Manuale di coltivazione pratica e poetica. Per la cura dei luoghi storici e archeologici nel Medite

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biblioteca di architettura 16



Luigi Latini, Tessa Matteini

MANUALE DI COLTIVAZIONE PRATICA E POETICA Per la cura dei luoghi storici e archeologici nel Mediterraneo

ilpoligrafo


Questo volume prende avvio dai risultati di una ricerca dal titolo Progetto di paesaggio, coltivazione dei luoghi. Pratiche e saperi, svolta nell’ambito dell’Università Iuav di Venezia, finanziata dal Dipartimento di Culture del Progetto negli anni 2013-2014 e 2015-2016. Parte dei materiali contenuti all’interno del libro costituisce una rielaborazione dei contributi presentati al convegno “Progetto di paesaggio, coltivazione dei luoghi. Pratiche e saperi nel mondo mediterraneo”, a cura di Luigi Latini e Tessa Matteini, Venezia, Iuav - Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 11-12 dicembre 2014 La pubblicazione di questo volume è stata possibile grazie al contributo del Dipartimento di Culture del Progetto dell’Università Iuav di Venezia, della Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso e dell’azienza agricola Studio Giardino di Venezia (Idrogarden e Tenuta del Duca 1807)

progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice grafica Laura Rigon redazione Alessandro Lise, Sara Pierobon copyright © luglio 2017 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-989-8


indice

11 Introduzione Luigi Latini, Tessa Matteini 15 Sul giardino mediterraneo Giuseppe Barbera

parte prima | teorie scritti sulla pratica del giardin0 27 Dall’agronomia sperimentale alla cura del giardino. Ibn Al-‘Awwâm, Kitâb al Filâha, Il Libro dell’Agricoltura Tessa Matteini 35 Selvatico e Domestico. Agostino del Riccio, Del giardino di un Re Tessa Matteini 43 Teorie e pratiche del giardino classico. Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage Tessa Matteini 51 Sul giardino paesaggistico mediterraneo. Francesco Bettini, Manoscritti sull’arte del giardinaggio Tessa Matteini 59 Tra le rovine. Giacomo Boni, Scritti sulla flora delle rovine Tessa Matteini 67 I taccuini di un maître jardiniste. Jean Claude Nicolas Forestier, Jardins, Carnet de Plans et de Dessins Tessa Matteini


75 La cura del paesaggio “latino”. Nicolás María Rubió y Tudurí, El jardín meridional Luigi Latini 85 Dai quaderni di un paesaggista. Pietro Porcinai, appunti inediti per un manuale sui piccoli giardini Luigi Latini

parte seconda | pratiche dal giardino al paesaggio

la misura del fare

97 Rivoltare la terra Luigi Latini 107 Governare le acque Anne-Sylvie Bruel 121 Seminare e piantare José Tito Rojo 135 Sconfinare Tessa Matteini 155 Osservare il tempo Jean-Luc Brisson

sette esercizi di coltivazione

169 Curare un vigneto: Baver Roberto Netto, Simonetta Zanon 183 Nei frutteti della Conca d’Oro: allevare un giardino Tommaso La Mantia 193 Coltivare le rovine: Ninfa Ilaria Rossi Doria 207 Curare una selva: le difese appenniniche e il Bosco di Sant’Antonio a Pescocostanzo Aurelio Manzi


219 Coltivare un orto: Giudecca a Venezia Giuseppe Rallo 229 Seminare un prato: divagazioni teoriche e sperimentazioni pratiche nel “Bosco Cantastorie� di Villa Strozzi al Boschetto Anna Lambertini 241 Disegnare un giardino di fiori: la villa medicea della Petraia Giorgio Galletti

coltivare un paesaggio archeologico

257 Il progetto di paesaggio per un sito archeologico mediterraneo Tessa Matteini 263 San Silvestro, paesaggio in divenire Luigi Latini 273 Pratiche di coltivazione per una gestione paesaggistica Luigi Latini, Tessa Matteini 281 La Rocca di San Silvestro e il Sistema dei parchi della Val di Cornia Silvia Guideri 287 Le piante delle rovine e la fatica di distruggere il giardino perfetto Maria Adele Signorini

301 Bibliografia generale



MANUALE DI COLTIVAZIONE PRATICA E POETICA


Ringraziamenti Gli autori desiderano ringraziare le numerose persone che hanno reso possibile questo volume, portando con generosità il frutto delle loro esperienze, provenienti dal mondo della ricerca, delle istituzioni pubbliche, delle associazioni e della pratica professionale. Oltre agli autori dei singoli contributi, ringraziamo in particolare il direttore del Dipartimento di Culture del Progetto Carlo Magnani, il direttore della Fondazione Benetton Studi Ricerche Marco Tamaro e Sergio Pajola dell’Azienda Studio Giardino. Ricordiamo, infine, con speciale gratitudine, la collaborazione di Silvia Guideri della Società Parchi Val di Cornia per i sopralluoghi e le discussioni intorno alla Rocca di San Silvestro e la vicinanza di Giuseppe Barbera che, già nel corso delle nostre prime esplorazioni siciliane, ha incoraggiato e indirizzato questo lavoro.


introduzione Luigi Latini, Tessa Matteini

La theorica niente senza la pratica. A.-J. Dezallier d’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage, Paris 1747

Formato da una raccolta di esplorazioni teoriche e da un repertorio di esperienze nel campo del paesaggio – un campo frequentemente interrogato per cogliere nozioni che spieghino la complessità del nostro tempo – questo libro intende distaccarsi dalle molte compilazioni pluridisciplinari edite in questo settore e sviluppare, in forma di manuale, un indirizzo di ricerca nella direzione di ciò che affidiamo alla parola “progetto”, cioè a quel momento del nostro operare nel quale proiettiamo nel futuro l’esperienza accumulata nel passato e i pensieri che si confrontano nel nostro presente. La prima parte è stata composta interrogando il patrimonio di contributi teorici (trattati, manuali, raccolte di scritti non pubblicati) sul giardino e sul paesaggio in ambito mediterraneo, con l’intento di intercettare quei saperi che, attraverso le diverse epoche e culture, possano costituire un fil rouge legato alle pratiche della coltivazione sul campo. Abbiamo così cercato di raccogliere, all’interno di una serie di interviste impossibili, le testimonianze di trattatisti che, nel corso della storia, si siano confrontati direttamente con gli aspetti operativi delle attività agronomiche, paesaggistiche e giardiniere, combinando il saper fare con la de-

 A.-J. Dezallier d’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage, où l’on traite a fond des beaux jardins avec Les Pratiques de Géométrie nécessaires pour tracer sur le Terrein toutes sortes de figures et un traité d’Hydraulique convenable aux jardins, [Paris 1747], Actes Sud, Arles 2003, p. 191.


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scrizione teorica, e che, proprio dalla trattazione delle pratiche di coltivazione e cura, traggano gli elementi essenziali per la composizione delle loro opere di divulgazione. Le figure di teorici che presentiamo nella prima parte attraversano dunque un periodo di tempo consistente e sono forti di un’esperienza di vita legata alla coltivazione dei luoghi (intesa nella sua più ampia dimensione semantica) e di una saggezza pratica da noi interpretata come attitudine progettuale. Tutti hanno sentito il desiderio di ricondurre quest’esperienza sul piano di una produzione teorica, spingendosi, talvolta, anche nell’ambito manualistico. Sono stati individuati otto autori che coprono l’arco di diversi secoli e che possono essere considerati emblematici di alcune fasi essenziali per lo sviluppo della concezione del progetto del giardino e del paesaggio in ambito mediterraneo: dal Medioevo ispano-islamico di Ibn ‘al-Awâmm, al Cinquecento del Selvatico e Domestico nell’Italia centrale di Agostino del Riccio, fino al giardino classico francese di Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville e alla traduzione meridionale del giardino paesaggistico proposta da Francesco Bettini. Anche il Novecento viene rappresentato, attraverso i profili di quattro figure che hanno contribuito, in forma diversa, ma ugualmente essenziale, alla reinvenzione del giardino mediterraneo: Giacomo Boni, Nicolas Forestier, Nicolás María Rubió y Tudurí, Pietro Porcinai. Il repertorio che fa seguito a questa antologia – ma la sequenza potrebbe anche essere invertita – non ha, per parte sua, la pretesa di presentare azioni in veste di dimostrazioni pratiche di un pensiero precedentemente confezionato. Nella visione che il manuale intende sviluppare, e in forma di utile strumento nel campo del giardino e del paesaggio, l’attività manuale ha la medesima dignità e il medesimo valore etico del pensiero che la orienta, e da questo doppio registro esce la nostra idea di “progetto di paesaggio”, inteso come attitudine alla cura e immersione nell’esperienza palpabile, che supera, per esempio, una certa scissione tra “disegno” ed esecuzione in situ dello stesso, troppo spesso praticata. Del resto, il giardino, processo in divenire inscindibile


introduzione

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dall’esperienza umana, non può sottomettersi a questo dualismo. Da qui la nostra reinterpretazione della parola “coltivazione”, annunciata nel titolo, che esce dal domino esclusivo dell’agronomo, o del giardiniere, e assume un’accezione prossima, e talvolta sovrapposta alla sfera progettuale. Questo libro intende dunque ordinare alcuni passaggi di una dedizione mentale che sente necessario il travaso continuo e militante tra pensiero teorico ed esercizio pratico. L’accostamento e la contaminazione tra “teorie” e “pratiche” si traducono qui nella sezione che ha preso il nome di “misura del fare” – meditando sul valore di passaggi sequenziali come rivoltare la terra, governare le acque, sconfinare, seminare e piantare, osservare il tempo – che afferiscono, attraverso diverse scale e differenti categorie di progetto, al mondo del giardiniere, come a quello del paesaggista e che sono stati affidati, in parte, al racconto e all’esperienza di colleghi provenienti da altri contesti europei. Segue una serie di “esercizi di coltivazione”, esemplificativi della attitudine del paesaggista-giardiniere nella cura degli ambiti storici e riferibili a luoghi dalla forte connotazione, come un bosco, un frutteto o una vigna; un giardino, una rovina, un orto oppure un prato. Tutto questo ricondotto al formato di un piccolo manuale illustrato, di coltivazione “pratica e poetica”: un libro che ragiona dunque sulla costruzione di strumenti per muoversi, come progettisti, sul doppio registro, solo apparentemente contradditorio, dell’esercizio pratico e dallo sguardo poetico; un espediente che invita a scombinare le carte e uscire da quella visione consolatoria, tutta proiettata nel passato, secondo la quale il richiamo alle “pratiche” nel campo del paesaggio assume il tono della convocazione di esperienze ormai estinte. All’interno di una tale struttura, il manuale restringe e orienta il proprio sguardo su un ambito di lavoro preciso, il mondo mediterraneo, e qui si sofferma, con attitudine progettuale, sui paesaggi storici e archeologici, dei quali diamo conto con il resoconto di un’esperienza applicata. Le riflessioni su un caso studio, la Rocca di San Silvestro in Toscana, sono l’occasione per speri-


