Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua, Il Poligrafo

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soggetti rivelati

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mia madre femminista

voci da una rivoluzione che continua a cura di Marina Santini e Luciana Tavernini

ILPOLIGRAFO


La storia delle donne è anche la storia di una progressiva, inarrestabile rivelazione. È stata, e continua ad essere, una vicenda multipla, complessa, stratificata, che intravede da sempre nelle forme del dialogo e della narrazione la possibilità di porsi in relazione ad altro, di esplorare nuovi territori e nuovi mondi, reali e concreti non meno che immaginari, simbolici, metaforici. Ecco così emergere, con questa iniziativa editoriale, un’attenzione privilegiata per la scrittura e per le scritture femminili, per i momenti successivi di questa rivelazione, per le pratiche e per i moduli espressivi che hanno costruito nel corso dei secoli una soggettività di per sé narrativa e dialogica: ritratti di donne che hanno lasciato una profonda impronta nella letteratura, nella filosofia, nell’arte, ma anche nella scienza, nella religione, nella politica, nella storia del costume. Un simile approccio non implica semplicemente un cambiamento di oggetto o di metodo, ma esige, soprattutto, uno sguardo differente sulle cose e sulla realtà, la capacità di porsi in ascolto, di rimettere in discussione modelli, chiavi di lettura, prospettive solo apparentemente consolidate, per procedere oltre i rigidi confini di materie e discipline “canoniche”. I ritratti e le storie “rivelate”, più che tracciare una galleria in qualche modo definitiva di personaggi e di momenti, vogliono allora evidenziare il carattere irriducibilmente rizomatico, carsico, non lineare, di ogni percorso di libertà e di emancipazione. L’immagine da utilizzare potrebbe essere verosimilmente quella di un vasto arcipelago, in cui sia possibile muoversi e navigare, sulla base dell’ispirazione del momento, senza dover fare affidamento su un percorso preordinato, su una rotta già stabilita in partenza. Ogni singolo frammento può infatti ricollegarsi a ciò che sta prima come a ciò che lo segue: l’identità femminile si è costruita nel tempo “sedimentando” eredità di vario tipo, facendo leva proprio sulla ricchezza di tutte le esperienze di vita disponibili. In modo del tutto analogo, la storia delle donne potrà così assumere i caratteri di un cantiere aperto, mobile e modificabile, sempre pronto all’acquisizione di dati e conoscenze. L’identità è una storia in cammino.


soggetti rivelati ritratti, storie, scritture di donne collana di studi coordinata da Saveria Chemotti

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mia madre femminista voci da una rivoluzione che continua a cura di Marina Santini Luciana Tavernini

ilpoligrafo


Copyright Š maggio 2015 Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail: casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-899-0


INDICE

13 Introduzione 19

I. le parole per dirlo

con testimonianze

22

Il desiderio non è il peccato Pia Brancadori

24 La lingua ritrovata Lea Melandri 26

Bisogna fare qualcosa Luisa Muraro

30

Dall’autocoscienza alla tesi Silvia Motta

32

Non si torna indietro Donatella Massara

38

Una doppia metamorfosi Luisella Veroli

40

Il sottoscala e il ponte Traudel Sattler

44 Rivolta femminile Angela De Carlo 46

Tremate Tremate... Bia Sarasini

54 L’altra che ti vede Liliana Rampello 56

Tante rose Paola Mattioli

62

Essere in due e di sesso femminile Laura Minguzzi

64

Spostarsi per esserci Vanna Chiarabini

66 La fine del patriarcato Clara Jourdan 68

Marie Cardinal, Le parole per dirlo

71

II. Noi e il nostro corpo

con testimonianze

76 A scuola dalle Trovatore Franca Fortunato 78

Strategie di libertà Zina Borgini


82

Generare o non generare, cosa ne pensa la “zia” Letizia Bianchi

84 Autocoscienza e consultorio Anna Tantini 92

I chiaroscuri delle scelte Paola Leonardi

94

“La femminista” della fabbrica Aurora Sorsoli

98

Quella volta che mi telefonò Ivan Illich Clelia Pallotta

100

Una scienziata “partigiana” Valeria Fieramonte

104

Una quasi bambina nel ciclone Carla Gilioli

108 La notte ci piace Toni Bondioli 110

Seguire il suo passo Marisa Guarneri

114

Ipotesi di identità Marcella Campagnano

116 Ripensare la maschilità Alessio Miceli 118 Autorità circolante Adriana Sbrogiò 122 The Boston women’s health book collective, Noi e il nostro corpo. Scritto dalle donne per le donne 125

