architettura e cittď&#x; nuove forme dell ’ abitare 01
Carlo Berizzi
PIAZZE E SPAZI COLLETTIVI nuovi luoghi per la cittĂ contemporanea
ilpoligrafo
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architettura e citt nuove forme dell ’ abitare collana diretta da Carlo Berizzi comitato scientifico Carlo Berizzi | Università degli Studi di Pavia Tiziano Cattaneo | Università degli Studi di Pavia Stefano Guidarini | Politecnico di Milano Giovanni La Varra | Università degli Studi di Udine Luca Trabattoni | Politechnika Opolska La collana «Architettura e Città. Nuove forme dell’abitare» nasce come strumento di divulgazione scientifica sui temi legati al progetto architettonico e al suo ruolo nella definizione di nuovi modi di abitare in relazione ai cambiamenti culturali, ambientali, tecnologici e sociali.
La presente pubblicazione è stata progettata e realizzata da
con il contributo e il supporto di
ricerca bibliografica, individuazione dei casi studio progetto grafico, rielaborazione disegni Lucia Anna Rocchelli revisione editoriale Il Poligrafo casa editrice Alessandro Lise copyright © giugno 2018 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova via Cassan, 34 - piazza Eremitani tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-9387-060-3
ringraziamenti Questo libro è il frutto di un’idea condivisa con Vincenzo Albanese di Sigest, promotore del progetto, che ringrazio assieme ai suoi collaboratori, tra cui Francesca Bombelli. Un ringraziamento speciale va a Lucia Anna Rocchelli per il preziosissimo lavoro di ricerca dei casi studio internazionali e dei riferimenti. Va poi ringraziato tutto lo staff di AIM e in particolare Susanna Conte, Claudia Galassi, Maria Teresa Giusso Del Galdo, Giuseppina Incorvaia, Antonella Minetto, Massimo Tiano, Lorenza Torrani, Federica Mameli e Clara Angioletti, che in modo diverso hanno supportato questo progetto. Infine grazie a Caterina e Costanza per darmi sempre sostegno e slancio.
INDICE
8
introduzione Vincenzo Albanese
10
verso una nuova urbanit PROGETTI CONTEMPORANEI DI SPAZI APERTI COLLETTIVI
memoria
40 44
MIÀS Arquitectes, Banyoles: centro storico
48 54 58
SINAI, Memoriale del muro, Berlino
CLAB architettura, Circlelab/Federico Signorelli, Piazza Ferdinando di Savoia,
Peschiera del Garda
66 70 74 80 84
KWK Promes, Centro del dialogo Przelomy, Stettino
Alberto Campo Baeza, Entre Catedrales, Cadice
vicinato BIG, Topotek, Superflex, Superkilen, Copenaghen RCR, Teatro La Lira, Ripoll Ecosistema Urbano, Ecoboulevard, Madrid COBE, Sweco Architects, Israel Plads, Copenaghen Cino Zucchi Architetti, Un abbraccio verde, San Donà di Piave
conversione
92 98 1 04 1 08
EMBT, Spazi pubblici di Hafencity, Amburgo
Diller Scofidio + Renfro, James Corner Field Operations, Piet Oudolf, High Line, New York MVRDV, I Love Street, Gwangju MVRDV, Seoullo 7017, Seoul
commercio
116 1 20 124 128
Turf Design Studio, Jeppe Aagaard Andersen, Kensington Street, Sydney Charmaine Lay, Carles Muro, Mercato municipale di Inca Robbrecht en Daem architecten, Marie-José Van Hee architecten, Mercato di Ghent GAD, Mercato del pesce di Besiktas, Istanbul
mobilit
13 6 142 1 46 1 50 1 54
COBE, Gottlieb Paludan Architects, Nørreport Station, Copenaghen Dominique Perrault Architecture, Piazza Garibaldi, Napoli Foster + Partners, Michel Desvigne Paysagiste, Marseille Vieux Port, Marsiglia Ector Hoogstad Architecten, Utrecht Bike Park JAJA Architects, Park ‘N’ Play, Copenaghen
ecologia e paesaggio
162 1 68 1 72 178 182
Agence APS, Fort Saint Jean, Marsiglia Vogt Landschaftsarchitekten, Airport City, Düsseldorf Balonas & Menano, Praça de Lisboa, Porto Ecosistema Urbano, Plaza Ecopolis, Madrid Urban Agency, JDS, Kalvebod Waves, Copenaghen
1 87
lo spazio concavo intervista a cino zucchi
203
Bibliografia
206
Crediti
P IAZZE E SPAZI COLL ET T IV I
I N T RODUZIONE Vincenzo Albanese, CEO Sigest
Viviamo un momento storico unico e peculiare, che ci trova quotidianamente immersi nella rete. Ma all’incremento della fruizione del mondo virtuale non corrisponde la riduzione del bisogno di vedersi e di relazionarsi fisicamente. Anzi, l’ancestrale necessità di incontrarsi sopravvive e, in qualche modo, aumenta mantenendo come scenario la città e i suoi spazi collettivi. I luoghi pubblici di fatto cambiano nella forma, ma preservano l’originaria funzione e sostanza. Quali sono dunque le piazze contemporanee? Quali funzioni le contraddistinguono, come sono vissute dagli abitanti e cosa vi ricercano? Il volume si propone di indagare questi antichi quanto inediti luoghi riconsegnati alla città e ai suoi abitanti, partendo dall’osservazione di Milano, i cui spazi pubblici negli ultimi anni sono diventati sempre più strategici, rivitalizzando aree vecchie e nuove, centrali e periferiche. Si pensi ai nuovi casi eccellenti di Porta Nuova e CityLife, che, oltre a mutare in superficie lo skyline della città, hanno agito più profondamente da catalizzatori, attivando nuove polarità nel tessuto urbano e rivitalizzando aree depresse; ma anche gli interventi di recupero di interi ambiti grazie al ridisegno del vuoto, come la Darsena e via Paolo Sarpi, dove i luoghi urbani hanno avuto un ruolo identificativo, in quanto concepiti come spazio di vita dell’uomo. La qualità di queste iniziative si riflette, infatti, nella riscoperta centralità e nel principio aggregatore delle piazze e degli ambienti collettivi, che risultano ora attrattivi e vitali anche – e soprattutto – di sera e nel fine settimana. Così Milano è il punto di partenza, latente nella ricerca dei temi e dei casi studio, ma è anche lo spunto per tornare a ragionare, in generale, sul ruolo degli spazi aperti nelle diverse realtà urbane. Attraverso i progetti più innovativi abbiamo la possibilità di assistere a una sorta di cambio di paradigma, dove i vuoti urbani, a differenza delle pianificazioni precedenti, non sono intervalli in contrasto al costruito, bensì luoghi nei quali si concentra e si respira la vivibilità della città. Sono la parte “soft” della metropoli, quella più plasmabile e capace di contenere le mutevoli esigenze della società liquida, con l’ibridazione delle funzioni che la caratterizza, con la complessità contemporanea e le sue repentine accelerazioni.
