Operazioni di rigenerazione, Il Poligrafo

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I --U --A --V OPERAZIONI DI RIGENERAZIONE

Giorgia De Michiel, architetto e dottore di ricerca in Composizione architettonica, dal 2003 è collaboratrice alla didattica nei Laboratori e nei Workshop di progettazione architettonica presso l’Università Iuav di Venezia. Ha partecipato alle ricerche “La reintegrazione urbana di manufatti e paesaggi obsoleti. Qualità e appropriatezza dell’abitare contemporaneo”, “Tecniche di progettazione degli insediamenti residenziali”, “Requisiti di qualità nella costruzione dell’ambiente e degli edifici. Ricerca interdisciplinare per un manuale dei procedimenti d’elaborazione e valutazione dell’architettura di qualità”. Nel 2010, nell’ambito del Festival dell’Architettura, ha curato la mostra “Hans Scharoun. Volkshaus, Stadtlandschaft, Philharmonie”. Parte degli esiti della sua tesi di dottorato sono stati esposti nella mostra “Tecniche di analisi e composizione” a Venezia, Milano, Gorizia, Bari, Amburgo. Ha pubblicato Tecniche di analisi e di composizione (Il Poligrafo, Padova 2011), Urban Acupuncture (in Esercizi di postproduzione, a cura di S. Marini, Aracne, Roma 2013), Hans Scharoun. Volkshaus, Stadtlandschaft, Philharmonie (in Community/Architecture, a cura di E. Prandi e L. Amistadi, Festival Architettura Edizioni, Parma 2010), Spazialità interna nelle case minime di Adolf Loos (in La casa. Forme e ragioni dell’abitare, a cura di L. Semerani, Skira, Milano 2008).

OPERAZIONI DI RIGENERAZIONE a cura di Giorgia De Michiel

e 22,00

ilpoligrafo

ISBN 978-88-7115-859-4

ilpoligrafo

Se ai modelli economico-sociali di paesi come la Cina, l’India e il Brasile corrispondono “metropoli a sviluppo illimitato”, in Europa, non essendo più applicabili principi di illimitatezza della crescita, delle risorse e del suolo disponibile, è diventato indispensabile confrontarsi con il disegno dello spazio antropizzato, non come territorio da colonizzare, ma come ri-caratterizzazione e ri-funzionalizzazione dell’esistente. Il concetto di sostenibilità si attua nel recupero di quanto può ancora essere utile: la reinvenzione per mezzo del progetto consente di risignificare, di “fecondare e rigenerare ciò che è”. Ne derivano nuove configurazioni del territorio e nuovi edifici restituiti ai cittadini in un processo che rappresenta una palingenesi, un creativo e fecondo atto di risignificazione. Il volume raccoglie alcune riflessioni sul tema del riuso di manufatti obsoleti e di intere parti di città e di territorio che nel tempo hanno perso la loro funzione originaria: la reintegrazione nel paesaggio antropizzato di vuoti residuali, di scarti accidentali, di aree e di edifici dismessi consente di saggiare le potenzialità di rigenerazione di un luogo, all’interno del quale le tracce del passato testimoniano la stratificazione della presenza umana e nel contempo esprimono un “desiderio di futuro”.



UniversitĂ Iuav di Venezia Dipartimento di Culture del Progetto



Operazioni di rigeneraZIONE a cura di Giorgia De Michiel

ilpoligrafo


Università Iuav di Venezia

Pubblicazione realizzata con i fondi di Ateneo riferiti all’assegno di ricerca “La reintegrazione urbana di manufatti e paesaggi obsoleti. Qualità e appropriatezza dell’abitare contemporaneo” (anno 2013, titolare Giorgia De Michiel, docente responsabile Antonella Gallo)

Revisione editoriale e grafica Il Poligrafo casa editrice copyright © febbraio 2015 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-859-4

Dipartimento di Culture del Progetto

Le sperimentazioni sulla centuriazione di Camposampiero sono state condotte nell’ambito della ricerca PRIN “Integrazione del fotovoltaico in architettura. Natura, ambiente e nuovi linguaggi”, anno 2002-2004. Le tesi di laurea di Giorgia De Michiel, Elisabetta Polese e Massimiliano Ammatuna sono state prodotte nell’ambito del laboratorio di laurea “Il Parco Metropolitano del Nord-Est”. Entrambe le ricerche sono state svolte presso l’Università Iuav di Venezia, docente responsabile Luciano Semerani. Le sperimentazioni sul Forte Marghera e sull’ex alluminificio SAVA sono state rispettivamente condotte nell’ambito del laboratorio integrato Città 2, Laurea Magistrale in Architettura, a.a. 2010/2011, e nell’ambito del workshop di Composizione Architettonica “Urban Regeneration / 2”, W.A.V.E. 2012, Università Iuav di Venezia, docente responsabile Antonella Gallo, tutors Giorgia De Michiel, Andrea Pastrello, collaboratore Carlo Mancin

