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Direttori Franco Bernabei, Antonio Lovato Comitato scientifico e di redazione Lucia Boscolo Folegana, Franco Colussi, Giuseppina Dal Canton Paola Dessì, Cristina Guarnieri, Marta Nezzo Dilva Princivalli, Vittoria Romani, Diego Toigo, Giuliana Tomasella Andrea Tomezzoli, Anna Valentini, Giovanna Valenzano Consulenti Xavier Barral-i-Altet, Xavier Bisaro, Iain Fenlon Matthias Schneider, Gianni Carlo Sciolla (†), Catherine Whistler I contributi pubblicati sulla rivista sono soggetti a peer review La rivista viene pubblicata con il contributo di Università degli Studi di Padova - Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica Fondazione Ugo e Olga Levi - Venezia
dipartimento dei beni culturali: archeologia, storia dell'arte, del cinema e della musica - universit di padova fondazione ugo e olga levi - venezia
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periodicità: annuale sede della redazione c/o Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica 35139 Padova | Piazza Capitaniato, 7 tel. +39 049 8274673 | fax +39 049 8274670 www.beniculturali.unipd.it abbonamento Italia: e 25,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) estero: e 35,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) le richieste di abbonamento possono essere inoltrate all’indirizzo casaeditrice@poligrafo.it amministrazione Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova | via Cassan, 34 tel. 049 8360887 | fax 049 8360864 e-mail amministrazione@poligrafo.it direttore responsabile Andrea Tomezzoli in attesa di autorizzazione presso il Tribunale di Padova
in copertina elaborazione da un disegno di Paul Klee, Pädagogisches Skizzenbuch, 1924 progetto grafico Il Poligrafo casa editrice copyright © dicembre 2017 Il Poligrafo casa editrice Fondazione Ugo e Olga Levi Università degli Studi di Padova Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova - via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it isbn 978-88-9387-045-0 issn 2284-032x
INDICE
11 Frammenti in notazione ecfonetica dai mss. 214 e 8 della Biblioteca Antoniana di Padova Silvia Tessari 25 Iconografia del canto liturgico a Padova tra Medioevo e Rinascimento Cosima Chirulli 45 Il convento di Santo Stefano a Venezia. Gabriele Dalla Volta, i fratelli Buora e Pordenone Simone Fatuzzo 71
Il vescovo di Padova Marco II Cornaro (1557-1625) e il theatrum sacrum per il carnevale spirituale Antonio Lovato
99
Antonio Gualtieri, Amorosi diletti a tre voci (Venezia, 1608) Chiara Comparin
125
L’album delle caricature di Anton Maria Zanetti e l’immagine di Carlo Scalzi, cantante del Settecento Enrico Lucchese
Odilon Redon alle Biennali di Venezia Giuseppina Dal Canton
135
149
Il dibattito sull’insegnamento del canto liturgico nelle riviste italiane di musica sacra (1903-1918) Marco Caroli
175 Andrea Moschetti, commissario speciale per la tutela delle opere d’arte di Padova e provincia durante la Grande Guerra Lucia Marchesi 201
Un filosofo amico dell’arte: Luigi Stefanini Franco Bernabei
225 Illustrazioni
269 Recensioni
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FRAMMENTI IN NOTAZIONE ECFONETICA DAI MSS. 214 E 8 DELLA BIBLIOTECA ANTONIANA DI PADOVA Silvia Tessari
La Pontificia Biblioteca Antoniana di Padova, la cui storia risale, come noto, alla piccola comunità di studio sorta per iniziativa di sant’Antonio stesso, e i cui primi lasciti documentati si datano al 1237 e al 1240, conserva, accanto a codici in lingua latina (la maggioranza), in volgare italiano, nelle lingue slave, in spagnolo e arabo, un esiguo numero di testimoni greci: tre, di cui due frammentari qui oggetto di analisi. I manufatti su cui si concentrerà la mia attenzione sono brani di pergamena che, grazie alle loro caratteristiche paleografiche e codicologiche, lasciano intendere che provenissero da un codice di fattura elegante, databile presumibilmente, in base ai dati in nostro possesso, al secolo XII. Si scorge ancora, in tutti, la traccia più o meno evidente, in inchiostro carminio, dell’antica notazione musicale bizantina detta ecfonetica, quella cioè che, Ringrazio particolarmente il direttore della Biblioteca padre Alberto Fanton per la cortesia e la premura mostrate nell’agevolare questo studio e nel fornirmi le riproduzioni fotografiche che corredano questo contributo. Sulle prime fasi della biblioteca e sulla sua storia si vedano almeno A. Sartori, Gli studi al Santo di Padova, in Problemi e figure della Scuola Scotista del Santo, Padova, Edizioni Messaggero - Basilica del Santo, 1966, pp. 67-180; G. Luisetto, La Biblioteca Antoniana e i suoi manoscritti, stampata come introduzione al catalogo Codici e manoscritti della Biblioteca Antoniana, a cura di G. Abate, G. Luisetto, col catalogo delle miniature a cura di F. Avril, F. d’Arcais e G. Mariani Canova, Vicenza, Neri Pozza, 1975, pp. XIII-XLIII; C. Cenci, Manoscritti e frati studiosi nella Biblioteca Antoniana di Padova, «Archivium Franciscanum Historicum», 69, 1976, pp. 496-520; R. Manselli, Due biblioteche di “Studia” minoritici: Santa Croce di Firenze e il Santo di Padova, in Le scuole degli Ordini mendicanti (secoli XIII-XIV), Todi, Centro di studi sulla spiritualità medievale, 1978, pp. 353-371; P. Marangon, “Ad cognitionem scientiae festinare”. Gli studi nell’Università e nei conventi di Padova nei secoli XIII e XIV, Trieste, LINT, 1997; N. Giovè Marchioli, Scriptus per me. Copisti, sottoscrizioni e scritture nei manoscritti della Biblioteca Antoniana, «Il Santo», s. II, 43, 2003, pp. 671-690.
silvia tessari
prima di venir completamente abbandonata con la fine della parabola storica dell’Impero Romano d’Oriente, fu utilizzata dal IX secolo in poi esclusivamente nei Lezionari (dei Vangeli, degli Atti e delle Epistole, nel cosiddetto Profetologio che contiene pericopi veterotestamentarie). Tale notazione, attraverso coppie di segni che isolano brevi cola testuali in cui era suddiviso il Testo Sacro, permetteva di intonare, in una sorta di declamazione/recitativo, la Parola di Dio. Se la linea melodica da associare a ciascuna coppia neumatica non è nota, possiamo tuttavia analizzare forma, frequenza e collocazione dei segni nel testo, metodo questo che permette alcune importanti verifiche delle ipotesi cronologiche avanzate dalle scienze paleografiche e codicologiche. 1. contenuto dei frammenti Segue ora l’elencazione del contenuto dei frammenti in esame e la loro descrizione; il testo greco – pur piuttosto corretto nel codice – è qui normalizzato nell’ortografia. 1.1 Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, dal ms. 214 in scrinio MM Frammenti da un Lezionario dei Vangeli greco, su pergamena, con notazione ecfonetica. Frammento 1 Dimensioni del frammento mm 202 × 170. Esso è costituito dalla sola metà superiore del foglio originario, ed è interessato da una lacerazione sulla colonna di scrittura interna dovuta al fissaggio del manoscritto mediante catena. Notazione ecfonetica in gran parte evanida. Gv 1,43-51, inc. καὶ εὑρίσκει Φίλιππος, expl. τὸν υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου. Mc 1,37-40, inc. Τῷ καιρῷ ἐκείνῳ κατεδίωξεν, expl. λεπρός. Le pericopi non sono conservate integralmente. Il testo completo (Gv 1,44-52 e Mc 1,35-44) è da leggersi rispettivamente nella prima domenica e nel secondo sabato di Quaresima. Recto Gv 1,43-44,45-46; Gv 1,46-48 Prima colonna: inc. καὶ εὑρίσκει Φίλιππος, expl. Ἰωσὴφ τὸν ἀπό. La notazione è in gran parte non distinguibile con chiarezza. Si identificano: apostrophos finale su Φίλιππον, oxeia-teleia su καὶ λέγει αὐτῷ, bareia-bareia su Ἀκολούθει μοι. Più oltre si notano le kathistai su ἦν δὲ ὁ Φίλιππος, apostrophosapostrophos su εὑρίσκει Φίλιππος τὸν Ναθαναὴλ, ancora oxeia-teleia su καὶ λέγει αὐτῷ, kathiste iniziale su Ὃν, oxeia pros oxeian su εὑρήκαμεν. Seconda colonna: inc. ἔρχου καὶ ἴδε, expl. εἶδον σε. ἀ]πεκρίθη.
Cfr. fig. 2.
frammenti dai mss. 214 e 8 della biblioteca antoniana di padova
Notazione: Ἔρχου καὶ ἴδε. <syrmatike?-teleia> / εἶδεν ὁ Ἰησοῦς τὸν Ναθαναὴλ <oxeia pros oxeian> / ἐρχόμενον πρὸς αὐτὸν <apostrophos-apostrophos> / καὶ λέγει περὶ αὐτοῦ· <oxeia-teleia> / Ἴδε ἀληθῶς Ἰσραηλίτης <paraklitike in associazione alla coppia apostrophos-apostrophos?> / ἐν ᾧ δόλος οὐκ ἔστιν. <syrmatike-teleia> / Λέγει αὐτῷ Ναθαναήλ <paraklitike-teleia>. Più oltre la notazione non si distingue. Verso Gv 1,51-52; Mc 1,37-40. Nell’operazione di separazione del frammento dal codice cui era fatto aderire, l’impronta del verso è rimasta sul contropiatto posteriore (si veda tavola 3). L’identificazione dei segni è avvenuta mediante il confronto tra quanto si legge sul foglio e sul contropiatto. Prima colonna: inc. Ἰησοῦς καὶ εἶπεν αὐτῷ, expl. Ἐκ τοῦ κατὰ Μάρκον. Τῷ καιρῷ ἐκείνῳ. Notazione: Ἰησοῦς <neumi non distinguibili>/ καὶ εἶπεν αὐτῷ· <oxeia-teleia> / Ὅτι εἶπόν σοι <oxeia pros oxeian>. Più oltre: μείζω τούτων ὄψῃ.<syrmatiketeleia> / Καὶ λέγει αὐτῷ <oxeia-teleia>, Ἀμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν <syrmatike-teleia>, ἀπάρτι <kathistai> / ὄψεσθε τὸν οὐρανὸν ἀνεῳγότα <bareia-bareia>/ καὶ τοὺς ἀγγέλους τοῦ Θεοῦ <diplai oxeiai> / ἀναβαίνοντας καὶ καταβαίνοντας <diplai bareiai> / ἐπὶ τὸν υἱὸν <kentemata> / τοῦ ἀνθρώπου <doppi apostrophoi?>. Dopo la rubrica: Τῷ καιρῷ ἐκείνῳ <kathistai>. Seconda colonna: inc. καὶ εὕροντες, expl. πρὸς αὐτὸν λεπρός. καὶ εὕροντες αὐτὸν <kathistai> / [καὶ] λέγουσιν αὐτῷ <teleia finale> / ὅτι <kathiste iniziale> πάντες ζητοῦσίν σε.<teleia finale>/ Καὶ λέγει αὐτοῖς· <oxeiateleia> / Ἄγω]μεν <oxeia iniziale> [...] τοῦτο γὰρ ἐξελήλυθα <teleia finale>. / Καὶ ἦλθεν κηρύσσων εἰς τὰς συναγωγὰς αὐτῶν <oxeia finale> / εἰς ὅλην τὴν Γαλιλαίαν <apostrophos-apostrophos> καὶ τὰ δαιμόνια <oxeia pros oxeian> / ἐκβάλλων. <teleia finale> / Καὶ ἔρχεται πρὸς αὐτὸν λεπρὸς < paraklitike con apeso-exo?>. Frammento 2 Dimensioni del frammento: mm 225 × 190, parzialmente rifilato, con una lacerazione nella parte inferiore del foglio che interessa la colonna di scrittura interna, dovuta al fissaggio con la catena. Il foglio è stato inserito a protezione del codice con recto e verso invertiti. Notazione ecfonetica parzialmente evanida. Gv 11,5-21, inc. ἀδελφὴν αὐτῆς, expl. εἶπεν οὖν Μάρθα πρός. La pericope completa (Gv 11,1-45) è da leggersi nel sesto sabato di Quaresima, o Sabato di Lazzaro. Verso Gv 11,5-12: inc. ἀδελφὴν αὐτῆς, expl. περὶ τοῦ θανάτου αὐτοῦ. Ἐ]κεῖνοι Le coppie neumatiche non sono identificabili in modo completo per lo stato di conservazione del frammento. Leggo oxeia finale su τότε μὲν ἔμεινεν e più oltre su τόπῳ δύο; teleia dopo ἡμέρας, oxeia-teleia su λέγει τοῖς μαθηταῖς, syrmatiketeleia su Ἄγωμεν εἰς τὴν Ἰουδαίαν πάλιν, paraklitike-teleia su λέγουσιν αὐτῷ οἱ μαθηταί, kathistai su Ῥαββί. Apostrophos iniziale è su νῦν, ma non è distinguibile la fine colon. Su οἱ Ἰουδαῖοι vi è oxeia finale, ypokrisis sulla domanda καὶ πάλιν
Cfr. figg. 1 e 3. Cfr. fig. 4.
