Progettare tra i relitti, di Luigi Stendardo, Stefanos Antoniadis, Luigi Siviero

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di Luigi Stendardo, Stefanos Antoniadis, Luigi Siviero

Stefanos Antoniadis, PhD, laureato in Architettura all’Università Iuav di Venezia, è dottore di ricerca in Architettura e Costruzione a Sapienza Università di Roma e Doutor em Urbanismo all’Universidade de Lisboa (DD PhD). Suoi progetti sono apparsi in mostre nazionali, internazionali e pubblicazioni. Svolge attività di ricerca e didattica in ambito accademico dal 2011 sul tema della forma del territorio contemporaneo e sulla trasformabilità del costruito esistente. Dal 2017 è membro permanente del laboratorio di ricerca ReLOAD dell’Università degli Studi di Padova, ove è anche assegnista di ricerca e professore a contratto nei corsi di Composizione e Progettazione architettonica e urbana. è membro onorario di IUVAS - Institute for Urban Variations and the Architectural Systems, per l’analisi avanzata dell’urbanità contemporanea, e membro del Comitato scientifico di «Officina*», rivista per la divulgazione culturale e scientifica di architettura, tecnologia e design.

ISSN 2704-7776 e 24,00

ISBN 978-88-9387-118-1

ilpoligrafo

Luigi Siviero, PhD, laureato in Architettura all’Università Iuav di Venezia, è dottore di ricerca in Environmental Engineering - Urban and Territorial Engineering and Architecture all’Università degli Studi di Trento. Ha svolto attività di ricerca e didattica in diverse università italiane, partecipando a ricerche accademiche nazionali e internazionali nel settore della progettazione architettonica, urbana e del paesaggio, con un particolare interesse per i luoghi compromessi da una forte presenza infrastrutturale. Ha collaborato e fornito consulenze in progetti di sviluppo infrastrutturale in Italia e in Turchia. Dal 2015 è membro permanente del laboratorio di ricerca ReLOAD dell’Università degli Studi di Padova, ove è anche assegnista di ricerca e professore a contratto nel corso di Composizione architettonica e urbana e nel Workshop of Architectural and Urban Design.

La dismissione degli edifici industriali in Italia è un fenomeno che impone sempre più una riflessione in termini di forma e spazio della città contemporanea. Le fattispecie che si riscontrano nel territorio nazionale sono numerose e variegate, e dipendono da fattori diversi: la dimensione e la forma delle aree, le tipologie degli edifici che le popolano, il loro contesto urbano o paesaggistico, le infrastrutture di cui sono dotate. Questa pubblicazione affronta il tema del recupero di aree ed edifici industriali dismessi attraverso cinque scenari progettuali. A monte della lettura strategico‑progettuale che fa da supporto alla costruzione degli scenari vi è la convinzione che forma e spazio siano i soli elementi in grado di resistere all’obsolescenza che si accompagna alla dismissione funzionale e di offrire ai relitti della produzione, e a ciò che sta loro intorno, un futuro postindustriale. I cinque scenari sono accomunati da elementi di progetto e azioni di trasformazione che si addensano a definire cinque masterplan in grado di ridisporre le forme e gli spazi in nuove configurazioni, aperte alla città e al paesaggio attraverso strategie comuni. La rottura dei perimetri delle aree, la creazione di spazi continui, l’uso diversificato di elementi formali tipicamente industriali, la ricerca di nuovi accessi e nuovi percorsi attraverso elementi infrastrutturali di progetto e la messa a sistema delle aree con la scala del paesaggio attraverso elementi alti sono solo alcuni dei caratteri comuni che gli scenari declinano in modi diversi.

Progettare tra i relitti

Luigi Stendardo, PhD, è professore associato di Composizione architettonica e urbana presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale. Presso l’Università degli Studi di Padova è membro del collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Scienze dell’ingegneria civile, ambientale e dell’architettura; docente dei Master in Psicologia architettonica e del paesaggio e in GIScience e membro del comitato ordinatore; docente del Master BIM/hBIM. Afferisce al Centro Interdipartimentale di Ingegneria per i Beni Culturali della “Federico II” ed è membro del consiglio scientifico e docente dei Corsi di perfezionamento in Ingegneria per i beni culturali e in Ingegneria per l’archeologia. Fondatore di ReLOAD_Research Lab of Architecturban Design presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università di Padova, è responsabile scientifico di diversi progetti di ricerca nazionali e internazionali finanziati sulla base di bandi competitivi e di convenzioni e accordi di ricerca con diverse istituzioni e amministrazioni. Svolge attività di ricerca nel campo della progettazione architettonica, urbana e del paesaggio e in quello della trasformazione/conservazione del patrimonio culturale costruito antico e moderno.