III. Le tre ghinee

con testimonianze

128 Le rabdomanti delle parole Lia Cigarini 130

I veli ci univano, ci liberavano, ci sospingevano Anna Di Salvo

136

Maternità in “comune” Milli Toja

138

Strettoie ed equilibrismi Drilli Cicutto

144

Senza separare il tempo Letizia Paolozzi

146

Trent’anni di libri Laura Lepetit

154

Un “Quotidiano” settimanale Laura Aveta

156 Un andirivieni necessario: pratica artistica e vita quotidiana Donatella Franchi 158

Un accordo interiore Mariella Pasinati

160 L’occhio delle donne Nilde Vinci 164 Ricevere e dare fiducia Lelia Ciampella 168

È diventato il mio lavoro Laura Milani

170

Modificare lo spazio pubblico Antonietta Lelario


172 Ricordando Bibi Stefano Sarfati 174 Le Vicine di Casa Luana Zanella 176 Le donne del digiuno Daniela Dioguardi, Emi Monteneri 178

Virginia Woolf, Le tre ghinee

181

IV. Immagina che il lavoro

con testimonianze

184

Tutto il lavoro necessario Giordana Masotto

186

Salario al lavoro domestico Alessandra De Perini

188

Part-time Grazia Pignatti

194

Due generazioni tra lavoro e maternità Sara Gandini

196 “Poteva accadere. Doveva accadere. È accaduto...” Oriella Savoldi 198

Un modo diverso di “essere sindacato” Vincenza Baiguera

204 Crepe nel diritto: l’Osservatorio sul Lavoro delle Donne Maria Grazia Campari 208

Donne con le ali Delfina Lusiardi

216

Educare nella differenza Marirì Martinengo

218

E la scuola era il posto giusto Giulia Ghirardini

220 L’autoriforma gentile Vita Cosentino 222

Senza privilegi, senza denaro María-Milagros Rivera Garretas

226 La Signora K. Pinuccia Barbieri 228 Autogestione e impresa sociale Loredana Aldegheri 232

Immagina che il lavoro

235

Racconto per immagini

239

Bibliografia

247

Indice delle parole chiave



mia madre femminista

Esporre in tutte le case e in tutti i luoghi pubblici belle immagini (non pubblicitarie) di coppia madre-figlia. Ăˆ patogeno, per le figlie, trovarsi sempre di fronte a rappresentazioni madre-figlio, in particolare nell’ambito religioso. A tutte le donne [...] consiglio anche di esporre loro fotografie con la figlia e le figlie e magari anche con la loro stessa madre. Luce Irigaray, Il sesso del discorso, ÂŤInchiestaÂť, ottobre-dicembre 1987, p. 13


alle nostre madri Amelia Cereghini e Silvana Ascani che ci hanno insegnato a osare l’impossibile, a comprendere e tenere insieme


introduzione

Le storie sono storia: scriviamole. Lia Cigarini

Questo libro non sarebbe nato senza le venti domande delle allieve della classe di Marina di un istituto linguistico. Nel 2008, dopo aver visto la mostra sul movimento delle donne a Milano, con il loro interesse e la loro curiosità ci hanno fatto capire che c’erano giovani con molta voglia di conoscerlo. Ma il femminismo non si può insegnare. Non è un oggetto di studio. Trasforma se ci si lascia toccare. Dopo, il mondo non è più lo stesso. Come raccontare questa trasformazione? Sentiamo di far parte di una storia che ha cambiato la nostra vita e il nostro modo di insegnare, che ha segnato il secolo scorso e continua tuttora. Non vogliamo che se ne perda la memoria e neppure che un’altra storia le venga sovrapposta, facendone svanire il senso. Il libro è un tentativo in questa direzione. Nasce all’interno del femminismo e non vi è nulla che non sia stato vissuto. È un racconto per immagini e parole dalla metà degli anni Sessanta fino a oggi, con aperture a un passato più lontano. In scena dialogano una madre e una figlia e si mostrano i loro variegati rapporti con altre e altri. Una scelta che valorizza questo importante legame al centro di molte riflessioni nel movimento delle donne. I capitoli, i cui titoli richiamano un classico del femminismo, riguardano i temi della parola, del corpo, dei luoghi e del lavoro. Infatti siamo donne che si sono date parola ricomponendo l’unità corpomente, soggetti capaci di esprimere i propri desideri, senza escludere la sessualità; siamo in tutti i luoghi e continuiamo a trasformarli per poterli abitare con agio; siamo entrate in massa nei diversi settori