IL CONVENTO DI SANTO STEFANO A VENEZIA. GABRIELE DALLA VOLTA, I FRATELLI BUORA E PORDENONE Simone Fatuzzo
Gabriele Dalla Volta fu eletto priore generale degli Eremiti di Sant’Agostino durante il capitolo generale dell’Ordine, svoltosi a Venezia, sua città natale, fra il 10 e il 12 giugno del 1519, succedendo nella carica all’amico Egidio da Viterbo, nominato cardinale da papa Giulio II Della Rovere. Il nuovo priore generale aveva cinquant’anni, si trovava al vertice del suo ordine, con cospicue entrate familiari e l’appoggio di un cardinale potente e tenuto in gran considerazione dal papa, tanto per i legami politici quanto per le aspirazioni di riforma della Chiesa da lui propugnate. La figura di Gabriele è recentemente venuta all’attenzione degli studi storico-artistici poiché un suo ritratto, dipinto da Giovanni Bellini, è emerso in collezione privata. Tuttavia il piccolo dipinto non è l’unica opera d’arte associabile al frate veneziano, il quale si dedicò ad abbellire e ammodernare con grandi opere architettoniche il convento veneziano di Sulla vita di Gabriele Dalla Volta (1564 ca - 1537) si parta da M. Sanfilippo, Gabriele Della Volta, in Dizionario Biografico degli Italiani (= DBI), 87 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-2016, XXXVIII, pp. 10-12, con le precisazioni di A. Mazzotta, Gabriele Veneto e un ritratto dimenticato di Giovanni Bellini, «Prospettiva», 134/135, 2009, pp. 2-24. Su Egidio, cfr. G. Ernst, S. Foà, Egidio da Viterbo, in DBI, XLII, pp. 341-352, ma si vedano anche i recenti G. Savarese, Un frate neoplatonico e il Rinascimento a Roma. Studi su Egidio da Viterbo, Roma, Roma nel Rinascimento, 2012, e Egidio da Viterbo. Cardinale agostiniano tra Roma e l’Europa del Rinascimento, atti del convegno (Viterbo, 22-23 settembre 2012, Roma, 26-28 settembre 2012), a cura di M. Chiabò, R. Ronzani, A.M. Vitale, Roma, Roma nel Rinascimento, 2013. Il dipinto si può datare verso gli ultimi anni del XV secolo; la firma del pittore è preceduta dall’indicazione del nome del ritrattato «Gabrieli Veneto», posto in dativo come se l’opera fosse stata offerta a Gabriele. In seguito all’elezione del 1519 fu aggiunta la scritta che identifica Gabriele come «Eremitici Ordinis Generali», cfr. Mazzotta, Gabriele Veneto, p. 4, e la scheda di catalogo dello stesso studioso in Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, catalogo della mostra (Padova, Palazzo del Monte di Pietà, 2 febbraio - 19 maggio 2013) a cura di G. Beltramini, D. Gasparotto, A. Tura, Venezia, Marsilio, 2013, pp. 156-157.
simone fatuzzo
Santo Stefano, soprattutto in seguito all’incendio che lo devastò nel 1529. A coronare la sua carriera di committente egli chiamò il pittore friulano Giovanni Antonio da Pordenone a decorare il nuovo chiostro. Le notizie relative alla vita di Gabriele non sono molte ma è possibile in parte ricostruire il suo giro di amicizie e conoscenze, di cui facevano parte alcuni dei più importanti intellettuali della penisola, primo fra tutti Pietro Bembo, del quale Gabriele fu amico per buona parte della vita. Tra gli altri ebbe occasione di conoscere il correligionario Erasmo da Rotterdam, venuto a Venezia nel 1508 per pubblicare i suoi Adagia a cura di Aldo Manuzio. A uno dei proverbi raccolti da Erasmo nella sua opera potrebbe peraltro ispirarsi il motto latino che accompagnava l’impresa araldica di Gabriele, un drago alato e munito di zampe che si morde la L’amicizia con Pietro Bembo ai tempi del ritratto non è documentabile ma, sebbene finora non sia stata trovata traccia di un loro possibile incontro prima del 1519, anno della prima lettera di Pietro a Gabriele pervenutaci, si può ragionevolmente supporre che i due abbiano avuto più volte occasione di conoscersi fin dai tempi della comune educazione padovana. Gabriele fu studente e poi lettore a Padova tra il 1490 e il 1495 (i suoi avanzamenti di carriera sono approfonditi nella mia tesi di laurea S. Fatuzzo, Il convento di Santo Stefano a Venezia. La committenza di Gabriele Dalla Volta nel quadro dell’attività tarda di Pordenone, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Beni Culturali, a.a. 2012/2013, relatore V. Romani, pp. 7-11). Bembo si formò a Padova in quello stesso torno di anni. La prima lettera conservata suggerisce peraltro che i due fossero amici già da qualche tempo, cfr. P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, 4 voll., Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1987-1993, 1987, I, n. 405, p. 151. Su Pietro Bembo si vedano C. Dionisotti, Scritti sul Bembo, a cura di C. Vela, Torino, Einaudi, 2002, e i recenti Pietro Bembo e le arti, atti del seminario internazionale (Padova, 24-26 febbraio 2011), a cura di G. Beltramini, H. Burns, D. Gasparotto, Venezia, Marsilio, 2013. La cerchia di amici di Pietro Bembo e la cultura neoplatonica entro la quale si muovevano sono state indagate in A. Ballarin, Giorgione e la Compagnia degli Amici. Il «Doppio ritratto» Ludovisi, in Storia dell’arte italiana, II, Dal Medioevo al Quattrocento, Torino, Einaudi, 1983, pp. 479-541, mentre sui ritratti legati a questo milieu si vedano i più recenti lavori di L. Bolzoni, Il cuore di cristallo, Torino, Einaudi, 2010 e Ead., I ritratti e la comunità degli amici, fra Venezia, Firenze e Roma, in Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, cit., pp. 210-218. Gabriele era amico anche di Aldo Manuzio come si desume dall’epistolario egidiano, cfr. E. da Viterbo, Lettere familiari, a cura di A.M. Voci Roth, 2 voll., Roma Institutum historicum Augustinianum, 1990, I, n. 99, e II, n. 327. Luca Pacioli cita il prelato eremitano, all’epoca provinciale della Marca Trevigiana, all’inizio dell’elenco delle personalità presenti alla lezione da lui tenuta a Venezia l’undici agosto 1508 nella chiesa di San Bartolomeo, sul quinto libro degli Elementi di Euclide, poi pubblicato l’anno dopo, insieme alla Divina Proportione, per i tipi di Paganino Paganini da Brescia, ai ff. 30r e 31r, cfr. B. Nardi, La scuola di Rialto e l’Umanesimo veneziano, in Umanesimo europeo e umanesimo veneziano, a cura di V. Branca, Firenze, Sansoni, 1964, pp. 93-139, in part. pp. 114-117, nota 46, ed E.M. Black, La prolusione di Luca Pacioli nel 1508 nella chiesa di San Bartolomeo e il contesto intellettuale veneziano, in La chiesa di San Bartolomeo e la comunità tedesca a Venezia, a cura di N. Bonazza, I. Di Lenardo, G. Guidarelli, Venezia, Marcianum Press, 2013, pp. 87-104.