Crediti fotografici Canadian Center for Architecture, Montréal, fondo John Hejduk, p. 42; Vladivostok, Rizzoli International, New York 1989, foto Sigfried Büker, p. 42 (immagine al centro); Bovisa, Rizzoli International, New York 1987, p. 43; Nelson Kon, p. 44; Archivio Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, p. 44; Museo di Architettura, Lubiana, collezione Plecˇnik, p. 53; il disegno e il plastico alle pp. 11, 13 e 15 sono stati realizzati da Antonella Gallo e Giovanni Marras; il disegno a p. 16 è di Lamberto Amistadi; il disegno a p. 19 è di Elisabetta Polese; il plastico a p. 23 è di Massimiliano Ammatuna; il disegno a p. 24 è di Antonella Gallo; i disegni e i plastici alle pp. 17, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 32, 33 sono di Giorgia De Michiel; le foto alle pp. 35 e 64 sono di Giorgia De Michiel; le foto alle pp. 50 e 51 sono di Antonella Gallo; le foto dei modelli sono di Umberto Ferro e di Maurizio Tarlà


Indice

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Introduzione Luciano Semerani

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Operazioni di rigenerazione. Due casi: la centuriazione e Forte Marghera Giorgia De Michiel

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Figure territoriali Giorgia De Michiel

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Costruzione ed espressione Antonella Gallo

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Note biografiche degli Autori


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Operazioni di rigenerazione

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Introduzione Luciano Semerani

Per comprendere bene le ricerche raccolte in questo libretto sarebbe per me conveniente definire chiaramente il significato ultimo di alcuni termini in esso ricorrenti: morfologia, progetto, identità, riuso. Nel momento stesso in cui mi impegno a farlo, so bene che ciò potrà soprattutto essere un esercizio utile a far riflettere meglio sugli oggetti che sono l’esito delle ricerche, piuttosto che fornire delle conoscenze generali “ultime”. La morfologia è una classificazione degli oggetti (piante, animali) secondo le loro proprietà formali. Ma quali sono le proprietà formali che interessano il progetto di architettura? Le proprietà evocative in primo luogo, secondo me, quelle che prefigurano un futuro dell’oggetto. Come segno identitario? Come strumento? O come sogno? Probabilmente come sogno, perché il potenziale narrativo prevale sugli altri ordini semantici. Il bosco, il fiume, la casa, il monte non sono solo elementi di un patrimonio “immaginario collettivo” ma, grazie ogni volta a uno “specifico morfologico”, sono quel bosco, quel fiume, quella casa, quel monte e quindi nella loro struttura specifica assumono un’identità. Questa “identità” è un “potenziale” immanente all’oggetto? Io penso di sì, penso che riconoscere questo “potenziale di energia latente” depositato in un paesaggio, in un frammento, in un rudere, in un manufatto obsoleto sia come mettere in campo un “desiderio di futuro” latente nel paesaggio o nel frammento o nel rudere o nel relitto industriale. Un “desiderio di futuro”, cioè di vita, che è proprio dell’intenzionalità artistica voler rivelare. Il “progetto” è disvelamento di ciò che è essenziale nell’oggetto trovato, è l’essenziale e non tutto il reale dell’oggetto che diventa oggetto del progetto, non soltanto per quanto attiene alla forma dell’oggetto ma per tutto quanto riguarda la capacità che esso ha di essere topos nella comunicazione tra il progettista e l’utente, in quanto segno caricabile di un portato emotivo, di uno stato d’animo oltre che di un sostegno logico. Che la nozione di “progetto”, con i meccanismi del “progetto astratto”caratteristici della nostra specie nell’attuale fase evolutiva, sia associata alla nozione di “architettura” è un dato comunemente acquisito. Le risposte sono però diverse quando ci si interroga sugli obiettivi del progetto di architettura. “Progetto di che cosa?” L’interpretazione, ripresa dagli scritti di Le Corbusier, che il progetto di architettura sia il progetto di un outil, progetto di uno strumento necessario per realizzare altri strumenti (abitazioni, ospedali, carceri), non accontentava nemmeno Le Corbusier che, più avanti nella vita, paragonava l’atto compositivo alla “fusione alchemica delle Nozze”, a un incontro amoroso, di fatto riconoscendo la dimensione irrazionale che l’empatia, l’attrazione reciproca dei segni, il potenziale ermetico delle icone hanno nel procedimento concezionale del progetto. Non esiste un solo orientamento intelligente e responsabile in fatto di penitenza, salute, formazione scolastica che possa dettare le proprietà fisiche e spaziali di un carcere, di un ospedale, di una scuola 8


