Ad triangulum Il duomo di Milano e il suo tiburio.

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biblioteca di architettura 23



Giulia Ceriani Sebregondi, Jessica Gritti Francesco Repishti, Richard Schofield

ad triangulum il duomo di milano e il suo tiburio Da Stornaloco a Bramante, Leonardo e Giovanni Antonio Amadeo

ilpoligrafo


Il volume è pubblicato con il contributo del Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani

e con il patrocinio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano

progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice redazione: Alessandro Lise copyright Š novembre 2019 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN 2612-2839 ISBN 978-88-9387-107-5


indice

15 Il filo di Arianna Francesco Repishti, Richard Schofield 15 1. Gabriele Stornaloco 19 2. Antonio di Vincenzo, Jean Mignot e oltre 21 3. 1452-1486. Da Filarete a Nexemperger 23 4. 1487-1490. Bramante, Leonardo e altri 26 5. Il progetto del 27 giugno 1490 27 6. 1490-1500. La costruzione del tiburio 29 7. I «toresini» e la guglia maggiore 33 1. gli inizi: il progetto di gabriele stornaloco Giulia Ceriani Sebregondi, Richard Schofield 34 1. Il progetto di Stornaloco e le sue interpretazioni 38 2. Geometria pratica versus matematica nel processo progettuale 43 3. Il ruolo di Stornaloco nella concezione del progetto e i suoi sviluppi 47 4. Le due versioni del progetto di Stornaloco e le loro differenze dimensionali 53 5. L’organizzazione del lavoro nella Fabbrica del Duomo 56 6. Jean Mignot e il dibattito tra ars e scientia 60 7. I disegni attribuiti ad Antonio di Vincenzo 69 8. Il progetto iniziale 77 2. il tiburio da stornaloco a filarete e giovanni solari Francesco Repishti, Richard Schofield 89 3. l’intervento di guiniforte solari Francesco Repishti, Richard Schofield 101 4. 111 115 121

l’eredit di guiniforte solari e i maestri da strasburgo Francesco Repishti, Richard Schofield 1. Il disegno del Musée de l’Œuvre de Nôtre-Dame a Strasburgo 2. Leonardo e i maestri tedeschi 3. I maestri di Strasburgo


127 5. 127 130

Francesco Repishti, Richard Schofield 1. Luca Fancelli 2. «Modello» e «disegno»

137 6. 137 139

Giulia Ceriani Sebregondi 1. L’Opinio Bramanti 2. Il testo dell’Opinio

149 7. 150 152 154

Giulia Ceriani Sebregondi 1. Il tiburio a pianta quadrata 2. Il modello di Pietro da Gorgonzola 3. I modelli di Giovanni Antonio Amadeo e degli altri

157 8. 157 159

Giulia Ceriani Sebregondi, Richard Schofield 1. L’arco a tutto sesto 2. Configurazione del progetto bramantesco

165 9. 165 166 167

Giulia Ceriani Sebregondi 1. La lettera di Leonardo 2. I disegni di Leonardo 3. I fogli 850 recto e 851 recto del Codice Atlantico

la seconda met degli anni ottanta

l’opinio bramanti

i progetti degli architetti menzionati nell’opinio

ultime opinioni sull’opinio

i progetti di leonardo da vinci per il tiburio

179 10. stefano dolcino e la sopravvivenza di stornaloco Jessica Gritti, Richard Schofield 185 11. l’anno 1490 Francesco Repishti, Richard Schofield 193 12. il testo del “dispositivo” del 27 giugno 1490 Francesco Repishti, Richard Schofield 207 13. la costruzione del tiburio 1490-1505 Francesco Repishti, Richard Schofield 211 14. il documento del 1490 e il tiburio realizzato Francesco Repishti, Richard Schofield 214 1. Francesco di Giorgio Martini e Leonardo 216 2. Amadeo, Dolcebuono e il tiburio realizzato 217 3. Le dimensioni del tiburio costruito


218 220 222 225 226 227

4. 5. 6. 7. 8. 9.

Il “dispositivo” e la storia della struttura del tiburio Il problema della sottostruttura La sottostruttura del tiburio: prima ipotesi La sottostruttura del tiburio: seconda ipotesi I tiranti I «toresini»

229 15. la sopravvivenza di stornaloco: cesariano 1521

e il foglio 4v del tomo ii della raccolta bianconi

229 233 236

Jessica Gritti, Richard Schofield 1. Cesariano e Stornaloco 2. La polemica contro Amadeo e Dolcebuono 3. Il foglio 4v del tomo II della Raccolta Bianconi

243 16. i «toresini», le guglie del tiburio e la guglia maggiore Jessica Gritti, Francesco Repishti 243 1. I «toresini» 246 2. «Sicuti apud priscos Hercules Athlanti traditur» 250 3. Il cantiere del gugliotto 256 4. Le guglie sopra il tiburio e la «lanterna» 263 5. L’«aguglione» di Francesco Croce

appendici

271 appendice documentaria i la relazione di stornaloco (settembre-ottobre 1391) Richard Schofield 279 appendice documentaria ii regesto dei documenti sul tiburio 1387-1525 Francesco Repishti, Richard Schofield 425 appendice documentaria iii fonti letterarie Richard Schofield

apparati

433 Bibliografia

465 Elenco delle illustrazioni

471 Indice dei nomi



«La sapienza è figliola della sperienza» è una delle riflessioni vergate da Leonardo nelle pagine del Codice Forster III. Chissà se il genio fiorentino avrà fatto tesoro di tali parole, rievocando il suo tormentato incontro con la Veneranda Fabbrica del «malato Duomo» e la complessa sfida del tiburio, cui fu chiamato a contribuire dall’ente istituito cent’anni prima dall’acuta lungimiranza di Gian Galeazzo Visconti. Siamo nella Milano del 1487: età di sviluppo e di profondo cambiamento per la città. Si proseguono i lavori di trasformazione della rocca viscontea in Porta Giovia in Castello Sforzesco e di costruzione della Ca’ Granda (ora sede dell’Università Statale); in Duomo, Gaffurio riforma la Cappella Musicale restituendole quella conformazione che la rende tutt’oggi un punto di riferimento per la vita liturgica della Cattedrale. La corte di Milano, grazie all’ambizione di Ludovico il Moro, diviene una delle più ricche della penisola italiana. Un raffinato centro di cultura e un polo d’attrazione per scienziati, artisti, musicisti e letterati, fra cui spiccano l’architetto Donato Bramante e il matematico Luca Pacioli. Milano è citta d’avanguardia in fatto di strutture tecnico-industriali, vie d’acqua, sistemi di irrigazione e di coltivazione, fabbricazioni d’armi, ingegneria navale e perfino nel campo della moda e dei tessuti. La Fabbrica, in quegli anni, è impegnata nell’individuare una soluzione credibile riguardante la chiusura dei transetti e dell’abside. Vengono interpellati ingegneri, architetti e periti: l’intera città è coinvolta nell’offrire una risposta all’appassionante quesito. Anche Leonardo prende parte al dibattito: realizza perfino un modello ligneo di cui purtroppo non è rimasto nulla, se non il racconto nei registri dell’Archivio. Alla fine, la sperienza della Fabbrica ha la meglio sull’intraprendenza di un ambizioso quanto visionario progetto. Grazie alla collaborazione con il Politecnico di Milano, resa possibile dalla sensibilità e dall’amicizia del rettore prof. Ferruccio Resta, vede la nascita un volume per raccontare tutto questo, realizzato per le cure di Richard Schofield, Giulia Ceriani Sebregondi, Jessica Gritti e Francesco Repishti e che incrocia anche le suggestioni e gli spunti scaturiti dal convegno promosso dall’arciprete mons. Gianantonio Borgonovo “Il Duomo al tempo di Leonardo”, tenutosi nella Cappella Feriale della Cattedrale il 6 maggio 2019, e le tematiche alla base dell’omonima mostra presso il Museo del Duomo dal 22 novembre 2019 al 23 febbraio 2020. Un’occasione per raccontare quello scrigno di sapienza che la Fabbrica custodisce da 632 anni e di cui – così ci piace pensare – anche Leonardo sentì la forza e l’orgoglio. Fedele Confalonieri Presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano



ad triangulum: il duomo di milano e il suo tiburio

Truth is ever to be found in the simplicity, and not in the multiplicity and confusion of things. Isaac Newton



abbreviazioni e unitď&#x; di misura

Abbreviazioni archivistiche AOMMi

Archivio dell’Ospedale maggiore di Milano

ASCMiBT

Archivio Storico civico di Milano, Biblioteca Trivulziana

ASDMi

Archivio Storico diocesano di Milano

ASMi

Archivio di Stato di Milano

ASMn

Archivio di Stato di Mantova

ASMn-AG

Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga

ASSi

Archivio di Stato di Siena

ASPBo

Archivio di San Petronio di Bologna

AVFDMi

Archivio della veneranda Fabbrica del Duomo di Milano

BAMi

Biblioteca Ambrosiana di Milano

CRSBMi

Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli di Milano

GDSU

Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, Firenze

PADDR

Piccoli acquisti, doni, depositi e rivendicazioni

RB

Raccolta Beltrami

Altre abbreviazioni utilizzate br

braccio, braccia

d. denari d. dominus f.q.

filius quondam

l. lira m.

magister

o oncia p.a.

parte antica

p.C.p.S.

porta Cumana parochie Sancti (Sanctorum)

p.N.p.S.

porta Nove parochie Sancti (Sanctorum)

p.O.p.S.

porta Orientale parochie Sancti (Sanctorum)


p.T.p.S.

porta Ticinense parochie Sancti (Sanctorum)

p.V.p.S.

porta Vercelina parochie Sancti (Sanctorum)

s. soldi s.n.

senza numero

UnitĂ di misura Braccio milanese (12 o)

0,5949 m

Terzarius (1/3 br)

19,6 cm

Quartarius (1/4 br)

14,7 cm

Oncia (12 punti)

4,95 cm

Brenta (3 staia)

75,5 l

Centenarius/Centenario (100 libbre grosse)

76,25 kg

Miliarius/Miliario (1000 libbre grosse)

762,25 kg

Rubbo (25 libbre piccole)

8,17 kg

Libbra grossa

0,762 kg

Libbra piccola

0,327 kg

Oncia (1/12 libbra)

0,027 kg

1 lira

20 soldi

1 soldo

12 denari

1 fiorino

32 soldi

1 ducato

4 lire circa

1 scudo

4 lire circa


il filo di arianna Francesco Repishti, Richard Schofield

La storia del tiburio rappresenta uno degli episodi più eloquenti della storia dell’architettura italiana del Quattrocento, da una parte per la specificità e l’eccezionalità della Fabbrica del Duomo di Milano, dall’altra per la presenza congiunta di alcuni dei più autorevoli protagonisti dell’epoca, Bramante, Francesco di Giorgio Martini, Luca Fancelli e Leonardo da Vinci, chiamati da Gian Galeazzo e Ludovico Maria Sforza per proporre una soluzione strutturale, costruttiva e formale. A ciò vanno aggiunti altri temi che si sovrappongono e s’intrecciano con queste vicende come l’adozione o meno di differenti tecniche costruttive – lombarde, toscane e d’Oltralpe – e il desiderio da parte della famiglia ducale di affermare attraverso questa impresa la propria immagine. Malgrado la presenza di architetti stranieri, la risoluzione del problema spetta però a due lombardi, Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono, che negli anni 1490-1500 costruiscono il tiburio fino alla base della lanterna. Per l’elemento terminale di questa grande macchina, la costruzione della guglia maggiore, si dovrà invece attendere sino al 1769. 1.

Gabriele Stornaloco

La storiografia si è soprattutto soffermata in modo disgiunto sui dibattiti tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento e sulla costruzione del tiburio alla fine del Quattrocento, come non ci fossero particolari legami tra questi due affascinanti episodi della storia del Duomo. Come proveremo ad argomentare, esiste invece un filo di Arianna che collega inevitabilmente questi due momenti, che possiamo riconoscere nello schema geometrico per l’alzato della chiesa stabilito nel 1391 dal matematico piacentino Gabriele Stornaloco.

