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ITALIA DIGITALE

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CYBERSECURITY

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REGIONI ITALIANE, DAL LOCKDOWN AL FUTURO

Dalla Liguria al Veneto, dalla Toscana alla Puglia: esempi di Pubblica Amministrazione in cui la tecnologia sta trasformando il modo di lavorare. Non solo come risposta all’emergenza.

La Pubblica Amministrazione spesso è tutt’altro che sinonimo di tecnologia all’avanguardia o di innovazioni spinte. Specie in Italia, a questa sfera della nostra società associamo più facilmente l’idea di una lenta burocrazia e di disservizi che complicano la vita dei cittadini, più che semplificarla. Ma lo stereotipo non sempre corrisponde alla realtà: almeno a livello regionale, durante il lockdown di primavera non sono mancati esempi virtuosi di amministrazioni che hanno reagito rapidamente al contesto della crisi sanitaria, sfruttando a piene mani la tecnologia. The Innovation Group ha raccolto diverse testimonianze di quanto lo smart working abbia aiutato le Regioni a restare operative, compatibilmente con l’esigenza di contenere i contagi di coronavirus. Diversi i punti in comune: l’importanza di fare leva sul percorso di innovazione già avviato e l’intenzione di andare avanti, ben oltre l’emergenza, sia nello smart working sia nello sviluppo di nuovi servizi digitali. Se così sarà, lo portà dire solo il tempo.

La lungimiranza di Regione Liguria “Nel nostro caso eravamo pronti già prima del covid-19 in quanto lo smart working è iniziato in Regione Liguria nel 2018”, testimonia Paolo Sottili, direttore Generale, direzione centrale organizzazione di Regione Liguria. “Stavamo già lavorando allo smart working, ma il progetto ha subito una brusca accelerazione a seguito della tragedia del crollo del Ponte Morandi. L’emergenza sanitaria ha dato poi un forte impulso alla diffusione di questa modalità di lavoro”. Già prima del lockdown della scorsa primavera un centinaio di collaboratori dell’ente ligure poteva lavorare da remoto attraverso un sistema di Virtual Desktop Infrastructure, accedendo con le proprie credenziali a banche dati e applicazioni. Con l’emergenza covid-19 il numero degli smart worker è più che decuplicato, passando a oltre 1.200 (dei quali 400 operativi attraverso Vdi e i restanti abilitati all’accesso tramite Vpn). “Inutile dire che lo smart working emergenziale ha dato una fortissima spinta alla digitalizzazione delle attività e allo sviluppo delle relative competenze”, sottolinea Sottili. “considerato che l’età media nella PA è tipicamente alta e molti dipendenti, se non vi fossero stati costretti, non avrebbero

mai fatto questa esperienza. Lo smart working richiede un particolare sforzo, prima in termini di programmazione delle attività e di definizione degli obiettivi e poi in termini di monitoraggio e controllo dei task svolti da remoto dai collaboratori. Ma chi ha sperimentato questo cambiamento vuole far sì che il lavoro agile diventi un modo di essere diffuso e strutturale dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione: si sono create tutte le condizioni perché, una volta terminata la fase emergenziale, ciò accada”.

Dalla formazione alla pratica in Regione Veneto

In Veneto l’amministrazione regionale aveva avviato un progetto di formazione sullo smart working ben prima dell’emergenza sanitaria. “Lo scorso anno è stato avviato un percorso di accompagnamento della Pubblica Amministra-

zione, volto innanzitutto a promuovere la formazione e la cultura tra i dipendenti pubblici sui temi della digitalizzazione”, racconta Idelfo Borgo, direttore Ict e Agenda Digitale di Regione Veneto. “In collaborazione con altre Regioni, capofila l’Emilia-Romagna, abbiamo partecipato a un progetto nazionale di smart working che si è concretizzato nella creazione di gruppi multidisciplinari, grazie ai quali comprendere che cosa significasse realmente lavorare in condizioni di smart working e quali ne fossero le implicazioni In questo modo è stato possibile creare quello che è stato definito “kit di riuso”: una ‘scatola degli attrezzi’ che comprende la disciplina, le tecnologie, il piano comunicativo, i moduli formativi, eccetera. Questo ha permesso ancora prima del periodo di emergenza di avviare un percorso di accompagnamento ai cambiamenti in atto nel territorio”. Grazie a questa attività