il convento di santo stefano a venezia
coda, più volte illustrata sugli edifici commissionati dal prelato veneziano nel corso del suo generalato. La presenza di una serie di epigrafi che riportano il nome di Gabriele permette di identificare con precisione tali interventi risanando in parte le lacune documentarie. Uno di questi è stato identificato nel corso della ricerca da cui questo studio prende le mosse nel convento degli Eremitani di Padova, posto ai margini dell’antica arena romana della città. Qui nel corso del secondo decennio del Cinquecento fu innalzato un nuovo chiostro di fianco alla chiesa, nel quale Gabriele fece scavare un pozzo e, nel 1528, aprire una monumentale porta di collegamento fra il convento e la chiesa. Gabriele celebrò il suo intervento inserendo nell’architrave del nuovo passaggio un’iscrizione ricordata ancora nel 1701 nelle Inscriptiones Urbis Patavinae di Jacopo Salomoni. La porta non è più nella sua collocazione originale a causa delle distruzioni belliche subite dal convento nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Tuttavia, grazie alla citazione di Salomoni, è stato possibile identificarla con il portale rimontato, presumibilmente negli anni Cinquanta del secolo scorso, all’interno della biblioteca del monastero di Santa Giustina a Padova. Altre epigrafi segnano gli interventi patrocinati da Gabriele nel convento veneziano di Santo Stefano (fig. 1). La più antica, datata 1521, si trova L’impresa del serpente è simbolo platonico dell’eterno ciclo del tempo e della natura, e allude alla filosofia neoplatonica che impregna le opere e il pensiero di Bembo e di Egidio da Viterbo, confermando l’immagine di colto umanista che viene alla luce ricostruendo l’ambiente nel quale Gabriele si mosse per tutta la vita. Impresa e motto vengono tramandati da G. Tassini, Cittadini Veneziani, Venezia, , Biblioteca del Museo Correr, ms. P.D. C 4/ 5, 1888, pp. 106-107, mentre la connessione con il proverbio di Erasmo è stata notata da Mazzotta, Gabriele, cit., pp. 7-8 e 23, nota 38. Jacopo Salomoni, Inscriptiones Urbis Patavinae, Padova 1701, p. 240, iscrizione 155, dove si legge: «In Cemeterio intrinseco, quod Claustrum vocant an. 1533 aedificato supra Ianuam quae viam aporit ad Sacrarium: 155. Fr. GABRIEL VENETUS GENERALIS aperuit MDXXVIII». Il portale si trova nella prima sala delle riviste della biblioteca di Santa Giustina. L’epigrafe si differenzia da quella riportata da Salomoni soltanto per l’iniziale abbreviazione di «Frater», che è in realtà priva della “r”. Per le notizie e i documenti sulla costruzione dei chiostri del convento padovano e della porta cfr. G. Fiocco, I chiostri degli Eremitani, «Bollettino del Museo Civico di Padova», LIII, 1964, pp. 7-18, in part. la nota 10, p. 17. Per l’inquadramento storico e artistico della chiesa, la cui impostazione si può ritenere essenzialmente valida anche per il convento, cfr. A. Foscari La costruzione della Chiesa Agostiniana di Santo Stefano. Innovazioni e conformismi nell’architettura veneziana del primo Quattrocento, in Gli Agostiniani a Venezia e la Chiesa di Santo Stefano, atti della giornata di studio (Venezia, 10 novembre 1995), Venezia, Canal & Stamperia Editrice, 1997, pp. 121-157, con il contributo documentario, nello stesso volume, di G. Caniato, L’insediamento eremitano nelle contrade di Sant’Anzolo, San Vidal e San Maurizio, pp. 159-235, in part. pp. 191-193.
simone fatuzzo
nel chiostro principale del convento, incisa sul fregio della porta attraverso la quale si raggiungono gli ambienti interni. Nello stesso 1521 cominciò la lunga trafila burocratica per la costruzione della nuova sacrestia della chiesa e la ridefinizione delle sue adiacenze, operazioni avviate probabilmente solo nel 1524 e concluse l’anno dopo, come si legge nell’iscrizione posta sulla porta di comunicazione fra la sacrestia e la chiesa. Il progetto comprendeva, oltre all’imponente sacrestia, una serie di ambienti secondari che dovevano migliorarne la fruizione e il collegamento con il convento stesso. Un’elegante epistola latina di Pietro Bembo, richiesta dallo stesso frate eremitano all’amico a esaltazione della nuova costruzione e del suo committente, aiuta a circoscrivere l’operato di Gabriele indicando precisamente gli elementi del progetto, tutti realizzati: la scala in «lapide Illyrico» che collegava il refettorio e la parte residenziale del convento, il ponte coperto sul rio, la sacrestia coperta con una volta a padiglione, il pozzo e il lavabo liturgico nel nuovo chiostrino che recano scolpita ancora oggi l’impresa del drago che si morde la coda (fig. 2). Un progetto complesso e ambizioso che per Gabriele non rivestì soltanto una funzione pratica, ma rappresentò anche la concretizzazione di interessi personali. Quello della sacrestia e degli ambienti a essa adiacenti costituiva l’unico spazio di manovra per la sua intraprendenza edificatoria, in un complesso architettonico già completamente definito nel secolo precedente. Il luogo era in origine un «teren vacuo», un cortile interno in parte sgombro di costruzioni, dato in affitto a un tagliapietra,
«CARDINALATUS REVERENDISSIMI DOMINI EGIDII ANNO IIII / GENERALATUS REVERENDI MAGISTRI
GABRIELIS ANNO II MDXXI», riportata incompleta in F. Apollonio, La chiesa e il convento di S. Stefano
in Venezia. Memoria, Venezia 1911, p. 98. «GABRIEL VENETUS AUGUSTINIANORUM EREMITARUM MAGISTER AFUNDAMENTIS EXTRUXIT M.D.XXV». Sulla costruzione della sacrestia, del convento e i documenti relativi citati cfr. Caniato, L’insediamento, cit., pp. 193-198. Nel 1526 Gabriele fece inoltre aprire un passaggio al centro dell’abside, per permettere l’accesso diretto al convento. L’iscrizione «F. GABRIEL G.N. APERVIT MDXXVI» compare puntualmente sulla cornice della porta. A Venezia questi ambienti erano generalmente di dimensioni molto contenute, di contro a quelle dei principali ordini religiosi, come in Santa Maria Gloriosa dei Frari e ai Santi Giovanni e Paolo, la seconda delle quali rifatta anch’essa in forme monumentali alla fine del XVI secolo, cfr. La basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Pantheon della Serenissima, a cura di G. Pavanello, Venezia, Marcianum Press, 2013, pp. 346-351. Bembo, Lettere, cit., II, n. 770, pp. 428-429. Beltramini sottolinea il lessico utilizzato da Bembo che si ispira direttamente al De re aedificatoria di Alberti, cfr. G. Beltramini, Pietro Bembo e l’architettura, in Pietro Bembo e l’invenzione, cit., pp. 12-31, in part. p. 21. Giovanni Buora, contratto d’affitto del 20 novembre 1508 citato in Caniato, L’insediamento, p. 194.
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sul quale Dalla Volta fece edificare una sacrestia dedicata all’arcangelo Gabriele e destinata ad accogliere le spoglie sue e dei suoi familiari, nella quale si perpetuasse la memoria della sua schiatta. Nel 1529 un evento drammatico offrì a Gabriele una nuova e prestigiosa possibilità di lasciare il segno nel convento veneziano. Nella notte fra il 3 e il 4 gennaio, se impiò el fuogo nel monasterio de San Stephano. Da poi mezzanotte fo sentito gran fumo, poi gran bampa, principiato da basso nel monasterio vechio da la banda de Santo Anzolo. Et perché molti librari tenivano i loro libri a stampa in li magazeni, introno fuogo in [...] de quelli et brusò, adeo in do ore se brusò assai, quasi el vechio monasterio, la libraria tutta, et tuttavia arde; tamen non passò el ponte né la chiexia fin hora.
E poi ancora: «el fuoco continò tutto el dì et la notte sequente, et brusò tutta la parte de qua dal ponte fino a la chiexia. L’incendio si protrasse per due giorni devastando l’edificio posto in contrada Sant’Anzolo, ossia quello compreso fra l’attuale calle dei frati, i rii di Sant’Anzolo e del Santissimo e la chiesa, risparmiando quest’ultima e l’ala del convento in contrada San Maurizio. L’evento fu devastante per la comunità poiché ai danni del fuoco si aggiungeva la calamità della peste, a causa della quale il convento era stato chiuso per motivi di sanità pubblica. L’aspetto del convento distrutto dalle fiamme è tramandato nell’eccezionale pianta prospettica di Jacopo de’ Barbari del 1500, ove compare un chiostro caratterizzato da una struttura ad architrave su colonne che reggeva un unico piano superiore. Una conformazione simile si può osservare ancora oggi nel chiostro del noviziato risparmiato dalle fiamme, insieme a tutta l’ala del convento posta sulla sponda orientale del rio del Santissimo. Il progetto di Gabriele si evince dal testamento del fratello Leonardo Dalla Volta, nel quale si richiede esplicitamente che nessun altro possa essere sepolto nella sacrestia, e dalla concessione, datata 4 dicembre 1532, fatta dai padri del convento allo stesso Leonardo «a fine sii fatto un sepolcro per lui e suoi eredi con la sua arma da non esser mai in alcun tempo abolida, e che vi possa esser fatto nella medesima alcun altro sepolcro», ASVe, Santo Stefano, b. 6a, n. III. Una situazione di esclusività del genere è confrontabile con quella della sacrestia della chiesa dei Frari utilizzata dalla famiglia Pesaro come cappella funeraria, cfr. R. Goffen, Devozione e committenza. Bellini, Tiziano e i Frari, Venezia, Marsilio, 1991. M. Sanudo, Diarii, a cura di R. Fulin, F. Stefani, N. Barozzi, G. Berchet, M. Allegri, 58 voll., Venezia 1879-1902, XLIX, col. 326. Ivi, coll. 488 e 491. Cfr. A volo d’uccello. Jacopo de’ Barbari e le rappresentazioni di città nell’Europa del Rinascimento, catalogo della mostra (Venezia, Museo Correr, 20 novembre 1999 - 27 febbraio 2000) a cura di G. Romanelli, S. Biadene, C. Tonini, Venezia, Arsenale, 1999, e Venezia città mirabile. Guida alla veduta prospettica di Jacopo de’ Barbari, Caselle di Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2009.
IL VESCOVO DI PADOVA MARCO II CORNARO (1557-1625) E IL THEATRUM SACRUM PER IL CARNEVALE SPIRITUALE Antonio Lovato
1. l’istituzione delle quarantore Ordinato vescovo il 21 dicembre 1594, il patrizio veneziano Marco II Cornaro prese possesso della sede padovana nel marzo dell’anno seguente. Come racconta il suo vicario Paolo Gualdo, nel febbraio del 1596 parve a questo religiosissimo vescovo, per deviare le dissoluzioni del carnevale, introdurre un carnevale spirituale nella chiesa del duomo li ultimi 3 giorni con musiche, apparati, illuminazioni, sermoni et indulgenze come usano li padri gesuiti nella città di Roma. Questo contributo riprende e amplia la relazione La musica policorale a Padova durante l’episcopato di Marco II Cornaro (1595-1625) presentata al convegno internazionale Central-Eastern Europe versus the Italian musica moderna. Reception, adaptation, integration (Warsaw, October 12th15th, 2011), promosso dall’Università di Varsavia e dalla Fondazione Levi nell’ambito del progetto TRA.D.I.MUS. (Tracking the Dissemination of Italian Music 16th-17th Centuries), in occasione del quarto centenario della pubblicazione degli Offertoria e delle Communiones per doppio coro di Mikolaj Zielen´ski (1611). Si ringrazia la Biblioteca del Museo Correr di Venezia per la gentile concessione all’uso delle immagini. Hierarchia catholica medii et recentioris aevi sive summorum pontificum, S.R.E. cardinalium ecclesiarum antistitum series. IV. A pontificatu Clementis PP. VIII (1592) usque ad pontificatum Alexandri PP. VII (1667), per P. Gauchat, Monasterii, Libraria Regensbergiana, 1935 (facs., Padova, Il Messagero di s. Antonio, 1960), p. 275; A. Garbelotto, Un vescovo musicista a Padova nel 500: Marco Cornaro, «Atti e memorie dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti», LXIV, 3, 1953-1954, pp. 53-60; A. Lovato, La musica sacra nell’attività pastorale del vescovo di Padova Marco Corner (15571625), «Studia Patavina. Rivista di Scienze religiose», XXXIV, 1, 1987, pp. 29-50. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. It. VI, 146, f. 39v. Il vicentino Paolo Gualdo (1553-1621), dottore in utroque iure, fu vicario generale del vescovo Marco II Cornaro e arciprete della cattedrale di Padova. Amico di Palladio, Tasso e Galileo Galilei, possedeva una ricca biblioteca e aveva «buonissima vena di compor versi in lingua rustica padovana». Scrisse le biografie di Gian Vincenzo Pinelli e di Andrea Palladio. Cfr. Serie cronologico-istorica dei canonici di Padova.
