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PASSARE DALLA TEORIA AI FATTI PER UN PAESE DIGITALE Nel “Digital Italy Summit 2020” di The Innovation Group, l’appello alla collaborazione e all’interconnessione tra Paesi e tra pubblico e privato.
Tre giorni di confronto, 14 sessioni, 30 ore di diretta streaming con oltre 130 relatori e più di 900 spettatori. Bastano i numeri a descrivere il successo dell’edizione 2020 di “Digital Italy Summit”, organizzata in forma ibrida e poi convertita in “total digital” in extremis a causa del Dpcm emanato domenica 18 ottobre. Ma i numeri non dicono una cosa importante. Non dicono che quest’anno, ancora più che nelle altre edizioni, l’evento è stato un vero e unico momento di confronto tra tutti i leader dell’italia digitale: ministri, amministratori delegati, responsabili delle organizzazioni più coinvolte nella trasformazione del nostro Paese hanno risposto all’appello di The Innovation Group per discutere di come realizzare questo ambizioso ma indispensabile progetto. Non per niente la “call to action” pensata da Roberto Masiero, presidente di Tig e padre del Digital Italy, era “Execution: l’innovazione digitale del Paese. Dai piani ai fatti.” Ha aperto i lavori lunedì 19 il Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Paola Pisano, che tra le altre cose ha messo l’accento sulla necessità di operare in modo interconnesso tra settori e Paesi diversi, oltre a stimolare la crescita del “capitale umano”, che in Italia deve colmare un gap con le nazioni più avanzate per poter efficacemente supportare il cambiamento. Anche il professor Carlo Alberto Carnevale Maffè ha sostenuto
Roberto Masiero
l’importanza di una crescita e di un percorso omogenei, almeno in Europa: “Il digitale è come il socialismo, non si può costruire in un solo Paese”, ha detto, usando una delle sue apprezzate ed efficaci metafore. Una nota di ottimismo, anche se con prudenza e con il consueto rigore per le cifre, è arrivata da Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, che ha mostrato come la ripresa industriale in Italia sembri più forte rispetto a quella di altri Paesi e ha messo in evidenza il ruolo fondamentale della Pubblica Amministrazione come trigger della risalita (prevista comunque in tempi molto lunghi), ovviamente utilizzando nel modo giusto il fondo Next Generation Eu. Una reazione, quella alla pandemia, che per Enrico Giovannini, economista e docente all’Università di Tor Vergata, dovrebbe diventare sistemica in tutta Europa, in previsione di altri shock che potrebbero colpire l’economia e la società. Un concetto molto vicino a quello di resilienza, che coinvolge non solo gli aspetti tecnologici ma anche quelli organizzativi dell’intera struttura delle imprese e della Pubblica Amministrazione. A proposito di energie, secondo JeanBernard Auby, professore emerito della Science Po Paris, le smart city sono la base su cui ricostruire un’idea di società digitale e intelligente, facendo molta attenzione però alle interconnessioni tra infrastrutture. Il fattore umano è stato, infine, il focus dell’intervento di Sabino Cassese, giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale, secondo cui l’inerzia all’interno della PA è l’ostacolo principale alla trasformazione. Un’inerzia che però, secondo Cassese, potrebbe essere vinta ricorrendo alle stesse “energie positive” già esistenti all’interno dell’apparato statale. La prima giornata del “Digital Italy Summit” è stata chiusa dal Ministro per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, che ha ribadito il ruolo centrale delle competenze (già in parte presenti nei gangli della PA) che possono essere incentivate a crescere da un più intenso dialogo tra pubblico e privato.
Emilio Mango
Sul prossimo numero di Technopolis il racconto più dettagliato e la sintesi delle altre giornate di lavoro del Digital Italy Summit.
CYBERWAR, ALLE AZIENDE MANCA UNA STRATEGIA DI DIFESA
Secondo un’indagine di Bitdefender, un terzo dei Ciso italiani non ha posto in atto misure strutturate contro i pericoli derivanti dalle guerre informatiche, che pure vengono percepite come foriere di danni potenzialmente seri per le aziende.
Il concetto di guerra informatica richiama quello di guerra fra Stati, combattuta però con armi tecnologiche. Ma si tratta di una minaccia percepita come molto pericolosa anche per chi lavora in azienda. Lo dimostra lo studio “10 in 10”, realizzato da Bitdefender su un campione di oltre 6.700 Ciso e Cio di imprese di varie nazionalità, anche italiane. In particolare, nel nostro Paese il 32% dei manager afferma di non avere una strategia di difesa ben definita, pur essendoci un 71% che si preoccupa dei pericoli che ne possono derivare. Il mutamento di scenario globale imposto dal covid-19 certamente contribuisce ad aumentare la percezione delle minacce derivanti dalle cyberwar: “Poiché la maggioranza delle aziende ha dovuto riorganizzarsi con ambienti di lavoro remotizzati”, ha notato Liviu Arsene, global cybersecurity researcher di Bitdefender, “il 53% dei Ciso a livello globale teme di doversi occupare di violazioni alla propria rete, a causa del cyberwarfare. Il panorama della sicurezza si sta evolvendo rapidamente per adattarsi alla nuova normalità, fatta di forza lavoro distribuita e relative minacce. Le guerre tecnologiche fanno parte di questo scenario, accentuando lacune e impreparazioni da colmare”. Non ci sono solo i problemi di natura globale a generare preoccupazioni. Il ransomware non è affatto una minaccia debellata, tant’è vero che il 44% dei manager italiani interpellati ne ha registrato un’impennata nel 2020 e l’aspettativa è di un aumento nei prossimi 12 mesi (55% da noi, 70% a livello mondiale). Il 42% arriva a temere di dover chiudere se un attacco andasse a buon fine e se gli investimenti per la difesa non si fossero di pari passo adeguati. Anche nel caso del ransomware, il lavoro da remoto potrebbe essere la principale causa della recrudescenza, poiché non tutte le postazioni collegate in rete sono protette a dovere e, inoltre, c’è ancora una cospicua quota di società disposta a pagare pur di prevenire la pubblicazione di informazioni sensibili. D’altra parte, la colpa non è solo dei massimi responsabili, poiché il 54%
Liviu Arsene
dei Ciso e Cio italiani ritiene che occorra cambiare il modo di comunicare le problematiche di sicurezza per poter ottenere maggior attenzione e, quindi, risorse economiche. Il 37% comprende di dover utilizzare un linguaggio meno tecnico, mentre il 35% sottolinea la necessità di dover puntare di più sul concetto di “rischio aziendale” per ottenere una maggiore sensibilizzazione. Il deficit di competenze resta un tallone d’Achille per le aziende e il 59% del campione nazionale sostiene che questo tema comprometterà gravemente il settore se proseguirà per i prossimi cinque anni. Ma Bitdefender rileva un altro aspetto da tenere in considerazione: “Dobbiamo iniziare a pensare di colmare il gap di competenze in un modo diverso, concentrandoci sulla diversità, e in particolare sulla neurodiversità, se vogliamo mantenere la nostra posizione e provare a debellare la criminalità informatica”, ha concluso Arsene.