Con queste premesse, è evidente che la qualità degli spazi urbani è un tema sempre più cruciale anche per l’immobiliare e i suoi operatori. Sebbene la localizzazione, da sempre, rappresenti uno dei fattori più distintivi per il successo di un’iniziativa, oggi assume una straordinaria rilevanza, in particolare per il segmento residenziale. Nella nostra attività, sperimentiamo quotidianamente le trasformazioni delle abitudini di vita del cliente, le sue mutate esigenze e la sua nuova visione della casa. È tangibile come lo spazio dell’abitare non coincida più con i muri perimetrali dell’appartamento, ma si riversi negli ambienti collettivi dell’edificio, nelle sue aree esterne e via via anche negli spazi della città. Così, se i prospetti delle case rappresentano le “quinte” dello spazio pubblico, l’ambiente urbano è il prolungamento dell’ambiente privato. L’analisi delle best practice raccolte in questo volume – promosso da Sigest e realizzato grazie al prezioso lavoro di AIM Associazione Interessi Metropolitani e del suo presidente Carlo Berizzi – costituisce il nostro contributo al dibattito sulle trasformazioni della Milano dei prossimi anni. Cambiamenti che interessano aree estremamente strategiche per posizione, dimensione e per il loro significato simbolico come gli scali ferroviari, Arexpo, i navigli e le periferie. Partendo da Milano, quale città che anticipa i trend nel nostro Paese, incubatore per la sperimentazione e l’innovazione, questo libro sottolinea l’importanza di una rinnovata attenzione sugli spazi collettivi. Il nostro augurio, dunque, è che le esperienze internazionali e nazionali qui presentate possano stimolare e contaminare con nuove visioni l’intero spazio urbano italiano, ricompreso nei suoi 8000 comuni, affinché sia restituito sempre più ai suoi abitanti il ruolo di protagonisti dello spazio urbano.
| introduzione
V ERS O UNA NUOVA URBANITÀ
Gli spazi aperti rappresentano il luogo ideale dove catalizzare le aspirazioni, le istanze, le visioni che la contemporaneità ripone nel futuro delle città. Se nel ventesimo secolo le strade e le piazze hanno assunto il significato di un’unica grande infrastruttura di mobilità per il transito e la sosta dei veicoli, consentendo alla città di espandersi e accorciando i tempi di spostamento al suo interno, il terzo millennio ha avviato una fase di riappropriazione del suolo per elevare la qualità dell’abitare assegnando al vuoto nuovi valori e significati collettivi. Non si tratta di un ritorno al passato, sebbene ad esempio l’operazione di pedonalizzazione di parti di città si sia avviata inizialmente come tutela dei contesti storici, ma di una vera e propria rivoluzione culturale in cui i vuoti urbani diventano protagonisti del cambiamento. Lo spazio aperto rappresenta infatti una leva importante per lo sviluppo della città, promuovendo sistemi alternativi alla mobilità veicolare, favorendo il rinnovo urbano, valorizzando ambiti storici, turistici e culturali, stimolando l’attività economica, promuovendo il benessere fisico e psicologico delle persone, facilitando l’inclusione sociale, oltre a svolgere un ruolo fondamentale per la mitigazione ambientale. Gli spazi collettivi non sono più quindi solo una parte della «scena fissa delle vicende dell’uomo», come nel pensiero urbano dell’architetto Aldo Rossi1, ma assumono il ruolo di luoghi molteplici che ammettono la trasformazione nel tempo in relazione alle diverse esigenze e condizioni d’uso. Le città a livello globale stanno rapidamente modificando il loro assetto per adattarsi a una nuova fase di urbanesimo per la quale i dati prevedono un aumento della percentuale della popolazione residente nelle aree metropolitane dall’attuale 54% ad oltre il 70% nell’arco di un decennio. Allo stesso tempo possiamo riscontrare, almeno nel contesto europeo, un nuovo fenomeno di umanesimo contemporaneo che, sebbene sia guidato da necessità d’intervento, vede gli abitanti tornare ad essere al centro delle logiche dello sviluppo urbano. Mentre il pensiero moderno ha interpretato la città come una risposta funzionale ai bisogni dell’uomo, nella contemporaneità essa cerca di riconquistare anche un ruolo culturale volto ad elevare sempre più la qualità della vita. Accanto alle que-
stioni infrastrutturali ed economiche, la città e i suoi spazi vengono oggi considerati anche responsabili del benessere fisico, psicologico, ambientale e sociale. Si tratta di una rinnovata forma di ecologia, nel suo significato più ampio di ambiente abitabile, in cui gli spazi aperti tornano ad essere il centro della vita collettiva. La crisi dell’ultimo decennio e il processo di graduale privatizzazione dei servizi pubblici hanno mutato l’assetto politico-economico, concorrendo in molti casi al miglioramento delle condizioni urbane: le città entrano in competizione tra di loro e ambiscono ad essere più attrattive nell’intento di ottenere maggiori investimenti e incrementare il valore dell’esistente; parallelamente, i cittadini diventano utenti della città esigendo, come consumatori, un aumento della qualità generale dei servizi. Esistono poi i fattori di equità sociale che impongono misure atte a garantire il welfare, contrastando il degrado urbano e ottimizzando le condizioni generali