un’idea collettiva di città ? a collective idea of the city? da venezia a Porto Marghera from venice to Porto Marghera
a cura di edited by
Max dudler Simone Boldrin
ilpoligrafo
Un’idea collettiva di città ? A collective idea of the city?
un’idea collettiva di città ? a collective idea of the city? Da Venezia a Porto Marghera From Venice to Porto Marghera a cura di
Max Dudler Simone Boldrin
ilpoligrafo
Il volume raccoglie gli esiti del workshop Le isole di Porto Marghera prof. Max Dudler assistente arch. Simone Boldrin tenuto presso l’Università Iuav di Venezia all’interno del workshop W.A.VE. 2013 Porto Marghera, “l’altra Venezia” curato da Alberto Ferlenga con Serena Maffioletti 1 - 20 luglio 2013 Ex Cotonificio Santa Marta e Magazzini Ligabue crediti fotografici pp. 15, 18, 25, 26, 33, 56 Simone Boldrin Le immagini e le elborazioni presenti nelle schede sono da attribuire ai relativi studenti traduzioni delle schede transiting.eu / S. Piccolo Si ringraziano per l’appoggio nell’elaborazione grafica di immagini e disegni e per la consulenza sulle traduzioni in inglese Kilian Teckemeier, Katharina Laekamp, Erik Russo
progetto grafico Il Poligrafo casa editrice Laura Rigon copyright © dicembre 2015 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-917-1
Indice
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Introduzione. La città, un’opera collettiva Introduction. The city, a collective work Simone Boldrin
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Densità urbane Urban densities Max Dudler
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Nell’isola di mezzo On the middle island Serena Maffioletti
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Architettura a Venezia Architecture in Venice Francesco Saverio Fera
Schede dei progetti 58 62 66 70 74 78 82 86 90 94 98 102 106 110 114 118
I bastioni Bastions Il solco della tradizione In the groove of tradition Torri, cuore della città Towers, the heart of the city Densità contrapposte Opposing densities Scolpire l’antico Sculpting history Due fronti della città Two fronts of the city Tra città lineare e monumento Between linear city and monument La città dei campi The city of fields Dal tessuto storico allo skyline industriale From historical fabric to industrial skyline Final cut Final cut L’isola dei contrasti The island of contrasts Il campo lungo The long field Il ritmo dello sviluppo lineare The rhythm of linear development Isole nel tessuto urbano Islands in the urban fabric La città fortificata The fortified city La città delle viste The city of views
Un’idea collettiva di città ? A collective idea of the city?
Introduzione. La città, un’opera collettiva Simone Boldrin
Riconoscere, misurare e leggere un luogo sono strumenti fondamentali per il lavoro dell’architetto. In particolar modo sono necessari per coltivare quell’attività di ricerca e di studio che lo accompagna nel corso del suo processo di crescita intellettuale, un processo che deve potersi arricchire anche dopo l’esperienza accademica. La consapevolezza di poter imparare a partire dai luoghi che viviamo quotidianamente e la sicurezza nella propria capacità di riconoscerne le qualità urbane e sociali inducono a porci la domanda sulla contemporaneità o meno delle nostre città e in particolar modo dei loro centri storici. Le città in cui viviamo corrispondono alle nostre esigenze sociali, culturali, lavorative? Possono essere prese come riferimenti urbani contemporanei e proiettate in una visione futura? L’esperienza progettuale diviene, partendo da questi presupposti, un momento di ricerca, di discussione e di sperimentazione, con il quale potersi soffermare a pensare sul futuro delle nostre città. Il tema di lavoro, ovvero la conversione dell’isola industriale delle Trezze in una nuova isola-città della laguna di Venezia, diviene un’esperienza progettuale ideale per gli studenti di Venezia. Come testimoni e attori primi dei luoghi e della vita