la Regione non è stata colta alla sprovvista dal lockdown ed è stato possibile trasferire rapidamente in smart working circa 2.500 dipendenti. E non solo: anche circa duecento piccoli Comuni hanno potuto utilizzare strumenti di videoconferenza per non interrompere il normale calendario dei consigli comunali. Inoltre circa 85mila dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni venete hanno potuto lavorare da casa, all’occorrenza, utilizzando un’insieme di applicazioni di collaboration in cloud. “La lezione più importante appresa durante il lockdown”, riflette Borgo, “è che un cambiamento di vasta portata, come quello che potrebbe generare un’adozione più diffusa dello smart working, avrebbe inizialmente degli inevitabili impatti dal punto di vista tecnologico ma comporterebbe poi un più ampio ridisegno degli approcci organizzativi e un forte cambiamento culturale. La digitalizzazione del settore pubblico non implica, infatti, soltanto l’utilizzo e l’applicazione di determinati strumenti e soluzioni ma necessariamente passa dalla rivisitazione dei processi e da una certa dose di buonsenso, fondamentale nei momenti di crisi”. Regione Veneto ha anche creato un gruppo di lavoro multidisciplinare permanente sullo smart working.

La sanità digitale di Regione Toscana

“L’attività svolta già prima della diffusione della pandemia sull’Agenda Digitale ci ha consentito di affrontare la fase di emergenza in parte preparati”, testimonia Sauro Del Turco, responsabile attuazione Agenda Digitale Toscana e Innovazione Digitale nella PA di Regione Toscana, “grazie soprattutto agli interventi sulle infrastrutture abilitanti (su cui si lavora da tempo), sugli stan-

dard, sulla sicurezza in rete e sui servizi di connettività. Un contesto su cui gravano i ritardi accumulati nell’ambito del Piano Nazionale della Banda Ultra Larga, una problematica segnalata anche nella conferenza tra le Regioni dal presidente Stefano Bonaccini, che ha evidenziato la necessità di un intervento tempestivo, in modo particolare in relazione alle scuole”. Tra le iniziative sviluppate dalla Regione Toscana durante il lockdown spiccano quelle dell’ambito sanitario: la raccolta dei dati sui tamponi, sui contagi e sui posti letto in terapia intensiva, naturalmente, ma anche un’applicazione di monitoraggio (#acasainsalute). “Un’iniziativa di particolare successo”, racconta Del Turco, “grazie a cui è stato evitato alle persone di recarsi presso gli studi medici, è stato l’invio delle prescrizioni mediche via Sms. Fatto utile soprattutto per le persone anziane o per chi, non disponendo di un Pc o di uno smartphone, aveva difficoltà ad accedere alle ricette presenti nel fascicolo sanitario elettronico”. Non è stata una sperimentazione di nicchia, tutt’altro: tra il 12 marzo e i primi giorni di giugno sono stati inviati in regione 1.850.000 Sms contenenti prescrizioni mediche. In parallelo è stata sviluppata un’applicazione per la lettura delle ricette mediche, rivolta ai farmacisti. Per quanto riguarda lo smart working, invece, la quota di dipendenti della Regione operativi da casa è balzata dal 12% precedente al lockdown a oltre il 95%, grazie a un’estensione dei collegamenti in Vpn e del ricorso a strumenti di videoconferenza. “Nei mesi del lockdown”, conclude Del Turco, “la Regione è riuscita a fare fronte alla fase emergenziale, garantendo l’operatività e la continuità di molte attività pubbliche. In piena fase di chiusura abbiamo rinnovato il portale dei servizi digitali della PA toscana disponibili su open.toscana.it e ora anche sull’app ufficiale di Open Toscana. disponibile sugli store. La fase della ripresa, seppur meno complessa sotto diversi aspetti, richiederà comunque un impegno straordinario, oltre che il proseguimento dell’adozione di metodi di lavoro e strumenti alternativi”.