Roberto Bonino
LE ALLEANZE CHE SEMPLIFICANO IL CLOUD
A undici anni dalla nascita, Nutanix non accenna a invecchiare. Anzi, il dinamismo e il cambiamento sembrano far parte del Dna della multinazionale specializzata in infrastrutture iperconvergenti e servizi cloud. Da pochi mesi Dheeraj Pandey, il fondatore e Ceo, ha annunciato a sorpresa che per motivi personali uscirà dall’azienda. Più o meno negli stessi giorni, Bain Capital Private Equity ha annunciato un investimento di 750 milioni di dollari per l’acquisizione di una quota di minoranza. Nemmeno il tempo di digerire queste importanti novità che sono arrivati i risultati del quarto trimestre, con un dato decisamente interessante: l’88% del fatturato deriva ormai dagli abbonamenti ai servizi cloud e software. Una quota cresciuta a discapito di hardware e licenze. Il fenomeno è talmente impattante da aver fatto dichiarare recentemente ad Andrew Brinded, vice president e general manager Emea: “La nostra trasformazione prosegue: dopo essere passati da hardware a software company, ora stiamo diventando una multi-cloud subscription company”. Il tono e l’accezione erano ovviamente positivi, perché molti parametri indicativi dello stato di salute dell’azienda sono in crescita, nonostante le rilevanti perdite registrate trimestre dopo trimestre: la proiezione annuale dell’Acv (il valore annualizzato dei contratti a canone) cresce del 29%, mentre la percentuale di nuovi prodotti e servizi acquistati dai clienti si attesta al 36%. Più in generale, la società si sta comportando meglio di quanto non prevedessero gli analisti, e ha evidenziato un fatturato trimestrale di 327,9 milioni (+9% anno su anno) e perdite in calo rispetto all’analogo periodo del 2019
Andrew Brinded
(185,3 milioni di dollari contro 194,3 milioni). Su base annua, il fatturato è di 1,31 miliardi (+6%), mentre e le perdite nette crescono (872,9 milioni contro i 621,2 del 2019). Questo non sembra preoccupare gli analisti, probabilmente in virtù del fatto che la multinazionale sta percorrendo la strada giusta nella direzione di un oligopolio (di fatto, quasi un duopolio con Vmware) nel sempre più strategico settore delle infrastrutture convergenti e del multi-cloud. In sintesi, Nutanix sta acquisendo quote di mercato sacrificando i conti, ma rassicurando Wall Street sulla raggiungibilità degli obiettivi di questa strategia. La strategia multi-cloud si delinea anche attraverso le partnership strette con Microsoft per Azure e con Amazon per Aws. Per dare ai clienti la massima libertà di scelta sulle infrastrutture su cui poggiare le proprie applicazioni (legacy o cloud- native), Nutanix ha stretto alleanze con gli hyperscaler per mettere a disposizione sui loro ambienti i Nutanix Clusters, che funzionano in modo analogo alle infrastrutture installate on-premise. Con Nutanix Clusters su Azure le aziende possono utilizzare un unico stack che integra elaborazione e storage e assicura operazioni unificate tra cloud pubblici e privati, networking integrati con quelli dei cloud provider, portabilità delle licenze da cloud privati a pubblici, gestendo così le principali problematiche tecniche e operative degli ambienti IT ibridi. Inoltre sarà possibile gestire server, container e servizi dati sull’infrastruttura iperconvergente Nutanix, on-premise o in Azure, attraverso il piano di controllo Azure Arc. Tale integrazione permette ai clienti di estendere i servizi chiave di Azure ai loro ambienti Nutanix. Importanti novità riguardano anche Kubernetes: il motore di orchestrazione per container ora può essere usato in modalità Platform-as-a-Service (PaaS). e questo permette di creare e implementare applicazioni in modo più semplice e rapido attraverso i container e il modello DevOps. Al debutto anche la soluzione di servizi gestiti Karbon Platform Services, una PaaS multicloud basata su Kubernetes, con sicurezza automatizzata gestita dal sistema. “Con Karbon Platforms Services”, ha detto il Cto di Nutanix, Rajiv Mirani, “puntiamo a facilitare lo sviluppo e l’orchestrazione delle applicazioni, semplificando al contempo il rapporto fra l’IT e i team di sviluppo, per supportare le strategie DevOps dei nostri clienti”. Altra novità è Xi Calm, una versione hosted della soluzione Nutanix per la gestione e orchestrazione delle applicazioni su metodo DevOps. Sul fronte dell’iperconvergenza, infine, sono state annunciate diverse migliorie dell’architettura Hci (per adeguare i sistemi alle più recenti tecnologie di storage), e una nuova versione Ultimate del software Prism, che aggiunge capacità analitiche e funzioni automatizzate per la risoluzione dei problemi. E.M.
SUPPLY CHAIN ALLE PRESE CON IL “NEW NORMAL”
Il lockdown primaverile e l’onda lunga che ne è seguita stanno spingendo processi di modernizzazione in molte aree. Fra le più colpite c’è senza dubbio la logistica, alle prese con cambiamenti legati allo scenario di mercato (e-commerce, pressione competitiva, stagionalità) ma anche alla pandemia. Per il direttore Emea industry solutions di Zebra Technologies (azienda specializzata in dispositivi e soluzioni per retail e logistica), Daniel Dombach, oggi c’è una necessità di avere magazzini moderni, per assicurare la continuità operativa: “Negli ultimi tempi abbiamo assistito a importanti cambiamenti, generati proprio dagli effetti del covid-19, in particolare con un aumento del numero degli ordini, ma per contro molte operazioni sono oggi ancora gestite manualmente”.
