ptolemaica. studi sul mediterraneo ptolemaica. studies about the mediterranean sea collana diretta da | a series edited by Serenella Ensoli
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Comitato Scientifico della collana Series Scientific Committee
Ahmed Abdulkariem Mounir Bouchenaki Stefano De Caro Emanuele Greco Ettore Janulardo Karl-Uwe Mahler Clemente Marconi Attilio Mastino Demetrios Michaelides Vincent Michel Maria Antonietta Rizzo Hamed Salem Mustafa Turjman Susan Walker . Jerzy Zelazowski
la fortuna di lisippo nel mediterraneo Tra ‘imprenditorialità’, ‘politicizzazione’ e ‘strategie di reimpiego’ a cura di Serenella Ensoli
testi di Serenella Ensoli, Angela Di Folco, Filippo Salamone con la collaborazione di Ilaria Campagnano, Antonella Frezzetti, Paolo Piscitelli
ILPOLIGRAFO
Il volume è pubblicato con il contributo di
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Direzione Generale per la promozione del sistema Paese) Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”
in copertina Giovanni Ghisolfi (Milano 1623-1683), Veduta di fantasia con la statua di Ercole Farnese, collezione privata (da Lisippo. L’arte e la fortuna, a cura di P. Moreno, S. Ensoli, M.E. Tittoni, F. Pirani, Milano 1995, p. 432, n. 7.1) L’ottimizzazione dell’apparato iconografico è stata realizzata da Ilaria Campagnano. Le traduzioni dall’italiano all’inglese sono di Giusy Marra
L’Editore è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda fonti iconografiche non identificate progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice grafica Laura Rigon redazione Sara Pierobon © copyright luglio 2017 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-9387-007-8
indice
9 Prologo | Prologue Serenella Ensoli 11 Introduzione Serenella Ensoli Parte prima LA FORTUNA DI LISIPPO DALL’ETÀ ELLENISTICA ALL’ETÀ ROMANA 17 L’eredità delle iconografie lisippee a partire dall’età tolemaica Serenella Ensoli
Parte seconda I SOGGETTI LISIPPEI PIÙ DIFFUSI NEL MEDITERRANEO:
ALESSANDRO MAGNO, ERACLE ED EROS
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Alessandro Magno Serenella Ensoli
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Eracle: dall’Epitrapezio al Meditante, dalle sue Imprese al suo Riposo Serenella Ensoli
1. Alessandro con la lancia e il ritratto del principe 2. Alessandro a cavallo nelle scene di battaglia 3. Alessandro a cavallo nelle scene di caccia
1. Eracle Epitrapezio 2. Eracle Meditante 3. Imprese di Eracle
3.1. Le sculture della Collezione Verospi conservate nei Musei Capitolini
4. Eracle in Riposo
117 L’Eros di Lisippo. La fortuna delle sue elaborazioni iconografiche nel Mediterraneo a partire dall’età tolemaica Serenella Ensoli
Parte terza ALTRI MODELLI LISIPPEI DI SPECIFICO INTERESSE
139 L’Agia di Lisippo e il Donario di Cirene Serenella Ensoli 155 Polidamante e il Pugile delle Terme Filippo Salamone 161 Kairòs e la sua fortuna letteraria. La concettualità nelle opere di Lisippo Angela Di Folco 171 Il Carro del Sole a Lindos e la sua ripresa iconografica nel Mediterraneo Serenella Ensoli 181 L’iconografia lisippea di Poseidon nella propaganda politica di età tardorepubblicana Filippo Salamone 187 Vecchio Sileno: una storia iconografica da indagare. A proposito della statua dei Musei Capitolini Serenella Ensoli CONCLUSIONI 201 Lisippo, ‘imprenditore’ della sua arte e precursore della ‘copistica’. Alcune note Serenella Ensoli APPARATI 207 Bibliografia con la collaborazione di Ilaria Campagnano, Antonella Frezzetti, Paolo Piscitelli, Filippo Salamone
221 Indice delle illustrazioni
la fortuna di lisippo nel mediterraneo
prologo | prologue Serenella Ensoli
La collana editoriale “Ptolemaica. Studi sul Mediterraneo”, che si affiancherà a “Kyrana. Libya in the Ancient World”, fondata nel 2012, nasce da un progetto che ho avviato a partire dal 2013/2014 e che è sostenuto dal Ministero degli Affari Esteri italiano. La collana riguarderà il Mediterraneo, con particolare attenzione alla sua parte orientale, tenendo presente in primis i luoghi in cui conduco da anni indagini archeologiche (Libia, Antica Palestina, Cipro) in collaborazione con le Università e i Ministeri/Dipartimenti delle Antichità. Essa fa riferimento all’impero tolemaico in senso ampio, ossia come eredità storico-politica, culturale e artistica delle precedenti età ma soprattutto come fondamentale portato di valore internazionale per quelle successive. Questo primo volume riguarda la fortuna delle opere di Lisippo in età ellenistica e romana, con nuove sollecitazioni e proposte inedite in merito all’‘imprenditorialità’ del grande bronzista di Sicione nel Mediterraneo. Contemporaneo di Alessandro Magno e sopravvissuto al Macedone, con la sua geniale attività egli apre una nuova epoca. La serie, in seguito, accoglierà altri studi di ogni settore archeologico, benché sempre inerenti l’area geografica indicata a partire dall’età greca sino a quella romana e tardoantica, avvalendosi di un prestigioso Comitato Scientifico internazionale.
The new editorial series “Ptolemaica, Studies about the Mediterranean Sea”, which will be in parallel with “Kyrana. Libya in the Ancient World”, created in 2012, takes its origins in a project that I have started
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prologo | prologue
since 2013/2014 and which is supported by the Italian Ministry of Foreign Affairs. The series will concern the Mediterranean Sea, with particular reference to its Eastern area. Firstly, it takes into consideration the places where I have been leading archaeological research for years (Libya, Ancient Palestine, Cyprus), in cooperation with the Universities and the Ministries/ Departments of Antiquities. It is also referred to the Ptolemaic Empire, in a broad sense, that is considered as historical-political, cultural and artistic heritage of the previous ages, but above all of outstanding international value for the following ages. This first volume concerns the success of the works of Lysippos during the Hellenistic and Roman period, with new spurs and unpublished proposals concerning the ‘entrepreneurship’ of the great worker in bronze from Sicyon, in the Mediterranean Sea. Contemporary of Alexander the Great he lived longer then the Macedonian, and thanks to his brilliant activity, he opened a new era. The series, then, deals with other pieces of research concerning every archaeological branch, always related to the above-mentioned geographical area, from the Greek period to the Roman and the Late Antique period. The series will avail itself of the collaboration of a renowned International Scientific Committee.
