Arte come memoria. Il patrimonio artistico veneto e la Grande Guerra, M. Nezzo

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IMAGO VOCIS

arte, immagine, comunicazione

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ARTE COME MEMORIA il patrimonio artistico veneto e la grande guerra a cura di Marta Nezzo

ILPOLIGRAFO



Iniziativa realizzata con il contributo della Regione del Veneto, ai sensi della legge regionale 11/2014, art. 9, nell’ambito del Programma per le commemorazioni del Centenario della Grande Guerra

Enti promotori

Il presente volume è stato realizzato nel quadro del progetto Paesaggi di guerra: società e territori grazie al contributo congiunto della Regione del Veneto e del Dipartimento dei Beni Culturali, archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica dell’Università degli Studi di Padova Con la collaborazione di Progetto scientifico Marta Nezzo

Crediti fotografici Archivio fotografico Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e per le province di Belluno, Padova e Treviso su concessione del MiBACT Biblioteca Civica, Padova Gabinetto Fotografico dei Musei Civici, Padova Fondazione Giorgio Cini onlus, Venezia Museo Centrale del Risorgimento, Roma Seminario Vescovile, Treviso


Progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice grafica Laura Rigon redazione Sara Pierobon Š copyright settembre 2016 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-970-6


indice

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Storia, memoria, identità. La Prima Guerra mondiale e la costruzione del ricordo attraverso le vicende del patrimonio artistico Marta Nezzo

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La salvaguardia dei monumenti durante la Grande Guerra. Il fondo Ugo Ojetti della Fondazione Giorgio Cini di Venezia Monica Bassanello

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Le fotografie del fondo Guerra del Museo Centrale del Risorgimento di Roma Marco Pizzo

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Fotografie della Grande Guerra presso la Biblioteca Civica di Padova Vincenza Cinzia Donvito

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Andrea Moschetti e il fondo del Gabinetto Fotografico dei Musei Civici di Padova Irene Salce

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Fotografie della Grande Guerra presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso: fra catalogazione e ricerca Marzia Mazzoleni, Progetto e metodo Ilaria Turetta, Catalogazione e conoscenza Marcella Cusumano, Un caso-studio: l’abbazia del Pero di Monastier (TV)

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Presentazioni

la grande guerra dell’arte nelle immagini d’archivio

Marta Nezzo i. Il “lievo” dei cavalli di San Marco ii. Protezione delle facciate e delle decorazioni esterne

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iii. Protezioni all’interno degli edifici

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iv. Protezione delle opere mobili


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v. Le protezioni cuspidate vi. Bombardamenti su Venezia vii. Primavera 1916: Strafexpedition viii. Estate 1916: Gorizia ix. Le conseguenze di Caporetto sulla linea del fronte: l’esempio di Possagno x. Le conseguenze di Caporetto nelle città xi. Bombardamenti su Padova xii. Disastro al fronte: occupazioni e furti

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xiii. Disastro al fronte: le vittime del fuoco “amico” e “nemico”

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xiv. Disastro al fronte: l’esempio di Nervesa

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xv. Ricostruzione

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xvi. Ricollocazioni


Nel commemorare la ricorrenza del Centenario della Grande Guerra, la Regione del Veneto ha scelto di valorizzare le testimonianze storiche del conflitto e di diffonderne la conoscenza, dando risalto ad alcuni argomenti particolari, finora forse meno trattati, ma senza dubbio degni di attenzione, anche perché capaci di comunicare in modo immediato e incisivo il messaggio di pace, di concordia e di fratellanza tra i popoli che attraversa come un “filo rosso” tutto il complesso programma delle celebrazioni istituzionali. Fra questi si segnala il tema del danno subito dal patrimonio storico-artistico e dell’azione di tutela delle opere e dei monumenti. Come è sempre accaduto nella storia, e come continua tristemente ad accadere, la guerra ebbe effetti devastanti, anche quando non intenzionali, o per così dire collaterali alle manovre belliche, su quelli che oggi definiamo i “beni culturali”, nei territori attraversati dal conflitto: effetti cui si contrappose allora una forte volontà di proteggere e conservare quel retaggio storico nel quale un popolo riconosce un valore fondamentale, parte integrante della propria identità. Un emblematico esempio di distruzione, spesso ricordato, su cui si sono già concentrate alcune iniziative del programma regionale, è offerto dalla Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno, duramente colpita dai bombardamenti del 1917, che mutilarono e frantumarono i preziosi modelli creati dal grande artista neoclassico per le sue famosissime sculture. Ma considerando l’immenso patrimonio diffuso nel territorio veneto i casi sono innumerevoli, così come si rivelano molteplici gli sforzi prodotti per arginare le perdite, da parte delle soprintendenze, delle istituzioni pubbliche locali e della Chiesa. Vi si distinsero alcune figure di primo piano, come quella di Ugo Ojetti, che tanto si adoperò per trarre in salvo o proteggere tesori d’arte in tutta la zona di guerra, dai cavalli di San Marco all’Assunta di Tiziano allora all’Accademia di Venezia, dal Gattamelata sul sagrato del Santo a Padova alle Arche Scaligere in Verona; o ancora quella di Andrea Moschetti, direttore del Museo Civico di Padova, che non esitò ad avventurarsi su terreni pericolosamente esposti agli attacchi avversari per portare al sicuro beni preziosi messi a rischio dal conflitto. La questione investe poi anche l’impegno post-bellico per sostituire le opere d’arte andate sfortunatamente perdute, distrutte o predate, con nuove produzioni artistiche, connesse a una diversa funzione memoriale. Entro questa cornice ben si inquadra il presente volume, che peraltro, grazie a una già di per sé lodevole sinergia fra i vari enti e le istituzioni pubbliche coinvolte, ha il merito di valorizzare il ricco giacimento delle fonti archivistiche, ripercorrendo le vicende trattate attraverso una lunga sequenza di immagini d’epoca, insostituibili documenti storici ed efficacissimi tramiti per la continuità della memoria.


Concludo quindi con l’augurio che questo lavoro, come altri analoghi svolti nel corso delle commemorazioni, possa concorrere ad approfondire le conoscenze e a proporre nuovi spunti di riflessione, un secolo dopo quegli eventi tragici che tanto devastarono il Veneto, colpendo la popolazione, il territorio e insieme l’eredità delle memorie storiche. CRISTIANO CORAZZARI Assessore al Territorio, Cultura e Sicurezza Regione del Veneto


L’Università degli studi di Padova è stata la prima in Italia a costituire un Comitato di Ateneo per il Centenario della Grande Guerra con l’intento di promuovere, coordinare e sviluppare le attività di ricerca e di terza missione svolte dai singoli studiosi e dai dipartimenti sulle diverse problematiche e sui molteplici aspetti del primo conflitto mondiale. Del Comitato fanno parte docenti e ricercatori di numerosi dipartimenti e Centri (Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità; Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali; Dipartimento di Beni Culturali; Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari; Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata; Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea e Centro per la Storia dell’Università di Padova), che hanno elaborato e stanno sviluppando, con una forte accentuazione interdisciplinare, le diverse linee di ricerca comprese, in particolare, nei due macro-progetti “Paesaggi di Guerra. Società e territori” e “Scienza, tecnica e comunicazione della Grande Guerra”, finanziati rispettivamente dalla Regione del Veneto e dalla struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo libro, curato da Marta Nezzo, si inserisce nell’ambito delle attività realizzate con il progetto “Arte ferita”, uno dei più rilevanti tra quelli finanziati dalla Regione. I suoi contenuti rispecchiano fedelmente la natura e la qualità del lavoro svolto dalla componente del Dipartimento di Beni Culturali in una delle più importanti aree di ricerca del Comitato, in sinergia con gli studiosi di altre discipline e di un complesso di organismi pubblici e privati. Lo si evince, in particolare, dalla sezione foto-storica che segue la sorte di monumenti e opere d’arte dall’inizio della guerra fin oltre l’armistizio, e che ricalca la mostra fatta al Pedrocchi nel 2015 (“L’Arte ferita. Salvaguardia, danni, restituzioni nel periodo della Grande Guerra”, Padova, Stabilimento Pedrocchi, Sala Rossini, 24 maggio - 8 novembre 2015). La prima parte del volume presenta, invece, un’interessante serie di saggi sui fondi archivistici da cui provengono le immagini (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso; Musei Civici e Biblioteca Civica di Padova; Fondazione Giorgio Cini onlus di Venezia; Museo Centrale del Risorgimento di Roma) a evidenziare, per questo specifico ambito di ricerca, l’estensione e la qualificazione delle reti scientifiche e istituzionali costruite con le attività del Comitato. Abbiamo infatti operato, fin dall’inizio, con la volontà di mettere in atto proficue collaborazioni a tutti i livelli con i soggetti a vario titolo interessati alle differenti tematiche – dalle maggiori istituzioni nazionali e internazionali di


ricerca agli istituti e centri di studio territoriali, dagli organi regionali alle accademie e agli enti locali – in modo da non disperdere risorse e da assicurare alta qualità e ricadute a vasto raggio al nostro lavoro. Anche per questo siamo molto grati a Marta Nezzo, agli autori e agli enti che hanno contribuito alla realizzazione di questa pregevole pubblicazione, sapendo di poter contare su di loro per le molte iniziative che ancora sono in programma di qui alla fine della ricorrenza centenaria. GIOVANNI LUIGI FONTANA Presidente del Comitato di Ateneo per il Centenario della Grande Guerra


La creazione di ponti fra saperi distinti è ragione strutturale e costitutiva del Dipartimento dei Beni Culturali, nato dalla fusione di competenze diversificate e tuttavia collegialmente intese allo studio e alla valorizzazione di quel patrimonio, materiale e immateriale, che sorregge l’umana memoria, dal passato remoto fino all’attuale società globalizzata. Ricerca e comunicazione scientifica, parte preponderante del nostro lavoro, esigono oggi nuove modalità di trasmissione, mirando a ottenere non soltanto la formazione specialistica del corpo studentesco, inevitabilmente ristretto, ma anche la diffusione di conoscenze complesse al grande pubblico. In tale quadro è stato un piacere, per il Dipartimento, partecipare ai lavori del Comitato di Ateneo per il Centenario della Grande Guerra, attivo oramai dal 2014 e presto onorato di un cofinanziamento regionale (l.r. 11/2014, art. 9). Proprio tale gesto di fiduciosa politica culturale, ha permesso a un gruppo di nostri studiosi l’avvio di nuove indagini sul rapporto fra opere d’arte e guerra, così come esso si esplicò sul territorio triveneto dal 1915 sino ai mesi che seguirono l’armistizio. Fra i molti esiti che ne sono venuti, ricordo il progetto scientifico e la curatela de “L’Arte ferita. Salvaguardia, danni, restituzioni nel periodo della Grande Guerra” (Padova, Stabilimento Pedrocchi, Sala Rossini, 24 maggio - 8 novembre 2015), esposizione realizzata grazie alla perfetta sinergia con la direzione e il team dei Musei Civici di Padova. Il presente volume riprende in parte quell’esperienza, per approfondirne il portato scientifico e offrirlo alla comunità. Il bacino di fotografie relative a monumenti e opere d’arte protetti, danneggiati e restaurati viene qui montato in una sequenza commentata, che, in virtù della sua forza icono-testuale, punta alla comprensione e memorizzazione immediata. Parallelamente, una serie di saggi valorizza i fondi archivistici da cui le immagini provengono, per sviscerare l’accaduto in senso storico (e talora filosofico). Non a caso: cuore pulsante di questo lavoro è stata la convergenza d’intenti fra istituzioni distinte, determinate a dichiarare la propria capacità collaborativa e a esibire, insieme, una parte importante – e talora poco conosciuta – dei documenti in loro possesso. La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso; i Musei Civici e la Biblioteca Civica di Padova; la Fondazione Giorgio Cini onlus, il Museo Centrale del Risorgimento di Roma e la Biblioteca del Seminario Vescovile di Treviso hanno liberalmente concesso materiali e profuso competenze acciocché questo lavoro vedesse la luce, perseguendo virtuosamente una logica di sistema che sola potrà reggere in futuro le difficoltà che attanagliano le tensioni verso il Patrimonio.