Da Spid alle app, la risposta di Regione Puglia

Anche In Puglia la PA ha potuto reagire all’emergenza facendo leva sulla trasformazione digitale già realizzata negli anni precedenti. “La Regione non è stata colta impreparata dalle sfide che la pandemia ha posto in essere”, assicura Adriana Agrimi, dirigente del Dipartimento sviluppo economico, innovazione, istruzione, formazione e lavoro di Regione Puglia. “Ciò è avvenuto principalmente perché era stato avviato da più di un decennio lo sviluppo di un percorso digitale complessivo, grazie a cui è stato possibile individuare e applicare soluzioni che hanno facilitato attività quali la gestione digitale della sanità, l’accesso remoto ai servizi della Pubblica Amministrazione, la transizione allo smart working dell’attività dell’amministrazione regionale. A dimostrarlo sono dati quali l’aumento dell’attivazione del Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid) nei fascicoli sanitari elettronici e il picco di accessi rilevati al nuovo portale regionale, che durante l’emergenza si è rivelato un importante strumento di colloquio sia con i cittadini sia con tutto il sistema regionale”. Tra i nuovi strumenti attivati c’è anche un’app, PugliaSalute, utilizzata come servizio di segnalazione per il rientro dalle altre regioni. Attraverso il sistema informativo regionale Giava covid-19, inoltre, sono stati creati report giornalieri a uso e consumo della protezione civile, delle prefetture e dei sindaci. V.B.

Infrastrutture, organizzazione, mentalità e altro ancora: Federico Butera, presidente di Fondazione Irso, illustra i temi con cui lo smart working dovrà confrontarsi.

TRASFORMARE (DAVVERO) IL LAVORO E GLI UFFICI

Sullo smart working, le opinioni sullo scenario che si verificherà una volta terminata l’emergenza divergono. A un estremo c’è chi ritiene che verrà ripristinato lo status quo (in cui il lavoro smart coinvolgeva principalmente alcune grandi imprese), all’altro chi propone di far continuare a lavorare da remoto tutti. Probabilmente ciò che avverrà sarà la costituzione di un nuovo equilibrio tra il lavoro in sede e quello da remoto, un lavoro “ubiquo”. Le applicazioni del lavoro ubiquo, smart o agile sono in realtà opportunità o necessità per cambiare profondamente le organizzazioni: al management spetta il compito di avviare e condurre i profondi processi di cambiamento necessari, con i supporti professionali appropriati; alle Istituzioni, di predisporre le infrastrutture materiali, finanziarie e formative per favorire questi sviluppi. La sfida principale sarà quella di estendere in maniera adeguata lo smart working anche alle Pmi e alle organizzazioni della Pubblica Amministrazione di minori dimensioni (che, si ricorda, insieme rappresentano la grande maggioranza degli occupati e del PIL italiano), realtà che prima del lockdown avevano rispettivamente il 15% e il 16% di dipendenti in smart working. Perché ciò accada bisognerà innanzitutto supportare chi intende intraprendere un tale percorso di cambiamento, tenendo conto soprattutto delle differenze che caratterizzano queste imprese e Pubbliche Amministrazioni.

