Palazzo Treves dei Bonfili e il suo giardino, di Martina Massaro

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OTTONOVECENTO A PADOVA

profili, ambienti, istituzioni

collana diretta da Mario Isnenghi 15



PALAZZO TREVES DEI BONFILI E IL SUO GIARDINO Martina Massaro

ILPOLIGRAFO


L’Autore e l’Editore ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa pubblicazione, le biblioteche e gli archivi per aver concesso l’autorizzazione alla riproduzione di alcune immagini qui pubblicate. L’Editore rimane a disposizione per qualsiasi eventuale obbligo in relazione alle immagini riprodotte

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INDICE

7 Presentazione Mario Isnenghi

11 premessa

21 i. antefatto. enrichetta treves (1758-1832), un zia botanica al cenacolo di melchiorre cesarotti 37 ii. l’uscita dal ghetto. la strategia dei treves dei bonfili su padova 61 iii. il palazzo in contrada delle zitelle, una commissione congiunta a jappelli e de min 87 iv. il giardino, un orto botanico privato per i fratelli treves dei bonfili 137 v. la divisione del patrimonio e la vendita. dal matrimonio treves-corinaldi alle leggi razziali 157 appendice cenni biografici sulla famiglia treves

173 Indice dei nomi



L’anima di una città... Il carattere di un popolo... Così, nell’Ottocento, parlavano i romantici. Noi, oggi, parliamo di radici, parliamo di identità. E ne parliamo tanto. Meno ne abbiamo, più ne parliamo. Più le smarriamo, o abbiamo la sensazione di poterle smarrire, e più ne coltiviamo il bisogno e la nostalgia. Questa collana di schegge visive e di affondo restaurativi nella memoria – di Padova, dei Padovani e dei moltissimi che sono passati per Padova quando toccava alla loro gene­razione incarnare l’antica, secolare figura dello studente a Pa­dova – muove da questi bisogni tutt’attorno affioranti. Viviamo nel presente e del presente, siamo anzi presentisti – in altri termini, non vediamo più in là del nostro naso, sia davanti che dietro – e però quanto ci piace annusare, fingerci, ripercorrere i nostri prossimi o remoti ieri collettivi. Ebbene, premesso – e promesso – che di parole vaghe come appunto le suddette – anima, carattere, radici, identità – faremo un uso il più parco e sobrio possibile, partiamo per un viaggio guidato, a più voci. Lo spazio è Padova, con le sue propaggini natu­rali, verso il Bac­chiglione e i Colli. Il tempo è quello di Padova italiana, senza negarci – con discrezione e misura – punti di partenza e percorsi più lunghi, quando saranno necessari. Ottonovecento a Padova: questo il nostro ambito. Profili ambienti istituzioni: il ventaglio degli approcci, fra persone e luoghi identificati come quelli che definiscono e strutturano una storia. Una non piccola storia, una storia non minore: con una grande università, un grande santo, una grande piazza, un grande caffè... I ritratti stereotipati qualche volta tradiscono, lasciando fuori troppe cose; ma un po’, anche, ci pigliano, dando alveo e direzione allo sguardo. 


Si può scrivere di un fantasma edilizio, un palazzo che non c’è? Sì, perché c’è stato sino a un mezzo secolo fa; perché ci rimane del giardino Treves quanto basta per capire che in tempi migliori doveva essere bellissimo e da questo possiamo almeno in parte indurre quanto fosse programmato e curato anche il contiguo palazzo di via Ospedale; e perché ricostruire la storia di questa dimora grande-borghese fornisce una originale angolatura di storia cittadina e un punto di osservazione su chi e come l’ha voluto nei primi decenni dell’Ottocento. Una nuova élite emergente, districata da inibizioni e impedimenti. Una famiglia di ricchi finanzieri e commercianti ebrei trapiantati da Venezia a Padova, che hanno al proprio interno personalità, denari, ambizioni, gusto e – nel proprio giro e reti di relazioni – consiglieri e contatti tali da poter mettere al lavoro il meglio che possa offrire il mercato: come architettura, arredo, pittura, musica, arte e cultura del giardino. C’è un progetto – di potere e di espressione civile di potere – e ci sono gli uomini per concretizzarlo, a partire dall’architetto, che è Giuseppe Jappelli, l’inventore del Caffè Pedrocchi, lo specialista nel pensare e realizzare parchi. Qui, poi, l’ubicazione del giardino Treves permette di incorporarvi come orizzonte le pittoresche vedute del Santo, dell’Orto Botanico e del Prato della Valle. Storia dunque di un palazzo, di un giardino, di un patrimonio, di una grande ed economicamente potente famiglia, in pieno processo di liberazione e ascesa sociale; storia di salotti e di colte e sensibili signore in questi salotti, con accanto artisti e scrittori. Un incisiva galleria di famiglia, una famiglia e una cerchia allargate, in cui si riflettono anche i tempi e le stagioni del mondo esterno, dove i Treves, di generazione in generazione, sono spesso attori primari. Fino a quella precipitosa vendita del palazzo e alla sua rapida fatiscenza e abbattimento: uno fra gli scandali del secondo dopoguerra cittadino.

mario isnenghi


PALAZZO TREVES DEI BONFILI E IL SUO GIARDINO


Elenco delle abbreviazioni aceve

Archivio Biblioteca “Renato Maestro” della Comunità Ebraica di Venezia Archivio della Fondazione Querini Stampalia afqs di Venezia Archivio Generale del Comune di Padova agcpd aspd Archivio di Stato di Padova asve Archivio di Stato di Venezia asvpd Archivio Storico del Seminario Vescovile di Padova Öesterreichisches Staatsarchiv / Allgemeines at-oesta /ava Verwaltungsarchiv (Abteilung) at-oesta /hhsta stk Öesterreichisches Staatsarchiv / Provinzen Lombardo-Venezien Lombardo-Venetien Biblioteca Civica di Padova bcpd bmc Fondazione Museo Civici di Venezia, Biblioteca del Museo Correr Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia bnm mcpd Museo Civico di Padova