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luigi latini, tessa matteini

mentare una modalità diversa di lettura e di confronto progettuale con un luogo archeologico, attraverso l’interpretazione della struttura vegetale che lo abita e la costruzione di un repertorio di indicazioni per una gestione paesaggistica del sito, supportata da un approfondimento botanico sulle specie ruderali. La scelta del paesaggio e del giardino mediterranei come ambiti di riferimento deriva dal tentativo di confrontare il concetto di coltivazione (già legato, come è noto, ad una dimensione autonoma e caratterizzante nella cultura paesaggistica nordeuropea) con il milieu complesso e controverso delle civiltà che si sviluppano nel bacino del Mare nostrum, là dove le peculiari condizioni ambientali e la necessità di gestione della risorsa idrica introducono variabili specifiche che condizionano in maniera importante la cura e la costruzione secolare dei luoghi. Infine, conviene ricordare che questo libro, sebbene maturato nel contesto accademico di una ricerca, è uno strumento rivolto in primis ai nostri studenti e, in generale, a coloro che si muovono nel campo della formazione, secondo quei principi che anche la Convenzione Europea del Paesaggio sancisce. La produzione manualistica possiede, nel campo del giardino e del paesaggio, una tradizione illustre, con la quale non intendiamo misurarci. Ci basta, però, segnalare la necessità di riprendere un filo che appare interrotto, con prodotti editoriali che vanno in questa direzione. Il “benigno lettore” al quale ci rivolgiamo con questo manuale appartiene dunque a quel mondo di “coltivatori” che, sui banchi nelle nostre scuole, ma anche fuori da recinti delimitati, ci segnala la necessità di riflettere sulla natura degli strumenti del nostro lavoro (pratico e teorico) e sulla direzione da prendere ogni volta che tali strumenti danno vita e assegnano una forma ai paesaggi che le nostre vite attraversano.


sul giardino mediterraneo Giuseppe Barbera

Nel 1787, nel corso di un viaggio in Francia, Arthur Young considerò, con fredda lucidità agronomica, quanto bene si sarebbe potuto prestare il parco del castello reale di Chambord alla coltivazione delle rape. Quando, due anni dopo, fu in visita alla campagna di Nizza, le sue argomentazioni cambiarono di tono e prevalse una viva indignazione. A uno dei protagonisti assoluti della rivoluzione industriale in agricoltura e del successo di sistemi intensivi nei quali si diffondevano, al posto del maggese, rotazioni con erbai e prati stabili e più produttive razze animali, il paesaggio mediterraneo costiero, composto di piccoli giardini irrigui, lussureggianti di aranci e limoni e orti, apparve “detestabile”. Al termine di una visita a un piccolo agrumeto arrivò a osservare che «il giardino che da noi è un oggetto di piacere è qui fonte di economia e di reddito, condizioni che sono incompatibili». Usava il termine “giardino” nell’accezione che in Inghilterra è propria di spazi destinati alla coltivazione di fiori, frutti, ortaggi prevalentemente destinati all’autoconsumo, prossimi alle case e, frequentemente, parte d’insiemi più grandi coltivati con piante ornamentali e destinati a ricreazione e passeggio. Nei giardini inglesi e dell’Europa continentale, le specie alimentari, quando presenti, non avevano particolare interesse mercantile. Nel paesaggio costiero della Riviera, invece, la funzione “utile” del produrre non era separata da quella del piacere e rispondeva così al significato proprio del giardino mediterraneo. Per esso, nelle intenzioni Giuseppe Barbera, Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali.


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giuseppe barbera

culturali – sappiamo, però, quanto spesso smentite dalla realtà odierna –, valgono le parole di Rosario Assunto: «La perfezione del paesaggio è simultaneità di fiore e di frutto [...] coincidono in un giardino assoluto, l’idea del giardino, natura contemplabile, con quella del frutteto natura utile alla vita». Il filosofo siciliano assegna agli alberi da frutto il ruolo che è loro proprio di unire utilità e bellezza: per le fioriture abbondanti, colorate e profumate, per i frutti che, aveva scritto Plinio il Vecchio, «hanno per primi reso piacevole il nutrimento, insegnando agli uomini a unire il diletto alla necessità del cibo», per la forma della chioma, armoniosa per architettura naturale o modellata dagli interventi cesori. Nelle regioni mediterranee, osserva Massimo Venturi Ferriolo, «piantagione di alberi da frutta è il significato proprio del giardino». La loro bellezza e i saperi sensoriali e spirituali che se ne ottengono costituiscono l’essenza e hanno bisogno del suo recinto. Il giardino protegge la loro coltivazione; nei 5-10 anni necessari al superamento della fase giovanile improduttiva e nei molti che seguiranno, consente il controllo dello sviluppo dell’albero e dei fattori della produzione. Opposto al deserto, alla foresta o alla città, è il luogo dove l’uomo afferma e affina la supremazia sulla natura che diventa amica e complice e offre i suoi prodotti migliori: i frutti e l’universo simbolico che nasce dalla manifestazione di fecondità che essi rappresentano; offre anche ombra, riposo, meditazione, soddisfazione multisensoriale. I giardini dei primi agricoltori nascono per interesse alimentare, difesi dal vento del deserto, dall’eccesso di evapotraspirazione, dal morso del bestiame, dai furti e dagli sguardi indiscreti. Giardini fruttiferi sono quelli che, nella Mezzaluna Fertile, avviano la seconda rivoluzione neolitica (la prima, basata sulla domesticazione di graminacee e leguminose da granella è rispondente a insediamenti temporanei di popolazioni ancora in bilico tra nomadismo e sedentarietà), quella per la quale si definisce e si consolida la “città” e con essa il giardino per la coltivazione di specie che hanno necessità di tempi lunghi, tecniche colturali e di conservazione dei prodotti più evolute, organizzazioni sociali più complesse. Il giardino frutteto – con l’orto che in spazi consociati


sul giardino mediterraneo

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o contigui lo accompagna – è disegnato in funzione delle specie che lo compongono. La disposizione e l’habitus dei singoli alberi coltivati può essere modificata in ragione dell’intercettazione della radiazione solare, del posizionamento delle gemme che diventeranno fiori e frutti, dell’efficienza delle pratiche colturali, del percorso ottimale della zappa, dell’aratro, dell’acqua. Finalità energetiche, ecologiche, economiche, estetiche convergono in forme armoniche e geometricamente equilibrate. I primi compiuti esempi vengono dalla letteratura omerica. Nell’Odissea, il giardino di Laerte è un frutteto “ben disposto” e quello di Alcino, più a fondo descritto nella sua complessa struttura, è un grande orto presso le porte, di quattro iugeri, corre tutto intorno una siepe. Alberi là dentro in pieno rigoglio, peri e granati e meli dai frutti lucenti, e fichi dolci e floridi ulivi, mai il loro frutto vien meno o finisce, inverno o estate, per tutto l’anno [...] lì anche una vigna feconda era piantata [...] più in là lungo l’estremo filare, aiole ordinate d’ogni ortaggio verdeggiano [...] e due fonti vi sono: una per tutto il giardino si spande, l’altra [...] corre fin sotto il cortile, fino all’alto palazzo.

