Vivere la città | Living the city | Vivir la ciudad, Il Poligrafo

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ancsa | temi e ricerche 3



Vivi la ciudad

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GubbioBolognaFi r e n z e MateraQ u i t o GenovaBergamo N a p o l i S i r a c u s a To rinoLaHabanaPa l e r m o To l e d o M i l a noDuisburgIstan

Vivere la cittĂ bulSaintDenisMe norcaRomaMonte videoL i s b o a Vene ziaParmaBuenos AiresPalmanova

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copyright Š giugno 2015 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it ISBN 978-88-7115-902-7 Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici 06024 Gubbio (PG) Palazzo Pretorio


dazione nca Popolare Bergamo onlus

ANCSA | associazionenazionalecentristoricoartistici VIVERE LA CITTà Bergamo, Palazzo della Ragione, 19 giugno - 2 agosto 2015

curatori Franco Mancuso Nicola Russi Stefano Storchi Fabrizio Toppetti Mauro Volpiano comitato scientifico Francesco Bandarin Paola Falini Enrico Fontanari Bruno Gabrielli Roberto Gambino Franco Mancuso Stefano Francesco Musso Giorgio Piccinato Franco Purini Nicola Russi Stefano Storchi Fabrizio Toppetti Mauro Volpiano

La mostra è stata realizzata quale manifestazione collaterale di EXPO 2015

catalogo Fabrizio Toppetti

con la collaborazione e il contributo di Regione Lombardia Comune di Bergamo Comune di Gubbio Bienal Panamericana de Arquitectura de Quito Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo

ricerche e collaborazione redazionale Federico Di Cosmo Gabriele Solazzi Clelia Izamar Vidal Elaguera

con il contributo di Fondazione Banca Popolare di Bergamo con il patrocinio di Biblioteca Archivio “Emilio Sereni” Biblioteca CICOP Argentina Dirección General Casco Historico de la Ciudad de Buenos Aires Master PARES - Dipartimento di Architettura e Progetto - Università di Roma La Sapienza Oficina del Historiador de la Ciudad de La Habana Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Bergamo coordinamento Stefano Storchi

progetto grafico del catalogo Federico Di Cosmo Laura Rigon, Il Poligrafo credeiti fotografici archivio ANDES, archivio Comune di Parma, archivio FonSal, archivio Landschaftspark Duisburg-Nord, archivio Istituto LUCE, Iqbal Aalam, Francesco Berni, Silvia N. Bossio, Paola Gómez Caicedo, Hart Felt, Francesca Galzenati, Vincenzo Latina, Sara Levente, Franco Mancuso, Maurizio Montagna, Pino Musi, Lamberto Rubino, Giordano Sànchez Núéz, Hedwig Sarcastig, Gabriele Solazzi, Giulia Storchi, Stefano Storchi, Fabrizio Toppetti, Davide Virdis, Franco Zagari traduzioni Lara Fabiano, inglese Silvia N. Bossio, spagnolo

allestimento Laboratorio Permanente Luca Cerinza Pettreca

revisione e realizzazione editoriale Il Poligrafo casa editrice Stella Ceccato Alessandro Lise Sara Pierobon

video Cameranebbia grafica La Cameraoscura, manifesto e grafica mostra Alessandra Bertelli, pannelli mostra

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Fondazione Banca Popolare di Bergamo onlus

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Fondazione Banca Popolare di Bergamo onlus

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indice

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Presentazioni Francesco Bandarin | Presidente ANCSA Giorgio Gori | Sindaco di Bergamo Filippo Mario Stirati | Sindaco di Gubbio

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Introduzione

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L’ANCSA e il Premio Gubbio La posizione dell'ANCSA | Bruno Gabrielli Le ragioni di un premio | Teresa Cannarozzo, Tommaso Giura Longo Il risveglio dei centri storici latinoamericani | Andrea Cerletti BAQ: un osservatorio per l’America Latina | Stefano Storchi

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Dieci interventi dal Premio Gubbio Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria | Silvia Nélida Bossio Emscher Park. Da luogo di produzione a spazio di vita | Nicola Russi, Gabriele Solazzi Parma, piazzale della Pace. Il progetto del vuoto | Patrizia Rota, Stefano Storchi Toledo, centro storico. Il piano e i progetti | Paola Falini, Stefano Storchi Palmanova, piazza Grande. Rilanciando la storia | Franco Mancuso Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità | Teresa Cannarozzo Saint-Denis, le piazze centrali. Disegnare lo spazio pubblico della città storica | Fabrizio Toppetti Quito, La Ronda. Una strada, un mondo | Mónica Moreira Ortega L’Avana, Avenida del Puerto. Lavori in corso | Eugenio Casanovas Molleda, Patricia Rodriguez Alomá Firenze, Le Murate. Rivitalizzare i luoghi dismessi | Oberdan Armanni, Francesco Berni Dieci città dalla storia dell’ANCSA Le città italiane e l'ANCSA: mezzo secolo di proposte, dibattiti e battaglie sui centri storici | Mauro Volpiano Gubbio. Dal monumento al centro storico Bologna. Dal progetto urbanistico alla gestione integrata Matera. Centri storici come paesaggi culturali Roma. Il patrimonio edilizio, strategia e risorsa Napoli. Centri storici ed emergenza Torino. Dal centro storico, alla città, al paesaggio Palermo. La riqualificazione della città meridionale Milano. Nuove centralità urbane Genova. Ripensare lo spazio pubblico Bergamo. La memoria dell’ANCSA


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Temi Il racconto urbano | Giorgio Piccinato Il restauro nel progetto urbano | Stefano Francesco Musso Paesaggio e rigenerazione urbana | Roberto Gambino La cittĂ unica e unitaria | Franco Purini

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Appendice Lo spazio e l'allestimento | Nicola Russi



Introduzione

Franco Mancuso, Nicola Russi, Stefano Storchi, Fabrizio Toppetti, Mauro Volpiano

Questo libro e questa mostra parlano di un progetto: il progetto della città che vorremmo. Una città viva e inclusiva, bella e adeguata, idealmente ricomposta a partire da alcune esperienze progettuali diverse, ma tutte di successo. Tutte, cioè, capaci di intervenire sul corpo fisico e sociale della città portando in maniera diretta e indiretta un valore aggiunto in termini di qualità complessiva dei luoghi. Ne abbiamo scelte dieci per tutte, in modo da rappresentare la molteplicità degli strumenti, delle scale e delle modalità di intervento. Un approccio ai temi del progetto e della gestione della città rappresenta oggi un’occasione per riflettere sulla sua storia, per metterne in evidenza le trasformazioni passate e recenti cercando di coglierne gli esiti e le contraddizioni, per delineare il cammino più appropriato che la cultura architettonica e quella urbanistica possono oggi intraprendere per migliorarne l’assetto strutturale e la vivibilità. I mutamenti sociali ed economici toccano nel profondo le nostre città e i loro territori, nel momento in cui la globalizzazione dell’economia, la formazione di una società multietnica, il modificarsi dei processi produttivi delineano una progressiva omologazione dell’immagine urbana, in ragione della quale i luoghi nei quali si vive e si produce, si consuma e si socializza assumono forme sempre più simili e ripetute. Di fronte alla progressiva tendenza alla genericità, la città storica – e non solo quella preindustriale – conserva ancora un proprio significato, nelle matrici storiche che vi si sono impresse e sedimentate nel tempo, mantenendo ancor vivida – quantunque non sempre intatta – la propria identità e la propria riconoscibilità. Rispetto a questi fenomeni che coinvolgono in misura analoga le città alle diverse latitudini occorre tornare a interrogarsi sulla sostenibilità della vita che esse rendono possibile soprattutto per le fasce più disagiate, sull’urgenza e sulle modalità di proporne oggi un miglioramento e un accrescimento. Nasce da questa volontà, analitica e progettuale al tempo stesso, l’idea di una mostra intitolata emblematicamente “Vivere la città”, che ambisce non tanto a proporre un mero racconto di dieci progetti realizzati all’interno di dieci diversi contesti storici, quanto a sviluppare una rilettura critica del valore di questi interventi, a partire dalla loro capacità di costruire nuove condizioni di vivibilità all’interno dei rispettivi contesti urbani. La scelta di progetti realizzati in tempi e in condizioni politiche e culturali diverse include una riflessione sulle forme e sugli usi che nella città hanno assunto i luoghi oggetto di intervento. Alcuni di questi hanno ormai più di vent’anni di storia; il rivisitarli oggi, a distanza di tempo, permette di riesplorare le dinamiche che il progetto ha consapevolmente originato, ma anche di riconoscerne di nuove, inedite, libere, scaturite direttamente dalla società