Luigi Stendardo, Stefanos Antoniadis, Luigi Siviero

Progettare tra i relitti Cinque scenari per cinque aree industriali dismesse

in copertina

ilpoligrafo

Relitti industriali, area ex Lanerossi a Schio (Verona), 2018 (foto ed elaborazione grafica di Daniele De Franceschi)



univercity ricerca progettuale per la cittĂ research by design for the city 02


UniverCity ricerca progettuale per la città research by design for the city collana diretta da | series directed by Luigi Stendardo | Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale

comitato scientifico | scientific committee Luigi Coccia | Università degli Studi di Camerino Scuola di Architettura e Design

Carlos Dias Coelho | Universidade de Lisboa Presidente da Faculdade de Arquitetura

Pasquale Mei | Politecnico di Milano Dipartimento di Architettura e Studi Urbani

Anna Bruna Menghini | Sapienza Università di Roma Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale Emanuele Palazzotto | Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura Valerio Palmieri | Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Architettura

Maria Rubert de Ventós | Universitat Politècnica de Catalunya Escola Tècnica Superior de Arquitectura de Barcelona Department d’Urbanisme i Ordenació del Territori

Luigi Siviero | Università degli Studi di Padova Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale Xiaochun Yang | Shenzhen University School of Architecture & Urban Planning Department of Urban Planning

UniverCity intende selezionare e pubblicare ricerche universitarie nel settore della progettazione architettonica, urbana e del paesaggio, che abbiano la città – intesa in senso estensivo di spazio antropizzato – come campo di indagine, ambito di applicazione o impatto, e che siano fondate sul progetto come strumento metodologico e come prodotto della ricerca scientifica. Nel dibattito intorno alla possibilità di considerare e valutare il progetto come prodotto della ricerca, la collana si offre come tavolo di confronto per la comunità scientifica. UniverCity aims to select and publish academic research in the field of architectural, urban, and landscape design, which consider the city – according to its wider meaning of man-made space – as field of investigation or scope where impacts are expected, and which are based on design as a methodological tool and outcome of scientific research. In the framework of a debate dealing with the hypothesis that design may be considered and assessed as an outcome of scientific research, this book series is committed to act as a round table for the academic community.


Luigi Stendardo, Stefanos Antoniadis, Luigi Siviero

Progettare tra i relitti Cinque scenari per cinque aree industriali dismesse

ILPOLIGRAFO


Questo volume è pubblicato con il contributo di fondi dell’Università degli Studi di Padova

I contributi sono sottoposti alla double-blind peer review All contributions are subject to a double-blind peer review

progetto grafico di collana Il Poligrafo casa editrice redazione: Sara Pierobon copyright maggio 2020 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-9387-118-1 ISSN 2704-7776 www.poligrafo.it


indice

6 introduzione

progettare tra i relitti 10

la fabbrica come forma urbis luigi stendardo

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relitti riletti stefanos antoniadis

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l’architettura delle relazioni o dell’architettura come infrastruttura luigi stendardo

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i landmark nel paesaggio delle aree industriali dismesse, tra scala architettonica e territoriale luigi siviero

cinque scenari per cinque aree industriali dismesse 53 WHAT/IF ex isotta fraschini, saronno 65 iRED ex lanerossi, schio 77 STILL IN MOTION ex bugatti, campogalliano 87 SUGARFREE ex zuccherificio, ca’ tiepolo 99 THE COTTON CLUB ex cotonificio sardo, alghero

108 abstracts

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bibliografia essenziale


introduzione

Il progetto è spesso inteso come soluzione integrata a un articolato insieme di problemi, risposta complessiva a istanze diverse, declinazione concreta di un programma già definito. In questo senso l’efficacia e l’innovatività di un progetto possono essere valutate attraverso indicatori che misurano il grado di soddisfacimento delle domande, il livello di ottimizzazione delle soluzioni in termini di rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti, costi e benefici, quantità e qualità delle prestazioni nel tempo, equilibrio ponderato delle risposte alle diverse istanze, adeguatezza e comfort degli spazi, raffinatezza delle configurazioni formali. L’elenco potrebbe andare avanti, ma può in ogni caso essere ricondotto all’idea che il progetto è una risposta che viene data a domande formulate con relativa precisione. La domanda orienta il progetto. Ma è lecito chiedersi se le domande sono sempre ben formulate, se quelle già poste sono le domande giuste in quella situazione, o perfino se una qualche domanda possa essere ragionevolmente posta perché serva da base di partenza per produrre un progetto. Spesso non è così, soprattutto nei momenti non ordinari, di cambiamento, di crisi. In questi casi l’insieme delle domande codificate non funziona, non è più sufficiente a innescare e orientare il progetto. In definitiva si presentano momenti in cui non si sa bene dove andare, e affinare risposte canoniche a domande già pronte non produce risultati significativi. Gli attori e gli stakeholder delle trasformazioni urbane si arrovellano per individuare nuove o vecchie funzioni, o per calibrare mix funzionali sui quali costruire business plan realistici o almeno credibili, e registrano tutta la lentezza e l’inadeguatezza dei modelli di previsione e di controllo economico, funzionale e gestionale, in relazione alla bizzarria delle dinamiche urbane. Ampie aree urbane e periurbane restano abbandonate, inattive, improduttive, per decenni. I costi sembrano titanici per qualsivoglia impresa e ogni direzione sembra destinata a spegnersi in un cul-de-sac. In questi casi si può trovare minore opposizione nel proporre di invertire l’ordine consueto delle cose: piuttosto 6 introduzione