Premessa

Appare legittimo chiedersi quale sia l’utilità di stendere la biografia di un palazzo che infine ha lasciato un segno tanto labile nella memoria collettiva della città di Padova. O meglio, ci si interroga se questa non sia l’occasione per riaccendere la sopita consapevolezza di quali tesori nasconda la nostra città. Eppure palazzo Treves dei Bonfili, smembrato, demolito e dimenticato, e quel che resta del suo florido giardino botanico, è un luogo evocativo delle grandiose ambizioni della Padova ottocentesca. Esso fu celebrato ed evocato nelle cronache del tempo per il gusto raffinato dei suoi committenti e per l’esotica ricercatezza delle piante del suo giardino. Inoltre, questo luogo resta un nodo irrisolto rispetto alle velleità della città di oggi proprio per la sua fatale vicinanza con il vecchio ospedale e con la zona di espansione del mastodontico nuovo polo ospedaliero, causa originaria della sua progressiva devastazione. Per oltre un secolo a partire dal 1811, quando la proprietà fu acquisita dai Treves, questo luogo è stato il teatro di avvenimenti, incontri e relazioni tra i protagonisti della nuova leadership cittadina. La famiglia di ricchi mercanti e banchieri veneziani entrò da questo momento a far parte della nuova classe dirigente che si era riconfigurata a Padova in seguito alla caduta della Repubblica di Venezia. Il progetto di riammodernamento della residenza dei Treves a ponte Corvo, esclusiva e appartata, fu incardinato rispetto a un piano di sviluppo della città, all’interno del quale gioca un ruolo da protagonista l’ar


premessa

chitetto Giuseppe Jappelli (1783-1852). Infatti, esiste una stretta relazione tra il palazzo Treves e l’opera più celebre dell’architetto veneziano, il caffè Pedrocchi, tanto che, uscendo dallo stabilimento verso il Bo e scendendo diritti verso l’attuale via Cesare Battisti, lungo un asse di comunicazione “ideale”, si arriva giusto a uno degli accessi attuali del giardino Treves. Per compiacersi di quale splendido equilibrio paesaggistico regnasse entro la cinta muraria di Padova tra architettura e spazi verdi, basta soffermarsi a contemplare la carta del Tanzi, stesa nel 1820, utilizzando l’impianto del catasto napoleonico, con il fine di descrivere la qualità degli spazi intra muros. Fatta eccezione per la densità dell’edificato del centro originario della città medievale, di cui poco o nulla rimane, Padova aveva e in parte conserva vaste zone verdi legate a palazzi, conventi e monasteri. Questa fu l’eredità del ridisegno urbano di epoca rinascimentale, quando la città era stata nuovamente fortificata e ripensata per essere totalmente autonoma al suo interno sul piano delle riserve idriche e alimentari, tanto da prevedere vaste aree dedicate alla coltivazione, in caso di un prolungato assedio. Questo impianto è descritto nelle cronache ottocentesche come degradato e compromesso. Basti pensare al discorso inaugurale dell’anno accademico 1838-39 del magnifico Rettore dell’Università, Antonio Valsecchi (1799-1882), in merito al degrado del magnifico giardino di Marco Mantova Benavides: scomparvero il giardino ed il parco arricchiti da lui di ricercate piante e di esotici animali ed ora alzano appena il loro capo il modesto legume, le umili cucurbitacee, l’abbietto cavolo, là dove superbi lo estollevano l’eccelso pino, la robusta quercia, il platano maestoso. Così la fortuna si beffa delle più maravigliose opere dell’uomo.

Proprio sulla scorta delle riflessioni di Valsecchi riguardo alla perduta magnificenza e al compromesso decoro di uno dei fiori all’occhiello della città rinascimentale, duran A. Valsecchi, Elogio di Marco Mantova Benavides, in Discorso inaugurale letto nella grand’aula dell’ir Università di Padova per l’apertura di tutti gli studi nel giorno iii novembre mdcccxxxviii dal dott. Antonio Valsecchi professore ordinario di Diritto romano statutario e feudale e Rettore magnifico, Padova, coi tipi del Seminario, 1839, pp. 20-21; note 43-45.

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premessa

te l’Ottocento Padova vide un estensivo intervento di restauro e riqualificazione degli spazi urbani sia pubblici che privati, che operò in modo massiccio sulla facies urbis, ma non solo. Pur conservando in modo sostanziale l’impianto urbanistico originario, dimore e palazzi, molti dei quali fatiscenti e abbandonati da antiche famiglie decadute, trovarono nuovi proprietari che vollero restaurarli e riammodernarli. Quest’intervento, diffuso in tutta la città, venne diretto dal neo preposto organo competente la Commissione all’Ornato, sotto l’egida di Marsilio Papafava dei Carraresi (1768-1853), coadiuvato da architetti visionari come Giuseppe Jappelli, non senza l’approvazione di accademici della caratura di Leopoldo Cicognara (1767-1834). Lo sforzo decennale di ridonare alla città un’immagine adeguata ai nuovi tempi secondo aggiornati criteri di decoro e funzionalità è visivamente sintetizza nella pianta del Sacchetto del 1872, laddove i giardini rivestono nell’economia complessiva dello spazio urbano un’evidente importanza. I proprietari di questi luoghi furono Corinaldi, Cittadella, Legnazzi, Pacchierotti, Papadopoli, Piazza, Trieste. Questi nomi ricorreranno a tratti in virtù di relazioni parentali, sociali e finanziarie con la famiglia Treves dei Bonfili, che viene ad avere una funzione cardine nelle dinamiche della città ottocentesca. Alla luce di tali informazioni, la rivalutazione del giardino urbano di Giacomo e Isacco Treves dei Bonfili come «Orto per la coltivazione di piante esotiche» non desta più alcuno stupore e, anzi, spiega la ragione per la quale il giardino Treves fosse uno dei pochi a Padova – insieme a quello Pacchierotti in Prato della Valle e quello Piazza alla Specola – a essere dotato di un sistema di approvvigionamento idrico da “cisterna propria”. Nel marzo p.p. ricevemmo da Venezia la seguente lettera: Siete pregati, sigg. Editori compitissimi, di far estendere articolo sopra 

Fabbris, Lettera sul Giardino Pacchierotti, A Filippo Giuseppini pittore in Udine, «Gazzetta Privilegiata di Venezia», 181 (1845), venerdì 8 agosto, pp. 737-738.  Resta preziosa la descrizione manoscritta del giardino stesa dallo stesso Piazza, cit. in M. Sgaravatti Montesi, Giardini a Padova e manifestazioni floreali, prefazione di C. Cappelletti, «Quaderni della Rivista di Padova», 2, [s.d.], pp. 62-64.