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Il letterato Antonio Riccoboni, professore di Umanità all’Università di Padova e storico dello Studio , riferisce che, «ut bacchanalia humana in bacchanalia divina egregie converteret», in quell’occasione il vescovo septum fecit in media ecclesia altitudine unius hominis, quo mulieres a viris segregatae continerentur, quodque hoc occasione factum in perpetuum continuabitur. Praeterea, ut magis populum ad concursum inflammaret, totam ecclesiam magna vi praeclarissimorum peristromatum adornavit; aramque in choro eminentem et auro argentoque ac gemmis magni precii onustam paravit, plurimorum luminum plenam, qua cum claustrum coniunctum erat ubi ipse cum clero ac praesidibus urbis sapientibusque deputatis et primariis civibus permaneret.
Per tre giorni nella cattedrale vi fu un grande afflusso di popolo e le cerimonie si svolsero «mirifice cum honestissima omnium delectatione». Sermoni edificanti si alternarono a concerti sacri e durante le celebrazioni, concluse con una processione attorno alla cattedrale, furono eseguite «cantiones et musicorum instrumentorum cum vocibus consonae modulationes» . Per assicurare l’esito dell’iniziativa, durante la quale «musicorum cantus et sonus caelestem suis numeris harmoniam expressit», Marco II Cornaro scritturò Venetiis, Veronaque et Mediolano musicos pre˛cellentissimos, vocibus et musicis instrumentis admirabiles, cornicinesque atque tubicines egregios, ad alliciendos animos populi universi; non solum quia humanus Bacchus in primis harmonia delectatus est, sed etiam quia mysticus Bacchus debet laudare Deum in chordis et organo.
Opera del marchese Orologio canonico e vicario capitolare, Padova, Stamperia del Seminario, 1805, pp. 98-100; G. Cozzi, Intorno al cardinale Paravicino, a monsignor Paolo Gualdo e a Michelangelo da Caravaggio, «Rivista storica italiana», LXXVIII, 1961, pp. 36-68; D. Scantamburlo, Paolo Gualdo e i suoi corrispondenti, tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di Magistero, a.a. 1969-1970; F. Zen Benetti, Per la biografia di Lorenzo Pignoria, erudito padovano (†1631), in Viridarium floridum. Studi di storia veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, a cura di M.C. Billanovich, G. Cracco, A. Rigon, Padova, Antenore, 1984 (Medioevo e Umanesimo, 54), pp. 317-336: 329-330. Antonio Riccoboni (1541-1599), esperto in lingue classiche, curò l’edizione e la traduzione di testi latini. Cfr. Enciclopedia Dantesca, 6 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 19842, IV, p. 910; M. Pecoraro, Riccoboni Antonio, in Dizionario della letteratura italiana, diretto da V. Branca, 4 voll., Torino, UTET, 1986, III, pp. 697-609; Clariores. Dizionario biografico dei docenti e degli studenti dell’Università di Padova, a cura di P. Del Negro, Padova, University Press, 2015, pp. 278-279. De Gymnasio patavino Antonii Riccoboni commentariorum libri sex, Patavii, apud Franciscum Bolzetam, 1598, ff. 136-138: 137r. Ivi, f. 137v. Ibid. Ivi, f. 137r.
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Il vescovo, che allo scopo «plusquam septingentos numos aureos dicitur impendisse», ottenne la collaborazione del Capitolo dei canonici i quali garantirono la disponibilità della cappella musicale della cattedrale, contribuendo alle spese per gli apparati e per gli artisti. L’organizzazione e la direzione delle musiche furono affidate a Giovanni Battista Mosto, ritornato nel 1595 a ricoprire l’incarico di maestro di cappella. L’esito positivo consacrò l’istituzione delle Quarantore che entrarono nelle pratiche devozionali della cattedrale e della diocesi. La conferma viene dalle delibere dei canonici e dalle spese documentate negli Acta Capituli e nei Quaderni di Sacristia dell’Archivio Storico Diocesano di Padova. Spesso si tratta di annotazioni generiche, ma in alcuni casi le informazioni sono dettagliate. Così, il 13 gennaio 1600 il Capitolo dei canonici stabilì che si debba fare questi tre ultimi giorni di carnevale la oratione delle 40 hore esponendo el Santissimo Sacramento sopra l’altar maggiore del choro con adornare il choro con li nastri rossi senza pigliarne a interesse, con quella spesa di lumi et musici che parerà a monsignore thessoriero a spese della sagrestia. Quae [pars] habuit pro 9, contra 2.
Che l’appuntamento annuale in cattedrale fosse diventato un evento fisso si comprende dalle decisioni del Capitolo dei canonici del 1 marzo 1618 e del 15 febbraio 1619. Vada parte che sia fatta la oration delle 40 hore questa quadragesima nel modo che ella fu fatta l’anno passato et li signori canonici sopra la musica facciano
Ivi, f. 138r. R. Casimiri, Musica e musicisti nella cattedrale di Padova nei sec. XIV, XV, XVI. Contributi per una storia, «Note d’archivio per la storia musicale», XVIII, 1941, pp. 116-117, XIX, 1942, pp. 83-85; Dizionario Biografico degli Italiani (= DBI), 87 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-2016, LXXVII, pp. 347-349; Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti (= DEUMM). Le Biografie, a cura di A. Basso, 8 voll. + 1 appendice, Torino, UTET, 1985-1990, V, p. 215; Die Musik in Geschichte und Gegenwart Allgemeine Enzyklopädie der Musik (= MGG). Personenteil, hrsg. von L. Finscher, 17 voll., Bärenreiter, Kassel ecc., 1999-2007, XII, coll. 510-511; The New Grove Dictionary of Music and Musicians (= NGrove), ed. S. Sadie, 29 voll., London, Macmillan Publishers Limited, 2001, XVII, p. 187; Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani. 2. L’età veneta, a cura di C. Scalon, C. Griggio e U. Rozzo, Udine, Forum, 2009, pp. 1775-1779. Nel 1698, il vescovo Gregorio Barbarigo emanò un decreto proprio per disciplinare la celebrazione della «Oratione delle Quaranta Hore» nelle chiese della città di Padova. Cfr. Lettere pastorali, editti et decreti publicati in diversi tempi dall’eminentissimo et reverendissimo Gregorio cardinale Barbarigo vescovo di Padova, Padova, Stamperia del Seminario, 1690, pp. 455-457. Padova, Archivio Storico Diocesano, Acta Capituli 1597-1600, f. 153r.
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sapere al maestro di capella et alli cantori che siano all’ordine, soministrandossi dalla segrestia le cere et li lumi nel modo che fu fatto l’anno passato. Presa di tutte le balle.
Indicazioni più specifiche sulle modalità della celebrazione sono contenute nei Quaderni di Sacristia. Ad esempio, il 22 febbraio 1597 furono effettuati pagamenti Per una peza de tella verde per foderar il baldachino L. 15 s. -. Per raso verde braccia cinque per far il palco al S.mo Sacramento L. 50 s. -. Per lametta d’oro onza una et meza per far la croce al palio et baldachino L. 24 s. -.
Analogamente, il 1 febbraio 1598 sono registrate spese Per vin per la comunione dell’oratione L. 2 s. -. Per far portar banche in chiesa per la sudetta L. 1 s. 90. Per far aconzar il pergolo L. - s. 8.
Invece il 4 febbraio 1599 furono liquidati pagamenti A mastro Benetto per far l’arme et depenger li candeloti de monsignor illustrissimo, rettori et dignità L. 25 s. -.
Il 12, il 15 e il 17 febbraio 1600 risultano sostenute spese Per haver sparecchiato il choro tutti quelli tre giorni per l’oration delle quarant’hore L. 16 s-. Per cargo n.° 16 de legname tolto in vescova<do> per far il palco et altare per li tre giorni de carnevale L. 1 s. 12. Per altre carge 15 tolte a s. Zuane L. 2 s. 9. Per dati a m.ro Hier.mo marangon per far il palco et altare L. 14 s. -. Per dati al m.ro de capella, d’ordine dell’illustre mons. conte Ercule, per dar a dieci cantori per la musica delli tre giorni della oratione sudetta L. 140 s. -. Per dato a doi fachini per ritornar il legname tolto L. 3 s. 10.
Padova, Archivio Storico Diocesano, Acta Capituli 1617-1618, f. 142r; 1619-1622, f. 13rv. Alla celebrazione del 1618 fa esplicito riferimento Paolo Gualdo in una lettera del 3 aprile diretta a Galileo Galilei: «Mons.r Ill.mo sta bene et adesso ha in casa i primi musici d’Italia sì di voci come di stromenti. Habbiamo fatto un Carneval spirituale solennissimo e tutta questa Quaresima ogni sera si sono fatti concerti e musiche rare». Cfr. Le opere di Galileo Galilei, a cura di A. Favaro, Firenze, G. Barbera, 1902, XII, p. 378-379. Padova, Archivio Storico Diocesano, Quaderni di Sacristia 1596-1597, f. 19v. Padova, Archivio Storico Diocesano, Quaderni di Sacristia 1597-1598, f. 20v. Padova, Archivio Storico Diocesano, Quaderni di Sacristia 1598-1599, f. 20r. Padova, Archivio Storico Diocesano, Quaderni di Sacristia 1599-1600, ff. 14r, 19r.