Per una sintesi delle vicende del Duomo di Milano nel contesto europeo, si veda Wilson 1990, pp. 268-276, basata essenzialmente su Ackerman 1949 (ora in Ackerman 1991, pp. 211-268); e su Romanini 1973. Per la cronologia, ugualmente basata su Ackerman e Romanini, si veda Frankl 2000, pp. 351-352 nota, che dà conto della bibliografia più recente, tra cui Ascani 1989, pp. 255-278; Cadei 1991; White 1993, pp. 517-531; Welch 1995, pp. 49-114; Kidson 1999; Trachtenberg 2010, p. 67 per un contributo divertente ma bizarro; Brehm 2013; Ceriani Sebregondi, Schofield 2016.




francesco repishti, richard schofield

In questo volume dimostriamo che lo schema di Stornaloco per stabilire le quote delle imposte delle volte e la configurazione delle stesse volte e degli archi rimane valido per tutta la storia dell’edificio: infatti, quasi un secolo dopo, il suo progetto è descritto in modo dettagliato da Stefano Dolcino nell’aprile 1489; le sue dimensioni relative e assolute sono utilizzate da Francesco di Giorgio, Amadeo e Dolcebuono nel loro fondamentale resoconto del 27 giugno 1490 e nel tiburio successivamente realizzato; le xilografie pubblicate da Cesariano nel 1521 sovrappongono il primo schema di Stornaloco (Stornaloco I) sul secondo (Stornaloco II); infine, anche le dimensioni della guglia discusse da Cesariano derivano da Stornaloco. Gli studi di Luca Beltrami sulla geometria dell’alzato del Duomo rimangono insuperabili sotto molti punti di vista, in particolare il suo splendido saggio sui principi architettonici e geometrici governanti la costruzione pubblicato nel 1887, anche se la prima parte è molto datata e la seconda parte è certamente errata nella conclusione rispetto alla definizione della forma dei triangoli utilizzati per costruire l’edificio. Il lavoro di Beltrami può essere considerato comunque uno dei contributi più brillanti della storia dell’architettura tardomedievale ed è solo per una delle curiosità della storiografia che il saggio del 1949 di James Ackerman, Ars sine scientia nihil est, sia oggi molto più famoso e conosciuto nel mondo accademico. In realtà, quest’ultimo è un contributo che avrebbe presentato poche sorprese a Beltrami, se non per le ripetute denunce riportate dallo studioso americano circa la scarsa competenza degli architetti lombardi. Le versioni che oggi possediamo del testo della lettera di Stornaloco ai deputati della Fabbrica, all’interno della quale descrive il suo progetto e il disegno che accompagnava la lettera, non sempre sono comprensibili e hanno suscitato molteplici discussioni. In questo volume abbiamo provato a definire una versione chiara del testo latino della lettera, per forza provvisoria visto che l’originale non esiste più. Anche il disegno che accompagna il testo, conosciuto solo attraverso copie, è altrettanto affascinante: Stornaloco presentò una sezione della navata grande e delle navatelle, ma non del tiburio o della guglia maggiore. Si trattava di un disegno eseguito a fil di ferro che presentava solo le dimensioni interassiali orizzontali e quindi in alzato solo le quote degli estradossi delle volte: l’insieme era incastrato in un sistema geometrico con un cerchio, un esagono e un quadrato su cui era impostata una serie di triangoli equilateri e rettangoli delle stesse larghezze e altezze che governavano le curvature delle volte e degli archi: si tratta del «terzo acuto», come lo definisce Cesariano: «arcuatione si como etiam in terzo acuto como quelle de la sacra aede baricephale». Gli «spissitudines» ovvero le larghezze degli elementi principali dell’edificio, cioè quelle dei piloni e gli spessori degli archi, delle volte e delle murature, erano dunque lasciate ai capomastri, che, utilizzando questo schema interassiale, avevano il compito di decidere come manipolarlo per  

Tutti i saggi di Beltrami sul Duomo sono stati raccolti in Beltrami 1964: si veda in part. pp. 37-92. Cesariano 1521, f. CIIIIr, commentario: f. XIIIIv: «l’arco dicto in tertio acuto».


il filo di arianna



assicurare che gli archi, e poi le volte delle campate rettangolari della navata grande e quelle delle campate quadrate delle navatelle, mantenessero la configurazione a terzo acuto. Come il matematico piacentino abbia calcolato le altezze dei suoi triangoli equilateri e come mai i deputati sentissero il bisogno di chiamare un matematico per spiegare un problema così semplice che poteva essere risolto da un capomastro qualsiasi utilizzando tre chiodi e una corda è un problema dibattuto da tempo. Tracciare un arco dagli estremi della retta di base e far cadere il perpendicolare dove le curve s’incrociano è, infatti, una semplice operazione di «geometria pratica» conosciuta a tutti i capomastri del mondo tardo-medievale, che nulla ha a che fare con una formazione nelle «artes liberales». Ma il vero compito di Stornaloco, in quanto matematico, includeva anche una dimostrazione di come le figure geometriche euclidee (il cerchio, il quadrato, l’esagono e il triangolo) potevano incastrarsi e sovrapporsi sui triangoli garantendo così la sacralità delle dimensioni e della configurazione dell’alzato. Le spiegazioni di Erwin Panofsky e recentemente quella di Peter Kidson dei calcoli utilizzati da Stornaloco sono assurdamente complicate; invece abbiamo provato a dimostrare, seguendo l’ipotesi di Guy Beaujouan, che una formula medievale molto semplice – moltiplicando la lunghezza della base di un triangolo equilatero per 26/30 – sembra essere menzionata nella lettera e ci fornisce una soluzione molto più plausibile. Ma ci sono altri aspetti da spiegare, soprattutto il cambiamento di questo schema quando si cominciò a costruire l’alzato. Prima dell’arrivo di Stornaloco la pianta del Duomo era stabilita in modo tale che le distanze interassiali tra i piloni fossero lunghe 16 br; le quattro navate esterne più la navata maggiore dovevano misurare 96 br in larghezza (6 × 16) e il transetto 128 br (8 × 16). Stornaloco sviluppò poi un sistema chiaro per stabilire le altezze fondamentali dell’alzato: il suo sistema, partendo dalle dimensioni orizzontali prestabilite, è basato su triangoli equilateri e rettangoli grosso modo delle stesse larghezze e altezze (16 × 14 br). Inoltre, Stornaloco sovrappose sull’alzato un grande quadrato di cui due punti restano sulle imposte delle navatelle esterne e un altro segna l’apice della volta della navata grande; un cerchio tocca l’apice della navata grande e le estremità delle navatelle esterne al livello della terra; e infine aggiunse un esagono, i cui punti intersecano le estremità delle navatelle esterne a livello della terra, poi l’apice della navata grande, e i cui due lati inclinati superiori indicano l’inclinazione futura dei contrafforti sopra le navatelle interne ed esterne. La logica del sistema è compresa perfettamente da Francesco Terribilia nel 1589 quando, recuperando l’illustrazione di Stornaloco realizzata da Cesare Cesariano nel 1521, scrive agli operai di San Petronio a Bologna: Quando il Cesariano dà l’essempio del domo di Milano triangolato, fa che quelli triangoli vanno a mostrare con le intersectioni loro le altezze de’ capitelli e delle impo-




francesco repishti, richard schofield

ste degli archi et le altezze delle volte. Et quelle medesime instersectioni restano sempre nel meggio dei vani et nei centri delle mura dividenti la chiesa, et si accomodano a punto nel modo detto di sopra, cioè che il colmo d’una volta [cioè l’estradosso] piglia l’imposta d’un’altra, et il colmo di quel altra piglia l’imposta della volta maggiore. Et così una fa fianco al altra, né si confondono fra esse; così sta il domo di Milano et così sta adesso S. Petronio.

Terribilia capisce che i nodi del sistema geometrico sono le quote delle imposte degli archi e degli estradossi delle volte: i triangoli e i rettangoli di Stornaloco, impostati su una base di 16 br e un’altezza di 14 br, partono dalle imposte delle navatelle esterne alla quota di 28 br e arrivano a quella di 42 (28+14) per le imposte delle navatelle interne, poi a 56 br (42+14) per le imposte della volta della navata grande, terminando a 84 br (56+28) per l’estradosso dell’arco della navata maggiore. Tutte le curvature e le quote delle volte dovrebbero essere all’interno e non oltre queste quote, sempre seguendo la curvatura richiesta da «terzo acuto». Stornaloco fa combaciare la quota degli estradossi delle volte delle navatelle esterne con quella delle imposte delle navatelle interne, e così via fino all’apice dell’arco della navata maggiore. Ma è qui che incontriamo l’altro mistero fondamentale nella storia del Duomo: Stornaloco realizza un modello del suo progetto (non sappiamo nulla della sua configurazione), ma questo viene nascosto e nel 1393 i deputati decidono di cambiare le quote delle imposte degli archi, attualmente meno alte di quelle previste dal sistema di Stornaloco I che erano già state accettate dai deputati nel 1391. Le quote delle imposte sembrerebbero salire con multipli di 12 br: così, dopo quelle delle imposte delle navatelle esterne a 28 br, quelle delle navatelle interne diventano circa 40 br (28+12) e quelle della navata maggiore 52 br (40+12). L’auctoritas di Luca Beltrami è stata tale che la sua spiegazione di questo aspetto ha dominato fino a 1990. A Beltrami, seguito da quasi tutti gli studiosi, sembrava che il sistema di triangolazione fosse passato da uno basato su triangoli equilateri larghi 16 br e alti 14 br ad uno basato su triangoli isosceli larghi 16 br e alti 12, con basi derivate dalle distanze interassiali tra i piloni (16 e multipli) con volte alte 12 br e multipli. Ma tale cambiamento non è menzionato nella documentazione alla fine del Trecento e non è infatti necessario. Beltrami sembra aver dimenticato il punto cardine dello schema di Stornaloco: non si possono tracciare curvature come quelle costruite dappertutto nel Duomo utilizzando triangoli isosceli. È solo con il triangolo equilatero (e rettangoli delle stesse larghezza e altezza) che è possibile generare la curvatura necessaria. Sembra invece che la spiegazione giusta sia quella proposta da Giuseppe Valentini in un volume pubblicato nel 1990 (e ripresentato nel 2017), ma ignorata  

Gaye 1839-1840, III, p. 500. Beltrami 1964, pp. 76-77.




giulia ceriani sebregondi, richard schofield

è dimostrabile che un progetto ad triangulum per l’alzato del Duomo esisteva prima dell’intervento di Stornaloco e rimase valido anche in seguito. Dai documenti risulta anche chiaro, soprattutto dalla minuta del 15 maggio 1401, che Mignot non propose un nuovo progetto, ma un ritorno a Stornaloco I rispetto a Stornaloco II. Il disegno presentato da Mignot sembra essere a fil di ferro come quello di Stornaloco, e cioè senza differenziare tra archi trasversali e volte a crociera, dato che Paderno, rispondendo al settimo quesito, disse: Respondeo quod sicut designamenta que ipse magister Johannes [Jean Mignot] monstravit non continent sicut deliberationem factam per alios inzignierios videlicet altitudinis omnium archorum; item ad altitiam croseriarum; non respondeo aliquid, quia ipse non monstravit in designamento.

Quando Serina dunque rispose che: navis de medio iret alta brachiis octo plus quam esset in provisione aliax ordinata [Stronaloco II] et ita dedit designamentum et per suam mensuram dictus magister Johannes [Jean Mignot], ex quo miratur, quia aliax dixit ipse magister Johannes quod non erat fortis et sic altiando esset minus fortis,

sembrerebbe riferirsi in realtà all’altezza degli archi trasversali (alti 76 br), che se innalzati di 8 br avrebbero raggiunto la quota di 84 come in Stornaloco I. Altrettanto chiaro risulta che il progetto di Mignot coincideva con quello di Parler, e cioè che entrambi volevano resuscitare Stornaloco I. Come abbiamo visto, Guidolo Della Croce, insieme a Giovanni Alcherio e Simone da Cavagnera, sostenne la posizione di Mignot nella riunione del 15 maggio 1401 e in quell’occasione dichiarò: Sequendo formam secundo inceptam [Stornaloco I seguito da Mignot] muttatur falsus ordo aliax provisus [Stornaloco II] et sequitur rectus ordo triangullaris a quo  1401, 15 maggio; si veda Appendice documentaria II. In particolare, si vedano le risposte al settimo quesito di Serina, Donato, Alcherio, Della Croce e Scrosato. Da notare anche Paolo Calco che disse: «Sequendo formam secundo inceptam [Stornaloco I seguito da Mignot] immutaretur provisio aliax ordinata [Stornaloco II], dicho quod iste non se removetur a forma triangullari de qua nemo peritus geometria potest nec debit recedere ita quod si in aliquo mutaretur tamen a dicta forma triangullaris altitudine non removetur, et hoc vidi etiam in aliis magistris in tallibus expertis», confermando così che con Stornaloco II non si abbandonò il sistema a triangoli equilateri.  Booz 1956, p. 62, fig. 9, sembra essere stato l’unico studioso a concordare con quanto qui si propone e cioè che gli schemi proporzionali proposti da Stornaloco, Parler e Mignot fossero coincidenti. Assumerebbe così maggior consistenza anche la proposta, spesso tralasciata, avanzata in Verga 1980, che il sistema ad quadratum fosse utilizzato solo per proporzionare la pianta, mentre quello ad triangulum servisse per l’alzato. L’elemento che metterebbe in relazione tra loro i due sistemi sarebbe il lato del quadrato che corrisponde alla base del triangolo equilatero, la cui altezza sarebbe stata determinata puntando il compasso ai due estremi della base con apertura uguale al lato stesso: un sistema molto semplice che risolveva quasi automaticamente ogni problema di quotatura e di statica.


1. gli inizi: il progetto di gabriele stornaloco



sine errore recedi non potest, de quo aliax suprascriptus magister Henrichus [Parler] ac quidem magister Annex Allamanus ante ipsum alta et fidelli voce in auribus falsorum surdorum predicaverunt.