Pur nell’enigmatica geografia omerica, sono giardini mediterranei che evolvono – in uno con la diffusione delle tecniche agricole – da quelli mesopotamici. Dal modello sumero, essenziale e archetipico, rappresentato da un grafogramma proto-elamita che mostra un albero chiuso in un recinto e che rimanda al mito di Inanna che lo piantò a Uruk, “la prima città”, si trasformano in quelli assiri di Tighlat-Pileser e Assurnasirpal: irrigui, composti da specie provenienti da altre regioni, con finalità legate al piacere oltre che alla produzione, contigui ai palazzi reali con cui formano complessi monumentali. A partire dalle regioni mediorientali, dalla Palestina biblica, dalla Grecia omerica, dagli horti romani, dalle noharia, sanya, agdal, buahyra islamiche, lo spazio del giardino mediterraneo si definisce variamente in base ai tempi e ai luoghi pur mantenendo, nell’inevitabile diversità dei paesaggi delle terre che circondano il grande mare, caratteristiche comuni: promiscui, policolturali,


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sul giardino mediterraneo

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1. Giardino della Kolymbetra, Agrigento: il bacino di raccolta delle acque provenienti dai canali di raccolta ipogei, l’orto e gli agrumeti (foto Luigi Latini)



PARTE PRIMA | TEORIE SCRITTI SULLA PRATICA DEL GIARDINO


1. Il testo bilingue del capito IV della edizione madrilena del 1988, facsimile della prima in lingua spagnola (Madrid, Imprenta Real, 1802), a cura di J.A. Banqueri, Libro de Agricultura, su autor el Doctor excelente Abu Zacaria Iahia, Aben Mohamed ben Ahmed Ebn el Awam, sevillano, pubblicato presso il Ministerio de Agricultura, Pesca y AlimentaciĂłn (per questa immagine gli autori ringraziano JosĂŠ Tito Rojo)


dall’agronomia sperimentale alla cura del giardino. ibn al-‘awwm, kitb al filha, il libro dell’agricoltura Tessa Matteini Celui qui voudra embrasser l’agriculture comme industrie, y trouvera, Dieu aidant, un moyen d’existence; il en obtiendra, non seulement, sa propre subsistance, mais aussi celle de ses enfants et de sa famille. [...] Ainsi il se procurera tous les avantages de la vie présente et la félicité de l’autre; En effet, au moyen de semis et de plantation, ses provisions alimentaires, Dieu aidant, seront abondantes. On rapporte que c’est a cela que le prophète fait allusion, quand il dit: Cherchez le soutien de votre vie dans le fruits de la terre. Ibn al-‘Awwâm, Le livre de l’agriculture, Kitâb al Filâha

Abu Zakariyya Yahya b. Muhammad b. Ahmadibn al-‘Awwâm vive nella Siviglia musulmana del XII secolo, governata dagli Almohadi, ed è considerato uno dei più importati agronomi della scuola arabo-andalusa. La sua opera Kitâb al Filâha (Il libro dell’Agricoltura) raccoglie in 34 volumi la summa dei saperi agricoli e orticulturali del mondo arabo-andaluso (e in genere mediterraneo) prima della loro dispersione a causa della riconquista cristiana del Sud della Spagna. Il trattato si occupa di esplorare tutti gli aspetti relativi alla conduzione dei lavori in un’azienda agricola, offrendo indicazioni sulle coltivazioni, sulla componente agronomica e vegetale, sugli animali e, tema del quale ci occupiamo in questo libro, sui fruttetigiardini (capitolo IV), che della pratica agraria diventano un set-

 Ibn al-‘Awwâm, Le livre de l’agriculture, Kitâb al Filâha, ed. a cura di M. al-Faîz, Arles, Actes sud, 2000, p. 47.  L. Albertini, Agricultures Méditerranéennes, Agronomie et paysages des origines à nos jours, Arles, Actes Sud, 2009, pp. 83-84.  Il termine arabo “basatín”, plurale di “bustán”, viene tradotto con lo spagnolo “huertos” e con il francese “jardins”. Cfr. con l’edizione madrilena del 1988,


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ibn al-‘awwm, il libro dell’agricoltura

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2. Granada, i campi coltivati nella piccola valle tra l’Alhambra e il Generalife (foto Tessa Matteini)


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tore specifico e riconoscibile. L’opera si fonda sulle fonti classiche dell’antichità greco-romana (Varrone, Columella), su quelle del mondo bizantino, siro-libanese ed arabo-andaluso (in particolare, Yûniûs Anatolios di Beritos e Qustûs o Kastos) e sulle sperimentazioni che lo stesso Ibn al-‘Awwâm conduce nella sua terra d’origine, l’Aljarafe, una regione di entroterra fertile e vicina al mare, compresa tra il Guadalquivir e il suo affluente Guadiamar. Scrive Albertini, che ne apprezza particolarmente il contributo agronomico: Quale teorico di livello e pratico capace, Ibn al-‘Awwâm dà prova di una grande curiosità di spirito e di ottime qualità di osservatore e sperimentatore [...]. Si rivela così uno dei grandi precursori non soltanto della metodologia sperimentale moderna stabilita sul rigore del ragionamento, ma anche della ricerca agronomica fondata sulle scienze fisiche e naturali e sulla tecnologia. Egli considera, d’altronde, un punto d’onore nell’inserire all’interno del suo libro soltanto ciò che è stato dimostrato sperimentalmente.

Il contributo di Ibn al-‘Awwâm viene generalmente considerato essenziale per la conoscenza delle tecniche e pratiche di coltivazione, ma anche per lo sviluppo dell’arte dei giardini mediterranea. José Tito Rojo sottolinea come nelle sue trattazioni si ritrovi spesso una posizione “anti-ornamentale” nel preferire le

facsimile della prima in spagnolo [Madrid, Imprenta Real, 1802], a cura di J. Antonio Banqueri, Libro de Agricultura, su autor el Doctor excelente Abu Zacaria Iahia, Aben Mohamed ben Ahmed Ebn el Awam, sevillano, pubblicato a Madrid presso il Ministerio de Agricultura, Pesca y Alimentación, vol. I, p. 152. Per la citazione, gli autori ringraziano José Tito Rojo.  J.T. Rojo, Caracteristicas de los jardines Andalusíes, in J.T. Rojo, M. Casares Porcel, El jardin hispano-musulmán. Los jardines de al-Andalus y su herencia, Granada, Editorial Universidad de Granada, 2011, pp. 32-34. In generale, per le tipologie di spazi aperti coltivati in Al-Andalus, si rimanda ad un approfondimento dello stesso autore sulla terminologia in J.T. Rojo, M. Casares Porcel, El jardin hispano-musulmán, cit., pp. 69-74.  L. Albertini, Agricultures Méditerranéennes, cit., pp. 83-84  J.P. Le Dantec, Jardins et paysages. Textes critiques de l’antiquité à nos jours, Paris, Larousse, 1996, pp. 27-31.


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pratiche produttive dell’agricoltura a quelle artificiosamente adoperate per sviluppare gli aspetti estetici delle piantagioni. Pubblicato nella prima traduzione spagnola, curata da Josef Banqueri nel 1802, trova nuova fortuna nella Francia del Secondo Impero, tradotto da Jean-Jacques Clément Mullet (1864) rispondendo al rinnovato interesse per l’agricoltura del Nord Africa e del Maghreb sollecitato dai propositi coloniali francesi. Mohammed El Faïz, che ha curato l’edizione francese per Actes Sud, sottolinea l’importanza dell’Aljarafe come “jardin d’essai”, evidenziando il ruolo di Ibn al-‘Awwâm che, per divulgare le tecniche agronomiche e la coltivazione delle specie vegetali, le sperimenta e le verifica in questo «spazio aperto dove agronomi, contadini empirici e curiosi, testano le proprie conoscenze agricole, si osservano, si criticano e si influenzano vicendevolmente». Dal punto di vista sperimentale, gli apporti di Ibn al-‘Awwâm sono notevoli per quel che riguarda i metodi colturali degli alberi da frutto, delle vigne, delle piante industriali, dei cereali, delle leguminose e di numerose piante orticole. Altre sperimentazioni vengono effettuate dall’agronomo andaluso sull’acclimatazione di nuove specie (aranci, melograni, banani, palme da dattero – per quanto riguarda la fecondazione artificiale –, riso, canna da zucchero, cotone, henné), sulle tecniche di irrigazione, sulla preparazione e l’utilizzo dei concimi e dei compost. Per quanto riguarda l’impostazione generale e l’organizzazione degli argomenti, il trattato di Ibn al-‘Awwâm, con la sua organica e articolata complessità, costituisce un modello importante non soltanto per l’ambito islamico e andaluso, ma, in generale, per tutti i trattati che riguardano l’ambito dell’arte di coltivare. Alcuni topoi, come ad esempio il terreno (valutazione organolettica, riconoscimento, classificazione, miglioramento) l’acqua (le diverse tipologie, la captazione, le pratiche irrigue), la scelta del luogo e la coltivazione delle diverse specie saranno riscontra

Cfr. J.T. Rojo, Caracteristicas de los jardines Andalusíes, cit., p. 36. Ibn al-‘Awwâm, Le livre de l’agriculture, cit., pp. 24-25 (dall’Introduzione), trad. a cura dell’autrice.  L. Albertini, Agricultures Méditerranéennes, cit., p. 84. 


1. Agostino del Riccio, Del giardino di un Re, elenco di specie per il «giardino de’ fiori», in Id., Agricoltura Sperimentale, manoscritto conservato presso la Biblioteca Biomedica di Careggi, ms. R.210.II (su concessione dell’Università degli Studi di Firenze)


selvatico e domestico. agostino del riccio, del giardino di un re Tessa Matteini Il Re prudente che vuol far [...] un suntuoso e bel giardino, in prima deve eleggere un sito buono e in costa, ove sia perfetta aria; secondario, vi sia gran copia d’acque cristalline; terzo, il sito sia a mezzodì; quarto, la terra sia buona et atta a produrre ogni bene; quinto la benigna et suave aria che vi sia naturalmente amena. Agostino del Riccio, Del giardino di un Re, Firenze 1595-1598

La seconda metà del Cinquecento è un momento essenziale per lo sviluppo dell’arte dei giardini nel centro Italia, che diviene un laboratorio riconosciuto per la definizione di modelli concettuali, figurativi e paesaggistici che saranno in seguito importati in tutte le corti europee. Il XVI secolo vede le realizzazioni dei giardini medicei “di villa”, a Castello e Petraia (dal 1538), l’inizio della creazione di Boboli a opera del Tribolo (1549), i lunghi lavori per il parco d’acque di Pratolino (dal 1569) e per il “Sacro Bosco” di Vicino Orsini a Bomarzo (1552), così come per il giardino del cardinal Gambara a Bagnaia, costruito da Tommaso Ghinucci a partire dal 1568 e quello di Tivoli, disegnato da Pirro Ligorio per Ippolito d’Este (1560-1572). Vengono così a definirsi e a strutturarsi, attraverso questi luoghi emblematici e celebrati negli anni seguenti da viaggiatori, letterati e filosofi, le concezioni portanti degli spazi formali del Domestico (con le collezioni di fiori, agrumi e di frutti

 Dal trattato di A. del Riccio, Agricoltura Sperimentale, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Targioni, 56, vol. III, c. 42v-93r, pubblicato integralmente a cura di D. Heikamp, in Il giardino storico italiano. Problemi di indagine. Fonti letterarie e storiche, Atti del convegno (Siena - S. Quirico d’Orcia, ottobre 1978), a cura di G. Ragionieri, Firenze, Olshki, 1981, p. 63.  G. Galletti, T. Matteini, Tra Rinascimento e Maniera: il giardino del Cinquecento, in C. Acidini, M. Azzi Visentini et al., Giardini. L’arte del verde attraverso i secoli, Firenze, Giunti, 2005, pp. 36-71.