Un bisogno di modernizzazione
Ma quale può essere considerata la nuova normalità della supply chain? Zebra rileva, in base a uno studio commissionato a Mc Kinsey, come ci siano un turnover degli operatori di circa il 30% all’anno, un impegno nella formazione che può arrivare a 90 giorni e picchi di attività sempre più frequenti. Mentre la supply chain diventa sempre più complessa, le operazioni di magazzino devono fronteggiare problemi crescenti: “Molti sistemi restano isolati e questo genera difficoltà di visibilità”, aggiunge Mark Jolley, transportation & logistics solutions sales director Emea di Zebra. “A ciò si associano penuria di manodopera, operatori e flussi di lavoro spesso scollegati, colli di bottiglia e punti morti nell’asset inventory, una complessità crescente dei flussi di lavoro acuita da errori e non conformità”. Dalla citata ricerca “Warehousing Vision Study”, realizzata prima della pandemia, emerge una consapevolezza di dover modernizzare le operazioni, di aggiungere nuove tecnologie, di rendere i processi più intelligenti, rapidi e sicuri. Se però l’80% del campione analizzato ammetteva di dover fare passi in tali direzioni, il 50% indicava di utilizzare ancora la carta per gestire gli inventari e i cicli di approvvigionamento: “Si tratta di attività spesso aggiornate con molto ritardo, per cui non è improbabile trovarsi con informazioni inesatte nei warehouse management system”, sottolinea Jolley.
Una maturità in cinque fasi
Zebra Technologies ha elaborato un “Warehouse Maturity Model” per aiutare i responsabili dei magazzini a comprendere le tappe di una corretta trasformazione digitale. Il punto di partenza è legato alla cattura dei dati (inizialmente manuale, con scansione dei codici a barre), dove intervenire per migliorare l’efficienza e la produttività degli operatori. Si entra così nella seconda fase con l’introduzione di tecnologie connesse, come i terminali indossabili (che lasciano le mani libere) o il picking vocale, utili per ottimizzare il lavoro degli operatori e migliorare la produttività di squadra. Si passa poi al recupero dei dati, da ottenere in modo automatico con strumenti di cattura in tempo reale, per avere migliore visibilità e utilizzo degli asset. La quarta fase concerne la localizzazione in tempo
reale, con la generazione di alert automatici, per arrivare, infine, all’impiego di robot e cobot che assistano i lavoratori con un’automazione intelligente. “La maggior parte delle aziende è ancora nelle fasi 1 o 2, ma il numero è destinato a diminuire entro il 2024”, rileva Dombach. “Nella fase 5 oggi si trova solo il 7% delle realtà esaminate, ma arriveremo al 20% in pochi anni”. L’87% dei responsabili logistici interpellati sta già ampliando i magazzini o prevede di farlo entro il 2024. Se oggi solo il 35% ha una comprensione chiara di come avviare un processo di automazione spinta, il 61% prevede nei prossimi anni di appoggiarsi alla collaborazione fra uomini e macchine e il 27% si spingerà fino all’automazione totale. Infine, entro cinque anni il 68% punta a concentrarsi sul miglioramento della visibilità, l’orientamento in tempo reale e le performance fondate sui dati. In risposta alla pandemia Zebra ha sviluppato MotionWorks Proximity: un software di rilevamento della prossimità e di contact tracing, che controlla in modo anonimo l’insieme di individui entrati in contatto ravvicinato con una persona contagiata. R.B.
NUOVE SOLUZIONI PER LA SCRIVANIA VIRTUALE
Cyber Protect si integra con Citrix Workspace per fornire agli Msp una soluzione di sicurezza adatta ai tempi.
La “nuova normalità” si basa massicciamente sul lavoro remoto, come sappiamo. E questo crea alle aziende preoccupazioni di sicurezza supplementari, poiché il dispositivo usato da casa non è sempre fornito (e quindi controllato) dai datori di lavoro. In una recente ricerca di Acronis, “Cyber Readiness Report”, il 47% dei telelavoratori, a livello globale, ha segnalato una carenza di indicazioni da parte dei team IT su come operare da casa. Questo li rende vulnerabili ad attacchi che non solo incidono sulla loro produttività, ma mettono anche a repentaglio i dati e i sistemi strategici dell’azienda. Per questo Per Centric Software, aziende specializzata in Plm (Product Lifecycle Management) per il fashion, il mercato italiano è talmente importante che, in occasione dei dieci anni di attività nel nostro Paese, è stata annunciata un’offerta tagliata su misura per le imprese del made in Italy. Tenendo conto dei feedback ricevuti dalle imprese del nostro territorio, Centric Software ha creato un’offerta modulare in linea con le esigenze dei diversi comparti e specializzazioni, visto che ogni settore (che si tratti di cuoio, pelletteria, tessile, calzature, occhialeria o altro ancora) ha una propria tradizione, unicità di stile, manifattura e design. In conferenza stampa virtuale, lo scorso ottobre, in collegamento dalla Silicon Valley il Ceo, Acronis e Citrix hanno sviluppato una
Serguei Beloussov
soluzione che integra le tecnologie Cyber Protect e Workspace, rivolgendosi in prima battuta alla rete di managed service provider (Msp) impegnata a proteggere gli ambienti desktop virtuali dei propri clienti. L’avanzata tecnologia antimalware di Cyber Protect usa i driver a livello del kernel per impedire la modifica di file e voci del registro di sistema e l’iniezione Chris Groves, ha sottolineato l’importanza del mercato nostrano: “I dieci anni di presenza in Italia”, ha detto Groves, “ci hanno fatto capire a fondo le peculiarità del mercato del fashion: dinamico, innovativo e fortemente legato alla tradizione artigianale di questo Paese. Salvaguardare questo patrimonio è la sfida tutta italiana che si aggiunge a quelle tipiche di timeto-market, marginalità, gestione della complessità”. Centric Software (società la cui la cui quota di maggioranza è detenuta da Dassault Systemes) fornisce una piattaforma di trasformazione digitale alle più prestigiose aziende operanti nei settori della moda, del retail, delle calzature, dei prodotti per l’outdoor, dei beni di lusso e di di codice dannoso. La collaborazione fra Acronis e Citrix è destinata a estendersi ed è già previsto che nel 2021 Cyber Protect si integri nelle app virtuali e nelle soluzioni desktop di Citrix, mentre l’hypervisor potrà sfruttare la tecnologia di backup agentless. In parallelo Acronis ha ampliato anche la piattaforma Cyber Cloud, che offre agli Mps gli strumenti per fornire servizi di backup, disaster recovery, antimalware, collaborazione sicura sul luogo di lavoro e autenticazione dei dati basata su blockchain, il tutto attraverso un unico pannello di controllo. Progressivamente saranno attivati cento micro data center in varie zone geografiche. Tra le soluzioni a cui potranno accedere i service provider tramite i nuovi siti c’è Acronis Cyber Protect Cloud, un’integrazione esclusiva di strumenti di backup, disaster recovery, antimalware di ultima generazione,
UN’OFFERTA “SARTORIALE” PER IL MADE IN ITALY
cybersecurity e gestione degli endpoint. largo consumo. Centric 8, la piattaforma Plm di punta, offre funzionalità enterprise di pianificazione del merchandise, sviluppo prodotto, sourcing, gestione della qualità e delle collezioni, specifiche per i beni di largo consumo. Centric Smb propone tecnologie Plm innovative e importanti best practice di settore, indirizzate ai brand emergenti. Centric Visual Innovation Platform (Vip), infine, offre un’inedita esperienza completamente visiva e digitale per la collaborazione e il processo decisionale; al suo interno include la Centric Buying Board, per trasformare le sessioni interne d’acquisto e massimizzare il valore del retail, e la Centric Concept Board, per promuovere la creatività e l’evoluzione del concept di prodotto.