La coincidenza tra i progetti di Mignot e Parler è confermata anche da un eccezionale documento del 20 dicembre 1401, nel quale si denuncia in modo feroce e ingiurioso la disonestà e impreparazione degli architetti milanesi Marco da Carona e Antonio Paderno, che sostenevano Stornaloco II, e il fatto che Mignot e Parler fossero stati licenziati. Alcuni cittadini esortavano allora il Duca a istituire una commissione indipendente per valutare i progetti dei contendenti, cosa che non avrebbe avuto senso se il progetto di Mignot non fosse stato identico a quello di Parler, nel senso che entrambi avrebbero voluto un ritorno a Stornaloco I. Il documento del 15 maggio 1401 appena citato, inoltre, conferma che la proposta di Parler coincideva a sua volta con quella avanzata da Annes da Friburgo, precedente l’arrivo di Stornaloco. Riassumendo, il primo riferimento documentato a uno schema ad triangulum dovrebbe essere quello di Annes da Friburgo (ingegnere incaricato da gennaio a giugno del 1391), seguito poi da quello di Stornaloco (ottobre 1391), quindi da quello di Parler (ingegnere incaricato da dicembre 1391 a luglio 1392) e quindi ancora da quello di Mignot (ingegnere incaricato da ottobre 1399 a ottobre 1401). Abbiamo quindi prima facie un’indicazione per ipotizzare che un sistema a triangoli equilateri (e rettangoli) fosse stato sviluppato da un architetto tedesco prima dell’arrivo di Stornaloco e che proprio Annes da Friburgo, probabilmente da identificare con l’«Anechino de Alamania» che realizzò il modello del tiburio nel 1387 , sia stato il primo architetto a proporre tale sistema ad triangulum per l’alzato della più grande fabbrica gotica mai realizzata in Italia.  Il fatto che questi tre membri sostenessero la posizione di Mignot rafforza la nostra ipotesi che il modello supervisionato da Simone da Cavagnera rappresentasse Stornaloco I (si veda sopra).  Appendice documentaria II. Parler è descritto come un uomo di grande onestà e assolutamente esperto di geometria («probissimus vir geometrieque expertissimus»), mentre Mignot è descritto come un uomo di grande zelo e ingegno, e anche lui grandissimo esperto di geometria («vir quidem tante industrie et sagacitatis [...] in dicta sua geometrie arte verus expertus»). Alla fine, tuttavia, il Duca non dette seguito all’invito e il Duomo di oggi costituisce un vero monumento a Stornaloco II e alle capacità dei tanto criticati maestri milanesi, descritti come «falsi testes, ignari, rudes et penitus dicte artis ydioti».  1401, 15 maggio; si veda Appendice documentaria II.  1387, 9 febbraio; si veda Appendice documentaria II; si veda Sanvito 2002, pp. 126-127, e Benati 2009, per i modelli impiegati in Duomo.  Un altro utile testimone potrebbe essere Cesariano, che indicò la configurazione sia della pianta che dell’alzato del Duomo come di origine tedesca (Cesariano 1521, f. 14r: «Ichnographia fundamenti sacrae aedis baricephalae germanico more a trigono e pariquadrato perstructa»; f. 15r: «Orthographiae ab ichnographia exorta perfiguratio [...] secundum germanicam symmetriam»); si veda anche LodynskaKosinska 1969, p. 130. Tuttavia, bisogna tenere conto che nel corso del Cinquecento il termine «germanico» aveva assunto il significato generico di «gotico», senza un riferimento specifico all’origine geografica di quel linguaggio; si veda per esempio Vasari 1966-1987, 3, p. 23: «egli [Jacopo della Quercia] se n’andò a Bologna, dove col favore di Giovanni Bentivogli gli fu dato a fare di marmo dagl’Operai di San Petronio


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giulia ceriani sebregondi, richard schofield

Il compito di Stornaloco nell’ottobre del 1392, dunque, non fu quello di sviluppare un progetto del tutto nuovo, bensì quello di perfezionare, avvalorare e verificare il progetto esistente alla luce della scienza della geometria, progetto che mai i deputati né gli architetti pensarono davvero di modificare nell’impostazione generale. E, come vedremo nel resto di questo libro, si continuerà a seguire il suo schema ancora nel tardo Quattrocento, come testimoniato da Stefano Dolcino; nel Cinquecento esso sarà riesaminato in dettaglio da Cesariano; e ancora nell’Ottocento sarà il punto di riferimento imprescindibile per gli studi sul Duomo di Ambrogio Nava e Giuseppe Mongeri. Fu solo con Beltrami che s’iniziò a considerare che Stornaloco ebbe «una parte affatto insignificante» per quanto riguarda l’alzato e che il suo progetto fosse stato abbandonato. Quando, allora, dopo le discussioni dei tardi anni Ottanta del Quattrocento – alle quali, come vedremo, partecipano Leonardo da Vinci, Donato Bramante, Francesco di Giorgio Martini, Luca Fancelli e molti altri –, si giunse alla riunione decisiva del giugno 1490 alla presenza di tutti i protagonisti e con la partecipazione del Duca stesso, lo schema di Stornaloco – il nostro filo di Arianna – rimaneva il fondamento mai abbandonato su cui gli architetti lombardi Giovanni Antonio Amadeo e Giacomo Dolcebuono, con il contributo di Francesco di Giorgio, costruirono il grande tiburio del Duomo.

la porta principale di quella chiesa, la quale egli seguitò di lavorare d’ordine tedesco per non alterare il modo che già era stato cominciato»; ivi, 4, p. 321: «essendo condotto a Bologna dagl’Operai di San Petronio perché facesse il modello della facciata di quel tempio, [Baldassarre Peruzzi] ne fece due piante grandi e due proffili, uno alla moderna et un altro alla tedesca».  Si veda anche Valentini 1990, pp. 31, 61.  Si veda capitolo 10.  Si veda capitolo 15. Un disegno di Baldassarre Peruzzi che illustra una costruzione ad triangulum per una basilica a cinque navate con volte a sesto acuto (GDSU, 629Av) è notevole in questo contesto, testimoniando la persistenza dell’interesse per questo tipo di schema.  Nava 1845, p. 14 nota 9: «La dimostrazione recata dal Gallio [Cesariano] all’oggetto di far conoscere la ragione geometrica nelle proporzioni assegnate al nostro Duomo in tutte le sue parti, coincide con quella stabilita dal matematico piacentino Gabriele Scornaloco [sic] nell’anno 1390, quattro anni, cioè, dopo incominciato il Duomo»; si veda anche Nava 1854, pp. 9, 28-29, 132, per la tesi di un unico progetto sempre portato avanti senza interruzioni sin dalle origini; Mongeri 1887, p. 102: «È lui [Stornaloco] che, inconscio indubbiamente dell’opera sua, lascia le maggiori impronte al monumento, quelle del sistema lineare delle sue elevazioni»; pp. 104-105 per la tesi dell’adozione del progetto di Stornaloco, poi sempre seguito; p. 109: «Lo Stornaloco era scomparso ma lo Stornaloco era rimasto» a proposito di Cesariano; si veda anche Valentini 1986, p. 248.  Beltrami 1964, pp. 70-71, 73, 78-79; ripreso in Romanini 1973, p. 174 («Il perfetto alzato gotico ‘ad triangulum’ previsto dallo Stornaloco fu accettato solo come suggerimento teorico, ma non fornì la soluzione definitiva alla ‘crisi’ del 1391»); e Ascani 1997, p. 122 («sostanziale accantonamento delle idee del matematico piacentino»).  Per la costruzione del tiburio si vedano i capitoli 13-14.


1. gli inizi: il progetto di gabriele stornaloco

ďœˇďœł

Misure INTERASSI

96,65 br 16,17 br 16,08 br 32,57 br 16,08 br 16,08 br 32,32 br

57,5 m = 9,62 m = 9,57 m = 19,22 m = 9,57 m = 9,57 m = 19,32 m =

Larghezza piloni Larghezza piloni crociera

2,52 m = 4,24 br = 4 br 3 o ca 2,96 m = 4,97 br = 5 br

INTERSPAZI

Interspazio navata esterna nord Interspazio navata interna nord Interspazio navata centrale Interspazio navata interna sud Interspazio navata esterna sud Interspazio crociera IMPOSTE

Imposta navate esterne Imposta navate mediane Imposta navata centrale

7,04 m = 7,05 m = 16,69 m = 7,04 m = 7,13 m = 16,26 m =

11,8 br 11,8 br 28 br 11,8 br 12 br 27,33 br

= = = = = = =

96 br 8 o ca 16 br 2 o 16 br 1 o ca 32 br 4 o ca 16 br 1 o ca 16 br 1 o ca 32 br 4 o

Interasse totale corpo longitudinale Interasse navata esterna nord Interasse navata interna nord Interasse navata centrale Interasse navata interna sud Interasse navata esterna sud Interasse crociera

= = = = = =

11 br 10 o 11 br 10 o 28 br 11 br 10 o 12 br 27 br 4 o

16,64 m = 27,97 br = 28 br 23,73 m = 39,89 br = 39 br 11 o ca 30,95 m = 52,02 br = 52 br

VOLTE

39,83 br 51,96 br 77,3 br 51,87 br 39,89 br

23,70 m = 30,91 m = 45,98 m = 30,86 m = 23,73 m =

Intradosso volta navata centrale (senza fiore) Intradosso volta navata mediana (senza fiore) Intradosso volta navata esterna (senza fiore)

46,11 m = 77,5 br = 77 br 6 o 31,15 m = 52,36 br = 52 br 4 o ca 23,94 m = 40,24 br = 40 br 3 o

Freccia volta navata centrale (intradosso) Freccia volta navata mediana (intradosso) Freccia volta navata esterna (intradosso)

15,16 m = 25,5 br = 25 br 6 o 7,42 m = 12,47 br = 12 br 6 o ca 7,3 m = 12,27 br = 12 br 3 o ca

LUCI ARCHI DIAGONALI

18,5 br 18,44 br 32,2 br 18,44 br 18,54 br

= = = = =

39 br 10 o 51 br 11 o ca 77 br 3 o ca 51 br 10 o ca 39 br 11 o ca

Fiore volta navata esterna nord Fiore volta navata mediana nord Fiore volta navata centrale Fiore volta navata mediana sud Fiore volta navata esterna sud

= = = = =

18 br 6 o 18 br 5 o ca 32 br 2 o ca 18 br 5 o ca 18 br 6 o ca

Luce arco diagonale navata esterna nord Luce arco diagonale navata mediana nord Luce arco diagonale navata centrale Luce arco diagonale navata mediana sud Luce arco diagonale navata esterna sud

11,01 m = 10,97 m = 19,15 m = 10,97 m = 11,03 m =

Luce arco diagonale transetto nord minore ovest Luce arco diagonale transetto nord centrale Luce arco diagonale transetto nord minore est

10,93 m = 18,37 br = 18 br 4 o ca = 32 br 19,06 m = 32 br 11,09 m = 18,64 br = 18 br 8 o (segue)


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giulia ceriani sebregondi, richard schofield

ARCHI TRASVERSALI

38,22 br 50,3 br 76,41 br 50,3 br 38,2 br

= = = = =

38 br 3 o 50 br 4 o 76 br 5 o ca 50 br 4 o 38 br 2 o ca

Intradosso arco trasversale navata esterna nord Intradosso arco trasversale navata mediana nord Intradosso arco trasversale navata centrale Intradosso arco trasversale navata mediana sud Intradosso arco trasversale navata esterna sud

22,74 m = 29,94 m = 45,46 m = 29,94 m = 22,72 m =

Intradosso arco trasversale mediano transetto nord Intradosso arco trasversale mediano transetto sud

30 m = 50,43 br = 50 br 5 o 30,01 m = 50,44 br = 50 br 5 o ca

Freccia arco trasv. navata centrale (intradosso) Freccia arco trasv. navata mediana (intradosso) Freccia arco trasv. navata esterna (intradosso)

14,51 m = 24,4 br = 24 br 5 o ca 6,24 m (media) = 10,5 br = 10 br 6 o 6,09 m = 10,24 br = 10 br 3 o ca

Tavole sinottiche di alcune dimensioni notevoli del Duomo  Interasse navate minori

Interspazio navate minori

Interasse navata maggiore

Interspazio navata maggiore

Stornaloco I

16 br

Stornaloco II

16 br

12 br

32 br

28 br

Franchetti 1821

16,2 br ca165 9,643 m

12 br ca 7,114 m

32,4 br ca 19,286 m

28,2 br ca 16,757 m ca166

Artaria 1823

16:1 br 9,5686 m

Zuccari, De Castro 1863

16,14 br ca 9,60 m

Siebenhüner 1944

16,4 br ca 9,75 m

Ferrari 1973

16,14 br ca 9,60 m

32:2 br 19,1371 m

32,3 br ca 19,20 m 11,8 br ca est. 7,07 m med. 7,01 m

Veneranda Fabbrica 2010

Polimi 2019

32 br

16 br ca min 9,57 m max 9,62 m

11,9 br ca min 7,04 m max 7,13 m

27,3 br ca 16,25 m 27,8 br ca 16,52 m

32,3 br ca 19,22 m

28 br ca 16,69 m

 Franchetti 1821, pp. 26-27; Artaria 1823, p. 43; Zuccari, de Castro 1992 [1863]; Beltrami 1964, p. 91; Siebenhüner 1944; Ferrari da Passano 1973, pp. 11-96, pp. 77-80, dis. 3-6; Veneranda Fabbrica 2010; Politecnico di Milano 2019.  Le misure in braccia in corsivo sono quelle da me derivate da quelle in metri, adottando però il sistema decimale per semplificare il calcolo.  Le misure in metri in corsivo sono quelle da me calcolate dai rilievi e non indicate espressamente per iscritto dagli autori.




