progetti di architettura 05
antonio monestiroli | prototipi di architettura
a cura di Massimo Ferrari Claudia Tinazzi Cinzia Simioni Alessandro Tognon
ILPOLIGRAFO
Antonio Monestiroli. Prototipi di architettura
con il patrocinio di
Mostra ideata e promossa da Di Architettura associazione culturale a cura di Tomaso Monestiroli, Cinzia Simioni e Alessandro Tognon pubblicazione realizzata in occasione della mostra
Sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana
Antonio Monestiroli. Prototipi di architettura a cura di Massimo Ferrari, Claudia Tinazzi, Cinzia Simioni, Alessandro Tognon in collaborazione con il Comune di Padova Padova, Palazzo della Gran Guardia 15 settembre - 7 ottobre 2012
Scuola di Architettura Civile
ideazione e allestimento Massimo Ferrari, Tomaso Monestiroli, Cinzia Simioni Claudia Tinazzi, Alessandro Tognon, Elisa Toscano
in collaborazione con
si ringraziano per la collaborazione alla mostra Federica Cattaneo, Matteo Morsoletto, Fabio Sebastianutti fotografie Marco Introini Donato Di Bello (pp. 90-93)
Comune di Padova
modelli Lorenzo Clerici, Attilio Francioli Lola Ottolini e Bettina Palvarini Lorenzo Serafini, BRGstudio traduzioni Elisa Achiluzzi, Giulia Pierazzo produzione dell’evento Di Architettura associazione culturale Piazza Eremitani - Via Cassan, 34 tel. +39 049 8765858 fax +39 049 8210654 e-mail: info@diarchitettura.org collana diretta da Cinzia Simioni, Alessandro Tognon progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon copyright © settembre 2012 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-791-7
con il contributo di
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Veneto
Provincia di Padova
indice
07
introduzione la ragione di una mostra cinzia simioni e alessandro tognon
11
l’ordine della città moderna uwe schröder primi progetti
15
i modi dell’architettura antonio monestiroli case
27
una casa nel bosco raffaella neri torri
39
edifici che guardano lontano e che sono visti da lontano carlo moccia cimiteri
51
le “città” speculari bruno messina chiese
61
la riconoscibiltà del sacro tomaso monestiroli aule
73
la costruzione semplice dell’architettura massimo ferrari libri
85
libri come progetti claudia tinazzi
89
edifici costruiti
110
biografia di antonio monestiroli
111
studio monestiroli architetti associati
113
traduzioni / translations
introduzione la ragione di una mostra cinzia simioni e alessandro tognon
Chiesa di San Carlo Borromeo alla Fonte Laurentina, Roma. Da sinistra: Massimo Ferrari, Tomaso Monestiroli, Antonio Monestiroli, Alessandro Tognon, Cinzia Simioni, 4 maggio 2012
Questo volume nasce in occasione della mostra “Antonio Monestiroli. Prototipi di architettura”, presentata al Palazzo della Gran Guardia di Padova: un passo importante, che segna il primo biennio dell’associazione culturale “Di architettura”. In questo periodo si è cercato di promuovere e ricostruire un dibattito sull’architettura dall’interno della città di Padova, con uno sguardo verso tematiche ben più ampie. Mostre, convegni, conferenze e nuove pubblicazioni hanno permesso di riprendere il filo di un “realismo culturale”, con l’obiettivo di riscriverne nuovi capitoli. Il biennio La città: Forma e Spazio. Architetture in Italia e Germania è stato il contenitore di tutto questo: nel coinvolgere oltre trenta figure, tra architetti, storici e critici di architettura, si è cercato di cogliere un comune modo di vedere la città, di come progettarla oggi, pezzo su pezzo, come un grande manufatto che cresce nel tempo e che proprio da delicati equilibri trova la sua ragione d’essere, prendendo forma tra quel che è stato e quel che sarà. Dice Monestiroli, “alla ricerca di una città moderna che non può che avere un nuovo ordine che va di volta in volta ridefinito”. Dedicare l’ultima grande mostra del nostro biennio proprio ad Antonio Monestiroli, architetto-maestro e professore, è stata per noi – al di là dell’evento culturale in sé – un’esperienza importante, che segna un altro passo fondativo per il nostro modo di fare e pensare l’architettura. Come Monestiroli ci disse, in uno degli incontri avuti, “ognuno si sceglie i propri maestri nel tempo e nello