introduzione

produttivi, aprendo la questione di cosa sia tutto il lavoro necessario per vivere, non certo solo quello pagato. Nel libro, che non tace sulle contraddizioni, vi è dunque una narrazione organica che crea un percorso. Ma se un aspetto suscita curiosità è possibile passare alle testimonianze e alle fotografie per approfondirlo. O viceversa. Non temiamo che si perda il filo, anzi pensiamo che si possano creare nuovi intrecci. Per mantenere il carattere dialogico del cammino di scoperta e riscoperta delle protagoniste, la scrittura è vicina al parlato, concreta e non ideologica, attenta al linguaggio sessuato. In ogni capitolo abbiamo graficamente indicato alcune parole inventate o risignificate dal movimento: un vocabolario per raccontare le trasformazioni avvenute. Convinte che la narrazione storica debba suscitare piacere e desiderio di conoscere, non abbiamo evidenziato con le note il rigoroso e coinvolgente lavoro di documentazione. Non volevamo fare un censimento del femminismo italiano che ha coinvolto milioni di donne. Del resto una conoscenza che si presenti come esaustiva, oltre che falsa, decreta la morte di ciò di cui parla. Il femminismo è vivo ed è pericoloso farne un monumento. Se avessimo privilegiato la rappresentazione del maggior numero di situazioni campione, si sarebbero persi l’intreccio di relazioni e il riferimento dell’una all’altra. Il nostro è dunque uno sguardo parziale. Il “partire da sé” non è una formula, aiuta a superare il desiderio di onnipotenza che può portare al silenzio per paura di non dire tutto. Per approfondire alcuni aspetti introdotti nel percorso narrativo, abbiamo chiesto a diverse donne e qualche uomo, in relazione con noi o fra di loro, di raccontare un episodio per chi non aveva ancora incrociato il femminismo soprattutto per la giovane età. Testi brevi, con una scrittura soggettiva, dove si nominino solo quelle donne in stretto rapporto con chi scrive, in quella precisa situazione, ed emergano motivazioni, cambiamenti, conflitti, fatiche e guadagni. Alcune ci hanno aperto le case, recuperando scatole di documenti dalle cantine e cominciando narrazioni fiume. Con altre ci sono stati ripetuti scambi di mail. Molte ci hanno ringraziato perché abbiamo ripercorso tratti della loro e della nostra esistenza, anche se non è stato facile distillare un’esperienza dalla complessità della vita.




introduzione

Solo poche, per motivi diversi, non hanno voluto scrivere. Per noi è stata occasione di un dialogo intenso che ci ha arricchito. A volte il racconto è partito da una fotografia, altre volte, invece, è stata cercata un’illustrazione. Infatti allora non vi erano né gli strumenti né l’abitudine odierna a documentare visivamente, e a noi interessava andare oltre l’immaginario riduttivo delle grandi manifestazioni. Quasi tutte le foto sono inedite e provengono da album privati o da archivi organizzati. Abbiamo sperimentato una scrittura in relazione: innanzitutto tra noi due, poi con molte delle testimoni. Inoltre donne e uomini di generazioni diverse hanno letto il testo e ne hanno discusso con noi. Ci siamo sentite libere di attraversare i generi. Un’indisciplina autorizzata dal movimento delle donne. M.S. - L.T.