jessica gritti, richard schofield

In apertura Dolcino riporta il luogo comune secondo cui la chiesa somiglia a una figura umana sdraiata con le braccia aperte. Le dimensioni espresse per quanto riguarda la pianta sono corrette solo in parte, dal momento che la lunghezza reale dell’edificio, raggiunta molti anni dopo la stesura del testo di Dolcino, ma come è noto già stabilita nel Trecento, è di 248 br e non di 240, cifra ottenuta da Dolcino semplicemente moltiplicando la misura di una campata in interasse per il numero delle campate stesse (16 br × 15 campate); l’autore riporta invece correttamente la larghezza di 128 br in interasse del transetto (16 br × 8 campate), a quel tempo già costruito e visibile. Quando Dolcino passa a trattare delle altezze della cattedrale, specifica anzitutto come la fabbrica fosse in corso di completamento sulla base di un quadrato di 128 br, corrispondente alla larghezza dei transetti, e come questa misura coincidesse con l’altezza della volta più alta, ossia quella del tiburio. Si tratta evidentemente di un fraintendimento, perché una quota di 128 br non è compatibile con lo schema geometrico alla base delle proporzioni del Duomo. Dolcino avrebbe dovuto invece indicare in 128 br la base del triangolo equilatero utilizzato per raggiungere la quota del tiburio: questo triangolo produce un’altezza di 110,93 br, moltiplicando 128 per 26/30, o di 112 br moltiplicando 14 br × 8, ossia il tipo di approssimazione usualmente utilizzata dagli architetti del Duomo. Alla fine del capoverso sulle dimensioni, Dolcino dichiara che la quota per le imposte delle volte delle navate minori esterne è di 28 cubiti ossia braccia, che l’altezza dell’imposta delle navate mediane è di 42 br e quella per l’imposta delle volte della navata maggiore è di 56 br. Le ultime due quote provengono da Stornaloco I ma, come è noto, le altezze reali stabilite con lo schema Stornaloco II e poi costruite, sono di quasi 40 br per le navate mediane e 52 br per la centrale. Dolcino descrive nel dettaglio i tre triangoli equilateri che a suo parere definiscono le altezze della cattedrale, dalla volta della navata centrale alla sommità della guglia maggiore. Egli inscrive anzitutto tutti i triangoli entro un quadrato: «in hac figura quadrilatera tres trigoni fundantur» (fig. 23). Il significato che si assegna alla preposizione «in» è molto rilevante, perché se Dolcino intendesse dire, in senso stretto, che la base dei tre triangoli si imposta all’interno di quella del quadrato, cioè che può essere lunga non più di 128 br, la regola sarebbe valida solo per due dei tre triangoli. Se, invece, «in» significasse «sulla linea» di base con lunghezza 

Il topos deriva da Vitruvio 3, 1, 2, ma compare nelle fonti relative al Duomo, seppur in forma diversa, già negli anni Novanta del Trecento (Ackerman 1949, p. 98).  Franchetti 1821, pp. 26-27: la lunghezza totale partendo dalla superficie interna della parete della facciata fino alla superficie interna della parete che circonda il coro è di braccia milanesi 248, o 11, punti 5, corrispondenti a 148,109 m.  «Eadem [128 br] etiam a terra ad fornicem, qui coeterorum altissimus tugurium appellatur, altitudo»: Dolcino sta parlando dell’altezza della volta del tiburio e non della sua base.  Dolcino si premura di specificare che «cubitum autem ubique intelligo eam mensuram quam nostri mensores brachium dicunt».


10. stefano dolcino e la sopravvivenza di stornaloco



di 128 br, ammettendo la possibilità di prolungare la linea lateralmente per impostare triangoli con una base più lunga, allora la descrizione di Dolcino prenderebbe senso. Parrebbe in verità che per Dolcino sia valida la prima ipotesi, cioè entro e non oltre le 128 br, e dobbiamo quindi considerare questo come un errore rispetto al terzo triangolo, quello che definisce l’altezza della guglia maggiore. La prima altezza descritta da Dolcino è quella della navata maggiore, ottenuta con un triangolo equilatero con base di 96 br, corrispondente alla larghezza in interasse di tutte e cinque le navate. L’altezza della perpendicolare posta sull’asse mediano è, secondo Dolcino, tra le 83 e le 84 br. Questo primo triangolo è identico a quello descritto nello schema Stornaloco I, abbandonato già nel maggio 1392, che stabilisce la quota dell’estradosso della volta della navata maggiore. Dolcino definisce l’altezza dell’asse mediano non semplicemente calcolabile con l’uso di numeri interi («non numerorum ratiocinationibus comprehendere possumus»), e la chiama l’«anima» dell’edificio. Un secondo triangolo equilatero, dedotto usando le proporzioni dello schema Stornaloco I, stabilisce l’altezza della volta del tiburio: questo triangolo si basa sulla larghezza di 128 br dei transetti e il suo vertice raggiunge l’altezza di circa 110 br, quota che può essere approssimata a 112 br, usando il metodo degli architetti del tempo, cioè moltiplicando 14 br × 8. Questa dimensione implica un’altezza per la volta del tiburio di 28 br, ovvero 112 br meno le 84 corrispondenti alla quota dell’estradosso della volta della navata centrale, secondo lo schema descritto da Dolcino e basato sempre su Stornaloco I. Notiamo che, in effetti, l’autore corregge in questo punto l’errore iniziale secondo cui l’altezza del tiburio sarebbe stata di 128 br. Il terzo triangolo stabilisce, secondo Dolcino, l’altezza della «laterna», ossia guglia maggiore, fissata a 146 br. Non è chiaro come Dolcino arrivi a questa quota: un’altezza di 146 non è infatti congruente con lo schema Stornaloco I, perché non produce numeri interi se divisa per 14 o per 28. Un triangolo equilatero alto 146 br implicherebbe lati lunghi almeno 168 br per garantire una proporzione corretta, dimensione che non appartiene ai multipli utilizzati in pianta, cioè moduli di 16 o 32 br facilmente addizionabili alla larghezza delle navate e del transetto. Un tentativo di spiegare questa proposta deriva dall’osservazione di elaborati grafici successivi e in particolare del f. 4v del secondo tomo della Raccolta Bianconi (fig. 95). Questo disegno mostra in basso al centro una serie di tratti orizzontali con riportate le lunghezze, che corrispondono alle basi su cui si impostano i triangoli dello schema geometrico della cattedrale. Alle consuete 96 br (larghezza delle cinque navate) e 128 br (larghezza del transetto) prese in interasse, si aggiunge una dimensione di 134 br, spiegabile solo osservando il numero 3 posto a destra in corrispondenza dello spessore occupato dalle murature esterne dei transetti, esclusi

 

83,2 usando la formula 26/30. 110,9 usando la formula 26/30.


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jessica gritti, richard schofield

i contrafforti (128+3+3 = 134). La misura di 134 br sembra dunque corrispondere alla larghezza del transetto non più in interasse, ma comprensiva delle murature perimetrali. Aggiungendo un modulo di 16 br a destra e sinistra di questa dimensione si ottiene una base lunga 166 br, compatibile con un triangolo equilatero il cui vertice raggiunge la quota di circa 143 br e 9 o, la dimensione più vicina che siamo riusciti a trovare alle 146 br proposte da Dolcino. Si tratta però solo di un’ipotesi che tiene in considerazione l’esistenza di riflessioni in corso sulla possibilità di costruire figure geometriche entro lo schema, basate sulle dimensioni del transetto comprensive delle pareti (134 br), anche se occorre tenere in considerazione che il disegno al f. 4v del secondo tomo della Raccolta Bianconi non suggerisce in nessun modo di costruire sulla base di 134 br un triangolo equilatero, bensì un rettangolo. Inoltre, l’estensore del disegno tenta di spiegare questa dimensione sommando una nuova circonferenza concentrica alle altre dello schema, che interseca la linea di base della cattedrale alle estremità del transetto, ma che non riesce a ricomprendere al suo interno nessun elemento in particolare della parte superiore della struttura e va quindi a perdersi contro la linea di inclinazione della falda del tetto del tiburio (si veda in particolare sul lato sinistro del disegno). È possibile comunque che l’estensore del f. 4v, che si mostra molto ben informato sulle proporzioni della cattedrale e i principi geometrici che la regolano, conoscesse anche il testo di Dolcino. Pur se permane un dubbio sulla dimensione proposta da Dolcino, la presenza di queste due fonti, che sembrano mostrare qualche elemento in comune e specialmente di lunghezze differenti da quelle che troviamo negli altri elaborati, conferma che in questi anni vi fossero discussioni anche sull’altezza della guglia maggiore e che questa sia stata definita infine, e ragionevolmente rispetto alle proporzioni basate sullo schema originario di Stornaloco I, solo dopo o nell’ambito delle decisioni definitive sul tiburio del giugno 1490. A questo proposito Cesare Cesariano nel 1521 afferma che Amadeo e Dolcebuono avrebbero desiderato costruire la guglia maggiore alta 168 br, quota perfettamente compatibile con gli schemi di triangolazione che conosciamo, poiché impostata su una base di 192 br, ottenuta aggiungendo semplicemente quattro moduli da 16 br alle 128 br del transetto. Possiamo dunque interrogarci in qualche misura sui dati a disposizione di Stefano Dolcino nell’aprile del 1489: sembra evidente che egli conoscesse piuttosto bene lo schema originario di Gabriele Stornaloco e che lo considerasse ancora attuale nell’ambito del completamento della cattedrale e delle discussioni in corso relative all’altezza del tiburio, quota che poteva essere considerata nella sostanza già ben definita. La descrizione di Dolcino sembra confermare che a questa data non si fosse ancora stabilita l’altezza finale della guglia maggiore, dal momento che la quota proposta da Dolcino non coincide con quella stabilita successiva Si ricorda che nel disegno compare poi anche la dimensione di 144 br, molto vicina alla larghezza totale del transetto comprensiva dei contrafforti esterni.


10. stefano dolcino e la sopravvivenza di stornaloco



mente, testimoniata per la prima volta solo da Cesariano nel 1521, e che non esiste nessuna altra fonte, precedente o successiva a Dolcino, che proponga una quota di 146 br. Anche Luca Beltrami aveva tentato di ricostruire lo schema di Dolcino in un disegno oggi conservato presso la Civica Biblioteca d’Arte di Milano (fig. 22). Beltrami mostra i primi due triangoli impostati su basi di 96 e di 128 br, con l’altezza della navata centrale a 83 o 84 br e quella del tiburio a 110 br circa e illustra, inoltre, il quadrato previsto da Dolcino alto 128 br, scegliendo quindi di indicare come altezza del fornice del tiburio quella espressa da Dolcino all’inizio del testo che, come abbiamo detto, non coincide in nessun modo né con lo schema Stornaloco I, né con Stornaloco II e, inoltre, è in aperta contraddizione con quanto calcolato da Dolcino stesso in un secondo momento. Beltrami divide l’«anima» dell’edificio in unità di 9 br e tenta di dare una spiegazione alla quota di 146 br indicata da Dolcino per la guglia maggiore: egli suggerisce di impostare la base del triangolo di 128 br, 36 br più in alto rispetto alla quota del pavimento, ossia quattro unità verticali da 9 br (36+110 = 146). Non è chiaro perché Beltrami decida di utilizzare unità di 9 br, dal momento che non rientrano nella logica proporzionale della cattedrale, ma forse si tratta di una conseguenza del suo modo di procedere nella comprensione attraverso l’uso del disegno e del compasso: puntando il compasso sul vertice di 146 br del triangolo con base rialzata, egli traccia una linea curva partendo dall’estremità del cateto di sinistra che interseca l’anima alla quota di 18 br e divide quest’ultimo risultato per 2. Al termine della sua descrizione dell’aprile 1489 Dolcino dichiara senza esitazione che il «tiburium [...] octagonum erit», ben due mesi prima che gli architetti confermino la scelta della forma ottagonale nella riunione del 27 giugno 1490. Secondo Dolcino – inspiegabilmente – i lati dell’ottagono di base del tiburio sarebbero stati lunghi 19 br (sono in realtà poco più di 12 br), proponendo dunque un perimetro del tiburio di 152 br (19 × 8). Beltrami aveva ipotizzato che il numero 19 fosse un refuso per 15, ma quest’ipotesi è contraddetta dal fatto che la moltiplicazione di Dolcino, 8 × 19 = 152, è corretta. Resta ignoto per quale motivo Dolcino trovi interessante indicare la dimensione del perimetro del tiburio, dato che non lo esplicita nel testo. Nell’ambito di tutte le discussioni teoriche sul tiburio, un’immediata reazione di fronte a quanto scrive Dolcino, recuperando Stornaloco I e semplicemente ignorando le modifiche avvenute con Stornaloco II, sarebbe quella di considerare la descrizione come una fuorviante divagazione di un dilettante di architettura affascinato da uno schema geometrico superato da quasi un secolo. Tuttavia, questa conclusione pare troppo affrettata se consideriamo come, alla fine degli  Civica Biblioteca d’Arte di Milano, Raccolta Beltrami, A IV, 28r. Sul verso ci sono 9 piccoli schizzi nei quali si coglie in che modo Beltrami stesse riflettendo sul testo di Dolcino.  Beltrami 1964, p. 372.