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Spese simili ricorrono non solo negli anni dell’episcopato di Marco II Cornaro, ma anche in quelli successivi. Per parecchio tempo nei libri contabili del Capitolo risultano registrati pagamenti a Prospero Rizzo e, poi, a Bernardino Rizzo perché fornivano un organo portativo in occasione della devozione delle Quarantore come per altre ricorrenze liturgiche. Così, se il 27 gennaio 1597 e il 26 febbraio 1600 «ms. Prospero Rizzo per nolo del suo organo per la oratione delli tre giorni appare ricevere L. 14 s. -», ancora nel 1625 risultano spese sostenute «per nolo dell’organetto del Rizzo et per metterlo su e giù del pergoletto». La devozione delle Quarantore, che deriva la propria denominazione dal periodo intercorso fra la morte e la risurrezione di Cristo, commemora quest’arco di tempo con la pubblica e solenne adorazione eucaristica del Santissimo, esposto nell’ostensorio sopra un trono nel punto centrale dell’altare, in posizione sopraelevata. La pratica si è affermata dal secolo XVI attraverso due forme principali: un turno annuale di adorazione che, nelle città, si svolgeva ininterrottamente di chiesa in chiesa e l’esposizione del Santissimo solo in concomitanza di alcune occasioni, senza l’adorazione notturna. Questa seconda forma, che si richiama Il 20 marzo 1627 il maestro di cappella Antonio Vicentino distribuì lire 155 «alli cantori che servirono all’oratione delle 40 hore» e lire 69 l’11 marzo 1633 per «li musici che venero alle 40 hore», mentre il 19 aprile 1638 fu erogata la somma di lire 82 ad «Amadio Freddi per distribuir alli cantori per l’oration delle 40 hore»: cfr. Padova, Archivio Storico Diocesano, Quaderni di Sacristia 1627, f. 19r, 1632, f. 21r, 1633, f. 22v, 1638, f. 20v; A. Lovato, Gli organisti della cattedrale di Padova nel secolo XVII, «Rivista italiana di musicologia», XVII, 1982, pp. 35, 38-39. Padova, Archivio Storico Diocesano, Quaderni di Sacristia 1596-1597, f. 19, 1599-1600, f. 19v. Dal 1593 al 1625 Prospero e Bernardino Rizzo hanno fornito organi portativi alla cattedrale di Padova in varie occasioni; successivamente lo stesso incarico fu affidato a Marco Poschiavo. Cfr. Casimiri, Musica e musicisti, XVIII, p. 132, XIX, pp. 86-87; Lovato, Gli organisti della cattedrale, pp. 1-70: 27, 32, 35, 40, 42. Nei testi biblici il numero quaranta è simbolo del periodo di tribolazione di digiuno e penitenza necessario per purificarsi ed espiare le colpe in vista della salvezza. Il diluvio universale durò quaranta giorni e quaranta notti (Gn 7,4); Mosè sostò sul Monte Sinai per quaranta giorni in attesa di ricevere la Legge (Ex 24,18); quaranta giorni durarono il cammino nel deserto del profeta Elia (III Rg 19,8), la penitenza nella città di Ninive (Ion, 3,4) e il viaggio nel deserto degli Ebrei (Dt 8,2); dopo il battesimo Gesù digiunò per quaranta giorni (Mt 4,1; Mc 1,13; Lc 4,1-2) e tale è il periodo di Quaresima per la Chiesa; il suo corpo rimase nel sepolcro per quaranta ore ed egli apparve ai discepoli quaranta giorni dopo la risurrezione (Act 1,2-3). Cfr. Biblia sacra iuxta vulgatam versionem, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, 19944, pp. 12, 110, 246, 493, 1399, 1540, 1575, 1612, 1698. L’esposizione del Santissimo per quaranta ore continue, specialmente in occasione di calamità e guerre, iniziò nella chiesa del S. Sepolcro a Milano (1527) per iniziativa dell’agostiniano Antonio Bellotti e Paolo III approvò la pratica con breve apostolico del 1537. Il cappuccino Giuseppe da Fermo, a sua volta, dispose che l’esposizione del Santissimo Sacramento
appendice
Dichiaratione dell’oratione delle Quarant’hore celebrate nel duomo di Padova li tre ultimi giorni di Carnevale l’anno 1624
Non può ritrovarsi gemma più pretiosa né tesoro più ricco dell’anima nostra e da qui nasce che non solo gli huomini amici di Dio provano gusto incredibile nel santo essercitio dell’acquisto delle anime, ma nel cielo ancora gaudium est super uno peccatore poenitentiam agente. E se Dio nostro Signore ha voluto non solo sentire la contentezza di crear l’huomo, ma ancora di redimerlo, non potrà lingua angelica esprimere qual gaudio interno provi chi tutto si dà al guadagno delle anime. Ce lo denotò egli medesimo sotto la parabola del pastore il quale, lasciate sopra l’altezza de’ monti novantanove pecorelle, scese nell’humili valli a cercare la centesima smarrita tra le spine et i sterpi e, ritrovatala, con allegrezza sopra le spalle la riportò all’ovile. Pecorella smarrita è l’anima del peccatore e gli angioli sono le novantanove sopra i monti del cielo dal quale, descendendo il Verbo eterno in questa bassissima valle del mondo, non venit vocare iustos sed peccatores; i suoi seguaci allettò con l’offerta del suo proprio esercitio, dicendo loro: Venite post me, faciam vos fieri piscatores hominum. E se l’esercitio nel guadagno d’anime è particolar esercitio di Dio, che meraviglia che sentanto divine contentezze quelli che si occupano in lui? Et ancorché ognuno sia tenuto ad impiegarsi in quest’opera, è nondimeno chiamato particolarmente il vescovo a quest’officio nel quale è obbligato a spendere con generosa prontezza non solo la robba et ogni più grande interesse, ma la vita et il sangue medesimo. Come ce lo insegnò la donna evangelica la quale, per ritrovar la gioia perduta, accese la lampada e messe sossopra la casa tutto; e quello che, venduto il suo havere, comprò il campo ove stava nascosto il tesoro, ci fa chiaramente vedere che dobbiamo disprezzare ogni grandezza e qual si voglia ricchezza per il guadagno d’un’anima. Il savio lasciò scritto: Gustato spiritu descipit omnis caro, volendoci avvertire che non è da meravigliarsi se molti vescovi, et in particolare quello di Padova, faccia tante fatiche e spendi tanto nell’acquisto delle anime, già che in esse può dirsi siano riposti omnes thesauri sapientiae et scientiae Dei; e ce lo comandò il Salvatore del mondo quando disse: thesaurizate vobis thesauros in coelis ubi aerugo neque tinea demolitur neque fures effodiunt. Non sono così i tesori, le gemme, i gusti che dà il mondo,
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i quali ottenuti ingannano se non in altro nel fine; perciocché, sebbene non è peccato procurare contenti et allegrezze et sodisfattioni del senso, come ricerca l’appettito humano, è però il fine quello che guasta l’operatione; et è cosa chiara che, avendo Iddio fatto questo senso humano, l’ha fatto buono, acciocché ricevesse le sue sodisfattioni ragionevoli. Ma il mondo, abusando questa gratia, inserisce per fine del senso il peccato, come si può vedere nella parabola di quello che seminò il buon grano nel campo e l’inimico dell’huomo vi sopra seminò la zizania, questa per essere nel tempo del raccolto abbruggiata et il grano conservato nel granaro del cielo. Ecco qui la differenza de’ piaceri che il mondo somministra al senso e di quelli che ci dà la Chiesa: questi, essendo senza offesa di Dio, meritano la sua gratia e quelli per l’offesa si fanno rei del castigo; pertanto è necessario in questi tempi, ne i quali la zizania del Carnevale cresce a furia, che li ministri ecclesiastici conservino il grano, ciò è con gusto anco del senso aiutino le anime e faccino conoscere a gli huomini che può il senso godere senza offesa della coscienza. Venghi dunque ognuno nel duomo di Padova, ove vederà et udirà diletti non ordinarii e forse maggiori de gli anni passati ne i quali, come il Pastore ha messo fuori apparati stupendi, così il Popolo devoto padovano vi è con molta frequenza e divotione sempre concorso; onde, anco da questo motivo, il Pastore prende animo a far sempre cose nuove e varie, stimando sue delitie godere col suo Popolo quei beni che Dio li ha dato. E mentre vede con spese e fatiche temporali accumularsi tesori eterni e da seme terreno nascer frutti celesti, è costretto a conoscere esser non meno necessaria questa manifattura e spesa che il porgere il pane a i poveri affamati, poiché di questi si tratta interesse de i corpi e di quelli l’acquisto dell’anime tanto importante come s’è detto. Perciò, come l’anno a dietro fece mostra della Chiesa trionfante e militante, in questo presente 1624 dechiara lo stato dell’huomo con uno edificio di due ordini corinti: il primo inferiore con dodeci colonne cannellate poste a due a due al pari, sotto delle quali una bellissima base di marmo fino intagliata con dissegno vago di gioie di varii colori e le cannelle delle colonne pur sono di gioie di due colori, turchino l’uno e l’altro di rubino; fra queste colonne che costituiscono sei termini vi sono cinque nicchi d’oro fiammeggianti di lumi, dentro de’ quali stanno figure d’argento di perfetta scultura, e sopra le colonne vi è la sua cornice di marmo tutta intagliata con diverse pietre pretiose. La qual cornice sostenta l’altr’ordine superiore della fabrica, fatto con sei pilastri figurati come a basso rilievo, fra quali vi sono cinque spatii tutti riccamati con diversi dissegni di gioie di varii colori, sopra quai pilastri e spatii v’è la sua cornice et il suo frontispizio tutti intagliati di varii e lucenti colori come stelle. Quest’è brevemente della fabrica; ma lo sito dove è posta è come sogliono fare personaggi grandi ne i loro edificii e certo questo è di considerazione, perché è piantata in bocca d’una valle, dall’una e dall’altra parte della quale si vanno inalzando un sopra l’altro piacevolissimi colli tutti verdi di arbori, vaghi alla vista e per la verdura e per i fiori che vestono la valle, la quale camina lungo spatio di terreno e va a terminare col nostro orizonte, sopra il quale si mira un gran sole che illumina l’aria, tutto il paese e la chiesa tutta non che la fabrica medesima dalla quale, come si cavano i