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premessa

il seguente quesito: L’aqua de pozzi di campagna è piovana o nascente? Inserindo [sic] nel primo numero del pregiato vostro giornale la risposta al suddetto quesito, scioglierete [sic] una questione insorta fra due de’ vostri migliori associati, i quali vi sapranno grado della vostra arrendevolezza [sic]. / Di voi Umil. e divotiss. servitore. / Niratihcan / Prima di rispondere alla domanda di questi due fra’ nostri migliori associati (forse perché avranno pagato l’intera annata anticipatamente ed in austriache effettive) ci sia permesso di far loro una domanda: Che differenza fan essi fra i pozzi di campagna e quelli di città? [...] Veggano se la nostra domanda è giusta – Prendiamo esempio da Padova. Padova è una città semi-orientale che tiene un po’ di Ninive e di Babilonia; perché i nostri buoni avi prevedendo i luttuosi casi di carestie dipendenti dagli assedi e dai blocchi, provvidenti in parte rinchiudendo dentro le mura giardini, orti, prati, e perfino campagne coltivate. E non vedemmo l’altrieri sul sagrato del Duomo, pascolare a loro bell’agio più di 100 pecore, che ci trovavano il loro conto? Que’ nostri rispettabili associati pensino ancora che i pozzi, non le cisterne dei giardini Treves, Pacchierotti, Piazza, ec., sebbene intra muros, possono distare una ventina di metri dai pozzi extra muros. O ammettono forse che le mura della città possano far cambiare colla costituzione geologica del suolo anche le leggi della natura? Ciò premesso, abbiano i nostri affezionati associati la bontà di dirci in che differiscano essenzialmente i pozzi della città da quelli della campagna, e allora risponderemo [...].

Quello dell’avvocato Piazza era un giardino assai vasto, acquisito a partire dal 1807 in fasi successive e corrispondente all’area dell’attuale Città Giardino lungo riviera Paleocapa tra la “Torre del Soccorso” e la Specola. Il terreno, messo all’incanto dalla Municipalità e proveniente dall’esproprio dei possedimenti delle monache di Sant’Agata da parte di Napoleone, era destinato come lo descrive il Valle alla coltivazione e per questo provvisto di una riserva d’acqua a uso proprio. Mentre quello appartenuto al celebre cantante Pacchierotti, confinante con l’antico Orto, sorgeva sul bordo del Prato della Valle sino a dove oggi sorgono le moderne serre che ampliano il complesso del più antico giardino botanico. La disquisizione intorno ai pozzi e alle cisterne riportata sulla rivista «Il caffè Pedrocchi» riferisce delle tre cisterne e  Estratto da Corrispondenza segreta, «Il caffè Pedrocchi», a. i (1846), 17, 26 aprile, p. 136.

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premessa

accomuna i tre maggiori giardini cittadini, alludendo a un parterre di lettori competenti e informati. La cisterna dedicata nel giardino Treves era necessaria per alimentare il dispendioso funzionamento della stuffa e dei calidari, ambienti indispensabili per la coltivazione delle piante esotiche, per le quali il giardino era tanto ammirato al tempo della sua invenzione. Infatti, in uno dei documenti jappelliani conservati presso la Civica Biblioteca di Padova, ove lo stesso Jappelli, fornendo la documentazione curricolare nell’anno 1840 per ottenere il conferimento della cattedra di Ingegneria civile e idraulica presso la facoltà di Matematica dell’Ateno patavino, cita tra le opere di idraulica da lui realizzate proprio il «ponte sul canale di Ponte Corvo in Padova per la famiglia Treves». Roma 17 Novembre 1840, Copia della petizione al Sig. Direttore della facoltà di Matematica. Riguardo poi alle costruzioni idrauliche non poche sono le opere che o’ eseguite, e molte di mia invenzione: il ponte sul Brenta a Vigodarzare, Quello sul canale di Ponte Corvo in Padova per la famiglia Treves, l’allungamente pure in Padova del ponte delle Torreselle, lavoro che presentava per le condizioni del sito gravissime difficoltà.

La raccolta di palme esotiche dei Treves ebbe il primo premio, sigillato dal conferimento di una medaglia d’oro ancora in possesso della famiglia, in occasione della prima pubblica esposizione (1846) della Società Promotrice del Giardinaggio: I sigg. Fratelli cav. Treves de Bonfil recarono alla pubblica visita una scelta di piante, fra cui primeggiavano per grandezza e rarità le Palme e le Cicadee. Si distinguevano in questa per mole il Pandanus odoratissimis, la Latania chinensis e la Latania glauco-

bcpd, ms. bp 1038/i-95. A. Pasquali, Solennità della Società Promotrice del Giardinaggio in Padova, e in particolare della festa dei fiori seguita in quell’ir Orto Botanico, «Il Vaglio», a. xi (1846), 25, 20 giugno, pp. 193-194; vedi anche M. Sgaravatti Montesi, Dalla «Società Promotrice di Giardinaggio», alla «Società Amici dei Giardini», in Ead., Giardini a Padova e manifestazioni floreali, cit., pp. 77-83. 




premessa

phylla, la Caryota urens, tre specie di Zamie, ed una Coccoloba macrophylla.

La Società Promotrice del Giardinaggio venne istituita il 15 gennaio 1846 e si componeva di un numero illimitato di soci, sotto la direzione di un presidente, Roberto de Visiani, di un vice presidente, Meneghini, e di un cassiere, Isacco Treves dei Bonfili, i quali, con il segretario Giovanni Battista Ronconi, componevano il consiglio di presidenza. Chiunque avesse voluto appartenervi doveva proporsi al consiglio di presidenza e acquistare per tre anni consecutivi (trienni 1846-1848) una o più azioni all’anno, del valore di 24 lire austriache ciascuna, con le quali era possibile provvedersi della lettera d’iscrizione. In breve tempo divenne un circolo esclusivo di appassionati cultori di botanica. L’intento primo della società consisteva nel promuovere la miglior coltura dei giardini particolarmente nelle provincie venete. L’istituzione della Società Promotrice del Giardinaggio, di cui Giacomo e Isacco Treves erano soci fondatori, fu iniziativa condivisa con Roberto de Visiani (1800-1878) e Andrea Cittadella (18041870). La Società nacque con l’intento di promuovere l’arte e la passione per i giardini, che coinvolgeva nella Padova ottocentesca piccoli amatori e grandi collezionisti. Essa si prefiggeva l’impegno di organizzare annualmente un’esposizione che si ispirasse all’impronta della medievale “festa dei fiori”, la cui l’ultima edizione del 30 maggio 1845, aveva visto la celebrazione dei trecento anni dalla fondazione dell’Orto Botanico, nonché l’omaggio al suo fondatore Francesco Bonafede (1474-1558). Anche questa iniziativa testimonia una rete di relazioni tra cui spicca quella tra i Treves e Andrea Cittadella. Ciascuno per parte sua determinante per comprendere questo si