che far nascere il progetto da una domanda che è sempre più difficile formulare, si può provare a fare in modo che il progetto accenda, generi la domanda. In questi casi il progetto non è la soluzione che arriva alla fine di un processo decisionale, ma la visione che illumina possibili strade da percorrere. Evidentemente deve trattarsi di un progetto che, armato delle qualità necessarie che lo renderanno sufficientemente solido per superare successive verifiche e opportunamente elastico per adattarsi a condizioni future oggi poco prevedibili, lavori soprattutto su quelle variabili che riescono a essere autonome dalle previsioni funzionali, finanziarie, amministrative, gestionali. Il progetto può quindi utilmente concentrarsi sull’arte di manipolare e configurare forme e spazi dell’architettura, della città e del paesaggio, in modo da produrre scenari capaci di accendere visioni, sollecitare azioni, stimolare appetiti, sfidare inerzie, eccitare idee, costruire pensiero. Si tratta quindi di un progetto capace di proporre forme e proiettare strutture di relazioni che reagiscono con la forma della città e del paesaggio, oltre che con le forme delle memorie e degli immaginari, individuali e collettivi. Il progetto visione – ricerca volta a modificare i paradigmi – al contrario del progetto soluzione, viene prima della domanda, anzi la genera. A questa inversione tra domanda e progetto corrisponde un altro ribaltamento. Ciò che in condizioni ordinarie è considerato concreto e realistico, il progetto soluzione, fondato su dati certi che lo ancorano alla realtà, al tempo della crisi perde di consistenza e di credibilità per l’incertezza delle basi su cui si fonda, mentre ciò che solitamente è considerato pura pratica accademica e oziosa, l’esercizio sulla forma che produce visioni, finisce per essere l’unica possibilità concreta di sbloccare la stasi e innescare nuovi cicli di trasformazioni urbane. In questo quadro, la dismissione degli edifici industriali e la necessità, da più parti sottolineata, di contenere il consumo di suolo sono fenomeni la cui intersezione impone una profonda riflessione in termini di forma e spazio della città contemporanea, che non sempre trova soluzione convincente nei modelli ormai consolidati di trasformazione urbana fondati sui concetti di ri-funzionalizzazione, ri-generazione, ri-abilitazione, e non sull’autonomia del progetto architettonico e urbano che assume gli spazi e i manufatti esistenti come materiali per la configurazione di forme e spazi. In questo volume il tema viene affrontato con riflessioni di progettazione architettonica, urbana e del paesaggio, che si articolano intorno a cinque scenari per cinque diverse aree dismesse, già oggetto di altrettante tesi di laurea seguite dagli autori. A monte della lettura strategico-progettuale che fa da supporto alla costruzione degli scenari vi è la convinzione che forma e spazio siano i soli elementi in grado di resistere all’obsolescenza che si accompagna alla dismissione funzionale e di offrire ai relitti della produzione, e a ciò che sta loro intorno, un futuro postindustriale.

introduzione 7



progettare tra i relitti


la fabbrica come forma urbis luigi stendardo

Il lavoro sull’architettura, la città e il paesaggio, che assume come materiale i relitti dell’industrializzazione del secolo scorso, viene spesso etichettato come un’azione di recupero, riuso, riciclo e più raramente – allorché si ravvisa nei manufatti dismessi qualche carattere di pregio che li rende annoverabili nella sfera della cosiddetta archeologia industriale – di restauro. In ogni caso si riconosce a tali edifici un valore di patrimonio: nei primi si tratta sostanzialmente di un patrimonio immobiliare, in cui prevale il valore economico misurabile in termini di superfici utili, volumi costruiti, posizione; nell’ultimo si tratta di un patrimonio culturale, nel quale è preponderante il valore di documento di storia materiale, di memoria, di testimonianza del passato. I verbi che descrivono le azioni sopra menzionate – e se ne potrebbero citare anche diverse altre analoghe – hanno in comune il prefisso ri- e suggeriscono tutti un ritorno, un ripristino, una riproposizione di una condizione originaria, seppure secondo diverse varianti. Si tratta in qualche modo sempre di azioni conservative, che tendono a concentrare l’attenzione sulla materia, assumendo la configurazione formale come già data, in qualche modo scontata. Tutte queste azioni, caratterizzate dal prefisso ri-, rientrano in maniera pienamente congruente in una visione di sostenibilità economica e ambientale fondata sui principi dell’economia circolare, dell’urban mining, dell’ottimizzazione delle risorse, che negli ultimi decenni è diventata un paradigma ampiamente condiviso, fino al punto che tale sostenibilità sembra essere equivocamente diventata il principale fine del lavoro sulle aree e sul costruito dismessi, sul quale spesso si appiattisce tutta l’azione progettuale e operativa, e non piuttosto una sua condizione collaterale, ineluttabile e imperativa, ma certamente non centrale ed esclusiva. La sostenibilità economica, tecnica e ambientale è senza dubbio una condizione necessaria per il lavoro sull’architettura, la città e il paesaggio, ma non è in alcun modo sufficiente ad esso. Il lavoro di ricerca proget10  progettare tra i relitti


