LO STABILIMENTO PEDROCCHI Alessandro Baù LA LIBRERIA DRAGHI RANDI Oddone Longo, Paolo Maggiolo
OTTONOVECENTO A PADOVA profili, ambienti, istituzioni collana diretta da Mario Isnenghi
ILPOLIGRAFO
OTTONOVECENTO A PADOVA
profili, ambienti, istituzioni
collana diretta da Mario Isnenghi 1
LO STABILIMENTO PEDROCCHI UN CAFFÈ PER LA CITTÀ Alessandro Baù LA LIBRERIA DRAGHI RANDI Oddone Longo Paolo Maggiolo
ILPOLIGRAFO
Gli Autori e l’Editore ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa pubblicazione, in particolare le biblioteche e gli archivi padovani pubblici e privati. Si segnala che le immagini del Caffè Pedrocchi provenienti dalla Biblioteca Civica di Padova sono fornite su gentile concessione del Comune di Padova - Assessorato alla Cultura. Oddone Longo e Paolo Maggiolo ringraziano, per la cortese collaborazione, il signor Pietro Randi e la signora Sonia Cini Drudi. L’Editore rimane a disposizione per qualsiasi eventuale obbligo in relazione alle immagini riprodotte.
progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon copyright © ottobre Il Poligrafo casa editrice Padova piazza Eremitani - via Cassan, tel. - fax e-mail casaeditrice@poligrafo.it ----
INDICE
Presentazione Mario Isnenghi
LO STABILIMENTO PEDROCCHI ` PER LA CITTÀ` UN CAFFÈ
Alessandro Baù
LA LIBRERIA DRAGHI RANDI
La libreria Oddone Longo
Le edizioni della libreria Paolo Maggiolo
Indice dei nomi
L’anima di una città... Il carattere di un popolo... Così, nell’Ottocento, parlavano i romantici. Noi, oggi, parliamo di radici, parliamo di identità. E ne parliamo tanto. Meno ne abbiamo, più ne parliamo. Più le smarriamo, o abbiamo la sensazione di poterle smarrire, e più ne coltiviamo il bisogno e la nostalgia. Questa collana di schegge visive e di affondo restaurativi nella memoria – di Padova, dei Padovani e dei moltissimi che sono passati per Padova quando toccava alla loro generazione incarnare l’antica, secolare figura dello studente a Padova – muove da questi bisogni tutt’attorno affioranti. Viviamo nel presente e del presente, siamo anzi presentisti – in altri termini, non vediamo più in là del nostro naso, sia davanti che dietro – e però quanto ci piace annusare, fingerci, ripercorrere i nostri prossimi o remoti ieri collettivi. Ebbene, premesso – e promesso – che di parole vaghe come appunto le suddette – anima, carattere, radici, identità – faremo un uso il più parco e sobrio possibile, partiamo per un viaggio guidato, a più voci. Lo spazio è Padova, con le sue propaggini naturali, verso il Bacchiglione e i Colli. Il tempo è quello di Padova italiana, senza negarci – con discrezione e misura – punti di partenza e percorsi più lunghi, quando saranno necessari. Ottonovecento a Padova: questo il nostro ambito. Profili ambienti istituzioni: il ventaglio degli approcci, fra persone e luoghi identificati come quelli che definiscono e strutturano una storia. Una non piccola storia, una storia non minore: con una grande università, un grande santo, una grande piazza, un grande caffè... I ritratti stereotipati qualche volta tradiscono, lasciando
fuori troppe cose; ma un po’, anche, ci pigliano, dando alveo e direzione allo sguardo. Apriamo la serie con il Caffè Pedrocchi: quasi un compleanno, è nato nel e ha dunque la bella età di centottantadue anni. Un grande architetto, molto presente nelle architetture e nei giardini padovani, Giuseppe Jappelli; un imprenditore, Domenico Cappellato, che pensava in grande, commissionando a quella fir ma non semplicemente una bottega, ma il “tempio” del caffè, luogo di tempo libero, di conversazione urbana, di affari, di concertazioni politiche; e infatti, varcati colonnati e sfingi, grandi e spettacolari sale, sotto e sopra, un curatissimo intreccio di dipinti, stucchi e sculture. L’erede del fondatore, confermando la dimensione pubblica e ben più che commerciale di questo luogo centrale, lo lascia a fine Ottocento al Comune. Spetterà alle autorità locali garantire anche nel Novecento – non sempre riuscendoci – questa rappresentatività civica. Il Pedrocchi è “Padova” anche fuori di Padova e per chi padovano non è. Non per tutti, ma nel mondo dell’Università e della cultura è stata “Padova”, per un arco di tempo quasi altrettanto longevo, una grande libreria, asilo e porto di mare dei libri e dei lettori di libri: la Libreria Draghi. Tanto tradizionale e consustanziale all’ambiente cittadino da continuare a chiamarsi ed essere chiamata “da Draghi”, anche tre generazioni dopo che i Draghi non c’erano più ed erano subentrati i Randi. Ma il luogo, lo stile, le frequentazioni, i successivi Numi tutelari appartenenti al mondo dei professori rimanevano: anche qui, un’impresa commerciale, ma non solo un’impresa commerciale. Un architrave durevole dell’immaginario e dell’identità cittadina.