Dodici temi su cui riflettere

Proponiamo dodici aree di azione per condurre correttamente questi sviluppi, tenendo conto dei singoli contesti. La prima riguarda la concezione dello smart working: bisogna innanzitutto convenire su cosa sia realmente lo smart working per il management, se lavoro da remoto oppure una nuova filosofia manageriale o un nuovo modo di gestire l’impresa. Occorre tener conto di molti aspetti legali: ad esempio, la sicurezza dei dati, la protezione della privacy dei lavoratori, le responsabilità del datore di lavoro per eventuali incidenti e molto altro. La seconda area d’azione riguarda le infrastrutture, che oggi sono disponibili in modo ineguale nelle diverse aree del Paese. Le connessioni al centro di Milano non sono uguali a quelle dei paesi dell’entroterra ligure: occorre progettare gli sviluppi considerando realisticamente la disponibilità di infrastrutture. La terza area abbraccia le tecnologie di supporto e la cybersecurity: senz’altro i cambiamenti in atto non potrebbero avvenire

senza l’attività dei provider di tecnologia, che però propongono strumentazioni necessarie ma non sufficienti. Occorre anche disporre di competenze su impresa, organizzazione, lavoro, formazione, bilanciamento vita-lavoro, competenze che i provider per lo più non hanno. Bisogna quindi pensare - il quarto tema - alle modalità di gestione dell’equilibrio tra vita e lavoro. In questi mesi è avvenuto un esperimento che ha coinvolto oltre otto milioni di persone. Alcuni ne sono stati felici, altri hanno dichiarato gravi problemi di sovraccarico, interferenza tra vita e lavoro, stress. Sono stati penalizzati le donne con bambini e chi abita in case piccole. Un nuovo modo di lavorare che concili vita personale e professionale nello stesso luogo va concepito, progettato, negoziato e condiviso nei singoli contesti, attivando percorsi di formazione dei dirigenti e di partecipazione dei dipendenti. La quinta area d’intervento è la mentalità: smart worker non si nasce ma lo si può diventare. Non ci si può improvvisare, ma c’è bisogno di formazione e apprendimento. Il sesto tema è la proporzione fra lavoro in sede e remoto. Una volta terminata l’emergenza, la occorrerà riproporzionare queste sfere, coinvolgendo

inevitabilmente dimensioni economiche strutturali imponenti: utilizzo degli spazi aziendali, trasporti, gestione dei servizi di ristorazione e alberghieri intorno alle sedi e molto altro. Questa è materia di politiche pubbliche, ma forte è il ruolo delle rappresentanze delle imprese. Il settimo sviluppo riguarda la concezione degli uffici. Quello composto da esperti e professionisti è già da tempo avvezzo a lavorare in remoto, così come lo è l'ufficio “direzionale”, da cui è possibile fornire indicazioni e orientamenti anche a distanza. La vera problematica è rappresentata dagli ”uffici-fabbrica”, che poco si prestano a lavorare per obiettivi e competenze . Si verifica ora un’importante occasione per ridurre il peso degli uffici fabbrica e muoversi verso assetti organizzativi autoregolati e professionalizzazione delle persone. L’ottavo tema è l’interior design degli uffici: le esigenze di distanziamento fanno sorgere nuove idee su come organizzare il layout, oltre gli uffici singoli e oltre gli open space. Il nono aspetto è il ridisegno degli spazi casalinghi: molti lavoratori hanno bisogno di consulenza e di risorse per ristrutturare gli spazi domestici. Numero dieci, occorre sviluppare forme organizzative differenti da quelle concepite finora e basate sull’idea che l’ufficio sia solo una porzione di un organigramma in cui vengono gestiti compiti e mansioni . Occorrono forme di sistemi socio-tecnici che gestiscano processi e risultati con meccanismi di continuo adattamento all’ambiente esterno. Ciò richiede una riconfigurazione dei processi, delle tecnologie della cooperazione, della concezione delle microstrutture, dei sistemi di controllo di gestione e di visual management. Senza tali cambiamenti sarà ben difficile concepire il lavoro sulla base del raggiungimento di risultati e obiettivi (in chiave smart, come si vorrebbe). L’undicesimo passo riguarda il sistema professionale: vanno modificate le attuali modalità di svolgimento del lavoro, soprattutto negli uffici-fabbrica, modalità basate su compiti, mansioni, livelli, indennità. Andrebbe sviluppata una concezione basata su ruoli caratterizzati da risultati, da controllo sui processi, da forme di cooperazione autoregolata, dal padroneggiamento delle tecnologie, da competenze di dominio e competenze sociali. In molti casi il lavoro va fatto evolvere verso mestieri e professioni a larga banda, con un potenziale di flessibilità e di adattamento al variare dei ruoli e dei contesti. Infine, le relazioni industriali: dovranno diventare “propositive”, cioè il sindacato o le rappresentanze dovranno partecipare attivamente ai processi di cambiamento e non affrontarli quando sono già in corso. Per agire sulle su queste aree occorre attivare percorsi progettuali volti a modificare le strutture dell’organizzazione, del lavoro e delle relazioni. Serviranno alcune (poche) norme e alcuni (pochi) accordi cornice, ma soprattutto molti “cantieri di progettazione”, innovativi e partecipativi. (tratto da un intervento di Federico Butera, professore emerito di Scienze dell’Organizzazione e presidente di Fondazione Irso)