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Franco Mancuso, Nicola Russi, Stefano Storchi, Fabrizio Toppetti, Mauro Volpiano

e dai cittadini che reinventano quotidianamente il senso di quei luoghi mediante nuove e imprevedibili ritualità urbane. Interventi diversi, si è detto, ma accomunati da uno stesso fatto: l’essere stati riconosciuti dall’ANCSA quali momenti emblematici per la progettazione e la rigenerazione della città, attraverso l’assegnazione del Premio Gubbio, che dal 1990 rappresenta un’occasione formidabile per la conoscenza delle dinamiche che hanno interessato i centri e le città storiche, dapprima nel contesto italiano, poi in quello europeo e infine in quello latinoamericano. In questo modo sono state selezionate e rivisitate dieci città al cui interno si cerca di verificare l’efficacia delle azioni a suo tempo immaginate e portate a compimento, chiedendosi di volta in volta come siano vissuti oggi i loro spazi, i quartieri, gli isolati, gli edifici; in che misura la loro vita sia frutto delle azioni immaginate nei programmi avviati e nei progetti realizzati; quali di queste ci si senta di poter ancora condividere e quali invece abbiano dimostrato nel tempo minor efficacia. Ecco dunque, in rapida successione, l’itinerario tra Firenze, Palmanova, Parma e Siracusa in Italia; l’Emscher Park, Lisbona, Saint-Denis e Toledo in Europa; L’Avana e Quito in America Latina. Città diverse, esempi di azioni certamente disomogenee, sovente attuate attraverso percorsi gestionali difficilmente comparabili, a motivo della natura politica, economica e organizzativa che caratterizza e differenzia l’Italia e la Germania, Cuba o la Spagna. Eppure dal confronto di queste situazioni fra loro distanti – non solo sul piano fisico – emergono alcune costanti che rafforzano la convinzione che le città europee e latinoamericane esprimano caratteristiche e problematiche assai vicine e che quindi una riflessione comune assuma oggi significato per individuare le modalità di rigenerazione che in esse si vanno a imprimere: la cura rinnovata per lo spazio pubblico inteso come luogo delle relazioni sociali; l’esigenza di una nuova infrastrutturazione urbana che renda la città una realtà vivibile per tutti i suoi fruitori; la ricerca di una qualità architettonica dei luoghi e delle strutture pubbliche; la necessità costante di ritrovare un raccordo fra la città e il suo contesto territoriale. Questi dieci progetti vengono affrontati e riproposti attraverso una serie di video che consentono di coglierne il movimento, lo sviluppo nel tempo, i suoni e rumori, uscendo da una descrizione puramente formale degli spazi per privilegiare una lettura delle dinamiche e dei fenomeni che si succedono al loro interno e che ne modificano continuamente il senso e il valore. Per questo sono stati ricercati e selezionati alcuni filmati trovati in rete che si aggiungono e completano la documentazione storica dei progetti, consentendo di descrivere la città non solo attraverso i disegni dei progettisti o l’occhio esperto dei fotografi, ma anche tramite la percezione dei cittadini e dei


Introduzione 19

visitatori che la vivono e la percorrono. Ne emergono fenomeni urbani inediti, talvolta imprevisti, che permettono di affiancare a uno sguardo tecnico una lettura involontaria, e forse più oggettiva, degli usi e dei modi di “Vivere la città” che pulsano attraverso i suoi flussi e le sue pause, come una grande coreografia collettiva di cui il progetto urbano diviene palcoscenico: scena e supporto della vita quotidiana. A partire da queste considerazioni la mostra articola, in una seconda sezione retrospettiva, un itinerario che attraversa le città italiane dalle quali l’ANCSA ha tratto i più fertili nutrimenti nel corso del proprio cammino: da Gubbio, dove ebbe i natali, a Bologna, Genova, Matera, Milano, Napoli, Roma, Torino, Palermo; città nelle quali hanno preso forma esperienze innovative nel campo della pianificazione e della gestione delle aree urbane centrali. Senza dimenticare Bergamo, dove hanno avuto luogo momenti di riflessione e di dibattito su cui si è venuta formando la cultura dell’ANCSA e dove oggi si sta accuratamente riorganizzando l’archivio storico dell’Associazione che dal 2014 è stato dichiarato di interesse nazionale. L’idea è che nel percorso attraverso questi luoghi sia possibile rivisitare il pensiero progettuale e gestionale che ha investito i centri storici e le città; con lo sguardo non rivolto al passato, ma proiettato verso la ricerca di soluzioni e forme attraverso le quali assumano concretezza gli slogan che spesso accompagnano l’urbanistica e l’architettura contemporanee: la rigenerazione e lo sviluppo sostenibile, la centralità dello spazio pubblico e la re-identificazione dei luoghi. Tutto questo la mostra si prefigge di raccontarlo cercando di intercettare la curiosità e l’attenzione di un pubblico vasto, di tutti quei cittadini che quotidianamente vivono le città e che prendono parte, anche involontariamente, ai loro processi di trasformazione. La costante ricerca di nuovi significati e nuove forme di progettualità all’interno del territorio storico, anche attraverso la reinvenzione e la trasformazione fisica di alcuni dei suoi spazi, è l’unico modo possibile per conservarne e salvaguardarne il valore profondo, in modo che la città cresca in qualità nel corso del tempo, pur attraversando le contingenze storiche e le criticità sociali che la contemporaneità le riserva.



Il risveglio dei centri storici latinoamericani Andrea Cerletti

Accade spesso che la pratica professionale – e il campo dei centri storici e del patrimonio storico non fanno eccezione – venga sopraffatta dalla quotidianità, con una difficoltà nell’acquisire conoscenze esaustive, anche nel proprio settore di attività. I convegni specialistici e l’informazione di massa – anche quella virtuale – contribuiscono ad allargare il panorama del sapere, ma ci collocano pur sempre all’interno di un panorama ristretto e frammentario. La riflessione che ha preso corpo da alcuni anni a questa parte riguardo al rapporto tra la Dirección general casco histórico de Buenos Aires, l’Associazione nazionale centri storico-artistici e la Oficina del historiador de la ciudad de La Habana e il contributo del Premio Gubbio hanno ampliato e sistematizzato queste conoscenze, favorendo al tempo stesso l’instaurarsi di relazioni dirette fra soggetti che operano sui beni patrimoniali. Da questa attività emergono tuttavia anche le difficoltà che le amministrazioni e le strutture tecniche affrontano; e si evidenziano gli approdi e le risposte (non teoriche, ma concrete) che a esse conseguono. Le riflessioni contenute in queste pagine fanno riferimento, in larga misura, al ricco materiale raccolto in sei anni di vita nelle quattro edizioni del Premio Gubbio nel continente latinoamericano. 1. Le difficoltà emergenti Nei decenni scorsi un insieme complesso di elementi ha caratterizzato le dinamiche urbane, contribuendo, in molti casi, al progressivo abbandono delle zone storiche e al loro conseguente e costante degrado che le ha rese sempre più marginali e fatiscenti. L’avvento dell’automobile quale protagonista della vita urbana, l’affermarsi delle politiche di decentramento che hanno dato origine a nuove centralità e a quartieri-satellite, le trasformazioni culturali, il degrado dello spazio pubblico, i problemi infrastrutturali e la carenza di idonee attrezzature comuni sono solo alcuni dei fattori che hanno inciso negativamente sul processo evolutivo di queste zone. È sintomatico analizzare ciò che accade con il commercio nello spazio pubblico. Si tratta di un fattore che ha indubbiamente prodotto vitalità e dinamismo in questi luoghi; ma oggi la vendita di strada è percepita in larga misura come una costante minaccia ed è oggetto di piani per la sua delocalizzazione o per il suo sradicamento, in ragione degli effetti negativi che induce (forte degrado sia dello spazio pubblico, sia degli edifici; problemi di sicurezza e accessibilità; problemi ambientali; concorrenza sleale con il commercio in sede fissa ecc.). Le buone pratiche attuate nel centro storico di Quito assumono grande interesse non solo per i risultati prodotti, ma anche per il laborioso processo di gestione che ha permesso di condurre in porto in modo positivo un’azione così complessa e di mantenerne tuttora gli aspetti positivi. Questa situazione


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S. Storchi, Proyecto de la ciudad, identidad de la ciudad, in Reenquentro, DGCH, Buenos Aires 2011, p. 115.