di sicurezza. Inoltre, l’attuale rivoluzione digitale prefigura città sempre più smart, capaci di aumentare la propria efficienza come sistema e concorrendo così, insieme agli altri fattori, al miglioramento delle condizioni generali. All’interno di questo rapido processo di trasformazione delle città è proprio il suolo, e in particolare quello degli spazi collettivi, che mostra le maggiori caratteristiche di adattabilità al cambiamento, consentendo una rapida ridefinizione del paesaggio urbano e creando le condizioni per la promozione di nuovi modi di abitare. Tra i fattori di novità che riguardano gli spazi aperti delle città contemporanee, spicca la perdita di significato della divisione netta tra spazio aperto pubblico e spazio privato su cui era basato lo sviluppo storico della città. Una nuova forma di spazio – quello collettivo, che rappresenta il luogo percepito dai suoi fruitori come bene comune al di là della sua origine o proprietà – diviene il protagonista della vita quotidiana. Gli spazi collettivi, ad eccezione di alcune piazze che mantengono la loro forte connotazione, sfuggono così dalla classificazione tipica degli spazi pubblici derivanti dai modelli delle città compatte ottocentesche, configurando – al posto di strade, viali e rotonde – luoghi ibridi capaci di coniugare a seconda dei casi artificio e natura, spazi per la sosta e per il transito, ambiti attrezzati e ambienti informali. In questa contaminazione di spazi pubblici e privati si innesta una ulteriore ibridazione tra spazi interni e spazi esterni, anch’essi spesso accomunati da una dimensione collettiva. Ambienti di lavoro condivisi, attività commerciali innovative, ristoranti e bar, attività legate ad eventi temporanei tendono a unificare ambienti chiusi e aperti modificando con artifici programmatici, anche solo per un brevissimo periodo, il modo tradizionale di abitare lo spazio comune. Ciò che viene oggi riconosciuto come attributo primo di quei nuovi luoghi tendenti alla collettività è il loro impegno mirato a contrastare due fenomeni ne-
| verso una nuova urbanit
gativi antitetici, sintomi di un modello urbano in crisi, che sono emersi sul finire del secolo scorso e noti nel dibattito sociologico e architettonico come i junkspace2 e i nonluoghi3 . I primi, letteralmente luoghi spazzatura, rappresentano gli scarti della città, quelle parti non progettate, di risulta, che nella migliore delle ipotesi tendono a rimanere indefiniti e insignificanti ma che spesso diventano invece luoghi di degrado, come ad esempio alcuni spazi ricompresi all’interno o sotto le reti infrastrutturali di trasporto o le aree e gli edifici abbandonati, presto vittime dei fenomeni sintomatici della decadenza urbana. Le attuali leggi contro il consumo di suolo, la necessità imposta dalla crisi di riutilizzare l’esistente, la volontà di densificare i centri urbani contro lo sprawl4 (diffusione) del territorio costruito hanno portato al recupero dei junkspace attraverso attraverso operazioni pianificate dall’alto o nate dalla libera iniziativa di cittadini e associazioni. I nonluoghi sono invece spazi funzionali al solo transito e fruizione con scopi specifici. Si possono definire nonluoghi molti spazi della modernità come la maggior parte delle stazioni dei treni, dei centri commerciali o delle hall dei grandi alberghi; sono spazi non adatti ad essere abitati, che non favoriscono l’interazione tra le persone e del tutto privi di identità che risultano però paradossalmente rassicuranti in quanto si ripetono a livello globale nelle diverse città del mondo, creando una sorta di luogo dell’abitudine. Sebbene molti di questi spazi siano ancora presenti nelle nostre città, soprattutto negli ambiti periferici, la tendenza attuale a riassegnare identità e uso ai luoghi, di cui si parlerà più avanti, è un fattore che contrasta fortemente con l’anonimato dei nonluoghi. Il già citato fenomeno di riappropriazione degli spazi aperti è anche connesso a un altro fenomeno che ha caratterizzato negativamente la città del XX secolo, ovvero la indeterminatezza del piano libero teorizzato a partire dagli anni ’20 come alternativa al modello della città compatta. L’utopia della modernità, che ha liberato il singolo edificio dall’isolato urbano alla ricerca di luce e aria elevandolo per garantire la continuità del suolo, ha in realtà tolto significato agli spazi pubblici, creando un eccesso di vuoti e paradossalmente una mancanza di luoghi collettivi. Un valido strumento di contrasto a questo fenomeno può essere rappresentato dall’attuale processo di densificazione urbana, funzionale in molti casi all’efficienza del modello della smart city, che consente un generale ripensamento del ruolo degli spazi aperti come elemento capace di definire l’habitat del cittadino contemporaneo. Superando la visione funzionale dei modelli urbani moderni, lo spazio aperto torna ad essere luogo di identità, di socialità, di incontro e di svago, ma anche un luogo di apprendimento e di riflessione a supporto del pensiero umano: quei luoghi che Aldo Van Eyck amava definire «strumenti per l’immaginazione»5.
| piazze e spazi collettivi
IDENTITÀ E PAESAGGIO URBANO
Israel Plads a Copenaghen. Il grande parcheggio trasformato in piazza di quartiere.