Rendere palpabile, visibile e duratura non soltanto la memoria del passato, ma l’impegno con cui il presente la interroga e interpreta, resta il miglior compenso per questa felice fatica del nostro il Dipartimento. JACOPO BONETTO Direttore del Dipartimento dei Beni Culturali Archeologia, Storia dell’arte, del cinema e della musica dell’Università di Padova


Il contributo proposto dal gruppo di lavoro di questa Soprintendenza si pone in continuità con un filone di studi sviluppato da questo Istituto da oltre un decennio, incentrato sul tema della memoria della Grande Guerra riletto attraverso le vicende che hanno interessato il patrimonio d’arte, dalla tutela alla ricostruzione. File rouge di questi percorsi di approfondimento è la fotografia storica intesa come fonte, elemento insostituibile di memoria individuale e collettiva, soprattutto nel frangente degli eventi traumatici che – nel passato come nella contemporaneità – hanno talvolta tragicamente segnato il tessuto monumentale e ambientale di questo paese, fino a cancellare l’identità più profonda di luoghi e comunità. L’Istituto che dirigo, conserva un nucleo importante di queste testimonianze che, per quanto parzialmente indagate, continuano a riservare sorprendenti opportunità di rilettura alla luce dell’avanzare delle conoscenze, in particolare quando fonti di diversa tipologia e natura trovano connessione in un pensiero organico e integrato. Si tratta di documenti spesso connotati da caratteri di unicità, proprio perché realizzati nell’ottica della tutela, ed essi stessi oggi oggetto di tutela, attraverso strumenti di conoscenza, quali il catalogo, e conservazione, come il restauro. Tali documenti costituiscono inoltre una base fondamentale e irrinunciabile per orientare anche gli interventi diretti che la Soprintendenza da lungo tempo conduce sulle vestigia monumentali della Grande Guerra presenti sul territorio. Auspicabilmente l’impegno delle istituzioni dovrebbe tendere a rendere sempre più accessibili le fonti attraverso innovativi strumenti di fruizione, in una crescente prospettiva di confronto e condivisione tra comunità scientifica e cittadinanza consapevole. ANDREA ALBERTI Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e per le province di Belluno, Padova e Treviso


È con piacere che l’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Cini partecipa al progetto dedicato allo studio delle fonti fotografiche che documentano il patrimonio artistico durante la Grande Guerra. Il progetto si sposa perfettamente con le finalità e gli obiettivi propri dell’istituzione. Fin dalla sua fondazione avvenuta nel 1954, infatti, l’Istituto promuove numerose pubblicazioni, cura importanti mostre, tutela e valorizza le raccolte fotografiche e bibliografiche appartenute in particolar modo a illustri storici dell’arte, studiosi, antiquari e fotografi stessi. Alla luce di ciò, nel 1957 la vedova Ojetti decise di donare la raccolta costituita dal marito durante la Grande Guerra. L’Istituto di Storia dell’Arte riceve una delle raccolte che maggiormente si differenzia dalle collezioni che fino a quel momento erano entrate a far parte dell’Archivio fotografico che andava costituendosi. L’originalità della raccolta va ricercata nella natura della collezione. A differenza dei fondi appartenuti a illustri storici dell’arte quali Giuseppe Fiocco, Rodolfo Pallucchini, Sergio Bettini e Raymon Van Marle le cui collezioni documentano i rispettivi interessi di studio, la raccolta Ojetti racconta la storia. Le immagini collezionate ci descrivono il patrimonio violato, la distruzione, le macerie, le pareti spoglie: narrano la fine di un’epoca attraverso gli occhi dei fotografi che hanno operato al fianco di Ojetti durante la Grande Guerra. La piccola collezione è un viaggio attraverso paesi distrutti, macerie a volte senza nome, casse contenenti inestimabili tesori, tutte le immagini descrivono la volontà di custodire, difendere e tutelare il patrimonio di musei, chiese e abitazioni sparse in tutto il territorio interessato dai combattimenti. Le fotografie del fondo Ojetti provengono da fonti differenti ed esemplari simili sono conservati nelle fototeche di varie istituzioni, come la Soprintendenza, l’Esercito o piccole collezioni private; la mappatura di tali materiali permette di ricostruire la rete di rapporti tra istituzioni diverse che conservano la memoria del nostro Paese. La Fondazione Cini promuove ogni anno progetti di digitalizzazione, catalogazione e messa in rete dei propri fondi al fine di renderli fruibili a un pubblico sempre più vasto. Nel 2016 è iniziata la digitalizzazione dell’intero patrimonio fotografico che al termine dei lavori permetterà agli utenti di avere accesso all’intera collezione attraverso schede scientificamente aggiornate pubblicate all’interno del catalogo online. Anche il fondo Ojetti rientra in questo ambizioso progetto: la collezione sarà digitalizzata e progressivamente pubblicata online. La valorizzazione della raccolta ha prodotto nel 2015 una piccola esposizione che ha permesso agli utenti di visionare l’intera raccolta anche attraverso alcune digitalizzazioni della collezione; parallelamente alcuni esem-


plari della raccolta sono stati esposti a Padova nella mostra dedicata all’“Arte ferita” ciò a dimostrare la piena collaborazione della Fondazione a progetti che promuovono la tutela e la cura del patrimonio delle nostre città spesso minacciate da eventi non solo bellici, ma anche da catastrofi naturali che portano, purtroppo, alla distruzione di parte del nostro patrimonio. Ringrazio quindi la professoressa Nezzo dell’interessamento per la collezione Ojetti. Ecco, allora, che la fotografia ci viene in aiuto e ci permette di ricostruire la fisionomia delle nostre città attraverso bianchi e neri sbiaditi, ma carichi di memoria. La fotografia diventa quindi un documento e una fonte per comprendere quali mutamenti hanno subito le nostre città, i luoghi della nostra memoria, il patrimonio secolare che caratterizza il nostro Paese. LUCA MASSIMO BARBERO Direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte Fondazione Giorgio Cini, Venezia


Dopo una trentina d’anni, nel corso dei quali i materiali non erano stati accessibili al pubblico e agli studiosi, nel 2004 riapriva le porte a Padova il Museo del Risorgimento nella storica e simbolica sede dello Stabilimento Pedrocchi. All’intitolazione veniva nell’occasione aggiunto un “e dell’Età Contemporanea” a significare la volontà di comunicare, attraverso i beni conservati, il periodo che va dalla caduta della Repubblica Veneta alla nascita della Repubblica Italiana. Si è trattato di un processo che ha visto il completo riordino del patrimonio, l’arrivo di ulteriori donazioni e la messa a punto di una nuova presentazione al pubblico attraverso un’attenta rivisitazione storica. A quanto messo insieme nell’Ottocento, si aggiunsero una serie di cimeli di varia natura legati agli anni della Grande Guerra che andarono a costituire uno dei nuclei forti delle raccolte. Oltre che per la presenza a Padova, dall’autunno del 1917, del re, dei comandi militari e di uffici governativi, molte immagini arrivarono grazie all’allora direttore, Andrea Moschetti che, con funzione di commissario, si occupò della salvaguardia dagli eventi bellici delle opere d’arte dove il fronte era passato, facendo del Museo di Padova forse il principale centro di raccolta e smistamento in luoghi sicuri del patrimonio. Per quanto conservano e per il loro fine istituzionale, i Musei e Biblioteche del Comune di Padova si sono proposti sin dall’inizio delle celebrazioni dedicate al Centenario della Grande Guerra quale punto di raccordo e di riferimento tra le realtà che, nel territorio, operano quali centri della memoria. Successivamente l’Amministrazione Civica ha voluto aderire al Comitato formatosi con l’Università di Padova per coordinare, in città e anche su di una più ampia scala regionale, le azioni meritevoli di attuazione al fine di ricordare e approfondire un ampio ventaglio di aspetti legati alla vita di quegli anni. Oltre a collaborare a varie iniziative, grazie anche all’indispensabile sostegno della Regione del Veneto, il nostro Istituto ha direttamente realizzato nella sede del Pedrocchi, con la collaborazione dell’Università e della Soprintendenza, esposizioni che, oltre a diffondere la conoscenza di fatti importanti per l’identità cittadina e regionale, hanno permesso di valorizzare i ricchi fondi documentari di nostra pertinenza pur valendoci, a loro integrazione, del generoso contributo di quanto anche altre istituzioni conservano. L’allestimento delle due mostre “L’Arte ferita” e “Vita a Padova durate la Grande Guerra” ha valorizzato quanto conservato dal Gabinetto Fotografico dei Musei Civici e dalla Raccolta Iconografica Padovana della Biblioteca Civica. Il primo possiede centinaia di negativi, lastre in vetro in molti casi inedite, parecchie delle quali realizzate


probabilmente dallo stesso Moschetti nel corso delle ricognizioni sui campi di battaglia. Buona parte non aveva trovato posto nel volume da lui dedicato alle ferite subite dal patrimonio nei teatri di operazioni. Più che quanto realizzato a difesa e salvaguardia delle opere principali nelle città, è raccolta documentazione relativa alle distruzioni avvenute nelle province tra Veneto, Friuli e Trentino. Illustra validamente quanto fu fatto a scopo preventivo e quel che avvenne a causa delle bombe, del vandalismo, della successiva impossibilità di intervenire tempestivamente. A queste si affiancano altre immagini pervenute da istituzioni locali, dalla Soprintendenza, dall’Esercito. Il nucleo della Biblioteca, formatosi secondo varie provenienze, oltre a scritti, manifesti, incisioni, pubblicazioni, presenta invece una serie di stampe fotografiche originali. Un lotto proviene dal Comando Militare, i cui laboratori padovani erano siti a Palazzo Sambonifacio e documentano le opere di protezione dei monumenti, la vita all’interno dei rifugi, i danni a edifici civili e religiosi, le cerimonie civili e militari. Dalla Croce Rossa arriva una nutrita serie di immagini relative ai numerosi ospedali allestiti in città. Si tratta di uno spaccato interessante sulla vita di Padova, che tra incursioni, movimenti di truppe, sfilate, funerali, produzione d’emergenza di indumenti, penuria di viveri e impegno dei comitati, tentava di mantenere le sue attività e preservare il tessuto sociale. Le mostre hanno offerto solo un assaggio della consistenza e complessità di questi fondi e della loro grandissima possibilità di comunicazione. Sempre nel quadro dell’attività del Comitato e del sostegno della Regione, questo volume, prendendo in considerazione il più ampio panorama regionale, completa la ricognizione sulle importanti raccolte padovane collocandole nel posto che meritano tra le memorie della Grande Guerra. La loro valenza di comunicazione, che ha potuto solo essere accennata in occasione delle iniziative condotte a termine sino a oggi, viene qui presentata in termini più esaustivi. DAVIDE BANZATO Direttore Musei e Biblioteche del Comune di Padova