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di forte conflitto sociale e urbano si propone in molte città; e ognuna di esse si è trovata ad affrontarla con propri strumenti e con autonomi percorsi. I problemi che scaturiscono dalle diverse situazioni urbane non si limitano tuttavia al degrado dello spazio pubblico. Stefano Storchi ci segnala che «i temi con cui oggi i centri storici hanno a che fare, sia in Europa che in America Latina o nel Caribe, hanno la stessa natura e sono direttamente legati ai modi dello sviluppo vissuto dalle città, sia pure in epoche o in secoli diversi» 1. La nascita di nuove centralità e l’esigenza di riassetto delle diverse zone urbane, l’emergere di altre esigenze e le difficoltà della mobilità veicolare, la dispersione urbana, nel momento in cui importanti comparti della città versano in condizioni di fatiscenza sono alcuni problemi inediti che la struttura urbana è chiamata a risolvere. Al tempo stesso in molti casi si evidenzia un mutamento di ruolo del centro storico e quindi la necessità di recuperarne il significato e, assieme a esso, l’identità e la memoria urbana. I centri storici che conservano la propria centralità subiscono una forte pressione (necessità di parcheggi e di accessibilità legati al loro ruolo centrale) conseguente alla nuova domanda funzionale (connessa al traffico, al sistema dei vincoli). Al contrario, quei centri che hanno perduto il proprio carattere centrale in conseguenza del formarsi di nuove centralità entrano in crisi a causa della perdita di senso e di funzione, manifestando un’evidente fragilità, con il rischio di una mancanza di vitalità, della loro marginalità, di sottoutilizzo, degrado. Peraltro la rapidità delle trasformazioni attuali mal si concilia con l’inerzia delle città, producendo come risultato un sistema infrastrutturale inadeguato a rispondere alle nuove esigenze, la congestione di alcuni spazi e la dismissione di altri. Tutto ciò genera un forte impulso a dare soluzione a questi problemi in modo rapido e col dispendio minore possibile di energie e risorse; ma così non sempre si trovano soluzioni coerenti con i caratteri dei contesti storici. Risulta infatti arduo affrontare il problema delle insufficienze infrastrutturali a fronte di domande crescenti di servizi (per esempio, la carenza di spazi verdi o di attrezzature adeguate per lo sport e il tempo libero). Anche la condizione abitativa presenta un quadro paradossale. Lo stock edilizio di valore storico-testimoniale presente in tanti centri storici che hanno fatto dello sviluppo residenziale uno dei pilastri del loro sviluppo è da decenni in stato di abbandono e si va degradando fino a entrare in un circolo vizioso da cui poi risulta difficile uscire. Recuperare il patrimonio edilizio a uso abitativo nei centri storici rispettandone i caratteri formali, ma adeguandolo ai nuovi bisogni funzionali e sociali, è una delle grandi sfide che la gestione urbana oggi è chiamata ad affrontare. Il finanziamento degli interventi, con risorse pubbliche o private, ha rappresentato uno dei terreni più difficili da praticare, soprattutto perché si è atteso


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a lungo che fosse lo stato a farsi carico della manutenzione e valorizzazione del patrimonio storico, anche quando questo era di proprietà privata. Negli ultimi decenni si è riconosciuta la necessità di concertare azioni fra pubblico e privato, corresponsabilizzando entrambe le parti nella ricerca di soluzioni. Purtuttavia persiste la difficoltà nel mettere in atto impegni, aiuti e forme di compensazione da parte dello stato per la valorizzazione, tra l’altro, di beni di proprietà privata. Esiste a questo proposito una linea sottile che non ha ancora trovato risposte convincenti. Nel caso di intervento statale, la creazione di fondi per intervenire sul patrimonio storico ha tuttavia rappresentato una strada percorsa con successo in diversi contesti; il suo sviluppo ha permesso di attuare progetti di grande portata, i cui risultati sono assolutamente evidenti. Ritornando all’esperienza dell’Ecuador, l’attività del FONSAL2 ha costituito un esempio virtuoso in questo campo. Talvolta le caratteristiche peculiari del territorio, accompagnate da una crescita urbana spontanea e fragile, hanno proposto problemi di integrazione sociale e di accesso ai servizi essenziali per la popolazione (ne è esempio il caso di Medellin, in Colombia); in questi casi occorrono ingenti risorse e grandi sforzi per attenuare questi effetti e magari per invertire la tendenza in atto. Altri problemi derivano dagli eventi naturali: terremoti, tsunami, inondazioni ecc. Oltre all’esigenza di adottare procedure appropriate per far fronte a queste emergenze, la sfida maggiore consiste nel saper adottare sistemi costruttivi atti a garantire maggiore sicurezza a fronte di tali eventi; qualcosa di simile è presente in Cile e in Colombia. Infine occorre ricordare i problemi che discendono dalla discontinuità delle politiche pubbliche, e in molti casi dalla reiterata sostituzione delle strutture tecniche che gestiscono il territorio e i beni patrimoniali. In assenza di prospettive politiche stabili risulta assai difficile conseguire risultati all’altezza dei problemi che la città propone; e in molti casi le scelte via via adottate danno luogo a forti diseconomie. 2. Segnali positivi: la ricerca di nuove prospettive e soluzioni Negli ultimi decenni molte amministrazioni locali e numerosi gruppi sociali hanno iniziato a prendere coscienza della necessità di recuperare i centri storici quali ambiti attivi e vitali della città. Non per farli tornare com’erano, ma per ridare loro un nuovo significato. Il che implica la capacità di ripensare gli aspetti identitari presenti nella memoria collettiva che si intende difendere. Al tempo stesso ha assunto importanza per la comunità la difesa dei beni storici in generale; anche se in questa prospettiva spesso si rischia di esigere la protezione di elementi isolati, avulsi dal proprio contesto storico e urbano.

2 FONSAL, Fondo

de Salvamento del Patrimonio Cultural de Ecuador.


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Premiato nell’edizione 2015. Premiato nell’edizione 2009. Entrambi premiati nell’edizione 2011. Premiato nell’edizione 2013.

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A questo riguardo c’è ancora un cammino lungo da compiere. Tuttavia numerosi sono gli esempi di buone pratiche attuate che hanno portato a riscoprire il significato di un luogo o a perseguire il riuso di una struttura strategica per la rivitalizzazione di un intero settore urbano. Risulta emblematico in questo senso il recupero del Mercado Agrícola di Montevideo. Si tratta però di evitare la decontestualizzazione del manufatto che si intende valorizzare: occorre invece promuovere interventi che, anche se puntuali, siano inseriti nel contesto urbano e risultino strategici per gli impatti prodotti sul tessuto insediato. Le città americane hanno evidenziato la volontà di salvaguardare le proprie zone storiche, inserendo questo tema, con maggior o minor fortuna, nelle agende dei rispettivi governi municipali. Questo si è verificato, in generale, sul finire del secolo scorso e all’inizio del Duemila, quando hanno preso forma all’interno delle amministrazioni locali le prime strutture dedicate alla gestione dei centri storici; si è riconosciuto in tal modo che in queste parti della città sussistono condizioni singolari che debbono essere gestite con strumenti specifici e integrati. Un altro elemento importante che si è evidenziato concerne la necessità che i centri storici recuperino il proprio ruolo di luoghi di integrazione sociale. Numerosi fra gli esempi presi in esame (come il Mercado Agrícola di Montevideo3, La Ronda a Quito4, la Avenida del Puerto a L’Avana o la riqualificazione del quartiere Nueve de Octubre nella città di Cuenca5) hanno saputo tener conto sia delle problematiche architettoniche e funzionali, sia dei temi di scala urbana; e soprattutto del senso strategico che gli interventi di valorizzazione assumono del contesto in cui si collocano. Una riflessione a parte merita il recupero degli insediamenti storici nelle Valles Calchaquíes (Salta, Argentina)6, che persegue la rifunzionalizzazione di una rete di luoghi ricchi di cultura, mediante una metodologia che ne rispetta le peculiarità, pur assumendo un criterio unitario d’intervento. Emergono peraltro numerosi casi in cui sono state compiute scelte funzionali che rispondono alle nuove domande, pur nel rispetto delle caratteristiche del patrimonio esistente. Alcune iniziative esemplari introducono linguaggi progettuali capaci di integrare in modo armonico i nuovi interventi nel contesto edilizio storico, permettendo di ampliare il ventaglio delle opzioni, delle soluzioni, dei modi d’intervento. Ne sono esempi l’operazione condotta sul Molino de Ilópolis (Brasile), l’attraversamento del Palacio Barolo o El Zanjón (entrambi a Buenos Aires), la Profética Casa de Lectura di Puebla (Messico), per citarne alcuni. Risulta evidente, al tempo stesso, la ricerca di strumenti di gestione adeguati e concertati che assicurino il rispetto dell’esistente e l’integrazione efficace del-