I recenti cambiamenti delle città sono uno degli effetti più evidenti del fenomeno della globalizzazione. L’intensificazione degli scambi e degli investimenti a scala mondiale ha stravolto gli equilibri sociali, economici e culturali su cui si basavano i precedenti modelli urbani, offrendo enormi possibilità di crescita e sviluppo ai territori metropolitani, creando al contempo fattori di rischio per il degrado ambientale e di aumento delle disparità sociali. Il cittadino globale, come descritto dal sociologo Zygmunt Bauman6, vive così una condizione di liquidità che lo porta ad adattarsi alle continue mutazioni del contesto circostante, che ha appunto come unica costante quella di variare sempre. L’uomo perde il suo carattere di stanzialità alla ricerca delle condizioni migliori in cui vivere. Accanto a questa forma di nomadismo contemporaneo esiste poi in Europa la questione legata ai flussi migratori provenienti dai paesi economicamente più poveri, condizione che crea una nuova società multietnica e multiculturale. Viene così a mancare quella corrispondenza identitaria diretta, tipica delle città del passato, tra la città e i suoi abitanti, che si manifestava soprattutto negli spazi pubblici dove la comunità si rappresentava e si riconosceva. Così Cracovia, impor-
| verso una nuova urbanit
tante centro di scambi in cui gran parte dei cittadini erano dediti al commercio, si rappresentava nel Rynek Glowny, la più grande piazza commerciale dell’Europa medioevale, destinata ai mercati con al suo centro il Palazzo del Tessuto, luogo simbolo della città. A Torino invece Piazza San Carlo – originariamente Piazza Reale – nasce come luogo di rappresentanza della società aristocratica all’epoca in cui la città era capitale del regno sabaudo. Gli spazi pubblici delle città storiche europee mostrano nell’uso le caratteristiche dei loro cittadini, manifestando allo stesso tempo nella loro immagine il modo in cui essi volevano essere percepiti dall’esterno. La piazza era al contempo un luogo funzionale, un’espressione del carattere locale ma anche una proiezione delle ambizioni della comunità che vi abitava. Da qui la volontà di creare importanti spazi pubblici in prossimità degli edifici più significativi come i palazzi del governo, le basiliche, la sedi dei mercati e delle corporazioni. Tutto ciò si è sedimentato nel tempo e questi luoghi, anche una volta smessa la loro originaria funzione, hanno mantenuto il loro concetto identitario come elementi della memoria e della storia collettiva. Nelle metropoli contemporanee è sempre più difficile ritrovare identità nel rapporto tra gli spazi della città e i cittadini proprio per la nuova condizione di abitante globale appena descritta, in cui la storia personale prescinde da quella della città in cui si abita e dove la lettura soggettiva prevale sulla comune interpretazione dello spazio. Il concetto di identità in una società multiculturale deve quindi sapersi continuamente rinnovare per consentire ad ognuno di riconoscervisi, sia per chi è natio del posto sia per chi vi risiede da pochi anni. Così, ad esempio, i progetti di trasformazione di grandi aree e di recupero degli spazi aperti diventano elementi strategici per creare un legame di identità con la città; è il caso di Milano, dove i nuovi spazi collettivi delle aree di Porta Nuova e CityLife creano un forte senso di identità dovuto al fatto che sono luoghi destinati all’intera comunità dell’area metropolitana capaci di accogliere le aspettative proiettate dai cittadini sulla città del futuro come la pedonalità, la presenza del verde, l’accessibilità, la sicurezza. Casi analoghi sono avvenuti recentemente ad Amburgo con il progetto della Hafencity, a Copenaghen con una serie di progetti di ridefinizione degli spazi di superficie, a Londra, Parigi, Madrid e nelle più evolute città europee. Anche il semplice fatto di vivere in una città dinamica e in trasformazione consente di essere testimoni del cambiamento e di rafforzare così il senso di identità con la città in cui si abita, anche se da poco tempo. L’identità passa anche attraverso il concetto di memoria, che un tempo risiedeva nella presenza di luoghi protagonisti di vicende significative per i cittadini che le avevano vissute direttamente o indirettamente tramite i racconti di chi li aveva preceduti. Oggi la memoria dei luoghi ha bisogno di essere ricostruita per essere tramandata attraverso la città. Lo scrittore e critico d’arte John Ruskin7 ha scritto
| piazze e spazi collettivi
Spazi ludici negli interventi di rigenerazione urbana a Madrid dello studio Ecosistema Urbano (Ecoboulevard e Plaza Ecopolis).