I

le parole per dirlo

Gioia mia, siamo alle solite. Mi piace che torni ancora a casa e, mangiando, mi racconti delle tue amicizie e dei tuoi studi. Quando ti ho detto che non sarei venuta al cinema con te, perché lavoro “gratis” alla Libreria delle donne – e tu lo sai da anni –, sbuffando hai replicato: «Ma doveva proprio capitarmi una madre femminista?». Ho finto di sorridere però, anche questa volta, ci sono rimasta male e, come sempre, spero che sia una provocazione per capire quanto sia importante per me il mio femminismo. Con le tue battute mi togli ogni forza di parlarti. Ne ho discusso con Antonia. Con lei comprendo molte cose di me e provo nuove strade per uscire dai grovigli. Mi ha fatto capire che a voce non sarei stata capace di trovare il tono giusto, ma non potevo più tirarmi indietro. Mi ha suggerito di scriverti in una specie di lettera quello che ha trasformato la mia vita. Quando ti lamenti che io ho troppi interessi fuori casa, quando sottovaluti quello che faccio come fosse uno sfizio e, ridacchiando, dici che domino papà, ho timore che in te ci sia l’idea che o una donna è sempre disponibile o è egoista e dominatrice. Forse – mi ha detto Antonia – la tua sfida è segno di curiosità. Però mi preoccupa che tu proponga vecchi stereotipi. Mi sembri attenta a scoprire e realizzare i tuoi desideri e con il tuo compagno non rinunci, per paura di perderlo, a quello che ti sta a cuore; i ruoli non sono fissi, a volte cucini tu, a volte lui, e l’ordine in casa non è un imperativo. Per me non è stato e non è facile camminare ogni volta su un crinale. Ho cercato di portare avanti le mie scelte senza che la mia libertà diventasse indifferenza o sopraffazione. Mi pare




capitolo primo

che anche per te sia così. Ma è un equilibrio fragile se non ha radici. La nostra sicurezza è frutto dei tanti cambiamenti creati dalle donne. Voglio raccontarti tante cose. Mettiti comoda perché sarà lunga. Ho l’impressione che tu abbia paura di essere rinchiusa in una nuova definizione di ciò che dev’essere una donna. Per me la grande scoperta è stata che non c’era e non c’è nessuna definizione data e, grazie allo scambio con altre donne, posso continuare a dire il senso di me e del mio stare al mondo. Ho potuto studiare per l’impegno di mia madre, tua nonna, per l’importanza che il nonno dava all’istruzione delle ragazze e alla scuola che cominciava a diventare di massa. Sentivo il valore della cultura per riuscire a capire e agire; tuttavia, per quanto mi impegnassi e fossi brava, avvertivo che molto di me veniva taciuto o sfigurato. Nelle lezioni di storia mi sentivo esclusa. Dovevo studiare una lunga serie di date e battaglie, di guerre che cambiavano i confini, di pestilenze e carestie, di papi e re in lotta o alleati tra loro. Solo ogni tanto appariva una donna eccezionale di cui si accentuava crudeltà, vanità, lussuria o castità. Se in letteratura le donne non potevano scomparire, risultavano specchio dell’immaginario maschile: la moglie noiosa o da non nominare, la musa ispiratrice e angelicata, l’amante passionale e poi invadente, la figlia orfana di madre o da controllare. E quella che non ci stava quasi sempre faceva una brutta fine. Provavo un senso di estraneità verso quella cultura. Il Sessantotto rivelò che non era sacra e intoccabile: serviva interessi di parte e riproduceva i meccanismi del potere, di cui non avremmo potuto e nemmeno voluto far parte. Non accettammo più che ciò che creava ordine, progresso e civiltà non avesse apparentemente bisogno del lavoro di contadini e operai, che protagonisti fossero solo uomini illustri, nobili o borghesi, conquistatori o benefattori dell’umanità. Volevamo imparare non per dominare ma perché il nostro sapere migliorasse la vita dell’umanità. Credevamo che le ineguaglianze sociali impedissero anche la nostra felicità e dovessimo combatterle per non essere complici. C’era dunque la necessità di ridefinirsi, partecipare e inventare. Però ciò che ci era stato trasmesso ci spingeva a conformarci più che a realizzarci. Parlavamo di tutto, ci scambiavamo conoscenze e libri, la cui scoperta diventava un’avventura collettiva.