Conoscenza, studio, conservazione e valorizzazione costituiscono un fitto intreccio all’interno dell’utilizzo della cultura del nostro paese che si è arricchito e stratificato nel corso degli anni mediante una molteplicità di istituzioni variamente impegnate in queste attività. Musei, università, soprintendenze, archivi e biblioteche hanno svolto accanto alle loro attività specifiche – come l’insegnamento e la ricerca, nel caso delle università, o la conservazione dei patrimoni librari o documentari nel caso delle biblioteche o degli archivi – anche altre funzioni componendo un quadro ricco di sfaccettature e di competenze. D’altra parte negli ultimi tempi, anche grazie alla straordinaria rivoluzione del web, la condivisione delle informazioni ha prodotto un allargamento della cultura e della conoscenza condivisa in cui singole specialità hanno dialogato insieme portando a nuove letture e nuove interpretazioni sul modo in cui si possa utilizzare il patrimonio culturale e lo ha reso ancora più “pubblico”. Proprio questa eterogeneità di soggetti concorre oggi a una nuova definizione della cultura che si appoggia anche a una varietà di istituzioni in cui operano i singoli comuni, le regioni e il governo centrale. Si è quindi fatto strada un utilizzo pubblico della storia che è frutto del dialogo e della collaborazione tra istituzioni diverse in cui la storia del singolo si è intrecciata con la Storia della collettività. Un racconto di fatti, eventi e idee in cui si è privilegiata la coralità alla singola voce. Le manifestazioni che si stanno svolgendo per la commemorazione del primo conflitto mondiale sono una ulteriore prova di questo percorso in cui sono stati indagati aspetti meno noti della Grande Guerra, per mettere in luce proprio il ruolo di crinale della storia che ha avuto questo evento. Un evento che si presta oggi a molteplici letture che consentono di far emergere nuovi aspetti sociali e culturali relativi alla costruzione dell’identità nazionale e al sorgere dell’Europa contemporanea. MARCO PIZZO Museo Centrale del Risorgimento di Roma Istituto per la storia del Risorgimento italiano


ARTE COME MEMORIA



storia, memoria, identità. la prima guerra mondiale e la costruzione del ricordo attraverso le vicende del patrimonio artistico Marta Nezzo La storia Ripercorrere gli eventi che hanno travolto il patrimonio storico-artistico italiano nel quadro dello scontro 1914-1918, significa mettere mano a un coacervo di problemi, la cui bibliografia viene espandendosi di giorno in giorno1. La prima guerra a visibilità mediatica rapida e a estensione pressoché planetaria coinvolge le opere d’arte tanto fisicamente quanto simbolicamente. Censite, preventivamente protette e/o inesorabilmente danneggiate, esse entrano comunque a far parte del circuito propagandistico nazionale e internazionale, ricoprendo un duplice ruolo: emblema “politico” nella gestione dell’informazione, non tardano a farsi metafora della fisicità inerme degli individui, nonché della loro manifesta complessità identitaria. Per avvicinare simile contraddittorio nodo, una breve storia degli accadimenti è doverosa. La fragilità del tessuto monumentale europeo rispetto al potere offensivo delle armi moderne si fa chiara al mondo intero già dopo i primi drammatici scontri in Francia e Belgio (1914), entrambe invase dall’esercito tedesco, con gravi ripercussioni su popolazione e opere d’arte. L’ondata di indignazione per la distruzione del centro storico di Louvain e della cattedrale di Reims viene subito strumentalizzata in funzione antigermanica, grazie anche all’intervento diretto di storici dell’arte e intellettuali, le cui conferenze itineranti illustrano la “barbarie” nemica attraverso spettacolari fotografie dei danni2. Il fatto stesso che – davanti alle rovine – si ponga il problema della tutela su di un piano sovrastatuale, merita qualche parola. Se, durante la stagione napoleonica, proprio le razzie avevano reso palpabile il potenziale identitario delle opere d’arte, uno stabile intento conservativo aveva preso quota – a livello internazionale – solo alcuni anni più tardi. Precisamente dopo la metà dell’Ottocento, in situazioni di non belligeranza e nel quadro della nascente teoria del restauro, ove si sfidavano – su opposti fronti – autori come John Ruskin ed Eugène Viollet-le-Duc; parallelamente, storici dell’arte, direttori di musei e talora collezionisti europei, venivano costruendo una rete di relazioni che accreditava la Storia dell’arte come disciplina scientifica e condivisa, pur con qualche distonia cronologica fra i diversi paesi. Sull’onda di questi e altri stimoli, al giro del secolo, alcuni Stati – come l’Italia3 e l’Austria4 – s’erano impegnati a cercare e promuovere efficaci modelli di salvaguardia per i tempi di pace, profittando di tutte le energie culturali disponibili,

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MARTA NEZZO

interne ed esterne, onde conciliare lo sviluppo industriale e urbanistico con la sopravvivenza delle passate vestigia. È in questo quadro di attenta cooperazione intellettuale che cade la frattura bellica: le prime gravi distruzioni cozzano duramente con un sistema di valorizzazione sovrazionale di capolavori, studi e ipotesi conservative. Si capisce bene, dunque, quale sia lo scopo delle citate conferenze sui primi danni inferti dai tedeschi a Belgio e Francia: debbono neutralizzare il pregresso, solido e positivo background, trasformando il collega in nemico, da spersonalizzare secondo le necessità del consumo bellico. L’ambito germanico, che tanto aveva dato agli studi, viene selvaggiamente denigrato, tacciato di barbarie e pretestuosamente “esiliato” dal civile consorzio per avere tradito il patto umanistico moderno, da poco serrato sull’altare della bellezza. Da un punto di vista pratico, peraltro, quelle medesime conferenze permettono al grande pubblico di conoscere il potenziale distruttivo delle armi moderne, diffondendo l’allarme fra i paesi ancora non schierati. L’Italia, com’è noto, aprirà le ostilità soltanto nel maggio del 1915: ha dunque il tempo per assimilare il livello di rischio cui un eventuale conflitto la esporrebbe, uomini e capolavori. Sopra ogni altro accidente si teme il fuoco, proprio perché la stampa d’epoca insiste sull’incendio della cattedrale di Reims, ampiamente utilizzando la tecnica ecfrastica. Peraltro, nel 1914-1915, la tutela ordinaria, nel nostro paese, è in pieno rodaggio. Le riforme Rava-Ricci-Rosadi5, infatti, con l’istituzione delle soprintendenze e l’avvio della catalogazione, hanno posto la questione in termini d’interesse nazionale, tentando di ottenere, tramite il coordinamento di centro e periferie, un’efficace sinergia di monitoraggio e intervento. Il timore delle armi imporrà a tale assetto un’accelerazione operativa fortissima, al punto che la maturazione effettiva dei nuovi organismi sarà di fatto sovrascritta al periodo di belligeranza. Sul piano amministrativo bisogna ricordare che la Direzione generale delle Belle Arti, afferente al Ministero della Pubblica Istruzione, è all’epoca diretta da Corrado Ricci, e – per quanto concerne il Veneto – la responsabilità regionale è ripartita fra Max Ongaro e Gino Fogolari, soprintendenti, rispettivamente, ai Monumenti e alle Gallerie. Trentino, sud-Tirolo e Venezia Giulia – ça va sans dire – sono sotto il controllo austriaco, che pure, proprio in coincidenza con la guerra, muove passi importanti sulla medesima via conservativa6. Nei fatti, da noi, dopo la girandola interventista, l’effettivo innesco alla tutela d’emergenza sembrerebbe latamente connesso alle trattative per il Patto di Londra che, stipulato “in gran segreto” alla fine dell’aprile 1915, legherà definitivamente le sorti italiane a quelle di Francia, Inghilterra e Russia, con l’obiettivo finale di sottrarre all’Impero austro-ungarico tutte le Venezie, fino alla costa Dalmata. Non a caso, stando alle testimonianze7, le soprintendenze del nord Italia iniziano a preparare piani di difesa per le opere d’arte cittadine sin dal marzo 1915, per avviarne l’attuazione ai primi di aprile8. In particolare, al principio, si procede a togliere dai musei e imballare un gran numero di oggetti mobili. Esemplare il caso di Venezia: Come devono aver usato gli stessi autori, Tiziano o Tintoretto, a trasportare le loro immense tele e a mandarle sino alla corte di Spagna, e come usò poi sempre, i dipinti colossali furono avvolti con somma cura sui rulli, ricorrendo però, a rendere insensibili le curve, a grandi diametri (da 60 a 80 cent. e sino a un metro) e munendo

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STORIA, MEMORIA, IDENTITÀ

detti rulli di speciali cavalletti e sostegni, che garantissero il dipinto da ogni contatto [...] Per non impressionare la popolazione, i grandi carri equipaggio, messi a nostra disposizione gratuitamente dalle ferrovie dello Stato, in seguito a trattative fra i vari ministri, si caricavano di notte, accostandoli sui loro pontoni alla riva d’approdo dell’Accademia; e dall’una sino alle prime luci dell’alba, negli ultimi di marzo e nei primi di aprile, era quivi un grande e fervido lavoro [...].9