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jessica gritti, richard schofield

anni Ottanta, Dolcino fosse certamente in stretto contatto sia con i deputati della Fabbrica del Duomo, sia con gli architetti stessi. Verso la fine del suo capitolo sul Duomo, dopo aver descritto la configurazione della cattedrale, le statue e i vari strumenti meccanici, afferma di aver acquisito queste conoscenze «ex adversaria [sic] architectorum et ex ephemeridibus epistatarum». Dolcino aveva dunque avuto accesso alle carte o ai resoconti degli architetti e ai volumi di documenti (le Ordinazioni capitolari presumibilmente) della Fabbrica del Duomo, senza dubbio egli conosceva di persona alcuni degli ingegneri coinvolti e sembra certo che, come più tardi Cesare Cesariano, avesse visto qualche disegno o descrizione del primo schema di Stornaloco. Dolcino resta inoltre, anche in seguito, molto interessato al Duomo e in contatto con la Fabbrica, visto che compare di nuovo nel 1503 alla riunione per discutere i progetti per la porta di Compedo. Resterebbe comunque da spiegare perché Dolcino descriva un sistema per il calcolo dell’altezza delle volte della cattedrale già abbandonato nel 1392, ossia lo schema Stornaloco I, quando avrebbe potuto aggiornare le sue riflessioni su quanto concretamente realizzato. Per tentare di rispondere a questa domanda è opportuno considerare che la descrizione di Dolcino non solo riflette i dibattiti coevi ed estremamente accesi sul completamento del tiburio, ma anche anticipa i pensieri degli autori del documento del 27 giugno 1490. Un confronto tra il testo di Dolcino e il documento del 1490 rivela come anche Francesco di Giorgio, Amadeo e Dolcebuono proponessero di costruire il tiburio secondo le dimensioni desumibili dal sistema originario di triangoli sviluppato da Stornaloco nel 1391, e non secondo quelle successive alla revisione del 1392: si tratta in definitiva di una sorta di recupero dello schema originario nelle parti alte della cattedrale. Nel 1521 le celebri incisioni e il testo di Cesariano ci confermano questa impressione e provano che lo schema geometrico Stornaloco I resta il perno irrinunciabile attorno a cui ruotano tutti gli argomenti relativi alle dimensioni della cattedrale, sia per il tiburio negli anni Novanta, sia per le successive riflessioni sulla guglia maggiore. In chiusura, si noti che proprio dell’altezza della guglia maggiore non possediamo alcun accenno prima del testo di Stefano Dolcino, anche se sembra certo che gli architetti del Duomo avessero cominciato a interrogarsi sulla sua forma già negli anni Novanta del Trecento, come dimostra la splendida illustrazione sul manoscritto con gli Ordo et caerimoniae Ecclesiae Ambrosianae Mediolanensis di Beroldo (fig. 28). Il problema della guglia maggiore non sembra comunque divenire d’attualità fino al completamento del tiburio, dal momento che la «laterna» merita solo un accenno più che generico nel documento del 27 giugno 1490.



Annali III, 1880, p. 125; Repishti 2017b, pp. 189-194.  ASCMiBT, Trivulziano 2262, f. 1r.  «Item de fare li ornamenti, lanterna et fiorimenti, conformi

a l’ordine delo hedificio et resto dela giesa»; 1490, 27 giugno; ASMi, Comuni, 48; si veda Appendice documentaria II.


11. l’anno 1490 Francesco Repishti, Richard Schofield

Nel corso del 1490, il Capitolo della Fabbrica appare come colto dall’ansia di non aver ancora potuto avviare il progetto definitivo del tiburio, e assistiamo a una accelerazione delle iniziative e degli eventi dovuta soprattutto all’azione del nuovo arcivescovo di Milano, Guido Antonio Arcimboldi (dal gennaio 1489) e di Ludovico Maria Sforza, sebbene non sia ancora nominato duca. Infatti, sollecitato dal deputato di Porta Nova, Gabriele Paleari, il 14 marzo 1490 il Capitolo scrive all’oratore milanese a Firenze alla ricerca di un ingegnere: il mese dopo, i deputati si radunano nel Palazzo Arcivescovile dichiarando di non avere ancora trovato un ingegnere all’altezza dell’impegno, per le risposte ricevute, tutte negative, alle lettere inviate al papa, in Sicilia, nel Veneto, e a Firenze. In questa stessa occasione i deputati, in mancanza di altri candidati, nominano Amadeo e Dolcebuono come gli ingegneri più competenti, affidando ai due maestri il progetto del tiburio. Per la precisione deliberano che i due ingegneri scelgano un «modelum eis placibilem ex modelis in prefata fabbrica existentibus quem reducant in illam perfectionem prout eorum prudentie videbitur». Ma la loro azione non è del tutto libera, perché si specifica che questo nuovo modello «placibilis» – da cui non emerge con certezza se si tratti di un disegno o di un modello di legno – sia poi sottoposto al giudizio di Francesco di Giorgio e di Luca Fancelli – due ingegneri eletti «iudices et scrutatores». Così lo stesso giorno, il 19 aprile 1490, la cancelleria ducale invia le due lettere di richiesta, alla Balìa di Siena per ottenere l’aiuto di Francesco di Giorgio e al duca di Mantova per il ritorno a Milano di Fancelli. La formula adottata nelle due lettere è leggermente differente: prima di presentare la loro richiesta, i deputati dichiarano ai senesi e al duca che stavano ricercando in altre città architetti eccellenti in grado di contribuire alla soluzione del problema presentando i loro «archetypum seu modellum» (Siena) e «l’archetypum seu, ut isti vocitant, modellum» (Firenze). E, sempre il 19 aprile, i deputati ordinano a Franchino Gaffurio, che si era offerto spontaneamente, di recarsi a Mantova per accompagnare Fancelli, e a    

Raponi 1961. 1490, 14 marzo; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 218v; si veda Appendice documentaria II. 1490, 13 aprile; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 221v; si veda Appendice documentaria II. 1490, 19 aprile; ASMi, Registri delle missive, 178, ff. 205r-v; si veda Appendice documentaria II.




francesco repishti, richard schofield

Caradosso Foppa perché accompagni Francesco di Giorgio da Siena a Milano. All’interno di queste lettere e deliberazioni non c’è però alcun riferimento a possibili «archetypa» già preparati dai due maestri non milanesi. Tra aprile e maggio a Gaffurio sono rimborsate le spese per il viaggio a Mantova per accompagnare Fancelli a Milano, ma non è per nulla certo che il fiorentino sia arrivato a Milano perché non c’è traccia della sua presenza al Duomo durante tutte le discussioni tra giugno e luglio 1490. Inoltre, una lettera datata 4 giugno 1490, nella quale a Fancelli è nuovamente offerta la guida del cantiere del tiburio, ci suggerisce che Fancelli possa trovarsi ancora a Mantova. Nella settimana successiva a queste importanti decisioni, il 26 aprile, il Capitolo si trova anche a decidere sulla nuova offerta di «artem architecturae necessariam ad perficiendum modellum tuburii» da parte del frate domenicano Giovanni Mayer, da Vienna. L’offerta non è respinta completamente e quindi rimandata. Il 10 maggio invece si acconsente alla richiesta di Leonardo da Vinci di ritirare il modello del tiburio costruito nel 1487 per «adere spalas ei areptas seu devastatas», con l’impegno della sua restituzione in caso di necessità. Sappiamo che ciò non accadrà mai, ma inspiegabilmente i deputati pagano le spese per la riparazione di questo modello poco prima della decisione finale presa nel giugno 1490. La parola «spalla» (contrafforte) può assumere varie sfumature: stipiti di una porta o finestra e dei contrafforti di un ponte o di un arco e così via. Nella documentazione relativa al cantiere del Duomo, il termine si riferisce anche alle  Franchino Gaffurio è il maestro di cappella del Duomo dal 22 gennaio 1484 sino al 25 giugno 1522, giorno della sua morte. Non documentati sono invece i rapporti tra Caradosso Foppa e la Fabbrica a questa data.  «Archetypum» è un termine piuttosto letterario usato raramente nella documentazione relativa all’architettura. Abbiamo notato pochi esempi: (1) = disegno: «[ampliatio] iuxta archetypum sive exemplar [...] transmittendum» (Baroni 1968, p. 324); (2) = modello di legno: Giovanni Pietro Visconti nella sua lettera del 15 novembre 1518 usa la frase «archetypum istius templi formaturum» in riferimento al grande modello di legno del Duomo che sta per essere costruito (Appendice documentaria III). Si veda anche Cesariano: «hano considerato li praedicti domini fabriceri & li nostri maiori construere questo archetipo aciò sia commembratamente exquisita» (Cesariano 1521, f. 110v).  1490, 30 aprile; AVFDMi, Registri, 673, f. 18r; 1490, 4 maggio; AVFDMi, Registri, 841, f. 53v; 1490, 18 maggio; AVFDMi, Registri, 841, f. 61r; si veda Appendice documentaria II. La Fabbrica non rimborsa alcuna spesa del presunto soggiorno di Fancelli nel maggio 1490.  1490, 4 giugno; ASMi, Registri delle missive, 178, f. 221r-v; Appendice documentaria II. Occorre segnalare che alla data 1490, 10 maggio, leggiamo negli Annali III, 1880, p. 57: «Maestro Luca fiorentino chiede gli sia dato il modello del tiburio cui vuole aggiungere le spalle che furono guaste e strappate asserendo che dopo si troverà essere quel modello compiuto e perfetto. Ordinarono che gli si debba consegnare il chiesto modello da restituirsi ad ogni richiesta». Questo documento è un dopplegänger di un documento della stessa data che riferisce invece a Leonardo e il suo modello (1490, 10 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 224v).  A Mayer sono pagate le spese per la realizzazione di un modello ligneo tra il 1488 e il 1489. Ricordiamo che Dolcebuono sottoscrive un contratto con il quale si impegna a realizzare il modello del frate domenicano (1489, 21 ottobre; ASMi, Notarile, 1949; si veda Appendice documentaria II).  1490, 10 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 224v; si veda Appendice documentaria II.


11. l’anno 1490

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masse murarie a destra a sinistra dei grandi archi acuti che formavano piatteforme su cui i lapicidi e carpentieri lavoravano. Leonardo usa il termine anche in una didascalia a un disegno che illustra contrafforti ovvero archi rovesciati: «l’archo riverscio è megliore per fare isspalla che l’ordinario perché il riverscio trova sotto se muro resistente alla sua deboleza e ll’ordinario non trova nel suo debole se non aria» (fig. 37). Quindi non è assolutamente chiaro se le spalle del modello di Leonardo siano contrafforti o archi rampanti sull’esterno del tiburio, o, più probabilmente, che la parola si riferisca in qualche modo alle murature interne della crociera e forse anche ai pennacchi. La situazione quindi è curiosa: da una parte Amadeo e Dolcebuono sono incaricati della scelta di un progetto tra quelli presentati in precedenza da altri architetti e ingegneri e la loro opera sia poi giudicata da Francesco di Giorgio e Luca Fancelli. Dall’altra i deputati prendono tempo sulla proposta di Giovanni Mayer (il cui modello era stato realizzato da Dolcebuono l’anno precedente) e acconsentono a Leonardo, informato dell’arrivo dei due maestri toscani, di ritirare il suo modello per fare alcune modifiche. I deputati ignoreranno completamente questi due modelli, come accadrà per i progetti presentati da Sirtori e Battagio nella decisiva riunione del 27 giugno del 1490. Francesco di Giorgio Martini giunge a Milano tra il 21 e il 28 maggio 1490 perché il 28 maggio la Fabbrica rimborsa le spese del viaggio di accompagnamento a Giovanni Antonio da Gessate. Il 31 maggio Francesco partecipa ad una riunione preliminare convocata nella residenza dell’arcivescovo con Amadeo, Dolcebuono 

I significati della parola possono essere chiariti dalla documentazione sul Duomo: (1) gli stipiti di porte, finestre, contrafforti di ponti e di aperture di vari tipi (Cherubini 1839, 2, p. 185: «Spali, spallette, spalle, stipiti. Quei due membri d’una porta, finestra o simile che posano sulla soglia e reggono l’architrave»; Annali, Appendice III, 1885, p. 313: «spalla o franchi di porte, finestre etc.»: Schofield, Shell, Sironi 1989, p. 544. Oppure cfr. Leonardo da Vinci, Il manoscritto A 1990, f. 53r, disegno e didascalia in basso a sinistra. (2) Sempre all’interno del Duomo, le masse murarie ai lati delle bucature, finestre o i grandi archi acuti; in sostanza è lo stesso significato di sopra; poi essendo questi muri di un certo spessore, ci si può stare sopra come piattaforme: «item quod archi et spallae dictarum fenestrarum in sacrastiis non habent suam rationem pro ibi ponendo figuras» (1400, 11 gennaio; Annali I, 1877, p. 203); «allegantes fore melius attendere spalis et aliis muris spectantibus ad illas [le finestre dell’abside], quibus possit procedi ad alias circumvolutiones [Du Cange 1883-1887, 8, p. 377; s.v. volutio: «concameratio, fornix, transvolutio, volta»; Niermeyer 1976, p. 1117; s.v. volutio] fiendas, et subsequenter ad thiborium magnum dictae ecclesiae; tandem facta multa ventilatione de praemissis, praefati de consilio etiam applaudentes tali avisamento laborerii spalarum ut supra, et murorum seu parietum circumstantium, quibus ecclesia in altius cito erigetur» (1419, 25 maggio; Annali II, 1877, p. 30). Nel caso del Duomo queste zone orizzontali sostenute dagli archi erano così grandi che avevano i loro propri ufficiali per organizzare i lavori ad esempio «Stachino Scroxati superstites ad spalas tiburii» (1474, 22 aprile); «Iohanni Theodoro de Breppia superstiti ad spallam in ecclesia maiori Mediolani et super tiburium» (1486, 5 giugno). Nel 1422 un carpentiere costruisce una gru sopra la spalla di uno degli archi: «magister Antonius de Bassignana ingegniarius pro eius solutione fabricature unius instrumenti lignei cum rota una magna, per ipsum eius ingenio fabricati, pro trahendo super spallas et pillonos [...] lapides grossos marmoris et sariceos» (1422, 14 luglio; Annali, Appendice II, 1885, p. 7).  ASCMiBT, Cod. Triv. 2162, f. 8r; si veda Il codice trivulziano 1980, p. 50.



