo di questo secondo, che Benevento è non solo, come diremmo oggi, la grande capitale del Mezzogiorno (lo era già come sede, con Spoleto, di uno dei due maggiori ducati del Regno), ma è centro politico di rilevanza internazionale, capace di interlocuzione e mediazione con Carlo Magno e di contrapposizione inter pares col suo successore Pipino. È con Arechi II che Ticinum geminum raggiunge il suo massimo splendore, centro da un lato di un progetto e di una speranza di rinascita del Regno e dall’altro di cultura europea di tale rilevanza da spingere qualche storico ad affermare addirittura che nell’VIII secolo fu «l’unica luce che risplendé in Italia» o che fu la città «la più colta e la più magnifica».
introduzione
Al di là di ogni sbilanciamento anche retorico, appare evidente che quella storia non è ancora venuta fuori in tutta la sua dimensione, valenza e pienezza. Su di essa si sono abbattute una serie di maledizioni oscurantiste come quella tesi a lungo prevalente che, in modo drammaticamente sbagliato, ha considerato tutto il Medioevo come cupa fase di degrado e barbarie; o come quella che ha considerato e ancora considera tutta la storia, l’arte e la cultura del Mezzogiorno italiano come prodotti marginali e di seconda serie (lasciatemi ricordare ancora una volta come solo recentemente, grazie a Francesco Abbate, anche lui autore di un importante contributo in questi Atti, sia stata scritta una Storia dell’Arte nell’Italia meridionale). Una doppia maledizione sembra sia gravata sulla Langobardia minor, quella di essere longobarda e quella di essere meridionale. È su questo vuoto che dobbiamo agire, con una strategia di continuità e di lungo periodo ed è in questa direzione che si colloca il progetto di istituzione di una Biennale di Studi. Il convegno ha acceso i fari su tante questioni e posto nuovi e più avanzati quesiti: ha fatto luce sul progetto politico di Arechi II alla caduta del Regno, un progetto che è una difesa ed un’affermazione di indipendenza e la legittimazione di un principato come speranza di ricostruzione del Regno; si è interrogato sul perché Carlo Magno si fermò a Capua (contrariamente a Carlo d’Angiò che nel 1266 arrivò a Benevento per spegnere definitivamente le speranze sveve di Manfredi); ha permesso di conoscere e sapere di più sulle relazioni internazionali, sulle istituzioni, sulla società e sull’economia longobarde; sull’architettura e sull’urbanistica, sulla vita e sull’organizzazione religiosa; sugli Scriptoria, sui codici e sulla scrittura beneventana, sulle Scholae cantorum e sul canto beneventano, sull’oreficeria e la monetazione, sulla miniatura, sulla pittura, sulla scultura, in generale sull’esistenza, definizione e caratterizzazione di un’arte longobarda beneventana. I lavori qui editi presentano titoli suggestivi e fanno riferimento ad un vastissimo arco di aree tematiche. Sono convinto che il loro contenuto abbia soddisfatto ampiamente tutte le aspettative. Infine, ringrazio il Comitato organizzatore ed il Comitato scientifico del convegno per l’impegno profuso, per la mole di lavoro sviluppato e per l’eccellenza dei risultati raggiunti, testimoniata da questi Atti. Un ringraziamento particolare va al prof. Marcello Rotili. Senza il suo straordinario e continuo contributo, il convegno sarebbe stato semplicemente impensabile. è auspicabile che il lavoro svolto non termini qui e che il convegno tenuto nel 2014 possa essere davvero l’“edizione zero” della “Biennale di Studi Longobardi”. L’intenso dialogo avviato con il prof. Filippo De Rossi, Rettore dell’Università del Sannio, sta aprendo la concreta possibilità che la Biennale diventi un evento stabile della nostra Università. Insomma è questo il momento di seminare e costruire il futuro. Aniello Cimitile