La manovra – fonte d’angoscia per la popolazione – viene presto bloccata per ordine ministeriale; non di meno in alcune città (Padova e Verona, ad esempio) i Musei Civici – sotto il pretesto di chiusure per lavori – continuano a preparare quadri e sculture per un’eventuale spedizione. Dopo il 24 maggio 1915, molte opere (non tutte) verranno trasportate oltre Appennino, in luoghi ritenuti sicuri. Allo scopo Firenze metterà a disposizione il convento di San Salvi, le cripte medicee e il Bargello, i cui spazi saranno esauriti entro il 1916. Tuttavia, al principio ancora si crede in una guerra breve che coinvolgerà il nord e le coste adriatiche senza troppi danni. Il potenziale rischio, però, si palesa subito, poiché le opere fisse – cioè monumenti, chiese e palazzi – vengono immediatamente interessate dalla violenza. Venezia e Ancona patiscono colpi nemici già al primo giorno di ostilità. Per converso è proprio il capoluogo marciano a costituire la ribalta ideale per allestire il primo grande spettacolo della “difesa dell’arte”, una celebrazione di civiltà da contrapporre alla montante “barbarie nemica”. Il 27 maggio 1915, infatti, si rimuovono i cavalli di San Marco10; di lì a poco s’avviano i lavori di protezione dei monumenti fissi, con gradiente creativo facilmente intuibile oggi, al cospetto degli empaquetage di Christo. È importante notare che già questa prima fase operativa rende indispensabile l’impiego dell’esercito: infatti – a più riprese – è il Genio militare a occuparsi di innalzare i primi paramenti antischeggia, agendo in collaborazione con le soprintendenze. Il compito di raccordare istituzioni civili e militari viene affidato a un noto critico d’arte: Ugo Ojetti, giornalista ormai famoso e capace di “comunicare” la guerra, quanto di coordinare le azioni protettive11. Perché, contro ogni previsione, il conflitto durerà a lungo e, a dispetto di qualsiasi deliberazione centralizzata iniziale, la tutela dovrà modularsi inevitabilmente sul ritmo tattico e strategico delle battaglie. La spettacolare difesa di Venezia non è insomma che un inizio, tutto sommato a bassa tensione, che offre il diapason per numerosi interventi sui più importanti manufatti delle città del nord. Sulla linea del fronte un corrispettivo a tutto questo si può leggere nelle precauzioni adottate per i primi territori “liberati”12: Aquileia, Romans, Gradisca, Cormons, Monfalcone, Cividale, Strigno13 e poi Cortina14, Avio, Rovereto15 e via dicendo. Si mettono in sicurezza le opere d’arte lasciate dagli austriaci16; si tenta di stabilire cosa abbiano asportato nella ritirata, per chiederne un domani la restituzione; si indottrina il personale dei musei alla nuova appartenenza italiana. Una prima fortissima scossa a tale assetto operativo è determinata dalla Strafexpedition della primavera 1916, nel corso della quale le forze nemiche sfondano le nostre linee e dilagano ben dentro il territorio italiano. Le opere d’arte mobili, distribuite nelle province e quasi mai catalogate, sono per lo più rimaste in sede e dunque esposte al furto; inoltre sono interessate – come gli edifici storici – alla battaglia di terra, i cui pericoli sono assai vari: dal tiro d’artiglieria, all’alloggiamento delle truppe in sedi storiche. Nell’emergenza – per salvare il salvabile – 25


MONICA BASSANELLO

di entrare a far parte del Reparto fotografico del Comando Supremo presso l’Ufficio Stampa e Propaganda31. Le fotografie scattate da Marzocchi, oggi conservate presso il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto, riportano il numero identificativo della lastra leggibile nella parte inferiore; lo stesso numero lo si ritrova su i positivi conservati nel fondo Ojetti sul cui verso è impresso il timbro a inchiostro «Sezione fotocinematografica del Regio Esercito Italiano»32. Ne sono un esempio le immagini scattate alle rovine di Ponte di Piave, di San Donà di Piave, al Ponte della Priula distrutto e all’azione vandalica compiuta a Udine33. Si tratta di situazioni ampiamente descritte dalle relazioni e pubblicate, ad esempio, nei volumi La Guerra, alcuni dei quali curati dallo stesso Ojetti34. Si segnala la presenza, all’interno della raccolta, anche di ventitré stampe alla gelatina ai sali d’argento realizzate dall’Ufficio Speciale del Ministero della Marina nella città di Venezia che documentano i danni ad alcune chiese causati dai bombardamenti avvenuti nella notte del 10 agosto del 1916 e tra il 26 il 27 febbraio del 1918. È un caso particolare, circoscritto alla città lagunare e legato alla presenza a Venezia di uno dei due Uffici Speciali del Servizio fotografico dell’Arma di Mare. Sul retro ogni fotografia riporta l’annotazione relativa al soggetto ritratto, la data di scatto e il timbro della sezione. Le immagini descrivono, in particolare, i danni causati alla chiesa di Santa Maria di Nazareth35. Appartengono a questa sezione anche le istantanee delle macerie della chiesa di San Simeon Piccolo, le vetrate distrutte della basilica dei Santi Giovanni e Paolo, i danni causati da una bomba incendiaria al soffitto di Santa Maria Formosa, e le terribili immagini scattate all’Ospedale Civile, all’epoca adibito a ospizio, all’indomani del bombardamento del 10 agosto del 191636. Con l’intensificarsi dei bombardamenti, nel 1917 il Regio Esercito mette a disposizione i propri mezzi per porre al riparo i manufatti sgomberati dalle città lungo il fronte e da Venezia: su barche e chiatte vengono trasportati lungo il Po i capolavori provenienti da chiese e palazzi veneziani. Nella raccolta Ojetti si conservano tredici piccole istantanee che ritraggono alcune opere avvolte in teli protettivi mentre vengono scaricate dai soldati a Cremona lungo le rive del Po, tra queste si riconoscono la statua di San Girolamo di Alessandro Vittoria proveniente dalla basilica dei Santi Giovanni e Paolo e la vera da pozzo di Ca’ d’Oro (fig. 6). La stessa sorte tocca anche ai cavalli marciani. Inizialmente ricoverati a Palazzo Ducale, anch’essi vengono trasferiti su un convoglio ferroviario a Roma, dove rimarranno fino al 1919. Le immagini lasciano intravvedere le sagome dei cavalli nascoste da teli protettivi37 (fig. 7). Dopo la disfatta di Caporetto, nell’ottobre del 1917, il fronte italiano indietreggia rovinosamente fino ad assestarsi sul fiume Piave. Molte città dell’entroterra soccombono ai bombardamenti, tra queste Padova che riporta diversi danni. Nel dicembre del 1917, infatti, si avvicendano diversi attacchi aerei che nella notte del 29 dicembre causano il crollo di parte del Teatro Verdi, mentre tra il 30 e il 31 dicembre viene danneggiata la facciata del Duomo 38. Nella raccolta Ojetti troviamo quindici stampe positive realizzate dalla Sezione cinematografica dell’Ufficio Stampa del Regio Esercito Italiano che illustrano le macerie del teatro e in particolare i danni arrecati alla facciata del duomo della città patavina39. 48


IL FONDO UGO OJETTI DELLA FONDAZIONE GIORGIO CINI DI VENEZIA

Le immagini del presente saggio provengono dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte, fondo Ugo Ojetti 1. Stabilimento Naya, Venezia. Piazza San Marco. Rimozione di uno dei cavalli marciani, 27 maggio 1915 gelatina ai sali d’argento / carta (cartolina postale), mm 138 ∑ 86 (SD OJ 12 27)

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IL FONDO UGO OJETTI DELLA FONDAZIONE GIORGIO CINI DI VENEZIA

2. Aquileia (UD). Basilica. Esterni, veduta laterale, danni dovuti ai bombardamenti gelatina ai sali d’argento / carta, mm 170 ∑ 120 (SD OJ 15 1) 3. Aquileia (UD). Museo Archeologico Nazionale. Veduta del cortile esterno gelatina ai sali d’argento / cartoncino, mm 227 ∑ 172 (SD OJ 16 33) 4. Luca Comerio, Gorizia. Veduta del castello dal fianco della chiesa di Sant’Ignazio gelatina ai sali d’argento / carta, mm 170 ∑ 120 (SD OJ 4 24)

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MONICA BASSANELLO

8. Comando Supremo Direzione del Servizio fotografico, Monastier (TV). Chiesa parrocchiale. Soldati a lavoro tra le rovine, gelatina ai sali d’argento / carta, mm 168 ∑ 110 (SD OJ 6 13)

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IL FONDO UGO OJETTI DELLA FONDAZIONE GIORGIO CINI DI VENEZIA

Ma è nei territori lungo il fiume Piave che si combattono le ultime cruente battaglie che porteranno alla distruzione interi paesi e straordinari tesori. Tra i luoghi documentati dopo la disfatta, troviamo un ampio corredo fotografico dedicato a San Donà di Piave40. Nella raccolta possiamo osservare venticinque immagini scattate in una città quasi completamente rasa al suolo. La documentazione raccolta da Ojetti proviene soprattutto dalla Sezione fotocinematografica del Regio Esercito, come attestato dal timbro posto sul verso e dal numero di negativo riportato sul recto. Si tratta di fotografie di piccolo formato che descrivono un paese dilaniato dai combattimenti41. Tra gli edifici colpiti lungo il Piave si contano numerose ville, alcune delle quali riportano danni irreparabili. Una di queste è Villa Da Mula, Guarnieri a Romanziol di Noventa di Piave, che Ojetti documenta raccogliendo alcune immagini della facciata scattate prima del conflitto procurandosi alcune ristampe da cartolina, provenienti dalla Soprintendenza dei Monumenti di Venezia. Nella busta si conservano alcune piccole istantanee della Sezione fotocinematografica che immortalano i soldati accampati tra le macerie e alcune riprese anonime nelle quali si intravvedono alcuni lacerti d’affresco miracolosamente scampati alla distruzione42. Anche altri centri soccombono allo stesso terribile destino, tra questi il caso esemplare di Nervesa della Battaglia in provincia di Treviso, teatro di numerosi scontri che provocano la distruzione dell’intero abitato. Negli scatti della Sezione fotocinematografica del Regio Esercito sono ampiamente documentate le macerie della chiesa, il campanile pericolante, le rovine dell’albergo, ma sono ancora una volta le opere dei Tiepolo a pagare il prezzo più alto. Sia villa Soderini-Berti, affrescata da Giambattista, sia villa Panigai, decorata da Giandomenico, vengono irrimediabilmente danneggiate, come attestato dalle fotografie realizzate al termine del conflitto dalla Soprintendenza dei Monumenti di Venezia. Nella stessa busta si conservano anche numerose immagini della distruzione dell’abbazia di Sant’Eustachio che viene colpita a più riprese43. Troviamo le fotografie del Comando Supremo nelle quali sono stati immortalati soprattutto gli esterni, della Sezione fotocinematografia del Regio Esercito, della Soprintendenza dei Monumenti di Venezia che documentano i danni causati all’interno dell’edificio, e alcuni scatti realizzati dall’architetto «Alberto [...]», così come riportato sul verso dell’istantanea. Tra questi, segnaliamo anche una fotografia realizzata dall’architetto Ferdinando Forlati, che durante la Grande Guerra viene richiamato alle armi ed è assegnato alla protezione dei monumenti dove segue da vicino molte delle operazioni di protezione coordinate da Ojetti44. Il caso della busta numero 7 dedicata alla documentazione delle rovine della località di Nervesa è da considerarsi esemplare per la comprensione della natura della raccolta Ojetti. Si tratta di una collezione di fotografie provenienti da fonti diverse raccolte allo scopo di documentare in maniera completa e dettagliata i danni al patrimonio, mentre la mappatura dei timbri di possesso e delle annotazioni ci permette di ricostruire la complessità dei rapporti intessuti dallo stesso Ojetti durante il conflitto. La rassegna delle immagini dei danni nei territori coinvolti nella battaglia del Solstizio ci conduce al termine del conflitto quando diventa prioritaria la restituzione delle opere d’arte a musei e gallerie, e il restauro dei monumenti danneg55


