«Non voglio ascoltare che l’anima mia». Corrispondenza inedita di Ada Negri a Francesco Meriano

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HUMANITAS

«NON VOGLIO ASCOLTARE CHE L’ANIMA MIA» Corrispondenza inedita di Ada Negri a Francesco Meriano (1917-1923) a cura di Barbara Stagnitti prefazione di Ilaria Crotti

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«non voglio ascoltare che l’anima mia» Corrispondenza inedita di Ada Negri a Francesco Meriano (1917-1923) a cura di Barbara Stagnitti prefazione di Ilaria Crotti

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Il presente volume viene pubblicato con il contributo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sulla base di una valutazione dei risultati della ricerca (D.3.1.2013)

© Copyright ottobre 13 Il Poligrafo casa editrice srl  Padova piazza Eremitani - via Cassan,  tel.   - fax   e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978---824-2


INDICE

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Prefazione Ilaria Crotti

13 Ada Negri e Francesco Meriano: «l’Arte s’accende sempre dove palpita un cuore» Barbara Stagnitti 53 Nota al testo 57

Epistolario di Ada negri A Francesco Meriano (1917-1923)

103 Tavola riassuntiva della corrispondenza 105 Appendice variantistica 133

Indice dei nomi



«non voglio ascoltare che l’anima mia»



prefazione Ilaria Crotti

Le missive raccolte in questo volume, che datano dal 1917 al 1923, furono inviate da Ada Negri a una figura di singolare interesse nell’Italia di quel torno d’anni; stagione che va dalla fase finale della Grande Guerra all’affermarsi del fascismo e che è segnata da un fervore intellettuale di non irrilevante respiro. Come può dirsi per ogni qualificata silloge epistolare, anche in questo caso emergono molti volti di colei che scrive e, di riflesso, pure di colui al quale le lettere furono indirizzate. Infatti, se le immagini di lei sono sottoposte al vaglio di una “scrittura” che provvede inevitabilmente a elaborarle in varie forme, una volta decodificate dal destinatario, quelle medesime immagini non possono non fare ritorno alla mittente senza essere state rilette alla luce del punto di vista altrui. Insomma, e ciò caratterizza ogni elaborazione autobiografica che voglia dirsi tale, anche in questo caso vale il criterio secondo cui la “verità” del messaggio, sia di quello in uscita, ovvero la missiva pensata e stesa dalla mittente, sia di quello di ritorno, dove si è sedimentato un andirivieni comunque soggetto a un’elaborazione selettiva, non andrebbe recepita in termini assoluti. I volti di Negri che ci vengono incontro in questo corpus epistolare, e che vanno a completare in modi eccellenti quelli già portati in luce dalla medesima curatrice nel carteggio con Paolo Buzzi, sempre edito presso Il Poligrafo, rimandano a diversi domini. Quello tra essi che riveste maggiore interesse concerne le modalità attivate dalla scrittrice per entrare in relazione e misurarsi col suo destinatario, Francesco Meriano: poligrafo, critico militante, poeta e organizzatore culturale ritenuto un esponente degno di stima, pertanto in gra-

 Per un’analisi diacronica delle problematiche filologiche e interpretative che il genere epistolare ha sollevato sin dai suoi esordi si veda Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di Adriana Chemello, Milano, Guerini e Associati, 1998.  Ada Negri, Paolo Buzzi, Diorami lombardi. Carteggio (1896-1944), a cura di Barbara Stagnitti, Padova, Il Poligrafo, 2008.


ilaria crotti

do di esserle di ausilio per riuscire a ricevere recensioni qualificate e ottenere di conseguenza vasto consenso. Ciò che si può arguire da strategie siffatte è il profilo di una scrittrice certo oculata nel pianificare la diffusione della propria produzione sul mercato, tesa a programmarne con accortezza il lancio e lo smercio. Né va sottaciuto che ciò si verifica in una fase di grande dinamismo per il cantiere artistico della lodigiana, la quale, nell’arco temporale interessato all’epistolario, edita due raccolte di novelle, la prima, Le solitarie, presso Treves nel 1917, la seconda, Finestre alte, per Mondadori nel 1923, un romanzo autobiografico, Stella mattutina, ancora per Mondadori nel 1921, le prose di Orazioni, nel 1918, e le liriche de Il libro di Mara l’anno seguente, sempre per Treves. Nella prima lettera, così, Negri si indirizza al direttore della bolognese «La Brigata» (1916-1919), rivista alla quale collaborarono nomi di primo piano di quel periodo, da Sibilla Aleramo a Dino Campana, da Corrado Alvaro a Umberto Saba, da Massimo Bontempelli a Diego Valeri, non solo per annunciargli l’invio delle Solitarie, ma anche per avanzare la richiesta di pubblicare sui suoi fogli «qualche pagina di versi liberi». In clausola si inoltrano i saluti di un’amica, Margherita Grassini Sarfatti, colei alla quale era stata dedicata la prima silloge novellistica, certo nell’intento di palesare al destinatario la frequentazione di una personalità femminile di spicco e molto vicina alle stanze del potere. Sarfatti, invero, verrà menzionata più volte e per diversi motivi nell’insieme epistolare. Ma c’è da dire che non pochi, né irrilevanti, sono i nomi che vi sono presenti a vario titolo. Essi comprovano frequentazioni intellettuali e liaisons amicali attentamente vagliate e tenute vive negli anni, anche al fine di porre in essere sinergie relazionali utili al conseguimento dell’apprezzamento del mondo della critica, e non solo di quella militante, quindi alla diffusione e al successo della propria produzione presso un pubblico vasto e qualificato. Rivestono spiccato interesse, così, alcuni rinvii a figure quali Fernando Agnoletti, Giuseppe Raimondi, Giuseppe Ravegnani e Benito Mussolini. E valga quale indizio di