ďœąďœľ | verso una nuova urbanitď&#x;
che l’architettura è uno strumento fondamentale per ricordare, ma è anche vero che oggi il passato va spiegato per essere compreso e tramandato. Le città sono quindi chiamate a creare, attraverso la propria architettura e gli spazi aperti, una narrazione del passato comprensibile sia ai nuovi cittadini che ai visitatori. Sempre a Milano la riapertura della Darsena8 e il recupero dei Navigli hanno rappresentato un momento, quello di Expo 2015, in cui la città ha riscoperto l’antico valore dell’acqua come elemento caratterizzante, recuperando al contempo un’area degradata e divenendo uno dei poli più attrattivi della città per lo svago, il turismo e il tempo libero. La memoria del passato riemerge così in un’operazione che rinnova il valore dell’acqua in una chiave contemporanea come nuovo paesaggio dell’identità. Proprio il riconoscimento di paesaggi urbani9 come elemento strutturante dei luoghi è alla base del recupero degli spazi collettivi nei contesti esistenti e della ridefinizione dell’identità urbana. Come già detto, una delle prime forme di ridefinizione degli spazi aperti delle città europee è avvenuta a partire dagli anni ’80 con il fenomeno della pedonalizzazione dei centri storici che, nel corso del XX secolo, si erano trasformati in strade per le auto e spazi per la sosta. Questo processo, inizialmente osteggiato da commercianti e residenti, nato per contrastare l’inquinamento e per tutelare il patrimonio storico delle città, è diventato nel tempo una strategia di valorizzazione dell’esistente, migliorando la qualità degli spazi, rendendoli più accessibili ed elevando il valore immobiliare di questi ambiti. Lo spazio collettivo pedonale ha iniziato a costituire un elemento capace di caratterizzare i luoghi attraverso la continuità nel disegno del suolo e nella scelta di materiali adeguati all’esistente e restituendo al contempo l’articolazione preesistente tipica dei tessuti storici, frutto di un modello cresciuto e perfezionatosi nel tempo. La restituzione dei centri storici come luoghi ad alto valore estetico, anche per lo sviluppo del potenziale turistico, ha portato inaspettatamente alla sperimentazione di spazi collettivi adatti alla vita degli abitanti contemporanei, che successivamente sono stati replicati e reinterpretati nei nuovi modelli di sviluppo urbano. Il processo di traslazione dei valori ritrovati della città storica nei nuovi progetti di trasformazione evidenzia il valore che Salvatore Settis attribuisce alla città come «macchina per pensare»10 e al contempo mostra la capacità della città di crescere su se stessa attraverso l’esperienza della sua evoluzione. IL RIUSO DEGLI SPAZI APERTI ESISTENTI COME STRUMENTO DI RIVALUTAZIONE ECONOMICA
Il XX secolo ha portato a una crescita incontrollata del territorio urbanizzato, con la scelta di privilegiare la bassa densità e il consumo di nuovo suolo per favorire
| piazze e spazi collettivi
Il nuovo spazio pubblico rialzato sopra i resti archeologici sul lungomare di Cadice.
l’aumento della popolazione nelle città. Gli scarsi risultati ottenuti con tale strategia, in ordine a gestione e programma urbano, hanno portato alla radicale inversione di tendenza degli ultimi trent’anni dovuta alla necessità di recuperare le aree industriali dismesse e alla volontà di non erodere il poco territorio naturale che è rimasto soprattutto nei paesi europei. La nascita dei grandi parchi naturali, le nuove regole di tutela dei paesaggi rurali, le recenti leggi sul consumo zero di suolo11, accanto alle pratiche sempre più diffuse di riciclo e riuso di beni e prodotti e alla diminuzione del tasso di natalità, impongono un riadattamento dell’esistente piuttosto che una nuova espansione, privilegiando azioni di densificazione delle aree maggiormente sviluppate e connesse. In questo contesto, il recupero degli spazi aperti nella città esistente può rappresentare un’operazione economicamente virtuosa da numerosi punti di vista: come elemento di rigenerazione urbana nelle aree esistenti degradate, come elemento attrattivo nel caso di nuovi interventi edilizi, come valorizzazione delle attività al piano terra degli edifici nelle aree più commerciali, come valore ambientale.
| verso una nuova urbanit
L’esperienza di pedonalizzazione dei centri storici ha dimostrato come il recupero degli spazi aperti possa innescare un processo di valorizzazione economica degli edifici esistenti grazie all’aumento di qualità degli spazi e della loro fruizione. Quello che possiamo considerare sinteticamente come il passaggio dalle pavimentazioni di asfalto, materiale tipicamente utilizzato per le strade destinate alle automobili, a quelle di pietra, materiale più pregiato e resistente, ha portato a una nuova attenzione per il suolo della città come elemento in grado di elevare la qualità estetica degli spazi. Questa operazione è spesso associata alla pedonalizzazione o alla diminuzione del traffico, strategia che può avvenire attraverso diversi strumenti quali la riduzione della dimensione della carreggiata a favore di quella dei marciapiedi, la limitazione della velocità con l’introduzione delle zone 30 km/h, o la possibilità di accesso ad alcune aree per i soli residenti o in determinate ore del giorno. Nel caso di Milano, in seguito all’intervento pubblico è stato possibile rivitalizzare intere aree con il conseguente processo di rivalutazione degli immobili, grazie al recupero degli spazi aperti e alla loro pedonalizzazione. Questo è avvenuto in contesti differenti: nel centro come nelle periferie, nella China Town milanese di via Sarpi – oggi luogo di shopping e di passaggio, lungo la sponda del Naviglio Grande, destinata al tempo
| piazze e spazi collettivi
La riqualificazione del centro storico di Banyoles con la valorizzazione degli antichi canali.