Vera von Falkenhausen I LONGOBARDI DELL’ITALIA MERIDIONALE: CONQUISTA E INTEGRAZIONE
Per quanto riguarda il tema della mia relazione, avrei potuto mettere anche un punto interrogativo alla fine del titolo, chiedendomi come e in che misura i “selvaggi” e “barbari” Longobardi, descritti come tali sia da Procopio che da Gregorio Magno, si siano integrati nella civiltà tardoromana dell’Italia meridionale, oppure come e in che misura essi abbiano integrato nel loro mondo la popolazione romana (o già da molto tempo romanizzata) di quest’area. Forse possiamo parlare di integrazioni reciproche: i Longobardi si sono certamente integrati per quanto riguarda la moneta, la lingua, la religione e la cultura scritta: conosciamo le loro iscrizioni latine – per esempio quelle del Monte Gargano – e i documenti pubblici e privati; perfino il mito delle origini, trasmesso oralmente, nel VII secolo fu redatto per iscritto in latino, come anche le loro leggi, che non sono prive di qualche influsso del diritto romano, furono pubblicate in latino. D’altra parte, essi hanno imposto il loro nome e per così dire la loro identità su un vasto territorio dell’Italia meridionale: la lex Langobardorum diventò e rimase per secoli la legge quasi territoriale in quelle parti della Campania, della Puglia e della Basilicata da loro conquistate e come tale l’Edictus Rotharis fu perfino tradotto in greco. Non per caso i Bizantini, quando nell’ultimo quarto del IX secolo riconquistarono parti del principato di Benevento, non chiamavano la nuova provincia italiana dell’Impero θέμα Ἀπουλίας, né θέμα Βενεβέντου, bensì θέμα Λογγιβαρδίας. Mi pare anche sintomatica la definizione di un greco calabrese emigrato a Benevento all’inizio dell’XI secolo come Leo qui fuit ortus ex finibus Calabrie et nunc est Langobardus. La chiesa fondata a Benevento da questo neo-longobardo si chiamava San Nicola de Grecis!
Pohl 2012, pp. 105-121. Cavanna 1984, p. 372. Martin 2002, pp. 97-121. Fragmenta versionis graecae legum Rotharis; Princi Braccini 2001, pp. 238-251. Mazzoleni 1966, n. 23, pp. 75-78. Mazzoleni 1966, p. 75.
marcello rotili
Paldo nel Molise, ma non è da escludere che Santa Maria del Castagneto sorgesse nell’omonima contrada in territorio di Cusano Mutri, comune del Beneventano vicino al Molise. La stessa fondazione di San Vincenzo al Volturno da parte di tre nobili longobardi evidenzia la forte virata in senso cristiano dell’aristocrazia del ducato già nello snodo fra VII e VIII, a conferma dell’allineamento del meridione germanizzato dai Longobardi al modello politico-culturale perseguito da Teodelinda e Agilulfo: un modello che la duchessa Teoderada, più volte definita come personaggio speculare alla grande regina di origine bavara e cattolica, aveva ripreso e applicato nel Mezzogiorno, come si è detto. 