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tessa matteini

nani) e di quelli boscosi del Selvatico che, nelle loro diverse declinazioni, hanno attraversato la storia dei giardini sin dalle origini, in una continua e complessa alternanza tra Sauvage e Régulier . Troviamo una descrizione concreta e minuziosa di queste realizzazioni e delle pratiche giardiniere che le hanno rese possibili in un trattato steso negli ultimi anni del Cinquecento da un erudito specialista della corte medicea, Agostino del Riccio. La voce “del Giardino di un Re” è contenuta nel compendio enciclopedico manoscritto della Agricultura sperimentale e costituisce una preziosa testimonianza sugli strumenti, i componenti e i processi di gestione attraverso i quali venivano coltivati i giardini nello scorcio del XVI secolo, essenziali per la definizione di categorie che diverranno fondanti e condivise a livello europeo. Detlef Heikamp sottolinea l’importanza del testo, che costituisce «una fonte di prim’ordine per la nomenclatura volgare delle piante in uso nella Toscana del Cinquecento» e una «notevole testimonianza sulle piante esotiche, di cui spesso il Riccio attesta la recente importazione», oltre che per le «tecniche di giardinaggio». Hervé Brunon evidenzia il contrasto tra l’articolazione apparentemente metodica della Agricoltura sperimentale che «sembra rispondere [...] alle esigenze del moderno spirito enciclopedico» e la presenza di continue digressioni, che trasfor-

 Il toponimo viene adoperato prevalentemente nelle regioni centrali del paese, a partire dal Quattrocento, ma le sue origini sono medioevali, come rileva Galletti, a proposito di un passaggio specifico del De Ruralium commodorum di Pietro De Crescenzi (1305). G. Galletti, Un itinerario fra i maggiori giardini medicei, in Giardini regali. Fascino e immagini del verde nelle grandi dinastie: dai Medici agli Asburgo, a cura di M. Amari, Milano, Electa, 1998, p. 57 e nota 26, p. 67.  L’espressione è presa in prestito da J.P. Le Dantec, Le sauvage e le régulier. Art des jardins et paysagisme en France au XX siècle, Paris, Le Moniteur, 2002, pp. 12-13.  Riportato anche da M. Azzi Visentini. A. del Riccio, “Del giardino di un Re”, in M. Azzi Visentini, L’arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal XIV al XIX secolo, Milano, Edizioni Il Polifilo, 1999, pp. 420 ss.  Oltre alle due versioni presenti in BNCF, una edizione del manoscritto è conservato anche nella Biblioteca Biomedica di Careggi, Università di Firenze, ms. R.210. II e un’altra presso la Biblioteca Estense di Modena, ms. It. 400. H3-5, vol. II.  Heikamp in Il giardino storico italiano, cit., p. 60.


agostino del riccio, del giardino di un re



mano «l’inventario scientifico [...] in una sorta di memoria personale» ricca di preziose informazioni. L’autore è un frate domenicano che, nella seconda metà del XVI secolo, visse nel Convento di San Marco a Firenze, poi nel Santuario della Madonna della Quercia tra Bagnaia e Viterbo ed infine, negli ultimi anni della vita, rientrò presso il Convento fiorentino di Santa Maria Novella, dove, grazie alle sue conoscenze orticolturali, fu preposto alla cura dei terreni di proprietà dei frati. Nella voce dedicata al giardino regale, del Riccio disegna un ideale locus amoenus, basandosi però sulla conoscenza diretta dei giardini medicei di ambito fiorentino (in particolare Castello, Boboli, il Giardino dei Semplici e Pratolino), e dei giardini laziali, apprezzati negli anni del suo soggiorno al Convento della Quercia, da dove ebbe la possibilità di visitare, oltre alla vicina Villa Lante, anche Caprarola, Tivoli e il giardino del cardinale d’Este al Quirinale. Nelle sue composite e articolate descrizioni, Agostino si ispira ai giardini che ha realmente visitato e di cui spesso conosce committenti e autori, sviluppandone però una dimensione ideale e immaginifica che contrasta con la minuziosa e prosaica descrizione dei componenti dei giardini stessi, spesso compilati in lunghi elenchi che riportano alla concretezza di materiali e specie botaniche. Questa attitudine, così come la forma stessa del trattato, organizzato per voci disposte in ordine alfabetico, rimanda evidentemente al tema del sapere enciclopedico e degli Alfabeti, che conoscono particolare fortuna nella stagione del giardino formale e manieristico del tardo Cinquecento.

 H. Brunon, L’Orizzonte enciclopedico: la catalogazione del sapere nel ‘Giardino di Memoria’ di Agostino del Riccio, in Il giardino e la memoria del mondo, a cura di G. Baldan Zenoni Politeo, A. Pietrogrande, Firenze, Olschki, 2002, pp. 59-75.  Come nel caso di Tommaso Francini e Ventura da Bagnarea costruttori degli automi di Pratolino e del granduca Francesco I che, grazie al Buontalenti, ne rese possibile la costruzione.  A. del Riccio, Agricoltura Sperimentale, cit., p. 61; H. Brunon, L’Orizzonte enciclopedico, cit., pp. 59-75.


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tessa matteini

2. Giusto Utens, Belveder con Pitti, lunetta raffigurante il giardino di Boboli, 1599-1602, Firenze, Villa Petraia


agostino del riccio, del giardino di un re

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PARTE SECONDA | PRATICHE DAL GIARDINO AL PAESAGGIO



LA MISURA DEL FARE



rivoltare la terra Luigi Latini

La creta, sotto, era più scura perché più fresca; e le zolle rovesciate, dove erano state tagliate dal ferro del vomere, lustravano [...]. La terra lavorata era violacea e grigia: nel grembo della valle, fino alla Tressa, quasi verde. Poi, salendo e allontanandosi, si inazzurrava sempre di più; a strisce; [...]. L’azzurro brillava; i poggi e i cocuzzoli di argilla, un poco glauchi e un poco cinerei, abbaglianti, s’ammucchiavano sempre più alti e chiusi, verso Siena; tutta rossa; fatta con i mattoni di quell’argilla cotta.

Lo sguardo pungente di Federigo Tozzi rivolto alla sua terra, Siena, ci aiuta a trovare un filo conduttore che scorre onestamente tra i gesti elementari che accompagnano il lavoro dei campi, o del giardino, e l’intero ambiente nel quale questo lavoro genera un paesaggio incessantemente segnato dall’esperienza umana. Il rimando alla terra dissodata e ai suoi differenti destini è immediato: dopo il taglio del vomere, o della vanga, la zolla, appena rovesciata, rivela “lustrando” la propria natura argillosa; si offre al lavoro dell’agricoltore, ma segnala anche altri legami, altre economie. Per esempio, quella dell’argilla, che dopo la cottura diventerà un mattone, un catino o una casa, persino un’intera città: «tutta rossa», come Siena, o San Miniato, che più a Nord, alla fine della Val d’Elsa, con le sue argille e i suoi bancali di tufo si mostra con le medesime gradazioni cromatiche, dai campi dissodati sino agli

 F. Tozzi, Il podere (1921), in Opere. Romanzi, Prose, Novelle, Saggi, a cura di M. Marchi, Milano, Mondadori, 1987, pp. 343, 395, 397 (ed. or. Milano, Treves, 1921).


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luigi latini

edifici che poggiano su quella stessa struttura geologica dalla quale la loro materia ha avuto origine. Certo, il salto da un paesaggio toscano a un giardino coltivato alle porte di Praga può apparire avventuroso e insensato, ma questo pensiero sul terreno dissodato e il taglio di una zolla può trovare delle analogie, per esempio, tra lo sguardo di Tozzi e ciò si agita nella mente dello scrittore Karel Cˇapek, quando si trova alle prese con il suo giardino . Gli studi e i trattati di agronomia non mancano di offrirci raccomandazioni e notizie su questo fronte, ne faremo cenno più avanti; ma, intanto, risulta interessante costruire uno sguardo incrociato su coloro che cercano un punto di contatto tra la scrittura e la cura del proprio giardino; si alzano sovente dal proprio tavolo per calarsi nella realtà di un lavoro diverso, pratico, ma complementare a quello letterario: scrivono e coltivano, benedicono e maledicono un terreno appena dissodato, ne raccolgono i frutti. Rudolf Borchardt, «giardiniere appassionato» è tra questi, e non usa parole compiaciute quando, nel suo resoconto «da un giardino del Sud», si rivolge ai connazionali meditando sulla durezza del paesaggio meridionale e del lavoro che svolge nel proprio giardino in Toscana «situato sul pendio del monte rivolto a mezzogiorno [dove] il terreno da coltura non è profondo e posa asciuttissimo sulla sua ossatura di