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introduzione Serenella Ensoli
Dopo oltre vent’anni dalla mostra “Lisippo. L’arte e la fortuna”, tenuta nel 1995 a Roma nel Palazzo delle Esposizioni 1 su progetto di Paolo Moreno, credo che il tema sulla fortuna delle opere del bronzista sicionio in età greca e romana richieda una nuova e approfondita riflessione. Lo studioso ha indagato magistralmente l’arte di Lisippo con un percorso attento e conseguenziale, con una profondità esegetica tale da avergli consentito di ricostruire la storia dell’attività del Maestro e l’identità degli archetipi secondo una precisa sequenza cronologica. A tal proposito è necessario considerare che, di fatto, quasi tutte le attestazioni iconografiche servite per riconoscere i prototipi lisippei riguardano la ripresa di questi ultimi in età ellenistica e romana. È da questa eredità che vogliamo partire per andare oltre, al fine di comprendere i meccanismi di tale ampia diffusione, certamente derivante dai contesti storico-politici, religiosi ed economico-commerciali dell’epoca. 1 L’evento, condotto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il Patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (come allora era denominato) e di ben sedici Ambasciate, fu reso possibile dall’Assessore alla Cultura del Comune di Roma, Gianni Borgna, dal Sovraintendente Musei Gallerie Monumenti e Scavi, Eugenio La Rocca, e da chi scrive, come Curatore dei grandi eventi espositivi di arte antica del Comune di Roma. Esso ha potuto giovarsi dell’eccellente collaborazione di tutta l’équipe allora ‘in forza’ nel Palazzo delle Esposizioni: dalla Direttrice Maria Elisa Tittoni a Federica Pirani, a una lunga serie di altri funzionari del palazzo, tra i quali mi piace ricordare Gianluigi Guidi, che si occupò con grande efficacia del coordinamento amministrativo. Grazie a un eccellente Comitato d’Onore e a un altrettanto esemplare Comitato Scientifico, è stato possibile ottenere il prestito di numerosissimi manufatti, come dimostra l’elenco dei Prestatori pubblicato nel catalogo della mostra. A quest’ultimo hanno collaborato numerosi studiosi. Per l’esposizione, inoltre, il Comune di Roma ha realizzato una cospicua serie di restauri delle opere da esporre, dei quali ho potuto dirigere personalmente le operazioni e curarne le indagini scientifiche.
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Questi i motivi per i quali nel primo saggio, pur ricordando i temi iconografici più celebri di Lisippo, non ho creduto opportuno inserire, per esempio, la serie completa delle opere trasferite a Roma, peraltro già ampiamente edita, né alcuni soggetti, pur altrettanto famosi, attestati soltanto in limitate aree geografiche, né, infine, alcuni modelli ipoteticamente attribuiti al bronzista sicionio. Questa è inoltre la ragione per la quale nei successivi saggi della seconda parte del volume ho obbligatoriamente scelto i temi che in modo più efficace potessero rappresentare la grande fortuna di Lisippo nel Mediterraneo a partire dall’età tolemaica: Alessandro Magno, Eracle ed Eros. Quanto ai contributi contenuti nella terza parte, la selezione dei soggetti dipende da motivazioni di carattere diverso, che tuttavia integrano la problematica in questione: il tema del Donario di Farsalo e in particolare di Agia ha ripercussioni di grande rilevanza in Cirenaica ed è strettamente legato a quello di Polidamante, in virtù della politica del tessalo Daochos II; Kairòs va connesso con Eros per molte importanti ragioni, come si vedrà nell’ultimo saggio che chiude il volume; il Carro del Sole è strettamente collegato alla figura di Alessandro, nonché alla circolazione delle terrecotte e dei calchi, come in molti altri casi di opere che si rifanno ai prototipi lisippei; la ‘politicizzazione’ della figura di Poseidon a partire dall’età ellenistica e soprattutto nella Roma tardorepubblicana rappresenta uno dei casi eccellenti per spiegare la fortuna di Lisippo nel Mediterraneo; infine, il tema del Vecchio Sileno, raffigurato nello schema dell’Epitrapezio, richiama una molteplice serie di altre considerazioni in merito alla problematica di interpretatio, imitatio, aemulatio e contaminatio, sempre che il modello non risalga allo stesso Lisippo. Ribadendo il concetto che non è mia intenzione trattare dell’‘arte di Lisippo’, per la quale Paolo Moreno ha già scritto con genialità tutto il possibile, intendo invece occuparmi dei ‘meccanismi’ della sua fortuna, un problema precedentemente indagato in modo assai marginale. Quest’ultimo, tuttavia, è di grande importanza sia per conoscere al meglio l’attività del grande bronzista sicionio sia per comprendere le novità ‘rivoluzionarie’ del suo apporto nell’ambito della ‘grecità’, che, grazie a lui, ebbe la più forte percezione del livello ‘internazionale’ che rivestiva nel Mediterraneo. Resta tuttavia il problema del perché alcuni suoi temi non ebbero grande fortuna. A tal proposito vedremo che, oltre alle condizioni storico-politiche, religiose e commerciali che furono alla base della ripresa delle sue opere, giocò un ruolo importante la difficoltà di replicare nel marmo gli archetipi bronzei di più complessa realizzazione. Tale è il caso, per esempio, del suo Kairòs, che tuttavia ebbe una lunga fortuna letteraria grazie alla ‘concettualità del tema’, e del suo Apoxyomenos, anch’esso non semplice da riprodurre, tant’è che, a parte la statua del Vaticano, le attestazioni più diffuse sono sulle gemme che riprendono lo schema del bronzo trasferito nell’Urbe.
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introduzione
Ma allora perché il tema di Eros con l’arco, senz’altro difficile da replicare in marmo, ebbe una così grande propagazione in tutto il bacino del Mediterraneo? Credo che intervengano altri fattori oltre a quelli religiosi, che certamente in età ellenistica furono legati al culto di Afrodite e ai Tolemei. Quali furono effettivamente i meccanismi che favorirono la diffusione dell’arte di Lisippo? Tutto porta a credere che la fortuna del bronzista non si debba soltanto alla sua celebrità e/o al fatto che egli fu uno dei principali interpreti di Alessandro Magno – dalla quale circostanza derivano tuttavia le molte ‘riprese iconografiche’ di valore politico-ideologico dopo la morte del Macedone e successivamente. Essa non dipende in modo esclusivo neanche dalla collocazione geografica degli archetipi e/o dai loro trasferimenti nell’Urbe, bottini di guerra o meno. Queste considerazioni, benché fondamentali per chiarire la propagazione dei soggetti creati da Lisippo, non possono spiegarne in modo esaustivo la diffusione così immediata, intensiva e prolungata nell’antichità. Vedremo, nell’ultimo saggio di questo volume, quali altri fattori siano stati preponderanti. Il bronzista di Sicione non era soltanto il Maestro della nuova ‘poetica’ della figura umana, eroica e divina, nonché nuovo interprete di concetti filosofici, quanto l’‘inventore’ di una nuova metodologia di ‘trasmissione’ delle sue opere, imponendosi genialmente come l’iniziatore dell’età ellenistica.