Il Segretario G.B. Ronconi, Botanica, «Gazzetta Privilegiata di Venezia», 137, (1846), venerdì 19 giugno, p. 563.  Statuto della Società Promotrice del Giardinaggio in Padova, Padova, coi tipi del Seminario, 1846. In-8 di pp. 12.  Estratto da Giardinaggio, «Il caffè Pedrocchi», a. i (1846), 8, 22 febbraio, p. 61.  R. de Visiani, Della vita e degli scritti di Francesco Bonafede, Padova, coi tipi del Seminario, 1845, p. 24.

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premessa

gnificativo periodo della storia di Padova, stretta da un sottile filo rosso alle sorti di Venezia. La fondazione della Società Promotrice del Giardinaggio avvenne, e non per caso, parallelamente alla fondazione della Società Promotrice di Belle Arti. Entrambe queste operazioni di carattere economicofinanziario furono volte al sostegno delle arti in un momento di grave dissesto economico finanziario. Così i due fratelli mecenati agirono mossi da un’articolata passione per il collezionismo, spaziando dall’interesse per le scienze naturali alle arti. Il ridisegno della dimora di una delle famiglie all’epoca più in vista in tutto il Lombardo Veneto e la sua funzione di modello cui ispirarsi è uno dei maggiori motivi di interesse di questo studio. Una digressione di natura letteraria – utile a saggiare la temperie culturale all’interno della quale nacque il progetto per il palazzo e il giardino Treves dei Bonfili a Padova – mostra dei possibili nessi tra il giardino di specialità botaniche, voluto dai munifici committenti, e la corrente di pensiero con derive internazionali alla quale essi aderirono. Il collegamento con l’autore Nathaniel Hawthorne (1804-1864) rappresenta un caso esemplificativo. Resta da verificare come lo scrittore americano da Boston fosse aggiornato su quanto avveniva allora a Padova, tanto da ambientarvi uno dei suoi racconti più suggestivi e con un argomento tanto pregno del milieu che si respirava a quell’epoca nella città universitaria. Ebbene, Hawthorne scrisse nel 1844 The Rappaccini’s daughter, pur non essendo mai approdato in Italia: a Padova nemmeno ci arriverà in occasione del tour tardivo alla fine degli anni Cinquanta (1857-1858), quando sembra abbia potuto visitare solo Roma e naturalmente Firenze. Eppure il racconto è ambientato in un giardino che ha tutte le sembianze di un orto botanico: 

N. Hawthorne, La figlia di Rappaccini, in La figlia di Rappaccini e altri racconti, trad. it. di R. Barocas, Firenze, Passigli, 1991; questa la traduzione che qui è stata adottata come riferimento; N. Hawthorne, La figlia di Rappaccini, trad. it. di L. Sacchetti, Bologna, Il cavaliere azzurro, 1986: traduzione elegantissima quanto incompleta perché priva dell’importantissima introduzione scritta dall’autore.

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premessa

uno di quegli orti botanici sorti a Padova prima che in ogni altra parte di Italia o del mondo. Ma neanche era improbabile che un tempo fosse stato il luogo di piacere di una ricca famiglia [...].

Quindi, all’evidenza, l’autore non si riferisce all’orto pubblico, come la critica ha sempre ritenuto verosimile, ma ad uno privato, proprio come era riconosciuto, tra i pochi degni di questa definizione, quello dei Treves dei Bonfili. Del resto, così lo descrisse nel 1840 il curatore dello stesso Orto Botanico, Roberto de Visiani: È poi soverchio il ripetere, che in questo luogo non si parla dei Giardini pubblici. I Treves per questo resteranno annoverati tra i pochissimi mecenati possessori in Italia di un giardino di tal fatta.

Proprio ai fini della peregrinazione socio-culturale e della rete di relazioni che questo saggio ha l’ambizione di riesumare, anche il collegamento con il racconto di Hawthorne è nodale per comprendere come sia circolato a livello mondiale quanto avveniva a Padova in quegl’anni, e anche, perché non supporlo, in casa di una delle famiglie di banchieri veneziani più conosciute a quel tempo nelle piazze internazionali: Parigi, Londra, Amsterdam; Amburgo, San Pietroburgo; sino in America nella città che più ammiccava al vecchio continente, Boston. Il racconto gotico sembra essere carico di allusioni e significati nascosti chiaramente riferiti a personaggi e luoghi noti, sperimentati se non dal vero per lo meno acquisiti tramite racconti scritti o orali. L’occasione letteraria viene presentata come una traduzione e, alla maniera di Manzoni, utilizza l’espediente dello pseudonimo, attribuendo la storia a un fantomatico scrittore dal nome evocativo.



N. Hawthorne, La figlia di Rappaccini, cit, p. 8. R. de Visiani, Illustrazione delle piante nuove o rare dell’Orto botanico di Padova, Padova, coi tipi di A. Sicca. 1840, pp. 6-7.  P. Del Negro, Il mito americano nella Venezia del Settecento, Padova, Liviana, 1986, pp. 42-43.  I promessi sposi di Alessandro Manzoni è ritenuto il romanzo italiano con la maggior diffusione internazionale. Esso fu edito in una prima versione nel 1827, rivisto in seguito dallo stesso autore fu ripubblicato nella versione definitiva proprio fra il 1840 e il 1841-1842. 

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premessa

I suoi romanzi sono talvolta a sfondo storico, talaltra ambientati nel nostro tempo e qualche volta, a quanto se ne può capire, hanno poco o nessun riferimento al tempo e allo spazio [...] e cerca di creare l’interesse per mezzo di meno comuni particolarità del soggetto.