Lo Stabilimento Pedrocchi un caffè per la città
Alessandro Baù
Nota dell’Autore Il saggio che segue deve molte delle sue informazioni al ponderoso volume di lionello puppi, Il Caffè Pedrocchi di Padova, edito da Neri Pozza a Vicenza nel 1980; ad esso si rimanda anche per la puntuale bibliografia presente. Parimenti importanti nella redazione del mio lavoro sono state le dispense del corso monografico tenuto per l’ordinamento di Storia dell’Urbanistica moderna dal professor ruggero maschio, Architettura veneta dell’Eclettismo. Invenzioni e costruzioni tra estetica del “sublime”, istanze giacobine e segreti massonici nell’Italia e nell’Europa dell’Ottocento, Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1996-1997. Oltre agli studi di Puppi e di Maschio, cfr. anche i seguenti lavori: b. mazza, l. puppi, Guida storica al Caffè Pedrocchi di Padova, Padova, mp Edizioni, 1984; Il Caffè Pedrocchi in Padova. Un luogo per la società civile, a cura di b. mazza, Padova, Signum, 1984; la guida di p. possamai, Caffè Pedrocchi, Milano, Skira, 2000. Abbreviazioni acs aspd bcpd cat. ed gp pnf pref. rel.
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1. premessa L’uso di bere caffè è attestato per le culture islamiche già dal vii secolo. Come bevanda non inebriante e che al contempo rende sobri e stimola l’intelletto, essa sembrò creata apposta per una cultura che aveva proibito il piacere dell’alcol ed era stata invece madre della matematica moderna. Verso il xv secolo, la bevanda è ampiamente diffusa a Damasco, a Il Cairo, a Istanbul. Dalla metà del xvii secolo raggiunge, assieme alla cioccolata, al tè e al tabacco, anche l’entroterra europeo, penetrando attraverso i centri strategici del commercio con il Levante: a sud, Venezia e Marsiglia, e a nord, Londra e Amsterdam. Verso la fine del xvii secolo il caffè può dirsi diffusamente conosciuto. Come ha osservato Schivelbusch, per l’aristocrazia europea bere caffè fu “una ricercatezza supplementare, alla maniera delle cineserie ove la forma prevale sul contenuto. Diverso il modo di considerare il caffè proprio della coeva società borghese dove, al contrario, il contenuto prevale sulla forma”. Nella mentalità borghese, dedita agli affari e al commercio, la bevanda diventò il carburante di cui si elencano le infinite proprietà. Le indagini di Prospero Alpino, medico e botanico marosti Per una storia sociale del caffè cfr. w. schivelbusch, Storia dei generi voluttuari. Spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol e altre droghe, postfazione e cura di a. borsari, Milano, Bruno Mondadori, 1999, pp. 17-92; inoltre b.a. weinberg, b.k. bealer, Tè, caffè e cioccolata. I mondi della caffeina tra storie e culture, Roma, Donzelli, 2001, pp. 3-34.
alessandro ba
cense, furono le prime in Italia a dare veste “scientifica” alle convinzioni sulle virtù terapiche degli infusi di caffè. Nel suo De plantis Aegypti, stampato a Venezia nel 1592, si legge: Ho veduto un albero da cui son prodotti semi che qui si chiaman bon o anche ban: con questi gli egiziani e gli arabi preparano un decotto diffusissimo che bevono in abbondanza al posto del vino e che si vende nelle osterie, come da noi il vino e che chiamano Caova. Questi semi sono stati presi dall’Arabia felix. L’albero che ho esaminato è color verde più intenso e sempreverdi. Come ho già detto, a tutti è ben noto l’utilizzo di questi semi per preparare il decotto a modo loro. Lo usano per dar forza allo stomaco debole e per favorire la digestione e pure per liberare le viscere.