MONICA BASSANELLO 36 Molte delle immagini realizzate dall’Ufficio della Marina Militare e conservate nel fondo, verranno pubblicate nel volume di U. Ojetti, I monumenti italiani e la guerra nel 1917. Successivamente gli scatti verranno pubblicati anche nel volume che racconta i danni subiti dalla città di Venezia di G. Scarabello (1933). 37 Fondo Ojetti, b. 21, Sgombero delle opere d’arte lungo il Po. Febbraio 1918. 38 Per un approfondimento delle vicende che hanno interessato la città di Padova si rinvia al saggio di I. Salce, in questo volume alle pp. 83-94. 39 Fondo Ojetti, b. 22, recuperate, da SD OJ 22 6 a SD OJ 22 15. Le fotografie sono state recuperate tra le buste dei materiali alluvionati: tutte riportano numerosi danni causati dall’alluvione, come gore e macchie di ruggine. 40 Fondo Ojetti, b. 19, Guerra 1915-1918. San Donà di Piave. 41 Ivi, SD OJ 19 22. 42 Fondo Ojetti, b. 18, Guerra 1915-1918. Q-R. 43 C. Endrizzi, L’Abbazia di Sant’Eustachio a Nervesa della Battaglia. Vicende storico-architettoniche, Treviso, Antilia, 2001. 44 «36) / L’abazia di Nervesa sul Montello - La facciata - (fot. Forlati) / pag. prima / Confrontare con l’altra che ho già mandata e vedere quale è più nitida e può essere meglio riprodotta / Ojetti», Fondo Ojetti, b. 7, Guerra 1915-1918. Nervesa, SD OJ 7 26). 45 BNCF, sezione manoscritti, Ojetti 43, 2, 28. 46 Le fotografie attribuite alla Soprintendenza veneziana riportano sul retro il timbro a inchiostro «GABINETTO FOTOGRAFICO VENEZIA Regia Sovraintendenza dei Monumenti». 47 Per un approfondimento delle vicende relative alla campagna fotografica condotta dal Gabinetto fotografico della Soprintendenza di Venezia nei territori interessati dalle vicende belliche si rinvia al saggio di I. Turetta, in questo volume alle pp. 104-116. 48 Cfr. Fondo Ojetti, b. 6, Guerra 1915-1918. Monastero e Monastier. 49 Fondo Ojetti, b. 19, Guerra 1915-1918. San Donà di Piave, SD OJ 19 25. 50 Fondo Ojetti, b. 12, Guerra 1915-1918, Venezia, difesa dei monumenti e danni di guerra, da SD OJ 12 13 a SD OJ 12 20. 51 La mostra intitolata “La salvaguardia dei Monumenti durante la Grande Guerra. La raccolta fotografica di Ugo Ojetti alla Fondazione Giorgio Cini” si è tenuta a Venezia presso l’Isola di San Giorgio Maggiore dal 10 giugno al 31 agosto 2015.

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le fotografie del fondo guerra del museo centrale del risorgimento di roma Marco Pizzo L’intervento dell’Italia nella Prima Guerra mondiale, salutato nel 1915 come l’ultimo atto dell’Indipendenza italiana, aveva richiamato l’attenzione di Paolo Boselli, presidente del Comitato Nazionale per la storia del Risorgimento italiano e futuro presidente del Consiglio dei Ministri, che aveva auspicato «di raccogliere testimonianze e documenti sulla guerra, la quale si presentava come un corollario storico delle guerre per la nostra unità politica»1. Una missione che voleva idealmente proseguire gli intenti del 1906, quando venne istituito per volere del Ministero dell’Istruzione il Comitato del Risorgimento con l’obiettivo di «raccogliere ed ordinare i documenti, i libri e tutte le altre memorie che interessano la storia del Risorgimento e di prepararne e facilitarne lo studio»2. Già il 5 agosto 1915 Boselli aveva diramato una circolare nella quale venivano indicate le modalità di raccolta dei materiali della guerra e la rete dei collaboratori: erano chiamati a prestare il loro aiuto non solo i suoi membri corrispondenti ma anche gli enti pubblici e privati, gli editori e le redazioni dei giornali, gli studiosi e tutti i combattenti. Questa operazione avrebbe dovuto prendere il via recuperando tutti i materiali inerenti a: 1. Preparazione remota nell’opera di scrittori e di pubblicisti che furono assertori dei diritti dell’Italia sulle terre irredente: loro opere e scritti, cenni biografici, precise e compiute indicazioni bibliografiche; 2. Azione patriottica remota e prossima spiegata da privati e Società; 3. Opera di preparazione politica e diplomatica del Governo: Atti parlamentari, legislazione finanziaria, economica, sanitaria ecc. del periodo di guerra, libri diplomatici e relativa letteratura in opere occasionali e nella stampa quotidiana; 4. Manifesti governativi, Ordini del Governo militare, proclami, bandi, ordinanze, manifesti volanti, canti popolari, tutte insomma le pubblicazioni effimere (in edizioni originali), rispondenti ad un intento momentaneo e fuggevole o fatte a scopo di larga notorietà e propaganda; 5. Diari e corrispondenze di militari, documenti su atti di insigne valore, schede biografiche dei Decorati e dei Caduti sul campo dell’Onore; 6. Raccolta dei principali quotidiani e dei giornali locali di notevole importanza; 7. Materiale grafico: ritratti di combattenti caduti e di segnalati valore, istantanee di località e di azioni militari, illustrazioni di propaganda, caricature; 8. Legislazione Civile e Amministrativa per le popolazioni redente e altri atti che attestino e confermino l’alto concetto morale che è principio, mezzo e scopo della nostra guerra; 9. Atti, documenti e stampati, governativi e privati, sulla preparazione e l’assistenza civile; 10. Pubblicazioni sui giornali stranieri riflettenti anche indirettamente l’azione italiana nella sua portata politica diplomatica e militare, in relazione con la guerra europea.3

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MARCO PIZZO

Si ritenne quindi opportuno raccogliere documenti di ogni genere a testimonianza di un evento di cui si intuiva la portata storica riuscendo a conservare in maniera capillare la contemporaneità, intesa come «storia vissuta»4. Un raro e lungimirante esempio che non faceva selezioni qualitative, attribuendo minore o maggiore importanza a questa o a quella testimonianza, ma cercando, al contrario, di recuperare e trasmettere tutto quello che gli eventi bellici contemporanei producevano. L’obiettivo finale era quello di costituire un archivio, una biblioteca e un museo della guerra che avrebbero dovuto trovar posto nelle sale interne del monumento a Vittorio Emanuele II, il Vittoriano, che era ancora in costruzione sebbene fosse già stato inaugurato nel 1911 e per il cui definitivo completamento si sarebbe dovuto aspettare il 1935. Tutto il materiale che affluì al Comitato era puntualmente descritto in relazioni periodiche5 e divenne ben presto così consistente, grazie alla rete di raccolta così capillare, che nel 1919 si nominarono due delegati incaricati di dare una sistemazione scientifica alle varie testimonianze documentarie che si erano accumulate6. Tutti i documenti, da quelli grafici a quelli fotografici, confluirono in uno specifico fondo Guerra che era diviso a sua volta in due nuclei: l’Archivio della guerra e la Biblioteca della guerra che conteneva anche tantissimi opuscoli di necrologio7 oltre a discorsi, fogli volanti, avvisi e manifesti. La prima sede del fondo Guerra fu all’interno della Biblioteca del Risorgimento a Palazzetto Venezia a Roma, a pochi metri dal Vittoriano. La situazione rimase immutata fino al 1934 quando venne soppresso il Comitato8, fu demolito il palazzetto Venezia e venne fondato nel 1935 l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, che nasceva dalla trasformazione della preesistente Società Nazionale per la storia del Risorgimento9 e che si insediava negli spazi interni del Vittoriano. Tutti i materiali librari vennero invece affidati all’Istituto Storico per l’Età Moderna e Contemporanea. Nello stesso periodo si verificò anche lo smembramento delle raccolte provenienti dalla sezione risorgimentale della Biblioteca Vittorio Emanuele II di Roma. I documenti, gli autografi e i manoscritti furono consegnati all’Istituto per la storia del Risorgimento, mentre alla biblioteca restarono i materiali bibliografici, tra cui la Sezione della guerra 1914-1918 che comprendeva, oltre a un considerevole numero di periodici, anche spartiti musicali, canti popolari e manifesti che trovarono la loro sistemazione definitiva solo nel 1937 quando si ebbe infine la creazione della Biblioteca di storia moderna e contemporanea10 che trovò la sua sede nel Palazzo Mattei di Giove, poco distante dal Vittoriano. All’interno dell’archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento, di cui fa parte integrante il Museo Centrale del Risorgimento, si venne così a formare una collezione unica di testimonianze relative alla guerra ’15-18: una raccolta eterogenea che spaziava dalle fotografie scattate sul fronte agli equipaggiamenti dei soldati, dalle armi ai dipinti dei pittori-soldato, dalle lettere ai chiudi-busta della Croce Rossa, dai calendari degli emigranti italoamericani ai disegni della linea del Piave11. Passando in rassegna questa straordinaria ed “anomala” collezione storico-documentaria è quindi oggi possibile notare la sostanziale differenza tra i materiali prodotti e raccolti durante il conflitto con quelli realizzati nel 1921, data della definitiva inumazione della salma del Milite Ignoto all’interno del sacrario 62


LE FOTOGRAFIE DEL FONDO GUERRA

del Vittoriano, un atto che in qualche modo era considerato il termine simbolico e ideale della fine dell’esperienza della Grande Guerra. Una delle sezioni più ricche per quantità e complessità all’interno di questo fondo Guerra è rappresentato dalle fotografie12 che erano annoverate, nella circolare Boselli, come parte della sezione «Archivi minori della guerra»13. Le immagini che venivano raccolte in genere erano quelle che erano state scattate dai singoli reparti di fotocineoperatori che con il procedere degli anni divennero sempre più numerosi: nel 1917 l’Esercito impegnava quasi seicento unità che inviavano regolarmente fotografie ai vari comandi centrali per un totale di circa centocinquantamila lastre fotografiche14. Tutto questo materiale iniziò così a essere inviato a Roma e l’incremento di questo fondo fotografico non ebbe termine con la conclusione del conflitto, ma proseguì fino almeno agli anni Trenta mediante singole donazioni o lasciti15. Oggi il fondo fotografico della Guerra del Museo Centrale del Risorgimento di Roma è composto da circa 350.000 positivi e negativi che sono stati quasi totalmente catalogati, digitalizzati e consultabili sul web16. Le fotografie attualmente esistenti all’interno del Museo Centrale del Risorgimento di Roma si possono sinteticamente suddividere in tre grossi nuclei: – fotografie realizzate dai reparti del fotocineoperatori italiani; – fotografie realizzate dai reparti dell’Esercito austro-ungarico; – fotografie del fondo Caduti provenienti dal Ministero dell’Istruzione17. La prima sezione, ossia le fotografie realizzate dai reparti del fotocineoperatori italiani, è composta da 104 album originali che raccolgono le fotografie spesso accompagnate da didascalie originali tracciate direttamente sulla pagina dell’album. A questo consistente nucleo va aggiunto un album facente parte del fondo archivistico Manfredi Gravina18 e i tre album tematici relativi alla cerimonia del Milite Ignoto del 1921 che raccolgono un’ampia documentazione sul viaggio compiuto dalla salma da Aquileia a Roma, sulla cerimonia dell’inumazione al Vittoriano e sulle altre manifestazioni realizzate in contemporanea in varie località italiane per commemorare il «soldato ignoto»19. Le fotografie raccolte in questi album vennero realizzate, nella maggior parte dei casi, dalla Sezione fotocinematografica dell’Esercito. Questa, infatti, è la dicitura che compare sul frontespizio degli album che le contengono, anche se in molti casi vennero realizzati anche dalla Marina Militare e in modo più specifico dalla Direzione dei Servizi fotografici dell’Aviazione20. Esistono poi dei volumi in cui il fotografo è indicato chiaramente: si tratta in questi casi della produzione di un singolo che documenta la sua personale attività. È questo il caso di Alessandro del Porto, del VI Corpo d’Armata, che documenta tutte le operazioni belliche a cavallo tra il maggio e l’ottobre 191521, oppure del ten. Gulinelli del XIII Corpo d’Armata, che scatta le sue foto nella zona del Piave nel 191822. Diverso il caso dell’Album M 1 in cui sono indicati i fotografi Luca Comerio, il ten. Lomaglio, il ten. Bonaccossa, il cap. Cassola e il ten. Rocca. Particolarmente interessante è l’indicazione del primo nome: Luca Comerio (1878-1940), uno dei più importanti fotografi italiani a cavallo tra l’800 e il ’900 e autore anche di importanti film-documentari. Comerio fu l’unico civile, insieme ai suoi aiutanti, autorizzato a filmare e fotografare gli scenari della Grande Guerra23. Il fotografo, per potersi muovere più agevolmente tra i vari luoghi del fronte, fece realizzare dall’ing. Na63