spazio”. Monestiroli architetto e professore: rappresentante della scuola milanese, maestro ed erede dell’architettura razionalista (o “razionale”, come lui preferisce chiamarla), si laurea con Franco Albini per poi passare a insegnare con profitto presso la Facoltà di Architettura civile del Politecnico di Milano e diventarne per molti anni il preside. Monestiroli studioso e ricercatore: numerose le sue pubblicazioni, diventate successivamente volumi indispensabili per una prima formazione teorica degli studenti, strumenti per la ricerca e per l’approfondimento. Tra questi ci teniamo a ricordare: L’architettura della realtà (Milano 1979), La metopa e il triglifo (Roma 2002), La ragione degli edifici (Milano 2010). Il primo incontro ufficiale con il Maestro è avvenuto nel suo studio di Milano, in via Cardinale Ascanio Sforza 15, il 28 marzo 2012: qui Monestiroli si è dimostrato, sostenuto dalle persone che lo circondano, persona elegante e accogliente, proprio come l’ambiente in cui lavora, un luogo meraviglioso legato alla storia, all’architettura e al cinema – il suo studio si trova al piano terra di una tipica casa a ballatoio milanese. Fin da subito egli ci ha parlato dell’idea della mostra, di come distribuire i progetti – anche di periodi diversi – per temi. Trattare per temi corrisponde al loro modo 7
di lavorare, nel senso che i temi nella costruzione delle forme e degli spazi delle città sono pochi e sono posti dalla collettività nel suo insieme. Ogni sezione rappresenta quindi un tema: la casa, la torre, l’edificio ad aula, la chiesa, il cimitero e per ultimo i libri, i suoi libri. Ogni tema è rappresentato in tre modi differenti: le fotografie del costruito, i disegni originali dei progetti e i modelli in legno. I suoi “prototipi”, come Monestiroli ama chiamarli, indicano un modo di lavorare e sono un esempio di come andrebbe svolto e affrontato ogni singolo tema in architettura. Egli afferma che: “[...] il tema in architettura è il tramite fra l’architettura e la realtà, il tema è posto dalla realtà esterna, la casa, il teatro, il museo [...] sono temi che appartengono alla città e che la città affida agli architetti perché questi ne mettano in opera il significato” (L’architettura della realtà, Milano 1979). Gli incontri con lui e con tutte le persone dello studio si sono poi ripetuti in maniera rituale, arricchendosi di grandi discussioni rispetto a come dovesse essere questa mostra, che cade in un momento ben specifico della sua vita, segnando un passaggio chiaro rispetto alle idee e al metodo che lo studio Monestiroli persegue da tempo. Ovviamente il tutto si impreziosiva nelle pause del pranzo collettivo, dove molte sono state le occasioni di ascoltare aneddoti e vicende che peraltro costituiscono importanti pezzi di storia dell’architettura contemporanea. Infine, si è andati a vedere e a toccare con mano le architetture costruite, così “verosimili” rispetto ai progetti, come Monestiroli afferma spesso con orgoglio: la stazione e la sistemazione residenziale e commerciale di Pioltello, il cimitero di Voghera e, non ultimo, un incontro emozionante al di fuori della sua amata Milano, a Roma, di fronte alla sua ultima opera, la chiesa di San Carlo Borromeo. Circondato da Tomaso e Massimo, Antonio Monestiroli ci ha illustrato questa interessante opera. Un’esperienza importante, forse unica: visitare e camminare attorno a questo spazio sacro, messo ora a disposizione della collettività che lo vive con amore e cura, assieme al suo autore, abile nel descriverlo con minuta precisione. “L’architettura ha una realtà sua propria, esiste al di fuori di ognuno di noi, insieme a un’idea di architettura che è patrimonio collettivo, un bene che non è scindibile dalla cultura del tempo. [...] ciò che lega chi progetta alla collettività è il fatto di lavorare su un terreno ben noto a tutti. Da qui l’inviolabilità dell’idea collettiva, pena il rifiuto del nostro lavoro, la generale indifferenza rispetto a esso” (La metopa e il triglifo, Roma 2002). La coerenza del fare dello studio Monestiroli Associati si nota anche nella corrispondenza concreta tra la mostra e il presente volume, arricchito da