sociale della città lagunare sono portatori inconsapevoli di memorie di luoghi che quotidianamente percorrono e vivono. Semplici domande diventano un passo fondamentale nello sviluppo di questo processo autodidattico. Perché ci si trova in piazza per un aperitivo, perché in un determinato bar per bere un caffè, perché proprio su quella panchina o sui gradini di quella chiesa o palazzo per leggere un libro o parlare con un amico, perché si percorre proprio quel vicolo o quella strada anziché un’altra? La ricerca di risposte a queste domande ci aiuta a capire il significato di un luogo, quali qualità possiede o deve possedere, quali responsabilità sociali porta con sé. Quei luoghi che abbiamo inconsapevolmente scelto come parte determinante della nostra qualità di vita, quotidianamente, parte della nostra identità vissuta, divengono i punti di riferimento da cui poter estrapolare la grammatica che regola, compone e costruisce il tessuto urbano. L’esperienza didattica si arricchisce di un viaggio attraverso i luoghi conosciuti delle nostre città, provando a leggerli, a capirli, a misurarli prendendo consapevolezza dello spazio che definiscono. L’isola della Giudecca, che per differenti e molteplici aspetti, morfologici e contestuali, riconduce all’isola di progetto, diviene la palestra ideale per portare tali luoghi a una scala di lavoro controllabile. Ricostruirli in modello consente un salto da una inconsapevole percezione spaziale a una sua astrazione in una scala di lavoro, che ci permette di misurarla e definirne la dimensione. È una fase in cui si affida alle mani, al loro lavoro, la riflessione sugli spazi, che vengono scansionati e rimodellati, in un’esperienza percettiva fisica complementare a quella vissuta quotidianamente. Misurare un luogo vissuto e capire le qualità sociali a esso connesse diviene così lo strumento di lavoro di ogni studente. Proprio la consapevolezza della presenza e della qualità dei luoghi e della loro appartenenza a una identità urbana e sociale delle nostre città rappresenta un passo indispensabile per uno sviluppo futuro dell’idea di città. Ogni studente individua una grammatica urbana “personalizzata” sulla base della quale costruisce la propria isola ideale per la laguna di Venezia. Le viste, i livelli, la gerarchia, la scala, la luce, il suono, il materiale, i limiti, il fronte, la corte, la calle, il muro, la sequenza, il confine, la complessità, la densità, la casualità e, primo fra tutti, il ritmo, dettano le regole per plasmare le masse del costruito, controllando quei luoghi di cui sono divenuti conoscitori. La città diviene con i suoi luoghi vissuti maestra di architettura e interlocutrice prima di ogni studente, in tutte le scale, dettagli, rappresentazioni, visioni, punti di vista, una materia prima della quale servirsi e dalla quale attingere e plasmare una parte di futura città ideale.
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Questo processo ha dato forma a 16 declinazioni progettuali a partire dall’analisi della stessa città vissuta, Venezia, tra loro fortemente differenti, libere, soggettive, ma allo stesso tempo complementari e possibili, declinazioni contemporanee della stessa morfologia che testimoniano l’inesauribile ricchezza e complessità del patrimonio urbano in cui viviamo. I bastioni; Il solco della tradizione; Torri, cuore della città; Densità contrapposte; Scolpire l’antico; Due fronti della città; Tra città lineare e monumento; La città dei campi; Dal tessuto storico allo skyline industriale; Final cut; L’isola dei contrasti; Il campo lungo; Il ritmo dello sviluppo lineare; Isole nel tessuto urbano; La città fortificata; La città delle viste. 16 progetti che generano un unico risultato, 16 progetti che, attingendo dallo stesso patrimonio culturale vissuto, vanno a comporre un unico progetto di città, arricchito dalle diverse chiavi di lettura e saldato dalle regole di un’unica fonte compositiva, un’opera collettiva.