libero e allo svago –, nel distretto creativo di via Tortona e nelle aree storiche del quartiere Brera. In alcune città, come nel caso di Barcellona e Lione, è stata una lungimirante strategia pubblica a innescare progetti di riqualificazione degli spazi su tutto il territorio urbano. Nella città spagnola la Municipalità ha avviato, a partire dagli anni ’80, un progetto di riqualificazione urbana che ha interessato tutta la città, dal centro storico alle periferie, attuatosi attraverso un ripensamento generale degli spazi aperti e una serie di progetti puntuali in grado di ricucire frammenti sconnessi di città e ridefinire piazze e luoghi collettivi12 . Questa operazione è proseguita nel tempo anche grazie a grandi eventi come le Olimpiadi del 1992 e il Forum Universale delle culture del 2004. A Lione invece la riqualificazione degli spazi aperti avviene a partire dal 1992 attraverso un grande strumento di pianificazione, lo “Schéma Directeur Lyon 2010”. Il Piano ha previsto un’attuazione in vent’anni di una serie di interventi di riqualificazione dello spazio pubblico secondo una serie di piani di recupero e di sviluppo che coinvolgono il centro storico della città, le sponde dei fiumi, le periferie, l’illuminazione pubblica, i parchi e il territorio rurale13. Queste esperienze hanno dimostrato come spazi aperti di qualità siano in grado di attirare gli investimenti e promuovere processi di rigenerazione, portando gli
| verso una nuova urbanit
PRO G ET TI CONTEMP O RAN EI DI SPAZI APERTI COLL ET T IV I
ME MO R IA
40
BANYOLES: CENTRO STORICO MIÀS Arquitectes, Banyoles (Girona), 2012
44
PIAZZA FERDINAND O DI SAVOIA CLAB architettura, Circlelab/Federico Signorelli,
Peschiera del Garda (Verona), 2017
48
MEMORIALE DEL MURO SINAI, Berlino, 2014
54
CENTRO DEL DIALO GO PRZELOMY KWK Promes, Stettino, 2016
58
ENTRE CATEDRALES Alberto Campo Baeza, Cadice, 2010
Nella pagina precedente: Autore sconosciuto, La città ideale, 1480, Baltimora, Walters Art Gallery.
Il tema della memoria può assumere significati diversi a seconda del contesto in cui si opera. In alcuni casi la memoria è quella fisica della città, delle sue architetture e dei suoi spazi. In altri casi il concetto di memoria riguarda eventi particolarmente significativi per una comunità o un popolo. Si tratta comunque di un rapporto tra lo spazio e la storia che può essere più o meno fisico o diretto. Quando si interviene in contesti storici occorre operare in modo selettivo sulla memoria, enfatizzando gli elementi che risultano più significativi. Nei tre casi di Banyoles, Peschiera del Garda e Cadice il rapporto con la memoria del luogo è differente. Nel primo, il recupero di tracce archeologiche consente di riportare in luce frammenti eterogenei del passato arricchendo lo spazio di elementi differenti per valore, origine e significato. Nel caso italiano, invece, la memoria dell’antica darsena è rievocata da un disegno che richiama l’antico manufatto ma non lo ripropone. A Cadice, l’intervento di valorizzazione dell’area archeologica si attua attraverso una nuova costruzione che ristabilisce rapporti con gli edifici vicini ma al contempo segna una discontinuità di immagine. Il progetto di Sinai a Berlino si distingue perché nasce non con lo scopo di recuperare tracce del passato, ma con la necessità di dovere permettere il ricordo di eventi drammatici, come la divisione della città in due parti, e al contempo di reintegrare il manufatto nel contesto in cui si colloca. Infine, a Stettino la costruzione di un museo dedicato alla storia locale è anche l’occasione di ristabilire rapporti tra parti diverse di città nella piazza distrutta dalla guerra.
| memoria
BANYOLES: CENTRO STORICO MIÀS Arquitectes, Banyoles (Girona), 2012
Il progetto di riqualificazione del centro storico di Banyoles si basa sul recupero dei recs, gli antichi canali artificiali realizzati nel IX secolo. I recs drenavano acqua dal vicino lago di Banyoles e la immettevano in una rete di irrigazione realizzata dai monaci di Sant Esteve, in epoca medioevale, per portare acqua a orti e giardini privati. In età moderna quasi tutti i recs furono poi coperti, ad eccezione di quelli funzionali alla piccola industria locale. L’intervento di rinnovamento, necessario per riportare all’uso pedonale il centro storico, usa l’acqua come elemento connettivo dello spazio pubblico. La riqualificazione avviene attraverso una pavimentazione continua in travertino che si snoda
in una sequenza di piazze e vie pedonali all’interno del compatto nucleo di formazione medioevale; alcuni dei recs precedentemente interrati sono stati portati alla luce e reinseriti nella nuova pavimentazione, riconfigurando lo spazio. L’acqua assume connotazioni differenti in rapporto all’esistente, lambendo antichi palazzi, occupando il centro di alcuni spazi collettivi, identificando gli accessi e articolando le piazze con fontane e vasche. Durante i lavori una serie di ritrovamenti archeologici ha permesso di riscoprire tracce della storia, tra cui antiche divisioni di lotti, edifici scomparsi, orti e frutteti. Questa archeologia latente è riportata
La riqualificazione del centro storico riporta in luce gli antichi canali sotterranei che enfatizzano le presenze storiche e articolano lo spazio.
in luce attraverso la pavimentazione che, disposta secondo orditure disegnate su misura per ciascuno spazio, caratterizza con i segni del passato il nuovo suolo ubano; alla pietra calcarea è contrapposto l’uso dell’acciaio corten, che contraddistingue elementi puntuali quali grate, fontane, parapetti e giunti.
| memoria
Il progetto interpreta le condizioni del centro storico di Banyoles, che vive di un’alternanza tra compressione e apertura degli spazi aperti: questo ritmo è accentuato, oltre che dalla presenza dei canali, dalla vegetazione inserita in modo puntuale e misurato nelle diverse piazze.
PIAZZA FERDINAND O DI SAVOIA CLAB architettura, Circlelab/Federico Signorelli, Peschiera del Garda (Verona), 2017
Su questa piazza si sono avvicendati nei secoli diversi usi: da sagrato della chiesa a campo per esercitazioni militari, da vuoto nel denso abitato della città fortificata a parcheggio nel secondo dopoguerra. Il progetto è l’esito di un concorso di idee promosso dal Comune nel 2011 per la parziale pedonalizzazione dell’area e il miglioramento della viabilità. La risposta progettuale si basa sul recupero delle tracce della darsena, interrata nel 1614, attraverso il disegno della pavimentazione. Una fascia continua grigia di pietra trachite segna l’antico porto e delimita l’area pedonale, divenendo in alcuni tratti seduta o parapetto attraverso una elevazione dalla quota del suolo.