saggi teorici che chiariscono il metodo utilizzato per l’approccio ad ogni tema. Oltre ad Antonio Monestiroli ringraziamo per il suo contributo Uwe Schröder, che con il suo saggio introduttivo sviluppa una discussione e un dibattito già iniziati con il terzo volume della nostra collana, Uwe Schröder. Sugli spazi della città, del 2011. Un ringraziamento per l’aiuto e la costante presenza nell’organizzazione della mostra e del volume va a Tomaso Monestiroli, Massimo Ferrari e Claudia Tinazzi. Altri tre temi di questo volume sono stati sapientemente introdotti da Raffaella Neri, Carlo Moccia e Bruno Messina, con preziosi scritti, fra loro diversi quanto simili nel richiamare l’importanza di un pensiero comune per la definizione di una “scuola di architettura italiana”. 8 antonio monestiroli | prototipi di architettura
“Io penso che l’architettura sia una forma della realtà, una delle forme possibili in cui la realtà si rappresenta. Viceversa possiamo dire che la realtà ha una sua forma, una sua architettura, attraverso la quale noi conosciamo noi stessi e il mondo in cui viviamo. La realtà è tutto ciò che noi possiamo osservare, da un punto di vista nostro e di altri, essa è in gran parte indipendente da noi, addirittura preesistente a noi, al nostro pensare e al nostro agire. Trovo che riconoscere un certo distacco fra noi e la realtà sia una conquista della maturità che ci consente di osservare la realtà, appunto, e quindi noi stessi che della realtà facciamo parte, da una certa distanza e di riconoscere una segreta magia” (La ragione degli edifici, Milano 2010). Citando i suoi tre libri in questo testo, abbiamo voluto spiegare “la ragione di una mostra” dedicata all’opera di Antonio Monestiroli. Ciò risulta oggi ancor più necessario in un momento in cui alla crisi del progetto si aggiunge la crisi del costruito, della costruzione intesa come sviluppo morale e non solo urbanistico, che lega il destino dell’uomo a quello delle città in cui vive. Come ci insegna la storia, dopo ogni periodo negativo esiste la possibilità di una nuova epoca, che capisca gli errori del passato riscoprendone invece pregi e positività. In merito al tema del progetto – di tutto il resto noi architetti restiamo testimoni oculari non protagonisti – questa mostra, questo volume, questo maestro dell’architettura contemporanea, al di là di ogni tipo di retorica, indicano una via da seguire, che a noi appare tra quelle più giuste. Di questi tempi è già molto.
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primi progetti
i modi dell’architettura antonio monestiroli
...quel nobile scopo dell’arte che è la conoscenza della cosa in sé, della cosa che si costruisce... Antonio Banfi
Sala Civica a Torricella Peligna, Chieti 1985
Una buona architettura inizia dall’elaborazione del programma. Questa affermazione, per quanto ovvia possa sembrare, oggi è quanto mai controversa. Oggi il programma non è affidato a chi fa il progetto di architettura perché lo tragga dalla realtà del suo tempo, ma è dato da una committenza che di solito non accetta che venga messo in discussione. In questo modo, a chi fa il progetto, viene a mancare un dato di partenza importante e prezioso che è la conoscenza del valore più generale di ciò che dobbiamo costruire, che ci consente di definirne il carattere. Se questo è dato dal committente, per lo più coinciderà con il suo valore pratico o addirittura commerciale. Ma come ho già detto altrove, non è il valore pratico che ci deve interessare, anche se questo è sempre il movente della costruzione, ma il valore culturale, che è l’estensione del valore pratico, la sua generalizzazione. Per essere più chiaro porterò ad esempio il mio lavoro. Progettando un teatro per un concorso a Udine nel 1974, la lunga riflessione sul tema mi ha portato a concludere che nel teatro sempre si fronteggiano due parti e che in questo confronto sta il suo valore più generale. Tutto il resto è secondario. Importante nel teatro greco è il confronto della cavea con il paesaggio naturale; nel teatro romano con la scena fissa, metafora della costruzione; nel teatro all’italiana con il luogo magico nascosto dietro ad un sipario. Da