 Riguardo alla città toscana di San Miniato e il suo paesaggio, si rimanda, nell’ordine cronologico, a tre opere diverse: i Saggi di agricoltura di un paroco samminatese del 1775, edito in facsimile con il titolo I saggi di agricoltura di Giovan Batista Landeschi, Pisa, Edizioni ets, 1998; F. Pardi, L’Appennino sommerso. L’interpretazione geologica delle colline, in Paesaggi delle colline toscane, a cura di C. Greppi, Venezia, Marsilio, 1991; San Miniato forma urbis. Le piazze e il paesaggio di una città di collina, cura di L. Latini, Pisa, Pacini Editore, 2012.  K. C ˇapek, L’anno del giardiniere, a cura di D. Galdo, Palermo, Sellerio, 2008 (tit. orig. Zahradniku° v rok, 1929)  Vale la pena ricordare per questo Petrarca e la sua attitudine alla cura dei propri giardini. Mi limito a citare per questo aspetto il testo di N. Mann, Dall’orto al paesaggio: Petrarca tra filologia e natura, in Petrarca e i suoi luoghi. Spazi reali e spazi poetici alle origini del moderno senso della natura, a cura di D. Luciani, M. Mosser, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2009, pp. 57-70.


rivoltare la terra



schisti recenti». Come Borchardt nel suo più corposo lavoro, anche lo scrittore Cˇapek dedica una breve e vibrante riflessione alla preparazione del terreno, segnalando la durezza delle operazioni preparatorie, da lui stesso sperimentate: [...] un’argilla cattiva, intrattabile, collosa e buona per fare stufe, viscida come un serpente e secca come un mattone, impenetrabile come latta e pesante come piombo. E poi rompila con il piccone, spaccala con la vanga, frantumala con il martello, rivoltala e lavorala. Bestemmiando e lamentandoti a gran voce. Allora capirai che cosa siano l’ostilità e la caparbietà della materia inanimata e sterile [...]. E poi saprai che al terreno devi dare di più di quanto prendi da esso; devi corroderlo e saturarlo di calce, e scaldarlo con il letame tiepido, spolverizzarlo con leggerezza di cenere e abbeverarlo di aria e di sole. Allora l’argilla agglomerata comincerà a disgregarsi e sbriciolarsi, come se, a poco a poco, respirasse; cede sotto la vanga sofficemente con evidente compiacenza; nel palmo è tiepida e arrendevole; è domata.

Nel 1938 Rudolf Borchardt chiude il suo libro dal titolo Il giardiniere appassionato con il capitolo “Seminare, piantare, vangare, nutrire”, seguito dal catalogo delle piante. Il vangare non è qui presentato come semplice operazione preliminare, ma entra in gioco, ed è ben spiegato, con ogni altro passaggio o conoscenza che riguarda il miglioramento del terreno: “nutrire”, dunque, è un occupazione indirizzata innanzitutto al miglioramento della terra: «Il giardino non comincia col fiore. Infatti, prima di pensare ai fiori, si deve, nel vero senso della parola “fare la terra” perché essa, in nessun luogo si trova già pronta». Di fronte a questo aspetto, lo sguardo dell’autore tedesco risulta appassionato quanto quello di Cˇapek, ma si esplicita in

 R. Borchardt, Da un giardino del Sud, in Id., Città italiane, Milano, Adelphi, 1989, p. 71 (prima edizione Aus einem südlichen Garten, «Münchner Neueste Nachrichten», 24 novembre 1927). Dello stesso autore, Il giardiniere appassionato, Milano, Adelphi, 1992 (scritto nel 1938, pubblicato parzialmente nel 1951 e poi, in edizione completa, a Stoccarda nel 1968 con il titolo Der leidenschaftliche Gärtner).  K. Cˇapek, L’anno del giardiniere, cit., pp. 148-149.  R. Borchardt, Il giardiniere appassionato, cit., p. 182.


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luigi latini

1. San Miniato, piccola città del Valdarno Superiore costruita su un crinale collinare originato da terre emerse dalla regressione del mare pliocenico verso l’attuale linea di costa tirrenica. La fotografia documenta la forma della collina interamente coltivata sino agli anni sessanta del XX secolo. Si possono vedere le ripide pendici della collina trasformate in un sistema di terrazzamenti che permettono di controllare i fenomeni erosivi e coltivare un terreno che, in questo caso, gode di una felice esposizione a mezzogiorno. La manutenzione delle fosse di scolo delle acque e dei ciglioni, tenuti saldi con il rivestimento in “pellicce” e zolle erbose, consentiva la lavorazione delle strisce che, nella stagione asciutta invernale, venivano vangate, rivoltando un terreno che presenta una natura sia argillosa, sia sabbiosa originata da depositi marini e lacustri (Archivio Gallerini, San Miniato)


rivoltare la terra

2. Terrazzamenti esposti a nord, appena vangati alla fine dell’inverno. Le foto che seguono si riferiscono ai lavori eseguiti dall’autore nel proprio orto a San Miniato in Toscana (foto Luigi Latini) 3. Due tipi di vanga, a punta e quadrata (da G. Cappi, I giardini in città ed in campagna, ovvero l’arte di educare i fiori, Milano, Bietti, 1897, p. 118)




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luigi latini

4. Vangatura di una striscia di terreno e pulizia del piede dei ciglioni 5. Primi frutti: frammenti di vasellame antico e moderno, conchiglie fossili emersi dal dissodamento del terreno (foto Luigi Latini)


rivoltare la terra

6. Lavori nell’orto: avvio dell’incannatura e prime piantagioni sul terreno zappato 7. Hortus est: ortaggi in piena maturazione nella striscia di terreno lavorata (foto Luigi Latini)





osservare il tempo Jean-Luc Brisson

Il giardino è il tempo che passa sotto il tempo che fa. L’evaporazione motrice è all’origine di questa visione di giardino. Si tratta di un processo che permette di produrre movimenti molto lenti, di spostare masse grandi quanto si voglia a una velocità prossima a quella della crescita delle piante. È sufficiente considerare come l’acqua contenuta in un recipiente appoggiato sull’estremità di un braccio di leva in funzione di contrappeso evapori a contatto dell’aria, per cui il contrappeso si alleggerisce. La diminuzione della massa d’acqua provoca un moto verso l’alto che non si interrompe mai, basta che il recipiente venga lasciato appena appena esposto alle precipitazioni, potendo così nuovamente riempirsi. Il movimento verso l’alto, non percepibile a occhio nudo, non può essere avvertito se non ritornando, dopo qualche tempo, a verificare che “si è mosso”, così come ci accorgiamo che “è fiorito, che l’erba è cresciuta, che questo o quella sono invecchiati”. Questo movimento può essere tradotto, grazie agli strumenti della meccanica classica, in rotazioni, traslazioni continue o discontinue che è sempre possibile decelerare o accelerare e gestire operando sulla superficie esposta all’aria e su quella esposta alle precipitazioni atmosferiche. Il blocco completo del mo-

Jean-Luc Brisson, École Nationale Supérieure de Paysage, Versailles Marseille. Questo scritto proviene dalla comunicazione che l’autore ha messo a disposizione in occasione della sua partecipazione al convegno “Progetto di paesaggio, coltivazione dei luoghi” (Iuav, Venezia, 11-12 dicembre 2014). 

Jean-Luc Brisson, L’évaporation motrice®, Paris, Actes Sud, 1999.


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jean-luc brisson

vimento può essere ottenuto spostando il dispositivo all’ombra oppure apponendo un coperchio sul “recipiente motore”. All’inizio ho sviluppato l’evaporazione motrice per poterla applicare all’attività artistica di fabbricazione di automi. Questo processo mi permette di simulare i movimenti degli esseri viventi senza apporto di energia artificiale, solo esponendo degli oggetti, fra loro interconnessi, alla variabilità metereologica. Il loro aspetto esteriore dipende dalle condizioni climatiche, dalle stagioni, dall’alternanza dei giorni e delle notti. Questi automi reagiscono come esseri viventi in funzione dell’ambiente in cui si trovano, cosa che identifica come minimo le condizioni di un’ecologia primaria. L’evaporazione motrice si è in seguito materializzata nella creazione di giardini, affrancandosi dalla fabbricazione di oggetti. La presa di coscienza dei movimenti dell’evaporazione motrice presuppone, infatti, la frequentazione del luogo dove il dispositivo viene collocato, esattamente come accade per un giardino. Un giardino non esiste se non quando il giardiniere vi ritorna regolarmente. Esiste da sempre per gli altri e con gli altri. Considerando la peculiarità dei movimenti prodotti dall’evaporazione motrice nel loro essere subordinati alle dinamiche climatiche, il dispositivo informa su pioggia e bel tempo, argomento ideale per iniziare una conversazione. L’evaporazione motrice sussiste, in questa definizione di giardino, quasi a modello. Il giardino è il tempo durante il passaggio del tempo Il giardino è il tempo che passa sotto il tempo Il giardino è il meteo Il giardino è il passare del tempo Il giardino è piccole e grandi cose e anche vita the garden is the time which passes under the weather the garden is the weather during the passing time the garden is the weather the garden is the time and some small and big things and life as well


osservare il tempo



Se «il tempo che passa sotto il tempo che fa» è una modalità di definire i giardini, è anche una definizione che ci permette di comprenderli, di pensarli e raccontarli in modo più immediato, considerando soprattutto i loro cambiamenti e il complesso dei loro dinamismi. Non può essere la notula professionale la prima delle nostre preoccupazioni, queste cose andrebbero considerate con minor apprensione, con maggiore libertà. Si tratta non tanto del “mio” giardino quanto di ciò che io osservo muoversi, e che eventualmente aiuto a muoversi in determinate direzioni. Questo permette anche di mettere da parte, per un momento, il complesso delle più o meno sofisticate tecniche del saper-fare, che non è certo conveniente in questa sede ignorare o denigrare. Semplicemente, senza lasciarsi intrappolare dai competenti del settore, chiunque può incominciare a fare giardinaggio: osservare e toccare le piante, mettere le mani nella terra. Il giardinaggio, in generale, è prima di tutto un’attenzione al luogo nella dimensione della durata temporale. Il giardino non sussiste in un unico colpo d’occhio, non si consuma come un oggetto, è un luogo che si frequenta, la frequentazione è una questione essenziale nella coltivazione del giardino. Nei giardini così concepiti la contemplazione è il primo atto del coltivarli, nel senso di lavoro iniziale e di gesto più importante. Se la contemplazione non è, a rigor di termini, un gesto, può essere allora definita un’attitudine e un’iniziativa equivalente a un’azione che differisce la trasformazione dei luoghi; un’inazione positiva che permette ai percettibili movimenti latenti di esprimersi, permanendo a lungo in un sito o, con ancora maggior certezza, ritornandovi successivamente. Vibra, in ogni singola particella della nostra Terra, un segreto divenire, un movimento in potenza che occorre sforzarsi di presagire e contemporaneamente conoscere. Per poterci riuscire non è necessario rimanere sempre nello stesso luogo. Pur con la dovuta calma, è soprattutto importante ritornarvi per verificare cambiamenti, evoluzioni, dalle meno percepibili alle maggiormente manifeste e sorprendenti. Ogni trasformazione va presa in considerazione, sia essa spontanea, prevedibile, accidentale o artificiale. Sia che appaiano un’orchidea rarissima, qualche erba