Il nome dell’autore, M. de l’Aubépine, sconosciuto ai più, tradisce un indizio e allude al biancospino, una pianta con poteri terapeutici e con caratteristiche esteriori identiche a quella intorno alla quale ruota la storia. Tutti elementi che contribuiscono a chiarire la natura criptica del racconto, di stampo iniziatico, che istiga chi legge a tentare di individuare la fonte d’ispirazione. Seppur in forma romanzata, quindi priva di una precisa coincidenza con gli elementi reali, ma riassegnandoli in modo libero, il racconto tradisce molti indizi che ci permettono di riconoscere non tanto i luoghi ma i motivi d’ispirazione. Il giardino è al centro della trama ed elemento catalizzatore dei personaggi, frutto dell’esperimento scellerato di un medico emarginato dalla comunità scientifica della città universitaria, Giacomo Rappaccini, l’eroe negativo del racconto. La verità è che il nostro venerando dottor Rappaccini è altrettanto abile, come scienziato, quanto ogni altro membro della facoltà – ad eccezione di uno solo – in Padova o in tutta l’Italia; ma vi sono alcune gravi obbiezioni da sollevare sul suo carattere professionale [...]. Egli sacrificherebbe la vita umana, e la propria con le altre, per poter aggiungere quanto un granellino di senapa al gran cumulo della sua scienza.

L’esperimento immondo del medico è una pianta, che cresce rigogliosa al centro del giardino, una specie manipolata, tanto da renderla letale per chiunque, tranne per sua figlia, fatalmente legata dalla nascita al destino della mostruosa creazione del padre. Sebbene il luogo e il tempo del racconto manchino volutamente di puntuali riferimenti, altri dettagli mettono in relazione questa storia con il giardino Treves, che come abbiamo detto era tra i pochissimi in Italia e il solo a Padova a essere riconosciuto come “orto botanico”. Inoltre, il palazzo che si affaccia sul giardino, dove vive il giovane protagonista della storia, viene descritto come un vecchio edificio che sembrava non indegno di essere stato il palazzo di un nobile padovano e sul cui ingresso, infatti faceva mostra di sé lo stemma di un’antica famiglia da lungo tempo

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premessa

estinta. [...] uno degli antenati di quella famiglia, e forse uno che aveva abitato in quella stessa dimora, era stato descritto da Dante come partecipe agli eterni tormenti del suo Inferno.

Così se Dante faceva riferimento al padovano Vitaliano de Lemizzoni, o a Vitaliano Vitaliani, prestatore di credito, salta all’occhio l’ulteriore riferimento alla principale attività dei Treves, quella creditizia appunto. Sappi che il mio vicin Vitaliano sederà qui dal mio sinistro fianco. Con questi fiorentin, son Padovano.

Così, anche se la declinazione gotica del racconto non trova corrispondenza nella biografia dei Treves, sembrano innegabili gli ammiccamenti al loro giardino, tanto che l’omaggio di Hawthorne lo ammanta di un mistero che da famoso gli attribuisce anche il carattere di famigerato. Nella speranza di descrivere in modo efficace la complessità delle relazioni cui sottende lo studio sui Treves dei Bonfili, coltivo l’ambizione che questo saggio possa restituire una fisionomia ad alcuni luoghi e personaggi tali da permettere una riappropriazione della memoria storica della città. Resta la consapevolezza che molte questioni rimarranno aperte, come del resto alcune figure saranno solamente tratteggiate sullo sfondo, ma forse potranno rappresentare per altri uno spunto per approfondimenti diversi; così mi piace credere di essere fedele allo spirito della collana e del suo curatore.



D. Alighieri, Inf., xvii, vv. 68-70. In merito alla ricostruzione del modello digitale del giardino botanico Treves si rimanda a M. Massaro, Visualizing the Treves botanical garden in Padua: from documentary research to laser survey and 3d modelling, in Visualizing Venice. Mapping and Modeling Time and Change in a City, ed. by K.L. Huffman, A. Giordano and C. Bruzelius, London - New York, Routledge, 2017, pp. 51-57 (“Routledge Research in Digital Huminities”). Si veda inoltre: M. Massaro, Il palazzo, le adiacenze e il giardino per li nobili fratelli Giacomo e Isacco Treves dei Bonfili nella Regia città di Padova, «Atti e memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti già dei Ricovrati e Patavina», cxxviii, 2015-2016, pp. 105-150. 

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I. Antefatto.

Enrichetta Treves (1758-1832), una zia botanica al cenacolo di Melchiorre Cesarotti

È plausibile che, al momento dell’apertura della casa Treves di Padova, abbia ricoperto un ruolo determinante Ricca (Enrichetta) Treves (1758-1832), sorella di Iseppo, padre di Giacomo e Isacco. Anche Enrichetta, come Iseppo, era nata a Padova, il 20 luglio 1758, quando la famiglia si era trasferita in ragione della malattia del padre Emanuel, e forse conservava un legame particolare con la città. Il 22 ottobre dell’anno 1779, all’età di ventuno anni, aveva lasciato per sempre Venezia, se non per qualche visita sporadica, ed era andata in sposa a Emanuel Coen di Mantova. Qui aveva abitato sino a quando era rimasta vedova. Da Mantova aveva spostato la sua dimora a Verona, dove la sua presenza è confermata sino alla fine del dicembre del 1796, come testimonia una lettera di Melchiorre Cesarotti (17301808) a Tommaso Olivi del 24 dicembre 1796. La residenza a Verona non le impedì di mantenere stretti contatti con quella cerchia di amici che orbitavano intorno a Padova e alla sua Università. Quegli stessi che le rimarranno affini per tutto il corso della sua vita, e insieme ai quali partecipò attivamente 

Dalla memoria pubblicata su «Antologia. Giornale di Scienze Lettere e Arti» (1832) si possono trarre alcune sintetiche notizie.  Archivio della Comunità Ebraica di Mantova, da qui in poi acemn, Registro Matrimoni 1773-1815 / Popolazione 1774-1815, n. 42, f. 24 r. di 115, vedi alla pagina web http://www.adacta.fi.it/digitalib/archeb/sfoglia_registri. php?sottogruppo=reg042&gruppo=reg001024;reg025042&op=esplora_ ric&offset=23: «22 ottobre 1779 Il Sir. Emanuel Coen colla Sra Ricca figlia del qm Emanuel Treves di Venezia».