1. Milano, Duomo; facciata (ŠVeneranda Fabbrica del Duomo di Milano)


2. Milano, Duomo; planimetria attuale (ŠVeneranda Fabbrica del Duomo di Milano)


3. Milano, Duomo; pianta a quota 1,5 m, con evidenziata la griglia modulare di 16 × 16 br milanesi (©Politecnico di Milano 2019; elaborazione grafica Giulia Ceriani Sebregondi)



4. Milano, Duomo; planimetria delle coperture (ŠVeneranda Fabbrica del Duomo di Milano)

5. Milano, Duomo; sezione trasversale, con evidenziati gli allineamenti tra intradossi delle volte minori e imposte delle volte maggiori; misure in braccia milanesi (ŠPolitecnico di Milano 2019; elaborazione grafica Giulia Ceriani Sebregondi)


8. Milano, Duomo; sezione trasversale del tiburio (ŠPolitecnico di Milano 2019)


9. Milano, Duomo; sezione sull’asse nord-sud del transetto (©Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano) 10. Milano, Duomo; sezione trasversale del tiburio, dettaglio (©Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano)


19. I quattro progetti che si sarebbero susseguiti nella fabbrica del Duomo secondo Ackerman: (a) Antonio di Vincenzo, 1390; (b) Gabriele Stornaloco, 1391; (c) Heinrich Parler, 1392; (d) progetto con triangoli pitagorici, 1392 (Ackerman 1949, p. 89)


20. L’altezza del Duomo come realizzato comparata a quella di uno schema ad triangulum (2) e a quella di uno basato su triangoli pitagorici (3) (Verga 1980, p. 25, fig. 9)



21. Planimetria del Duomo con la dedicazione e la datazione delle chiavi d’arco (©Morscheck 2019; elaborazione grafica Riccardo Mazzoni)

22. Luca Beltrami, ricostruzione dello schema di Stefano Dolcino; Milano, Civica Biblioteca d’Arte, Raccolta Beltrami, A. IV. 28r (©Comune di Milano. Tutti i diritti di legge riservati) 23. Ricostruzione dello schema proporzionale descritto da Stefano Dolcino nell’aprile 1489 (elaborazione grafica Jessica Gritti)


28. Giovannino de Grassi, Salomone de Grassi e bottega, Beroldo, Ordo et cerimoniae Ecclesiasticae Ambrosianae Mediolanensis, 1396-1398; ASCMiBT, Trivulziano 2262, f. 1r (ŠComune di Milano. Tutti i diritti di legge riservati) 29. Incisione da disegno di G. Peluzzi raffigurante la perduta tavola di Stefano da Pandino con Gian Galeazzo Visconti nell’atto di offrire alla Vergine il modello del Duomo di Milano (Ceruti 1879)


30. Copista anonimo, Cupola della cattedrale di Sforzinda, anni Ottanta del XV secolo; A. Averlino detto il Filarete, Trattato di architettura, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.140, f. 52v


31. Beltramino Zutti da Rho, Dio Padre, 1418-1425; Milano, Museo del Duomo (©Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano) 32. Cristoforo de Predis, Libro d’ore Borromeo, 1471 ca; BAMi, SP 42, f. 12r (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana)


33. Cristoforo de Predis, Leggendario, 1475-1476; Biblioteca Reale di Torino, Varia 124, f. 43r



46. Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, f. 719r (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana) 47. Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, f. 400r (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana)

48. Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, f. 818r (©Veneranda Biblioteca Ambrosiana)


49. Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, f. 850r (ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana)


50. Leonardo da Vinci; BAMi, Codice Atlantico, f. 851r (ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana)


57. Donato Montorfano, Sant’Antonio abate libera un’indemoniata, dettaglio, 1485-1490; Milano, San Pietro in Gessate, cappella Obiano


58. Ambrogio da Fossano detto Bergognone, Crocifissione, dettaglio, 1490; Certosa di Pavia


59-60.  Donato Montorfano, Crocifissione, dettagli, 1495; Milano, refettorio di Santa Maria delle Grazie (ŠMauro Ranzani)


61. Ambrogio da Fossano detto Bergognone, Visitazione, dettaglio, 1498-1501; Lodi, Santa Maria Incoronata 62. Ambrogio da Fossano detto Bergognone, Madonna del velo, dettaglio, 1512-1515; collezione privata


91. Modello ligneo del Duomo, dettaglio del tiburio, XVI secolo; Milano, Museo del Duomo


92. Anonimo, Pianta parziale e sezione prospettica del Duomo di Milano, secondo quarto del XVI secolo; BAMi, cod. F 251 inf., 35 (ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana)


93. Anonimo, Prospetto di una cappella, prima metà del XVI secolo; BAMi, cod. F 251 inf., 218 (ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana)


94. Anonimo, Sezione trasversale del Duomo di Milano, seconda metà del XVI secolo; BAMi, cod. S 148 sup., 4 (ŠVeneranda Biblioteca Ambrosiana)


127. Certosa di Pavia; volta sulla crociera 128. Certosa di Pavia; dettaglio delle trombe della volta sulla crociera


129. Certosa di Pavia; tiburio 130. Certosa di Pavia; tiburio, dettaglio delle scale di accesso alla galleria 131. Certosa di Pavia; tiburio, dettaglio dell’arco semicircolare esterno


132. Pavia, San Salvatore; volta sulla crociera (ŠMarco Leoni) 133. Strasburgo, Nôtre-Dame; sezione sulla crociera (Dehio, von Bezold 1887-1901, Atlas II, tav. 179)


134. Diesdorf; pianta (Dehio, von Bezold 1887-1901, Atlas 2, tav. 168) 135. Trebitsch, San Procopio; pianta (Dehio, von Bezold 1887-1901, Atlas 2, tav. 168)


136. Trebitsch, San Procopio; volte 137. Napoli, Castel Nuovo; volta della sala dei Baroni


138. Freiburg-im-Breisgau, Duomo; volta del coro dei monaci (Brehm 2013, p. 92) 139. Milano, San Maurizio al monastero Maggiore; volta interna (ŠMarco Leoni)


140. Cristoforo Solari, Modello ligneo del Duomo di Como, 1519; Como, Pinacoteca Civica 141. Modello ligneo del Duomo di Urbino secondo il progetto di Francesco di Giorgio Martini (Francesco di Giorgio architetto 1993, p. 23)


12. il testo del “dispositivo” del 27 giugno 1490 Francesco Repishti, Richard Schofield

A questo punto occorre esaminare i dodici punti che costituiscono le indicazioni sottoscritte dagli architetti e dai presenti in occasione della riunione tenutasi nel Castello di Milano il 27 giugno 1490, delle quali possediamo due copie quasi identiche, la prima in Archivio di Stato e la seconda nell’Archivio della Fabbrica trascritta nelle Ordinazioni capitolari del 16 luglio. I dodici punti sono redatti da «magistro Francisco insciema cum li predicti de acordo» perché costituiscano una memoria condivisa prima dell’esecuzione del modello definitivo, e seguono nella loro elencazione una logica che progressivamente descrive dal basso verso l’alto la struttura del tiburio e della volta (figg. 81, 82, 83). [1] primo: voltare sopra l’archo acuto uno archo tondo di marmoro de tuto sexto impostato nelli pillastri dela medesma groseza che è l’agudo, la quale groseza è onze 22, con uno altro archo acanto a questo et unito, dela medesma circumferentia et groseza dala banda di fora coligato con il dicto et impostato nelli dicti pillastri ad ciò se possa fare li corradori sopra il fermo e non in area; [Occorre costruire un arco a tutto sesto di marmo sopra l’arco acuto e impostato sui piloni; quest’arco deve essere della stessa larghezza dell’arco acuto, cioè di 22 once (1,078 m); inoltre si deve costruire un altro arco parallelo e affiancato a questo della stessa forma e dimensioni legato al primo e collocato verso l’esterno, sempre impostato sui piloni, perché i passaggi superiori («corradori») possano essere costruiti su una base solida e non su un vuoto.]

Il punto non chiarisce alcuni aspetti strutturali: (1) se entrambi gli archi su ciascun lato del quadrato debbano essere costruiti di marmo; (2) se gli archi interni siano visibili dalla crociera, come nell’abbazia di Chiaravalle o nel Duomo di Piacenza, interferendo così con le murature sopra gli archi acuti (figg. 122, 125); (3) se esista o meno un collegamento tra gli archi ogivali e gli archi semicircolari; (4) quale sia la distanza tra i due archi semicircolari; (5) cosa si intenda per «coradori», che non vengono ricordati nei punti successivi.  Anche per la cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze il “dispositivo”del 1420 con il succedersi delle operazioni è articolato in 12 punti. Forse in un sistema di misure duodecimale la notazione può considerarsi scontata.  1490, 16 luglio [ma 1490, 27 giugno]; ASMi, Comuni, 48; Appendice documentaria II.  Analisi di questo testo in Bruschi 1978, pp. 375-386; Schofield 1989, pp. 95-100.


 francesco repishti, richard schofield Et super isto capitullo provisum fuit ut supra quod donec plumbo vel aliter prout mellius visum fuerit cooperientur illa tectamina, provideatur de clausura et obtensione dictarum fissurarum fienda cum cemento ad hoc apto et suffitienti, fieri ordinato per inzignerios fabrice tempore opportuno. Item atento quod lapides diffitiunt super dicta fabricha possent accepi lapides scallarum, que sunt desupra sacrastia, eo quia illi nichil fatiunt nec prosunt, quia non habent principium eas uti possendi, sed valde deturpant florimenta dictae sacrastie, et omnibus hominibus eas videntibus dant materiam murmurandi, cum non vident lochum eas uti possendi ad aliquid utille vel placere dicti laborerii. Responsio suprascripti capitulli. Item super isto capitullo provisum fuit quod ipse schalle nullatenus moveantur, quia per modum archuum rebutantium fortitutinem conferunt ecclesie predicte. Suprascripta capitulla provisa fuerunt et porecta per Johannem de Magatis mccccviiii die xvi ianuarii, et ab eis dependunt multae allie avixationes quod per partem his oportebunt descuteri, et quod erit magnum proficuum laborerio predicte fabrice, videlicet qualiter se habere debent tectamina, fenestre et corratorium ac croxerie magne, quoniam nisi talles conclusiones bene sint deliberate, sic et taliter quod animi amplius non habeant mutare propoxitum nullus unusquisque possit facere suum debitum operi dicte fabrice. Responsio suprascripti capitulli. Item super attentis et contentis in hoc capitullo, et etiam ac maxime super expenssis ibidem per magistrum Filippinum de Muthina per inzignerium dicte fabricae, propter dubium fortitudinis archium et croxeriarum fiendarum super croxerias presenti aliter constructas in cullata suprascripte ecclesie, mediante altitudine brachiorum 24 [muri?] fiendi et construendi super ipsas croserias nunc constructas utsupra, et maxime super duobus ultimis pillonis guerziis et capitullis eorum constructis juxta fenestram magnam de medio dicte cullate, quos archus et croseriae fiendos utsupra asserit idem magister Filippinus pro fortitudine fieri debere aut altiores dictis brachiis 24 aut bassiores, provisum fuit ut supra quod pro et super hiis et aliis dietim occurrentibus ac ponderosis, inzigneri dicte fabrice simul et sepius ac sepissime conveniat, concurrant et concorditer deliberent quid fiendum pro meliori et habendo etiam in hiis deliberationem et partecipationem ubi et dum expediat cum inzigneriis huius civitatis Mediolani, ac fabris et alliis in tallibus expertis, talliter cum dilligentia providendo quod a modo nullus pericullus vel dispendium dicte ecclesie possit ullatenus oriri nec schandillum, donec aliter per generalle consillium iam dicte fabrice et hominum huius civitatis praedicte, dum expediat, sallubrius providebitur in praemissis etc.». Annali I, 1877, pp. 289-290