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jean-luc brisson

1-2. Le jardin d’Eva Pora 2000-2002, Sélestat (Bas-Rhin) (da J.-L. Brisson, La mort d’Héraclite, Paris, Les Editions de l’Imprimeur, 2002)


osservare il tempo

3-4. Jean-Luc Brisson, immagini tratte da Le jardin est du temps qui passe sous du temps qu’il fait, relazione presentata nell’ambito del Convegno “Progetto di paesaggio e coltivazione dei luoghi. Pratiche e saperi nel mondo mediterraneo” (Iuav, Venezia, 11 dicembre 2014)

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jean-luc brisson

5-7. Jean-Luc Brisson, immagini tratte da Le jardin est du temps qui passe sous du temps qu’il fait, relazione presentata nell’ambito del Convegno “Progetto di paesaggio e coltivazione dei luoghi. Pratiche e saperi nel mondo mediterraneo” (Iuav, Venezia, 11 dicembre 2014) 8. Le jardin d’Eva Pora 2000-2002, Sélestat (Bas-Rhin) (da J.-L. Brisson, La mort d’Héraclite, Paris, Les Editions de l’Imprimeur, 2002)


osservare il tempo





SETTE ESERCIZI DI COLTIVAZIONE



curare un vigneto: baver Roberto Netto, Simonetta Zanon

Il borgo di Baver e i suoi vigneti L’espressione rincurar o curar nei dialetti veneti è ricorrente ed è spesso legata a doppio filo con il coltivare la terra, l’intervenire sulle piante o sui loro frutti. Viene intesa come un’operazione minuta, ma di fondamentale importanza per lo svolgersi della stagione agraria o per l’esito del raccolto: parliamo della prima potatura della vite, che consiste nel levare le gemme superflue, propedeutica alla potatura vera e propria, oppure si riferisce alla conservazione dei prodotti agricoli, come lo sgranare i legumi o i cereali. È questo modo d’intendere, in merito al curare la nostra terra, che più ci è caro: una serie di azioni minute, si spera efficaci, azioni che, per quanto ci riguarda, si sono spesso scontrate con accadimenti più grandi, e forse, a prima vista, più importanti economicamente, e sui quali sembrava impossibile far valere una visione diversa. Il borgo Baver si trova nella parte nord-orientale del Veneto, nel comune di Godega di Sant’Urbano: è un piccolo gruppo di case che ormai accoglie poco meno di un centinaio di abitanti, la maggior parte anziani, dove le giovani famiglie si possono contare sulle dita una mano o poco più; proprio queste ultime fami-

Roberto Netto, Associazione Culturale Borgo Baver (Treviso), è autore della prima e seconda parte: Il borgo di Baver e i suoi vigneti; La cura delle viti oggi. Simonetta Zanon, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso, è autrice della terza parte: Un vigneto, luogo di valore.  G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini, 1856 (rist. anast. Venezia, Filippi, 1973).




roberto netto, simonetta zanon

glie, quasi tutte, fanno parte, collaborano o sono legate in qualche modo all’Associazione Culturale Borgo Baver. Nella primavera del 2007 la partecipazione al primo bando Luoghi di valore è stata l’occasione per cercare di descrivere il borgo Baver, ma soprattutto è stata l’occasione per indagare cosa il borgo rappresentasse per noi. Da qui sono nate due segnalazioni: Baver. Antico borgo tra storia e campagna trevigiana e Antichi filari. Originari vitigni tra aceri campestri, gelsi e olmi nei pressi dell’antico borgo di Baver, sottoscritte da due di noi, ma in realtà prodotte con un lavoro a più mani. Poche settimane dopo, nel mese di luglio, sulla spinta anche dei temi emersi nell’incontro pubblico dei segnalatori, svolto il 21 giugno presso la Fondazione Benetton, nasce l’idea dell’Associazione Culturale Borgo Baver, creata da cinque persone nate e cresciute nel borgo, con lo scopo di concorrere alla difesa, promozione e valorizzazione delle opere di interesse artistico e storico presenti nel borgo Baver, in particolare la chiesa di San Biagio e la villa veneta Palazzo Marinotti, [...] concorrere alla difesa e alla valorizzazione del territorio nei suoi aspetti naturalistici e nella sua biodiversità, anche con riferimento agli aspetti alimentari e ambientali.

Un aspetto curioso che accomunava i soci fondatori, era quello di non essere proprietari di alcuno dei beni materiali di cui ci si proponeva la tutela, beni che erano e continuano ad essere considerati come un vissuto comune, come una parte imprescindibile della nostra identità e quindi meritevoli di essere tutelati e soprattutto di essere trasmessi nel modo migliore alle generazioni future, come d’altra parte avevano fatto quelli vissuti prima di noi. L’antico vigneto di Baver è un vero e proprio museo vivente della antica viticoltura veneta; si tratta del Zhercol, Talpon e Talponet, tre appezzamenti contigui di terreno della superficie di circa due ettari, così denominati già nel catasto napoleonico di

 Cfr. Luoghi di valore/Outstanding Places, a cura di S. Zanon, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche - Antiga, 2016.  Estratto dallo statuto dell’Associazione Culturale Borgo Baver, luglio 2007 (www.baver.it).


curare un vigneto: baver



inizio Ottocento. Vi si trova uno degli ultimi esempi di coltivazione di vite maritata, una tecnica antica: la piantata padana nella sua declinazione veneta e trevigiana, ancora perfettamente conservata. Viti centenarie, di varietà antiche come Verdiso, Clinto, Bianchetta, Riesling e altre ancora, sono sostenute da imponenti gelsi, aceri campestri e olmi. Se ancor oggi è possibile avere un’idea di come in passato fossero organizzati i nostri campi, lo si deve a un contadino di Baver che ha curato questo vigneto con passione per oltre cinquant’anni, prima a mezzadria e poi in affitto, senza cedere alla tentazione di sradicare le viti e le siepi per avere dei vigneti con meno richieste di manodopera e più resa; da qualche anno il testimone è passato al figlio. Quest’ambito di territorio è l’ultimo residuo, nella sua più antica forma di conduzione, dell’area agricola di pertinenza del borgo Baver. La presenza delle paludi a sud del borgo (i palù) impediva sostanzialmente la viticoltura, mentre a nord, l’area del Campardo (campus aridus) ha un toponimo già significativo della sua aridità. I palù e il Campardo rappresentavano, fino al XVII secolo, zone di beni comunali, in contrapposizione quindi con i beni privati, più prossimi ai centri abitati come il borgo Baver. Nella zona in questione, che sorge a cavallo della linea delle risorgive, fin dal medioevo si è sviluppata l’attività agricola più

 E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari, Laterza, 1961; T. Tempesta, Introduzione allo studio del paesaggio agrario del Veneto, «Veneto Agricoltura», supplemento al n. 5, aprile 1989.  G. Agostinetti, Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa, (1679), a cura di U. Bernardi e E. Dematté, Vicenza, Neri Pozza, 1998, ricordi XI, XIX, XXIV, XXXIX, XL, XLII, XLIII, XLVI, XLVII, LIX, LXXXI, XC; A. Vianello, A. Carpenè, La vite ed il vino nella provincia di Treviso, Roma, Loescher, 1874 (rist. anast., s.l., De Bastiani, 2002).  M. Soldati, Vino al vino. Alla ricerca dei vini genuini, Milano, Mondadori, 1977, ristampa negli Oscar Mondadori 2014, pp. 273-276.  M. Tenore, Viaggio per diverse parti d’Italia, Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania, Milano, Lorenzo Sonzogno, 1832, p. 122. L’autore, in viaggio per diverse parti d’Italia percorre, il 4 novembre 1824, la strada Napoleonica che da Sacile porta a Conegliano, descrivendo il paesaggio che le fa da cornice.  N. Breda, Palù. Inquieti paesaggi tra natura e cultura, Verona-Treviso, Cierre Edizioni - Canova, 2001, pp. 154-174.




ilaria rossi doria

1. Il giardino di Ninfa, Cisterna di Latina, nel 1922 visto dall’alto verso la pianura pontina. Sulla sinistra, in primo piano, il fiume Ninfa e, all’orizzonte, prima della piana, il tracciato delle mura di cinta, insieme al resto dei ruderi, denudati dalla vegetazione spontanea in seguito alle operazioni di pulizia della vegetazione e non ancora ricoperti dalla vegetazione ornamentale del giardino. Si notano anche le prime piantagioni di alberi (Ninfa, Archivio Lauro Marchetti, 1922)


coltivare le rovine: ninfa

2 a-f. Consolidamento delle malte coperte da licheni (degrado a bassa pericolositĂ per i materiali da costruzione e alto valore paesaggistico-coloristico), complessa procedura secondo la tecnica della riadesione degli intonaci