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le fasi di pianificazione-progettazione-gestione-attuazione (ne sono esempi Valparaíso7 e Bogotá8). Un ulteriore elemento positivo che ha via via assunto importanza è la presa di coscienza circa l’esigenza di conservare i luoghi della memoria; è un tema che va ben oltre l’ambito del centro storico, dal momento che coinvolge non necessariamente le sole aree urbane. Di sicuro il rapporto fra gli spazi di valore storico e il contesto naturale che ne rappresenta un elemento intrinseco di sviluppo (è il caso di Chascomús, Argentina), così come la riscoperta dei luoghi di valore archeologico, sorgenti di ritualità e di cerimonie che ancora mantengono significato a livello locale (Tulipe, Ecuador) rappresentano aspetti che permettono di recuperare il vero significato della memoria per una comunità. L’intervento di recupero de La Pampulha a Belo Horizonte (Brasile) pone l’accento sulla necessità di salvaguardare il patrimonio contemporaneo, che deve essere oggetto di attenzione, di valorizzazione, di protezione e di manutenzione tanto quanto quello antico. Si è segnalata già in precedenza la necessità di fronteggiare gli eventi naturali; e in questo senso paiono interessanti le esperienze condotte in Cile e in Colombia, dove si sono recuperati sistemi costruttivi tradizionali, pur con l’inserimento di nuove tecniche e modalità d’intervento che ne migliorassero la resistenza. L’esperienza condotta a Tarapacá, Iquique (Cile), costituisce un esempio in questo campo. Queste in sintesi sono alcune delle sfide che talune città già ora hanno affrontato o che manifestano di voler perseguire. Tutto ciò evidenzia lo sforzo di rigenerazione che le città latinoamericane stanno vivendo, dando vita a un panorama di esperienze assai ricco in quanto a prospettive e soluzioni proposte. In questo senso la giuria del Premio Gubbio per l’America Latina e il Caribe in uno dei suoi verdetti ha riconosciuto che «emerge con forza il concetto della città come luogo di espressione della vita e delle relazioni sociali, nonché il senso identitario presente negli spazi urbani e nei luoghi della tradizione. Col che si evidenzia il contributo originale che proviene dalle città dell’America Latina e del Caribe»9. Non va dimenticato infine come emerga positivamente la sedimentazione di politiche e azioni sempre più propositive da parte dei governi locali a proposito della rivitalizzazione dei centri storici delle loro città. 7

3. Un percorso da intraprendere nel futuro A partire dalle esperienze prese in esame si possono evidenziare alcuni fattori da non trascurare. È fondamentale pensare la città a livello strategico generale, ma è altrettanto importante intervenire in modo puntuale (o alla scala del quartiere urbano),

L’edilizia economica come motore dello sviluppo urbano. Alleanza pubblico-privata per il recupero di un centro storico, Valparaíso, Cile. Premiato nell’edizione 2013. 8 Secondo premio nell’edizione 2015. 9 Verbale della giuria del Premio Gubbio sezione America Latina e Caribe 2009.


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facendo sì che le trasformazioni programmate definiscano una rete di interventi capaci di supportarsi reciprocamente. Al tempo stesso risulta prioritario salvaguardare i beni patrimoniali di maggior valore, facendo in modo che non abbiano a perdere il rapporto con il contesto da cui traggono significato, per non dar vita a oggetti restaurati come pezzi di un’esposizione. In questo senso si sostiene la necessità di non “museificare”, di non cristallizzare il senso originale del manufatto per poi averne una fruizione solo passiva. Occorre operare per il recupero del patrimonio e degli spazi storici affinché siano relazionati alla quotidianità della vita urbana, capaci di rispondere alle esigenze attuali dei cittadini. In questa prospettiva la creatività e l’innovazione sono essenziali per poter trovare risposte positive tanto sul piano morfologico e progettuale, quanto a livello gestionale. Sia nell’ambito pubblico che in quello privato le difficoltà economiche che si presentano per il recupero e il mantenimento dei beni patrimoniali obbligano a progettare e a sperimentare nuove modalità di gestione, forme di sostegno e reperimento di risorse. Lo stato non è l’unico attore possibile; anzi, la situazione attuale implica un cambio di visuale rispetto alle logiche tradizionali che assegnavano il patrimonio storico alla sua esclusiva responsabilità. Oggi è chiara l’esigenza di ricorrere a forme di cofinanziamento per far fronte ai costi del recupero diffuso. Nell’esperienza latinoamericana si evidenzia in modo costante la necessità di recuperare beni o spazi storici che versano in condizioni di forte degrado. Una delle sfide da affrontare consiste nell’adottare criteri d’intervento e di manutenzione continua, attraverso l’attuazione sistematica di programmi di recupero e conservazione. Alcune buone pratiche in questo senso si sono evidenziate nel caso del convento del Carmen ad Arequipa (Perù); ma si tratta di un caso abbastanza straordinario. In molte situazioni occorre poi recuperare il senso dello spazio pubblico come elemento da salvaguardare, evitando che venga a mutare la propria funzione per colmare lacune nel campo dei servizi pubblici. Al tempo stesso occorre evitare il sovrautilizzo dello spazio pubblico, a fronte della carenza di luoghi di incontro e di relazione nella città. L’impatto del turismo è infine uno degli elementi che degradano l’assetto urbano quando genera una forte pressione che produce degrado; per questo risulta prioritaria la messa in atto di politiche capaci di contenere i flussi turistici su livelli sostenibili e rispettosi del contesto storico. 4. Il bilancio del Premio Gubbio in America Latina e nel Caribe Il Premio Gubbio in America Latina e nel Caribe è stato indetto per la prima volta nel 2009 e da subito ha fatto emergere un panorama significativo


Dieci interventi dal Premio Gubbio


Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria Silvia Nélida Bossio

localizzazione Lisbona | Portogallo progetto Álvaro Siza Vieira committenza Cámara Municipal de Lisboa cronologia 1988-1995 Premio Gubbio sezione europea 1993

Il quartiere tradizionale del Chiado, antico ricordo della vita bohémienne di Lisbona e importante punto di transito, è posto nella parte alta della città, sulla collina sudorientale fra il Barrio Alto e la Baixa. I suoi confini non sono ben definiti, anche se si possono identificare nel Largo do Carmo, nell’asse della Rua Garrett, in Largo de Camões e in Largo Trindade Coelho. Il tessuto del Chiado risale alla ricostruzione di Lisbona del 1755, dopo le distruzioni causate da un terremoto, poi da un maremoto e da diversi incendi. Il suo assetto è stato voluto dal marchese di Pombal, Primo Ministro del re José de Portugal, che diede vita a un progetto urbano e architettonico at-

tento ai criteri di sicurezza in caso di terremoti e incendi. Il cuore del quartiere è costituito dalla piazza Luis de Camões in cui si svolge un’intensa vita diurna e notturna. Oggi, grazie al Piano per la ricostruzione del 1991, il quartiere ha assunto un forte carattere culturale e commerciale, recuperando l’identità e il ruolo che si erano persi a causa del suo consistente abbandono da parte di commercianti e residenti orientati verso zone della città più ricche e vitali. La Rua do Carmo e la Rua Garrett sono oggi tra le più vivaci e attive della città. Non si può dire con certezza da dove provenga la denominazione del Chiado. Alcuni l’attribuiscono al cigolio (chiar) delle ruote dei carri su per la


collina; altri la fanno risalire al soprannome che nel XVI secolo era stato dato al poeta António Ribeiro “O Chiado”, che significava “astuto”, “malizioso”. Il 25 agosto 1988 un terribile incendio ha colpito la zona, devastandone l’area commerciale, i palazzi adibiti a uffici e importanti edifici storici. Diciotto di essi, posti lungo le strade do Carmo, Nova do Alameda, Sacramento Do Garrett, sono andati distrutti, con una perdita di elementi materiali e immateriali. Questo evento ha portato a riflettere sui modi di un recupero che fosse al tempo stesso innovativo e coerente con il contesto urbano e con la sua storia. Si voleva però che l’intervento aggiungesse un segno di contemporaneità alla città.