1410, 16 settembre; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, ff. 440r-441r (Cassette Ratti, 29) Disposizioni circa la costruzione degli archi e delle volte della navata maggiore. «Infrascripti sunt ordines facti et deliberati per venerabilem virum dominum fratrem Johannem de Gluxiano [...] ac non magistros Filippinum de Mutina, Christoforum de Giona, Johannem Antonium Magattum et Nicolinum Buzardum, inzignerios venerabilis fabricae maioris ecclesie [...]: In primis deliberaverunt et ordinaverunt quod archus et croxerie et cornixete medii archus magni debeant principiari et incipere, videlicet a capitellis qui sunt facti in nave


appendice ii. regesto dei documenti sul tiburio (1387-1525)



magna supra, excepto tamen suprascripto magistro Christoforo, qui dixit quod principiari debeat altius per br. 4. Item quod dicti archus et cornixete medii archus habeant totum spigulum, et quod croxerie habeant illud spigulum quod eis dari comode potest, et quod etiam dicti archus sint alti a linea capitelorum in medio dicti archus, videlicet subtus clavem dicti archus, br. 24, et quod croserie predicte vadant alte a linea capitellorum supra subtus clavem dicte croxerie brach. 26, et quod cornixete medii archus sint altae a linea capitelorum supra, videlicet subtus clavem, br. 12 et unzias 2 ½. Item quod nasamenta predictorum archus [sic: «archuum»], croxeriarum et cornixetarum et medii arcus laborentur ad cursos ad quadrum et non ad guallandrum, usque ad declaramentum astellarum archuum, croxeriarum et medii archus, et abinde supra ad guallandrum, et quod in pleno seu seu [sic] in colso pillonorum archuum non ponantur lateres aliqui iuxta posse, dum haberi possit seritium aut marmor. Item quod bottazioli voltarum, archuum et croxeriarum fiant et laborentur cum caudis eorum longis, pro posse correspondere grositiei volturarum laterum ipsarum croxeriarum, maxime archuum et croxeriarum navis magne de medio dicte ecclesie, et si per se fieri non poterunt, ut prefertur, fiant cum iuncturis aliorum lapidum. Item quod croxeriae sint grossae de testis 3, et quod lapides dictarum croxeriarum sint voltae ad sextum retundum. Item quod fenestrae quae fabricabuntur in pariete muri navis magne de medio sint large br. 4, et alte br. 6, videlicet circhum in amplitudine et in altura dictarum fenestrarum, laborate secundum designamentum predicti magistri Filippini. Item quod contrafortes, videlicet piloni, ab utraque parte dictarum fenestrarum, sint laborati exterius ad faties, videlicet duo magne et duo parve, et dicte faties vadant ad cantonos per medium bottaziorum dicti pilloni. Item quod murus, in quo fabricantur dicte fenestre, inter unum pillonum et alium, sit grossus onz. 12 et non ultra. Item quod paries et dicti pilloni vadant alti usque ad summitatem archuum magnorum, a mediis capitellis supra, in soma br. 25 et quart. 3, vel circha, videlicet suptus corratorem magnum. Item quod faties parve dicti piloni tangentis [sic: «tangentes»] dictum murum in quo fabricantur fenestre praedicte volvantur ab uno pilono ad alium, pro capamento suprascriptarum fenestrarum et pro guida dictarum fenestrarum, et quod volture sint altae subtus clavem et a clave fenestrarum, supra incipiendo ad aerem dictarum fenestrarum, br. 4, et quod parietes, quae erunt inter pilonos et squanzarium fenestrarum, remaneant grosse onz. 7 [...]. Item quod principaliter et maxime totis viribus intendatur et procedatur circa laborerium, constructionem et perfectionem dimidie parabsidis seu trahune predicte ecclesie et volturarum eius tendentium versus praedictam croxeriam magnam et tiborium ipsius ecclesiae». Nava 1854, pp. 169-171; Annali I, 1877, pp. 302-304; Beltrami 1964, p. 367; Rossi 1982, p. 28


 francesco repishti, richard schofield 1414, [10 maggio]; AVFDMi, Registri, 113, f. 34r Mandato di pagamento a favore di Jacopino da Tradate per opere realizzate ad un capitello del tiburio, danneggiato nel trasporto. «Item quos dedit Jacobino de Tradate pro eius solutione laborature duorum taxallorum marmoris positorum in uno lapide grosso capelli capitelli pironi grossi tibori, qui lapis se rupit ipsum conducendo a Cassina ubi laborant magistri ad pironum suprascriptum et super quibus capellus ipse laboravit dies x in ipso mense martii et non fuit poxite in lista [...] L. iiii». Segnalato da C.R. Morscheck

1414, 20 maggio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, I, f. 497v (Cassette Ratti, 30) Il Capitolo delibera di portare a termine il modello ligneo. «Item pluribus respectibus utsupra tractis et ventilatis de opere prefacte fabrice deliberaverunt et ordinaverunt quod illa forma ecclesie lignaminis existens presentialiter super sala magna Cassine Campi sancti ipsius fabrice iamdudum principiata per nonullos bonos et autentichos ingenierios finiatur et ad finitum opus consumetur sic quod de iis que restant ad avisandum et deliberandum circa tectamina et aliis [sic: «alia»], bonum et maturum possit haberi consilium ac deliberationem». Annali II, 1877, p. 12

1419, 25 maggio Il popolo milanese sollecita i lavori e «subsequenter ad thiborium magnum dicte ecclesiae». Non è stato possibile rintracciare il documento e pertanto è riproposta la versione pubblicata negli Annali. «Quia populus Mediolani videtur male contentari, quod danarii fabricae expendantur et consumantur in perfectione illarum fenestrarum, quae sunt in trahunis seu mediis chubis, sub quibus altare maius dictae fabricae stabilitum est, quod erit in longum sine aliqua apparientia nec utilitate dictae ecclesiae, allegantes fore melius attendere spalis et aliis muris spectantibus ad illas, quibus possit procedi ad alias circumvolutiones fiendas, et subsequenter ad thiborium magnum dictae ecclesiae; tandem facta multa ventilatione de praemissis, praefati de consilio etiam applaudentes tali avisamento laborerii spalarum ut supra, et murorum seu parietum circumstantium, quibus ecclesia in altius cito erigetur, omnes et plusquam omnes clamaverunt: fiat, fiat, nec amplius vacetur talibus fenestris, nisi ad plus ad tot laborerium in ipsis, quot servire possit arganus unus, et sic conclusum est fieri debere». Nava 1854, p. 192; Annali II, 1877, p. 30; Beltrami 1964, p. 79; Rossi 1982, p. 28

1422, 20 marzo; AVFDMi, Registri, 149, f. 89r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Debet habere poxite in opere in pirono quod fit prope pironum tiborii die xx marzii date Petro Ayroldi et Francisco de Canobio capse ii librarum dlxx feri». Segnalato da C.R. Morscheck


appendice ii. regesto dei documenti sul tiburio (1387-1525)



1430, 22 marzo; AVFDMi, Registri, 179, f. 20r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item pro clavis a gatello, a grondale et a cantilo ex clavis premisse fabrice per suprascriptum Aluysium datis magistro Antonino de Grogonzola inzignerio fabrice die xxii martii ponendis in opere ad unum pilonum unius tiburii versus curiam nostri domini, ponderatis in soma [...] L. xv o. vi». Segnalato da C.R. Morscheck

1430, 22 marzo; AVFDMi, Registri, 179, f. 33r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio (altri mandati tra aprile e maggio ff. 33r-v). «Item pro clavis ab inscidendo numero duodecim datis per ipsum die xx martii iam predicto magistro Antonino de Grogonzola per ipsum operandis ad unum pironum tiburii versus curiam domini [...] l. xxxviii o. vi». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 3 luglio; AVFDMi, Registri, 189, f. 32v Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datos die iii jullii magistro Cristoforo de Bussero cugnollos xxviiii ferri pro ponendo in opere ad unum pironum grossum versus dictam spallam [versus sanctum Rafaelem] librarum 17». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 4 luglio; AVFDMi, Registri, 189, f. 92v Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item dato die 4 jullii magistro Cristoforo de Bussero de pomblo fabrice pro impomblando capsas duas ferri ad pironum grossum versus spalam [...] L. l». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 12 luglio; AVFDMi, Registri, 189, f. 17r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datum die xii jullii magistro Cristoforo de Bussero anellum unum ferri pro ponendo in opere ad pironum grossum versus sancti Rafaelis [...] librarum xliii, o. vi». Segnalato da C.R. Morscheck


 francesco repishti, richard schofield 1433, 13 agosto; AVFDMi, Registri, 189, f. 32v Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datos die xiii augusti magistro Cristoforo suprascripto [de Bussero] cugnollos xxviii pro operando ad spalam [ad] pironum grossum [...] in summa ponderis librarum xvii». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 17 agosto; AVFDMi, Registri, 189, f. 50r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Debet habere pro giavetis iiii ferri datis die xvii augusti magistro Petro de Ayroldis pro operando in laboreriis fabrice pro inclodando unum ferrum ad pironum grossum [...] ponderis librarum lvi». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 18 agosto; AVFDMi, Registri, 189, f. 47r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datos die xviii augusti magistro Cristoforo de Marliano ferario p. C. foris Sancti Simpliziani fassos sex ferri novi in quadronibus pro faciendo capsas duas ferri et bastonos pro ponendo ad pironum grossum [...] ponderis librarum mccxli». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 3 settembre; AVFDMi, Registri, 189, f. 10r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datas die iii septembris magistro Cristoforo suprascripto [de Bussero] capsas iiii ferri novi pro ponendo in opere ad dictam spalam ad pironum grossum [...] ponderis librarum iiiim cccc vi». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 12 settembre; AVFDMi, Registri, 189, f. 10r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datum die xii septembris magistro Johanni de Sollario bastonum unum ferri pro ponendo ad pironum tiburii [...] in summa ponderis librarum iim cxliii». Segnalato da C.R. Morscheck

1433, 12 settembre; AVFDMi, Registri, 189, f. 10r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item datum die suprascripto magistro Petro de Ayroldis bastonum unum ferri novi pro ponendo ad spalam tiburii [...] in summa ponderis librarum im cxliiii». Segnalato da C.R. Morscheck


appendice ii. regesto dei documenti sul tiburio (1387-1525)



1436, 26 marzo; AVFDMi, Registri, 202, f. 12r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Item die xxvi martii, Petrolo de Gorgonzola bastonum unum ferri ponendum in opere ad fenestram oculorum apud pilonum grossum versus tiburium [...] ponderis librarum lxxxxv». Segnalato da C.R. Morscheck

1436, 5 aprile; AVFDMi, Registri, 202, f. 35r Mandato di pagamento per opere realizzate a un pilone del tiburio. «Debet habere datas die v aprilis, Petro Ayroldi catenas duas ferri ponendas in opere ad voltam apud nascimentum tiburii [...] ponderis librarum clxxxxii». Segnalato da C.R. Morscheck

1437, 15 gennaio; AVFDMi, Registri, 205, f. 80r Mandato di pagamento per opere realizzate a una volta a fianco del tiburio. «Debet habere datas die xv januarii magistro Martino Cataneo polices sex grossos operandos ad voltam magnam de novo constructam apud tiburium pro clavibus sustinendis [...] ponderis in summa librarum xxxxvii». Segnalato da C.R. Morscheck

1437, 18 gennaio; AVFDMi, Registri, 205, f. 8r Mandato di pagamento per opere realizzate a una volta a fianco del tiburio. «Debet habere datos xviii januarii Antonio Bugato ferrario fabrice, axonos viii ferri pro faciendo alios axonos pro usu volte magne constructe apud tiburium [...] ponderis in summa librarum ccxxvii». Segnalato da C.R. Morscheck

