La sfida della modernità negli ambienti alpini, Il Poligrafo

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LA SFIDA DELLA MODERNITÀ NEGLI AMBIENTI ALPINI

ILPOLIGRAFO

a cura di Paolo Feltrin, Sergio Maset, Marco Zanta

CONNESSIONI



connessioni

strumenti di analisi e riflessione 04



LA SFIDA DELLA MODERNITÀ NEGLI AMBIENTI ALPINI a cura di Paolo Feltrin Sergio Maset Marco Zanta

ilpoligrafo


Il presente volume raccoglie una sintesi dei risultati della ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Trieste, nell’ambito del progetto “Sviluppo locale e sviluppo rurale nell’approccio Leader applicato alle aree montane” (2012-2013), realizzato con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali

progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon ­ copyright dicembre 2014 © Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani – via Cassan, 34 tel. 049 8360887 – fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-868-6


indice

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Introduzione Come andare oltre la retorica della montagna Paolo Feltrin

parte prima

alterità e sfumature tra gli ambiti montani Sergio Maset, Michele Polesana 15 i. Considerazioni per una politica della montagna 16 1. Tre principi guida per una politica delle aree montane 17 2. Linee di policy recenti e l’opzione aree interne 21 3. Interventi per lo sviluppo economico 23 4. I servizi a valenza pubblica nelle aree montane 24 5. Approccio bottom-up e partenariato 27 27 40 64

ii. Alcuni temi per una politica della montagna 1. Demografia 2. Attività produttive di montagna 3. Turismo

75 iii. L’approccio Leader e lo sviluppo locale di tipo partecipativo 75 1. L’approccio Leader 77 2. Il Rapporto 2010 della Corte dei Conti Europea 78 3. Il ruolo del Leader+ nelle politiche di sviluppo montano 81 4. L’approccio Leader nella programmazione comunitaria 2014-2020 83 iv. La sfida della modernità negli ambienti alpini

parte seconda

89 contemporaneità per la montagna Marco Zanta 175 Regesto delle foto 185

Bibliografia



la sfida della modernitď&#x; negli ambienti alpini


Ahimé, che cosa siete mai voi, miei pensieri scritti e dipinti! Or non è molto eravate ancora così versicolori, giovani e maliziosi, così colmi di spine e di droghe segrete, che mi facevate starnutire ridere – e ora? Avete già messo a nudo la vostra novità, e alcuni di voi sono pronti, lo temo, a divenire tante verità: hanno già un’aria così immortale, così onesta da spezzare il cuore, così noiosa! Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1991


introduzione

come andare oltre la retorica della montagna Paolo Feltrin

1. Non esiste “la montagna” intesa come un unicum indifferenziato, ma un multiverso in cui convivono realtà differenti: le aree dello spopolamento accanto a quelle della crescita demografica; i territori in crisi economica o in declino produttivo accanto a quelli che hanno saputo rigenerarsi all’interno di sistemi produttivi locali in grado di reggere la sfida della competizione internazionale; aree a vocazione agricola accanto ad aree di sviluppo turistico e (perfino) industriale. La presenza di realtà così differenziate deve indurre a riflettere attentamente sul legame tra reti infrastrutturali, opportunità di insediamenti produttivi, creazione di posti di lavoro, disponibilità di servizi terziari e ripopolamento di quei territori alpini che presentano caratteristiche idonee. Allo stesso tempo, con altrettanto realismo, va accettata l’idea che esistono zone di declino strutturale, irreversibile, nelle quali l’unica cosa da fare è lasciare che la wilderness faccia il suo corso. Insomma, il mito del “riequilibrio” territoriale, che tanta parte ha avuto nelle politiche di sviluppo degli ultimi decenni, andrebbe sottoposto – in questa prospettiva – ad attenta critica in nome dell’accettazione di uno sviluppo diseguale anche all’interno di ristrette aree contermini (come sono le valli alpine). La sequenza di ambienti selvaggi e disabitati, valli in cui è vitale l’agricoltura o l’allevamento, insediamenti turistici e impianti sportivi, attività industriali, attività terziarie di tipo urbano costituisce per i territori alpini la sfida del confronto con la modernità; essa può essere accettata solo a partire dalla negazione di qualsiasi nostalgia di un impossibile unicum alpino, che solo giustificherebbe la logica del riequilibrio e dell’uguaglianza di opportunità per ogni singola valle, quasi negando le differenze strutturali e morfologiche che tanto peso hanno nell’ambiente alpino. 2. Proviamo a riflettere sulla pulsione cimiteriale, lascito inconsapevole di ogni ideologia del vincolo “duro e puro” – artistico, culturale, ambientale, paesaggistico. I suoi effetti più drammatici sono visibili