senza diventare una “prefigurazione del futuro” e una “rimemorazione del passato” ben più ampia, come orizzonte ideale, del fatto che si viene concretando attraverso il progetto. Potrebbero allora la “rigenerazione” di una organizzazione territoriale costruita con logiche superate, il “riuso” di una fabbrica o di un forte da tempo abbandonati trovare una nuova “ragion d’essere in vita” attraverso un progetto privo degli strumenti di linguaggio capaci di convincere della possibilità di assegnare un “valore nuovo”, diverso da quello originario? In altri termini, tra i mezzi utilizzabili nell’”Offerta Architettonica” di una rigenerazione non dovrebbe avere un ruolo determinante la capacità di comunicazione del linguaggio architettonico? La “presenza” della vita nel luogo e nelle cose, non una “preesistenza” al progetto ma una “coesistenza” nei segni dell’architettura della “coscienza di ciò che è memorabile e di ciò che futuribile nella vita dell’uomo” in quel luogo e ora. L’interesse dei progetti che sono pubblicati in questo volumetto, e che riguardano in contesti scalari diversi la stessa cosa, e cioè la struttura formale dei territori, dei luoghi, dei manufatti obsoleti, risiede tutto in questa tesi: che sia immanente nei tracciati, nei corpi, nei ritmi, nei materiali trovati una “vitalità delle forme” che rende evidente all’architetto la possibilità di inserirsi con le sue proprie forme per “fecondare” e “rigenerare” ciò che già “è”. A partire da questa intenzione, con la consapevolezza del rischio del fallimento insito in ogni processo creativo, come in ogni atto amoroso, la capacità analitica di riconoscere le parti che costituiscono l’oggetto esistente, la natura delle relazioni intrinseche ed estrinseche che dette parti hanno tra loro, in altre parole la “morfologia”, diventa esercizio di sperimentazione dei trapianti, dei montaggi, dei collage e delle metamorfosi possibili con i materiali assunti come meritevoli di una vita futura. L’intenzionalità del progetto è in fondo principalmente quella di costruire attraverso l’emozione, il desiderio, e con l’entusiasmo, di baudeleiriana memoria, travolgere la dimensione oggettiva delle “tracce” trovate proiettandole nel futuro, in un orizzonte di senso intuito, sperato, voluto che il linguaggio mostra.

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La quadra

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Vista del modello del progetto di ricostruzione di tre quadre a Santa Maria di Sala Vista del modello di analisi di un sistema di quadre comprese tra il corso d’acqua del Rio Calatore e lo Scolo Lusore, con l’individuazione delle textures dei campi coltivati, delle strade e dei filari di alberi che delimitano “interni” e recinti

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Acqua L’acqua è l’elemento che disegna in negativo la forma del forte e la sua figura geometrica. Si tratta di una ramificazione complessa di canali, scavati con bassa profondità, che determinano differenti porzioni di terra separate l’una dalle altre e posizionate a sistema concentrico. La geometria dei canali è dunque il limite tra il forte e il suo intorno, limite che assume una valenza primaria nei progetti sperimentati al suo interno poiché determina una figura e un paesaggio introflesso e al contempo lo identifica come una cerniera, un’isola di un più vasto sistema territoriale costituito dal Parco San Giuliano, dalla rete delle infrastrutture, da Porto Marghera e dal polo universitario di via Torino. L’acqua definisce tre sezioni principali: un nucleo centrale costituito da un poligono a quattro punte, irregolare ma simmetrico; una corona che circonda il nucleo interno; un sistema di punte e isole esterne a completamento della forma geometrica del forte. I due ponti di attraversamento, che costituiscono l’unico accesso all’area, definiscono un asse di simmetria rispetto alla corona e al nucleo centrale, ma, in realtà, nel suo insieme la figura è caratterizzata da una asimmetria bilanciata. Le punte più esterne del forte sono isolate, mentre a collegamento della corona con il nucleo centrale, oltre al ponte di accesso principale, erano presenti altri due ponti laterali di cui rimangono solo i setti murari.