1437, 25 gennaio; AVFDMi, Registri, 205, f. 97v Mandato di pagamento per opere realizzate a una campata a fianco del tiburio. «Debet habere datos die xxv januarii magistro Martino Cataneo, stangonos iiii ferri ponendos in opere ad capelam de novo constructam apud tiburium versus sanctum Rafaelem [...] ponderis in summa librarum ccclx». Segnalato da C.R. Morscheck


 francesco repishti, richard schofield Paulus de Raynoldis ordinarius subscripsit Ioannes Menclocius ordinarius subscripsit Io Francesco di Giorgio da Sena suprascripto in fede dele cose sopradicte ho sotoscripto de mia propria mane anno e dì subscripsit Io Iohanne Iacobo Dolcebono da Milano afirmo como è ditto di sopra et in fede di questo ho sottoscritto de mia propria mane. Ambrosius de Ferariis interfui suprascriptis conclusione et ordinibus ordinatione ducali et in fidem me subscripsi Lutius Cotta ex deputatis porte horientalis Ioannes Ludovicus de Gradi porte horientalis Ioannes Petrus de Sapellis Lutius Cotta nomine domini Francisci de Varisio pro eius absentia Ioannes Gabriel de Crivelis Philippus Citadinus Franciscus Mantegazius Lutius Cotta nomine domini Bartolomei de Sancto Georgio Ludovicus Viccomercatus Ioannes Ambrosius Moneta Ioannes Antonius Pelizonus». Franchetti 1821, p. 17; Milanesi 1854, 2, pp. 431-435; Annali III, 1880, pp. 61-62; Beltrami 1964, pp. 102, 347, 355; Malaguzzi Valeri 1901, pp. 95-97; Papini 1946, pp. 180, 261, nota 304; Vasić Vatovec 1977, p. 412; Bruschi 1978, pp. 379-386; Scaglia 1982, p. 237; Marani 1982, p. 82; Patetta 1987, p. 43; Schofield 1989; Schofield, Shell, Sironi 1989, pp. 184-186

1490, 1 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 229r I deputati alla Fabbrica del Duomo di Milano confermano Giovanni Antonio Amadeo e Giovanni Giacomo Dolcebuono come architetti della Fabbrica con salario e patti da concordare insieme. «In camera venerabilis fabrice ecclesie maioris Mediolani consedentes una hii contranominati venerabiles magnificique et spectabiles domini pro consultandis deliberandisve rebus que utilitati et honori prefate fabrice cedunt, considerantes inextimabile desiderium quod mediolanense populum gerit prefate maiori ecclesie videndi perficere tuburium aliaque ad perfectionem memorate ecclesie necessaria, infinitasque disputationes esse factas inter ingeniarios mediolanenses, senenses et aliarum diversarum civitatum pro veritate perfectionis huius tuburii delucidanda, cognoscentesque experientiam, sufitientiam, virtutes et mores magistri Johannis Antonii Amadei et Johannis Jacobi Dulceboni architectorum mediolanensium voce et fama aliis perlucere ipsos in architectos promemorate ecclesie elegerunt et eligunt cum salario pactisque et conventionibus invicem afirmandis et hoc ab hodie in antea». Annali III, 1880, p. 64; Bruschi 1978, p. 331; Schofield, Shell, Sironi 1989, pp. 186-187


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

1490, 4 luglio; AVFDMi, Ordinazioni capitolari, III, f. 229v Nella residenza dell’arcivescovo si decide di dare licenza a Francesco di Giorgio, ingegnere della Repubblica di Siena, il quale ha fatto un modello del tiburio. La sua remunerazione è fissata in 100 fiorini del Reno, un abito di seta ed uno per il suo aiutante, entrambi di foggia milanese. «In domibus residentie contrascripti reverendissimi in Christo patris domini archiepiscopi Mediolani existentibus congregatis contrascriptis reverendis venerabilibus et specialibus dominis regimini venerabilis fabrice ecclesie maioris Mediolani deputatis causa tractandi deliberandi ne quid peragendum sit circha remunerationem fiendam magistro Francisco de Georgiis illustrissime dominationis Senarum ingeniario dignissimo qui attendens modellum ad perficiendum tuburium prefate maioris ecclesie fecisse et nonnulla documenta circa ipsum tuburium perficiendum in scriptis dimisisse, licentiam ad eius patriam se transferendi requisivit. Demum post multa dicta preposita et allata inter eos vocibus colectis per reverendum dominum archiepiscum deliberatum et ordinatum fuit ipsum magistrum Franciscum remunerari debere et eidem pro eius benemeritis dari debere florenos centum reni ultra indumentum eidem fiendum sete et indumentum eius famuli more Mediolani fiendum et expensas vitus ei factas et fiendas usque ad eius patriam» Annali III, 1880, p. 64; Patetta 1987, p. 46

1490, 7 luglio; ASMi, Registri delle missive, 178, f. 234r Lettera ai rappresentanti della Balia di Siena. «Dominis officialibus balie civitatis Senarum. Vidit contemplatusque est diligenter excellentissimum templum nostrum mediolanense nobilis in architectura vir Franciscus Georgii civis vester, et ea in difficillissima questione prodidit, que intellexisse nos plurimum delectavit. Nunc autem revertitur in patriam et ad vos: cui has nostras dare voluimus, ut et testatum faceremus ita laborasse eum, ne quid in ipso desyderaremus et gratias vobis ageremus accomodati nobis hominis, cuius virtute et industria non negabimus ita nos motos, ut ad veterem nostrum erga vos amorem non parva accessio facta videatur. Certem eum vobis etiam atque etiam commendatum esse optamus significantes nos nostraque vestris commodis semper prompta parataque fore. Papie 7 iulii 1490. B.C. Per Tristanum Chalcum». Gaye 1, 1839, pp. 291-292, doc. 129; Milanesi 1854, pp. 437-438; Scaglia 1982, pp. 225-253; Marani 1991

1490, 7 luglio; ASMi, Registri delle missive, 178, f. 234r-v Lettera ai priori del comune e al capitano del popolo di Siena relativa a Francesco di Giorgio Martini. «Dominis prioribus gubernatoribus communi et capitaneo populi Senarum. Fuit apud nos nobilis et prestans architectus Franciscus Georgii civis vester quem ad visendum templum nostrum Mediolani excellentissimum venire desideravimus ut in magna eminentissime structure difficultate quid unus inter multorum iudicia sentiret haberemus. Vidit rem igitur Franciscus et quantum in ipso fuit tam prudenter consuluit ut eius inventa et ingenium nobis vehementer probentur. Nec non fateamus [sic] accessisse plurimum vestris erga nos meritis: qui talis viri copiam tam benigne officioseque fecistis. Quo nomine


 francesco repishti, richard schofield gratias etiam agimus non vulgares et commendatum vobis hominem non propria solum virtute sed nostra etiam causa volumus cuius industriam et nobis prospectam esse letamur et ab omnibus magni faciendam putamus. Reliquum est ut nos nostraque vestris commodis prompta parataque semper fore putetis. Papie 7 iulii 1490. B.C. Per Tristanum». Promis, 1841, I, p. 56

1490, 8 luglio; ASSi, Archivio delle Riformagioni di Siena, Lettere, filza LVII, n. 236. Lettera dei deputati del Duomo ai priori del comune e al capitano del popolo di Siena relativa a Francesco di Giorgio Martini. «Non nos fefellit opinio illustrissimi domini si prius amare ceperimus, quam nosce virum omni laude dignum Franciscum Giorgium, concivem vestrum. Is, intercedente apud dominationes vestras illustrissimo principe nostro pro firmando tuburio hujusce admirandi templi, quod per retroacta tempora variantibus hominum ingeniis diversimode ceptum et demolitum est, ad nos jussu vestro venit, et visis videndis in magno civium et architectorum numero qui vocati erant, ita ornate et modeste disseruit, ut quod impossibile quodammodo videbatur, omnia explanavit: ut jam securi sumus, propitiante gloriosissima Virgine Maria cujus auspiciis tam preclaro operi initium datum est, constanti animo ad perfectionem cum securitate perduci posse quo nil gratius nilve iocundius prelibato principi nostro et huic populo effici posset: et non imerito cum tam admirandum templum, quod cum omni antiquitate comparari potest, ex tuburii varietate imperfectum existeret. Quare non quas debemus, sed possumus dominationibus vestris gratias habemus, quod liberaliter ad nos misseritis praeclarum hoc ingenium, ad cuius arbitrium, precedentibus evidentissimis rationibus suis, tante rei ambiguitas demandata est: cuius consilium sequuturi sumus eumque ad dominationes vestras remittimus: et si cum condignis premiis non donavimus, quemadmodum ingenii magnitudo requirebat, equo animo ferat, quia immaculata virgo meliores fructus sibi allatura est. Quod reliquum est dominationibus vestris nos perpetuo comendatos facimus essetque singularis gratiae posse aliquid efficere, quod gratum esset eisdem dominationibus vestris. Valete. Ex Campo sancto prefati sacri templi maioris Mediolani. die octava iulii 1490. E. D. F. Deputati regimini fabrice antedicti sacri templi. [verso] Illustribus dominis honorandis dominis prioribus guberntoribus comunis et Capitano populi etc. etc.». Gaye 1, 1839, p. 292-293, doc. 130; Promis 1841, I, pp. 56-57; Milanesi 1854, pp. 438-439

1490, 8 luglio; ASMi, Comuni, 48; altra copia con varianti in ASMi, Registri delle missive, 178, f. 240r-v Lettera al doge di Venezia perché conceda all’ingegnere Alessio Agliardi di recarsi a Milano. «[verso] Illustrissimo principi et excellentissimo domino tanquam patri nostro charissimo domino Augustino Barbadico dei gratia duci venetiarum. [recto] Illustrissime princeps et excellentissime domine tanquam pater charissime. Non dubitamus et fama ipsa et oratorum vestrorum qui apud nos fuerunt relatione perspectam esse vobis nobilitatem templi marmorei, quod Mediolani excellentissimum inter humana opera extruitur: quod etsi undique admirabile et ornatissimum sit; nulla tamen


appendice ii. regesto dei documenti sul tiburio (1387-1525)



parte venit praestantius quam medii corporis testudine quae et altior reliquo opere facunda [sic] et cuncta illustrius illuminatura est, quo fit ut difficilior quoque pars totius structure sit, in qua constituenda cum diu satis nostri hallucinarentur; non desiimus ex tota Italia vocare celeberrimos quosque architectos quorum consilio perspecto et si multae ad perficiundum opus rationes apertae fuerint, non videntur tamen fabricae praefecti nimis posse rem aliorum quoque iudicio temptato discutere. Cum igitur intellexerint nobilem in architectura haberi magistrum Alexium Arcensem civem bergomatem qui nunc in purgando Brenta fluvio ab excellentia vestra occupatur: eius quoque experiundi desiderium ceperunt: quod cum haud nobis displicuerit videamusque ad pauculos dies abfuturum visendo loco inspiciendis aliorum iudiciis et sententiae suae dicendae: non veriti sumus has ad dominationem vestram dare quibus rogaremus pro religiosa causa ut paulum ab incepta provincia discedere architectus permittatur. Itaque eam hortamur et rogamus enixe ut hunc ad nos venire quam primum ac religionissimum templum quod non unius urbis tantum sed totius Italiae ornamento futurum est aliqua nec ignobili parte iuvare velit. Id cum nobis gratissimum, tum non exigui apud deum meriti futurum arbitrari potestis si morem nobis gestura est, excellentia vestra rogamus ut id nobis significet, quam mittemus qui hominem ad nos honeste deducant. Ioannes Galeaz Maria Sfortia vicecomes dux Mediolani etc. [Datum viii iulii 1490]». Malaguzzi Valeri 1901, pp. 98-99; Beltrami 1964, p. 355; Patetta 1987, p. 46

1490, 9 luglio; ASMi, Comuni, 48 Bartolomeo Calco scrive al duca circa la richiesta di avere a Milano l’ingegnere Alessio da Bergamo. «[verso] Illustrissimo et excellentissimo domino meo observandissimo domino duci Barii etc. Cito. [recto] Illustrissimo et excellentissimo signor mio. Veduto quello me ha scripto la excellentia vostra per fare venire lo ingeniero bergamasco, subito ho scripto a Venetia in opportuna forma commettendo a messer Zoanne Stefano che accontentandosi la signoria de lassarlo venire, che’l ne daghi aviso; però che se li mandarà persona per accompagnarlo. Et perché ad fare questo li andarano qualchi ducati, ho havuti da mi li deputati de la fabrica a li quali specta fare la spesa et li ho facto intendere questa opera fa la excellentia vostra; mi hano resposto unanimiter che la ringratiano del studio dimonstra verso epsa fabrica, ma che essendo il facto di questo tiburio tante volte consultato et ultimo cum questo ingeniero senese, quale secondo il iudicio de chi ha experentia de simile cose, dicono saperne quello che ne possi sapere qualuncha altro che li pareria che la conclusione è facta cum lui. La quale per la relatione ha facta Ambroso Ferraro, etiamdio è piaciuta alla excellentia vostra se dovesse mettere in effecto et non mettere più la cosa in disputatione et tanto più che già li è dato principio, subiungendo che, dovendo di novo ventilare la cosa cum altri, che qualuncha ce vegni per parere più experto de li altri, preponerà qualche novo articulo che non sarà altro che differire l’opera et fare una altra spesa de 200 ducati como dicono essere costata questa altra ventillatione; nella quale dicono esserli dicto quanto se li po dire. Et così ad contemplatione de loro fabriceri scrivo la presente alla excellentia vostra la quale me porà fare avisare se l’opera se ha ad prosequire secundo questa ultima conclusione et soprasedere de fare venire el bergamasco o pur differire fin ala venuta de lui et ala signoria vostra me recomando. Datum Mediolani die viiii iulii 1490. Servitor Bartholomeus Chalcus». Malaguzzi Valeri 1901, p. 98; Beltrami 1964, pp. 355, 385; Ludovico il Moro 1983, p. 97



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