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due stati dell’huomo, cioè della gratia e della legge scritta, così da questo naturale si vede il terzo della natura e per cominciar da questo l’huomo hebbe il Paradiso terrestre, nel quale tutte le contentezze naturali erano riposte a suo servitio, mentre egli si conservava vestito dell’innocenza né altro haveva per suo officio et essercitio se non ut operaretur et custodiret illum. Ma, spogliandosi del suo habito primo e naturale, fecit sibi perizomata e, da Dio scacciato da così delitioso loco, fu condennato ad acquistarsi il vitto con stenti e sudori; come prima haveva frutti soavissimi e fiori vaghissimi, così il terreno dopo li produce spine e triboli; in somma, le primiere sue condizioni poste in continue allegrezze furono sottomesse a dolori, dicendoli Dio: In dolore paries. Da queste due parti dell’huomo nel suo primo essere, cioè dell’innocenza e del peccato originale, si può cavare due sorti di gusti ne’ quali può in questi tempi l’huomo occuparsi, ciò è i spirituali et i mondani: questi rappresentano lo stato del peccato e per conseguenza li castighi et quelli lo stato dell’innocenza per l’aiuto delle cose spirituali e premi eterni. In somma si vede quali sieno li piaceri ecclesiastici e quali i mondani, questi dannosi e quelli utili; onde, volendo l’uomo sodisfare al senso, ricorri alla Chiesa, lasci la piazza e si raccordi d’osservare il precetto naturale che è di fare ad altri quello che si vorrebbe a se stessi. E questo basti quanto al primo ordine dell’apparato posto nella parte superiore in guisa d’un ameno paese, come s’è detto, illustrato dal sole il quale pur illumina lo edificio fabricato in questo vago sito come palazzo di delizie d’un gran prencipe che altro non è se non l’huomo, poiché Dio omnia subiecit sub pedibus eius e li disse di più: Vos Dii estis et filii Excelsi omnes, volendo sodisfare alla promessa con cui il diavolo ingannò la prima nostra madre Eva dicendoli: Eritis sicut Dii. Seguita dunque dopo la natural struttura artificiale, della quale nell’ordine superiore si vede in mezo un Giesù e da i lati due spatii per parte con li misterii penosi della passione di Christo fatti tutti di lucidissime gemme, divisi e terminati da sei pilastri ne i quali mirabilmente sono dipinti a due a due li dodeci apostoli i quali, dopo il loro maestro che col proprio sangue sopra la croce scrisse la nuova legge della gratia e cancellando quella prima scritta in marmo con il dito divino, essi ancora spargendo il sangue hanno messo mano a cassare il chirografo de i nostri delitti, onde disse santo Paolo: Adimpleo quae desunt passionum Christi, il che è il fine d’ogni fedel servo di questo Signore, la memoria della cui passione dovendo noi sempre havere inanzi. Perciò in quest’ordine superiore della fabrica sono posti i misterii di lei con il nome di Giesù, al quale omne genu flectitur coelestium, terrestrium et infernorum; e dobbiamo fare di questa passione come fecero gli ebrei della legge scritta, la quale registrata in carta pergamenata portavano attaccata sopra la fronte. Così noi dobbiamo havere la detta passione sempre nella fronte del cuore per godere i frutti della legge della gratia, la quale viene espressa dall’ordine inferiore della fabrica fatto con dodeci colonne sotto li pilastri superiori ne i quali sono gli apostoli et a piedi loro una cornice tutta incastrata di gioie la quale, come serve per unione dell’ordine superiore et inferiore della fabrica, così lega insieme due leggi, la scritta e quella di gratia. In questa vi sono i dodeci articoli della fede composti e promulgati dagli apostoli, e perciò sotto di loro vi stanno le sudette
il theatrum sacrum per il carnevale spirituale
dodeci colonne di gioie di color celeste e di rubini: con che si mostra di che sorte deve essere il modo con cui si debbano intendere, amare et eseguire per haverne il merito della vita eterna fondato in Christo chiamato nelle Scritture vite. E perciò le dette colonne sono abbracciate da una vite quale, stando nel mezo d’ogni due di loro, stende i suoi tralci sopra di esse, in che si dimostra quello che dice la Scrittura: Emisit eos binos ante faciem terrae ad insegnare li santissimi sacramenti usciti dalle preziosissime piaghe del Crocifisso, dimostrateci ne i cinque nicchi risplendenti d’oro cavati nella fabrica come da i cinque portici della piscina probatica, la cui acqua sanava ogn’infermità. In mezo de’ quali, come dal costato di Christo nascendo, sta riposto il Santissimo Sacramento dell’eucharistia accomodato in uno tabernacolo d’argento di bellissimo ordine et intaglio portato da sei angioli pur dello stesso argento, come similmente sono ne gli altri quatro nicchi li santi protettori della città, Daniele, Giustina, Prosdocimo et Antonio, per testimonio della divotione di questi cittadini padovani, quali numerosi e divoti, lasciando i gusti del secolo, vengono a pigliar quelli della chiesa nella quale si fanno molti sermoni da tutte le religioni e musiche da eccellentissimi maestri. E quello che più importa, si veggono numerosissime comunioni in esecuzione degli ammaestramenti degli apostoli, i quali non solo insegnarono l’uso de i sacramenti, ma ancora predicarono l’evangelio significato nelle basi delle colonne e nella fabrica tutta la quale, come è per tutte le parti adornata di vaghissime gioie, così questi piedistalli sono interciati di rubini, zafiri, smeraldi, topatii et altri regolati con dissegni varii perfettamente posti. E di qua, discendendosi per due accommodatissime scale, nel mezzo loro alla dirittura dell’altare ove è riposto il Santissimo Sacramento stanno collocate in forma triangolare trentatré candelieri d’argento con candele sopra che non si consumano per significare la vita di Christo. La quale, come nella natura il sole, così nella Chiesa santa non si consuma mentre pasce tutta la sua greggia la quale, aprendo gli occhi e le orecchie a i gusti spirituali, volentieri abbandonerà i bagordi carnevaleschi tutti cagione di morte all’anima et al corpo, per cui salute è obligato ogni Pastore a mettervi la robba e la vita e riputare tal operazione per il maggior tesoro che si possa trovare e gemma che si possa vedere e piacere che si possa gustare.
ANTONIO GUALTIERI, AMOROSI DILETTI A TRE VOCI (VENEZIA, 1608) Chiara Comparin
Antonio Gualtieri rientra tra quei musicisti che, classificati come “minori” dalla musicologia storica, sono rimasti ai margini della ricerca, finché i contributi di Franco Colussi, Antonio Lovato e Francesco Passadore non hanno iniziato a fare luce sulla sua figura semisconosciuta. Battezzato a Monselice il 29 maggio 1574, Antonio Gualtieri deve la sua formazione musicale all’interessamento del vescovo di Padova Marco II Cornaro al quale dedicò la sua prima opera, i Motecta octonis vocibus (1604). Fu attivo come musices magister e maestro di cappella a San Daniele del Friuli (1596-1605), Monselice (1606-1613, 1621-1632 e 1650-1661), Montagnana (1613-1621) e Venezia (1632-1650). Il periodo più fecondo della sua produzione musicale corrisponde agli anni di attività presso le cappelle musicali di Monselice e Montagnana, in quanto la quasi totalità delle sue opere vide la luce tra il 1611 e 1630. Fa eccezione la raccolta di Cfr. F. Colussi, Gualtieri Antonio, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani 2, Udine, Forum, 2009, pp. 1385-1388; A. Lovato, Musica e liturgia nella collegiata di S. Giustina, in Monselice nei secoli, a cura di A. Rigon, Treviso, Canova, 2009, pp. 231-249; F. Passadore, Musica e musicisti a Rovigo tra Rinascimento e Barocco, Rovigo, Minelliana, 1987. Cfr. Lovato, Musica e liturgia, cit. A. Gualtieri, Motecta octonis vocibus, Venezia, Giacomo Vincenti, 1604. Il corpus di Antonio Gualtieri comprende 4 libri di mottetti, 2 di madrigali e uno di canzonette: Motecta octonis vocibus, cit; Amorosi diletti a tre voci, Venezia, Angelo Gardano & fratelli, 1608; Mottecta duabus vocibus, Venezia, Amadino, 1611; Il secondo libro de mottetti a una e due voci con li salmi a tre voci con il basso per l’organo, Venezia, erede di Angelo Gardano, 1612; Il secondo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, Bartolomeo Magni, 1613; Madrigali concertati a una, due et tre voci, Venezia, Alessandro Vincenti, 1625; Mottetti a una, doi, tre & quatro voci con le littanie della B. Vergina a 4, Venezia, Bartolomeo Magni, 1630. Cfr. Répertoire International des Sources Musicales. Einzeldrucke vor 1800 (=RISM A/i), München-Duisburg, G. Henle, 1960, 3, G 4791-4796. La raccolta del 1611, già nella Biblioteca dell’Università di Königsberg (Kaliningrad) risulta perduta. Cfr. R. Eitner, Biographisch-Bibliographisces Quellen-Lexicon der
chiara comparin
mottetti a otto voci stampata nel 1604 quando era maestro di cappella in terra friulana, compito che Gualtieri fu costretto a lasciare nel 1605 quando venne coinvolto in un omicidio commesso a Valvasone, dove agiva come procuratore nel recupero di crediti per conto della moglie Silvia. In seguito a questa movimentata vicenda forse trovò accoglienza per un breve periodo a Rovigo, presso Gaspare Campo, promotore e animatore della locale Accademia dei Concordi, al quale il compositore nel 1608 avrebbe dedicato la sua prima raccolta profana. 1. la raccolta amorosi diletti Nella sua produzione profana Antonio Gualtieri si cimenta con i generi di maggior fortuna della musica polifonica tra Cinque e Seicento, ovvero la canzonetta e il madrigale concertato. Mentre le due raccolte di madrigali (1613 e 1625) risultano mancanti di alcuni libri parte, gli Amorosi diletti (1608) sono pervenuti completi dei tre libri parte, conservati in due copie presso l’Österreichische Nationalbibliothek di Vienna e il British Museum di Londra. Una terza copia, presente nel Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, è priva della parte del B. La raccolta di canzonette è dedicata al conte Gasparo Campo che nel 1580 aveva fondato l’Accademia dei Concordi di Rovigo, punto di riferimento per la gioventù colta e musicalmente educata della città. Questi amorosi diletti, da me per fuggire l’hore noiose della calda passata stagione musicalmente composti, dovendosi in gracia de’ miei più cari amici porre in luce et nel tempo a punto che dalla gran benignità di vostra signoria molto illustre Musiker und Musikgelehrten christlicher Zeitrechnung bis Mitte des neunzehnten Jahrhunderts, Graz, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt, 1959-1960, III-IV, pp. 398-399; J. Müller, Die musikalischen Schätze der Staats- und Universitätsbibliotek zu Königsberg, Bonn, i. Pr., 1870, pp. 189-190. Cfr. Colussi, Gualtieri Antonio, cit. La presenza del Gualtieri a Rovigo non è confermata da testimonianze documentarie. C’è però un passaggio della dedicatoria in cui, rivolgendosi al Campo, il musicista dichiara: «dalla gran benignità di Vostra Signoria molto illustre fui fatto degno in Rovigo di essere annoverato nell’honorato numero de suoi più affezionati servitori». Cfr. Gualtieri, Amorosi diletti, cit., dedicatoria. Cfr. fig. 1. Dalla metà del Cinquecento Rovigo ospitava anche le Accademie degli Addormentati, dei Rinvigoriti, dei Cavalieri, degli Uniti e degli Allegri. Cfr. G. Benzoni, Le accademie, in Storia della cultura veneta. Dalla Controriforma alla fine della Repubblica, IV/I. Il Seicento, Vicenza, Neri Pozza, 1983, pp. 131-162; V. Devit, Dell’illustre donzella Issicratea Monti rodigina, Padova, Tipografia del Seminario, 1845, pp. 28-32; M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, 5 voll., Bologna, Arnoldo Forni, 1926-1930, II, pp. 56-60; G. Pietropoli, L’accademia dei Concordi nella vita rodigina, Padova, Signum, 1986, pp. 42-65.
antonio gualtieri, amorosi diletti a tre voci (venezia, 1608)
fui fatto degno in Rovigo di essere annoverato nell’honorato numero de suoi più affeccionati servitori, ho deliberato di dedicare a lei, la quale, oltre le molte altre singolari virtù del nobilissimo animo suo, è così raramente ornata di questa gentile et dilettevole cognitione che in ogni parte et di lei et della celebratissima sua Academia ne risuona d’immensa lode honoratissimo grido. Acciò, in un medesimo tempo se ne vadano ingranditi et illustrati dallo splendore et gran pregio di lei et del suo molto stimato et famoso nome et per me le compariscano inanti come segno verace della grande affeccione et divota servitù che io debitamente le porto et porterò sempre. Mai non isdegni, dunque, il suo generoso core questa prima mia affettuosa dimostrazione et s’appaghi la solita gentilezza sua del mio pronto volere, molto ben sapendo che assai dona, ancor che poco doni chi con affetto et prontamente dona. Et augurandole da Dio felice fine d’ogni suo nobile et honorato pensiero, a vostra signoria molto illustre bacio riverentemente le mani.