introduzione

nelle aree montane dove i criteri della pura salvaguardia e del mantenimento dello status quo – per salvare le tradizioni, come è ovvio – ha condotto a un inselvatichimento incontrollato dell’ambiente alpino, al degrado degli equilibri demografici, all’emigrazione forzata della parte migliore delle nuove generazioni. La museificazione della montagna in nome della salvaguardia di una sua ipotetica naturalità la riduce a luogo repulsivo, apprezzato solo da una ristretta cerchia di praticanti di sport estremi e da uno stuolo di pensionati ancora abbagliati dalle canzoni degli alpini. Ad andarsene e a non venire – in qualità di occupanti, di residenti, di turisti – sono i giovani. Far rivivere la cura del paesaggio alpino significa innanzitutto riconoscere la sua artificialità, la sua discrezionalità, il suo essere fino in fondo l’esatto opposto della wilderness. L’ambiente naturale – oceano, steppa o alpe – ha dalla sua la benedizione dello spirito romantico ma non può non essere altro da sé – o è inospitale, inaccessibile, repulsivo oppure non è. Mediare si può, ma solo se si accetta di intervenire a cambiare il paesaggio naturale. Le due facce della natura alpina – selvaggia in alto, ospitale a valle – sono componibili in un unico disegno solo se le politiche del territorio sono capaci di tenere assieme questi due opposti in una delicata operazione di equilibrismo culturale. Le tradizioni c’entrano sì, ma solo quando vi è la capacità di interpretare la modernità anche nello spazio alpino. Cortina docet; Yellostone Park e Yosemite Valley pure. 3. Delle due l’una: o si mantiene la montagna esattamente così com’è, ricusando qualsiasi forma di intervento che modifichi il paesaggio, salvo poi andare a passare le ferie in Svizzera o in Tirolo, o si accetta un qualche grado di violazione dei sacri principi della salvaguardia. Altrimenti non ci si può stupire né del calo delle presenze turistiche né delle spinte separatiste che provengono dai comuni montani, attratti dall’unico modello disponibile capace di mediare tra le diverse esigenze: la Disneyland versione alpina delle valli straniere – una montagna tutta immaginaria, che coltiva finte tradizioni, che riempie ogni fondo valle di una teoria di chalet improbabili finto-antichi, vette massacrate dagli impianti di risalita e dai finti rifugi, il circo bianco che la fa da padrona sventrando e spianando le dorsali montagnose. Eppure, agli alfieri della salvaguardia capita di citare il Tirolo come esempio senza neppure sospettare l’ironia della contraddizione. Ma una riflessione va spesa anche sul tema dell’accessibilità delle zone montane. Linee di comunicazione e modello urbanistico alpino costituiscono un tutt’uno, fanno parte di una stessa strategia di ride-