Nel 1991 venne pubblicato il Piano di ricostruzione per l’area colpita (Plano de Pormenor para a Recuperacão da Zona Sinistrada do Chiado), redatto da Álvaro Siza in collaborazione con l’Ufficio di coordinamento e consulenza tecnica per l’area sinistrata creato dalla municipalità di Lisbona. L’intervento è basato sul rispetto per l’ambiente e la tradizione storica e architettonica della zona, mantenendone i caratteri impressi a livello volumetrico e decorativo dal Marchese de Pombal alla fine del XVIII secolo: riprendendo nella sostanza le regole costruttive del tempo, ma dotando il quartiere di nuovi impianti più moderni e sicuri, la storia è stata dunque il riferimento di fondo per la rigenerazione dell’area.

1. Rua Garrett. 2. Largo do Chiado, in secondo piano il monumento al poeta António Ribeiro, “O Chiado”.


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3-4. L’incendio del 25 agosto 1988. 5. Rua da Bica, la tramvia.

Il Comune di Lisbona ha stabilito alcuni principi per la ricostruzione del Chiado, dichiarando che esso doveva rispondere alle esigenze dei cittadini, dei lavoratori, degli imprenditori e dei proprietari, favorendo la rivitalizzazione sia della zona colpita dall’incendio, sia dell’area immediatamente circostante, al fine di trasformarle in luoghi dove vivere, lavorare, fare acquisti e trascorrere il proprio tempo libero. Non doveva essere considerato come avulso dal contesto, ma era chiamato a contribuire alla rivitalizzazione della Baixa, le cui problematiche dovevano essere studiate e prese in considerazione nella fase del progetto. La Baixa doveva essere inglobata nella zona storico-monumentale che già includeva il Chiado, rispettando e conservando i fronti edilizi esistenti di indubbio valore storico. Si doveva porre attenzione al ruolo del Chiado inteso come luogo di connessione fra la vecchia Baixa e il Bairro Alto, migliorando il legame fra questi due quartieri. Era necessario, dunque, ristrutturare e rifunzionalizzare la zona secondo precisi criteri: per il commercio si

Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria

perseguiva l’obiettivo dei rientro delle attività di vicinato, invertendo la tendenza all’abbandono verificatasi ancor prima dell’incendio; per la residenza occorreva tornare a tassi di occupazione del 30-40% del patrimonio edilizio del quartiere; era necessario prevedere la dotazione di servizi per la ricettività, la cultura e il tempo libero; si doveva porre un limite al traffico veicolare, riducendone la congestione e agevolando l’accesso alle attività insediate; si doveva dotare la zona di parcheggi pubblici al servizio dei residenti e delle attività commerciali; si doveva integrare il sistema dell’accessibilità con la previsione di una nuova linea metropolitana. Tra le operazioni proposte alla scala urbana si segnalano l’apertura di un percorso pedonale tra la Rua Garret e la Chiesa del Convento do Carmo, un percorso di connessione costituito da una scalinata, in modo da collegare Rua Nova do Crucifixo e Rua do Almada, l’accessibilità alla stazione della metropolitana Rua do Crucifixo, un sistema di controllo del traffico nella zona del Chiado e la realizzazione di parcheggi in corrispondenza dei


Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria

grandi magazzini Chiado e Grandella. E ancora il recupero dei prospetti degli edifici esistenti inteso come conservazione dei caratteri architettonici originali con la messa a punto di un programma di intervento nei diversi immobili, il miglioramento delle condizioni generali di salubrità, sicurezza e comfort, l’inserimento di nuove funzioni nel tessuto urbano e il recupero delle attività originali quali commercio, residenza, servizi, ricettività, cultura, tempo libero. La ristrutturazione della zona si è protratta per circa un decennio. L’architetto Álvaro Siza Vieira per questo progetto ha ricevuto nel 1996 il Premio Secil, l’onorificenza più importante per l’architettura in Portogallo. La ricostruzione è stata considerata dalla giuria come uno dei migliori esempi della sua architettura, per il «rispetto delle tradizioni del Portogallo, un paese degradato nei materiali e nelle forme». A questo stesso intervento l’ANCSA ha assegnato il Premio Gubbio nel 1993 per «l’esemplarità di un progetto che riesce a ottenere obiettivi di riqualificazione del centro storico adottando

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criteri compositivi contemporanei, altamente sensibili alle condizioni contestuali». In questo suo progetto Siza pone grande enfasi sulla memoria e sulla natura simbolica di questa porzione della città antica, privilegiando il recupero della continuità urbana e contrastandovi la frammentazione, per integrarla con il resto della città. Per restituire al quartiere il suo carattere di luogo di incontro, commerciale e culturale, il progetto ha teso a mantenervi le attività in essere, rafforzandole con l’inserimento di nuove abitazioni, luoghi di incontro, strutture e servizi pubblici per i residenti, affinché essi potessero vivere e lavorare nella zona. Tra gli edifici più rilevanti recuperati occorre segnalare l’edificio Grandella e i Grandi Magazzini del Chiado, che presentano un insieme di funzioni abitative, commerciali, per la ristorazione e la ricettività. Siza ha fatto riferimento a una ingente documentazione relativa al quartiere, comprendente disegni delle facciate e prospetti degli isolati e di quasi tutte le strade conservati negli archivi di Lisbona. Purtroppo una carenza to-


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tale di documentazione riguardava l’assetto interno degli edifici: per progettarne l’organizzazione distributiva si è tenuto conto della modularità dei fronti esterni, da cui sono stati dedotti allineamenti e proporzioni. Prima dell’incendio il quartiere era praticamente disabitato; in forte declino, era un’area di crescente abbandono, perché abitanti e cittadini in genere tendevano a privilegiare zone con negozi e magazzini. La strategia di ricostruzione del Chiado, che ha consentito di trasformarlo e di favorirvi l’integrazione funzionale, ne ha permesso la piena rivitalizzazione, e ha esercitato i propri effetti sulle aree circostanti. Gran parte degli edifici ha acquisito un uso residenziale, per recuperare abitanti; l’accessibilità e la mobilità sono state migliorate, con la realizzazione di una stazione sulla nuova linea metropolitana che porta al terminal ferroviario e marittimo di Cais do Sodre; sono stati migliorati i collegamenti con il resto della città; il quartiere ha assunto di nuovo il carattere culturale e commerciale che aveva nel primo Novecento. Anche se a causa dell’incendio sono andati perduti molti luoghi tipici − come la pasticceria Ferrari, i grandi magazzini Grandella e Chiado, la profumeria alla moda Casa Batalha 1635, la casa José Alexandre e la casa discografica Valentim de Carvalho – vi si possono ora trovare negozi di livello nazionale e internazionale, come Hermès, Ana Salazar o il negozio di porcellane Vista Alegre, la sartoria Modello do Carmo, la gioielleria Eloy de Jesús, la Guantería Ulisse, che hanno aperto le loro sedi nel quartiere, all’interno di edifici che ne rispettano lo spirito originario. Il sapore culturale della zona è stato valorizzato, e oggi può essere percepito attraverso la presenza – nuova o recuperata – di strutture e istituzioni come

Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria

il Museo del Chiado, il Centro culturale d’arte contemporanea, il Museo archeologico del Carmo e la Scuola di Belle Arti dell’Università di Lisbona, tutti insediati nell’antico convento di São Francisco da Cidade o ospitati nel Centro Nacional de Cultura, luogo di incontro e di diffusione della cultura portoghese. Vi si trovano librerie, come Aillaud e Lellos o Bertrand; i teatri San Luis, San Carlos o Trindade e de Camões, sede della Companhia Nacional de Bailado; chiese come Nossa Senhora de Loreto, Nossa Senhora de Encarnaçao, Nossa Senhora dos Martires y la de San Roque, oltre a numerose gallerie d’arte. Questo profilo culturale è accentuato dalla presenza di statue raffiguranti personaggi famosi, come Fernando Pessoa, Luis de Camões, José Maria Eça De Queiroz, che sottolineano l’importanza che il quartiere ha sempre avuto sul piano intellettuale. I vecchi caffè, come A Brasileira, e numerosi ristoranti eleganti, come Tavares Rico o Tágide, aggiungono un carattere speciale al Chiado. Le facciate e le forme degli edifici storici ne conservano lo spirito e l’identità, ed entrano in dialogo con la contemporaneità rappresentata dai negozi di nuova apertura; e questa è una costante dell’intervento. Sul buon risultato del progetto per il Chiado influisce direttamente l’intervento infrastrutturale, che stabilisce una relazione con le aree poste al margine del quartiere. Il miglioramento fra le parti interne ed esterne e il collegamento con le aree urbane circostanti creano nuovi punti di transizione e un nuovo ingresso al Barrio Alto. Era necessario evitare l’isolamento, non permettere che il Chiado diventasse un’isola all’interno del contesto urbano. E dunque si è concepito un intervento unitario, con lo studio e la realizzazione di nuovi collegamenti con la periferia, con la co-


struzione di una linea metropolitana di collegamento tra la Baixa e la parte alta del Chiado e l’apertura di una nuova piazza ai piedi della collina, dotata di rampe, scale mobili e ascensori che collegano la Rua de Crucifixo − nella Baixa − con la Rua Garrett nel Chiado. Gli edifici ricostruiti sono diventati parte dei percorsi di connessione, sfruttandone le differenze di quota per dar vita a collegamenti interni tra le parti dei diversi isolati: questi interventi hanno consentito oltre a ciò di recuperare all’uso pubblico spazi originariamente privati, come i cortili interni agli isolati, spesso in stato di forte degrado e di reinserirli nelle dinamiche del quartiere e della città attraverso la realizzazione di nuovi percorsi pedonali. La preoccupazione maggiore degli abitanti di Lisbona era che il Chiado

perdesse la propria identità e la propria memoria, e che dopo l’incendio non tornasse più a essere lo stesso. Siza ha risposto a queste preoccupazioni sostenendo che: «anche se non fosse stato distrutto, il Chiado non sarebbe più stato lo stesso. Penso che alcune cose fossero già cambiate all’interno del quartiere, nella sua atmosfera. Praticamente nessuno più lo viveva; e era solo una zona di commercio e grandi magazzini». Oggi i processi di trasformazione indotti dall’intervento hanno permesso il recupero architettonico di questo spazio storico e il suo rinnovamento funzionale, mantenendone lo spirito e l’identità. Il quartiere si è integrato nella città ed è tornato a essere un punto di riferimento per le attività commerciali e culturali.

6. Largo do Chiado, ingresso alla corte. 7. Rua Garret, collegamento in quota. 8. Rua do Carmo.


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Lisbona, O Chiado. Recovering Memory Silvia Nélida Bossio

Uncertainty prevails as to where the name Chiado comes from. Some attribute it to clunking sound of the wheels of the wagons (chiar) moving uphill; others date it back to the sixteenth century, to a nickname given to poet Antonio Ribeiro, “O Chiado”, meaning “clever”, “mischievous”. On 25th August 1988, a devastating fire broke out burning down the commercial area, offices as well as important historical buildings. Eighteen buidings located along the roads Carmo, Nova do Alameda, Sacramento Do Garrett were destroyed, leaving behind considerable material and immaterial loss. In 1991, the plan known as “Plano de Pormenor para a Recuperacão da Zona Sinistrada do Chiado” was drafted by Álvaro Siza. The guiding principles included respecting the environment, preserving the historic and architectural features of the late eighteenth century, while at the

same time providing the district with modern and secure facilities. To restore the neighborhood’s distinctive character, where culture and business intertwine, the project envisaged keeping the activities in place and boosting them with new houses, meeting places, public facilities and services for residents, allowing people to live and work in the area. Among the important buildings recovered there is the Grandella building and the Chiado department store, which now offer a mix of housing, business, food and drink as well as accommodation. The neighborhood’s sense of culture has benefitted with the presence of such initiatives and institutions as the Chiado Museum, the Cultural Center of Contemporary Art, the Archaeological Museum of Carmo, the Lisbon University Faculty of Fine Arts. All these institutions are located within the walls of the old São Francisco da Cidade monastery, or hosted in the Centro Nacional de Cultura, a strategic meeting place

Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria

from Portuguese culture can be disseminated. The project’s success depends mostly on the facilities and infrastructures linking the place to the areas along the neighborhood’s margins. Improving the inner and outer parts and connecting surrounding urban areas has generated transition opportunities and a new access to the Barrio Alto. Above all, most important was to avoid isolation, and not to leave Chiado as an island in the city.


Lisbona, O Chiado. Il recupero della memoria

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Cameranebbia, fotogrammi tratti dal video

Lisboa, O Chiado. La recuperación de la memoria Silvia Nélida Bossio

No se sabe a ciencia cierta de dónde proviene el nombre de Chiado. Algunos afirman que se debe al chirriar (chiar) de las ruedas de los carruajes al subir la cuesta y otros que en el siglo XVI, toman el nombre del apodo del poeta Antonio Ribeiro “O Chiado” que significaba “astuto” o “malicioso”. El 25 de agosto de 1988, un terrible incendio azotó la zona, afectando el área comercial, edificios de oficinas e importantes edificios históricos. Alrededor de 18 edificaciones de singular interés histórico y de relevante importancia para la ciudad, que bordeaban las calles Do Carmo, Nova do Alameda, Garrett y Do Sacramento fueron destruidos, causando un importante número de pérdidas materiales e inmateriales. En 1991 se publicó el Plano de Pormenor para a Recuperação da Zona Sinistrada elaborado por Álvaro Siza. La interven-

ción tuvo como premisa, el medio ambiente y el respeto por la tradición, por el ambiente histórico y arquitectónico de la zona, manteniendo la fisonomía de finales del siglo XVIII pero dotándoles de instalaciones contemporáneas y seguras en el interior. Para devolver al barrio su carácter de lugar de encuentro comercial y cultural, la propuesta se centró en mantener la actividad comercial, reforzándola con la incorporación de viviendas y de espacios destinados a los vecinos como lugares de encuentro, equipamientos y servicios públicos, para que de este modo pudieran vivir y trabajar en el sector. Entre los edificios recuperados de carácter singular, cabe destacar el Edificio Grandella y los grandes Almacenes del Chiado, que presentan un mix de funciones habitacionales, comerciales, gastronómicas y de hotelería. El perfil cultural puede percibirse especialmente a partir de la creación y recuperación de equipamientos e instituciones culturales como por ejemplo

el Museo de Chiado, el Centro Cultural de Arte Contemporáneo, el Museo Arqueológico de Carmo y la Facultad de Bellas Artes de la Universidad de Lisboa, todos ellos ubicados en el antiguo Convento de São Francisco da Cidade o la sede del Centro Nacional de Cultura que actúa como un espacio de encuentro y difusión de la cultura portuguesa. El resultado del proyecto “El Chiado”, influye directamente como intervención sobre las infraestructuras de conexión con su entorno y con la periferia del barrio. La mejora de las comunicaciones interiores y exteriores y de la conexión entre el sector y las distintas zonas urbanas circundantes logran establecer un espacio de transición y un nuevo acceso al Barrio Alto de la ciudad. Pero sobre todo era necesario evitar el aislamiento, que el barrio se convirtiera en una isla desvinculada de su entorno.


Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità Teresa Cannarozzo

localizzazione Siracusa | Italia progetto Vincenzo Latina con Daniele Catania (Corte dei Bottari e Corte dei Cassari) Vincenzo Latina (Giardino di Artemide, Padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision) committenza Comune di Siracusa cronologia 1997-2012 Premio Gubbio sezione italiana 2006

Una caratteristica significativa distingue la documentazione esaminata in occasione del Premio Gubbio 2006: è sembrato infatti che sia le amministrazioni, sia i progettisti abbiano rivolto l’attenzione non più e non solo al recupero edilizio, ma anche alla valorizzazione degli spazi aperti dei centri urbani, da destinare alla più varia e ampia fruizione pubblica, accentuando la tendenza già emersa nei progetti dell’edizione 2003 (Palmanova, Todi, Pomigliano d’Arco). Nel 2006, infatti, il Premio Nazionale è stato assegnato ex aequo al progetto presentato dal Comune di Siracusa Ufficio Tecnico Speciale per Ortigia (UTSO) e denominato, perfino con troppa modestia, “Micro-interventi

di riqualificazione urbana nell’isola di Ortigia”, di cui sono progettisti l’architetto Vincenzo Latina e l’ingegner Daniele Catania. Da molti anni la città di Siracusa, grazie al piano particolareggiato firmato da Giuseppe Pagnano e a politiche pubbliche adeguate, si è impegnata in un vasto programma di interventi di riqualificazione urbana volti al recupero del patrimonio edilizio storico, al miglioramento dello spazio pubblico e all’abbattimento del rischio sismico, molto elevato per la compattezza del costruito e l’insufficienza di vie di fuga. L’obiettivo era quello di rilanciare l’economia urbana attraverso l’accentuazione del ruolo turistico e culturale.


1. La Corte dei Bottari L’intervento premiato consiste nello scavo di una corte nell’isolato dei Bottari nella zona nord-occidentale di Ortigia. Ci troviamo nelle vicinanze della cattedrale (ex tempio di Atena) e del municipio, sorto sull’area di sedime del tempio di Artemide. L’intervento inizia liberando dalle macerie lo spazio centrale della corte, per mettere a nudo le tracce della rete viaria di origine classica: la maglia geometrica delle plateia e degli stenopoi. In particolare viene rintracciato ed evidenziato con materiali differenti lo stenopos che attraversa la corte con orientamento est-ovest. Le pietre di spoglio venute alla luce durante i lavori diventano tessere pregiate delle textures delle nuo-

ve pareti che definiscono il perimetro della corte. Questo progetto è la prima tappa di un percorso finalizzato a mettere in luce la parte basamentale del tempio di Artemide, che era parallelo a quello dedicato ad Atena, il quale ha avuto migliore fortuna. L’occasione odierna ci consente di dare conto delle tappe successive di tale percorso, che testimonia il ruolo esemplare del progetto di architettura nel dialogo con un contesto tanto straordinario quanto degradato e violentato da trasformazioni feroci. 2. La Corte dei Cassari La seconda fase dei lavori consiste nel collegamento tra la corte dei Bottari e il Ronco ai Cassari ed è intesa

1. Piazza Minerva, sulla destra il padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision. 2. Texture muraria monocromatica.


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Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità

come dilatazione spaziale e funzionale della prima. La nuova corte è stata realizzata grazie alla demolizione di alcuni vani localizzati in fondo al Ronco Aquila e alla liberazione dalle macerie accumulate nell’area, in decenni di abbandono, che isolavano, di fatto, alcune cellule edilizie interne all’isolato. Tali interventi condotti in galleria, dentro gli edifici, hanno permesso il prolungamento sullo stesso Ronco dell’asse viario che, con orientamento est-ovest, attraversa il cortile Bottari. Il tracciamento dello stenopos dà continuità all’asse viario della corte dei Bottari, sottolinea un segmento dell’antica rete viaria, ma costituisce l’occasione per configurare uno spazio che esprime una contemporaneità declinata con discrezione e semplicità. Il progetto è stato concepito come un sistema di ambiti passanti, in cui si alternano gallerie ombreggiate e spazi assolati. Tale intervento, a differenza dello spazio della corte dei Bottari, connotato da caratteri che invitano alla permanenza e all’osservazione prolungata, è immaginato, viceversa, come

una sequenza di spazi “accessori” dal tono “sommesso”. L’unica eccezione di maggior impatto figurativo è costituita da un corpo scala in struttura metallica che collega lungo il percorso vari ambienti pubblici interni all’isolato. La suddetta scala, realizzata con struttura e rivestimento di acciaio zincato, è svincolata dal rigido invaso della nuova corte, accentuando all’interno dell’isolato il senso di percorrenza orizzontale e verticale. 3. Il Giardino di Artemide L’amministrazione comunale di Siracusa ha inteso procedere alla manutenzione straordinaria dell’area di San Sebastianello, compresa fra il palazzo senatorio e il palazzo comunale di via Minerva. Lo spessore mitologico del luogo e la prevalenza della componente archeologica hanno suggerito la realizzazione di un giardino dedicato ad Artemide. Come accennato precedentemente, nell’area in questione sorgeva il tempio ionico della dea, che si affiancava all’Athenaion, il tempio greco trasformato nel VI secolo d.C., in


Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità

basilica cristiana, che si presenta oggi plasmata in un fastoso barocco. I resti del tempio ionico sono stati ritrovati in parte negli anni Sessanta, durante le operazioni di scavo per la realizzazione di alcuni uffici comunali in via Minerva, dagli archeologi Gino Vinicio Gentili e Paola Pelagatti. Tali reperti, di inestimabile interesse archeologico, sono situati all’interno dei sotterranei tra le strutture di fondazione dei nuovi edifici e sino a oggi sono stati accessibili attraverso una scala di servizio interna agli uffici comunali. A rendere particolarmente affascinante l’area era anche il suo lungo abbandono, causa di una straripante fioritura di essenze spontanee. L’esplosione della natura, capace di nascondere e nobilitare il degrado, ha suggerito di realizzare un intervento in sintonia con i cicli della vegetazione spontanea, senza rimuoverla o ostacolarne la crescita. Tale spazio è stato quindi immaginato metaforicamente come un’“offerta” ad Artemide che, nel codice dei miti, è rappresentata come la dea vergine protettrice della fertilità umana, ma anche della fecon-

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dità del territorio, dei campi coltivati, della flora e della fauna. Nel giardino è stata realizzata anche una piccola fontana ricavata da un monolito (una macina di mulino) recuperato nell’area, che evoca attraverso il mormorio dell’acqua la natura primigenia dell’isola d’Ortigia, le cui rigogliose fonti di acqua dolce hanno alimentato nei millenni gli insediamenti umani, generando il mito di Alfeo e Aretusa. Il progetto ha cercato di ricomporre i frammenti presenti nel sito, mantenendo, quali elementi caratterizzanti, la folta vegetazione primaverile ed estiva, che rende il luogo ombreggiato, nascosto e fresco, i reperti emersi dagli scavi archeologici, la differenza delle quote del terreno e la scoperta di una cisterna greca rinvenuta durante i lavori. Le opere realizzate sono state immaginate proprio come “dispositivi” preposti ad accogliere la vegetazione naturale che, a pochi mesi dalla fine dei lavori, ha riconquistato il proprio spazio mediante “un’invasione” spontanea e rigogliosa nella quale prevale l’Ailanto Altissima, denominata anche “albero del cielo” o “del paradiso”.

3. La Corte dei Bottari prima dell’intervento. 4-5. La Corte dei Cassari prima dell’intervento. 6. Piazza Minerva prima dell’intervento. 7. Il Giardino di Artemide. 8. La Corte dei Bottari.


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Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità

L’Ailanto, originaria dalla Cina, è particolarmente invasiva e infestante; si trova frequentemente in tutti i terreni incolti ed è caratterizzata da steli filiformi come giunchi che raggiungono altezze considerevoli. Gli interventi realizzati sono in prevalenza reversibili, a basso impatto e compatibili con le caratteristiche archeologiche del sito. Infatti i vari dislivelli presenti nell’area, resti di passate campagne di scavo – in procinto di franare –, sono stati contenuti con lastre di acciaio ossidato, montate “a secco”, disposte come una sequenza regolare di pannelli che, con il loro colore rosso scuro, perimetrano l’andamento del terreno. Un secondo recinto a maglie trasparenti elettrosaldate contiene e canalizza la vegetazione spontanea, influenzata dal ritmo delle stagioni, con esplosioni di fioriture e di colori in primavera e arbusti filiformi durante l’inverno. La configurazione più emozionante è quella primaverile, quando la natura-Artemide si manifesta con forza, non solo come oggetto di contemplazione, ma anche come materia viva dell’architettura. Le essenze spontanee invadono il luogo: le fredde lastre di acciaio del recinto e la trama perimetrale in rete elettrosaldata inglobano e incorniciano i fiori dai diversi colori, i sottili steli della pianta del paradiso, i riflessi in balìa della luce e le mutevoli ombre. 4. Il Padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision La realizzazione del giardino di Artemide è solo la prima fase di un intervento che prevede anche la realizzazione di un padiglione di accesso agli scavi del tempio ionico su piazza Minerva. Il Padiglione si pone in continuità con l’area del giardino di Artemide. Conterrà i numerosi reperti rinvenuti nell’area e renderà fruibili gli straordi-