Il caffè, di lì a poco, diventerà un rimedio efficace per rafforzare fegato e cistifellea, per alleviare l’idropisia, per tenere svegli e per favorire il sonno, per raffreddare i temperamenti caldi e per riscaldare quelli freddi. Insomma, il caffè diventò tutto e il contrario di tutto, una panacea universale. Sfoltendo le molteplici proprietà, poi in parte smentite dalla medicina moderna, una rimase fissa e parve mettere d’accordo tutti attraverso i tempi: il caffè rende sobri ed è il naturale antagonista dell’alcol. Il passo che lo portò a essere aspetto identitario di una nuova epoca contrapposta alla precedente ha la sua ragion d’essere nel senno, nel raziocinio e nell’operosità che si credeva di intravedere nei bevitori di caffè contrapposti all’incapacità e all’ozio dei bevitori di alcol. Jules Michelet così sintetizzò: Dunque la taverna è stata spodestata: detronizzata la taverna, dove ancora cinquanta anni prima i giovani barcollavano tra le botti e le donnacce. Diminuiti nell’aria i canti zuppi di liquori, diminuiti i nobili stesi sui marciapiedi [...]. Il caffè, la sobria bevanda, il potente nutrimento del cervello, che, solo, accresce chiarezza e lucidità; il caffè, che disperde le fosche nubi dell’immaginazione e d’improvviso illumina la realtà delle cose con l’empito della verità.
p. alpinus, De plantis Aegypti liber, apud Franciscum de Francisci Senensem, Venetiis 1592, cap. xvi, p. 36 [ristampa anastatica a cura di e.m. cappelletti, g. cassina, l. cremonini, g. ongaro, Marostica (vi), Antilia, 2009]. La citazione di Michelet in b.a. weinberg, b.k. bealer, Caffeina. Storia, cultura e scienza della sostanza più famosa del mondo, presentazione di e. illy, trad. it. di G. Tarantino, Roma, Donzelli, 2002, p. 121.
lo stabilimento pedrocchi. un caff per la citt
L’affermarsi del caffè significò, quindi, il tramonto della civiltà del vino “fatta di deliri, ebbrezze, invasamenti” e l’inizio di una nuova società che si voleva basata sulla riflessione, la meditazione, la chiarezza di idee, la cui protagonista indiscussa avrebbe dovuto essere (e sarà) la nuova borghesia. All’inizio le botteghe del caffè non si discostavano molto dalle tradizionali osterie: gli ospiti sedevano a un tavolo simile a quello di una taverna e venivano serviti da un oste che versava il caffè da un boccale non diverso da quello impiegato per il vino o la birra. L’unica differenza era che il caffè veniva bevuto in tazze (peraltro grandi e senza manici) invece che in bicchieri o boccali. Ma la grande novità stava nell’atmosfera che regnava nelle botteghe, un’atmosfera sobria e tranquilla, opposta al caos rumoroso delle bettole e delle osterie. Nel xviii secolo il caffè è il locale pubblico per eccellenza; è il luogo in cui la borghesia sviluppò le proprie peculiari forme culturali. Come ha evidenziato Agulhon si ha pienamente sociabilité quando all’interno dei gruppi c’è scambio paritetico tra individui. Il caffè realizzò queste condizioni al massimo grado: chiunque fosse in grado di pagare la consumazione aveva diritto all’accesso. Come è noto, all’interno di questi spazi circolavano idee, si discutevano progetti, si commentavano i fatti del giorno. Spesso i caffè erano abbonati a giornali italiani o stranieri i quali erano parimenti il segno di una curiosità, di una costante e latente irrequietezza tanto più viva in un paese come il nostro, che si apprestava a superare la condizione di “volgo disperso che nome non ha”. I caffè in sostanza divennero spazi in cui l’effervescenza spirituale priva di concreti sbocchi politici trovava contemporaneamente alimento e risposta alle proprie inquietudini. Certamente furono i giornali e le gazzette a favorire il formarsi di una opinione pubblica. Non fu sufficiente solo questo, però. La stampa ottocentesca visse una vita spesso stentata ed effimera, in cui la figura del redattore coincideva con quella dell’editore, del distributore, del direttore re Per quanto concerne il vasto campo degli studi sulla sociabilité, qui si rimanda solo a m. agulhon, Il salotto, il circolo, il caffè. I luoghi della sociabilità nella Francia borghese (1810-1848), Roma, Donzelli, 1993.