SERVICENOW TRASFORMA I WORKFLOW NELL’ERA DEL POST PANDEMIA
La fase emergenziale della prima parte del 2020 ha sensibilmente accentuato la necessità di collaborare a distanza fra colleghi e persone legate da rapporti di business. Dal punto di vista IT, questo si traduce in una forzata accelerazione di alcuni processi di digitalizzazione che stanno caratterizzando anche questo periodo di cauto ritorno a una normalità definita “nuova” da più parti, a sottolineare che alcuni aspetti sono destinati a perdurare nel tempo. La necessità di automatizzare il più possibile i workflow aziendali è, dunque, balzata in cima alle agende dei Cio impegnati nella revisione delle priorità collegate alla trasformazione digitale. Di questo vorrebbe beneficiare uno specialista come ServiceNow, non a caso già pronto con la nuova release Paris della propria piattaforma Now. “La pandemia di covid-19 ha messo in luce la presenza di collegamenti deboli e silos nella catena del valore delle aziende”, ha commentato Paul Smith, senior vice president e general manager Emea della società. “Non è possibile essere agili quando si hanno diversi sistemi specializzati in un solo compito, che si tratti di vendite, risorse umane o servizi finanziari. Noi vogliamo fare da ponte fra le piattaforme oggi presenti in molte realtà”. La nuova release si pone l’obiettivo di supportare le aziende che devono adattarsi alle attuali pratiche di lavoro, e propone sei nuovi prodotti che rafforzano il service management fra le organizzazioni. Ovvero i flussi di lavoro IT e quelli dei dipendenti, ma anche quelli indirizzati alla clientela. Una prima novità deriva dall’acquisizione di Fairchild Rs e va in direzione della business con-
Paris, l’ultimo aggiornamento della piattaforma Now, accelera sul fronte della resilienza del business e dell'automazione dei workflow, per consentire alle aziende di conservare la propria agilità in questa delicata fase congiunturale.
tinuity. La soluzione, già presente come app ma ora totalmente riscritta, integra la capacità di identificare rischi, determinare obiettivi di recovery, creare piani concreti di ripristino basati su differenti scenari ed effettuare test in fase di simulazione di eventi. Inoltre, se già 18 mesi fa ServiceNow aveva rilasciato un software asset management per i team IT, ora viene aggiunta anche la componente hardware, proprio per aiutare le aziende a gestire una complessità che la pandemia ha accentuato in termini di luoghi in cui le risorse aziendali risiedono. “Si tratta di una sfida paragonabile a quella delle supply chain”, ha spiegato Chris Pope, vice president Innovation di ServiceNow. “Occorre una maggior capacità di pianificazione e questo parte dalla comprensione di ciò che si ha, di dove si trova e di come può essere sostituito rapidamente in caso di necessità”. Paris contiene anche una soluzione specifica per i dipartimenti legali delle aziende. L’intento è di semplificare i workflow in ambiti come quello contrattuale, anche attraverso integrazioni con soluzioni di terze parti. “Non vogliamo essere un repository per la gestione documentale”, ha precisato Pope, “ma ci proponiamo di gestire i processi che ruotano intorno alla produzione dei documenti”. Tre nuove declinazioni verticali si aggiungono all’offerta ServiceNow, indirizzate ai servizi finanziari, al service management e alla gestione delle performance di rete delle Telco. Completa il quadro Automation Designer, una funzionalità che integra strumenti visuali e collaborativi per creare workflow complessi e si indirizza soprattutto ai dipartimenti di customer service e risorse umane. R.B.
LA SOLUZIONE GESTIONALE IN CLOUD GENYA SI AMPLIA
Debuttano nuovi strumenti digitali per semplificare, snellire e automatizzare gli studi professionali e le imprese.