 Sulle scelte narrative operate lungo questa prima fase novellistica, cfr. Ilaria Crotti, Lettura della novella Il denaro di Ada Negri, in Un tremore di foglie. Scritti e studi in ricordo di Anna Panicali, vol. I, a cura di Andrea Csillaghy, Antonella Riem Natale, Milena Romero Allué, Roberta De Giorgi, Andrea Del Ben, Lisa Gasparotto, Udine, Forum, 2011, pp. 159-167.  Circa la vena futurista della poetessa, cfr. Anna Bellio, Ada Negri e «Poesia», in Il Futurismo sulla rampa di lancio. «Poesia». 1905-2005, a cura di Giorgio Baroni, «Rivista di letteratura italiana», 2, Pisa-Roma, 2006, pp. 83-88.  Ad esempio, nei documenti numerati 18, 24, 27 e 28.  Il quale ultimo, la cui attenzione per la produzione negriana fu mediata da Margherita Sarfatti, recensì Stella mattutina su «Il Popolo d’Italia» del 9 luglio 1921.

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prefazione

sicuro significativo dell’attenzione oculata e operosa della scrittrice, in veste di promotrice dell’attività propria e altrui, la menzione, all’altezza della lettera numero 30, datata 2 marzo 1922, di colui che di lì a poco, nel 1925, fonderà e dirigerà «La Fiera letteraria», Umberto Fracchia; missiva, appunto, in cui si precisa di averlo incontrato alla Mondadori e, in quell’occasione, di essersi fatta tramite per sollecitare la pubblicazione su «Novella» di un racconto di Meriano, L’amore impossibile. Questa silloge epistolare, inoltre, va segnalata per altri motivi, che rimandano in termini più cogenti al laboratorio della scrittura di Negri. Infatti in molte fra queste lettere compaiono allusioni alle dimensioni del privato e del quotidiano, come, ad esempio, alla fatica diuturna che richiedono l’impegno del comporre, del portare avanti e del concludere lavori avviati e lasciati in sospeso per svariate ragioni, di natura anche contestuale, o solo l’ufficio, ritenuto ingrato, della correzione di bozze. Ecco che colei che scrive non intende offrire al proprio interlocutore un autoritratto né concorde, né tanto meno monocromatico, ovverosia il profilo ufficiale di una letterata autorevole e sicura di sé e del proprio fare artistico che stava ottenendo un eclatante successo di pubblico, mentre riscuoteva altresì significativi riconoscimenti ufficiali sulla scena pubblica. Ella, allora, non esita a ricorrere ad altri registri, inclini a trasmettere messaggi più intermittenti e sottotono, disposti cioè a virare volutamente nelle incerte plaghe del personale e del confidenziale. Così facendo, si determinano alcune rispondenze eloquenti tra le screziature della scrittura “artistica” e le sfumature umbratili di quella epistolare. Meritano particolare interesse, infine, le osservazioni, anche le più minute, che filtrano magari di soppiatto tra le righe, concernenti non solo l’intendimento, ma anche l’autovalutazione di proprie opere. Molti rilievi, ad esempio, sono dedicati a Il libro di Mara, al cui proposito nella missiva numerata 24, risalente al 5 luglio 1921, dinanzi al sospetto di una stroncatura, si scrive: «Bisogna che Lei sappia, però, che per me Il libro di Mara non è un libro: è il mio sangue, è me stessa: non posso considerarlo come un’opera d’arte, compiuta, viva e organica indipendentemente da me». E circa il romanzo autobiografico, in una lettera datata 8 ottobre 1921, la numero 28, si osserva: «è un libro semplice semplice; ma se sapeste quel che mi è costato!». O, ancora, nella numero 33, datata 24 marzo 1922, in riferimento alla silloge novellistica di Finestre alte, in via di definizione: «Non voglio ascoltare che l’anima mia. Mi tormenta un selIl testo vi fu prontamente edito sul numero 13 del 15 luglio 1922. Come provano passi presenti nella cartolina postale 5 e nella lettera 11. Ad esempio, in codesta undicesima, mentre è in corso la correzione di Orazioni, si osserva: «Sono molto stanca: corregger bozze è per me una fatica immane». 