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IV. Il giardino, un orto botanico privato

per i fratelli Treves dei Bonfili

Alla luce dei dati raccolti ci si è interrogati se fosse possibile definire meglio una datazione dell’intervento di Jappelli sulla proprietà Treves dei Bonfili. Così, sebbene l’inquadramento cronologico dell’intervento sul giardino, concordemente fissato sino a oggi tra il 1829 e il 1836, rimanga indicativamente valido, alla luce delle nuove scoperte è necessaria una revisione di questa cronologia, se non altro per circostanziare in modo più preciso alcune notizie relative alle fasi di cantiere e alla biografia del suo ideatore. Il 1829, considerato in modo unanime il termine ante quem per fissare l’avvio dell’intervento di Jappelli sul giardino Treves, è una deduzione tratta principalmente dalla data riportata sul monumento presente nel giardino dedicato alla Fraterna Concordia. Ciò che qui si sostiene, invece, è che tale elemento abbia un portato semantico più complesso, oltre a un’attinenza puntuale con la datazione del monumento stesso. A conferma di questa tesi si sono rinvenute due lettere stese per mano di Jappelli fin ora inedite. Si tratta dell’uni Risale al 1836 la prima descrizione dettagliata del giardino in tutte le sue parti, comparsa sulla rivista «Il Gondoliere» sotto firma di Dandolo a conferma del fatto che a quella data il giardino doveva essere stato completato. T. Dandolo, Varietà. Un Giardino..., cit., pp. 183-184.  Nonostante sia possibile che una prima fase dei lavori sul giardino potesse essere stata avviata a questa data, essa riguarderebbe solo ed esclusivamente l’area segnata dal confine del fiume. Questa ipotesi sembra alquanto remota perché il giardino è palesemente frutto di un’ideazione unitaria e non parcellizzata.

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capitolo quarto

ca e preziosissima testimonianza, giunta sino a noi, dello scambio intercorso tra l’architetto e il committente. Il 23 febbraio dell’anno 1829, Jappelli chiese a Giacomo Treves di procurargli un’opera di Garnier sui pozzi artesiani, che gli era indispensabile, proprio, a quanto pare, per risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico del «nascente giardino». Jappelli aveva probabilmente intercettato l’opera di Garnier nell’ambito del dibattito culturale che essa aveva sollevato all’interno delle Accademie e che in breve tempo ebbe numerosi esiti editoriali. L’opera di Garnier aveva l’indubbio pregio di un ricco corredo iconografico, con i disegni dei tanti strumenti necessari all’esplorazione dei pozzi, e la descrizione di molte specie di succhielli, suddivisi in cinque classi, ognuno destinato a trivellare diversi strati di terra più o meno compatta. All’Egregio Sig.e / Il Sig. Giacomo Treves / Venezia 1829 /29 febbraio Padova Preg. Sig.e Non avendo mai potuto avere da Parigi la memoria sopra i Pozzi d’Artois, di cui forse Ella mi avrà inteso parlare, io mi rivolgo alla di lei gentilezza, ben sapendo che ad un amatore come Lei dei buoni studj non mancherà in Parigi un diligente corrispondente per farmene far la ricerca. La societé d’encouragement, nel 1818 propose un premio per la miglior opera, sur l’art de percer le puits artesiens à l’aide de la sonde du minear e coronò una Memoria di M. Garnier su tale argomento, ed è appunto questa memoria che mi è indispensabile. Un mezzo che a me sembra sicuro onde trovarla sarebbe presso M. Houzard, librajo ne 1819 della Societé d’encouragement, ed

 M. Garnier, L’art du fontanier sondeur, Paris 1827; M. Garnier, Considérations géologiques et physiques sur le gisement des eaux souterraines, rélativement au jaillissement des fontaines Artésiennes, et recherches sur les puits forés en France, a l’aide de la sonde, Paris, Huzard, 1828.  scienze ed arti meccaniche, Serbatoj artificiali d’acque piovane pel regolato innaffiamento delle campagne prive a acque correnti giuntavi un Appendice sui pozzi artesiani o saglienti del professore Giacinto Carena membro e segretario della classe fisico matematica della reale Accademia delle scienze di Torino ecc., «Biblioteca italiana, o sia Giornale di letteratura, scienze ed arti», vol. 56, a. xiv (1829), ottobre, novembre, dicembre; H. de Thury, Considérations géologiques et physiques sur le gisement des eaux souterraines rélativement au jaillissement des fontaines Artesiénnes, Paris, Huzard 1828.

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il giardino, un orto botanico privato per i fratelli treves

uno ancor più sicuro, quello di ricercarla alla bella prima, ad uno dei secretari della Società stessa. Anche presso i Proprietarj du Recueil industriel, manifacturier et agricole devono aver pubblicato qualche cosa su questo argomento. Se dunque Ella mi vuole favorire, ordini pure la spedizione per la posta, disposto a sottostare anche a quella spesa. Spero che mi vorrà perdonare l’ardire, per amore almeno del suo nascente Giardino, e ricordandomi alle sue Dame tenermi sempre fra il numero de suoi servitori. Domani scriverò al Sig. Isacco per la provvista delle Piante che non torna il conto di acquisto qui, trattanto pregola di riverirmelo distintamente. di Lei ps Padova 29 febbraio 1829 Dev. Serv. Ing. Jappelli

Si ritiene plausibile che Jappelli, da veneziano, conoscesse per esperienza diretta l’utilizzo dei pozzi artesiani, di cui ne esisteva uno anche in campo San Polo, oltre a quanto poteva conoscere per suo bagaglio formativo, desunto dallo studio di Vitruvio, una scienza antica che tornava improvvisamente in auge dopo diciotto secoli di storia, come fu opportunamente evidenziato in un articolo del «Giornale di letteratura, scienze ed arti»: Ma chi mai si aspetterebbe di trovare al proposito della ricerca delle acque un’ampia dissertazione sui pozzi detti Artesiani, argomento venuto di moda 18 secoli almeno dopo Vitruvio? Ciò forse renderà più scusabile l’ardimento nostro di volere sostituire alcune sostanze svelateci dalla moderna chimica agli elementi crudamente menzionati dagli antichi; e su questa base, qualora si ammettesse, siamo d’avviso che spiegarsi potrebbero molti passi degli antichi scrittori, che alle cose fìsiche si riferiscono. Tornando ai pozzi forati o Artesiani non solo si espongono chiaramente le dottrine dei

Lettera di Giuseppe Jappelli a Giacomo Treves, 29 febbraio 1829, raccolta privata.  Analisi dell’acqua uscente dal pozzo artesiano in campo di S. Paolo a Venezia, eseguita nel laboratorio dell’i.r. scuola tecnica dalla commissione veneta composta dai signori professori Zantedeschi, Bizio, dottore Pisanello assistente alla scuola di chimica, Galvani chimico-farmacista e cardo direttore del laboratorio chimico-fisico del signor Guadagnini, estr. da «Raccolta fisico-chimica italiana», fasc. ix, t. ii, Venezia, G. Antonelli ed. 1847.