La missione di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è di porsi come partner di riferimento dei propri clienti, professionisti o aziende, contribuendo al successo del loro business e a quello dei loro clienti finali. In quest’ottica la software house ha introdotto una serie di nuove soluzioni cloud end-to-end, sviluppate nell’ecosistema della suite Genya. ll professionista deve oggi assecondare, anche grazie alle soluzioni digitali, la trasformazione del proprio lavoro: sarà sempre meno concentrato sugli adempimenti e sempre più diventerà un “chief financial officer in outsourcing” delle aziende sue clienti. Con tali presupposti la suite Genya si arricchisce di soluzioni che automatizzano e semplificano obblighi normativi nel campo della conservazione e archiviazione documentale, così come nell’ambito dei corrispettivi e dei telematici. La soluzione Genya Corrispettivi SMART, presente nel portale di collaborazione Genya One Click, permette, ad esempio, di recuperare e importare in contabilità i dati dei corrispettivi dei clienti dotati di registratore telematico, minimizzando perdite di tempo ed errori. Allo stesso tempo Genya Corrispettivi SMART offre ai professionisti opportunità di servizi di consulenza sull’andamento delle attività dei loro clienti, grazie all’output della soluzione di analisi e statistiche, che fanno da base alla consulenza strategica, gestionale e finanziaria. Altro esempio è la nuova soluzione Genya Conservazione e archiviazione documentale, che raggruppa e consolida, con un’interfaccia utente intuitiva e immediatamente accessibile, le più avanzate tecnologie di conservazione documentale. Grazie anche alle esperienze tecnologiche di ARKon, inoltre, con il Document Management System (DMS) di Genya, lo studio professionale dispone da oggi di un applicativo cloud end-to-end che agevola i processi quotidiani in modo intelligente, con soluzioni intuitive e funzionali che supportano le attività del professionista e del suo Studio. Il tool digitale favorisce l’efficienza grazie alla digitalizzazione a norma di fatture elettroniche, delle relative ricevute, dei documenti fiscali per cui occorre conservare una copia originale e di qualsiasi altro documento. Il nuovo software integra la soluzione BPM (Business Process Management), che in modo sorprendentemente semplice e veloce consente di trasformare qualsiasi procedura documentale in un flusso informatico. Va a completare le novità in ambito dell’ecosistema Genya la soluzione Genya Telematici: questo tool digitale è arricchito con immediate e comprensibili dashboard che consentono il monitoraggio delle scadenze e dell’avanzamento delle attività di invio e recupero ricevute dello studio (dichiarativi e deleghe), oltre alla verifica dello stato di avanzamento delle attività per singolo cliente. Genya Telematici permette anche di importare le forniture generate con altri applicativi e di gestirne l’invio. Il nuovo software migliora la memorizzazione delle credenziali e consente un più agevole accesso al Cassetto Fiscale del cliente. Pierfrancesco Angeleri, managing director di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia ha sottolineato: “La crisi economica e il difficile contesto causato dall’emergenza sanitaria di questi mesi stanno accelerando il processo di trasformazione digitale, rendendo necessario fornire ai professionisti e alle aziende strumenti efficaci per affrontare le nuove sfide e consolidare sempre più il rapporto consulenziale tra loro. Due sono stati i principi ispiratori della realizzazione delle nuove soluzioni digitali: l’incremento di efficienza operativa e la creazione di nuovi strumenti a valore. La missione di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è di porsi come partner di riferimento dei propri clienti, siano essi professionisti o aziende, e di contribuire al successo del loro business e a quello dei loro clienti finali”.
LA BUSINESS INTELLIGENCE È IPERCONVERGENTE E IN TEMPO REALE
La strategia di Tibco è centrata su un approccio unificato, in cui la data visualization si integra con l'analisi del flussi di dati in real time.
Il mondo della Business Intelligence è in continua evoluzione. Lo dimostrano gli sviluppi dell’offerta di Tibco, multinazionale specializzata in software per l’integrazione, l’analisi e la visualizzazione dei dati: sviluppi basati sui tre pilastri che l’azienda chiama “Connect, Unify e Predict”. Nell’edizione 2020 (naturalmente virtuale) della conferenza TibcoNow uno dei temi portanti è stato quello dell’iperconvergenza applicata all’area della data integration e non più semplicemente all’infrastruttura. Tibco ha declinato e fatto proprio questo tema, introducendo il concetto di Hyperconverged Analytics. Partendo dalle proprie radici, ancorate all’integrazione dei dati, e assommando gli sviluppi aggiunti nel tempo in direzione della classica Business Intelligence (con l’acquisizione di Jaspersoft) e della data visualization (Spotfire), il vendor ha proposto una visione basata sulla convergenza dello streaming, della data science e della visualizzazione dei dati. Spotfire diventa, in sostanza, un ambiente federatore, attraverso il quale gli utenti possono riprodurre il proprio ambiente di data science e analytics in cloud, senza dover scrivere alcuna linea di codice. Al centro troviamo lo streaming dei dati
in tempo reale, per il quale Tibco ha messo a punto Cloud Data Streams: uno strumento visuale e automatizzato di ingestione di dati real time. Il vendor ha rafforzato anche la propria strategia di data management con Any Data Hub, una soluzione che centralizza i processi di gestione dei dati, basandosi sulla piattaforma Data Virtualization 8.3 “Occupiamo una posizione importante nell’analisi dei flussi di dati”, rileva Gianfranco Naso, regional vice president South West Emea di Tibco. “Una parte crescente delle aziende ha necessità di integrare informazioni operative e di contesto in tempo reale per prendere decisioni, e noi siamo in grado di fornire le giuste risposte”. Tibco ha voluto rendere più semplice e accessibile l’analisi dei dati, combinando la data visualization e il machine learning alla cattura dei dati in tempo reale attraverso strumenti che necessitano poco o niente di generazione di codice. L’intento è quello di mascherare la complessità delle infrastrutture dei dati e di offrire agli utenti, neofiti o avanzati, la possibilità di svincolarsi dagli sviluppatori per progettare analisi partendo da fonti eterogenee. “Non ci interessa sapere dove si trovino i dati utilizzati per le analisi”, sottolinea Naso, “perché siamo in grado di creare viste virtuali per eseguire le correlazioni necessarie e a questo aggiungiamo la sicurezza, la modalità self-service e la capacità di normalizzare i dati per avere visibilità sull’impatto nei processi aziendali. Le nostre caratteristiche in Italia ci hanno già messo in posizione forte su mercati molto competitivi, come le telecomunicazioni, le utilities e il finance. Ora ci aspettiamo di poter aiutare nei processi di trasformazione anche mercati come la Pubblica Amminsitrazione e le assicurazioni”. R.B.
LA DIGITALIZZAZIONE RICHIEDE CEO ESPERTI DI TECNOLOGIA
Secondo uno studio di VMware, l'amministratore delegato e altre figure dirigenziali dovrebbero avere un background tecnologico.