tuale che qui presentiamo vuole decisamente ridefinire il punto di vista, spostandolo da quella che è oggi la vulgata innovativa della sustainability e della circular economy, per ricondurlo nell’ambito del terreno disciplinare della progettazione architettonica, urbana e del paesaggio, che si occupa della definizione delle forme e degli spazi per gli individui e per la collettività. Così le aree e gli edifici industriali dismessi assumono il ruolo di materiale formale che il pensiero progettuale riorganizza in spazio architettonico e urbano, servendosi dello strumentario tecnico e metodologico proprio della disciplina. Se riguardata da questo punto di osservazione, la fabbrica, indipendentemente dal suo stato di conservazione o di abbandono, assume la valenza di una struttura formale fondativa o ri-fondativa della città e del paesaggio e questo suo carattere di forma urbis risulta leggibile in chiave tipo-morfologica nella fitta rete di relazioni formali che essa assume con la geografia, le forme insediative, il paesaggio. In questa direzione, la dismissione non appare più solo come l’incidente che rende disponibili aree libere, superfici utili e volumi, spesso situati in posizione strategica, per un loro uso pubblico o per una loro re-immissione nel mercato immobiliare, ma può essere piuttosto riguardata come un’occasione di lavorare sull’architettura e sulla città rielaborando materiali squisitamente formali, scevri di ogni sovrastruttura relativa all’uso, anche in virtù del fatto che la crisi nella quale si incrociano gli interessi degli investitori e quelli della collettività raramente oggi consente di formulare business plan sostenibili sulla base di ipotesi di investimento già ampiamente sperimentate e consolidate. Il protrarsi dello stato di abbandono di tanti siti industriali dismessi è testimonianza di tale difficoltà, che può essere trasformata in un vantaggio per la disciplina della composizione architettonica e urbana che può riguadagnare terreno esprimendo la capacità, che le è propria, di accendere visioni che possano costituire per investitori e stakeholder un più stimolante punto di ripartenza delle trasformazioni urbane. Oltre a favorire una riduzione dei manufatti edilizi industriali a pure forme, la dismissione rende improvvisamente possibile lo sblocco di tutte le loro potenzialità quali elementi fondativi della forma urbis. Infatti, finché la fabbrica è in funzione assistiamo a una sorta di paradosso: nonostante il sito industriale sia, nella maggior parte dei casi, chiara declinazione di un principio insediativo, la necessità di isolarlo attraverso una recinzione lo rende un’enclave per la quale gran parte delle potenziali relazioni formali con l’intorno a diverse scale restano inibite. L’apertura dei cancelli della fabbrica consente finalmente la ripresa di un dialogo interrotto tra gli enunciati formali costituiti dai relitti industriali e il paesaggio contemporaneo. In questo senso una delle principali azioni strategiche per il progetto sarà evidentemente quella di aprire, lacerare, demolire i recinti per ritessere relazioni for-

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mali e favorire diverse sovrapposizioni e continuità, ancorché parziali, tra le forme della fabbrica e quelle del contesto. Il sito industriale dismesso non sarà riguardato come un isolato, o se si vuole come un macro-isolato, e tanto meno come una parte urbana omogenea chiaramente distinguibile per caratteristiche tipo-morfologiche e pertanto circoscrivibile, bensì come una sovrapposizione di affioramenti di diversi layer che non trovano confine nell’originario perimetro della fabbrica, ma si estendono attraverso lo spazio urbano con direzioni ed estensioni diverse. In questa direzione è possibile individuare e descrivere, attraverso i classici strumenti dell’analisi urbana, talora opportunamente aggiornati, elementi formali che possono essere raggruppati in classi, e ordinamenti secondo i quali questi possono essere organizzati. È possibile quindi individuare le logiche di formazione del disegno della fabbrica in relazione al contesto e infine mettere a reagire tra loro le forme esistenti, introdurre elementi formali capaci di generare nuove relazioni, ridefinire forme e spazi attraverso tecniche di manipolazione e controllo proprie della composizione architettonica, riorganizzare gli elementi originari, aggiunti e modificati, secondo diverse possibili strutture formali che rappresentano probabili configurazioni della materia. Tali configurazioni costituiscono scenari possibili, che da un lato andranno verificati e progressivamente ricalibrati, per successive approssimazioni, rispetto a diverse variabili funzionali, costruttive, normative, ambientali, economiche, e dall’altro potranno modificare, in tutto o in parte, tale sistema di condizioni e vincoli al contorno, in ragione del fatto che accendono visioni innovative, interessi, sfide, capaci di sollecitare affordance (cfr. Gibson 1979), anche inaspettate, che rimettono in discussione assetti consolidati, soprattutto nei periodi di crisi quando tali assetti non sono più in grado di generare risposte convincenti e sostenibili. Il caso degli insediamenti industriali dismessi, enfatizzato in molti casi dal perdurare della condizione di abbandono, è emblematico del fallimento di un paradigma che resta per altro associato alla manifesta obsolescenza tecnologica e produttiva dei manufatti edilizi, le cui forme asciugate dalla sovrastruttura funzionale, produttiva, impiantistica, sono tuttavia resilienti all’obsolescenza. La rovina è finalmente solo forma, materiale prezioso per il progetto architettonico, urbano, di paesaggio. Questo progetto è un’operazione di manipolazione e di rimontaggio, libera e tuttavia disciplinata e rigorosa, che richiede competenze specifiche dell’arte di configurare forme e spazi. Nei casi studio che qui si presentano, il progetto perviene alla definizione di scenari di forma urbis proprio attraverso questo processo di riconoscimento, classificazione, manipolazione e riorganizzazione delle forme secondo strutture che vedono la sovrapposizione di diversi sistemi di gerarchie.