Terrapieni Tra il limite definito dall’acqua e lo spazio interno del forte vi è un’ulteriore fascia di rafforzamento del bordo data dalla presenza dei terrapieni. I terrapieni assumono una valenza fondamentale nella lettura morfologica del luogo sia per la loro forma e collocazione, sia perché sono gli unici elementi caratterizzati da un’importante altimetria. Si dispongono sui bordi esterni della corona e lungo tutto il perimetro del nucleo centrale a esclusione del limite

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rivolto verso la laguna, costituendo una sorta di barriera che delimita delle “stanze” entro le quali è possibile accedere attraverso le soglie scavate nella sezione di terra. Essi variano in riferimento alla collocazione, 2 m sulle punte esterne, 4 lungo la corona e nel nucleo interno, con sezioni molto variabili, la cui percorrenza rappresenta uno dei temi di progetto che ha necessitato di un calibrato studio in sezione, utile a determinare le linee di pendenza, il posizionamento e l’andamento dei percorsi mediante un lavoro di incisione dei pendii con scale, soste, pavimentazioni e cambi di direzione. Un lavoro di incisione affiancato a un lavoro di scavo e di ri-definizione dei bordi, a partire dallo studio del differente carattere che contraddistingue i due versanti dei terrapieni, un pendio ripido ma molto regolare a margine dei canali d’acqua e una forma irregolare e corrugata verso l’interno che cela spazi ipogei o incastra i bunker delle polveriere, o ancora cinge le casematte collocate sulle punte della figura.

Edifici Gli edifici sono disposti in modo apparentemente simmetrico, in realtà le analogie con cui si ripetono architetture simili in alcuni punti notevoli sono continuamente messe in crisi da un sistema di edifici secondari, comunemente considerati di scarso valore, che diventano le eccezioni e le irregolarità nella stringente funzionalità militare con cui si è costruito il forte. Le architetture sono state analizzate senza preconcetti di tipo stilistico o cronologico o di valore convenzionalmente attribuito, ma per la loro carica figurativa e per la loro valenza espressiva, oltre che per la loro predisposizione a essere re-inventate con operazioni di “spoliazioni”, innesti e montaggi, basati spesso sul contrasto tra la matericità e la grevità dell’architettura originaria e la leggerezza dell’elemento innestato. Le architetture oggetto di riflessione sono state quelle apparentemente più anonime come garitte, piccoli padiglioni, ruderi di ponti, piccoli magazzini, recinti e muri

Viste del modello del progetto di ricostruzione della quadra attraversata dal corso d’acqua dello Scolo Lusore a Campocroce nelle pagine successive Forte Marghera, disegno di inquadramento territoriale e modello con lettura morfologica dell’area


Le stanze

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Morfologia

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Terrapieni

Acqua 26


Bosco

Edifici 27


perimetrali di edifici e casematte parzialmente crollati, torri di guardia, riservette e muri di contenimento dei terrapieni.

Bosco Nei decenni la vegetazione si è impadronita del forte, dagli arbusti più minuti che hanno aggredito le rovine degli edifici dismessi a vere e proprie macchie di alberi che hanno trasformato il forte in un parco. La presenza degli alberi ha sovrascritto una nuova struttura narrativa agli spazi, alternando luoghi caratterizzati da un bosco molto fitto alle radure, dove la vegetazione, diradandosi, lascia spazio agli alberi isolati. Il bosco si è sviluppato lungo i bordi del forte e sui terrapieni, addensandosi in alcuni punti e riempiendo come un’unica massa compatta le isole esterne. Sull’ala sud della corona, dove il bosco è molto fitto, si è proceduti strutturando un nuovo paesaggio, costruito da un sistema di stanze, di vuoti delimitati per negativo scavando il volume del bosco. Il bosco, quindi, è stato pensato come un’ulteriore figura, una massa compatta, un pieno su cui sperimentare un processo di sottrazione progressiva, con cui delimitare luoghi diversi (la vegetazione fitta, le radure, i filari, gli alberi isolati) e le possibili sequenze narrative percepite da chi percorre questo spazio. Un fare spazio entro cui trovano collocazione preesistenze, pavimentazioni, sentieri e nuovi personaggi. Il bosco diventa il tessuto connettivo, caratterizzato e caratterizzante, che consente di interpretare il forte come un parco in cui gli edifici e gli oggetti disseminati assumono il valore di padiglioni.