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vaggio istinto di fuggire, di fuggire, tutto e tutti: almeno per un poco di tempo. A Torriggia spero di mettere in ordine definitivo un nuovo libro di novelle». Insomma, Negri sfoggia in quest’ultimo ambito, accanto ai già evidenziati, un habitus ulteriore che non può non assumere vivo interesse, appunto rivelandosi sorvegliata lettrice di sé e sensibile interprete delle proprie opere.

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Ada Negri e Francesco Meriano: «l’Arte s’accende sempre dove palpita un cuore»

Barbara Stagnitti

«La mia arte doveva fatalmente sgorgare da me, dal mio cuore, dalle mie viscere, dalla mia semplice ma schietta umanità; o non avrebbe più avuto ragione di esistere». Ada Negri, Memorie e versi, «Nuova antologia di lettere, scienze ed arti», Roma, 1° luglio 1905, p. 27. «Spero che qui dentro vi sia qualche momento di partecipazione alla vita, reso con quella intensità con cui l’ho vissuto». [Francesco] Meriano, A F.T. Marinetti, poeta italiano, in Id., Equatore Notturno. Parole in libertà, Milano, Edizioni Futuriste di «Poesia», 1916, p. [7].


La citazione «l’Arte s’accende sempre dove palpita un cuore», che compare nel titolo della presente introduzione, è un verso tratto da Francesco Meriano, Eraclito e Democrito, in Id., Gli Epicedi ed altre poesie, Teramo, La Fiorita, 1914, p. 52.


In una missiva a Emilio Cecchi del marzo 1916, Dino Campana scriveva: «Gli unici miei amici in Italia sono Lei, quelli della Riviera e Meriano uno studente di Bologna, bravo ragazzo che le garantisco sarà un poeta». Piemontese di origine, Francesco Meriano nasce a Torino nel 1896, figlio unico di Ernesto Meriano, funzionario delle ferrovie, e di Carolina Capello, casalinga con studi magistrali, la «giovine madre» cantata nella seconda lirica della silloge Croci di legno. A Portici, dove la famiglia si era trasferita agli albori del Novecento, lo scrittore trascorre gli anni della propria giovinezza e formazione, intessendo rapporti con il gruppo catanese di «Pickwick», quindicinale di letteratura e attualità nato con il proposito di sprovincializzare la cultura siciliana, e con gli intellettuali che gravitavano intorno ai periodici partenopei l’«Eco della cultura», «Le Pagine» – foglio eclettico nell’ospitalità riservata a esponenti del movimento futurista, del Dadaismo, della pittura metafisica – e «La Diana», alla quale Meriano ebbe il merito di procurare firme prestigiose. «Sei stato tu» – gli riconosceva Mario De Leone nel 1916 – «a portare alla rivista i migliori suoi collaboratori, ed io ricordo di aver visto, e sentito leggere da te, a casa tua, [...] varie liriche (di Moscardelli, Saba, Titta Rosa [...]) che tu poi hai passato alla “Diana”».

 Missiva di Dino Campana a Emilio Cecchi, s.l., [marzo 1916], in Dino Campana, Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a cura di Gabriel Cacho Millet, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1978, p. 39. La responsiva è datata 13 marzo 1916.  Francesco Meriano, A mia madre, in Id., Croci di legno (1916-1919), Firenze, Vallecchi, 1919, p. [19].  Documento epistolare di Mario De Leone a Francesco Meriano, Napoli, 13 marzo 1916, riportato da [Gino Tellini], La «seria gaiezza» di una rivista postfuturista, in «La Brigata» [1916-1919], a cura di Gino Tellini, Parma, Università di Parma - Regione Emilia-Romagna, 1983, p. X.

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barbara stagnitti

Intensa, nel corso degli anni, l’attività giornalistica, svolta sia in veste di collaboratore di un folto drappello di periodici italiani, sia come direttore della «Brigata», fondata nel 1916 insieme all’amico Bino Binazzi, il quale, in una lettera dell’ottobre 1915, così rendeva partecipe Giovanni Papini del nascituro progetto editoriale felsineo: C’è per aria una buona cosa [...]. Si tratta dell’impianto serissimo d’una rivista che raccolga il meglio che via via si produce in Italia: una specie insomma di Mercure de France. [...] Chi ha l’idea d’impiantare quanto sopra è persona [...] notissima, [...] con magnifico credito. Per l’indirizzo e la scelta degli autori si rimette a me completamente.