nari scavi archeologici risparmiati dalle strutture di fondazione degli edifici soprastanti. L’area di progetto presenta un piccolo affaccio su piazza Minerva ed era caratterizzata da un vuoto – o meglio da uno squarcio – che interrompeva la continuità della cortina edilizia su piazza Minerva, che sul lato opposto presenta la facciata laterale della cattedrale, ritmata dalla presenza del colonnato esterno del tempio di Atena, inglobato nella muratura della chiesa cristiana. Il progetto realizza, mediante lo scavo archeologico, il collegamento con un’area “sepolta” ancora poco conosciuta: quella dei sotterranei dell’edificio comunale, che custodisce i resti delle fondazioni del tempio ionico, di alcune capanne sicule della tarda età del bronzo e la cripta della chiesa di San Sebastianello. La matrice progettuale del Padiglione (volumetria, altezza, giaciture, spazio interno, aperture verso l’esterno) deriva dall’interpretazione dei caratteri del sito. Si è voluto realizzare un edificio non banale, ma “sottomesso” agli straordinari monumenti limitrofi. Il rivestimento delle facciate è costituito da una texture muraria monocromatica, che ripropone con un sobrio linguaggio contemporaneo le murature medioevali o gotico-catalane che caratterizzano il patrimonio di Ortigia su cui si è innestata la ricostruzione barocca dopo il terremoto del 1693. Un unico taglio verticale nella facciata principale opera una connessione visiva e spaziale tra i reperti del tempio ionico e la colonna d’angolo del tempio di Atena. L’interno del Padiglione è stato immaginato come una cella aperta che genera uno spazio concavo, simile a un’opera “di scavo” attuata nella massa dell’edificio. I materiali e l’illuminazione interna sono interpretati come evocazione contemporanea


Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità

di un ipogeo, memoria delle Latomie di Siracusa. Il Padiglione è caratterizzato dalla penombra e da una luce misurata che filtra attraverso una grande “lanterna”, per diventare una camera di luce sugli scavi sottostanti La struttura, del tipo a telaio, non poggia direttamente sul sito archeologico, ma su cuscinetti elastici, e ha richiesto la realizzazione di un giunto sismico perimetrale che sottolinea lo stacco dell’edificio dal suolo e conferisce al volume costruito, rivestito da strati di blocchi di calcare, un senso di grande leggerezza. La notevole valenza archeologica del sito ha imposto la realizzazione di una peculiare struttura portante costituita da un sistema puntuale e circoscritto di “appoggi”, isolatori sismici elastomerici HDRB/LRB posizionati alla base dei pilastri della struttura portante del padiglione. Sono stati installati anche due apparecchi d’appoggio multidirezionali in elastomero armato, costituiti da strati alternati con acciaio laminato. Contrariamente alla grande moltitudine di architetture contemporanee,

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firmate dalle cosiddette “archistar” e caratterizzate da un’eccessiva autoreferenzialità, gli interventi che abbiamo descritto cercano di interpretare progettualmente il contesto ambientale e diventano parte di un sistema dove il paesaggio urbano, la vegetazione, la natura, la luce, l’organizzazione spaziale delle preesistenze e l’accurata selezione dei materiali utilizzati concorrono insieme a implementare i nodi della rigenerazione urbana e le trame degli spazi aperti.

9. Il padiglione dell’Artemision, dettaglio. 10. Gli scavi dell’Artemision. 11. Il padiglione dell’Artemision, prospetto.


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Siracusa, Ortigia. Forms of urban space between archaeology and contemporary trends Teresa Cannarozzo

For years the city of Syracuse has committed itself to an urban renewal programme whose aim is the recovery of heritage buildings, the improvement of public spaces and reducing the seismic risk. The objective is the revitalisation of urban economy by expanding the role of tourism and culture. The project, which won the Gubbio Prize in 2006, consisted in excavating a court in the Bottari block, near the Cathedral (formerly the temple of Athena) and the Town Hall. The intervention started by clearing the courtyard’s central space from the rubble, disclosing traces of the ancient road network dating to the classical period: a geometric mesh of plateia and stenopoi. The first phase of a process strives to spotlight the base of the Artemis temple. The second phase of the

Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità

intervention connects the Bottari court to Ronco at Cassar, which ought to be considered a spatial and functional expansion of the first court. Tracking the stenopos unveils a segment of the ancient road network, enabling the set up a space with discretion and simplicity. The City of Syracuse then decided to proceed with the maintenance of the area between the Senate building and the town hall on via Minerva. The myths related to the place and the prevalence of the archaeological elements have led to the creation of a garden dedicated to Artemis. What made the area particularly fascinating was its extended period of neglect, perceivable from the thriving wildflowers. The natural flourishing succeeded to hide and at the same time ennoble degradation, and it inspired an intervention which was attuned to the cycles of spontaneous vegetation, without removing or damaging its growth. This space was therefore metaphorically imagined as an “offer” to Artemis, a

virgin goddess said to bring on fertility. The project strove to reassemble the fragments found on the site, keeping the vegetation and the findings that surfaced during archaeological excavations, which include an old Greek cistern. The work on the garden was only the first phase of the project, which foresees the construction of a pavilion that gives access to the excavations to the Ionic Temple situated in the square at Piazza Minerva. The Pavilion displays the many artefacts found in the area and offers access to the extraordinary archaeological excavations which have been spared from being the foundation of supporting structures of buildings.


Siracusa, Ortigia. Figure dello spazio urbano tra archeologia e contemporaneità

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Cameranebbia, fotogrammi tratti dal video

Siracusa, Ortigia. Configuraciones del espacio urbano entre la arqueología y contemporaneidad Teresa Cannarozzo

Por muchos años la ciudad de Siracusa se comprometió en un vasto programa de intervenciones de regeneración urbana dirigido a la recuperación del patrimonio histórico, a la regeneración del espacio público y a la reducción del riesgo sísmico. El objetivo era revitalizar la economía urbana a través de la acentuación del rol turístico y cultural. La intervención premiada en 2006 consiste en la excavación de un patio en la manzana de los Bottari, cerca de la Catedral (ex templo de Atenea) y del Municipio. La intervención comienza liberando de entre los escombros el espacio central del patio, para poner al descubierto las huellas de la red vial de origen clásico: la malla geométrica de las plateia y de las stenopoi. Esta es la primera etapa de un recorrido cuyo fin es el de sacar a

la luz el basamento del templo de Artemisa. La segunda fase de los trabajos consiste en la conexión entre el patio de los Bottari con el Ronco de los Cassari y esta es entendida como la ampliación espacial y funcional del primer patio. El trazado del stenopos subraya un segmento de la antigua red viaria y constituye la oportunidad de configurar un espacio que expresa una contemporaneidad interpretada con discreción y sencillez. La administración municipal de Siracusa, ha actuado en el mantenimiento extraordinario del área que se encuentra entre el palacio Senatorio y el palacio municipal de calle Minerva. La fuerza mitológica del lugar y el predominio de la componente arqueológica, han sugerido la realización de un jardín dedicado a Artemisa. Un elemento que hacía que el área sea un lugar particularmente atractivo era su prolongado abandono causado por el crecimiento espontaneo y desbordante de las flores. La explosión de la

naturaleza, capaz de esconder y ennoblecer la degradación, ha sugerido realizar una intervención en sintonía con los ciclos de la vegetación espontanea, sin removerla u obstaculizar su crecimiento. Tal espacio ha sido imaginado metafóricamente como un “ofrecimiento” a Artemisa que es la diosa virgen protectora de la fertilidad. El proyecto ha buscado recomponer los distintos fragmentos presentes en el sitio, manteniendo la vegetación y los elementos encontrados en las excavaciones arqueológicas, entre los cuales se halla una cisterna griega. La realización del jardín es sólo la primera fase de una intervención que prevé la realización de un pabellón de acceso a las excavaciones del Templo jónico en la plaza de Minerva. El Pabellón contendrá los numerosos hallazgos encontrados en el área y pondrá a disposición las extraordinarias estructuras arqueológicas de la fundación de los edificios que se encuentran por encima.


e

30,00

ISBN 978-88-7115-902-7


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