11. Risale appunto a Teodelinda la consuetudine, poi seguita da numerosi sovrani, di fondare edifici in cui ubicare le sepolture della famiglia. La consorte dei re Autari e Agilulfo a Monza, accanto al suo palazzo con affreschi a carattere storico raffiguranti le imprese dei Longobardi, il costume nazionale e l’acconciatura da riferire al culto di Wotan, il dio dalla lunga barba, aveva fatto costruire la basilica di San Giovanni nella quale battezzò il figlio Adaloaldo, trovandovi l’ultima dimora. Dotata di un ricchissimo arredo liturgico, la basilica monzese risulta speculare ai dipinti del vicino palazzo e costituisce una delle facce di un’azione politica duplice, imperniata sull’integrazione con la società romano-cristiana ma anche sull’esigenza identitaria di richiamarsi alla storia antiromana, guerriera e pagana della gens Langobardorum e al costume tradizionale dei Longobardi reso noto nell’età di Desiderio da Paolo Diacono nel suo sforzo di costruirne l’identità: si tratta del costume trasmesso (oltre che da Paolo) dalla lamina di Agilulfo (fig. 18; tav. VIg) per il frontale di un elmo (nella quale peraltro non mancano elementi della tradizione tardoantica come le vittorie alate con le relative insegne in latino e probabilmente lo stesso trono sul quale è assiso il sovrano) e dagli anelli-sigillo – due sono stati rinvenuti a Benevento (fig. 19a-b; tav. VIa-b) – che esplicitano le acconciature descritte da HL, IV, 22: «Ibi etiam praefata regina sibi palatium condidit, in quo aliquid et de Langobardorum gestis depingi fecit. In qua pictura manifeste ostenditur, quomodo Langobardi eo tempore comam capitis tondebant, vel qualis illis vestitus qualisve habitus erat. Siquidem cervicem usque ad occipitium radentes nudabant, capillos a facie usque ad os dimissos habentes, quos in utramque partem in frontis discrimine dividebant. Vestimenta vero eis erant laxa et maxime linea, qualia Anglisaxones habere solent, ornata institis latioribus vario colore contextis. Calcei vero eis erant usque ad summum pollicem pene aperti et alternatim laqueis corrigiarum retenti. Postea vero coeperunt osis uti, super quas equitantes tubrugos birreos mittebant. Sed hoc de Romanorum consuetudine traxerant». HL, IV, 21: «Per idem quoque tempus Theudelinda regina basilicam beati Iohannis baptistae, quam in Modicia construxerat, qui locus supra Mediolanum duodecim milibus abest, dedicavit multisque ornamenti auri argentique decoravit praediisque sufficienter ditavit». Sulla cultura di tradizione dei Longobardi, sulle forme della loro religiosità e sulla cristianizzazione avvenuta in Italia dopo la fase dell’arianesimo cfr. Rotili 2001, pp. 223-256 e la bibliografia cit.
arechi ii e benevento
18. “Lamina di Agilulfo” e ipotesi ricostruttiva dell’elmo, Museo Nazionale del Bargello, Firenze.
marcello rotili
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d 19. a. Anello-sigillo di Mauricius da Benevento, Ashmolean Museum, Oxford; b. anello-sigillo di Auto da Benevento, via Lucarelli, già collezione privata; c. croce in lamina d’oro da Benevento, contrada Pezza piana, Museo del Sannio, Benevento; d. croce in lamina d’oro da Benevento, contrada Pezza piana, collezione privata; e. croce in lamina d’oro da Benevento, contrada San Vitale, Museo del Sannio, Benevento.
arechi ii e benevento
20. Corredo funebre della tomba 53 di Collegno, Torino (Giostra 2004, fig. 82).
marcello rotili
TAVOLA II
Benevento, chiesa di Santa Sofia (foto F. Rinaldi). TAVOLA III
Benevento, chiesa di Santa Sofia, esterno, muratura in opus mixtum realizzata con tufelli e laterizi di spoglio; interno, particolari delle colonne e capitelli (foto G. Bonetti).
marcello rotili
marcello rotili - alessandra perriccioli saggese
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c TAVOLA IV
Benevento, chiesa di Santa Sofia. Affreschi con le Storie della Vergine: a. Annunciazione a Maria; b. Visitazione (foto Archivio Rotili). Affreschi con la Storia di san Giovanni Battista: c. Annuncio a Zaccaria; d. Silenzio di Zaccaria (foto A. Perriccioli Saggese).