Per guidare con successo un’azienda nell’era digitale, il ruolo di amministratore delegato e altre posizioni di senior management dovrebbero essere occupati da persone con un background tecnologico. Questo è il messaggio centrale di uno studio condotto a livello europeo da Vanson Bourne per conto di Vmware, realizzato intervistando 2.250 decisori, suddivisi fra manager, responsabili IT e sviluppatori di applicazioni. Il campione è stato costruito su realtà con almeno 500 dipendenti e ha coinvolto anche l’Italia. Il nostro Paese è fra quelli dove è stata espressa maggior convinzione sulla tesi di fondo: l’81% ritiene sia un fattore di successo avere un Ceo con esperienza tecnologica, indicando quali benefici prevalenti il miglioramento dell’efficienza aziendale (51%), la maggiore agilità (44%), il più ampio potenziale di innovazione (42%) e la customer experience più evoluta (40%). Le dichiarazioni degli intervistati risultano particolarmente interessanti rispetto al contesto attuale: l’indagine è stata condotta fra marzo e aprile 2020, quando la pandemia in Europa aveva raggiunto il suo apice. Secondo lo studio, la trasformazione digitale - attraverso la possibilità di modernizzare il modello di business utilizzando la tecnologia - fornisce un importante contributo per consentire alle aziende di adattarsi più rapi-
Raffaele Gigantino
damente alle dinamiche di mercato e ai cambiamenti fondamentali del business. Per gli executive italiani, i vantaggi delle applicazioni moderne giocano un ruolo importante nel migliorare le prestazioni e la resilienza della propria azienda: oltre al funzionamento affidabile dei sistemi IT (segnalato dal 72%, la percentuale più alta in Emea), le aziende beneficiano soprattutto di applicazioni moderne che consentono ai dipendenti di lavorare da casa o in movimento (41%). In effetti, più di tre quarti (80%) degli sviluppatori di applicazioni e dei responsabili IT ritiene che le aziende non saranno in grado di offrire ai propri clienti un’esperienza utente ottimale senza aver prima modernizzato con successo le proprie applicazioni: “Nel 2009 si contavano nel mondo circa 52 milioni di applicazioni, mentre oggi siamo oltre 300 milioni e la tendenza è a salire con questo ritmo”, rileva Raffaele Gigantino, country manager di Vmware Italia. “La loro modernizzazione è alla base della trasformazione digitale e consente, per il 51% dei manager italiani, anche di ridurre i costi. Oltre a questo, naturalmente, occorre un’adeguata capacità di execution, poiché saper sviluppare, implementare, far funzionare e tenere in sicurezza le applicazioni rende di successo i progetti”. Il tempo attuale, ancora sotto l’influenza del rapido mutamento di scenario imposto dal covid-19, accresce la rilevanza di elementi come l’agilità e la capacità di adattamento per attutire gli effetti economici della pandemia e riorganizzare l’azienda in logica più smart e technology-oriented. Una testimonianza in questo senso arriva da Roma Capitale: “Tutto va verso il digitale e i player devono supportare gli obiettivi delle aziende”, spiega il Cio, Stefano Iacobucci. “Nel nostro caso, circa ottocento persone sono state in grado di connettersi alla propria postazione virtuale nelle stesse condizioni di lavoro tradizionali. Ora anche aggiornamenti tecnici e applicativi avvengono centralmente con grandi vantaggi. Poco tempo prima del lockdown avevamo aveva iniziato a lavorare con Vmware Horizon 7 per testare lo smart working e questo è stato di estrema utilità per sostenere l’impatto della chiusura totale”.
Dal marketing alle smart city, con l’evoluzione delle tecnologie si è allargato l’ambito di applicazione delle soluzioni video basate su IP. Ne parliamo con Milestone Systems
Un tempo l’immagine di una videocamera di sorveglianza evocava solamente un’idea: quella di una maggiore sicurezza. Ma la tecnologia negli ultimi anni si è evoluta al punto da sviluppare anche altre vocazioni, pur senza perdere quella originaria. Ne abbiamo discusso con Alberto Bruschi, Emea leader, community business di Milestone Systems, società danese di soluzioni di gestione video basate su IP.
Che cos’è oggi la videosorveglianza? Il termine videosorveglianza si è ampliato notevolmente. Oltre che per attività legate alla sicurezza, oggi viene impiegata sempre più spesso per videoverifiche, monitoraggio dei flussi di persone, analisi di vario tipo. E in alcuni settori verticali, in particolare, stanno crescendo gli utilizzi evoluti. Noi di Milestone, per esempio, lavoriamo molto per gli ambiti smart city, retail, trasporti e infrastrutture critiche, per i quali stiamo sviluppando soluzioni a pacchetto, basate su casi d’uso.
Ci fa un esempio? In città la tecnologia video su IP può essere usata nel digital signage, dunque non solo per acquisire dati ma anche per diffondere informazioni. O per rafforzare la percezione di sicurezza di una strada. Allo scorso Smart City Expo di Barcellona ha attratto molta attenzione un’installazione con panchina e palo della luce interattivi, con integrati dei sistemi di analisi automatica. Altro tipico esempio di attività che va oltre la sicurezza è il marketing nei centri commerciali: il sensore video viene usato per vari scopi, tra cui l’analisi delle heatmap, cioè i punti in cui la gente si ferma di più o di meno, o della demografia dell’utenza. Attività che possono essere fatte in conformità con il Gdpr, perché i dati confluiscono in statistiche e non vengono ricondotti a persone identificabili.
Quali tecnologie hanno reso possibili queste evoluzioni? Sicuramente la videoanalitica e l’intelligenza artificiale, per le quali va fatta una distinzione. La prima è legata a parametri ben definiti, rispetto ai quali possono essere rilevate delle eccezioni: questo è sufficiente, per esempio, per videosorvegliare un’area in cui non debbano accedere estranei. L’intelligenza artificiale invece è predittiva e può individuare comportamenti fuori dalla norma o mai successi: pensiamo, per esempio, a un sistema che sorveglia i flussi in una stazione della metropolitana e rileva eventuali pericoli.
A che punto siamo in Italia? Siamo relativamente avanti sulle tecnologie ma un po’ indietro sull’infrastruttura necessaria per gestire le applicazioni. Faccio l’esempio del retail: per un sistema di analisi dei flussi di clientela serve una piattaforma in grado di gestire sia la sicurezza dei dati sia gli analytics. L’idea di fare un investimento solo sull’una o sull’altra area è abbastanza datata, in
Alberto Bruschi
quanto disponiamo oggi di piattaforme che possono gestire entrambi gli aspetti con lo stesso hardware.