VERSO LA “NUOVA NORMALITÀ”

Da una parte la pressione imposta dalla pandemia, dall'altra le resistenze al cambiamento. Anche le banche sono di fronte a una sfida epocale, che coinvolge i clienti ma anche i dipendenti.

Lo shock dell’emergenza sanitaria è stato per le banche italiane un fattore di decisa accelerazione del loro processo di trasformazione digitale. Esse hanno superato un test significativo nel garantire i servizi ai propri clienti e nel mettere il personale in condizioni di lavorare in modo sicuro. Si è partiti da qui nell’edizione 2020 del “Banking Summit” di The Innovation Group, che ha visto confrontarsi i rappresentanti del management, del business e dell’IT delle principali banche italiane con le aziende protagoniste del settore Ict. Quasi tutte le realtà presenti hanno affermato che i loro investimenti e programmi legati alla trasformazione digitale si focalizzeranno sulle aree che garantiscono maggiori ritorni di efficienza nei processi interni di back office e commerciali, e maggior creazione di valore nella relazione con i clienti. L’intervento dell’Abi ha sottolineato come le banche siano state chiamate dalle politiche governative a giocare un ruolo chiave nell’affrontare la crisi economica e a essere protagoniste della ripartenza del Paese. Ciò continuerà anche nel contesto delle politiche d’intervento governative e in quelle d’investimento previste

dal Recovery Fund europeo. Dalle testimonianze dei relatori sono emerse alcune evidenze. Numero uno: la capacità di estrarre valore dai dati per le banche farà la differenza. Potranno essere impiegati analytics e intelligenza artificiale per accrescere il valore della relazione con i clienti, ottimizzare i processi interni e incrementare la capacità di valutazione del rischio (in particolare, di credito). Una seconda evidenza è il fatto che la trasformazione digitale provochi la necessità di un’equivalente trasformazione dell’IT, riguardante i suoi processi di sviluppo e operations tecnologiche sempre più complesse, che devono essere resilienti e sicure, garantire business continuity e saper fronteggiare le minacce informatiche amplificate dall’utilizzo esteso dello smart working. Quest’ultimo ha permesso nell’ambito IT di alcune banche la nascita di una nuova normalità che privilegia processi agili, flessibili e scalabili, e nella quale il cloud diventa un forte abilitatore. Una terza considerazione riguarda proprio il cloud: non solo si è dimostrato uno strumento utile per gestire gli shock esterni, ma permette lo sviluppo di nuovi servizi attraverso piattaforme integrate, con un time to market più veloce. Inoltre apre le banche all’ecosistema dell’innovazione del fintech, oltre a essere la piattaforma d’elezione per le nuove realtà digitali e specializzate come illimity, Banca Progetto, Flowe e Fabrick, presenti al summit. Infine, è evidente come la mancanza di capacità nuove e di una forte cultura del cambiamento sia il principale ostacolo alla trasformazione digitale. Ezio Viola

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