Le parole per dirlo

Aderii con entusiasmo al movimento perché pensavo di trovarvi posto anche se all’università chi non aveva soldi, come me, era ancora una mosca bianca. Leggere testi di economia e politica internazionale, discutere di elaborazioni marxiste, scoprire la sociologia e la psicoanalisi fu illuminante. Riuscimmo a vedere i compartimenti rigidi in cui la società, cosiddetta ugualitaria, era divisa. «La legge è uguale per tutti» è scritto in ogni tribunale, ma, come si diceva allora, il ladro di galline restava in prigione più anni del bancarottiere che continuava la sua bella vita, pur avendo ridotto sul lastrico migliaia di famiglie. Guardare lontano, al mondo intero, portò in alcuni casi a una semplificazione. Si scorgevano solo gli aspetti negativi dei paesi capitalisti: l’arricchimento di pochi e la miseria di molti, le guerre per il controllo delle materie prime e dei mercati, una democrazia dove al potere rimanevano sempre gli stessi. Dei paesi socialisti si mitizzavano invece quelli positivi: la scomparsa dei grandi privilegi, la diffusione dell’istruzione e l’allungamento della speranza di vita, la valorizzazione del lavoro manuale, la “tazza di riso” per tutti. Ora capisco che era un modo ingenuo di dividere in bianco o nero perché non tenevamo conto della nostra distanza da grandi e millenarie culture. Nelle discussioni non tacevo, pensavo di essere ascoltata per me stessa e di aprire la strada ad altre. Visto che non avevo timore a parlare in pubblico perché ero abituata a discutere con il nonno, non venivo zittita soprattutto se mi limitavo a semplificare o a rendere più coerenti i discorsi maschili. Presto mi resi conto che se insinuavo dubbi venivano quasi sempre ignorati e, se cercavo di lasciare spazio perché emergessero le opinioni di altre, molti si spazientivano. Una volta in cui risposi a uno di chiedere alla sua compagna, che ne aveva di cose da dire, dichiarò che si rivolgeva a me perché “ero un uomo”. Rimasi di sasso. Ero un maschio strano: 45 chili e la terza di reggiseno! Di me, non disponibile sessualmente per lui, vedeva solo la testa che doveva essere in consonanza con la sua: il corpo pensante, per lui, non esisteva. Nelle assemblee, anche con centinaia di persone, la voglia di parlare faceva prendere la parola in modo vivo, forse disordinato, sicuramente nuovo. Poi la paura di lasciare vuoti, di non riuscire a decidere, portò alcuni, una volta individuata la linea, a imporla con un’alzata di mano e le regole della maggioranza.




capitolo primo

Il desiderio non è il peccato Pia Brancadori e di ricerca, hanno aperto strade originali e condiviso con le altre le loro capacità di grandi pensatrici, scardinando l’ordine oppressivo del “patriarcato”. Facevo gli esami, prendevo 30 e quindi il presalario: 500mila lire l’anno che mi permettevano di vivere con l’aggiunta di qualche lavoretto da studente. Io e molte altre in quei primi anni Settanta dobbiamo a quel – allora appena guadagnato – diritto allo studio la nostra università e la nostra laurea. Nel quartiere di San Lorenzo, dove abitavo, incominciammo a incontrarci con altre ragazze, provenienti dai vari sud d’Italia, e insieme a tante sciamavamo verso la libertà femminile. E fu rivoluzionario raccontarsi, fu una festa e una gioia e un punto di non ritorno! «Abbiamo guardato per quattromila anni, adesso abbiamo visto». Ci fornirono molte parole Carla Lonzi e il Manifesto di Rivolta Femminile. Portavamo con noi i destini e le storie non libere delle nostre madri e delle tradizioni oppressive e affrontavamo lo stigma e le battaglie anche con i nostri coetanei, impreparati alla inaudita libertà delle ragazze. Apparentemente anche loro dicevano di volere la libertà ma in profondità erano segnati dalle abitudini della primazia interiorizzata che non avevano elaborato, a partire da sé, dal corpo, dalla sessualità e dai suoi fantasmi. E fu sera e fu mattina!

Superato da due mesi l’esame di maturità (quello vecchio, con tutte le materie da portare e nella scuola delle suore), nel 1969 me ne vado con un’amica all’università a Roma, di mia iniziativa – complice mia sorella e una zia, neutrale mia mamma, in dissenso mio padre che al massimo poteva concedermi di iscrivermi, per opportunità e controllo, a Urbino, più vicino casa. C’erano poche risorse economiche in famiglia, io ero giovanissima e soprattutto una ragazza. «L’erba voglio non si trova neanche nel giardino del re» ci ripetevano spesso da bambine. Ed ecco che, in una piccola libreria nei dintorni di piazza di Spagna, che frequentavo per via dei suoi colori hippy e libertari, trovo L’erba voglio. Pratica non autoritaria nella scuola, un libro da 1.400 lire. Non pochissimo ma, dopo averlo sfogliato, le spendo per curiosità e tremito del cuore. Non capisco tutto, però sento che quella strada mi riguarda. Il succo era: il desiderio non è il peccato! Le inquietudini e le emozioni possono dire e insegnare tante cose, basta avere il coraggio di uscire dagli steccati del conformismo e dell’obbedienza acritica e paralizzante. In seguito ho avuto modo di conoscere bene due di quelle giovani professoresse che vi scrivevano, Lea Melandri e Luisa Muraro, e ho continuato a imparare tanto da loro. Pur in modi differenti nei loro percorsi di impegno