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introduzione

finizione del ruolo della montagna, capace cioè di integrare attività produttive, funzioni urbane, attrazione turistica. Il punto è che per garantire tutti insieme questi obiettivi è necessario decidere quali aree sacrificare – per l’uso produttivo, residenziale, commerciale – e quali salvaguardare per garantire l’attrattività turistica. La consapevolezza ambientalista contemporanea appare in grado di evitare che queste operazioni si trasformino in sfregi al paesaggio, ma al contempo ci vuole il coraggio di scegliere dove e come intervenire. Modi e strategie di realizzazione di ipotetiche nuove infrastrutture alpine potrebbero costituire un banco di prova di questa rinnovata capacità di piano. Come documenta la ricerca che presentiamo in questo volume, questa difficile strategia di riuscire a far convivere interventi moderni in ambiente alpino non solo è possibile, ma ha consentito ad alcuni suoi territori di invertire la rotta del declino, addirittura attraverso un ripopolamento che consente loro di toccare oggi i massimi storici in termini di residenti. 4. Per sviluppare queste idee di base è stata condotta la ricerca che presentiamo in queste pagine. Si tratta di una sintesi, invero molto stringata, del progetto “Sviluppo locale e sviluppo rurale nell’approccio Leader applicato alle aree montane”, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, con l’obiettivo di indagare le diversità in ambito alpino, ma anche le politiche messe in atto in questi anni, in particolare l’approccio Leader, promosso dalla Comunità europea. Il rapporto di ricerca integrale è disponibile presso il sito www.sp.units.it/lists/progetti. La direzione e il coordinamento del progetto di ricerca sono stati curati da chi scrive. La raccolta dati, la loro elaborazione statistica e l’analisi qualitativa sono stati condotti da Sergio Maset e Michele Polesana, che hanno redatto la sintesi pubblicata nella Prima Parte di questo volume. Hanno partecipato ai lavori del gruppo di ricerca anche Monia Barazzuol, Giulia Gelmi, Pio Grollo, Anna Moretti, Paola Ombretti, Alessandra Pagin, Francesca Rossi e Antonio Salera. Alla base del progetto c’era anche l’idea di provare a documentare visivamente l’impatto dei manufatti in stile moderno nell’ambiente alpino, anche in ragione della vera e propria guerriglia ideologica che si combatte da un secolo a questa parte intorno al dilemma “tradizione versus modernità” nei territori alpini. Dopo una complicata selezione di siti e tipologie di manufatti tipici della contemporaneità, è stato affidato a Marco Zanta il compito di provare a documentare, con la fotografia, l’impatto di opere infrastrutturali, impianti sportivi, manufatti agroindustriali e terziari

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introduzione

all’interno del paesaggio montano. Una sintesi di questa esplorazione fotografica è presentata nella Seconda Parte di questo volume. I risultati dell’indagine sono stati discussi nel novembre 2013 in un seminario di studi, svoltosi presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università di Trieste, con relazioni del gruppo di ricerca e di Federico Callegari (economia), Raffaele Gerometta (pianificazione territoriale), Giuseppe Ieraci (politiche pubbliche) e Giorgio Osti (sociologia del territorio). Si ringraziano i partecipanti al seminario per gli utili spunti di riflessione che hanno consentito una migliore messa a fuoco della nostra prospettiva di analisi in vista di questa pubblicazione. Come di consueto, tuttavia, la responsabilità delle tesi sostenute in questo lavoro rimane solo degli autori.

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ii. alcuni temi per una politica della montagna

In questo capitolo vengono presentati alcuni temi per una politica della montagna a partire da quanto osservato nella ricerca condotta. L’ottica con cui tali temi vengono presentati non è quella del policy maker, bensì del territorio. Le indicazioni fornite riguardano dunque gli issue che gli abitanti della montagna, gli operatori economici e i decision maker si trovano e si troveranno ad affrontare come membri di uno stesso tessuto economico. Le possibili implicazioni in termini di policy saranno invece affrontate nel capitolo finale. L’analisi statistica è stata condotta prendendo a riferimento due livelli territoriali. In una prima fase l’analisi è stata effettuata a livello regionale e macroregionale, distinguendo, all’interno di ciascuna area, tre tipologie di comuni (secondo la classificazione altimetrica Istat): montagna, collina e pianura (fig. 1). Successivamente si è posto l’obiettivo di mettere in evidenza la presenza o meno di cluster territoriali e/o dinamiche locali. Si è perciò fatto riferimento ai Sistemi Locali del Lavoro, classificandoli, dopo diverse ipotesi e verifiche, come montani se la quota di popolazione al Censimento 2011 residente nei comuni montani che ne fanno parte è superiore al 75% (fig. 2). 1.