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Parte prima
la fortuna di lisippo dall’età ellenistica all’età romana
l’eredità delle iconografie lisippee a partire dall’età tolemaica Serenella Ensoli
Già prima del dominio romano nel Mediterraneo le opere del bronzista di Sicione ebbero una grande fortuna, perdurata sino all’età imperiale e oltre, grazie alle innovazioni delle sue iconografie, alla sua lunga attività e all’ampia area geografica in cui il Maestro operò in un clima storico-politico a quell’epoca ‘inedito’1. Lisippo fu attivo nel periodo di trapasso tra due epoche, l’età classica e l’età ellenistica, e diede voce alle istanze storiche, politiche, artistiche e culturali di quel periodo, elaborando secondo una nuova dimensione etica e intellettuale l’immagine umana superiore, sia quella degli atleti, per la loro prestanza fisica, sia quella dei filosofi, per il loro profondo pensiero, sia quella di Alessandro, per le sue doti di condottiero invincibile. Anche le sue immagini di divinità furono forgiate nel bronzo con un più sottile significato, certamente derivato dalla partecipe attenzione del Maestro ai concetti filosofici dell’epoca, di cui concretizzò nell’arte le teorie più innovative, e dalla sua profonda adesione a una religione di tipo misterico. Le opere di Lisippo, per il loro carattere eroico e fortemente politicizzato, furono particolarmente adatte a una rilettura di tipo propagandistico, prima in età ellenistica e poi in età romana. L’imitatio Alexandri, perseguita già dai Diadochi e poi dai trionfatori e dagli imperatori romani, rappresenta una delle componenti più importanti per spiegare la fortuna di queste immagini. A partire dall’età tolemaica i prototipi lisippei furono copiati e rielaborati in innumerevoli manufatti. Per seguire la complessa vicenda di questa fortuna è opportuno rileggere i dati offerti dalla critica tenendo conto che alle repliche vere e proprie si affiancano: 1) le riproduzioni abbastanza fedeli, che risentono tuttavia della capacità tecnica del copista (interpretatio);
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2) le opere di più alta formulazione, in cui il prototipo viene ‘migliorato’ (imitatio); 3) le libere trasposizioni da uno o più modelli in chiave originale (aemulatio); 4) le contaminazioni con archetipi di diversa provenienza (contaminatio). In alcuni casi, inoltre, i temi iconografici furono ripresi in modo puntuale ma per rappresentare figure diverse da quelle originarie2. Queste chiavi di lettura furono spesso legate a concrete circostanze storico-politiche, religiose e artistiche, che in parte determinarono la circolazione dei modelli. Le tipologie dei monumenti e la loro distribuzione geografica offrono ulteriori elementi per chiarire le linee di questa diffusione nel più ampio contesto della politica economica e culturale dell’epoca. Quanto al reimpiego ‘strategico’ delle opere di Lisippo a Roma, va certamente tenuto conto che le conquiste in Italia meridionale, in Grecia e più in generale nel Mediterraneo, con il trasporto nell’Urbe dei capolavori d’arte prelevati da quei luoghi come bottino di guerra dei trionfatori, determinarono, di pari passo con l’ampliamento degli orizzonti commerciale e culturale, una larga diffusione di schemi iconografici desunti dagli originali lisippei. In particolare per Roma, il tema è stato trattato più volte dalla critica, soprattutto da Paolo Moreno e da chi scrive, anche in relazione alla specifica collocazione delle opere nella città3. Per chiarire al meglio un panorama così complesso si rende necessaria una sorta di rassegna sulla imponente ripresa a partire dall’età ellenistica dei soggetti creati dal bronzista sicionio – quelli a lui più certamente attribuibili – al fine di poter condurre nella seconda e terza parte del volume peculiari approfondimenti. Come anticipato nell’introduzione e come si vedrà nelle conclusioni, la fortuna di Lisippo nel Mediterraneo va ‘riletta’ secondo una visione più ampia e nel contempo più analitica, che tenga conto di altre determinanti valutazioni sull’attività ‘imprenditoriale’ del Maestro. Atleta Vincitore Tra le opere di Lisippo che rappresentavano atleti, sia figure ormai leggendarie (Polidamante) sia figure storiche (Agia) sia personaggi purtroppo anonimi, tra cui l’Apoxyomenos e l’Atleta Vincitore, certamente quest’ ultimo ebbe la più larga fortuna4. La circostanza di possedere il Bronzo Getty5, in cui viene riconosciuta da una parte della critica un’opera originale lisippea, ha consentito di individuare con più sicurezza le linee diversificate della diffusione di questo modello iconografico. Sculture marmoree a tutto tondo, rilievi funerari, opere di toreutica, gemme e monete, che si rifanno con più fedeltà al prototipo (figg. 1-2)6, sembrano attestare per la loro elevata concentrazione nell’area asiatica, microasiatica e greca, a partire dall’età dei Seleucidi sino all’età imperiale avanzata – in quest’ultima epoca soprattutto con Commodo e i Severi – che il bronzo originale si trovasse in quest’area greco-orientale e che originariamente raffigurasse un personaggio storico di grande rilevanza.