Pubblicato con periodicità irregolare, il foglio esce a partire dal mese di giugno 1916 con epigrafe «Noi siam dell’inquieta brigata / e scontentezza ci guida», un distico reboriano della Fantasia di carnevale in seguito sostituito con il motto «Poca brigata, / Vita beata». Lungi dal voler offrire modelli canonici e ferma nel rifiuto di ogni dogmatismo totalizzante, la rivista persegue una linea programmatica oscillante tra rispetto della tradizione e istanze innovative, italianità ed europeismo, o, per riprendere due termini-chiave presenti nell’articolo Promessa, redatto dall’autore di Turbini primaverili, severità e libertà. Da qui l’aspetto bifronte della «Brigata» e quel suo «antinomico profilo di avanguardismo riformista» che i due direttori hanno ben sintetizzato nel sintagma ossimorico della «seria gaiezza». Sulle pagine della testata, viva creatura di Meriano (essa «deve tutto a Lei»; «ti auguro [...] tanto bene per la “Brigata” così tua»), lo scrittore firma, con il proprio nome e cognome o con gli pseudonimi Il Brigadiere, Casimiro Posapiano, Melchiorre Propaganda, Angelo Succhiello, articoli, note esegeti Tra le riviste e i quotidiani a cui lo scrittore collaborò: «L’Alba», «La Ciurma», «La Folgore futurista», «Noi», «Le Pagine», «Pickwick», «La Tempra»; «L’Avvenire d’Italia», il «Corriere della sera», «La Gazzetta del popolo», il «Giornale del mattino», «Il Giornale d’Italia», «Il Popolo d’Italia», «Il Resto del carlino», «Il Secolo».  Lettera di Bino Binazzi a Giovanni Papini, Bologna, 16 ottobre 1915, in Vittorio Franchini, Poeti di “Lacerba”. Bino Binazzi. Il poeta lo scrittore il giornalista nel Quarantesimo della morte in un carteggio inedito con Giovanni Papini, Firenze, Quaderni de “Lo Sprone”, 1970, p. 29.  I versi tratti dal componimento Fantasia di carnevale (in Clemente Rebora, Le poesie 1913-1957, a cura di Vanni Scheiwiller, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1961, p. 168) appaiono nei primi due numeri del periodico «La Brigata»; il motto successivo nei numeri dal 3 al 12.  Si veda Bino Binazzi, Promessa, «La Brigata», 1, Bologna, giugno 1916, p. [1].  [Gino Tellini], La «seria gaiezza» di una rivista postfuturista, cit., p. XX.  Francesco Meriano, Bino Binazzi, Pausa, «La Brigata», 4, Bologna, ottobre-novembre 1916, p. 74.  Lettera di Bino Binazzi a Francesco Meriano, Firenze, [2 dicembre 1916] (data del t.p. di partenza), in [Gino Tellini], La «seria gaiezza» di una rivista postfuturista, cit., p. XV; missiva reboriana a Francesco Meriano, Milano, 3 febbraio 1917, in Clemente Rebora, Lettere, vol. I (1893-1930), a cura di Margherita Marchione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1976, p. 313.

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1. Francesco Meriano con il padre Ernesto e la madre Carolina Capello. Le foto 1 e 2 sono tratte dal volume Francesco Meriano, Arte e vita, a cura di Gloria Manghetti, Carlo Ernesto Meriano, Vanni Scheiwiller, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 20052, pp. s.n.


2. Da sinistra a destra: Luigi Costa, Francesco Meriano, Giuseppe Ricci. La foto apparve sul quotidiano «Il Popolo d’Italia», 208, Milano, 31 agosto 1922, p. 5. 3. Disegno di Marcel Janco dedicato a Francesco Meriano, «La Brigata», 14, Bologna, giugno 1919, p. [292].



4. Manoscritto autografo della lirica negriana Anniversario.


5.

Ada Negri, Mater, ÂŤIl MondoÂť, 16, Milano, 21 aprile 1918, p. 4.



6. Ada Negri, L’avola, «Il Secolo XX», 8, Milano, 1° agosto 1918, pp. [513]-518. Illustrazioni di Primo Sinopico.


13. Cartolina postale di Ada Negri a Francesco Meriano, Cavallasca, 12 settembre 1917.


14. Lettera di Ada Negri a Francesco Meriano, Milano, 25 ottobre 1918.


15. Cartolina postale negriana a Francesco Meriano, Milano, 27 maggio 1919.


in questa pagina e nella successiva 16. Missiva di Ada Negri a Francesco Meriano, Milano, 5 luglio 1921.


⇔ 20,00

ISBN 978-88-7115-824-2


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