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Nell’isola di mezzo Serena Maffioletti
Da più di dieci anni la Facoltà di Architettura di Venezia organizza un workshop estivo di progettazione in una formula forse unica nel panorama internazionale: per tre settimane, a luglio, circa trenta docenti – di cui venti esterni all’ateneo e prevalentemente stranieri – elaborano progetti con tutti gli studenti del corso di laurea triennale – circa 1800 –, i quali partecipano con dedizione vivissima a quest’esperienza, molto ricca di eventi e confronti. L’obiettivo di questa consolidata formula didattica è di arricchire la formazione degli studenti con il contatto costante e informale con i docenti, non necessariamente professori universitari, portatori di culture diverse. Poiché il workshop è pensato come un atelier basato sul dialogo quotidiano docente-studente per sviluppare insieme i progetti, quanto più la personalità del docente è forte, tanto più lo studente si accosta a una per lui nuova teoria del progetto, superando così l’eccessivo autodidattismo cui sono indotti gli studenti dalle scuole di architettura italiana (ma non solo). L’invito rivolto a Max Dudler s’inscrive in questa volontà di avvicinare gli studenti a un sedimentato pensiero teorico e di sperimentarne e condividerne gli esiti progettuali in un dialogo che attraversa luoghi, culture, esperienze, generazioni diverse: un dialogo che in sole tre settimane si misura con temi difficili, reali, attuali. A chiamare Max Dudler per sostenere quest’impegno didattico ha concorso il mio personale ringraziamento per avermi accolto con gli studenti a Berlino e il riconoscimento che la Scuola di Venezia avverte verso un protagonista dell’architettura europea e della ricostruzione di Berlino, un progettista che con estrema coerenza sviluppa una costante ricerca nel solco dell’“architettura della città” e della razionalità del processo progettuale nelle relazioni tra la scala urbana e quella edilizia. Rispetto alle edizioni precedenti, quest’anno si è scelto di sottoporre ai trenta atelier che strutturano i workshop estivi un solo, complesso, tema progettuale, avvertito con urgenza e preoccupazione dalla scuola e dai cittadini: il futuro di Porto Marghera, una parte essenziale in cui si articola Venezia, formata dalla città antica, dalle isole della laguna, dall’espansione novecentesca di Mestre e Marghera, quest’ultima composta dalla città-giardino operaia e dal vasto insediamento industriale e portuale. Per quanto molti secoli siano trascorsi dalla fondazione di Venezia e tutto sia mutato da allora, una riflessione progettuale su Porto Marghera affonda ancor oggi in storie antiche e antichi miti: la doppiezza di Venezia e la sua perfezione. Doppiezza della costruzione dei territori della Serenissima Repubblica, composta tanto dallo “Stato da Mar”, con le grandi estensioni dei domini dalmati ed egei, quanto dallo “Stato da Tera”, fino alle alte mura difensive di Bergamo; perfezione della città, fissata dalla sua finitezza, dalla sua impossibilità a crescere, che contrapponeva nel dibattito, già cinquecentesco e nei tempi rinnovato, chi riconosceva e rivendicava l’intangibilità della forma urbana, delle sue architetture e materie costitutive, e quindi del suo mito, a chi ne auspicava l’espansione. Mestre e Marghera sono il novecentesco “Stato da tera” di Venezia, le parti attuali, brutte e sporche, ma necessarie alla vita della città antica: progettate, tuttavia, come “altro” da quella, da lei separate in tutto, tranne che, paradossalmente, da un destino comune, nascosto dalla polvere sollevata dalle scarpe dei turisti. E per quanto trascinato fino ai suoi significati più banalizzati e globalizzati, è il mito dell’intangibilità di Venezia a decretare tanto una pericolosa, strisciante e senza fine metamorfosi della città storica, premuta da una crescente globalizzazione, quanto l’alterità dell’entroterra, la sua estraneità ai destini di Venezia, la sua subalternità sociale, culturale, estetica. Il tema progettuale posto ai docenti dei workshop riguardava la possibilità di pensare all’unità della Venezia contemporanea, di individuare nuove relazioni tra le sue parti così diverse. Ed entro quest’unità, quali fossero il ruolo e il futuro di Porto Marghera. L’odierna Porto Marghera è una stratificazione, desolante e insieme affascinante, di silos, navi granarie e container, fabbriche e cantieri in difficoltà, strade a sezione troppo ampia e canali industriali dalle rive troppo alte, ma anche