alessandro ba
sponsabile, determinando un’intrinseca fragilità dell’intero impianto editoriale. Il caffè, inteso come luogo, fornì allora un “supporto” in cui le opinioni potessero beneficiare di una cassa di risonanza in grado di far permanere le notizie e di essere quindi conosciute da un maggiore numero di persone. L’informazione politica, la cronaca quotidiana, le novità artistiche e letterarie, in una parola gli spunti che provenivano dalla carta stampata circolarono all’interno dei caffè; i ceti in ascesa, i gruppi professionali, gli artigiani e i commercianti animarono questi luoghi con i loro discorsi provenienti da ambiti lavorativi differenti, non più separati nel democratico caffè da rigide gerarchie di status. Il successo dei caffè crebbe in modo direttamente proporzionale alla diffusione della bevanda. Verso la metà del xviii quest’ultima non aveva più alcuna specifica funzione: aveva fornito la scintilla perché si creassero degli spazi in cui la parte più viva della società potesse trovare un luogo che ne rispecchiasse il peculiare dinamismo, la voglia di ascesa e di affermazione sociale. Il padovano Antonio Pedrocchi, sulla cui opera questo lavoro si concentra, non fu probabilmente consapevole del ruolo che il suo stabilimento avrebbe giocato nella società padovana tuttavia, al di là della consapevolezza, il “Palladio dei Caffettieri” fu certamente espressione di quella borghesia dinamica che con coraggio, lavoro e rischio personale contribuì in termini determinanti a porre le premesse per la crescita politica e culturale di una città e di un Paese. 2. il caff: da venezia alla terraferma Nel 1683 a Venezia si beveva il caffè in un solo locale, che era collocato sotto le Procuratie Nuove in piazza San Marco. Circa quarant’anni dopo lo stesso caffè si chiamerà “Venezia trionfante”, per distinguersi da un’altra caffetteria, “All’Ancora”, lì contigua e pronta a una spietata concorrenza. Ciò per evidenziare quanto dai primi anni del Settecento la fortuna delle botteghe da caffè crescesse esponenzialmente. Il loro numero fu tale da costringere la magistratura dei Cinque Savi alla Mercanzia a rivedere e aggiornare rapidamente i propri registri in funzione fiscale; a costringere lo stesso Se
1. A. Sorgato, Ritratto di Antonio Pedrocchi, litografia (Biblioteca Civica di Padova, d’ora innanzi BCP).
2. P. Paoletti, Ritratto di Giuseppe Jappelli, litografia (BCP).
3. G. Manzoni, Ritratti di A. Pedrocchi, G. Jappelli, B. Franceschini, litografia (BCP). 4. V. Gazzotto, Caricatura di Pedrocchi, Jappelli e Franceschini, disegno (BCP).
La libreria Oddone Longo
Cominceremo di lontano. Non dall’Ottocento, ma da fine Settecento. Agli inizi del suo grand tour, varcato il Brennero, oltrepassato il Garda e superate Verona e poi Vicenza, alla fine di settembre del , Johann Wolfgang von Goethe giungeva a Padova, dove si trattenne per alcuni giorni. La sua ammirazione andò soprattutto al Prato della Valle; all’Orto botanico, dove avrebbe immortalato la famosa palma; all’immenso salone pensile del Palazzo della Ragione; ma anche a Santa Giustina e agli Eremitani. L’Università (il palazzo centrale), in tutta la sua imponenza, lo sgomentò per la ristrettezza degli spazi riservati agli studenti, specie nel teatro anatomico. Una gradita sorpresa attendeva invece il nostro in una piazza del centro, quando scoprì una libreria, in cui si trattenne a lungo, amichevolmente accolto dai frequentatori. “In Italia”, annotò nella Italienische Reise, una libreria ha una fisionomia tutta particolare. I libri son tutti legati e disposti torno a torno; nella bottega si trova anche buona compagnia l’intera giornata. Tutta la gente che ha da fare in qualche modo con la letteratura, ecclesiastici, nobili, artisti, vi vanno e vengono come a casa loro. Richiedono libri, li consultano, li leggono e si trattengono lì a loro piacimento. Ve ne ho trovato una mezza dozzina; e tutti, non appena ebbi chiesto le opere del Palladio, rivolsero la loro attenzione verso di me. Mentre il padrone della bottega cercava il libro, essi presero a farne gli elogi, a fornirmi notizie sull’originale e sulla copia, egregiamente informati dell’opera e del merito dell’autore. Credendomi poi un architetto, non mi hanno risparmiato elogi per essermi dato
allo studio di questo maestro a preferenza degli altri. Mi sono intrattenuto a lungo con questi amabili signori, mi son fatto dare altri schiarimenti sui monumenti notevoli della città, e infine mi congedai.