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l’eredità delle iconografie lisippee a partire dall’età tolemaica
1. London, British Museum; tetradrammo di Demetrio I della Battriana Panjhir (da A. Viacava, in Moreno 1995a, p. 74, fig. 4.10.2) 2. London, British Museum; tetradrammo di Lisia della Battriana Pushkalavati (da A. Viacava, in Moreno 1995a, p. 74, fig. 4.10.4)
La profonda ricezione del modello è testimoniata anche dalla trasposizione del soggetto nella sfera mitica e dai conseguenti adattamenti dell’iconografia, pur fedeli allo schema antitetico elaborato da Lisippo. In particolare l’atleta viene raffigurato come Eracle già con i Seleucidi e come Eros, forse Eros-Agone, nel II secolo a.C.7. Nel II secolo d.C. quest’ultima tradizione figurativa è presente sia nel repertorio della toreutica alessandrina con la raffigurazione del Putto con gli attributi di Ermete8 sia in quello dei sarcofagi asiatici, che attribuiscono al tema un più profondo significato escatologico9. Proprio attraverso l’arte funeraria e il commercio dei prodotti greco-orientali è possibile supporre che il Putto ‘vincitore’ venisse accolto dalla clientela romana tra il II e il III secolo d.C., come indicano alcuni sarcofagi di fanciulli10. La diretta conoscenza dell’atleta lisippeo rimase estranea alle officine romane, se si eccettuano le tarde lastre Campana (fig. 3), in cui tuttavia l’archetipo, certamente mediato, è ecletticamente alternato a tipi di tradizione policletea11. In Italia l’Atleta Vincitore ha altri modelli di riferimento che presentano consonanze stilistiche con il tipo lisippeo ma che, nel contempo, costituiscono una tradizione parallela e distinta. La figura di Meleagro su una cista prenestina dei primi decenni del III secolo a.C. (fig. 4) può offrire un esempio della precoce adozione e dei tramiti di diffusione di questo schema iconografico alternativo, impiegato sino all’età imperiale avanzata12. Eracle Vincitore Il fenomeno che si registra per la vicenda iconografica dell’Atleta Vincitore lisippeo è esattamente opposto a quello che si verifica per un analogo
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3. Roma, Musei Capitolini; lastra campana con scena di palestra (da A. Viacava, in Ensoli 1995, p. 312, fig. 6.1.1) 4. Disegno con particolare di Meleagro su una cista prenestina conservata negli Staatliche Museen di Berlino (da Ensoli 1995, p. 290, fig. 1)
5. CittĂ del Vaticano, Musei Vaticani; rilievo votivo dedicato alle Ninfe (da A. Viacava, in Ensoli 1995, p. 316, fig. 1)
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l’eredità delle iconografie lisippee a partire dall’età tolemaica
soggetto attribuito al Maestro, l’Eracle Vincitore13. In questo caso, infatti, alla mancanza di riproduzioni fedeli del modello nell’area greca e orientale fanno riscontro le attestazioni in quella occidentale, dove il tema eroico è ripreso con fedeltà nelle statuette e nei rilievi votivi del II secolo d.C. e appare nelle pitture del teatro di Ostia dell’età di Commodo, profondamente legato al culto erculeo14. La chiave per spiegare la conoscenza diretta del modello a Roma è stata offerta dalla critica identificando il bronzo originale di Lisippo con quello portato a Roma da Lucio Mummio dopo la presa di Corinto nel 146 a.C., come attesta un’iscrizione conservata nei Musei Vaticani15. L’epigrafe menziona un tempio e una statua di Ercole Victor dedicati da Mummio ed è stata ricollegata da Moreno con la statua bronzea di Eracle Vincitore riflessa in alcune opere scultoree di età romana16. La presenza a Corinto di basi con il nome di Lisippo a cui furono asportate le statue bronzee rende possibile tale ipotesi. L’identificazione del tempio marmoreo detto di Vesta a Roma, nel Foro Boario, la sola area in cui il dio era venerato come victor, con l’edificio
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Parte seconda
i soggetti lisippei piĂš diffusi nel mediterraneo: alessandro magno, eracle ed eros
alessandro magno Serenella Ensoli
1.
Alessandro con la lancia e il ritratto del principe1
L’immagine di Alessandro con la lancia, secondo la formulazione lisippea dedicata a Efeso e ricostruita da Paolo Moreno2, riscuote una fortuna immediata in Grecia e una precoce adozione sia nelle colonie magnogreche sia nell’area centro-italica. In particolare un’eco significativa è testimoniata nelle raffigurazioni pittoriche e nei rilievi funerari in cui vengono rappresentati i defunti eroizzati. Nell’affresco del tumulo in località Bella a Vergina (fig. 1)3 il giovane guerriero, identificato da Moreno con uno stratega4, presenta uno schema iconografico analogo a quello della statuetta di Parma (fig. 2)5 ed è confrontabile con il rilievo con figura di stratega di una Tomba di Myra, datata attorno al 300 a.C.6. La statuetta in bronzo del Museo Kanellopoulos di Atene, identificata con Alessandro7, riprende il tema, sebbene con uno schema invertito e con alcune varianti. Queste ultime, ispirate al tipo dello Zeus di Argo attribuito a Lisippo8, si colgono ancora nella figura di Dioscuro sul capitello dell’Ottagono del Palazzo di Galerio a Salonicco9. D’altra parte la fortuna dell’iconografia è documentata nell’adattamento di schemi analoghi in contesti diversi e cronologicamente lontani. La pittura della villa di Zliten (fig. 3)10, da una parte, e il Trono di Luni a Torino11, dall’altra, possono documentare l’importante influenza del soggetto iconografico lisippeo sino all’età imperiale avanzata. Una delle vicende più interessanti della fortuna dell’immagine di Alessandro è rappresentata, tuttavia, dalla ricezione delle elaborazioni lisippee nell’Italia antica12. Il fenomeno è particolarmente evidente nelle teste votive dell’area centro-italica. Singoli elementi del ritratto di Alessandro si individuano in 53
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1. Vergina, necropoli; Tomba Bella con il dipinto raffigurante probabilmente uno stratega (da Ensoli 1995, p. 293, fig. 8) 2. Parma, Museo Archeologico Nazionale; statuetta bronzea di Alessandro da Velleia (da Moreno 1995b, p. 212, fig. 9) 3. Zliten, Museo; frammento di affresco rappresentante Ares nello schema iconografico di Alessandro con la lancia (da L. Musso, in Ensoli 1995, p. 337, fig. 6.7.10)
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4. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek; testa marmorea di Alessandro Magno dall’Egitto (da Moreno 1995a, p. 163, fig. a)
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5, a-b. Policoro, Museo Nazionale della Siritide; matrice con testa di Alessandro dall’Acropoli di Eraclea (da Moreno 1995b, p. 214, fig. 11) 6. Lipari, Museo Archeologico Eoliano; matrice con ritratto di Alessandro (da Ensoli 1995, p. 334, fig. 6.7.3)
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7. Capua, Museo Provinciale Campano; testa votiva tipo Alessandro (da Ensoli 1995, p. 335, fig. 6.7.6) 8. Catania, Museo Civico (Castello Ursino), (giĂ Collezione Biscari); ritratto di Alessandro (da Ensoli 1995, p. 335, fig. 6.7.7)