Le notizie d’archivio non confermano se le sedute dell’Accademia fossero principalmente a sfondo poetico-musicale, ma il testamento di Gasparo Campo dà alcune indicazioni del suo preminente interesse per la musica, confermato anche da una dotazione di libri e strumenti musicali. Item lascia la casa ove la presente habita esso sig. Testor, con tutti li mobili, fornimenti et addobbamenti di quelle come al presente se trova haver et esser in detta casa, al sig. Alessandro, Girolamo et Giovanni suoi figli soprannominati, ogn’un la sua giusta parte mentre staranno uniti da amorevoli fratelli. Et quando per alcun accidente non potessero star uniti, vuole che detta casa resti sempre al sig. Alessandro con condittione che tutti li mobili, ornamenti, instrumenti, libri di musica ove sono et servono per bisogno dell’Accademia restino per servitio, ornamento et accomodamento di quella.
La consuetudine di eseguire concerti presso l’Accademia del conte Campo è testimoniata da una breve cronaca del Campagnella, che descrive un incontro, sociale o accademico, proprio nella casa del nobiluomo: Hieri sera siamo stati sino a mezza notte, trattati con cere et suoni et rinfreschi degni de veri gentilomeni in casa de mio compare Gaspare: si suonò il chitarrino, et il liuto da due belle dame, che furno la signora Fioralba Malagugin, et la mia [...]. Non posso accennare il tempo preciso di sì nobile accoglienza fatta alle Muse in quella casa ospitale.
Nel palazzo del conte Campo, quindi, musica e musicisti trovavano un degno ambiente, la massima diposizione d’animo e i mezzi elargiti da
Gualtieri, Amorosi diletti, cit., dedicatoria. Cfr. fig. 2. Rovigo, Archivio di Stato, Notarile, Notaio Sebastiano Zurlato, b. 1546, Reg. T, rep. 2146, 16 febbraio 1629. Cfr. Passadore, Musica e musicisti, cit., p. 14. Cfr. Pietropoli, Accademia, cit., pp. 58-59.
chiara comparin
un principe che non era solo un protettore e mecenate delle arti e della musica, ma musicista egli stesso. La raccolta del Gualtieri è formata da ventuno canzonette a tre voci su testi adespoti. Come era consuetudine, i libri si distinguono dall’epigrafe «Canto, Canto II, Basso», ma al loro interno gli organici sono poi distribuiti diversamente (tab. 1). incipit dei testi
1. Perché un bacio mi date 2. L’amara tua partita 3. Soavissimi baci 4. Baciami Filli dice 5. Da me ch’altro più brami 6. S’io t’ho donato il core 7. Se ‘l vostro vago viso 8. Ardenti miei sospiri 9. Non è foco maggiore 10. Mentre piange Amarilli 11. Quel petto di diamante 12. Lidia non vuol ch’io ‘l dica 13. Quel che stilla dal viso chiaro humore 14. Voi dite di morire 15. Gli occhi sereni e ‘l bel sereno volto 16. La bella ninfa mia - Proposta 17. Risposi alhor Cor mio - Risposta 18. Amo il più bel rubino 19. Filli s’al partir mio 20. S’io seguo chi mi fugge 21. Non hebbe tal bellezza il bel Narciso
organico
SSA SST SST SSA SSA SST SSA SSA SSA SST SSA SSA SSA SSB SSB SST SST SSB SSB SSB SSB
Tab. 1. Amorosi diletti a tre voci di Antonio Gualtieri maestro di capella di Monselice novamente composti et dati in luce, Venezia, Angelo Gardano e fratelli, 1608: incipit testuali e organici delle canzonette.
Come testimonia la dedica in G. Bonifacio, Lettione sopra un sonetto del Petrarca, Rovigo, Daniel Bissuccio, 1626: «Per questi et altri rispetti, che per brevità si tralasciano, essendo questa disciplina [la musica] maggiore e più degna di tutte l’altre, così più d’ogni altro professore di virtuosi attioni V.S. molto illustre merita d’essere commendata; poiché non solo in modo se n’è dilettata che perfettamente canta e d’ogni istrumento eccellentemente suona, ma per partecipar questa sua virtù con gli altri mantiene a questo effetto musici: et la sua casa tiene di continuo a questo effetto aperta». Cfr. fig. 3.
antonio gualtieri, amorosi diletti a tre voci (venezia, 1608)
Nella maggioranza dei casi il C e il C II prevedono una voce di Soprano, eccezion fatta per il dialogo tra la ninfa e il pastore (nn. 16 e 17) dove la seconda linea presenta una tessitura più grave, adatta ad una voce di Contralto. La terza linea (quella del libro parte del B) alterna Alto (9 composizioni), Tenore (6 composizioni) e Basso (6 composizioni). L’eterogeneità degli organici trova una spiegazione nel fatto che, molto probabilmente, le canzonette venivano eseguite all’interno dell’Accademia da formazioni in possesso di limitate risorse vocali. Una conferma sulla possibile destinazione di queste canzonette ai frequentatori dell’Accademia deriva dal fatto che anche un’altra opera dedicata al Campo, Le vaghe et dilettevoli canzonette alla napolitana a tre voci di Giovanni Francesco Pelaia (1597), prevede un organico vocale ridotto, così da permettere esecuzioni amatoriali con l’eventuale sostegno strumentale. Anche i testi delle sedici canzonette intonate dal Pelaia risultano adespoti e questo avvalora l’ipotesi che fossero il Campo stesso o i soci dell’Accademia a consegnare brevi manu i testi da musicare ai compositori. Indicazioni ulteriori sulle modalità esecutive di questo repertorio sono date dalla diversità delle chiavi utilizzate e dalla reale estensione delle singole parti (tab. 2). È ipotizzabile che sette delle ventuno composizioni prevedessero una trasposizione alla quarta inferiore e tre alla quinta. incipit dei testi
canto i
canto ii
basso
1. Perché un bacio mi date
Vl
mi3-sol4
Do2
do3-re4
Do3
fa2-sol3
2. L’amara tua partita
Vl
sol3la4
Do2
re3-re4
Do3
re2-sol3
3. Soavissimi baci
Vl
re3-sol4
Do2
do#3re4
Do3
re2-fa3
4. Baciami Filli dice
Vl
fa#3-re4
Vl
do4-sib4
Do3
fa2-sol3
5. Da me ch’ altro più brami
Vl
sol3-sol4
Vl
fa3-la4
Do3
fa2-sol3
6. S’io t’ho donato il core
Vl
sol3-fa4
Do2
do3-re4
Do4
re2-fa3
7. Se ‘l vostro vago viso
Vl
sol3-la4
Vl
fa3-re4
Do3
fa2-fa3 (segue)
Nella scelta del registro vocale ipotizzato ho seguito il seguente criterio: se la melodia scende al di sotto del fa2 la linea viene attribuita al Tenore, se sale oltre al sol3 all’Alto. In sostanza l’ambitus dell’Alto è fa2-la3, del Tenore è do2-sol3 e del B fa1-do3. G.F. Pelaia, Le vaghe et dilettevoli canzonette alla napolitana a tre voci, Venezia, Giacomo Vinenti, 1597. Cfr. RISM A I/6, P 1145.
L’ALBUM DELLE CARICATURE DI ANTON MARIA ZANETTI E L’IMMAGINE DI CARLO SCALZI, CANTANTE DEL SETTECENTO Enrico Lucchese
«Questo è il secolo della musica e non della pitura»: le parole di Giovanna Carriera, la sorella di Rosalba, in una lettera alla madre del 19 agosto 1730 da Vienna, illustrano il successo incredibile, in quegli anni, del mondo musicale e dei suoi protagonisti. Resta, però, un fatto che sia ancora tutta da comprendere, nella sua interezza, la vicenda delle intense relazioni, favorite dal cosmopolitismo settecentesco, tra artisti figurativi, letterati e interpreti musicali. Se, ad esempio, per Antoine Watteau e la Francia rocaille alcuni di questi rapporti sono stati messi a fuoco, pure di recente, manca un censimento più ampio, in senso geografico e cronologico, delle tante occasioni di contatto, collaborazione, mecenatismo tra ambiti umanistici che, oggigiorno, tendiamo a non percepire così uniti come, allora e in realtà, sono. Una ricerca del genere è metodologicamente complessa e ha bisogno di punti di riferimento su cui fissare le proprie indagini. Per quanto riguarda il caso specifico di Venezia, uno dei centri di produzione culB. Sani, Rosalba Carriera. Lettere, diari, frammenti, II, Firenze, Olschki, 1985, p. 530. Ibid.: immediatamente prima, Giovanna scriveva alla madre di essere rimasta delusa dal sapere “ch’in Venezia, ove capitano tanti foresti, si lasci ozziosa la virtù della Sig.ra Mariana; non sarebbe così se cantasse”. Bernardina Sani (ivi, p. 596 nota 6 e p. 854 ad nomen) ha identificato costei con la pittrice Marianna Carlevarijs. Cfr. Watteau, Music, and Theater, catalogo della mostra (New York, The Metropolitan Museum of Art, 22 settembre- 29 novembre 2009), a cura di K. Baetjer, New Haven - London, Yale University Press, 2009; F. Moureau, Le goût italien dans la France rocaille: théatre, musique, peinture (v. 1680-1750), Paris, PUPS, 2011; Antoine Watteau (1684-1721). La leçon de musique, catalogo della mostra (Bruxelles, Palais de Beaux-Arts, 8 febbraio - 12 maggio 2013) a cura di F. Raymond, Bruxelles-Paris, BOZAR Books-Skira Flammarion, 2013.
enrico lucchese
turale più importanti nel Settecento, la recente catalogazione delle trecentocinquanta caricature dell’album di Anton Maria Zanetti quondam Girolamo, conservato presso l’Istituto di Storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini, ha offerto l’opportunità di approfondire la conoscenza della rete internazionale di un grandissimo “intendente” di arte figurativa e, senza dubbio, di musica. Nei suoi disegni umoristici, infatti, oltre a conoscere perfettamente la notazione, Zanetti dimostra di essere stato un assiduo dei teatri veneziani: sono i divi del melodramma, i cantanti, l’obiettivo prediletto, ma non esclusivo, delle sue caricature, fatte a gara di comicità con quelle di Marco Ricci, amico pittore e scenografo. Collezionista «pazzo da cattena» per sua ammissione, Anton Maria Zanetti raccolse, nel proprio album e in quello che lui stesso presumibilmente preparò per il console Smith, un formidabile caleidoscopio di un mondo che già di suo traduceva in caricatura, come ricordava un contemporaneo, la realtà. Il senso più profondo dell’album Cini sta qui: di là delle note analogie parodistiche con il Teatro alla moda di Benedetto Marcello (1720), c’è in più una compartecipazione, nell’essere soggetti da caricatura, di Zanetti, dei suoi amici artisti, di tanti veneziani, dai patrizi, ai preti, ai servitori, al popolino, agli ebrei del Ghetto. In questo gioco di specchi deformanti eppure rivelatori, assume un’importanza programmatica, quasi da manifesto della concezione umoristica di Anton Maria, il foglio dell’album Cini (fig. 1) in cui, in alto, E. Lucchese, L’album di caricature di Anton Maria Zanetti alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, Venezia, Lineadacqua, 2015. Lucchese, L’album di caricature, cit., pp. 8-10. Sul noto fenomeno, cfr., almeno, R. Blanchard, R. De Candé, Dieux et Divas de l’Opéra, I, Des origins à la Malibran, Paris, Plon, 1986; J. Rosselli, Il cantante d’opera. Storia di una professione (1600-1990), Bologna, il Mulino, 1993. Lucchese, L’album di caricature, cit., pp. 3, 5. G. Lorenzetti, Un dilettante incisore veneziano del XVIII secolo. Anton Maria Zanetti di Gerolamo, Venezia, Carlo Ferrari, 1917, p. 73. Lucchese, L’album di caricature, cit., p. 6. G. Ortes, Riflessioni sopra i drammi per musica, Venezia, Pasquali, 1757, p. 5: «sinché ciascuno si contiene in conformità del suo carattere nella maniera più consueta, egli passa senza osservazione; ma se all’incontro esalta nobilmente questo suo contegno, allora diventa una caricatura e si fa soggetto da teatro», cit. in G. Pavanello, “Tutta la vita, dal principio alla fine, è una comica assurdità”, ovvero “il segreto di Pulcinella”, in Tiepolo. Ironia e comico, catalogo della mostra (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 3 settembre - 5 dicembre 2004), a cura di A. Mariuz e G. Pavanello, Venezia, Marsilio, 2004, p. 51 n. 3. C. Zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 265.