La nuova piazza è rivestita di pietra bianca della Lessinia ed è caratterizzata dalla presenza di ambiti diversi ottenuti attraverso piccoli movimenti di suolo, come quelli che definiscono il sagrato, o l’introduzione di elementi quali sedute, alberi, uno specchio d’acqua e una fontana ludica a piccoli ugelli inserita nella pavimentazione. Lo spazio adibito al parcheggio ha una pavimentazione cromaticamente più scura in parte realizzata in ciottoli di fiume, materiale utilizzato anche per la lenta discesa dove lo spazio pubblico recupera l’antico rapporto con l’acqua, in prossimità della confluenza tra il Lago di Garda e il fiume Mincio.
| progetti contemporanei di spazi aperti collettivi
Il disegno della piazza recupera il tracciato della vecchia darsena e stabilisce un nuovo rapporto con l’acqua.
| memoria
HIGH LINE Diller Scofidio + Renfro, James Corner Field Operations, Piet Oudolf New York, 2009 - 2011 - 2014
La conversione della linea ferroviaria sopraelevata in parco lineare deve il suo successo a un gruppo di residenti dei quartieri Chelsea e Meatpacking di Manhattan: questi hanno fondato l’organizzazione di vicinato Friends of the High Line nel 1999, quando la demolizione dell’infrastruttura, ormai in stato di abbandono, sembrava l’ipotesi più conveniente per lo sviluppo del distretto. I binari giacevano infatti inutilizzati dal 1980 e una fitta vegetazione spontanea ne aveva ricoperto ogni tratto. Il processo di protezione e rinnovo intrapreso agli inizi degli anni 2000 ha comportato un intenso lavoro di coordinamento tra la Municipalità, che ha acquisito la proprietà dello spazio, e il gruppo Friends of the High Line che ne ha assunto la gestione recuperando la vecchia infrastruttura divenuta nel tempo rovina postindustriale. La High Line è tutt’ora uno spazio collettivo gestito da un’organizzazione di privati che ne copre il 98% dei costi. Il progetto è frutto della collaborazione di James Corner Field Operations,
Diller Scofidio + Renfro e Piet Oudolf. Il paesaggio creato si ispira alle piante cresciute lungo i binari durante gli anni di abbandono della ferrovia. Il percorso, che si sviluppa per 1.5 km, alterna elementi vegetali con parti pavimentate, fornendo una varietà di spazi caratterizzati da gradienti di suolo che variano dal 100% di superficie dura al 100% di terreno morbido. L’inserimento di aree verdi consente la presenza di diverse specie vegetali, che garantiscono un corretto assorbimento delle acque meteoriche e un’adeguata ritenzione dell’umidità, contribuendo alla creazione di microclimi differenti che alternano spazi ombrosi ad altri soleggiati, umidi a secchi, ventosi a riparati. Il parco presenta una varietà di ambiti naturali selvaggi o coltivati alternati a spazi artificiali che, a seconda dei contesti, creano ambienti intimi o sociali. L’apertura al pubblico della High Line è avvenuta in tre fasi corrispondenti al completamento dei lavori in altrettanti tratti del parco; questo è divenuto in breve tempo un luogo estremamente frequentato da residenti e visitatori.
| progetti contemporanei di spazi aperti collettivi
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| conversione
La High Line si snoda dalla 34° Strada, Hell’s Kitchen, fino al Whitney Museum of Art nel cuore di Chelsea lungo un percorso sopraelevato di 1.5 km.
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I LOVE STREET MVRDV, Gwangju, 2017
Gwanju ha subito una notevole espansione negli ultimi 40 anni. Preminentemente dipeso dall’industria automobilistica, lo sviluppo della città coreana non ha coinvolto nella sua trasformazione la sfera pubblica cosicché le infrastrutture pedonali sono scarse e poco utilizzabili, le piste ciclabili quasi assenti. Dal 2011 la Municipalità ha adottato il metodo delle folies per sperimentare strategie di miglioramento degli ambiti urbani più carenti: Gwanju Folly è un’iniziativa che si ripete ogni anno e sviluppa il progetto di uno spazio pubblico in modo ironico, a costo ridotto e in breve tempo. L’installazione viene eseguita da architetti coreani o internazionali ed evidenzia un punto debole del tessuto cittadino, proponendo una soluzione leggera che può costituire un modello di intervento replicabile in contesti analoghi. Nel 2017 MVRDV ha lavorato con gli studenti di un Istituto di Seosuk per rendere la loro uscita da scuola
un’esperienza più piacevole. La strada su cui si riversano gli alunni a fine lezioni è stata chiusa al traffico e dotata di pavimentazione e arredi nuovi. È stata inoltre costruita una piattaforma in metallo giallo che consente di osservare la via dall’alto: per chi sale le scale fino alla tribuna a 5 metri d’altezza è possibile leggere le lettere formate dai diversi materiali impiegati nel parterre: l’erba, la fontana, la gomma arancione e la sabbia, che costituiscono condizioni d’uso differenti dello spazio pubblico, compongono le parole "I Love". Più avanti un’area scura identifica uno spazio in cui gli utenti della piazza possono scrivere col gesso l’oggetto del loro amore e guardarlo o fotografarlo dall’alto della tribuna. Di sera la grande lavagna si trasforma in una sala da ballo all’aperto grazie a luci speciali e ad altoparlanti che diffondono canzoni scritte dal Visual Artist Jeroen Kooijmans.
“I Love Street” è un intervento di pedonalizzazione di una strada in prossimità di una scuola come spazio collettivo, ludico e ricreativo.