qui al formarsi di una prima, anche se vaga, idea formale del mio teatro il passo è stato breve: ho pensato ad un luogo compreso fra due scene fisse contrapposte. Questo è stato il punto di partenza, per me molto importante, che ha determinato tutti i passaggi successivi. Se non avessi avuto piena libertà nel programma, se non avessi avuto la possibilità di riflettere sul senso generale del teatro, la sua finalità, non sarei mai arrivato a immaginare questa forma embrionale, questo schema tipologico da compiere con la costruzione. Questa prima forma non è tratta da altre forme dunque, ma da una riflessione su ciò che è, o su ciò che può essere, un teatro. Questo è il primo e delicato passaggio da un’idea, esprimibile anche a parole, ad una forma che, attraverso la costruzione, assume un suo corpo. Naturalmente in questo passaggio si viene influenzati, o meglio ci si fa aiutare, da tutti gli esempi che per analogia ci vengono alla mente, ma questi non sarebbero di nessun aiuto, anzi produrrebbero copie senza vita, se non ci si mettesse alla ricerca, ogni volta di nuovo, del senso di quel che si sta costruendo, della sua ragione ultima. È in questa prima fase conoscitiva che si applica il pensiero analogico. Sia fra le idee 15
e le forme ad esse compatibili, sia fra le forme in via di definizione e quelle che troviamo nella storia, che ci permettono di esprimere un giudizio sulle forme del nostro progetto. Una doppia analogia, che da una parte ci consente di verificare la fondatezza delle nostre idee e, dall’altra, di competere con le forme della storia. Essenziale in questa prima fase è l’esercizio dell’immaginazione, la capacità, di fronte al formarsi dell’idea, di immaginare una forma rispondente. In questo esercizio ci tornano alla mente le emozioni provate attraverso la nostra esperienza delle architetture del passato, remoto e recente. Non tanto le forme o non soltanto queste, ma le emozioni provocate da queste. Quelle emozioni che vorremmo essere capaci di provocare a nostra volta con il nostro progetto. Ripensando al progetto per il teatro di Udine ricordo che cercavo di immaginare l’esperienza del luogo lungo il percorso che, dagli stretti ingressi laterali, porta direttamente al centro delle due scene contrapposte. Tutto poi, ogni singola mossa successiva per costruire quel luogo, avrebbe dovuto obbedire a quel programma. Ogni passaggio, dalla costruzione alla forma delle singole parti, avrebbe dovuto sottolineare quell’esperienza. Come si vede nella storia non si trasportano le forme (che è giusto restino nel tempo che le ha generate), ma si trasportano le idee e le emozioni che quelle forme provocano in noi. Solo così, solo attraverso il riconoscimento di quelle idee e l’esperienza di quelle emozioni, saremo in grado di trovare nuove forme capaci di rappresentare i valori del nostro tempo. Fin qui il nostro lavoro rimane all’interno di una realtà immaginata. Le forme sono ancora senza corpo. Per diventare reali devono confrontarsi con i dati concreti del luogo, con le esigenze della funzione e con le regole della costruzione. Ma noi sappiamo già, anche se non ancora precisamente, cosa vogliamo costruire e questa nostra condizione ci aiuta a confrontarci con tutti questi dati e a scegliere, fra i tanti possibili, i modi appropriati della costruzione. Quando Mies progetta la Convention Hall a Chicago (1953) sa bene quali sono i problemi di una copertura di duecento metri di luce su ambedue i lati dell’aula, eppure non si fa condizionare da tali problemi, cerca la soluzione più adatta a mettere in massima evidenza la vastità del luogo recintato senza contraddire, anzi esaltando, l’unità della sua forma. La costruzione si obbliga a realizzare l’idea di progetto, a metterne in opera il carattere. Non si sovrappone all’idea, tanto meno si sostituisce ad essa. Il suo compito è realizzarla. Gli esempi antichi e moderni sono molti. Pensiamo alle difficoltà tecniche della costruzione della cupola nel Rinascimento. Eppure, di fronte a questo compito, la tecnica costruttiva si è sviluppata fino al raggiungimento del suo fine. Per gli architetti del Rinascimento la costruzione della cupola non è solo un fatto tecnico con cui misurarsi, ma è la realizzazione di una forma analoga alla volta celeste che sta sopra il capo di tutti i cittadini. Per realizzare questo programma andava trovata, ad ogni costo, la soluzione tecnica appropriata. Qualcuno può dire che il programma si realizza nel tempo insieme all’avanzamento delle tecniche costruttive, certo è che senza un’idea precisa di quel che si vuole costruire la costruzione in sé non ha valore alcuno. Oggi non tutti sono d’accordo con questa affermazione. Molti conducono ricerche tecnologiche sofisticate,