ďœąďœšďœš




ilaria rossi doria

3 a-f. Alcune piante erbacee spontanee compatibili con la conservazione (Centranthus ruber, Cymbalaria muralis, Calystegia sepium, Vicia villosa, Anthirrinum majus, Sedum)

Nella pagina di destra Tabella propedeutica alla stesura del Piano di Manutenzione - Progetto Esecutivo. Interventi per il controllo del danno biologico preliminari al restauro in funzione di classi di pericolosità. In evidenza la stretta relazione tra tipologie di intervento e tipologie di vegetazione in rapporto ai ruderi


coltivare le rovine: ninfa

TIPOLOGIE DI ALTERAZIONI DI ORIGINE BIOLOGICA

piante arboree in prossimità di mura, appoggiate o con effetto di ombreggiamento

PERICOLOSITÀ

MEDIA

piante a portamento arbustivo e/o arboreo sulla muratura / sulle sommità (A1) grandi ceppaie alla base della muratura (A2-A3)

ALTA**

piante arboree o arbustive e ceppaie giovani sopra e alla base della muratura piante rampicanti e radici sul muro e/o in prossimità del muro

MEDIO ALTA**

a. piante arboree e arbustive sul muro b. ceppaie vitali sul muro c. ceppaie non vitali in prossimità del muro d. piante a portamento arbustivo e/o arboreo in prossimità del muro e. piante rampicanti lianose sul muro e/o in prossimità del muro piante rampicanti lianose secche tallofite (patine algali, muschi e licheni) presenza ubiquitaria di piante erbacee annuali e perenni plantule

MEDIA BASSA

Bioindicatori*** MEDIO-BASSA POTENZIALE AZIONE FISICO CHIMICA MECCANICA



TIPO DI INTERVENTO

(B1) potatura di ridimensionamento (B2) rimozione del materiale (A1) taglio e trattamento con erbicida* delle piante, rimozione della biomassa vegetale morta, consolidamento e sigillatura ove necessario (A2) taglio e trattamento con erbicida* dei polloni su ceppaie vitali, su muratura o nei pressi (A3) rimozione delle ceppaie non vitali sulla muratura

taglio e trattamento con erbicida*, rimozione della biomassa vegetale devitalizzata, consolidamento ove necessario e sigillatura trattamento con erbicida *, rimozione della biomassa vegetale devitalizzata, consolidamento ove necessario e sigillatura rimozione della biomassa vegetale non vitale, consolidamento ove necessario e sigillatura taglio, diserbo manuale e chimico, rimozione della biomassa vegetale non vitale, consolidamento ove necessario e sigillatura taglio alla base, diserbo chimico (eventuale), rimozione manuale con esclusione delle piante del giardino rimozione manuale trattamento con biocida* dove necessario (solo sulla superficie da restaurare) trattamento con erbicida* (finalizzato al restauro) e successiva selezione delle specie annuali) trattamento con erbicida* (da monitorare in fase di manutenzione)

* In contesti di area protetta è opportuno sempre contenere l’uso di prodotti erbicidi e biocidi. A Ninfa, città allo stato di rudere e giardino, limitare l’uso degli erbicidi ai casi in cui la crescita di piante lianose, arbustive e arboree può essere causa di danno statico strutturale per il costruito, oltre che di perdita della leggibilità. Applicare i prodotti erbicidi e biocidi con attenzione in modo circoscritto, direttamente sulle parti interessate da sviluppo di organismi biologici in modo da contenere la dispersione dell’erbicida nell’ambiente e ottimizzare l’efficacia di devitalizzazione. (Applicazione a pennello, circoscritta al taglio – circa 30 cm dalla base, sulla superficie periferica - alburno. Nel caso di patine algali o fungine utilizzare disinfettanti, applicati per nebulizzazione sulle superfici interessate da tali crescite). Dopo aver verificato l’avvenuta devitalizzazione si potrà rimuovere la pianta e smaltire tali resti vegetali in modo adeguato – rifiuti speciali. ** Valutazione caso per caso. Le piante possono anche avere un ruolo positivo in relazione alle strutture storiche (per esempio strutturale – quando sono parte integrante della muratura –, oppure, nel caso del Giardino di Ninfa, possono rappresentare una barriera protettiva dai venti. Si sottolinea per questo l’importanza di una visione interdisciplinare) *** Indicatori di condizioni di umidità, ombreggiamento o soleggiamento, possibili cause di degrado.


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ilaria rossi doria

4. Il connubio tra vegetazione e ruderi: la porta di San Salvatore nei pressi della chiesa omonima ritratta nel maggio 2006 in piena fioritura del Centranthus e di altre erbacee (foto Ilaria Rossi Doria)


coltivare le rovine: ninfa

5. Ninfa, Cisterna di Latina. Le coltivazioni di erbacee alla base delle mura (foto Tessa Matteini, 2011)

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causa dell’uso massiccio dei diserbanti selettivi la moda del “prato all’inglese” finì per trasformare ettari ed ettari di giardini domestici in inquietanti deserti biologici. Una guida al giardinaggio degli anni Ottanta denuncia che tra i ciuffi d’erba il fronte della modernizzazione dell’industria chimica ha incontrato le sue battute d’arresto. Si crede che la scienza moderna abbia trovato tutte le soluzioni chimiche per ogni problema e, di certo, il diserbante selettivo, capace di colpire solo certe specie di malerbe, è diventato d’uso comune tra i giardinieri. La scienza ha molta strada da percorrere e mettere a punto un diserbante capace di distinguere fra due specie affini è uno dei problemi che non è ancora riuscita a risolvere [...] Non c’è al momento soluzione migliore della rimozione fisica per l’Holcus lanatus e le altre malerbe.

Microcosmi e giardini in zolla Un prato, verde o fiorito, coltivato o spontaneo, contiene molti piccoli mondi che è possibile scoprire osservando una zolla molto da vicino: l’attenzione al piccolo può aprire a chiunque un affaccio sull’altrove. Nel celebre acquarello di Albrecht Dürer Das große Rasenstück, datato 1503, un frammento di natura naturale viene osservato attraverso la lente dell’artista che, come ha notato Monique Mosser, pare conferire a ciuffi d’erba, radichette e piantine valore monumentale. Questa zolla di terra, in cui possiamo riconoscere denti di leone, salvastrella, achillea e molte altre piante, acquista totale legittimazione artistica. Improvvisamente trasformato da ciuffo d’erba in giardino, in boschetto, in bosco, un macrocosmo è evocato attraverso questo microcosmo.

A ogni cambio di scala di lettura, un prato rivela di essere molto più di una generica “area verde”. Ogni prato è uno spazio poetico. 

S. Buczacki, Il giardino su misura, Milano, Mondadori, 1985, p. 105. M. Mosser, The Saga of grass: From the Heavenly Carpet to Fallow Fields, in G. Teyssot, The American Lawn, New York, Princeton Architectural Press, 1999, p. 46. Traduzione dall’inglese di Anna Lambertini. 


disegnare un giardino di fiori: la villa medicea della petraia Giorgio Galletti

Fra gli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in seguito agli studi di Georgina Masson, Elisabeth Blair McDougall, Lucia Tongiorgi Tomasi e di Adra Segre, tanto per citare i nomi più rilevanti, si andò affermando la certezza dell’uso dei fiori nei giardini italiani del pieno rinascimento e dell’età barocca. Veniva così sfatato lo stereotipo del giardino italiano come giardino composto di sempreverdi, stabilitosi ai primi del Novecento con gli scritti di Edith Wharton, con la Mostra del Giardino Italiano del 1931 e con il volume di Luigi Dami, Il giardino italiano. Né bisogna dimenticare la mostra “Floralia”

Giorgio Galletti, Università degli Studi di Firenze, Master in Paesaggistica, già Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze.  G. Masson, The Gardener’s Art in Early Florence, «Apollo», 81, 1965, pp. 314-319; Id., Italian Gardens, London, Thames and Hudson, 1961; Id., Italian Flower Collectors’ Gardens in Seventeenth Century Italy, in The Italian Garden, a cura di D.R. Coffin, Washington (DC), Dumbarton Oaks, 1972, pp. 63-60; L. Tongiorgi Tomasi, Arte e natura nel Giardino dei Semplici dalle origini alla fine dell’età medicea, in Giardino dei Semplici. L’orto botanico di Pisa dal xvi al xx secolo, a cura F. Garbari, L. Tongiorgi Tomasi, A. Tosi, Pisa, Pacini, 1991, pp. 115-212; A. Segre, Le retour de Flore. Naissance et évolution des jardins de fleurs de 1550 à 1650 in L’Empire de Flore, a cura di S. van Sprang, Bruxelles, Renaissance du Livre, 1996, pp. 174-193.  E. Wharton, Italian Gardens and their Villas, London-New York, John Lane-The Century Co., 1904.  Sulla mostra tenutasi in Palazzo Vecchio a Firenze si veda M. Cantelli, La mostra del giardino italiano a Palazzo Vecchio (1931), «Cahiers d’études italienness», 18, 2014, pp. 233-246.  L. Dami, Il giardino italiano, Milano, Bestetti e Tumminelli, 1924.