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marcello rotili
TAVOLA V
Benevento, Rocca dei Rettori e palazzo del XVIII secolo (foto F. Rinaldi).
marcello rotili
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TAVOLA VI
a. Anello-sigillo di Mauricius da Benevento, Ashmolean Museum, Oxford; b. anello-sigillo di Auto da Benevento, via Lucarelli, già collezione privata; c. croce in lamina d’oro da Benevento, contrada Pezza piana, Museo del Sannio, Benevento; d. croce in lamina d’oro da Benevento, contrada Pezza piana, collezione privata; e. croce in lamina d’oro da Benevento, contrada San Vitale, Museo del Sannio, Benevento; f. croce di Petrus “sagacissimus”, Museo Diocesano, Benevento; g. “lamina di Agilulfo”, Museo Nazionale del Bargello, Firenze; h. fibula d’oro da Benevento, Oxford, Ashmolean Museum; i. croce in lamina d’oro da Castel Trosino, collezione privata (foto Archivio Rotili).
sandra lo pilato
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TAVOLA VII
Località San Michele, struttura produttiva: a-b. la fossa in corso di scavo; c-d. nicchia nella parte nord della fossa; e. anforetta rinvenuta all’interno della nicchia.
la scultura nella langobardia minor
e che invece credo vada riportata più indietro, in piena epoca longobarda. Un complesso di sculture nelle quali la più fantasiosa irregolarità regna sovrana. E basti osservare la lastra con il leone che azzanna una figura femminile (fig. 3): la vivacità tumultuosa è tale che la stessa rosetta decorativa ha le punte arcuate e pare una sorta di falciatrice in vorticosa rotazione. Dalla cultura propria alle sculture di Alba Fucens deriva il rilievo dell’iconostasi di Santa Maria in Valle Porclaneto, presso Rosciolo (fig. 4), come ha giustamente indicato Gandolfo, con una datazione alla metà del XII secolo, che appare, di nuovo, un po’ troppo ritardata, ma comunque, in questo caso, di epoca già romanica. Caratterizza queste sculture abruzzesi una grande originalità, nella fantasia, come già abbiamo accennato, appassionata e quasi irriverente; non mancando tuttavia forti agganci con la scultura “longobarda” campana, specie nella foga espressiva, rude talvolta, al pari dei presumibili modelli (figg. 5-6). Nel vasto raggio delle reciproche influenze rientra anche il rapporto tra scultura e oreficerie, trattato nel 1984 da Marcello Rotili, che si chiede se, conformemente a quanto accadde in pittura e anche in scultura, sia esistita anche una scuola orafa “beneventana” (come farebbero pensare oggetti di oreficeria di qualità assai alta, e quindi di probabile committenza ducale o comunque della classe dirigente) o almeno capace di esercitare un ruolo propulsivo nei confronti della produzione orafa meridionale che opera una «trasmissione della cultura tardo antica e [...] connessa presenza di elementi di ambito mediterraneo consentita dalla mediazione bizantina». L’oreficeria di età longobarda, che dovrebbe rappresentare la produzione artistica dove è più forte la possibile influenza della cultura “barbarica”, recepisce invece fortemente «elementi della cultura tardo antica e mediterranea», in ossequio all’usanza dei Longobardi di «assumere, adeguandoli alle proprie esigenze e strutture mentali, gli elementi della civiltà con cui entravano in contatto». Nel citato articolo del 1984 Marcello Rotili pubblica delle sculture in cui il rapporto di «reciprocità tra arti diverse», in questo caso tra scultura e oreficeria, è di piena evidenza, specie in un capitello del Museo del Sannio con la decorazione di una croce traforata da tanti fori, databile al IX-X secolo e che «appare come il corrispettivo scultoreo di un manufatto tipico dell’oreficeria di area mediterranea del tempo, caratterizzata dall’uso di incastonare gemme e perle».