demografia

Spopolamento e invecchiamento costituiscono, nella tradizionale rappresentazione della montagna, le principali questioni emergenti dal punto di vista demografico, e non solo. Si tratta certamente di fenomeni ben presenti, ma non in tutti i territori montani e non ovunque con la stessa intensità. 1.1 Aree in via di spopolamento e aree di crescita demografica

I comuni della montagna centro-settentrionale (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria), rappresentano al 


sergio maset, michele polesana

1. Zone altimetriche dei comuni del Centro-nord Italia Fonte: elaborazione su dati Istat

2. Incidenza % della popolazione residente nei comuni montani dei SLL del Centro-nord Italia (Censimento 2011) Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat

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alterit e sfumature tra gli ambiti montani

Censimento 2011 4,8 milioni di abitanti, pari al 14,5% della popolazione complessiva, contro gli 11,2 milioni dei comuni di collina (33,6%) e i 17,3 milioni dei comuni di pianura (51,9%). Le regioni con le aree montane più popolate sono la Lombardia e il Trentino Alto Adige, le quali con circa un milione di abitanti ciascuna concentrano il 43% della popolazione montana del Centro-nord (fig. 3 e tab. 1). Fino ai primi del Novecento la popolazione della montagna centro-settentrionale cresce a un ritmo analogo a quello delle altre zone altimetriche. Successivamente si assiste a un rallentamento, che a partire dal 1931 diventa calo in tutte le rilevazioni, a eccezione di quella del 1951 (possibilmente determinata da flussi verso la montagna durante la fase bellica, +5,3%) e, più recentemente, nel 2011 (+2,9%, fig. 4). Dal secondo dopoguerra a oggi la popolazione montana dell’Italia centro-settentrionale ha conosciuto un sostanziale stallo, seppure con dinamiche diverse all’interno del periodo: una relativa stabilità della popolazione tra 1951 e 1971, un calo tra 1971 e 1991, una stabilizzazione tra 1991 e 2001 e infine una crescita nell’ultimo decennio. A livello complessivo, la popolazione montana dell’Italia centrosettentrionale ha conosciuto, negli ultimi quarant’anni, una riduzione pari all’1%, con un calo del 4% nel periodo 1971-1991 e un recupero del 3% tra 1991 e 2011. Si tratta di una dinamica ben differente da quella che si registra in collina e in pianura, entrambe in crescita dell’11% (figg. 5, 6 e tab. 1). A ben guardare, anche nell’ambito della montagna si possono evidenziare alcune distinzioni. Il calo demografico riguarda in particolare i comuni al di sopra dei 300 metri, con una riduzione, tra 1951 e 1991, non compensata dalla crescita nel periodo 1991-2011. I comuni al di sotto dei 300 metri risultano invece complessivamente, tra 1951 e 2011, in crescita, anche se con uno sviluppo positivo tra 1951 e 1971, un calo tra 1971 e 2011 e ancora una crescita tra 2001 e 2011 (figg. 7, 8). A livello regionale si rintracciano alcune importanti distinzioni. Nel lungo periodo (1971-2011) emerge la crescita a doppia cifra delle aree montane appartenenti a Valle d’Aosta (+16%), Lombardia (+10%), Trentino Alto Adige (+22%) e, secondariamente, Umbria (+4%). Nelle

 Per l’individuazione dei territori montani si è fatto riferimento alla definizione Istat che, sulla base di valori-soglia altimetrici, ripartisce il territorio nazionale in zone omogenee derivanti dall’aggregazione di comuni contigui classificando i comuni come montagna interna, montagna litoranea, collina interna, collina litoranea e pianura.