12  progettare tra i relitti

Salvo Leo Luca Cupane, WHAT/IF. Schema analitico del tessuto urbano della città di Saronno


Riccardo Brunello, STILL IN MOTION. Schema analitico degli assi viari che incardinano il nucleo urbano di Campogalliano, della diversa tessitura agricola e urbana, e della sequenza di viali di accesso lungo la strada Daniele De Franceschi, iRED. Schema analitico del tessuto urbano e industriale di Schio

In tutti i casi studio resta individuato un significativo elemento infrastrutturale che assume il ruolo di primo sistema di riferimento e ordinamento delle altre forme. Nel caso dello stabilimento ex Isotta Fraschini questo elemento è rappresentato dalla linea ferroviaria, che si inspessisce a dar luogo alla stazione di Saronno (Varese), margine settentrionale dell’area industriale. Al fascio di binari, che separando il centro città dalla zona industriale a sud-ovest assume un ruolo gerarchicamente primario, si aggiungono il viale urbano che, sottopassando la ferrovia, ricollega le due parti di città, fiancheggiato dai capannoni industriali a ovest e dal cimitero a est, e la strada che taglia in diagonale i lotti con orientamento nord-sud, prima rurali e poi di espansione urbana, e costituisce il confine sudoccidentale dello stabilimento produttivo. A questi tre assi si allineano, in funzione della loro prossimità, le giaciture dei diversi insiemi di capannoni che disegnano il tessuto edilizio dello stabilimento industriale. Nel caso dell’area ex Bugatti a Campogalliano (Modena), i più robusti elementi ordinatori sono le due linee infrastrutturali, pressoché ortogonali tra loro, rappresentate dalla Strada Provinciale 13 con andamento est-ovest, parallela alla via Emilia e quindi all’Autostrada del Sole nel tratto tra Modena e Reggio Emilia, e dall’Autostrada del Brennero, con andamento nord-sud. In ciascuno dei quattro quadranti individuati dall’incrocio delle due linee, la divisione del suolo in lotti presenta una scala diversa, inversamente proporzionale alla densità: small nel quadrante sud-occidentale, a prevalente destinazione residenziale; medium nel settore nord-occidentale, a destinazione industriale, nel quale insiste lo stabilimento ex Bugatti; large nel quadrante sud-orientale, ancora con uso industriale; extra-large nel settore nord-orientale, prevalentemente agricolo. A Schio (Vicenza), i diversi brani di tessuto industriale del complesso della ex Lanerossi sono orientati secondo una spezzata, lungo una roggia con andamento est-ovest, pressoché parallela alla strada che, segnando il piede del sistema di rilievi a monte, delimita l’area a nord, mentre il limite meridionale, più netto, è costituito dalla Strada Provinciale 46 che, disegnandosi come un prolungamento della linea ferroviaria che si interrompe con la stazione di testa di Schio, resta parallela al torrente Leogra che scorre sempre con andamento est-ovest appena più a sud dell’area. Nel caso dell’ex zuccherificio di Ca’ Tiepolo (Rovigo), nel comune di Porto Tolle nell’area del delta del Po, è evidentemente il ramo rettilineo del fiume con andamento est-ovest a dettare l’ordinamento del tessuto urbano sulla sua destra orografica: le lunghe strade parallele all’asta fluviale e le loro perpendicolari disegnano grandi lotti allungati che restano parcellizzati con densità crescenti, a partire da quelli agricoli, industriali e infine residenziali. In particolare, nel lotto su cui insiste l’ex zuccherificio, i capannoni industriali allungati con tipologia a basilica si dispongono in file parallele all’argine e allineano le loro facciate corte lungo una perpendicolare al fiume. Infine, nel caso studio

luigi stendardo | la fabbrica come forma urbis 13


l’architettura delle relazioni o dell’architettura come infrastruttura luigi stendardo

A valle della dismissione lo stabilimento produttivo diventa relitto e in quanto tale comincia a perdere solidità e finitezza. Il suo carattere di enclave separata dalla città, isola con approdi controllati nel paesaggio, parte urbana autistica che intesse limitate connessioni funzionali ma pressoché nessuna relazione di continuità spaziale con lo spazio limitrofo, comincia a essere messo in crisi. Brecce si aprono nei suoi recinti e il perimetro comincia a indebolirsi e a perdere di definizione; consente intrusioni, incursioni; si apre a diversi tipi di scorrerie, colonizzazioni, usi informali (cfr. Stendardo 2016). Anche dal suolo e dal cielo la vegetazione e la fauna pioniere cominciano a intaccare la finitezza del costruito, a contaminare le superfici, a invadere i volumi, a riempire i vuoti. Gli agenti atmosferici, le acque, i venti, gli inquinanti, erodono il costruito reso più vulnerabile dall’assenza di manutenzione. I legami interni si indeboliscono e ciò che era solido e compatto comincia a decadere, a polverizzarsi, a sfaldarsi, a smantellarsi, a decomporsi fisicamente in parti e pezzi. Alcune parti crollano, si producono lacune. Le linee si fanno meno nette e ciò che era forma definita comincia a perdere il suo disegno, comincia a ritornare materia, o almeno materiale, una sorta di semilavorato di ritorno. Le forme si spogliano del superfluo, si asciugano, si riducono all’essenziale, resistono come forme pure; tra questi pezzi e queste parti smembrate, solo le relazioni formali più forti restano efficaci. Con il cedimento del perimetro e dei legami fisici interni, finisce per indebolirsi anche la struttura formale che tiene insieme gli elementi e questi ne restano, almeno parzialmente, svincolati. Quella che si presentava come una parte urbana riconoscibile nel suo essere isolata, diventa più simile a una accumulazione di elementi, a un vassoio sul quale restano appoggiate forme inutili. Queste forme, private delle relazioni d’uso, ma anche dei significati sovrastrutturali che avevano quando erano bloccate in una chiara e univoca struttura d’insieme, possono essere 32  progettare tra i relitti