MARCO PIZZO

Le immagini del presente saggio provengono dal Museo Centrale del Risorgimento di Roma 1. Soldati italiani in un campo di prigionia, 1917 ca (Fondo fotografico dell’Esercito austro-ungarico, X 301)

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LE FOTOGRAFIE DEL FONDO GUERRA

2. Ritratto di Andrea Peirano (Fondo Caduti, b. 180, fasc. 77) 3. Ritratto di Paolo Pejrone (Fondo Caduti, b. 180, fasc. 93)

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IRENE SALCE

morale» sostenuto dalla popolazione, alla quale il conflitto aveva, in pochi anni, cancellato o rovinato «ogni traccia di un passato che era il nostro vanto e la nostra più superba spirituale ricchezza»22. Come scrisse Mario Brunetti nella sua recensione: Subito dopo il sacro Martirologio umano [...], ecco il martirologio delle cose, che rappresentano tanta parte del patrimonio spirituale d’una Nazione perché esprimono, nelle forme dell’arte care ad ogni epoca, il mutevole e pur sempre vivace genio della stirpe. Se poi pensiamo che in territorio veneto s’è svolta quasi interamente la nostra guerra, e che tale territorio è ricco di monumenti [...], avremo la misura e della vastità delle ferite inferte dalla guerra e dell’ampiezza del compito di chi si proponeva, dopo il conflitto, di sanarle e di degnamente illustrarle.23

E infatti Vittorio Cian, nelle pagine del «Giornale storico della letteratura italiana» da lui a lungo diretto, afferma che È un libro che non si può percorrere senza provare una stretta al cuore, specialmente per chi abbia [...] una lunga consuetudine di vita e di memorie con quella regione e serbi ancora viva negli occhi l’immagine antica di quei luoghi così crudelmente colpiti dalla tormenta bellica.24

Le immagini utilizzate da Moschetti per illustrare il suo scritto erano funzionali a un preciso progetto comunicativo. Il messaggio che egli voleva trasmettere può essere sintetizzato in due punti: – resoconto delle operazioni e degli sforzi effettuati per tutelare e per salvaguardare le opere d’arte e i monumenti all’inizio del conflitto e dopo lo sfondamento a Caporetto; – rendiconto dei danni causati non solo dalla guerra (fuoco nemico e amico), ma anche da atti umani quali il vandalismo o l’abbandono delle rovine alle intemperie dopo la fine delle ostilità. Le fotografie sono, pertanto, adoperate per fornire testimonianza visiva e tangibile di quanto espresso nel testo. Per rafforzarne il significato, Moschetti a volte inserisce delle immagini di monumenti, di edifici e di manufatti prima dell’inizio del conflitto; in altri casi pubblica delle foto successive agli interventi di recupero o di ripristino. Nelle didascalie delle illustrazioni sono spesso indicati ulteriori dettagli su quanto avvenuto durante o dopo la guerra: danneggiato, incendiato, rubato, rovinato, deturpato, colpito, guastato, devastato, mutilato, distrutto, demolito, restaurato... Dell’utilizzo didascalico di questo tipo di fotografie aveva fatto scuola Ugo Ojetti25 con il suo I Monumenti italiani e la guerra, curato dall’Ufficio Speciale del Ministero della Marina e dato alle stampe a Milano nel 1917 (ed. Alfieri e Lacroix). In tale volume, il testo venne addirittura limitato a poche pagine introduttive e il racconto fu condotto sostanzialmente per immagini. Queste, tuttavia, riguardavano soprattutto beni artistici di centri urbani – su tutti Venezia – e ciò è dovuto sostanzialmente alle necessità ideologiche del momento: durante il conflitto, per rendere immediatamente riconoscibile lo sforzo bellico nostrano (dentro e fuori dei confini), era consigliabile divulgare rovine di opere celebri.26

Alla fine delle ostilità, come possiamo vedere nel testo di Moschetti, la situazione si ribalta e l’attenzione è ampiamente rivolta alle zone martoriate dalla guerra, al paesaggio, alle campagne e alle montagne del Triveneto, nonché alle

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ANDREA MOSCHETTI E IL FONDO DEL GABINETTO FOTOGRAFICO

arti popolari, da quelle applicate e decorative agli arredi sacri. La studiosa Marta Nezzo sottolinea, infatti, come: La tragedia ha permesso di avvalorare nuove espressioni umane: accanto a chiese e pale d’altare, ad affreschi e sculture, compaiono finalmente i perduti saloni arredati, i laceri ferri battuti, i paesaggi traforati dalle bombe. E l’elaborazione del lutto, condotta in questi termini, produce la chiara percezione di quell’insieme denso che viene accreditandosi come patrimonio culturale, nonché demoetnoantropologico, della nazione.27

Le lastre rinvenute nel Gabinetto Fotografico dei Musei Civici di Padova costituiscono solo una parte dell’intero corpus di illustrazioni del volume, fondo non ancora reperito nella sua totalità. Alcune delle immagini pubblicate – di cui non sempre è conservato il negativo nell’istituto patavino – vennero fornite da differenti istituzioni o persone, tanto che lo stesso Moschetti ricorda come nel suo immane lavoro di ricerca, ebbe aiuti «di informazioni, di chiarimenti e di fotografie, dalla R. Sopraintendenza ai Monumenti e alle Opere d’arte del Veneto, nonché dalle altre Sopraintendenze e dai singoli ispettori onorari locali e da studiosi diversi e dai parroci delle chiese»28. Durante il conflitto, infatti, l’attività dei gabinetti fotografici delle soprintendenze fu rilevante e molti degli scatti ebbero presto ampia diffusione29. Nel libro, sotto alcune illustrazioni, sono indicati anche nomi di noti fotografi o di studi fotografici dell’epoca tra i quali Filippi (figg. 25, 29, 67, 68), Alinari (figg. 30, 42, 584), Böhm (figg. 31, 155), Fiorentini (figg. 37, 43), Naya (figg. 208, 210, 213, 214, 215). La serie di immagini di opere di Antonio Canova danneggiate (figg. 116-126), realizzata da Stefano Serafin, allora custode del Museo canoviano, con l’aiuto del figlio Siro, era invece di proprietà della Gipsoteca30. Alcune fotografie vennero tratte, infine, da altre pubblicazioni. Sfogliando le pagine del volume si trovano citati, tra gli altri, il «Bollettino del Museo di Bassano»31 (fig. 62), «L’Illustrazione della Marca Trevisana»32 (figg. 159, 160, 166, 179, 185, 187), «L’Illustrazione veneta»33 (figg. 272, 273), «Il Gazzettino Illustrato»34 (fig. 315). Non viene menzionata, invece, l’opera La Guerra, edita dai Fratelli Treves di Milano a partire dal 1916. Come nel testo di Ojetti sopra citato, anche nei diciotto volumi degli editori milanesi furono le immagini a guidare il racconto: ciascuno di questi era dedicato a una specifica battaglia o a una particolare zona di guerra e illustrato da carte militari e da fotografie del Reparto fotografico del Comando Supremo del Regio Esercito, corredate da didascalie in più lingue35. Proprio la presenza di tali informazioni in alcune lastre del GabinettoFotografico (per esempio negg. 773, 911, 969, 1009, 1011), sotto l’immagine, ha consentito di stabilire delle correlazioni. A parte La Guerra dei Fratelli Treves, frutto di un’iniziativa di grande respiro, i periodici citati erano profondamente legati al territorio nel quale Moschetti operava. Il fatto che egli li conoscesse, li avesse avuti tra le mani, è un’ulteriore dimostrazione del suo fortissimo radicamento nell’ambiente che lo circondava e dell’interazione che egli aveva stabilito con esso. Tra l’altro, l’esplorazione di biblioteche e di archivi e lo studio approfondito della documentazione erano alcuni degli aspetti che lo caratterizzavano. Fin dagli inizi della sua attività, ancor prima di divenire direttore del Museo padovano, Moschetti applicava «agli oggetti della sua indagine – testi letterari o opere d’arte figurativa – un metodo rigoroso e scientifico, attraverso l’esercizio di una ricerca erudita, l’esame delle fonti, la raccolta di documenti, procedendo con il sostegno di un ricco apparato bibliografico»36. 87


IRENE SALCE

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ANDREA MOSCHETTI E IL FONDO DEL GABINETTO FOTOGRAFICO

Le immagini del presente saggio provengono dai Musei Civici di Padova, Gabinetto Fotografico 1. Sagrado (GO). Villa della Torre di Valsassina Hofer Hohenlohe detta Castelnuovo bombardata (neg. F 970) 2. Maserada sul Piave (TV). Tempietto della Madonna delle Vittorie. Madonna con il Bambino (neg. F 1034)

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Dall’altro, descriveva i saccheggi compiuti dall’esercito nemico nelle proprietà private: Si deve allo spirito predatore del nostro eterno nemico il sistematico saccheggio della proprietà privata. Non un oggetto artistico, non un quadro o un mobile rimase nelle abitazioni dei privati. A forza furono tolte dalle famiglie materassi, biancheria, vestimenta. Anche ai contadini che numerosi erano rimasti sopra i campi ed erano calati nelle borgate non appena gli abitanti partirono onde rifornirsi di quanto erasi lasciato nella fuga, anche ai contadini venne tolto tutto e spedito in Austria o Germania a seconda dell’occupante.