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capitolo quarto

nozze di Benedetta Treves dei Bonfili e Michele Corinaldi da Niccolò de Lazzara nel 1839. L’autore legato tanto ai Treves quanto allo Jappelli, di cui era un fervido sostenitore al pari di Cicognara, coglie l’occasione per descrivere il giardino e le sue meraviglie, e per raccontare di alcuni fatti della vita dell’architetto legati al giardino e ai suoi committenti. Sebbene il componimento ruoti tutto intorno alla descrizione della grotta che apre e chiude il racconto, qui trovano giusta rappresentazione tutti gli elementi descritti nel disegno del 1833, con l’aggiunta del secondo ponte sul canale, realizzato forse in occasione di un ulteriore aggiustamento in vista della cerimonia per le nozze che si tenne nel parco. Ma ciò che più interessa è il riferimento alla “bissabova”, l’uragano che travolse Jappelli, costringendolo da un lato a rinunciare ai grandi progetti pubblici che dovevano essere realizzati a Padova, e dall’altro, a quanto si evince dal testo, a una qualche forma di esilio. Inoltre de Lazzara riferisce che i Treves diedero asilo a Jappelli, sebbene non sia chiaro se durante il periodo di latitanza, oppure una volta rientrato in città. Quel che non dà adito a dubbi è che Jappelli abbia abitato un quartiere del giardino: El s’à fato lu istesso sta caseta Picola, povareta: E quà ghe xè ’l so cuzzo, Ghe xè le so fornele

e che in cambio della protezione dei Treves abbia realizzato il progetto del giardino. Un ambiente quello che si immagina abitato da Japelli che in qualche modo si confonde, oppure volontariamente si mimetizza, con la grotta dell’alchimista, rifugio del mago Merlino, con cui si identifica nel componimento l’architetto. Se fosse proprio così, gli eventi cui si fa riferimento non possono che coincidere con l’anno 1829 e con la scomunica da parte del papa ai massoni, come si è in precedenza evidenziato. Resta il dubbio, visto il peso che l’autore attribuisce a questo episodio che ha condizionato in modo irreversibile la vita e la carriera di Jappelli, che sia stato aperto un procedimento legale a suo danno in relazione all’appartenenza massonica, ma di cui sino a oggi non si è rinvenuta traccia documentaria. Infatti l’intero fondo archivistico della

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1. Il giardino Treves, vista con la basilica del Santo, 1885, collezione privata


2. Giuseppe Jappelli (1773-1852), Rilievo dell’area tra Prato della Valle e l’ospedale civile con segnati i proprietari, 1824 ca, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna, inv. n. 1336a 3. Giuseppe Jappelli, Planimetria dell’area tra Prato della Valle e l’ospedale civile con il progetto per la nuova sede dell’Università, 1824 ca, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna, inv. n. 1337


4. Giuseppe Bissacco (prima metà del XIX), Pianta e alzati del Cortivetto. Corredo grafico alla perizia, ASPD, Archivio Notarile provinciale di Padova, Atti pubblici, Notaio Zabeo Gaetano, b. 11666, n. 3817, 29 febbraio 1828 (Ministero per i beni e le attività culturali - Archivio di Stato di Padova, n. 9/2019) 5 Giuseppe Maria Pivetta (prima metà del XIX), Prospettiva del Cortivetto, con segnate le proprietà prima dell’acquisto da parte dei Treves, 1820 ca, ASPD, Archivio Pivetta (Ministero per i beni e le attività culturali - Archivio di Stato di Padova, n. 9/2019)


10. Teodoro Matteini (1754-1831), Ritratto di Iseppo Treves, 1815 ca, lapis e acquerello su carta, collezione privata


11. Michel Belot (1730-1791), Ritratto di Enrichetta Treves, 1780 ca, olio su tela, collezione privata 12. Michel Belot, Ritratto di Benedetta Bonfil, 1780 ca, olio su tela, collezione privata




24. Giovanni De Min, Nino esce dal sepolcro, scena tratta dall’opera di Gioacchino Rossini La Semeramide, 1820-1830, affresco strappato e trasportato su tela, già Padova, Palazzo Treves, Sala della Musica, Padova, Azienda Ospedaliera, inv. 48057


25. Giovanni De Min, L’agnizione del conte d’Almavia, scena tratta dall’opera di Gioacchino Rossini, Il barbiere di Siviglia, 1820-1830, affresco strappato e trasportato su tela, già Padova, Palazzo Treves, Sala della Musica, Padova, Azienda Ospedaliera, inv. 48056


33. Giuseppe Jappelli, Progetto per il giardino Treves a Padova, Pianta e prospetto del tempietto, 1829 ca, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna, inv. 1323 34. L’accesso al giardino Treves dal cortile del palazzo con il tempietto, 1930 (Padova, Musei Civici, Gabinetto fotografico)




37. L. da C., Veduta del Giardino Treves dei Bonfili a Padova, 1866, olio su tela, Venezia, giĂ collezione di Palazzo Reale di Venezia, Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna


56. Piano regolatore edilizio, 1872, Padova, Biblioteca Civica, RIP VIII 980. Qui si riconoscono tutte le fabbriche del giardino: il tempietto, la stuffa, il monumento, la casa del giardiniere con il calidarii, la cavana sul fiume, la pagoda e i mulini. Sono riconoscibili ancora il serraglio dei cervi, la gabbia dei fagiani e degli uccelli rari


57. Piano regolatore edilizio, 1872, Padova, Biblioteca Civica, RIP VIII 980. Qui si leggono perfettamente il disegno del giardino e i percorsi. Resta evidente come oltre al casino nel giardino non vi siano altre fabbriche. Intorno all’edificio vi sono ampie distese erbose, disegnate alla maniera italiana, mentre gli alberi restano distribuiti, alternando sentieri tortuosi a viali rettilinei, all’intorno della proprietĂ