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1 L. Semerani, Parco Metropolitano del Nord-Est, in Id., La metropoli non è una città, Università Iuav di Venezia, Venezia 2010, p. 32. 2 E. Mantese, Carattere, in L. Semerani (a cura di), Dizionario critico illustrato delle voci più utili all’architetto moderno, CELI, Faenza 1993, p. 44. 3 A. Gallo, Avamposti Metropolitani. Forte Marghera, in S. Marini, V. Santangelo (a cura di), Ricicli. Teorie da concetti nomadi e di ritorno, Aracne, Roma 2014, pp. 172-203.

Modelli di studio dei terrapieni della corona esterna del Forte Marghera. I terrapieni sono caratterizzati da due differenti conformazioni, un versante ripido e regolare verso i canali e una forma irregolare e corrugata verso l’interno del forte che ingloba gli edifici ipogei nelle pagine precedenti Vista del modello del Forte Marghera, scomposizione degli elementi che determinano la morfologia del forte: l’acqua, i terrapieni, gli edifici e il bosco


Terrapieni e strutture ipogee

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I --U --A --V OPERAZIONI DI RIGENERAZIONE

Giorgia De Michiel, architetto e dottore di ricerca in Composizione architettonica, dal 2003 è collaboratrice alla didattica nei Laboratori e nei Workshop di progettazione architettonica presso l’Università Iuav di Venezia. Ha partecipato alle ricerche “La reintegrazione urbana di manufatti e paesaggi obsoleti. Qualità e appropriatezza dell’abitare contemporaneo”, “Tecniche di progettazione degli insediamenti residenziali”, “Requisiti di qualità nella costruzione dell’ambiente e degli edifici. Ricerca interdisciplinare per un manuale dei procedimenti d’elaborazione e valutazione dell’architettura di qualità”. Nel 2010, nell’ambito del Festival dell’Architettura, ha curato la mostra “Hans Scharoun. Volkshaus, Stadtlandschaft, Philharmonie”. Parte degli esiti della sua tesi di dottorato sono stati esposti nella mostra “Tecniche di analisi e composizione” a Venezia, Milano, Gorizia, Bari, Amburgo. Ha pubblicato Tecniche di analisi e di composizione (Il Poligrafo, Padova 2011), Urban Acupuncture (in Esercizi di postproduzione, a cura di S. Marini, Aracne, Roma 2013), Hans Scharoun. Volkshaus, Stadtlandschaft, Philharmonie (in Community/Architecture, a cura di E. Prandi e L. Amistadi, Festival Architettura Edizioni, Parma 2010), Spazialità interna nelle case minime di Adolf Loos (in La casa. Forme e ragioni dell’abitare, a cura di L. Semerani, Skira, Milano 2008).

OPERAZIONI DI RIGENERAZIONE a cura di Giorgia De Michiel

e 22,00

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ISBN 978-88-7115-859-4

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Se ai modelli economico-sociali di paesi come la Cina, l’India e il Brasile corrispondono “metropoli a sviluppo illimitato”, in Europa, non essendo più applicabili principi di illimitatezza della crescita, delle risorse e del suolo disponibile, è diventato indispensabile confrontarsi con il disegno dello spazio antropizzato, non come territorio da colonizzare, ma come ri-caratterizzazione e ri-funzionalizzazione dell’esistente. Il concetto di sostenibilità si attua nel recupero di quanto può ancora essere utile: la reinvenzione per mezzo del progetto consente di risignificare, di “fecondare e rigenerare ciò che è”. Ne derivano nuove configurazioni del territorio e nuovi edifici restituiti ai cittadini in un processo che rappresenta una palingenesi, un creativo e fecondo atto di risignificazione. Il volume raccoglie alcune riflessioni sul tema del riuso di manufatti obsoleti e di intere parti di città e di territorio che nel tempo hanno perso la loro funzione originaria: la reintegrazione nel paesaggio antropizzato di vuoti residuali, di scarti accidentali, di aree e di edifici dismessi consente di saggiare le potenzialità di rigenerazione di un luogo, all’interno del quale le tracce del passato testimoniano la stratificazione della presenza umana e nel contempo esprimono un “desiderio di futuro”.


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