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sergio maset, michele polesana 35 30 25 20 15 10 5 0

1871 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2011 Montagna Collina Pianura

280 260 240 220 200 180 160 140 120 100 80 1871 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2011 Montagna Collina Pianura

Totale Centro-nord

3. Popolazione residente (milioni di abitanti) nelle regioni del Centro-nord Italia per tipologia di comune (1871-2011). Per il Trentino Alto Adige, il dato 1871 si riferisce al 1869, quello 1881 al 1880, quello 1901 al 1900 e quello 1911 al 1910 e riguarda la popolazione presente Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat e Consiglio della Regione Autonoma Trentino Alto Adige

4. Numero indice della popolazione residente (1871=100) nelle regioni del Centro-nord Italia per tipologia di comune (1871-2011). Per il Trentino Alto Adige, il dato 1871 si riferisce al 1869, quello 1881 al 1880, quello 1901 al 1900 e quello 1911 al 1910 e riguarda la popolazione presente Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat e Consiglio della Regione Autonoma Trentino Alto Adige

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alteritď&#x; e sfumature tra gli ambiti montani

35 30

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12,6

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5,0

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4,9

4,7

4,7

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1951 1961 1971 1981 1991 2001 2011 Montagna Montagna Collina Pianura Collina Pianura

150 140 130 120 110 100 90 80

1951 1961 1971 1981 1991 2001 2011 Montagna Collina Pianura

Totale Centro-nord

5. Popolazione residente (milioni di abitanti) nelle regioni del Centro-nord Italia per tipologia di comune (1951-2011) Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat

6. Numero indice della popolazione residente (1951=100) nelle regioni del Centro-nord Italia per tipologia di comune (1951-2011) Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat

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sergio maset, michele polesana 6 5 4 3 2 1 0 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2011 Fino a 300

301-600

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Oltre 900

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301-600

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Oltre 900

7. Popolazione residente (milioni di abitanti) nella montagna del Centro-nord Italia per altitudine (metri slm) del centro comunale (1951-2011) Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat

8. Numero indice della popolazione residente (1951=100) nella montagna del Centro-nord Italia per altitudine (metri slm) del centro comunale (1951-2011) Fonte: elaborazione su dati Censimenti Istat

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PARTE seconda

CONTEMPORANEITà per LA MONTAGNA Marco Zanta



Il progetto fotografico che ho realizzato all’interno di questa ricerca ha come oggetto il segno contemporaneo presente nell’architettura montana. Seguendo l’arco alpino sono emersi diversi aspetti importanti, rappresentati da ciò che in questi ultimi decenni si è realizzato al servizio delle diverse comunità montane, seguendo esigenze, modi d’uso e caratteristiche proprie di questi territori. Ancora una volta emerge in maniera chiara anche il tipo di impatto che l’architettura determina nei siti dove si insedia, modificando, spesso, la stessa percezione dei luoghi. Senza elencare i vari progetti indagati, che si possono trovare nel regesto finale, quello che credo risulti maggiormente visibile è la costante ricerca, nei progettisti ma anche nella committenza, di una volontà precisa nel cercare segni che diano il senso di una costante evoluzione, rifuggendo da stereotipi cartolineschi. Dal progetto realizzato da Edoardo Gellner a Borca di Cadore, per il Villaggio ENI voluto da Enrico Mattei, sino alla nuova sede di Salewa alle porte di Bolzano, segno preciso concepito da Cino Zucchi, passano diversi decenni. Decenni che hanno però sempre visto nei luoghi montani il succedersi di una vera e propria evoluzione dell’abitare – occupare – i luoghi, senza mai lasciarsi andare a una facile retorica ma osando sempre, convinti che la presenza dei nuovi linguaggi architettonici avrebbe aiutato una nuova vitalità delle aree montane.