Un importante documento, e di prima mano, della funzione non meramente mercantile, di bookshop, che una libreria poteva avere nell’Italia dell’epoca, in una città di cultura sede di una importante università. Condizione resa possibile dalla intelligente disponibilità del libraio, che tenendo liberamente aperto ai visitatori il suo negozio, e senza esercitare pressioni per l’acquisto, poteva contare anche su di un positivo ritorno economico. La professione del libraio richiedeva allora non solo capacità tecniche e mercantili, ma anche relazionali, e non fu un caso se Goethe, a conclusione della sua visita, se ne andò dopo aver acquistato una copia dell’opera del Palladio; si trattava, non dell’originale con le tavole incise in legno, bensì di un meno costoso facsimile con incisioni su metallo. Nell’assenza di un riferimento più preciso nel testo, si è oggi propensi a ritenere che la libreria in cui Goethe si intrattenne fosse quella di Carlo Scapin, sita allo sbocco in piazza delle Erbe dell’attuale via dei Fabbri, allora detta “del Lion d’oro”, denominazione assunta dalla stessa libreria. Carlo Scapin (-), libraio di tutto rispetto, ebbe fra i suoi clienti la Biblioteca Marciana, Ugo Foscolo, Vittorio Alfieri, che gli commissionò un gran numero di opere. Fra di essi anche il procuratore di San Marco Francesco Pesaro, cui si richiama il foglio che egli regge nella litografia del , ove si fa cenno ad “edizioni aldine e di Crusca” a lui destinate, e dove Scapin è immortalato come LIBRAJO DI MENTE | GALANTUOMO DI CUORE. Fra i libri che affollano la base del ritratto, “tutti legati e disposti torno a torno” secondo l’osservazione di Goethe, si nota un BEMBO EDITO DAL PESARO. Alla morte del Pesaro stesso, la sua biblioteca passò allo Scapin, che la inseriva tra i suoi già ricchi cataloghi. Si tratta della inedita Storia veneziana, la cui pubblicazione fu curata dal Pesaro nel . Il secondo Catalogo de’ libri italiani... del annovera pagine.
1. Angelo Draghi (1831-1915), il libraio veneziano che fondò a Padova l’omonima impresa.
2. Il primo libro pubblicato da Angelo Draghi nel 1871, con l’indirizzo completo dell’editore sul frontespizio.
3. Ritratto di Giulio Alessio (1853-1940), celebre uomo politico ed economista. Nel 1881, alcuni anni prima della sua chiamata alla cattedra universitaria e alla sua elezione in Parlamento, egli pubblicò con Angelo Draghi la dissertazione Di alcuni criteri propri nell’insegnamento superiore dell’economia politica. 4. Roberto Ardigò (1828-1920), massimo rappresentante della scuola filosofica positivista in Italia. 5. Copertina delle Opere di Roberto Ardigò che Angelo Draghi pubblicò tra il 1884 e il 1917.
6. Il medico Edoardo Bassini (1844-1924) deve la sua fama allo scontro di Villa Glori, cui prese parte nel 1867 accanto ai fratelli Cairoli, e all’invenzione di un Nuovo metodo operativo per la cura radicale dell’ernia crurale illustrato in un’apposita memoria pubblicata da Draghi nel 1893. 7. Edoardo Piva (1868-1960), professore di liceo, avvocato, deputato al Parlamento, nel 1893 pubblicò con Draghi la sua prima monografia, La guerra di Ferrara del 1482, frutto di una ricerca iniziata negli anni universitari sotto la guida dei professori Giuseppe De Leva e Giovanni Monticolo.
8. Enrichetta Usuelli Ruzza, direttrice della Scuola superiore femminile “Pietro Scalcerle”. Pubblicò con la Libreria Draghi il discorso La donna per la famiglia (1881), improntato sulle idee della vecchia tradizione.
49. L’artista Amen, al secolo Antonio Menegazzo (1892-1974), era solito frequentare tanto la Libreria quanto le manifestazioni che si organizzavano alla Chiocciola.
50-51. Vetrine su via Cavour.
52-53. Due immagini della Galleria S. Lucia entro cui affacciavano le ampie vetrine della Libreria Draghi. Aperta nel 1963, la galleria che collega via S. Lucia con vicolo S. Andrea fu realizzata dall’ing. Ferruccio Semenzato su commissione della famiglia Randi. Ăˆ decorata da un paio di affreschi di Fulvio Pendini, uno dei quali reca la seguente iscrizione: Hunc transitum Iosephus Randi librarius munifice voluit, aperuit, ornavit.
54-55. Gli interni della Libreria.
e 18,00
ISBN 978-88-7115-818-1