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moltissime terrecotte che vengono datate tra la fine del IV e il III secolo a.C. Una testa giovanile conservata nel Museo Gregoriano Etrusco13 è stata avvicinata alla testa Schwarzenberg e al medaglione d’oro da Abukir14. Un’altra testa dello stesso museo, con forme elaborate di anastole15, allude a prototipi più complessi, richiamando l’Alessandro Borghese e la testa conservata nella Ny Carslberg Glyptotek (fig. 4)16. Le risonanze dell’iconografia del Macedone si colgono anche nella testa di Pavia17, datata all’inizio del III secolo a.C. Nel corso del tempo l’anastole assume forme più definite e diviene uno stilema. In alcuni casi, inoltre, la più coerente ripresa dei modelli greci ha fatto proporre l’ipotesi di una trasmissione di copie dalla Grecia in Italia in età assai precoce, tesi confortata dal significativo parallelo nelle terrecotte architettoniche18. Le forti analogie che collegano tra loro le teste votive dell’area centroitalica, in cui il ritratto di Alessandro è riproposto in forme idealizzate e viene ripreso nella seconda metà del III secolo a.C. anche nelle statue votive maschili e femminili, tra cui quelle di Lavinio19, si riscontrano anche nell’area campana e magnogreca, da Capua a Lucera. A tal riguardo, proprio in merito alla circolazione delle immagini del Macedone, è particolarmente interessante la matrice di Policoro (fig. 5, a-b)20, che, tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., ne offre una versione idealizzata. La matrice fa parte di un nucleo di oltre 200 pezzi costituenti il repertorio di una bottega di artigiani di Eraclea. La dipendenza di queste terrecotte dalle officine di Taranto è particolarmente significativa21. La matrice di Lipari (fig. 6)22, datata nella prima metà del III secolo a.C., può ben esemplificare il problema della circolazione di stampi tratti da originali celebri e via via rielaborati. In questo caso nel modello è stato riconosciuta la figura riprodotta nella testa di AlessandroHelios conservata nei Musei Capitolini23. A loro volta le teste fittili votive di Capua (fig. 7)24, datate nel IV-III secolo a.C. ed eseguite in serie con impiego di matrici per uno smercio su vasta scala, trovano un loro immediato pendant nel ritratto di Alessandro conservato nel Museo Civico di Catania (fig. 8)25. Esse mostrano anche, come ha notato Moreno26, significative corrispondenze con il ritratto giovanile di Alessandro da Pella27. A questi esempi, come manifestazione nella coroplastica della costante ispirazione al ritratto del Macedone, può essere avvicinata la protome di terracotta da Lucera28, proveniente da un contesto votivo datato nella prima metà del II secolo a.C.29. 2. Alessandro a cavallo nelle scene di battaglia 30 Lo schema di Alessandro a cavallo raffigurato nelle scene di battaglia deriva dal “Dexileosmotiv”, che costituisce il modello compositivo delle rappresentazioni di un’ampia serie di monumenti, appartenenti all’ambito funerario, votivo e onorario. Ma se l’immagine del cavaliere trionfante che trafigge con il giavellotto il nemico caduto a terra, posto sotto il cavallo rampante, trova attestazioni già nel VI secolo a.C., è tuttavia verso la metà
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del V secolo a.C. che appare il tipo canonico, ampiamente ripreso nei fregi e nelle metope templari, oltre che, evidentemente e ancor prima, nella coeva pittura31. Nell’ambito delle numerose testimonianze della seconda metà del V e del IV secolo a.C. il motivo appare peculiare di una specifica classe di monumenti funerari, quali stele, loutrophoroi e lekythoi marmoree. In particolare la sua presenza nei rilievi sepolcrali statali precede l’adozione del motivo nei monumenti privati, che pongono l’accento sull’eroizzazione del defunto. Tale è il caso della stele posta nell’Heroon di Dexileos, datato dall’iscrizione nel 394 a.C., che presenta importanti motivi innovatori anche nello schema compositivo (fig. 9)32. L’impiego del “Dexileosmotiv” ha una lunga fortuna che, grazie proprio alle formulazioni lisippee riproducenti il Macedone in scene di battaglia e di caccia, ne amplifica la diffusione, ponendo in evidenza ancora una volta il significato più profondo del motivo, quello eroico. Di qui il passo decisivo, anticipato per molti versi proprio dall’Heroon di Dexileos, ossia l’adozione del motivo per le statue onorarie. A Lisippo e ai suoi capolavori, tra i quali innanzitutto la Turma Alexandri (fig. 10)33, che rappresentava il Macedone con i compagni morti nella battaglia del Granico (334 a.C.), ossia venticinque cavalieri e nove fanti, si deve probabilmente la moltiplicazione nel mondo ellenistico del tema del cavaliere all’attacco e la specifica ripresa da parte dei successori di Alessandro. Tra i numerosi esempi è possibile ricordare, a titolo esemplificativo, la statua equestre bronzea di Demetrio Poliorcete nel Museo dell’Agorà di Atene34 e, in riferimento alla sfera funeraria, il rilievo rupestre della tomba di Alketas a Termessos35. Gli esempi, tuttavia, sia in Grecia sia in Asia Minore, sono numerosissimi. Il motivo iconografico, con poche varianti, viene ripreso a Taranto per la decorazione metopale di un celebre heroon (fig. 11) e tale ripresa sembrerebbe ancora più significativa se si accetta la proposta di Moreno, già avanzata da Sismondo Ridgway, di identificare nel cavaliere lo stesso Pirro, piuttosto che Alessandro, benché Enzo Lippolis abbia efficacemente dimostrato che nel rilievo, da datare attorno al 200 a.C., non si possa riconoscere una figura storica ma, piuttosto, un importante personaggio della classe aristocratica locale36. Nella certezza che vi sia una sostanziale differenza tra i monumenti di destinazione pubblica e quelli di carattere privato, credo necessario ricordare che l’ampia diffusione del tema nell’iconografia romana di età repubblicana si debba alla ripresa del modello di Alessandro e dei Diadochi da parte dei trionfatori, probabilmente determinata anche dalla presenza delle sculture originali di Lisippo a Roma. Al gruppo bronzeo del Granico che Quinto Cecilio Metello Macedonico nel 146 a.C. portò a Roma come bottino di guerra dal Santuario di Zeus a Dion per esporlo nella Porticus Metelli, dove rimase per lungo tempo, si affianca la statua equestre di Alessandro loricato portata nell’Urbe da Cesare
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bibliografia (ivi anche sul progetto di restauro italo-libico realizzato dalla MAIC già nel 2010). In merito alla collocazione delle statue marmoree all’interno di un vano coperto, si vedano anche le considerazioni in Jacquemin, Laroche 2001, p. 332, note 75-76, con bibliografia. 39 Cfr. supra, nota 38. 40 Si consideri che prima dell’età ellenistica la Terrazza Superiore del Santuario di Apollo, detta delle ‘Fonti’, era esclusa dall’area sacra e che soltanto nel III secolo a.C. venne inclusa, come dimostrano le indagini sui Propilei Greci dedicati dal sacerdote Praxiades, che eresse il monumentale ingresso/ninfeo sulle precedenti pylai di accesso al temenos: cfr. in particolare Ensoli 1990; Ensoli 1995. 41 A tal proposito credo importante richiamare il seguente contributo sui rapporti tra Alessandria e Cartagine, ‘passando’ per Cirene: Ensoli 2016b.