73-74. Modello tridimensionale del giardino Treves che restituisce il progetto del 1833 di Giuseppe Jappelli con l’andamento del terreno, i tracciati dei sentieri e la distribuzione della vegetazione (realizzato da Mirka Dalla Longa presso il Laboratorio di fotogrammetria dell’Università Iuav di Venezia)


il giardino, un orto botanico privato per i fratelli treves

Polizia di Stato depositato presso l’Archivio di Stato di Vienna e relativo a questo braccio di secolo è andato disperso a causa di un incendio. Così mancano le prove di un eventuale coinvolgimento nella massoneria da parte di questa cerchia, come anche non si è reperita traccia di un eventuale processo a Jappelli per l’affiliazione alla loggia patavina. Si riporta qui di seguito il componimento di Niccolò de Lazzara del 1839. il giardino treves. per le faustissime nozze corinaldi-treves Questa è l’antica e memorabil grotta Che edificò Merlino, il savio mago Che forse ricordar odi talotta. Cioè no ghe xè grota; Ghè un buso, un casoncelo In mezo ai sassi inospiti De altissima montagna, Coverto de legname, Tanto che no se bagna El povaro strigon. No ghè carne corrotta, E no ghe xè Merlini: L’autore, el mago, l’ospite Xè Bepo dai zardini. De farla cussì grossa Nessuno gli suase; Se vivo coricossi, Morto non ci rimase: E se del savio mago Deserta xè la cela, Quondam nol xè gramazzo; Ma come erante stela In cima al Campidoglio



Cfr. L. Ariosto, Orlando Furioso, Canto iii, st. 10: «Questa è l’antica e memorabil grotta / Che edificò Merlino, il savio mago / Che forse ricordar odi talotta, / Dove ingannollo la Donna del Lago. / Il sepolcro è qua giù, dove corrotta / Giace la carne sua; dov’egli vago / Di satisfare a lei che gliel suase, / Vivo corcossi, e morto ci rimase».  Giuseppe Jappelli.  Cella: la grotta dell’alchimista.  Poveretto.




capitolo quarto

La so brilante aureola L’à adesso trasportà. E i rococò magnifici, Le principesche vile, Al comparir del mago Le ghe n’à avudo un spago... Gà parso de cascar Zo da un scalin. Zardin de novo genere, Istorico, romantico, Intanto che parlemo L’à belo e disegnà. Là dei sepolti secoli Le scene se resuscita; Le tombe dei Scipioni Le se spalanca ancora: Le ombre venerabili Comincia a far baosete; Comincia dele fete A darve Ciceron. Forse obligato in vece Vien fora el medio evo, Evo romanticon; Evo de gran deliti, D’energiche passion. Sto mago onipossente Viveva fra la zente Un tempo incognitò; El gera pien de brio, De spirito e talento, Da tor el soravento Sempre in conversazion: Ma mago, ma strigon, Questo po nò. Da tramontana un zorno Dà su una bissabova: La passa, e i gran colossi. Se cerca, e no se trova; 

Gran paura. Fare paura.  Lungaggine, lunghi discorsi.  Incognito, sconosciuto.  Prendere il sopravvento.  Uragano. Si fa riferimento all’accusa di massoneria e alle successive implicazioni. 




il giardino, un orto botanico privato per i fratelli treves

E Bepo da quel susio Per aria xè portà. L’è stà mi no so dove, A far mi no so ché, Ma da quel zorno mago Xè certo che lu xè. Tornava a far bonazza, Spontava un Sol novelo; Bepo strigon sto cielo Tornava a saludar. Perché del gran pianeta Sora ridente scena I ragi se spandesse, Fa la bacheta el mago Fischiar drento in salon; E i diavoli ubidienti Cambia decorazion; No ghe xè più salon; Ghe xè un zardin. Dopo de quel momento Quasi ogni di un portento S’à visto fra de nù; E Saonara e Pedrochi Gà dà sù. A pie de sta montagna Che se spechia, e se bagna In tel Medoaco, El s’à fato lu istesso sta caseta Picola, povareta: E quà ghe xè ’l so cuzzo, Ghe xè le so fornele; Quà ghe xè bozzetine e pignatele, Lambichi, storte, ordegni cabalistici, Scheletri de animali De cento qualità, vechi e putini. E fora de le porte, Fra quei orori alpini, Se se cata davanti 

Sinonimo di bissabova: tempesta, uragano. Bonaccia, tempo tranquillo.  Qui si fa riferimento alle doti di Jappelli quale decoratore d’interni, e nel caso specifico alle sale del palazzo Treves, cui diede un nuovo stile.  Artigiani e manovali che lavoravano per Jappelli.  Medoacus è il Bacchiglione.  Letto, giaciglio. 




OTTONOVECENTO A PADOVA

profili, ambienti, istituzioni

collana diretta da Mario Isnenghi

1. Lo stabilimento Pedrocchi Un caffè per la città Alessandro Baù

12. La Padova del sindaco Crescente (1947-1970) Paolo Giaretta, Francesco Jori

La Libreria Draghi Randi Oddone Longo Paolo Maggiolo

13. Padova al trotto Giovanni Palombarini

2. Vivai Sgaravatti David Celetti

14. Prato della Valle Silvia Zava

3. Alfredo Rocco Giulia Simone

15. Palazzo Treves dei Bonfili e il suo Giardino Martina Massaro

4. Tono Zancanaro Il pavano-mediterraneo Luigi Urettini

in preparazione

5. Diego Valeri Matteo Giancotti 6. Il Teatro Duse poi Garibaldi Roberto Cuppone 7. La città del Santo Enzo Pace 8. Luigi Pellizzo vescovo a Padova Liliana Billanovich 9. Il processo 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore Giovanni Palombarini 10. Concetto Marchesi. Gli anni della lotta Emilio Pianezzola 11. L’Università di Padova dal 1866 al 1922 Angela Maria Alberton

Palazzo Storione L’Università di Padova 1920-1945 Il Teatro Verdi Fiera di Padova Banca Antoniana Palazzo Papafava La Zedapa Liceo Tito Livio Il vescovo Bordignon Il Seminario L’Antonianum La Sala della Gran Guardia La Breda Officine Meccaniche della Stanga Luigi Luzzati e Leone Wollemborg Il Liviano Le Piazze Piazza Spalato/Insurrezione Il Museo Bottacin




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