Gandolfo 2004, passim. Gandolfo 2004, p. 59. Rotili 1984, p. 98. Rotili 1984, p. 79. Rotili 1984, p. 90.
francesco abbate
1. Pluteo adattato ad ambone, Antiquarium del complesso di Cimitile. 2. Pluteo con la lotta di due grifoni e un toro, Nola seminario vescovile (foto C. Ebanista).
la scultura nella langobardia minor
3. Leone che azzanna una figura femminile, Alba Fucens San Pietro (foto C. Ebanista). 4. Pluteo dell’iconostasi, Rosciolo, Santa Maria in Valle Porclaneto. 5. Frammento di stipite con testa umana, Celano Museo della Marsica (da San Pietro ad Alba Fucens). 6. Frammento di stipite con leone, Celano Museo della Marsica (da San Pietro ad Alba Fucens).
francesco abbate
7. Pluteo e pilastrino, Napoli Sant’Aspreno. 8-9. Pilastrini, Cimitile, cappella dei Santi Martiri (foto C. Ebanista). 10. Pilastrini, Cimitile, cappella dei Santi Martiri.
la scultura nella langobardia minor
francesco abbate
«Perline oblunghe e sferiche alternate si trovano nelle sculture di età longobarda, che recupera così un motivo classico passato all’oreficeria». Motivi simili si ritrovano anche nei celebri pilastrini di Sant’Aspreno a Napoli, di Cimitile e di Pernosano, opere tra le più tipiche, insieme ai plutei di Sorrento, della scultura “non longobarda” di cultura bizantina e comunque orientale (figg. 7-8; tav. XIIIc). Come gli studi ormai sostengono concordemente, il pluteo e i pilastrini di Sant’Aspreno sono i modelli sia di Cimitile che di Pernosano (in quest’ultimo caso anche nei riguardi del bellissimo velario dipinto). Ed è ormai assodata, negli studi, anche l’influenza che i motivi decorativi derivanti dalle stoffe sasanidi o da altri oggetti suntuarî, mediati da Bisanzio, hanno avuto sulle decorazioni dei plutei di Sant’Aspreno (e il discorso vale anche per i rilievi sorrentini). La raffinatezza dei motivi decorativi di tutti questi pilastrini mostra, inoltre, una probabile derivazione dall’oreficeria. La Tozzi vi vedeva anche un richiamo alle ricche, sontuose vesti dell’abbigliamento bizantino, a cui guardava la classe dirigente longobarda, specie nei momenti di massimo avvicinamento politico tra la corte beneventana di Arechi e quella imperiale di Bisanzio in funzione anticarolingia, dopo la caduta del regno longobardo del nord. Vorrei chiudere con una serie molto significativa di sculture capuane (figg. 9-10). È noto che Capua, sotto il principato di Pandolfo Capodiferro, nella seconda metà del X secolo, fu la località egemone della Langobardia meridionale. Non saprei dire se queste sculture appartengano proprio a questa epoca. Rappresentano comunque un esempio straordinario di sincretismo culturale, unendo a elementi bizantini (le ricche vesti gemmate) aspetto del repertorio sasanide (i motivi vegetali) e una cupa e decisa espressività di tipo piuttosto “occidentale”, non voglio dire “longobardo”. Bibliografia Abbate F. 1997, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Dai Longobardi agli Svevi, Roma. Bologna F. 1950, Per una revisione dei problemi della scultura meridionale dal IX al XIII secolo, in F. Bologna, R. Causa (a cura di), Sculture lignee nella Campania, catalogo della mostra, Napoli, pp. 21-30. Gandolfo F. 2009, Prefazione, in S. De Rosa, G. Mollo (a cura di), Santa Maria Assunta in Pernosano. Storia Progetto Restauro, Milano. — 2004, Scultura medievale in Abruzzo. L’Età normanno-sveva, Pescara. Rotili M. 1984, Rinvenimenti longobardi dell’Italia meridionale, in Studi di storia dell’arte in memoria di Mario Rotili, Napoli, pp. 77-108.