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polidamante e il pugile delle terme Filippo Salamone
Nei rilievi della base di Olimpia (fig. 1) Polidamante, il leggendario primatista tessalo che nel 408 a.C. si era distinto per aver riportato una vittoria nella specialità del pancrazio, è raffigurato secondo l’iconografia eraclea delle mitiche fatiche, che già allora servirono da riferimento figurativo per le imprese realizzate dal personaggio in Tessaglia e in Asia1. Le fonti letterarie, in particolare Luciano2 e soprattutto Pausania3, offrono la conferma di questa assimilazione in età imperiale, precisando che secondo la pietà popolare la statua bronzea possedeva qualità profilattiche4. Per quanto riguarda lo schema iconografico dell’originale lisippeo, la critica è propensa a riconoscerlo nel tipo di atleta seduto sulla roccia5. Lauter ha suggerito di individuare una replica del Polidamante nella statuetta acefala di pugile seduto conservata a Villa Manni (Ciciliano)6. Moreno individua l’originale nella celeberrima statua bronzea del Museo Nazionale Romano7. A sostegno di quest’ultima tesi concorrerebbero le dimensioni della base di Olimpia, che risulterebbero adatte per una figura in movimento con le gambe divaricate oppure seduta, in un atteggiamento non del tutto dissimile, per l’appunto, a quello del Pugile delle Terme (fig. 2), che però è stato identificato anche con un altro pancraziaste, Mys di Taranto, vincitore a Olimpia nel 336 a.C.8. La teoria di Moreno è molto suggestiva, tanto più tenendo conto della fortuna di questa iconografia in età ellenistica e romana. Essa ha ispirato gli artisti dei rilievi tarantini9 ed è entrata nel repertorio figurativo delle gemme10. Altrettanto stringenti risultano le somiglianze, per il tipo iconografico in questione, con i medaglioni di bronzo di Massimiano Erculeo11, conservati nel Museo Nazionale Romano12 e a Berlino13, nonché con quello aureo del British Museum di Londra14. In quest’ultimo Eracle è rappresentato di prospetto con il capo di profilo verso sinistra, in uno schema compositivo pros-
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filippo salamone
1. Olimpia, Museo Archeologico; base della statua bronzea di Polidamante (da Moreno 1995a, p. 92, fig. 4.12.1)
simo al Pugile delle Terme, pur nella semplificazione della veduta su un unico piano invece che in profondità e nella rotazione invertita della testa. Le due clave ai lati della figura e l’arco non interferiscono con l’immagine. Nei citati medaglioni di bronzo, invece, l’atteggiamento delle mani viene collegato con la clava, mentre l’arco fa da pendant sull’altro lato della roccia; la testa, con la leontea, è ruotata di tre quarti. La ripresa nel medaglione aureo del British Museum dello schema iconografico dell’atleta sembrerebbe accertata. La veduta di prospetto parrebbe attestare, inoltre, l’ispirazione a un modello statuario. L’immagine di Eracle raffigurato come un atleta è impiegata per alludere alle qualità umane e divine di Massimiano Erculeo e alle sue gloriose imprese, rappresentando visivamente un mezzo di propaganda politica. Tralasciando le questioni relative all’iconografia, dalle poche notizie biografiche su Polidamante pervenuteci grazie a Pausania, apprendiamo che l’atleta era tessalo, nativo della città di Scotussa, e figlio di Nicia. La fama del pancraziaste fu tale che il periegeta, con tono di stupefatta ammirazione, lo definisce il più grande tra gli uomini, di poco inferiore agli eroi15. Ad un certo punto della narrazione, egli trascende la realtà storica ed enfatizza l’aspetto eroico del personaggio proiettandolo in una dimensione mitica che lo equipara ad Eracle: come il semidio, Polidamante si era distinto per avere ucciso nei pressi dell’Olimpo un leone e successivamente per aver abbattuto un toro. Pausania racconta anche del duello contro i tre Immortali della guardia di Dario Ochos di Persia. Alcune di queste imprese narrate dal periegeta trovano espressione concreta nei rilievi della base frammentaria di Olimpia che doveva sostenere in origine il bronzo (fig. 1)16. Le scene superstiti richiamano gli schemi compositivi di Eracle nell’atto
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polidamante e il pugile delle terme
2. Roma, Museo Nazionale Romano; statua bronzea del cosiddetto Pugile delle Terme (da Moreno 1995a, fig. a p. 99).
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angela di folco
significare l’occasione breve delle cose. / Perché un pigro indugio non impedisse gli effetti [delle azioni], / in tal guisa gli antichi raffigurarono il Tempo». 28 I termini rappresentano i due sostantivi utilizzati nel mondo greco per indicare il tempo: Chronos era logico, consequenziale e aveva una natura quantitativa. Kairòs indicava il tempo di mezzo, con natura qualitativa e, prima di Lisippo, era una divinità poco conosciuta. Mentre Chronos invecchiava, Kairòs era dinamico, sfuggente e perennemente giovane. 29 Alcuni autori hanno riconosciuto nella resa della mano destra, dove l’indice e il mignolo sono protesi per regolare il piattello della bilancia, il gesto apotropaico delle ‘corna’, da ultimo Mattiacci 2011, p. 133 nota 24, con bibliografia. 30 Si veda l’analisi dell’analogo rilievo di Ptuj, in Korosˇec 1998, pp. 37-59. 31 S. Ensoli, in Ensoli, La Rocca 2000, pp. 588-589, n. 280. 32 Mattiacci 2011, pp. 135-136, con relative note. 33 Ensoli 1995, p. 395, con bibliografia. 34 Ensoli 1995, p. 397, n. 6.16.1, con bibliografia. 35 Mattiacci 2011, p. 130. 36 Ensoli 1995, p. 395. 37 Moreno 1995a, pp. 194-195, n. 4.28.3. 38 Moreno 1995a, p. 192, n. 4.28.1, con bibliografia. 39 Moreno 1995a, p. 192, n. 4.28.2, con bibliografia. 40 Ensoli 1995, p. 397, n. 6.16.1, con bibliografia. 41 Ensoli 1995, p. 397, n. 6.16.2, con bibliografia. 42 Ensoli 1995, p. 395. 43 Ensoli 1995, pp. 395-396, con bibliografia. 44 Sul significato del Kairòs in età imperiale si veda il rilievo di Ptuj, in Korosˇec 1998, nello specifico pp. 52-54. Sulla tematica nel mondo cristiano si rimanda all’approfondito articolo di Zocca 2015, pp. 1-23.