Ongaro sottolineava, infine, le difficoltà del viaggio: Ecco la prima impressione riportata dalla mia gita resa più lunga e faticosa dalle lunghissime soste per attendere il permesso di passaggio attraverso i ponti di barche che sostituiscono temporaneamente quelli fatti saltare dal nemico onde ritardare il nostro inseguimento.31

Il 15 novembre Ricci lo esortava a proseguire le sue visite: [...] al doppio scopo di provvedere a proporre i provvedimenti più urgenti per ovviare ai danni arrecati ai monumenti dallo stato di guerra, ed a quello di compilare una relazione nella quale siano notati tutti i danni che i monumenti hanno sofferto per opera del nemico, affinché essa possa servire di base alle domande di indennizzo che verranno formulate nelle trattative di pace.32

La seconda gita si svolse nelle località di Conegliano, Sacile e Susegana, e diede luogo a tre distinte relazioni, redatte il 30 novembre. Particolarmente interessante risulta quella relativa al castello di San Salvatore di Collalto a Susegana, poiché nel fondo di trovano diverse fotografie che illustrano quanto efficacemente descritto nel testo (fig. 9): Ottenuto dal comando supremo un’automobile mi sono subito recato oltre Piave a visitare il Castello di S. Salvatore di Collalto. Il Castello è posto su di un poggio che si eleva dalla piazza di oltre un centinaio di metri; al di là si domina gran tratto della pianura trevigiana ed il fianco orientale e quello settentrionale del Montello. Osservatorio quindi di primo ordine per le artiglierie, posizione ottima per postamento di artiglierie. Era ben naturale che fosse bersaglio per le artiglierie italiane. Occupato dai germanici in seguito alla nostra ritirata, fu vuotato completamente dei mobili, archivi oggetti d’arte e benché appartenesse a una famiglia fattasi da tempo austriaca, dalle informazioni raccolte, tutto fu inviato in Germania. Oggi del Castello non resta che una grandiosa rovina. La nostra artiglieria non sbaglia il bersaglio. Delle pitture del Pordenone che ornavano la facciata non restano che piccoli tratti; anche della chiesetta ornata di affreschi di Tommaso da Modena e dal Montagnana non restano che piccoli tratti di pareti rovinose e frammenti delle antiche pitture. Anche gli antichi sarcofaghi furono frantumati dagli scoppi e dalle cannonate, se ne vedono i resti sparsi tra le macerie. Adesso fra i ruderi si aggirano soldati e contadini e s’incontrano anche curiosi. Tutti rovistano, raccolgono qualche frammento, asportano legname e pezzi di ferro, strappano qualche serratura ancor rimasta nelle porte.33

Seguirono a questo diversi sopralluoghi; il 12 dicembre Ongaro scriveva a Ricci: Ritornato da una gita fatta seguendo l’itinerario Susegana, Pieve di Soligo, Follina, Vittorio, Belluno, Feltre, Quero, Cornuda. Invio al Ministero il nuovo elenco dei danni. Alcuni di questi sono visibili dalle fotografie fatte e che mi riservo di inviare quanto prima. Faccio anche questa volta l’osservazione che non è possibile in una singola gita tutto vedere [...].34

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FRA CATALOGAZIONE E RICERCA

Si tratta probabilmente delle prime riprese realizzate dal fotografo Caprioli al suo rientro in servizio dopo il congedo: le 10 fotografie relative al castello di Susegana, al paese e alla chiesa di Quero (fig. 10) e al vicino castello di Castelnuovo furono effettivamente inviate il 18 dicembre, con una lettera nella quale il soprintendente preannunciava di essere già in procinto di ripartire: Come promisi, invio 10 fotografie fatte nell’ultima mia gita di cui diedi relazione con la lettera n. 1082 in data. Domani riparto e spero di poterne fare altre pure interessanti.35

Le successive lettere, tuttavia, riportano il numero di fotografie allegate senza specificare le località documentate nelle riprese: per ricostruire le tappe della campagna fotografica è pertanto necessario basarsi sulle date di inventariazione nel Protocollo Negativi, che almeno in questa prima fase risultano piuttosto fitte e sembrano aver seguito da vicino l’esecuzione degli scatti36. Il 14 dicembre veniva registrata la fotografia che ritrae all’interno della chiesa parrocchiale di Cavaso del Tomba lo stesso Massimiliano Ongaro, al centro della navata ricoperta dalle macerie (fig. 11). Quella del soprintendente sarà una presenza ricorrente nelle fotografie dei “Territori liberati”, soprattutto in questa prima fase della campagna, nella quale è spesso riconoscibile, sia al centro delle riprese, di fronte ai monumenti danneggiati, come nelle vedute di Quero e Collalto, sia a margine delle inquadrature, come a Sernaglia della Battaglia, dove viene immortalato accanto a un militare e all’autovettura usata per le ricognizioni (fig. 12), sia infine, quasi nascosto, all’interno della cappella Vecchia del Castello di San Salvatore, tra i resti degli affreschi attribuiti a Tommaso da Modena di cui aveva sospeso le operazioni di stacco intraprese da Luigi Bailo senza le necessarie autorizzazioni37. Non si tratta, del resto, di una peculiarità di questa campagna: lo ritroviamo, infatti, in primo piano, anche in una fotografia che documenta le operazioni di rimozione delle vere da pozzo di Palazzo Ducale, pubblicata nel suo articolo sui provvedimenti presi a tutela degli oggetti d’arte dalla Soprintendenza di Venezia, scritto per «Bollettino d’Arte» il 31 gennaio del 191938. La costante presenza della figura del soprintendente riflette la volontà di conferire a tali campagne fotografiche un insostituibile valore documentario: si tratta infatti di una vera e propria sigla di autografia, se non quanto a realizzazione tecnica, sicuramente quanto a progetto di documentazione della tragica realtà dei territori dilaniati dalla guerra. Tra le altre fotografie eseguite nel corso del mese di dicembre, 26 delle quali furono inviate a Ricci il 2 gennaio del 191939, vi sono anche le suggestive immagini delle maestose architetture delle chiese parrocchiali di San Polo di Piave e Ponte di Piave squarciate dai bombardamenti; quella della cattedrale di San Donà che riprende all’interno dell’edificio, ormai a cielo aperto, alcuni abitanti del luogo tra le macerie del soffitto completamente crollato sotto i bombardamenti italiani; infine, la fotografia della chiesa di San Leonardo a Moriago in cui, come in altri casi all’interno del fondo, le persone comuni sedute tra le macerie sembrano avere lo scopo di fornire la misura del danno e dell’irreparabilità delle perdite subite (fig. 13). Altre 57 fotografie furono inviate l’8 febbraio del 1919, documenti ai quali il soprintendente continuava ad ascrivere una massima valenza testimoniale:

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FRA CATALOGAZIONE E RICERCA

8. Ferdinando Forlati, Nervesa della Battaglia (TV). Ruderi dell’abbazia di Sant’Eustachio durante la Prima Guerra mondiale. All’ingresso, il soprintendente Max Ongaro, agosto 1918 9. Giovanni Caprioli, Collalto di Susegana (TV). Veduta del Castello di San Salvatore dopo la Prima Guerra mondiale. A destra, il soprintendente Max Ongaro, dicembre 1918 10. Giovanni Caprioli, Quero (BL). La chiesa di Santa Maria Annunciata dopo la Prima Guerra mondiale. A destra, il soprintendente Max Ongaro, dicembre 1918

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LA GRANDE GUERRA DELL’ARTE NELLE IMMAGINI D’ARCHIVIO di Marta Nezzo



Elenco delle abbreviazioni FGC

Fondazione Giorgio Cini, Venezia

MCPd, GF

Musei Civici di Padova, Gabinetto Fotografico

MCR

Museo Centrale del Risorgimento, Roma

BCPd

Biblioteca Civica, Padova

SABAP VE met, BL, PD e TV

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso

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I. IL “LIEVO” DEI CAVALLI DI SAN MARCO

A Venezia le incursioni nemiche datano al primo giorno di guerra, ma non recano gravi danni alle opere d’arte. Ad Ancona, invece, già il 24 maggio 1915, sette proiettili lanciati da navi austriache colpiscono la cattedrale di San Ciriaco. La “risposta” propagandistica italiana è immediata e si concretizza nel “lievo” dei cavalli di San Marco che, organizzato per il 27 maggio, avrà larga eco durante l’intero conflitto. Scriverà Ugo Ojetti nel 1917: «il primo lavoro di difesa della Basilica contro i pericoli di guerra fu [...] quello di calare i quattro cavalli di bronzo, in dodici ore di continuo lavoro, per riporli in luogo sicuro pur senza allontanarli da Venezia. Fu un lavoro necessario e perché quelle sculture greche sono preziose anche fuori del loro mirabile cómpito decorativo, e perché la parte superiore della facciata della Basilica è tanto debole che ogni percossa sui cavalli e sul podio che li sosteneva poteva sconnetterla e anche farla ribaltare in avanti. Giornata memorabile, piena di sole, di coraggio e d’ansia. Da un secolo, esattamente da un secolo, i quattro cavalli, tornati da Parigi, erano stati ricollocati sul trono. [...] Nessuno di noi negl’improvvisi preparativi del difficile lavoro aveva pensato a quella coincidenza: 1815-1915. Mentre il primo cavallo, quello verso la torre dell’orologio, scendeva e voltandosi sulle sue funi nel pieno sole di maggio pareva vivo, qualcuno ricordò. Un brivido di superstizione ci scosse: i quattro cavalli trionfali s’erano mossi solo al cadere d’un impero [...]. Non era un auspicio di vittoria? Forse era solo l’ansia nostra a vedere uno dopo l’altro quei bronzi incomparabili sospesi così per tre funi nel vuoto sotto un terso cielo da aeroplani...».

1. Venezia. I cavalli di San Marco trasferiti a Parigi nel 1797 (incisione di Jean Duplessis-Bertaux) (da Ugo Ojetti, I monumenti italiani e la guerra, Milano 1917)

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2. Tomaso Filippi, Venezia. La discesa dei cavalli marciani, 27 maggio 1915 (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 12 12) 3. Ferdinando Forlati (?), Venezia. Uno dei cavalli marciani imbragato, 27 maggio 1915 (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 12 26)

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III. PROTEZIONI ALL’INTERNO DEGLI EDIFICI

La protezione degli interni prevede una serie di operazioni assai varie. Il primo pensiero è contro gli incendi: in San Marco, a Venezia, si distribuiscono estintori, sacchi di sabbia e pale per gettarla; si fa arrivare a ogni piano il getto delle pompe idranti e si spalmano le travature lignee con silicato di soda e altre sostanze ignifughe. C’è poi il rischio connesso all’onda d’aria che, in caso di esplosione, può frantumare sculture, lacerare teleri e disperdere tessuti musivi. Contro tal genere di offesa, il septo dei Dalle Masegne viene accuratamente imbottito di ovatta e sabbia cotta, quindi fasciato con paglietti d’alga, in modo da evitarne l’eventuale disgregazione. Sui mosaici sono incollate tele per mantenere l’ordine delle tessere anche in caso di distacco parziale. Infine, ove necessario, le vetrate vengono smontate e poste al sicuro. Per difendere i gruppi plastici si innalzano coperture con saccate di sabbia: i monumenti Vendramin, Valier e Mocenigo, nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, ne sono quasi completamente nascosti. Anche l’altare del Santo a Padova – con i bronzi di Donatello – gode della medesima protezione, accresciuta però da un ulteriore involucro in muratura. Infatti, se la sabbia è in grado di riparare dalle schegge, le cortine in laterizio servono a ridurre l’effetto di eventuali colpi diretti. Infine si pone il problema degli affreschi, affrontato – sempre a Padova – sia agli Scrovegni che agli Eremitani. Particolarmente discussi i lavori alla cappella giottesca, ove innanzitutto si sparge uno strato di sabbia di 60 cm sul pavimento; si innalza poi una gabbia di ritti in ferro e correnti superiori in legno, per appendervi immensi materassi d’alga (spessi 15 cm, alti 2 m e lunghi 3,60). Ciò che desta preoccupazione è la distanza fra questi ultimi e le pareti (m 1,70), necessaria per evitare danni da umidità stagnante. Simile difesa – si mormora – sarà senz’altro utile in caso una bomba esplodesse al centro della chiesa, ma se essa cadesse proprio fra l’affresco e la protezione?