finalmente riguardate appunto come forme pure che possono o meno assomigliarsi tra loro e per le quali è possibile trovare somiglianze con altre forme che sono altrove, nello spazio limitrofo, in spazi lontani, in campi spazio-temporali diversi, anche nelle diverse memorie o nei diversi immaginari, individuali o collettivi, di chi le osserva. Così le forme possono essere classificate in quanto tali, riorganizzate e ricollocate in diversi layer, cioè in campi diffusi e non perimetrati, dalle diverse e cangianti densità, possono fluttuare o saltare da un layer all’altro, arenarsi temporaneamente, essere manipolate, dare quindi luogo a diverse configurazioni. Su queste forme, elementi o frammenti che siano, disponibili a essere ricomposte, possono essere proiettate nuove strutture ordinatrici svincolate dai legami precedenti e dalla perimetrazione originaria e pertanto le relazioni possono spingersi al di là dei limiti dell’area, stabilendo continuità o rimandi e ampliando il raggio di influenza dei relitti, e/o attraendo nelle nuove configurazioni dello spazio elementi formali che prima erano alieni in quanto esterni al confine della fabbrica, sottolineando, incrementando e aggiungendo connessioni già in nuce ma negate, o anche inaspettate. Le nuove strutture formali possono corrispondere a diverse visioni progettuali e possono essere proiettate secondo diverse tecniche di composizione. È certamente possibile agire tecnicamente nella direzione del ripristino di una condizione formale di finitezza, così come di efficienza, precedente alla dismissione, e recuperare i relitti assumendo il sistema di relazioni come già dato. Tuttavia, a valle della dismissione, l’opportunità di non imbalsamare il complesso ex produttivo – peraltro dettata da ovvie ragioni di sostenibilità – quanto piuttosto di restituire alla città l’area e ciò che resta dei manufatti rende molto più stimolante percorrere l’ipotesi di approfittare della vulnerabilità dei relitti e delle loro potenzialità di essere utilizzati come materiale che si rimette in gioco per diverse possibili ricomposizioni. A fronte della perdita della solidità e dei legami originari che cristallizzavano gli elementi in una parte urbana isolata, univocamente determinata, e della conseguente ridefinizione dell’area secondo mappe ancora non disegnate, ma tracciabili individuando percorsi, relazioni, gerarchie, nelle possibili intersezioni di layer sovrapposti, sembra generalmente opportuno affrontare il progetto non tanto assumendo per data una struttura formale – che ha evidentemente perso forza di coesione, oltre che senso – e lavorando sulle forme che la sostanziano, quanto piuttosto prendere per dati i singoli elementi – che peraltro si sono, al contrario, rafforzati in quanto forme pure – e lavorare alla riscrittura di nuove strutture formali in grado di ricomporre, selezionandole e gerarchizzandole, le forme esistenti dentro e fuori l’originario perimetro e introducendo nuovi elementi che possono essere messi a reagire con i primi.

luigi stendardo | l’architettura delle relazioni  33


significativamente sovrappassando il fascio di binari, lambisce una ex scuola, poi intercetta un primo relitto, costituito dalla fondazione e dal piano di parcheggio interrato di un edificio residenziale mai completato che avrebbe dovuto occupare il comparto nord dell’area industriale dismessa. Quindi attraversa una macchia verde per poi toccare i primi capannoni superstiti da riattivare, prima di attraversare l’area di sedime di una serie di capannoni semicrollati e quindi demoliti, invasa dalla vegetazione che viene diradata e riorganizzata secondo le giaciture del tessuto industriale. L’infrastruttura giunge infine al margine sud dell’area studio e si conclude agganciando una seconda serie di capannoni, paralleli al perimetro sud-occidentale dello stabilimento. Dal punto di vista formale è costituita da quattro tipi di elementi. Il principale è un lungo profilo estruso a partire da una sezione a L rovescia, una sorta di pensilina continua che regge una promenade – articolata su più quote grazie a un sistema di nastri sospesi che definiscono rampe e piani di calpestio – aperta verso i capannoni che si trovano sul lato orientale e schermata rispetto al verde che resta definito sul lato occidentale, sul quale si aprono dei tagli che misurano e selezionano porzioni di parco che si allungano

36  progettare tra i relitti

Salvo Leo Luca Cupane, WHAT/IF. Esploso assonometrico degli elementi che compongono l’infrastruttura lineare