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il carro del sole a lindos e la sua ripresa iconografica nel mediterraneo Serenella Ensoli
La produzione ceramografica apula (fig. 1)1, la metopa del Tempio di Atena a Ilion (fig. 2)2 e soprattutto i bolli delle anfore di Rodi (fig. 3)3 rappresentano le attestazioni più importanti per ricostruire l’immagine del Carro del Sole secondo l’archetipo lisippeo4. Esse testimoniano la precoce fortuna del tema, benché talvolta con alcune varianti nello schema compositivo, soprattutto per quanto riguarda la metopa di Ilion. L’iconografia è documentata ben presto anche in ambiente etruscoitalico. Il torso cosiddetto di Apollo, che molto probabilmente va identificato con Elio e che mostra strette analogie con il ritratto di Alessandro, appartiene al gruppo di terrecotte architettoniche del tempio dello Scasato a Falerii Veteres, datato tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. (fig. 4)5. Esso rappresenta una delle prime manifestazioni in territorio etrusco-italico della ripresa tipologica e formale del soggetto lisippeo6. Al pari di altre figure fittili templari datate nello stesso arco di tempo, tra cui le due teste provenienti dall’area del tempio della Magna Mater sul Palatino7, appartenenti forse a statue frontonali realizzate in altorilievo sul tipo del frontone di Tivoli8 oppure al rivestimento delle testate dei travi come nel caso del tempio falisco, esse adottano con gusto eclettico motivi diffusi in Grecia nel IV secolo a.C., mostrando un altissimo livello qualitativo. Più in particolare, la stretta relazione formale tra queste terrecotte e quelle di Falerii e le ampie possibilità di confrontare queste ultime con le figure di Tivoli, che, derivanti da prototipi del IV secolo a.C., sono datate prima della metà del III secolo a.C. e ritenute opera di una bottega affine, hanno giustamente fatto supporre l’attività itinerante di artigiani che operavano in ambiente etrusco-laziale9, dimostrando ancora una volta i profondi rapporti culturali con il Mediterraneo Orientale.
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1. Già Helgoland, Collezione Kropatsschek; situla apula con immagine del Carro del Sole (da Moreno 1995a, p. 183, fig. 4.26.2) 2. Berlin, Staatliche Museen; metopa a rilievo con il Carro del Sole (da Moreno 1995a, p. 184, fig. 4.26.3) 3. Atene, Museo dell’Agorà; bollo d’anfora di Rodi con il Carro del Sole (da Moreno 1995a, p. 185, fig. 4.26.4) 4. Roma, Museo Nazionale di Villa Giulia; torso fittile di divinità dal Tempio dello Scasato a Falerii Veteres (da Ensoli 1995, p. 400, fig. 6.17.1)
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il carro del sole a lindos e la sua ripresa iconografica
La puntualità nella ripresa dei modelli, che vengono recepiti senza semplificazioni, né tipologiche né formali, hanno portato a credere, inoltre, anche in riferimento alle osservazioni desunte dall’ultimo restauro delle terrecotte di Tivoli, che si tratti di vere e proprie copie di opere di arte greca, trasmesse attraverso l’impiego di calchi ottenuti da forme in gesso. A tal proposito la proposta di La Rocca trova supporto, quanto a modalità di trasmissione e di traduzione, nell’acuta tesi di Roncalli per il Marte di Todi10, un bronzo forse volsiniense, datato alla fine del V secolo a.C., ricavato da vari stampi di celebri bronzi greci. Le strette somiglianze che queste figure mostrano dal punto di vista formale rispetto alla plastica tarantina, l’attribuzione allo stesso ambiente di una serie di terrecotte votive che dipendono in modo puntuale dai modelli greci11, tra cui quelle della stipe votiva di Ariccia, alle quali possono affiancarsi sia le terrecotte architettoniche della stipe di San Salvatore a Lucera sia la testa di Antemnae12, portano a suggerire la possibilità di un’origine tarantina degli artigiani, anche in base alla loro altissima formazione artistica, senza dubbio derivata da ‘grandi’ caposcuola di origine e/o
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conclusioni
lisippo, ‘imprenditore’ della sua arte e precursore della ‘copistica’. alcune note Serenella Ensoli
Occuparsi della fortuna del bronzista sicionio nel Mediterraneo non è cosa semplice, benché i contributi di Paolo Moreno abbiano offerto molti elementi utili alla disamina, rendendo possibile fare chiarezza su un argomento complesso. Prendendo spunto dall’Introduzione di questo volume, nonché, soprattutto, dai saggi in esso contenuti, credo necessario enucleare alcuni punti conclusivi di fondamentale interesse. Lisippo operò in Grecia, in Magna Grecia e in Asia Minore. Molti furono i luoghi in cui lavorò, ma, almeno per la creazione dei colossi e di grandi celebri gruppi, doveva usufruire di alcune officine stabili e in situ, certamente a Sicione, a Dion e ad Alizia, ma senza dubbio anche a Taranto e probabilmente in Asia Minore. È possibile che a Sicione egli realizzasse i calchi delle opere ma che poi, almeno per quelle di dimensioni più consistenti, la fusione avvenisse nelle officine locali dei siti in cui i bronzi venivano dedicati. La dislocazione di tali officine nel Mediterraneo permise senz’altro al Maestro di realizzare un’attività imprenditoriale della sua arte: poteva rivendere i calchi (o parte di essi!) ad altri committenti e, in ogni caso, per chi avesse voluto usufruire delle sue iconografie, egli aveva certamente una sorta di ‘copyright’. A Sicione, o nelle altre officine dislocate nel Mediterraneo, Lisippo, attraverso i suoi calchi, poteva creare nuove versioni delle opere originali, ma anche copie e varianti, a seconda delle richieste: di qui la creazione di una vera e propria ‘copistica’ (dall’Eros al Kairòs e all’Eracle in Riposo, solo per citare alcune iconografie, perché gli esempi sono numerosissimi nella sua arte).