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marco zanta

Castello San Firmino, Bolzano (arch. W. Tscholl)

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contemporaneit per la montagna




marco zanta

Castello San Firmino, Bolzano (arch. W. Tscholl)

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contemporaneit per la montagna




marco zanta

Diga ENEL, Val Gallina

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contemporaneit per la montagna

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Che cosa rappresenta la montagna per l’uomo contemporaneo? Un luogo incontaminato in cui soddisfare il proprio bisogno di immergersi nella natura? O piuttosto industria del turismo, dell’ospitalità, dei grandi impianti? Concezioni così rigide, e in netta contrapposizione, certamente non riflettono la complessità del reale. Non esiste “la montagna” intesa come un unicum indifferenziato, ma un ambiente multiforme in cui convivono realtà differenti: le aree dello spopolamento accanto a quelle della crescita demografica; i territori in crisi economica o in declino produttivo e quelli che hanno saputo rigenerarsi all’interno di sistemi produttivi locali in grado di reggere la sfida della competizione internazionale; aree a vocazione agricola accanto ad aree di sviluppo turistico e, perfino, industriale. La presenza di realtà così differenziate deve indurre a riflettere attentamente sul legame tra reti infrastrutturali, opportunità di insediamenti produttivi, creazione di posti di lavoro, disponibilità di servizi terziari e ripopolamento di quei territori alpini che presentano caratteristiche idonee. Allo stesso tempo, con altrettanto realismo, va accettata l’idea che esistono zone di declino strutturale, irreversibile, fatalmente destinate al progressivo avanzamento della wilderness. Come documentano la ricerca pubblicata in questo volume e il ricco excursus fotografico che la accompagna, gli interventi contemporanei in ambiente alpino non solo sono possibili, ma auspicabili. La sfida della modernità, che in molti casi ha invertito la rotta del declino, fino a un significativo ripopolamento, si è dimostrata scelta vincente per una lungimirante politica del territorio. Paolo Feltrin (1953) insegna Scienza dell’amministrazione presso l’Università di Trieste. Ha coordinato la pubblicazione della ricerca parallela Filiere d’Italia. Produzioni e reti dell’agroalimentare (a cura di F. Callegari e M. Valentini, Donzelli, 2014). Tra le pubblicazioni recenti su temi analoghi: Imprese e rappresentanza (con S. Zan, Carocci, 2014), Trasformazioni delle professioni e regolazione in Europa (a cura di, Wolters Kluwer, 2012), Crescere per competere (con G. Tattara, a cura di, Bruno Mondadori, 2010). Sergio Maset (1972) dal 2002 al 2008 ha tenuto il corso di Tecniche di elaborazione dati presso l’Università di Trieste. È direttore di Idea Tolomeo, società che opera nel campo della ricerca sociale ed economica, e ha diretto molteplici ricerche sulla territorializzazione dei fenomeni sociali ed economici. Tra le pubblicazioni recenti su temi analoghi: Le onde lunghe dello sviluppo territoriale del Nord (in P. Perulli, a cura di, Nord. Una città-regione globale, il Mulino, 2012). Marco Zanta (1962) dal 2006 al 2011 è stato docente di Fotografia presso la Facoltà di Design e Arti dell’Università Iuav di Venezia. Le sue immagini sono state presentate in diverse gallerie e istituzioni internazionali, tra le quali la Maison Européenne de la Photographie a Parigi, il Museo d’Arte Contemporanea di Shanghai, la Fondazione Forma a Milano, il CCA di Montréal, l’Espace Contretype di Bruxelles. Ha esposto più volte alla Biennale d’Arte di Venezia. Ha pubblicato diverse monografie, tra le quali Rumore Rosso (Charta, 2000) e UrbanEurope (Contrasto, 2008).

e 25,00

ISBN 978-88-7115-868-6


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