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luogo di residenza per extracomunitari, di studi per giovani professionisti, di svago per pensionati divenuti pescatori. Per questo nodo di contraddizioni è dunque difficile prefigurare strutture insediative che potrebbero essere portatrici di forti innovazioni funzionali e di paesaggi di estrema suggestione, immaginare cioè la trasformazione di questa parte di Venezia, il cui passato industriale si va faticosamente convertendo nelle produzioni contemporanee e integrando con nuove strutture residenziali. Tra i territori dell’industria, geometrizzati dalle reti dei canali industriali, e quelli dei meandri aggrappati al Canal Grande Max Dudler sceglie una terra di mezzo, un’isola che sta tra il centro prezioso di Venezia e gli strati ormai confusi delle strategie portuali e industriali: canali, scali ferroviari, strade, industrie, cantieri E cerca un’isola dove costruire un dialogo tra Venezia e il porto industriale e lì porre questo dialogo all’origine stessa del progetto: l’isola delle Trezze, una terra fangosa tra questi due mondi, distanti e vicini. Un’antica storia percorre Venezia e ne ha costruito le forme, non solo quelle immaginarie ma anche quelle materiali: la storia dei molti viaggiatori approdati in quest’angolo del pianeta, eccezionale per storia e bellezza, a imparare la “lezione” di Venezia. E così Dudler ha cercato una lezione di Venezia e, guardandola con occhi “del nord”, ha trasmesso agli studenti il suo modo di vederla. Da quale Venezia Dudler ha tratto una lezione? Dall’isola della Giudecca, che mostra dalla palladiana chiesa di San Giorgio fino al Molino Stucky e al quartiere di edilizia pubblica degli anni Sessanta la disponibilità di Venezia a essere continuamente ripensata, progettata secondo alcune “regole”, che il tempo presente ha irrevocabilmente alterato, come nel plastico degli studenti la silhouette della grande nave da turismo davanti alla chiesa del Redentore drammaticamente dice. Posta al limite della Venezia antica, influenzabile e recettiva come tutti i luoghi di confine, la Giudecca è uno sperimentale spazio di coesistenza tra opposti, dalle tre chiese palladiane alle fabbriche ottocentesche ai giardini rivolti alla laguna: così la non lontana isola delle Trezze si offre come progetto di un nuovo limite, proposta di un disegno al confine, ricerca di nuova costruzione spazio-temporale. Dudler indaga con un approccio logico la costruzione di Venezia, razionalmente conoscibile come ogni altra struttura urbana: con gli studenti cerca (forse meglio si potrebbe dire, agli studenti insegna a riconoscere) le morfologie permanenti della città, le misure, i ritmi, le metriche, le relazioni, le gerarchie, le disposizioni, le composizioni e propone di costruire con questi materiali di progetto le forme dei nuovi insediamenti, trasformando l’“isola dei contrasti” in un luogo di nuove sintesi. La sequenza di planimetrie e di plastici, sintetici per essere incisivi, dell’isola delle Trezze, attraverso un reiterato uso dell’ars combinatoria dei materiali urbani, mostra le possibili morfologie che strutturerebbero questi brani di Venezia, nuovi e al contempo antichi. L’isola delle Trezze è così sezionata in porzioni, dove i temi propri delle fondative composizioni urbane di Venezia si ritrovano e si rinnovano: le relazioni tra monumento e tessuti minori, le disposizioni lineari di calli parallele, lo scavo del vuoto dei campi nel pieno del corpo urbano, l’attestarsi delle rive consolidate sui grandi spazi lagunari, l’alternarsi di misure e di scale diverse. Questa è la “lezione di Venezia” che Dudler vi ha tratto e che ha trasformato nella “lezione di Dudler” su Venezia. Su questo riconoscimento di quanto vi è di sicuro e permanente nell’impianto urbano ha costruito la città dell’oggi, abitata dalle attese, dai movimenti, dai bisogni e dai sentimenti dei nostri giorni: «Le funzioni d’uso saranno legate a un progetto di rivitalizzazione e rinascita della città di Venezia e di tutto il bacino lagunare, che verranno connesse con un nuovo, veloce e dinamico sistema di trasporti pubblico. Residenze, campus universitario, centri sportivi, uffici
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e le necessarie infrastrutture. Una nuova necessaria visione, a distanza di quasi un secolo, dalla prima che portò alla nascita di Porto Marghera», dice il testo di presentazione. In tutte le proposte avanzate dai nove gruppi di studenti si scopre un continuo intreccio tra ciò che inequivocabilmente radica questi progetti nello spazio di Venezia e ciò che li rende vivacemente presenti nel nostro tempo. Non solo questa sintesi è convincente nei suoi assunti e obiettivi, ma lo diventa tanto maggiormente quanto più sonda continue articolazioni e molteplici declinazioni: i bastioni sul limite urbano a presidio della dimensione paesaggistica dell’invaso lagunare, l’isola come unità insediativa, l’articolazione multiscalare della composizione urbana, la visione come strumento di unificazione, lo “scolpire l’antico” come forma di appropriazione del passato, la città come luogo civile e sociale. E se dal punto di vista didattico ciò che interessa sono la forza e la coerenza di un processo che ha condotto gli studenti attraverso tutti i passaggi e le scale del progetto, dal punto di vista della qualità delle proposte ciò che colpisce è la ricerca della felicità, della festosità, di una gioia di vivere che nasce dalla capacità di scoprire la bellezza dei luoghi e di trasporla in idee per abitare il futuro.