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Il Maestro, pertanto, non fu semplicemente un artista itinerante, quanto un vero e proprio ‘imprenditore’ che operava nell’ambito del Mediterraneo con vere e propri ‘basi’ di lavoro nei siti in cui realizzò opere di più imponente consistenza. I punti enucleati, che a loro volta necessiterebbero di un ulteriore sviluppo esegetico, vanno considerati in relazione alle vicende che videro Lisippo attivo nelle corti principesche (si pensi a quella tessala di Daochos II) e soprattutto partecipe delle conquiste di Alessandro Magno, fatto che senz’altro lo portò anche ad avere una più larga fama, con un forte incremento da parte della committenza. Di qui la grande fortuna delle sue iconografie in età ellenistica e romana, non solo per la vasta area geografica in cui erano dedicate le sue opere, ma anche per il loro carattere fortemente ‘politicizzato’, che rappresentò il presupposto per l’impiego ‘strategico’ delle sue immagini, anche e soprattutto quando alcuni suoi bronzi furono portati a Roma. Ma c’è di più. Ancor prima che nell’Urbe giungessero le opere di Lisippo come bottini di guerra, le iconografie del Maestro venivano riprese e diffuse in Italia (e non solo) dalle officine di Taranto, dove si ergevano due suoi colossi (Eracle Meditante e Zeus) e dove certamente il bronzista sicionio possedeva un’officina stabile e ben attrezzata. I monumenti figurati, le matrici e le terrecotte di Taranto, e/o i prodotti da essa influenzati e diffusi in Magna Grecia e nell’area medioitalica (penso per esempio alle immagini di Alessandro Magno e del Carro del Sole, soltanto come una delle molte indicazioni possibili), rendono la problematica ancora più interessante, perché è giusto chiedersi se le botteghe tarantine non avessero un preciso legame con la grande officina lisippea. Non si può pensare, d’altra parte, che gli artigiani andassero a ‘calcare’ un’opera dedicata in un santuario (si veda a tal proposito la problematica sul Marte di Todi) oppure, e questo è più verosimile, andassero a creare ‘cartoni’ per realizzare le proprie opere e diffonderle (notevole, non a caso, il rinvenimento di numerose matrici). Credo, invece, che Lisippo e/o i suoi discepoli abbiano organizzato una sorta di management imprenditoriale, vendendo matrici e manufatti per l’esportazione. A tal proposito anche il caso di Smirne, in Asia Minore, desta molto interesse, perché ritroviamo terrecotte di età ellenistica aderenti ai prototipi, benché già ampiamente alterati e variati. Che Taranto fosse un eccezionale veicolo di trasmissione grazie ai sui commerci nel Mediterraneo non desta dubbi, ma la concentrazione di opere provenienti da Smirne rende possibile credere che una o più officine installate da Lisippo o dai suoi allievi in Asia Minore ebbe un’altrettanta fortuna a partire dall’età tolemaica. Va inoltre aggiunto che i dati offerti dalla ricostruzione esegetica dei modelli lisippei consentono di enucleare, nell’ambito della vasta produzione del Maestro sicionio ricordata dalle fonti letterarie, un gruppo di opere che ebbe nell’antichità un più ampio consenso e una notevole diffusione
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conclusioni
di repliche (variamente ‘combinate’ tra interpretatio, imitatio, aemulatio e contaminatio) nel bacino del Mediterraneo Orientale e a Roma, capitale dell’Impero: Alessandro Magno, Eracle ed Eros furono i temi prediletti e, in seconda istanza, sia gli atleti più celebri e i filosofi, sia le figure di Sileno, Kairòs, Elio, Ermete e Posidone. La ripresa di questi temi a partire dall’età tolemaica induce a supporre che essi rappresentassero non soltanto i prototipi più innovativi per il loro valore artistico, ma soprattutto perché rispondenti alle diversificate esigenze della società, pubblica e privata, con particolare riguardo al loro valore ben presto strategicamente ‘politicizzato’. Venendo infine alla ‘vicenda’ del trasferimento delle opere di Lisippo a Roma e del loro reimpiego nell’Urbe, essa è estremamente complessa e riguarda innanzitutto, ma non solo, la loro interpretazione come ‘veicoli’ di autorappresentazione da parte dei trionfatori che man mano conquistavano il Mediterraneo. Come strumenti di strategia politica, già a partire dalla fine del III secolo a.C. le opere del grande bronzista, erede della tradizione tardoclassica e precursore di quella ellenistica, il privilegiato ritrattista del grande Alessandro, a sua volta conquistatore del Mediterraneo e dell’Oriente, ebbe una grande fortuna, direi impensabile a paragone di molti altri artisti greci inneggiati nelle fonti letterarie. Il fenomeno, precursore di una perseguita ‘globalizzazione’ (per impiegare un termine ‘contemporaneo’) da parte dello Stato Romano, sin dagli albori delle crescenti conquiste di età repubblicana e poi nel corso dell’età imperiale, investe una situazione storica molto più ampia, che riguarda in prima linea il predominio delle vie dei commerci e, pertanto, la sperimentazione, certamente riuscita da parte dell’Impero Romano, del trinomio: Politica/Società/Economia = Potere. Ma questa situazione venne applicata già prima dai Tolemei, che conquistarono tutto il Mediterraneo Orientale, certamente il regno più ricco dei Diadochi grazie ad un’accurata ‘sensibilizzazione’ politica e ad un oculato sfruttamento/approvvigionamento dei commerci, imprescindibili per la vita del Paese e per l’armamento ‘difensivo’, come si evince già dalla attenta politica instaurata da Tolemeo I Soter, proseguita e incrementata dai suoi successori1. Roma, fu certamente l’erede ‘spirituale’ di questo regno, che politicamente fu il più innovativo rispetto alle strategie degli altri Diadochi. Un esempio in particolare è degno di nota: la rilevanza dei ginnasi nel bacino del Mediterraneo, nei quali il culto dei sovrani assunse una posizione privilegiata secondo un programma monumentale promosso dai Tolemei, e, successivamente, in età imperiale, quella delle terme, luogo di prestigio e di propaganda del Princeps.
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indice delle illustrazioni
L’eredità delle iconografie lisippee a partire dall’età tolemaica Serenella Ensoli [pp. 17-50] 1. London, British Museum; tetradrammo di Demetrio I della Battriana Panjhir 2. London, British Museum; tetradrammo di Lisia della Battriana Pushkalavati 3. Roma, Musei Capitolini; lastra Campana con scena di palestra 4. Disegno con particolare di Meleagro su una cista prenestina conservata negli Staatliche Museen di Berlino 5. Città del Vaticano, Musei Vaticani; rilievo votivo dedicato alle Ninfe 6. Città del Vaticano, Musei Vaticani; replica marmorea della statua bronzea dell’Apoxyomenos di Lisippo 7. Berlin, Staatliche Museen; anello d’oro con gemma raffigurante l’Apoxyomenos 8. Roma, Musei Capitolini; ritratto di Socrate 9. Atene, Museo Archeologico Nazionale; gemma con ritratto di Socrate 10. Roma, Villa Albani; tondo marmoreo con ritratto di Socrate 11. Roma, Museo Barracco; statua marmorea di “Cagna ferita” realizzata da Soprato 12. Roma, Galleria Borghese; statua di Eracle in Riposo ‘tipo Seleucia-Borghese’ 13. Pergamo, Museo Archeologico; statuetta bronzea di Eracle in Riposo ‘tipo Pergamo’ 14. Firenze, Galleria degli Uffizi; statuetta di Eracle in Riposo 15. Caserta, Palazzo Reale; statua colossale di Eracle in Riposo dalla Collezione Farnese, detto Ercole Latino 16. Napoli, Museo Archeologico Nazionale; statua di Eracle in Riposo ‘tipo Pozzuoli-Antinori’ 17. Wien, Kunsthistorisches Museum; statuetta bronzea di Ermete assiso 18. München, Staatliche Antikensammlungen und Glyptotek; statuetta bronzea di Ermete assiso 19. Napoli, Museo Archeologico Nazionale; statua bronzea di Ermete assiso dalla Villa dei Papiri a Ercolano 20. Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptotek; statua di Ermete 21. Città del Vaticano, Musei Vaticani; statua virile con piede posato sulla roccia
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Finito di stampare nel mese di luglio 2017 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso le Grafiche Callegaro di Peraga di Vigonza (Padova)