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curata da Marilena Mosco, dove venivano esposti quadri delle collezioni medicee raffiguranti composizioni floreali, ortaggi e frutta nelle opere di Bartolomeo Bimbi e di Andrea Scacciati, che non potevano essere soltanto di repertorio, ma ritratti di fioriture dal vero. Altre immagini della flora medicea giungono dalle tempere di Jacopo Ligozzi eseguite per Francesco I de’ Medici, dalle miniature di Giovanna Garzoni per Ferdinando II . Infine, la pubblicazione parziale del trattato di Agostino del Riccio da parte di Detlef Heikamp riportava dettagliate descrizioni di giardini di fiori nei giardini medicei dell’ultimo quarto del Cinquecento. L’evidenza del grande interesse nei confronti dei fiori nel rinascimento non soltanto fiorentino, ma in generale italiano, contrastava con le allora assai modeste condizioni dei giardini. A Boboli, nei giardini di Petraia e Castello, dove tracce di compartimenti precedenti alle trasformazioni in direzione paesaggistica erano ancora riconoscibili, la presenza floreale era pressoché inesistente, salvo sporadici cespugli di rose e di peonie erbacee. Prevaleva il disegno delle siepi di bosso, da ritenersi frutto di reimpianti tardo-ottocenteschi e dei primi del Novecento, come provano alcune fotografie storiche. Le aiuole sembravano avere soltanto il compito di organizzare le eccezionali collezioni di agrumi in vaso di Boboli e di Castello. Dopo il convegno “Boboli ’90”, dove la realtà storica dell’orticoltura rinascimentale veniva indiscutibilmente affermata, si iniziò, grazie all’entusia-

 M. Mosco, Floralia. Florilegio dalle collezioni fiorentine del Sei-Settecento, Firenze, Centro Di, 1988.  Nella ricca bibliografia su Jacopo Ligozzi rimandiamo soprattutto al catalogo della mostra Jacopo Ligozzi, a cura di A. Cecchi, L. Conigliello, M. Faietti, Livorno, Sillabe 2014.  Su Giovanna Garzoni si veda S. Meloni Truklja, Giovanna Garzoni: nature morte, Milano, Jandi Sapi, 2008. Per l’opera del Bimbi e dello Scacciati si veda Il giardino del granduca. Natura morta nelle collezioni medicee, a cura di M. Charini, Torino, Seat, 1997; Stravaganti e bizzarri: ortaggi e frutti dipinti da Bartolomeo Bimbi per i Medici, a cura di S. Casciu, C. Nepi, Firenze, Edifir, 2008.  D. Heikamp, Agostino del Riccio. Del giardino di un re, in Il giardino storico italiano. Problemi di indagine. Fonti letterarie e storiche, a cura di G. Ragionieri, Firenze, Olschki, 1981, pp. 59-123.  Sul tema dei fiori nell’ambito del convegno “Boboli ’90” si veda A. Ma-


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stica collaborazione di alcuni giardinieri dipendenti dall’allora Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, un lavoro di reintroduzione di fiori nei giardini medicei, della Petraia, di Boboli e di Castello. Nel caso della Petraia fondamentale fu la consulenza risalente al 1991 di Ada Segre. Cenni sul giardino di fiori fra Cinque e Seicento La Segre aveva individuato l’origine del giardino di fiori nell’Hortus Coronarius, spazio facente parte del giardino destinato alla coltivazione di frutti e di erbe aromatiche, che ha le sue origini nell’Hortus conclusus medievale. Nell’Hortus coronarius si coltivavano fiori destinati alla creazione di ghirlande, che potevano essere rose oppure garofani, pertanto aventi uno scopo prevalentemente ornamentale rispetto alle erbe destinate alla cucina o all’uso medicinale. Se in epoca tardomedievale si evince una commistione fra pomari, verzieri, giardini di semplici e di agrumi, nel corso del Cinquecento il giardino di fiori si distacca dall’Hortus Coronarius assumendo una sua ben precisa specificità. Al suo interno, infatti, si coltivavano e si custodivano fiori ritenuti al tempo esotici e quindi rarità che erano elemento di prestigio e avevano dunque anche un valore commerciale non indifferente, motivo per il quale i giardini di fiori erano protetti e accessibili a pochi. Nel caso di Boboli ricordo il grandioso giardino, che ebbe vita assai breve, di Cristina di Lorena adiacente al suo appartamento e ben visibile nella lunetta di Utens, caratterizzato da un complesso intarsio di aiuole geometriche. Analoga ripartizione di aiuole si ritrova nel giardino di raffigurato sempre dall’Utens nella lunetta della villa

iorino, M. Minelli, A.L. Monti, B. Negroni, A. Segre, L’uso dei bulbi da fiore nei giardini del Rinascimento, in Boboli ’90, a cura di C. Acidini Luchinat, E. Garbero Zorzi, Firenze, Edifir, 1991, pp. 277-289.  Contribuirono in particolar modo Andrea Bellandi per la Petraia e Poggio a Caiano, Paolo Galeotti per Castello, Ivo Matteuzzi per Boboli. Per le collezioni ottocentesche di Boboli fu particolarmente attivo Paolo Basetti.  Sul tema delle origini del giardino di fiori si veda A. Segre, Le retour de Flore, cit., pp. 174-193.


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1. Tulipa bononiensis (da Crispijn van de Passe il giovane, Hortus floridus, Arnheim, apud Ioannem Ianssonium, 1614)

giorgio galletti


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2. Il giardino dei fiori a Villa Petraia, Castello (Firenze) nel 2006, dopo i restauri 3. Fritillaria imperialis e Narcissus “Laurens Koster” alla Petraia (foto Giorgio Galletti)

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4. J. Ligozzi, Iride inglese (Iris susiana) e Giaggiolo orientale (Iris xyphium), 1577-1587 (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi)


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5. J. Ligozzi, Tulipa gesneriana, 1577-1587 (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi)

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6. Tulipa chrisanta in vaso alla Petraia 7. Tulipa gesneriana e anemoni alla Petraia (foto Giorgio Galletti)

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a riguardo: «Spartiti riquadrati di linee e cassette triangolari ornati e fermati da cordoni di marmo che servano per uso di fiori ornati da 60 Piante in Vasi di Agrumi diversi». Nonostante le modifiche ottocentesche il giardino di ponente rimane suddiviso nei due compatimenti delimitati da una piattabanda, memore di quella visibile nella lunetta dell’Utens, mentre il giardino di levante perde i connotati cinquecenteschi per accogliere due aiuole circolari, nelle quali erano state inserite voliere, come è visibile nel progetto di Ferdinando Lasinio del 1872. Il progetto di proporre un’esemplificazione di forme di piantagione e di fiori che richiamassero il giardino di fiori secentesco si concentrò nel giardino di ponente che aveva mantenuto le proporzioni e l’ortogonalità di quello visibile nell’Utens e nelle planimetrie settecentesche. Sulla base del trattato del Ferrari furono individuati sostanzialmente i metodi di piantagione: – uno schema di tipo quadrato o rettangolare con disposizioni a file equidistanti; – uno schema a quinconce, in cui si otteneva una maglia di piantagione su linee diagonali formata da una successione di triangoli, questo secondo metodo più adatto alle piattabande e perimetrali. Mentre le piattabande laterali furono trattate in modo analogo, con tripla fila e postarelle (zone più intensamente piantate), i compartimenti furono composti in modo leggermente diverso: quello maggiore a levante accolse nella ripartizione interna quattro quadrati suddivisi in nove quadrati minori delimitati da pianelle di cotto in modo da costituire areole dalle proporzioni vicine a quelle raffigurate dal Ferrari. All’interno di queste areole i bulbi furono disposti a quinconce, alterandoli a quadrati coperti da pacciamatura, calpestabili in modo da consentire l’osservazione ravvicinata. Lungo l’asse del compartimento maggiore delle due fasce interne furono disposti vasi interrati, secondo una pratica

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F. Chiostri, La Petraja. Villa e giardini, Firenze, Olschki, 1982, tav. XV. F. Lasinio, progetto per la sistemazione della zona di levante del piano della Petraia, in La villa e il giardino della Petraia a Firenze, cit., p. 177. 



bibliografia generale

I riferimenti bibliografici che seguono, presentati in quattro sezioni (teorie, pratiche, sul giardino mediterraneo, sul paesaggio archeologico), offrono in ordine cronologico un quadro di estrema sintesi delle numerose citazioni bibliografiche presentate nel volume a corredo dei singoli temi e contributi, e un richiamo alle diverse opere di carattere generale considerate come viatico nella costruzione di questo libro.

TEORIE

I. al-‘Awwâm, Le livre de l’agriculture, Kitâb al Filâha (ca XII sec.), ed. a cura di M. al-Faîz, Arles, Actes sud, 2000. F. Bacon, Come tenere un giardino (1625), Milano, Edizioni Henry Beyle, 2014. G.B. Ferrari, Flora overo cultura dei fiori, Roma, Pier Antonio Facciotti, 1638. A.-J. Dezallier d’Argenville, La Théorie et la pratique du jardinage, où l’on traite a fond des beaux jardins avec Les Pratiques de Géometrie nécessaires pour tracer sur le Terreins toutes sortes de figures et un traité d’hydraulique convenable aux jardins (Paris 1747, IV ed. rivista e corretta), a cura di S. Cartuyvels, Arles, Actes sud, 2003. T. Whately, Observations on modern gardening (1770), nella trad. francese di F. de Paule Latapie, L’Art de former les jardins modernes (1771), Saint Pierre de Salerne, Montfort editeur, 2005. C.C.L. Hirschfeld, Théorie der Gartenkunst, Théorie de l’Art de Jardins, Leipzig, Weidmann e Reich, 1779-1795. H. Walpole, Essai sur l’art des jardins modernes (1785), traduit en francais par M. Le Duc de Nivernois, Paris, Mercure de France, 2002.


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bibliografia generale

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Finito di stampare nel mese di luglio 2017 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso le Grafiche Callegaro di Peraga di Vigonza (Padova)




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