Il covid-19 ha impatti sul settore? Di certo ha creato maggiore consapevolezza sul fatto che la tecnologia può essere un’amica e non un costo, può aiutare a risolvere problemi. Il controllo da remoto di un ambiente permette di non andare fisicamente a controllare sul posto. Ricevere un alert che segnala un problema prima era un’opzione, oggi magari è una necessità.
Qual è il vostro modello di offerta? Alcuni vendor spingono sulle soluzioni end-to-end, mentre noi ci focalizziamo sulla nostra competenza, cioè sulla gestione di dati video, e lavoriamo con una community di partner e di sviluppatori per integrare altre tecnologie all’interno di una soluzione realmente adatta alle esigenze del cliente.
Valentina Bernocco
l’opinione
LE REGOLE E LE “ZONE GRIGIE” DEL TRATTAMENTO DEI DATI Le linee guida della European Data Protection Board parlano chiaro, ma lasciano anche spazio alla discrezionalità.
Lo European Data Protection Board (Edpb), organismo tecnico dell’Unione Europea competente per la protezione e il trattamento dei dati personali, ha rilasciato le Guidelines relative al Titolare del trattamento, al Responsabile del trattamento e al concetto di titolarità congiunta del medesimo. La loro pubblicazione a distanza di qualche anno dall’entrata in vigore del Gdpr mostra che questi concetti sono non solo centrali, ma anche di difficile comprensione. Chi è il Titolare del trattamento? L’art. 4.7 del Gdpr lo definisce come la persona fisica o giuridica o l’entità che determina, da sola o congiuntamente ad altri, le finalità e i mezzi del trattamento dei dati personali. In forza di quale potere o diritto, in primo luogo, un soggetto determina le finalità ed i mezzi del trattamento? Al riguardo, le Guidelines chiariscono che tale attitudine può derivare da un fonte legale/giuridica, che attribuisce esplicitamente a un determinato soggetto detto potere, oppure (ed è questo l’aspetto più rilevante) dal ruolo e dalle responsabilità che un soggetto ha nei fatti. Dunque il datore di lavoro, in quanto tale, ha il potere di determinare finalità e mezzi del trattamento dei dati dei suoi dipendenti. In secondo luogo, un minimo di attenzione dev’essere dedicata ai concetti di finalità e mezzi del trattamento. In sintesi, si può dire che è titolare del trattamento chi decide sia il perché sia il come del medesimo. In quest’ambito un’area grigia esiste quando il Titolare del trat-
Giovanni Ricci
tamento è affiancato dal Responsabile dello stesso, poiché quest’ultimo a sua volta ha il potere di decidere con quali mezzi effettuarlo. Sono mezzi essenziali, di esclusiva competenza del Titolare, il tipo di dati da trattare, la durata del trattamento, chi potrà accedere ai dati, e di quali soggetti si tratteranno i dati. I mezzi più prettamente tecnici di trattamento (come il melange di hardware e software utilizzato) in linea generale sono da considerare non essenziali e rientrano nell’area di influenza del Responsabile. La titolarità congiunta si realizza quando vi sia codeterminazione sia degli scopi sia dei mezzi del trattamento. Essa si può realizzare mediante una decisione comune, oppure (ed è questa l’ipotesi più complessa) grazie a più decisioni convergenti, che devono essere tutte essenziali ai fini della determinazione di scopi e mezzi del trattamento. È importante sottolineare che la titolarità congiunta non implica di per sé responsabilità identiche in capo ai contitolari: al contrario, queste ultime devono sempre essere accertate e valutate sulla base delle concrete caratteristiche della situazione. Quanto all’interesse perseguito, vi è sua determinazione congiunta sia quando più entità perseguono un medesimo interesse sia quando esse perseguono interessi diversi e complementari. Nella determinazione dei mezzi la contitolarità si può configurare come condivisione di mezzi diversi oppure come concessione di taluni mezzi da una parte e dei dati da trattare dall’altra parte. Si può giungere a una situazione ove tutti i mezzi (dati compresi) siano messi a disposizione da un unico soggetto, mentre l’altro esercita un’influenza sugli stessi, semplicemente decidendo di utilizzarli. Per l’art. 4.8 del Gdpr, il Responsabile del trattamento è la persona fisica/giuridica o l’entità, diversa e autonoma dal Titolare, che presiede al trattamento per conto del medesimo. Sul Responsabile gravano sia gli obblighi propri della sua specifica posizione sia l’obbligo di attenersi alle istruzioni del Titolare. Realizzare il trattamento per conto del Titolare implica che il Responsabile operi senza perseguire un interesse proprio e attenendosi alle istruzioni dell’altro. Un ambito di discrezionalità, tuttavia, permane in capo al Responsabile quanto alla gestione e organizzazione dei mezzi secondari usati per il trattamento, ovvero l’insieme degli strumenti tecnici. Avv. Giovanni Ricci, partner dello studio legale Edoardo Ricci Avvocati
- l’intervista FABBRICA 4.0, PER LE PMI NON UN MIRAGGIO
Le esigenze e le tecnologie di Industria 4.0 sono le stesse per le grandi e per le piccole e medie imprese: la vera sfida riguarda la cultura e le competenze. La testimonianza di Ally Consulting.
“Vedere per credere” potrebbe essere lo slogan giusto per le imprese manifatturiere che ancora non sanno orientarsi nel magico mondo della trasformazione digitale. Technopolis ha intervistato Paolo Aversa, managing director di Ally Consulting.
Qual è il vostro target primario? Sono le Pmi del settore manifatturiero, che rappresentano quasi l’80% del tessuto imprenditoriale italiano in questo comparto; la quota restante è composta da aziende di grandi dimensioni, che dal punto di vista finanziario e delle competenze sono perfettamente in grado di percorrere da sole la strada della trasformazione digitale.
Che cosa differenzia le due categorie? Come dicevo, la capacità finanziaria, la cultura e le competenze. Perché dal punto di vista tecnologico e organizzativo le problematiche delle Pmi sono le stesse affrontate dalle grandi imprese: raccogliere dati sul campo, trasformarli in informazioni corrette e riuscire poi ad analizzarle in modo efficace, attuando infine le azioni più corrette.