l’album delle caricature di anton maria zanetti
è sorpreso il sopranista Anton Maria Bernacchi mentre guarda a bocca aperta in piazza San Marco, lontano quindi dalla scena teatrale ma nel massimo palcoscenico cittadino, uno spettacolo di burattini. Spogliatosi dai panni eroici di “Mitridate Rè di Ponto” indossati nel primo disegno della raccolta (fig. 2), dove l’inventiva zanettiana traduce il trillo del castrato dal teatro dei Grimani a San Giovanni Grisostomo al bacino marciano, Bernacchi è ora bambinescamente attratto dalla recitazione, di norma innaturale, di Pulcinella e compagni. Il celebre cantante, ripreso di profilo con le gambe incurvate dall’eccessivo peso della pancia, il doppio mento e come fosse senza braccia, sembra una marionetta, sensazione accresciuta dalla conduzione del segno grafico, volutamente regredito a scarabocchio infantile. Il suo ridicolo rapimento non è altro che l’incanto, in dimensioni parodisticamente opposte, del mondo di cui egli stesso è protagonista e di cui Zanetti, il quale fu burattinaio per il piccolo Carlo Goldoni, è geniale osservatore a poca distanza in una piazza San Marco ricreata nella pagina dell’album (fig. 1), pure lui postosi in una forma caricaturale, con il corpo steso da un immaginario mattarello sul foglio di carta. Il beffardo “segreto” di cui è portatrice la maschera fissata da Bernacchi, dunque, appare essere la filigrana dell’intera galleria di ritratti, dove i musici recitando in abiti scenici e ad ampi gesti declamatori assumono il valore, nell’amplificazione teatrale, di paradigma dell’assurdità della condizione umana e delle sue illusioni.
Lucchese, L’album di caricature, cit., pp. 292-293 cat. 48.I. Ivi, pp. 107-108 cat. 1. Cfr. G. Stefani, Zanetti e Ghezzi. Figure di cantanti alla moda, «Ariel», XX, 2, maggioagosto 2015, p. 132. Cfr. A. Mariuz, in Pavanello, “Tutta la vita”, cit. p. 15; su questa peculiarità del genere caricaturale, cfr. E. Kris, Ricerche psicoanalitiche sull’arte, Torino, Einaudi, 1967, p. 188. Lo rivela lo stesso commediografo nella lettera dedicatoria (1761) de Il ricco insidiato, cfr. Tutte le opere di Carlo Goldoni, a cura di G. Ortolani, VI, Milano, Mondadori, 1943, p. 863. Lucchese, L’album di caricature, cit., pp. 293-294 cat. 48.II. Cfr. H. Paërl, Pulcinella. La misteriosa maschera della cultura europea, Roma, Aperon, 2002. Zanetti riprodusse la composizione in un disegno dell’album Smith, cfr. E. Croft-Murray, Venetian caricatures, in A. Blunt - E. Croft-Murray, Venetian drawings of the XVII and XVIII centuries in the collection of Her majesty the Queen at Windsor Castle, London, Phaidon, 1957, pp. 166-167 cat. 83. Concetto chiaro nell’album Cini fin da Il trillo di Anton Maria Bernacchi: «con una giocosità quasi infantile, non esente da una consapevole crudeltà, le immagini dell’album −”scherzi di fantasia” − non denunciano mai, né impongono nuovi canoni, ma accettano, con
ILLUSTRAZIONI
silvia tessari
tavola esplicativa dei nomi e delle forme dei segni ecfonetici. Trascrizione diplomatica dal f. 317v del ms. Lesbos, Μονὴ τοῦ Λειμῶνος 38 (= l 800). Per uniformità, e aderenza al loro utilizzo nei codici, i neumi sono stati qui tutti tracciati in rosso. La tavola non è un mero elenco di segni (si notino le duplicazioni), ma intende mostrare anche l’utilizzo delle coppie neumatiche e la loro posizione prevalente nell’ambito delle pericopi. I neumi doppi sono collocati in chiusura. Nella letteratura scientifica distinguiamo le due forme dell’ὑπόκρισις in “a due” o “a tre elementi”; inoltre il secondo segno posto al termine della parola συρματικῆ è denominato μέση
frammenti dai mss. 214 e 8 della biblioteca antoniana di padova
1. Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, ms. 214 in scrinio MM, impronta del verso sul piatto posteriore
silvia tessari
2. Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, ms. 214 in scrinio MM, fr. 1r
frammenti dai mss. 214 e 8 della biblioteca antoniana di padova
3. Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, ms. 214 in scrinio MM, fr. 1v
cosima chirulli
1. Padova, Archivio Storico Diocesano, ms. A1, f. 109r (foto M. Barollo - S. Citon, Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica, Università degli Studi di Padova, 2010)
iconografia del canto liturgico a padova
2. Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, ms. VII, f. 55v (su gentile concessione della Pontificia Biblioteca Antoniana)
cosima chirulli
3. Padova, Pontificia Biblioteca Antoniana, ms. VII, f. 70r (su gentile concessione della Pontificia Biblioteca Antoniana)
iconografia del canto liturgico a padova
4. Padova, Biblioteca Civica, ms. C.M. 812, f. 67v (su gentile concessione del Comune di Padova)
simone fatuzzo
1. Pianta del convento di Santo Stefano a Venezia (da G. Caniato, L’insediamento eremitano delle contrade di Sant’Anzolo, San Vidal e San Maurizio, in Gli Agostiniani a Venezia e la chiesa di Santo Stefano, atti della giornata di studio [Venezia, 10 novembre 1995], Venezia, Canal & Stamperia editrice 1997, rielaborazione dell’autore) 2. Chiostrino della sacrestia nuova, Venezia, chiesa di Santo Stefano
il convento di santo stefano a venezia
3-4. Chiostro maggiore, Venezia, convento di Santo Stefano
simone fatuzzo
9. Jacopo Piccini (da Pordenone), Noli me tangere, metà del XVII secolo, incisione a bulino
il convento di santo stefano a venezia
10. Jacopo Piccini (da Pordenone), Trasporto di Cristo al sepolcro, metà del XVII secolo, incisione a bulino
antonio lovato
il theatrum sacrum per il carnevale spirituale
1. Raccolta di varie poesie nell’oratione delle Quaranthore celebrate nel duomo di Padoua li tre vltimi giorni di carneuale. Da mons. illustriss. e reverendiss. Marco Cornaro, vescouo di Padoua l’anno 1624, Padova, Pasquati, [1624], frontespizio 2. Raccolta di varie poesie nell’oratione delle Quaranthore, cit., apparato
enrico lucchese
3. Anton Maria Zanetti di Girolamo, Caricatura di Carlo Scalzi, in Album Zanetti, Venezia, Fondazione Giorgio Cini
l’album delle caricature di anton maria zanetti
4. Pittore della prima metà del XVIII secolo, Ritratto di Carlo Scalzi, Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art
enrico lucchese
5. Pier Leone Ghezzi, Caricatura di Carlo Scalzi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica 6. Pier Leone Ghezzi, Caricatura di Carlo Scalzi, Firenze, Museo Horne
l’album delle caricature di anton maria zanetti
7. Pittore della prima metà del XVIII secolo, Ritratto di Carlo Scalzi, Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art, part.
giuseppina dal canton
7. Odilon Redon, Arï au col marin (Portrait d’Arï au col marin), olio su cartone, 1897, Parigi, Musée d’Orsay
odilon redon alle biennali di venezia
8. Odilon Redon, Oannès, olio su tela, 1900-1901 ca, Otterlo, Rijksmuseum Kröller-Müller
giuseppina dal canton
9. Odilon Redon, L’œil au pavot, carboncino, sfumino, grattage, 1892, Parigi, Musée d’Orsay, conservato al département des Arts Graphiques del Musée du Louvre
RECENSIONI
L’immagine musicale, a cura di Paolo Gozza, Milano, Mimesis, 2014 (Le immagini della musica, 12), pp. 312, euro 26,00. ...perché tutte le immagini portano scritto: “più in là”! E. Montale, Maestrale, in Ossi di seppia, 1925
Musica come immagine, come esperienza e come discorso musicale che attraversa i saperi nelle varie epoche della cultura europea, dal Medioevo al presente: in queste poche parole è riassunta la vicenda storica narrata a più voci ne L’immagine musicale. Gli autori del volume, con Paolo Gozza che ne è il curatore oltre che autore di un saggio, hanno ben presente il significato polivalente della parola “musica” nella storia: un termine dalle mille sfaccettature, che spesso oltrepassa il “fatto” musicale in sé per diventare musica interiore, musica silenziosa, musica del cosmo. Se si pretende di definire l’oggetto del libro, questo intento contiene già in sé una contraddizione: più che un oggetto definito, protagonista del racconto è un’esperienza estetica che si svolge nel tempo storico, e il cui significato sfugge ad una definizione aprioristica, ma è volta a volta definito nei singoli saggi del volume. Si aggiunga che, come ogni immagine, l’immagine musicale rientra, ma non esclusivamente, nell’orizzonte dell’esperienza soggettiva, in un rapporto che è prima di tutto “rappresentazione” e, in quanto tale, presuppone l’interazione di un soggetto e di un oggetto. L’osservatore, pertanto, non si pone in modo distaccato e distante dall’oggetto osservato, ma ne ha una visione intenzionata dalla coscienza, secondo la nota “teoria del faro” di Popper, che pure viene richiamata nel libro. Il protagonista del volume, potremmo dire, è il “fenomeno musicale” nel senso più originario del termine: “ciò che appare”, “ciò che si manifesta” all’uomo a partire da quell’universo che chiamiamo musica. I diversi contributi del libro ci consegnano preziose tessere che vanno a comporre la risposta ad alcune domande di fondo: che tipo di immagine è stata (ed è) la musica per l’uomo, nelle varie epoche e nei vari saperi? Quali immagini l’atto musicale veicola, relativamente
finito di stampare nel mese di dicembre ď&#x153;˛ď&#x153;°17 per conto della casa editrice Il Poligrafo srl presso la Papergraf di Piazzola sul Brenta (Padova)