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Le parole per dirlo

Manifestazione delle universitarie fuorisede a Roma negli anni Settanta (foto Pia Brancadori) Primo piano del cartellone

ďœ˛ďœł


capitolo terzo

Maternità in “comune” Milli Toja persone è una libera scelta che viene solitamente pensata per i rapporti duali, come il matrimonio. Quando una di noi rimase incinta, decidemmo insieme di crescere il bimbo o la bimba. Nacque una femmina, fu una gioia grandissima. Attraverso il rapporto con la nostra piccola io, che mi interessavo di arti figurative, riscoprii la mia infanzia e la mia arte ne ha beneficamente risentito. Iniziai a raffigurare delle città fantastiche con donne che si arrampicavano su scalette e a girare film. Aprimmo la Galleria delle donne, che intitolammo alla pittrice Sofonisba Anguissola, per permettere anche ad altre di esporre. Esiste tuttora ed è diventata multimediale: si presentano libri, si fa teatro, si proiettano film, si fanno concerti, si mangia... Crescere una bimba in tre è stata un’esperienza importante, complicata, ma piena di gratificazioni. Senza rivendicare niente, ma procedendo spedite per la nostra strada, comportandoci normalmente, non abbiamo mai avuto problemi con l’esterno, che ci ha restituito un approccio tranquillo e sereno. I compagni di scuola fin dall’asilo venivano con piacere a giocare a casa nostra e i genitori non battevano ciglio. La nostra bimba, con tre madri che la amano, è ormai una donna che vive per conto suo, è cresciuta serena senza tragedie per la mancanza della figura maschile e con tanti amici e amiche.

Negli anni Settanta vivere in comune era il desiderio della mia generazione. Soprattutto di molte femministe. Così si provava a vivere solo tra donne, donne e uomini, donne e gay. Ma con i gay funzionò per poco: l’idea che con loro si potessero condividere spazi e percorsi di vita si rivelò una chimera, erano sempre uomini con idee e percorsi diversi dai nostri. Funzionò invece tra donne, come era pensabile, e la nostra in particolare fu una comune longeva e piena di esperienze condivise. Eravamo andate a vivere insieme in quattro con vari fidanzati e fidanzate che giravano per casa. Avevamo cercato di abitare fuori città per fare l’orto e il giardino. Ma dopo quasi due anni rimanemmo in due e cercammo casa a Torino. La trovammo bella, grande e un’altra donna venne a stare con noi. Poi si liberò un appartamento nel nostro palazzo che fu occupato da altre quattro donne. Fu un periodo splendido, di nuovi progetti e di maturazione personale. Nella comune imparammo a contenere gli spazi, a capire che la condivisione è un momento di crescita, che degli altri e delle altre abbiamo bisogno. È vero che si fa un’esperienza simile quando si hanno sorelle e fratelli, ma li troviamo accanto non per nostra volontà e, nel bene e nel male, ci sarà con loro un rapporto per sempre. Decidere di trascorrere la vita con altre




Le tre ghinee

In questi anni si riflette su come allevare in modo nuovo bambine e bambini. Ma il libro Noi e i nostri figli. Scritto dai genitori per i genitori, che compare in mano a una donna durante una manifestazione a Milano nei primi anni Ottanta, pone l’accento sulla vita e i bisogni dei genitori. È una ricca raccolta di testimonianze di madri e di padri che si interrogano sui mutamenti nella propria vita quando si sceglie di diventare genitori, se è meglio essere genitore da solo o con altre o altri e quale forma può assumere la famiglia (foto di Patrizia Binda)




capitolo terzo

Trent’anni di libri Laura Lepetit In quello stesso anno nasceva la Libreria delle donne di Milano e questo mi è stato di grande aiuto, sia per scoprire autrici nuove o classiche, che per vendere e far conoscere i libri pubblicati. Un titolo di Virginia Woolf ha inaugurato il catalogo, non solo della Tartaruga ma anche di molte altre case editrici femministe: Le tre ghinee. Un testo fino ad allora trascurato perché considerato troppo polemico e impegnato. Invece le riflessioni che propone sono ancor oggi attualissime e da leggere e rileggere. La Tartaruga edizioni è andata avanti tra varie difficoltà per più di trent’anni e sono molto soddisfatta di essermi gettata con determinazione e un po’ di incoscienza in questa impresa. Spesso incontro delle donne che mi dicono: «Ah, i libri della Tartaruga, li ho letti tutti!». Allora penso di aver assolto il compito che mi ero proposta e ne sono felice.