Che cosa intende per “cultura”? Ad esempio la capacità di comprendere e sfruttare le best practice, o i principi che stanno alla base della trasformazione digitale, o prima ancora di quelli di Industria 4.0. Molte aziende si sono affannate a mettere in rete gli impianti, anche con spese importanti, ma sono
Paolo Aversa
state meno brave nel capire come questi asset andassero poi sfruttati per rientrare prima e meglio negli investimenti.
Come aiutate le Pmi in tale percorso? Il nostro ruolo, prima ancora di disorientare l’imprenditore con acronimi e tecnologie, è proprio di aiutarlo a comprendere il valore futuro degli investimenti. Nelle Pmi del manifatturiero è difficile trovare la giusta seniority nell’ambito dell’innovazione, molto spesso si incontrano persone esperte ma che hanno un approccio tecnico e non consulenziale. Allora il nostro metodo è quello di spiegare il come e il perché della trasformazione. Prima facciamo formazione e solo dopo introduciamo la tecnologia.
Quindi il vostro non è un approccio completamente “as a service”… Il nostro è un approccio consulenziale, tutto quello che è visto come “as a service” lo consideriamo una commodity. Nel manifatturiero la gestione di dati e informazioni è strettamente legata ai processi, e i processi sono gestiti dalle persone. Solo le persone, una volta capito che l’impianto da loro realizzato per operare al 90% sta funzionando al 70%, possono intervenire per migliorare l’efficienza. Insegniamo alle Pmi a fare questo, a capire le informazioni e ad agire implementando nuove possibilità. Lo facciamo parlando la loro stessa lingua, quella del manufacturing, con un approccio concreto e con numeri alla mano.
Ed è un approccio che funziona? È un processo certosino ma fattibile, che non spaventa l’imprenditore lungimirante, quello che capisce che, in fondo, il potenziale umano è il fattore più importante della sua azienda. Il nostro approccio richiede tempo e competenze, ma ci permette di avere risultati concreti, misurabili, di fidelizzare i nostri clienti e vederli crescere. Facendogli toccare con mano i risultati.
La tecnologia passa in secondo piano? Non è proprio così, perché per fare funzionare meglio le aziende le tecnologie sono indispensabili. Però è vero che tutta la tecnologia di cui si parla oggi è disponibile per le piccole imprese esattamente come per le grandi, l’innovazione è alla portata di tutti. Capire come usarla per trarne vantaggi competitivi ed efficienza è la vera sfida.
Emilio Mango
DIFENDERE IL PATRIMONIO DEI DATI
Le cyber minacce non accennano a diminuire, mentre il valore dei dati diventa sempre più importante per la competitività delle imprese. Lo storage è un anello fondamentale nella catena: come preservarne le prestazioni proteggendo al contempo le informazioni?
Donato Ceccomancini, country manager di Infinidat
Gli attacchi alle imprese e alle organizzazioni sono sempre più frequenti e dirompenti. Donato Ceccomancini, country manager di Infinidat, spiega come conciliare prestazioni molto elevate degli storage con la protezione dei dati in esse contenuti.
Qual è lo scenario delle cyber-minacce e delle tecnologie di difesa dei dati?
Le soluzioni di cybersecurity sono in continua evoluzione, ma anche attacchi sempre più sofisticati e risorse a disposizione dei criminali non accennano a diminuire, prova ne sia il proliferare di violazioni dei dati a livello mondiale che ha colpito anche aziende e organizzazioni a tutti i livelli. Un fattore di complessità aggiuntivo è dato dal sempre maggior valore strategico dei dati e anche dalle vulnerabilità generate da processi e organizzazioni aziendali, soprattutto per le imprese di maggiori dimensioni, dove la complessità è più evidente.
Come può aiutare la tecnologia?
Bisogna fare una premessa: più in alto nella catena dell’infrastruttura IT si trovano i dati personali o sensibili, più strati vengono protetti. Ciascun livello dell’infrastruttura rappresenta un possibile strato che può essere criptato. Questo vuol dire che con una crittografia esclusivamente a livello dello storage (che sta in basso nella piramide) si riesce a proteggere i dati solo quando questi vengono scritti sullo stesso lasciando il dato non crittografato negli strati superiori. Eppure questo rappresenta il metodo di sicurezza comunemente usato (e spesso l’unico).
Esattamente, qual è il punto debole?
Un punto di debolezza è l’adozione da parte delle aziende degli All Flash Array (AFA). Per quanto la maggior parte (se non tutti) offrano una crittografia a livello di disco, questo è l’unico livello di crittografia consentita da questi dispositivi. Se i dati sono criptati altrove, gli AFA non possono effettuarne la deduplica e il loro rapporto prezzo/prestazioni diventa impraticabile. Infatti gli AFA per essere sostenibili economicamente devono affidarsi alla riduzione dei dati in un rapporto compreso tra 3:1 e 6:1.
E la soluzione?
La soluzione ideale non esiste, ma sicuramente una crittografia end-toend a livello applicativo, realizzata a livelli superiori nello stack tramite un approccio a più punti, può aiutare molto a difendere il patrimonio più importante di ogni azienda, mantenendo alte le prestazioni erogate. Il primo punto è la granularità. Più alto è il livello della crittografia nello stack, migliore è la granularità: un’applicazione può soltanto criptare Informazioni Personali Identificabili in quanto “capisce” il contesto e il significato dei dati. Anche questo porterà a minori costi complessivi. Se andiamo a un livello inferiore, il Database Administrator (DBA) può fornire un table space criptato e un table space non criptato, e collocare i dati giusti nello spazio giusto. Il secondo punto è la “cloud readiness”. Spostare la crittografia ai livelli più alti dello stack è un prerequisito per qualsiasi migrazione al cloud nel caso in cui i dati debbano mantenere lo stesso livello di protezione anche sulla rete (Wan). I dati criptati possono spostarsi o entrare nel cloud in sicurezza senza necessità di ulteriori meccanismi di sicurezza (quale la gestione della crittografia a livello di cloud). Il terzo e ultimo punto è la facilità di integrazione. Integrare i livelli Os, Db o hypervisor ha un vantaggio: ci sono pochi flavor di ciascuno di essi, a fronte di molte applicazioni nell’ambiente. Da un punto di vista delle operazioni, ciò può ridurre la complessità.