1. Oreste Bertani, Venezia. Protezioni del septo dei Dalle Masegne e degli amboni di San Marco (da Ugo Ojetti, I monumenti italiani e la guerra, Milano 1917)

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2. Giovanni Caprioli o Tomaso Filippi, Venezia. Protezione del monumento Vendramin nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 13 18) 3. Padova. Protezioni dell’interno della basilica di Sant’Antonio (MCR, A 4 4758)

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V. LE PROTEZIONI CUSPIDATE

Le difese più avveniristiche messe in campo durante la Grande Guerra sono le coperture cuspidate, poste attorno a complessi scultorei di speciale rilevanza. Si tratta di strutture con tetto a forte inclinazione, il cui obiettivo è – in caso di bombardamento aereo – resistere al primo urto e far scivolare via l’ordigno. Va da sé che il principale problema che esse pongono è la necessità di salvaguardare gli zoccoli da eventuali esplosioni laterali. In questo modo vengono difesi il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni in Venezia (Verrocchio), il Gattamelata a Padova (Donatello), nonché le Arche scaligere a Verona. In realtà i paramenti approntati per i tre siti non sono affatto identici. Il Colleoni viene coperto, nelle prime settimane di guerra, con un tetto in lamiera d’acciaio, poggiante su una struttura in legno; il basamento è rivestito da saccate di sabbia; il tutto infine è avvolto da materassi d’alga. Il Gattamelata, anch’esso inizialmente riparato con un tetto in lamiera a forte spiovente, resterà con lo zoccolo scoperto fino al marzo 1917. Poi il timore che eventuali schegge rovinino il piedistallo avrà la meglio. Alle Arche scaligere si sperimenta qualcosa di ben più complesso: una tripla copertura respingente. Ogni tomba viene circondata da muraglie poligonali, con tetto a forte inclinazione. Quest’ultimo è costituito di tre strati: laterizio nella parte più interna, rete metallica nel mezzo, lamiera all’esterno. Qualora una bomba sfondasse la lamiera esterna, si troverebbe a rimbalzare sulla rete; se dovesse poi lacerare anche questa, troverebbe ancora un muro in mattoni fra sé e l’opera d’arte.

1. Zaghis, Venezia. Lavori di protezione del monumento a Bartolomeo Colleoni (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 13 42)

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2. Ufficio Speciale del Ministero della Marina, Venezia. Protezione totale del monumento a Bartolomeo Colleoni (MCPd, GF, neg. F 1013) 3. Studio Fiorentini, Padova. Protezione parziale del Gattamelata nel novembre 1916 (BCPd, RIP XI 3406) 4. Terza Sezione Servizio fotografico Comando in Capo Piazza Marittima Venezia, Padova. Protezione totale del Gattamelata dopo il marzo 1917 (BCPd, RIP XI 3407)

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VIII. ESTATE 1916: GORIZIA

Per quanto concerne le esigenze della tutela, l’invasione italiana di Gorizia costituisce un caso speciale. Ugo Ojetti, già nel luglio 1915, viene incaricato di mapparne le sedi sensibili e segnalare ciò che, in caso di conquista, è da portar via a scopo protettivo. Inoltre deve cercare documentazione sui beni artistici che adornavano la città in tempo di pace, onde evidenziare eventuali “furti” compiuti dal nemico ritirandosi. Sfruttando la conoscenza della bibliografia più aggiornata, dunque, lavora a un promemoria ove ricostruisce a tavolino, con dovizia di fotografie, l’immagine artistica del centro giuliano. Si tratta, in sostanza, di uno scritto che prepara l’invasione, non nel senso tattico e militare, ma guardando – per quanto possibile – alla preservazione del patrimonio. Gli italiani entreranno effettivamente in Gorizia soltanto un anno più tardi, cioè l’8-9 agosto 1916: fra loro Ojetti, con la specifica responsabilità di luoghi e oggetti di pregio. La sua esperienza, filtrata dalla memoria, sarà affidata nel 1924 alle pagine del «Corriere della Sera». Così racconta gli ultimi ordini ricevuti dal Generale Luigi Capello: «Le truppe non entreranno che inquadrate. Qualunque soldato sorpreso a saccheggiare sarà fucilato sul posto. Mezz’ora dopo l’entrata delle truppe, archivi, banche, chiese, musei devono essere piantonati. Lei sa dove sono, ne risponde lei. Vada». I beni recuperati durante l’invasione – soprattutto collezioni e biblioteche private – verranno sottoposti a sequestro. Lo scopo dichiarato è la conservazione, ma non se ne esclude l’utilizzo in sede di trattative di pace.

1. Gorizia. Rincalzi militari per le vie cittadine (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 4 12)

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2. Gorizia. La chiesa di San Pietro, 9 agosto 1916 (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 4 1) 3. Sezione cinematografica del Regio Esercito Italiano, Gorizia. Rovine della chiesa di Sant’Andrea (FGC, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 4 15) 4. Gorizia. Rovine nella chiesa di Sant’Antonio (MCPd, GF, neg. F 1085)

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XI. BOMBARDAMENTI SU PADOVA

Il trasferimento dei vertici militari a Padova ha conseguenze gravi sulla città. Se i primi bombardamenti del 1915-1916 avevano lesionato quindici fabbricati, con l’autunno-inverno del 1917 la situazione precipita. Nell’arco di quattro mesi sono colpiti 198 edifici, 105 dei quali vengono devastati irrimediabilmente. Fra 29 e 31 dicembre si hanno i danni maggiori. Nella notte del 29, un ordigno incendiario cade sulla cupola della chiesa del Carmine: la sovrastruttura in legno prende fuoco, in un incendio spettacolare quanto spaventoso. Fortunatamente la sottostante calotta in muratura resiste, impedendo il propagarsi delle fiamme all’interno. Viene colpito anche il Teatro Verdi, con danni rilevanti a membrature, decorazione e arredi. Sempre negli ultimi giorni del ’17 viene bombardato il Duomo, ulteriormente colpito il 4 febbraio 1918: crolla, per una decina di metri, il coronamento della fronte in mattoni, mai rivestita in marmo. Purtroppo l’attacco rovina anche il tetto del contiguo battistero romanico, senza fortunatamente lesionarne l’interno. Ordigni cadono, ancora, su piazza del Santo, dinnanzi al Museo Civico: danneggiano il Museo stesso e, fuori, le banchine in pietra d’Istria, le porte e le vetrate della basilica. La vicina Scuola del Santo – con preziose pitture di Tiziano, Montagna ecc. – ne esce “bene”, cioè con gli infissi divelti, ma senza perdite artistiche rilevanti. Per fissare le sofferenze della città con qualche numero, si pensi che Padova – fra l’aprile 1916 e l’agosto 1918 – subisce un centinaio di incursioni, di cui 19 “efficaci”; durante queste ultime 912 bombe vanno a segno. La devastazione del tessuto urbano è rilevante: 211 edifici patiscono lesioni o addirittura la totale distruzione. Il bilancio delle vittime, allora calcolato, è pesantissimo: circa 130 morti e oltre 100 feriti.

1. Sezione cinematografica del Regio Esercito Italiano, Padova. Incendio della cupola della chiesa del Carmine il 29 dicembre 1917 (BCPd, RIP XL 3810)

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2. Sezione fotocinematografica del Regio Esercito Italiano, Padova. Il Teatro Verdi dopo il bombardamento del 29 dicembre 1917 (MCR, Fp 1 0331) 3. Sezione fotocinematografica del Regio Esercito Italiano, Padova. Il Teatro Verdi il giorno dopo il bombardamento, 30 dicembre 1917 (MCR, Fp 1 0341)

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4. Sezione fotografica Comando Supremo, Padova. Piazza del Santo dopo il bombardamento del 30-31 dicembre 1917 (BCPd, RIP XXVIII 10758) 5. Padova. Il Museo Civico dopo il bombardamento del 30-31 dicembre 1917 (BCPd, RIP XXVIII 10065)

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XV. RICOSTRUZIONE

Dopo l’armistizio, per tornare alla normalità, ci vorranno molto impegno e anche molto denaro, chiesto in parte ai vinti come riparazione ai danni di guerra. Collezioni, biblioteche e archivi privati rimasti in sede, lungo la linea del fronte, hanno subito incendi, furti, dispersioni e costituiscono una perdita difficile da calcolare. Ma soprattutto il paesaggio, il tessuto urbano e quello identitario, nei paesi dove si è combattuto, sono azzerati. I palazzi, le chiese, le case risultano distrutti o gravemente danneggiati; un’ulteriore rovina viene dal lungo abbandono cui le strutture vanno incontro anche dopo la fine del conflitto. Negli edifici storici sfondati, le pareti dipinte sono fessurate e si sgretolano alle intemperie; le murature sono invase dalla vegetazione, dilavate dall’acqua. Faticosamente si inizia a ricostruire. Una raccolta di materiale fotografico relativo ai paesi colpiti, per fissare nel ricordo la situazione d’anteguerra, viene organizzata già negli ultimi mesi di combattimento. Presto, con l’aiuto dell’Opera di Soccorso per le chiese rovinate dalla guerra, si provvederà a restaurare, edificare ex novo e restituire ornamento agli edifici sacri.

1. Studio E. Filippini, Rovereto (TN). Danni causati da atti di vandalismo in Biblioteca Civica (MCPd, GF, neg. F 1090)

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2. Gabinetto fotografico Regia Sovraintendenza dei Monumenti di Venezia (Giovanni Caprioli), Feltre (BL). Danni causati dall’occupazione nel Monastero dei Santi Vittore e Corona (SABAP VE met, BL, PD e TV, nr. imm. 26472)

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3. Ronchi dei Legionari (GO). Ruderi pericolanti della chiesa di San Poletto, (MCPd, GF, neg. F 1084) 4. Ronchi dei Legionari (GO). Rovine della chiesa di San Poletto (MCPd, GF, neg. F 888)

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5. Regia Sovraintendenza dei Monumenti di Venezia, Velo d’Astico (VI). La chiesa di San Giorgio colpita (MCPd, GF, neg. F 870) 6. Velo d’Astico (VI). La chiesa di San Giorgio restaurata (MCPd, GF, neg. F 873)

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Stampato nel 2016 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso la Papergraf di Piazzola sul Brenta (Padova)




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