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convinti che siano ricerche di architettura, in una confusione fra mezzi e fini che non ha precedenti. Torna alla ribalta la teoria di Laugier della capanna primitiva intesa come supremazia delle forme tecniche. Ma l’architettura non è direttamente costruzione, in modo più evoluto è rappresentazione dell’atto costruttivo e delle sue motivazioni più generali. È il tempio e non la capanna che compie il passaggio dalla costruzione alla sua metafora, e l’architettura nasce con la costruzione del tempio. Che dire oggi di questa affermazione? È necessario ripetere che la costruzione ha un fine che è esterno ad essa, nell’idea di ciò che si deve costruire che si deve rendere palese nel modo più chiaro possibile. Ignazio Gardella diceva che “l’architettura è costruzione di un’idea”. Per svolgere questo compito la costruzione deve rendere riconoscibile il suo ruolo, la logica dei suoi elementi, delle loro misure, dei loro rapporti. Nella capanna gli elementi della costruzione hanno la forma degli elementi naturali, i tronchi, i rami incrociati, ecc. Nell’architettura più evoluta sono riconoscibili dalla loro forma che è rappresentativa del loro ruolo (la colonna e le sue parti, l’architrave e i suoi elementi). Anche quando gli ordini classici non saranno più in uso, se non per fini ornamentali, gli elementi della costruzione (i pilastri, gli architravi, il muro, le volte) si renderanno riconoscibili insieme all’idea che mettono in opera. La riconoscibilità degli elementi non è la proprietà di un solo modo della costruzione, non coincide con gli ordini classici o con forme semplificate di questi, ma è possibile sempre, anche in sistemi costruttivi molto diversi fra loro. Un esempio per tutti è la cattedrale. Tanti sono i motivi della meraviglia che si prova entrando nella cattedrale di Chartres in un giorno di sole. Intanto la luce, che attraversa la struttura delle navate, del coro e del rosone sul fronte, poi la dimensione e le proporzioni della navata principale, uno spazio magnifico, nel senso letterale del termine (che fa grande chi lo frequenta) e, infine, per chi è interessato a capire i modi di quella straordinaria impresa, la logica della costruzione. Il ramificarsi delle pietre che sorreggono le volte, la loro riunificazione nelle colonne composite delle navate, ci fa sembrare tutto così naturale da lasciare che la nostra attenzione sia dominata dalla generale bellezza del luogo. Un luogo dove avvengono tante cose diverse, ma che produce in noi un’unica sensazione di meraviglia. Qui non vi sono i muri, le colonne e gli architravi propri degli ordini classici. Eppure anche nella cattedrale la logica della costruzione è ben comprensibile, è rappresentata in modo esemplare, se ne comprende la finalità e ci comunica l’orgoglio di chi l’ha messa in opera, pietra dopo pietra.
antonio monestiroli | primi progetti 17
Concorso per il quartiere delle Halles a Parigi, 1979 con Paolo Rizzatto; coll. Joseph Campanella, Elisabeth Hammond, Cristina Manzoni, Joy Siegel, Jeffrey Stark planivolumetria generale foto del modello fotomontaggio di progetto
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antonio monestiroli | primi progetti 23
Concorso per il nuovo ponte dell’Accademia a Venezia, 1985 Biennale di Venezia, III Mostra internazionale di Architettura con Antonio Paolucci, Giacomo Tutucci; coll. Cecilia Bolognesi, Lorenzo Clerici, Alba Gallizia foto del modello piante ai vari livelli prospetto e planivolumetria disegno di studio
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