Riccardo Brunello, STILL IN MOTION. Rendering di progetto dell’asse di accesso all’area

così verso i capannoni riattivati. Su questa spina principale si innestano, a diverse quote, elementi opachi costituiti profili estrusi a C, aperti verso la promenade, che ospitano spazi serviti, e cristalli semitrasparenti che ospitano spazi di servizio e collegamenti verticali. A Campogalliano (Modena), l’architettura delle relazioni non è costituita da un manufatto, bensì da un viale di attraversamento disegnato da una sequenza di elementi distinti. Il percorso di accesso all’area è accompagnato dal prospetto laterale di una coppia di capannoni allungati. Nel procedere all’interno dello stabilimento, l’asse resta segnato dall’allineamento prospettico di una serie di portali sottratti al blocco principale dei capannoni e ridisposti nell’area di accesso. Viene poi ripreso da un netto taglio nel volume di un capannone esistente e si conclude con una incisione nel piano inclinato che sagoma il rilevato dell’autostrada che delimita l’area, lasciandosi a sinistra uno scavo sul quale si erge una torre. Anche il principale asse di attraversamento dell’ex Lanerossi a Schio (Vicenza) è definito dal prolungamento del viale urbano che costituisce il principale asse del quartiere operaio a sud del complesso industriale, cadenzato da una serie di

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portali e di elementi emergenti come la ciminiera della centrale elettrica e quella della Fabbrica Alta che conclude l’asse a nord. Questo percorso lascia a destra la serie di capannoni orientati ortogonalmente ad esso, e a sinistra una macchia di alberi che viene diradata in modo da ridisegnarsi secondo una disposizione speculare a quella dei pilastri dello spazio ipostilo coperto dagli shed a destra del viale. Sono invece le spine infrastrutturali minori, ortogonali all’asse, che ricollegano lo spazio ipostilo al suo simmetrico vegetale, a essere definite da un manufatto architettonico costituito da un doppio muro continuo – variamente ritagliato da varchi, e dal profilo sagomato con opportune pendenze e emergenze – che contiene volumi di collegamento e di servizio disposti a diverse quote rispetto al piano di campagna. A fare da architettura delle relazioni nell’area dell’ex zuccherificio a Ca’ Tiepolo (Rovigo) è di nuovo una infrastruttura concreta, formalmente definita. Si tratta di una lunghissima trave costituita da maglie quadrate in profili in acciaio,

38  progettare tra i relitti

Beatrice Nordio, SUGARFREE. Sezione longitudinale lungo l’infrastruttura a traliccio Daniele De Franceschi, iRED. Sezione longitudinale di progetto


Beatrice Nordio, SUGARFREE. Esploso assonometrico degli elementi di progetto Marco Corvino, THE COTTON CLUB. Prospetto di progetto

un traliccio orizzontale che corre sollevato dal piano di campagna ortogonalmente al fiume, partendo dalla sponda del Po a nord dell’area, e concludendosi a sud in corrispondenza di una torre, dopo aver lambito tutti i fronti dei capannoni da riattivare che prospettano sull’asse. Il traliccio si appoggia ad intervalli irregolari su riporti di terra che attraverso sistemi di rampe raccordano la promenade sopraelevata con il piano di campagna. Diversi volumi allungati più minuti si innestano ortogonalmente alla struttura metallica per fare da spine di collegamento attrezzate tra il percorso e i capannoni da riattivare e, ancora, tra il traliccio e i vuoti che si disegnano, anche attraverso ulteriori riprofilature del suolo, tra i volumi costruiti. Infine ad Alghero (Sassari) è ancora una architettura, la controfacciata che ripropone il profilo a shed del corpo principale della fabbrica, a ricomporre i diversi volumi e gli spazi aperti.

luigi stendardo | l’architettura delle relazioni  39



cinque scenari per cinque aree industriali dismesse



WHAT/IF

ex isotta fraschini, saronno

denominazione: ex Isotta Fraschini luogo: Saronno (VA) realizzazione: 1879-2005 superficie totale dell’area: 24 ha lo scenario di trasformazione qui presentato è stato elaborato nel laboratorio di laurea Industrial Wrecks, condotto nella cornice delle ricerche sui relitti industriali del ReLOAD_Research Lab of Architecturban Design, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Università degli Studi di Padova le immagini qui pubblicate sono una selezione tratta da: WHAT/IF. Progetto per la trasformazione dell’ex complesso Isotta Fraschini di Saronno Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile - Architettura Università degli Studi di Padova a.a. 2018-2019 laureato: Salvo Leo Luca Cupane relatore: Luigi Stendardo correlatori: Michelangelo Savino, Luigi Siviero