[Serena Maffioletti - Direttore della Laurea triennale Architettura Costruzione Conservazione, Dipartimento Architettura Costruzione Conservazione, Università Iuav di Venezia]
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schede dei progetti
Un fitto intreccio di calli, campi, canali e fondamenta incide la massa del costruito. Il carattere casuale di questa composizione di spazi genera un sistema labirintico che riprende il complesso disegno della città di Venezia. Gli edifici sono interamente rivestiti di intonaco bianco, scelta che accentua l’idea della lavorazione scultorea della materia. Il centro dell’isola è segnato da un grande vuoto, contenuto da una struttura, l’unica in mattoni, che si ramifica all’interno del tessuto urbano. Questo spazio diviene fulcro permanente di catalizzazione per l’intero sistema, come stadio per eventi sportivi, concerti e piazza. La chiesa, posta al margine ovest dell’isola, è l’unica emergenza presente, l’unica eccezione che rende possibile la lettura di questo dedalo.
A dense weave of streets, squares, canals and canalside walkways etches the bulk of construction. The random character of this composition of spaces generates a labyrinthine system that reflects the complex design of the city of Venice. The buildings are entirely clad in white stucco, a choice that accentuates the idea of the sculptural working of the material. The center of the island is marked by a large open space, contained inside a structure, the only brick construction, that branches into the urban fabric. This space becomes a permanent fulcrum and catalyst for the entire system, offering a plaza for sporting events and concerts. The church, on the western side of the island, is the only landmark, the only exception that makes interpretation of the maze possible.
il solco della tradizione in the groove of tradition leonardo ballan, alberto girardello, simone quaresima 62
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La zona industriale di Porto Marghera e l’isola di Venezia si riflettono una nell’altra da quasi un secolo su un fronte laguna disegnato da elementi appartenenti a epoche e funzioni distanti e contrapposte. Isola, silhouette e scala sono i temi con i quali cinquanta studenti si sono confrontati a partire da una propria esperienza vissuta della città di Venezia, con lo scopo di ridefinire l’identità di un’isola artificiale della laguna, non senza riflettere sulla realtà urbana e sociale della città: una reinterpretazione dello spazio urbano, riletto secondo esigenze e contesti storico-sociali contemporanei, nel tentativo di risolvere tensioni e incompatibilità che caratterizzano due realtà fino ad oggi opposte, ma appartenenti al medesimo sistema lagunare. Ne sono nate sedici matrici che si assemblano creando differenti declinazioni dello stesso progetto, della stessa isola, espressione della ricerca di un’idea collettiva per la città di Venezia, trasformata qui, finalmente, in una città contemporanea. The industrial zone of Porto Marghera and the island of Venice mirrored one in the other for almost a century, with waterfronts bearing features belonging to distant, opposing eras and functions. Island, silhouette and scale are the themes approached by fifty students, starting with direct experience of the city of Venice with the aim to redefinite the identity of an artificial island in the lagoon, considering the urban and social realities of the city: a reinterpretation of urban space, viewed in keeping with historical contexts and contemporary social needs, attempting to resolve the tensions and incompatibilities of two realities in contrast today, but belonging to the same lagoon system. The results are sixteen matrices, assembled to create different versions of the same project, the same island, illustrating the pursuit of a collective idea for the city of Venice, here transformed, finally, into a contemporary city.
e 24,00
ISBN 978-88-7115-971-1