Nel 1975 ho fondato la casa editrice La Tartaruga edizioni e ho pubblicato i primi due volumi. Come mai, mi chiedono. I fattori sono stati due: avevo incontrato il femminismo nel 1970 con il gruppo di autocoscienza di Rivolta Femminile di Carla Lonzi e avevo lavorato per qualche anno nella libreria Milano Libri. Sono sempre stata una lettrice appassionata e considero i libri oggetti preziosi per lo sviluppo della personalità e della conoscenza. Un libro per me è un’esperienza di vita e di crescita. Quale strumento migliore dunque per diffondere le idee e le scoperte del femminismo che tanto mi avevano attratto e convinto? Fare una casa editrice di libri di donne non era un’idea mia, in quegli stessi anni ne nascevano dappertutto: Editions des Femmes, Virago, Frauenbuchverlag, Women’s Press. Il fermento e l’entusiasmo erano davvero grandi. Questo mi ha molto aiutato a mettere in piedi un’avventura del tutto nuova. Mai avevo lavorato in una casa editrice, i libri li avevo solo venduti. Ero sicura, però, che dovevo essere libera e non inserita nel meccanismo editoriale che già vedevo attorno a me. In effetti ho cominciato da sola, con pochi soldi e pochi appoggi. Allora forse era più facile, c’era meno concorrenza, si preferiva ancora la qualità e non si cercava a tutti i costi il successo commerciale.

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Le tre ghinee

Manifesto del 1985 per i dieci anni della casa editrice (Archivio Fondazione Elvira Badaracco)




«Ma doveva proprio capitarmi una madre femminista?». A partire da questa provocazione, una madre decide di scrivere alla figlia una lettera per spiegare motivazioni, sentimenti e vicende che determinano il suo essere femminista. Si avvia così un dialogo, una scrittura in relazione che parte da sé e dalle esperienze di entrambe, aprendosi a esplorare i rapporti con altre e altri. Un percorso sorprendente che si snoda lungo i temi della parola, del corpo, dei luoghi e del lavoro. Alle due voci, come in una partitura musicale, si intrecciano fotografie e narrazioni di chi ha vissuto conflitti e fatiche, scoperte e gioie di ritrovarsi in una dimensione nuova. L’incontro con il femminismo rappresenta una continua trasformazione della propria vita e del mondo, come emerge da questo racconto polifonico con episodi inediti, che dalla metà degli anni Sessanta ci accompagna fino ad oggi. Marina Santini, dopo essere stata responsabile del Centro documentazione del “Corriere della sera”, si è dedicata all’insegnamento e al lavoro con la Comunità di storia vivente di Milano. Ha fatto parte della redazione di “Via Dogana”, la rivista della Libreria delle donne. Si è occupata di Marina del Goleto, Herrada di Hohenburg, Cristina di Belgiojoso e ha pubblicato lavori incentrati sull’esperienza didattica. È una delle curatrici della mostra “Noi utopia delle donne di ieri, memoria delle donne di domani” sugli ultimi quarant’anni del femminismo a Milano. Luciana Tavernini è madre di una figlia e un figlio. Partecipa alle attività della Libreria delle donne e della Comunità di storia vivente. Segue con Marina Santini la programmazione degli eventi del “Circolo della rosa”. A lungo insegnante di lettere, ha collaborato a testi scolastici e all’ipertesto “Il secolo delle donne” all’interno del progetto “Tutta un’altra storia - Laboratorio ’900”. Ha scritto, oltre ad articoli e recensioni, saggi di storia in particolare su Rosvita di Gandersheim e Cristina di Belgiojoso. Scrive poesie.

in copertina In Piazzale Clodio a Roma, nel 1977 (foto di Luisa di Gaetano, part., Biblioteca Archivia Casa Internazionale delle donne)

e ,

ISBN ----


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