Rotili 1984, p. 90.
abstracts April 787, Charles moved to Benevento and occupied it, while Arechi II, fled away from Salerno with his court, sent ambassadors to the Franc king, to ask for peace and to offer him his submission. Ermanno A. Arslan Accademia Nazionale dei Lincei
Arechi II: towards the National Beneventian Coinage Examining the sequence of types present in the golden coinage of Lombard Benevento, their connection with Byzantine coinage of the same period and the development of their legends allow us to outline a more precise view of when and how the duchy/principality of Benevento came by a national coinage during the rule of Arechis II and his son Grimoald III. Elda Morlicchio Università degli Studi di Napoli L’Orientale
The language of the Lombards in Benevento Occurrences of Germanic lexical items, including placenames and personal names, in Italian contribute to the reconstruction of the language spoken by the Lombards. These data, together with further occurences in medieval texts written in Southern Italy, are a valuable source for studying the Lombard dialect in its diachronic and diatopic variation and offer a better knowledge of the processes of language contact between Germanic and Romance languages and cultures in those areas. The article gives some examples of lexical and onomastic borrowings and hybrid words and names and at the same time discusses some methodological problem in their analysis. Jean-Marie Martin CNRS, Paris
Documentary Tradition, Archives, Texts Editions: the Chronicon Sanctae Sophiae The Chronicon Sanctae Sophiae was compiled in 1119, with the aim to emphasize that the church entitled to St. Sophia, which was subordinated to the Archicoenobium by Arechi II, was not dependent on the abbot of Montecassino. The compiler made an accurate, philological transcription of a huge number of documents, probably coming from the palatine archive, paying a special attention to documents dating back to Eighth and Ninth Centuries. Nowadays the Chronicon represents a prominent part of all the sources about Benevento, both at the time of Duchy and Principality, containing, among the others, records, a canonical collection and a catalog of Lombard Dukes and Princes, with a remarkable set of data on political and administrative history of the Duchy and Principality of Benevento and on the Middle Ages agrarian history. Another noteworthy heritage of monks of St. Sophia is represented by a large collection of parchments (starting from the Tenth Century onwards), which deserves to be published.
abstracts Marco Palma Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale
Beneventan Script, one hundred years later A century after its publication Lowe’s book is still the main tool to study one of the most charming scripts of the Western Middle Ages. The most important reason of this success depends on the author’s ability of outlining a comprehensive description of the origin and evolution of the Beneventan script in the historical and cultural context of South Italy. He succeeded also in analysing the morphology of the script in an extraordinarily thorough way: single elements, letters, abbreviations, punctuation. During the twentieth century Lowe’s concentration on Monte Cassino has been deeply reconsidered, along with the new reconstruction of the history of the celebrated scriptorium by Francis Newton. But, if Lowe’s theories have been partially denied, his method remains effective and useful for the study of other scripts. Since 1914 the number of Beneventan manuscripts has increased dramatically, thanks also to Virginia Brown’s tireless commitment. New fragments are being constantly discovered: as a matter of fact, the Beneventan script keeps on providing new examples to those willing to reconstruct the graphic heritage of Southern Lombards. Chiara Lambert Università degli Studi di Salerno
Arechis II, Paolo Deacon and the “foundation” of Lombard Salerno. The contribution of epigraphy The epigraphical poems of the high medieval period, which had some authoritative antecedent in late antiquity, between 8th and 9th century, became a specific kind of literature. Practiced for the exponents of the secular and religious aristocracy, in the Langobardia minor this production had a decisive impulse in the age of Arechi II thanks to the work of Paul Deacon, one of the most important teachers and one of the most imitated models. Also after some decades, in the lombard cities of Benevento and Salerno the latin carmina and their lapidary transpositions develope the role of an ideal pendant of an ampler and organic historical narration conceived by this famous poet which lived also in the carolingian court. The repeated religious references is inserted vigorously on the principal intent to remember and celebrate men and events, never separated by a strong political component: in filigree the purpose to legitimate, forehead to a hostile papacy but also in front of the history, actions of ample course shines. In such sense the “foundation” of Salerno by Arechi, expressly celebrated in a poem and occasionally quoted in other texts, and the persistent evocation of Benevento seem to allude to a duplication of the role of the capital in a dynastic perspective – then denied by the events – which would have seen the two children of the Princeps gentis Langobardorum as sovereigns at the same time.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2017 per conto della casa editrice Il Poligrafo srl presso le Grafiche Socˇa di Nova Gorica