L’ex stabilimento Isotta Fraschini ricade in una vasta area industriale adiacente al centro della città di Saronno (Varese), lungo la linea ferroviaria MilanoVarese, in corrispondenza della stazione. La potenzialità dell’area di progetto, un’estesa spianata incolta da cui emergono edifici industriali di varie epoche, risiede nella stretta relazione che intesse con il centro storico della città e la sua rete ferroviaria. Il progetto mira alla creazione di uno spazio in grado di instaurare un dialogo tra le diverse parti della città, con una particolare attenzione al rapporto tra il nucleo storico e i quartieri a sud, oggi emarginati dalla frattura determinata dal passaggio della linea ferroviaria. Lo scenario progettuale che scaturisce da questo studio si compone di tre elementi, che a loro volta costituiscono tre centralità: un’infrastruttura lineare, una torre e un vasto parco urbano. L’infrastruttura lineare, una lunga e articolata promenade architecturale formalmente aperta alle relazioni con ciò che intercetta, aggancia lungo il suo sviluppo diverse preesistenze, tra le quali gli stabilimenti dismessi e la stazione ferroviaria della città, accogliendo in sé nuovi spazi e servizi. La torre è situata all’intersezione tra la direzione di un importante asse viario del centro città (via San Giuseppe) e una sopraelevata ciclabile di progetto, ricavata sul sedime della linea ferroviaria dismessa tra Saronno e Seregno. Il parco urbano, infine, tiene insieme i diversi elementi di progetto e gli edifici recuperati, legandoli in un sistema unitario. Il coinvolgimento nel progetto della stazione, che diviene un elemento di connessione urbana, tiene poi in considerazione il ruolo significativo di questa nella rete ferroviaria regionale, generando la possibilità di dar luogo a considerazioni e dinamiche di grande scala. Il progetto ha riflessi, quindi, sia sugli spazi urbani sia a livello sovracomunale e regionale.

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Esploso assonometrico degli elementi che compongono l’infrastruttura lineare L’infrastruttura lineare in relazione con gli spazi aperti. Rendering di progetto

WHAT/IF - ex isotta fraschini, saronno  57


58  cinque scenari per cinque aree industriali dismesse


Il nuovo atrio della stazione di Saronno ridefinito dall’infrastruttura lineare. Rendering di progetto e prospetto nord Schema dell’interazione tra la parte terminale dell’infrastruttura lineare e il fabbricato esistente della stazione di Saronno

WHAT/IF - ex isotta fraschini, saronno  59



iRED ex lanerossi, schio

denominazione: ex Lanerossi luogo: Schio (VI) realizzazione: 1862-1961 superficie totale dell’area: 13 ha lo scenario di trasformazione qui presentato è stato elaborato nel laboratorio di laurea Industrial Wrecks, condotto nella cornice delle ricerche sui relitti industriali del ReLOAD_Research Lab of Architecturban Design, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Università degli Studi di Padova le immagini qui pubblicate sono una selezione tratta da: iRED. Industrial Regeneration & Enhancement Design @Lanerossi_Schio Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile - Architettura Università degli Studi di Padova a.a. 2017-2018 laureato: Daniele De Franceschi relatore: Luigi Stendardo

L’area ex Lanerossi, ad ovest del centro storico della città di Schio (Vicenza), si connota come un tipico spazio industriale dismesso, dimenticato, e chiuso, che presenta tuttavia caratteristiche peculiari, come la stretta vicinanza con la città consolidata e la presenza al suo interno di singolari manufatti di archeologia industriale. Il progetto mira alla definizione di uno scenario di trasformazione a partire dall’ampia area racchiusa all’interno del vecchio muro di cinta del complesso industriale, punteggiata dagli edifici superstiti, abbandonati durante il declino del colosso Lanerossi. Pur trovandosi al limite del centro storico, l’area risulta invisibile: non è possibile oltrepassarne i confini, né percorrerla per misurarne di persona l’estensione. La parte percepita dagli spazi della città si riduce alla facciata principale della Fabbrica Alta, edificio insolito per la sua dimensione in altezza, se confrontato con gli edifici produttivi della stessa epoca. I pochi scorci visibili dalle strade adiacenti al perimetro mostrano frammenti di una realtà sconosciuta, appartenente a un’epoca passata, quasi un’altra dimensione. La strategia di trasformazione prevede l’inserimento tra gli spazi e gli edifici esistenti di un elemento lineare in grado di mettere a reagire i diversi materiali esistenti (edifici, superfici, vegetazione) in una successione di spazi e luoghi che genera nuove viste e nuove occasioni di attrarre flussi dalla città. Un elemento lineare – un doppio muro che contiene spazi e servizi – riorganizza e attrezza lo spazio, rendendolo il più possibile versatile nell’ottica di nuovi usi. Lo scenario cerca di instaurare relazioni sia all’interno dell’area sia con la città compatta, per trasformare progressivamente in uno spazio ricettivo ed aperto con forti connotazioni relazionali ciò che ora si conforma come un frammento urbano delimitato e introverso.

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Interno dell’edificio ex magazzino-palestra industriale Fronte est dell’edificio denominato Fabbrica Alta Immagini della dismissione industriale all’interno dell’area

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iRED - ex lanerossi, schio  67


Ingresso alla villa Grazia Cattania, lungo la SP 13 Vista della torre dall’asse principale di accesso all’area. Rendering di progetto

nelle pagine successive L’edificio assemblaggi adibito a hall e sale conferenze. Rendering di progetto Vista della piazza all’interno dello scavo verso l’ingresso della nuova torre. Rendering di progetto La piazza di accesso alla torre, nello scenario diurno e notturno. Rendering di progetto

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STILL IN MOTION - ex bugatti, campogalliano  81


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STILL IN MOTION - ex bugatti, campogalliano  83


La nuova torre. Rendering di progetto Sezione lungo l’asse di accesso e distribuzione all’area

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STILL IN MOTION - ex bugatti, campogalliano  85



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