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MOBILIT À
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NØRREPORT STATION COBE, Gottlieb Paludan Architects, Copenaghen, 2015
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PIAZZA GARIBALDI Dominique Perrault Architecture, Napoli, 2019
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MARSEILLE VIEUX PORT Foster + Partners, Michel Desvigne Paysagiste, Marsiglia, 2013
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BIKE PARK Ector Hoogstad Architecten, Utrecht, 2017
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PARK ‘N’ PLAY JAJA Architects, Copenaghen, 2016
Nella pagina precedente: Natalia Goncharova, Il ciclista, 1913, San Pietroburgo, Museo di Stato russo.
Gli spazi della mobilità stanno rapidamente cambiando il loro rapporto con la città. Se un tempo erano considerati nel loro valore funzionale, e quindi per natura poco adatti a relazionarsi con il contesto urbano, oggi diventano occasione per lo sviluppo di nuove forme di spazi aperti. In particolare, la necessità di nuovi luoghi di interscambio di mobilità tra mezzi diversi, quali treni, biciclette, metropolitane e auto, ha portato alla nascita di spazi ibridi molto frequentati in cui alle tradizionali attività del transito e dell’attesa si associano quelle dell’incontro, del tempo libero e del commercio. Nel progetto per le stazioni di Utrecht e Nørreport la necessità di creare un parcheggio per le biciclette è l’occasione di ridefinire lo spazio pubblico e la mobilità locale per garantire la sicurezza dei fruitori e offrire nuovi servizi. A Napoli il nuovo accesso alla Metropolitana in corrispondenza della Stazione Centrale è l’occasione di ridisegnare l’intera Piazza Garibaldi e di creare uno spazio commerciale ipogeo. A Marsiglia l’intervento essenziale di Norman Foster ridefinisce i rapporti dello spazio aperto e crea un luogo circoscritto e protetto nella grande area del porto. Infine nel Park ‘N’ Play di Copenaghen l’edificio per parcheggi è il pretesto per creare un inedito spazio panoramico destinato ai giochi dei bambini e al tempo libero.
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NØRREPORT STATION COBE, Gottlieb Paludan Architects, Copenaghen, 2015
Copenaghen ha avviato negli ultimi anni una profonda trasformazione urbana legata al recupero degli spazi aperti e al potenziamento della mobilità ciclabile. Da questo punto di vista l’area di Nørreport station, che comprende la più importante stazione ferroviaria e l’intersezione di due linee della metropolitana, rappresenta un luogo strategico in quanto è il nodo di interscambio di mobilità più importante della città, attraversato da circa 250.000 persone al giorno. Il progetto, l’esito di un concorso di progettazione indetto nel 2009 dalla Municipalità della capitale danese, si basa sulla ridefinizione dello spazio aperto a partire dal suo uso, limitando a un solo lato il traffico veicolare e rafforzando il sistema di mobilità ciclo-pedonale. Una serie di pensiline e padiglioni trasparenti al centro della nuova piazza
consentono l’accesso alle stazioni sotterranee, la presenza di esercizi commerciali e il parcheggio protetto delle bici. La loro forma curvilinea deriva da uno studio compiuto sui flussi degli utenti di Nørreport e dalla volontà di non creare fronti urbani principali e secondari all’interno di un’unica piazza; ciascun tetto in cemento è ricoperto da uno strato di verde estensivo a prato e pannelli fotovoltaici. I parcheggi delle bici sono concentrati in piazze lievemente ribassate rispetto al livello della strada; in questo modo il campo visivo non è ostruito ed è più facile reperire la propria bicicletta. Ciascuno dei 2.500 parcheggi per le biciclette è dotato di una luce a led: di sera la piazza si trasforma in una distesa luminosa.
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Lo studio dei percorsi degli utenti del nodo infrastrutturale dà forma ai padiglioni che definiscono lo spazio aperto pedonale recuperato.
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“BICYCLE BEDS” I parcheggi per le biciclette sono incavati di 40 cm rispetto al livello della strada, per facilitare visibilità e circolazione. Di sera ciascuno dei 2.500 portabiciclette è illuminato da una luce a LED.
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PLAZA ECOPOLIS Ecosistema Urbano, Madrid, 2010
Plaza Ecopolis è un intervento di rigenerazione di un’area periferica di Madrid adiacente a un distretto industriale e confinante con una trafficata infrastruttura viabilistica. Il tema di progetto è la realizzazione di un asilo pubblico e di uno spazio pubblico annesso. L’impossibilità di stabilire relazioni con il difficile contesto circostante ha spinto Escosistema Urbano a proporre un progetto introverso attraverso un movimento di terra che crea uno spazio definito e protetto al suo interno, escludendo la vista, il rumore e l’inquinamento del traffico veicolare. L’intervento si basa su una visione urbana del concetto di sostenibilità che consente la riduzione del consumo energetico
attraverso le scelte progettuali, ma anche attraverso l’uso consapevole dello spazio da parte dei suoi fruitori. Plaza Ecopolis, proprio perché si rivolge ai bambini verso i quali sono indirizzate le nostre scelte ambientali, ha anche un fine pedagogico attraverso il riciclo delle acque sporche provenienti dall’asilo per irrigare lo spazio circostante. L’edificio dell’asilo si mostra chiuso verso l’esterno e aperto verso il nuovo spazio protetto con cui interagisce, ospitando nella sua struttura tende mobili per proteggere dal sole, elementi di arredo e giochi per bambini. Da qui si accede alla piazza ribassata attraverso scivoli, pendenze e scalinate, al cui centro si trova simbolicamente la vasca di fitodepurazione come emblema di una nuova visione dello spazio pubblico.
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Le acque meteoriche e le acque grige provenienti dall’asilo confluiscono nell’esagono centrale, dove vengono depurate per essere utilizzate nelle aree verdi circostanti.
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Finito di stampare nel mese di giugno 2018 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso le Grafiche Callegaro di Peraga di Vigonza (Padova)