Technopolis 52

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NUMERO 52 | MAGGIO 2022

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

4.0: LA GRANDE OCCASIONE PER L’INDUSTRIA ITALIANA Solo il 25% delle realtà manifatturiere italiane ha già adottato pienamente le tecnologie “smart”. In molte, però, le stanno sperimentando, nonostante l'incerto scenario geopolitico.

ITALIA DIGITALE

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I fondi del Pnrr e gli obiettivi di sostenibilità sono due motori per la trasformazione tecnologica di Pmi e Pubblica Amministrazione.

CYBERSICUREZZA

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Il passaggio al modello “zero trust” è una delle priorità del 2022. Un anno segnato, però, anche dalle minacce della cyberwar.

EXECUTIVE ANALYSIS Lavoro remoto, migrazione in cloud e cambiamenti organizzativi muovono la rivoluzione delle reti aziendali.


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SOMMARIO 4 STORIA DI COPERTINA STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 52 - MAGGIO 2022 Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012 Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Valentina Bernocco Hanno collaborato: Roberto Bonino, Loris Frezzato, Daniel Henriquez, Alberto Taddei, Elena Vaciago Foto e illustrazioni: iStockphoto, Adobe Stock Images, Shutterstock, Unsplash, Pixabay

La grande occasione ancora da cogliere Dal “great reset” al nuovo paradigma Verso il green con efficienza, dati e integrazione

13 IN EVIDENZA

Dare sempre ragione al cliente non basta più La strada verso il multicloud è ancora più semplice L’importanza di un’innovazione sostenibile Il modello “ibrido” trasforma assemblee e votazioni Nei servizi basati su Internet la prossimità è cruciale La sicurezza è flessibile e si costruisce insieme I servizi finanziari inseguono dati aperti e sostenibilità Dal floppy al cloud, la fedeltà paga Lo smart working veneziano è unico al mondo

24 ITALIA DIGITALE

Il digitale resiste alle avversità Pnrr e ambiente, due boost per la trasformazione Pubblica Amministrazione in viaggio verso il cloud

28 CYBERSECURITY

Le sfide del presente, tra cyberwar e cloud

36 SANITÀ DIGITALE Editore e redazione: Indigo Communication Srl Via Palermo, 5 - 20121 Milano tel: 02 87285220 www.indigocom.it

40 EXECUTIVE ANALYSIS Le reti aziendali si adattano all’ibrido Esperienze e idee a confronto

Pubblicità: The Innovation Group Srl tel: 02 87285500

Stampa: Ciscra SpA - Arcore (MB)

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Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.

Le speranze della medicina del futuro Dalla interoperabilità al machine learning

44 ECCELLENZE Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Tecnofil Istituto Superiore Carlo Emilio Gadda Costa Crociere Regione Calabria La Marzocco

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

STORIA DI COPERTINA | SMART MANUFACTURING

LA GRANDE OCCASIONE ANCORA DA COGLIERE Un comparto manifatturiero in salute come, oggi, quello italiano è ancora relativamente poco maturo nell’adozione delle tecnologie 4.0.

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cinque anni di distanza dall’introduzione di quello che originariamente venne chiamato Piano Industria 4.0, o più popolarmente Piano Calenda, dal nome dell’allora ministro dello sviluppo economico del governo Gentiloni, il bilancio che si può trarre da ciò che è stato messo in campo a più riprese per sostenere la transizione di-

gitale delle nostre imprese è senz’altro positivo. Con alcuni distinguo, ma positivo. E questo per almeno tre ragioni. La prima è legata al boost che il comparto manifatturiero nel suo complesso ha sperimentato, innanzitutto quello dei costruttori di macchine e impianti, con una ricaduta positiva non solo in termini di occupazione e generazione di PIL a livello nazionale, ma anche di


Foto di Gerd Altmann da Pixabay

bilancia commerciale. Vale infatti la pena di sottolineare come nel mondo l’Italia sia uno dei principali esportatori di macchinari e tecnologie per produrre, con alcuni settori di assoluta eccellenza e leadership globale, come quelli delle macchine utensili e dei robot o sistemi di confezionamento e imballaggio. Con oltre 200mila occupati diretti e una quota di PIL generato del 2,5% (fonte Federmacchine), ben si comprende come la salute di questo comparto sia lo specchio di quella del nostro sistema economico nazionale. La seconda ragione di ottimismo è legata alla formazione di coscienza che, grazie al dibattito e alla grande comunicazione sviluppatisi attorno ai temi della digitalizzazione, ha portato molti imprenditori e manager, soprattutto in aziende appartenenti alla fascia delle imprese piccole e medio-piccole, a guardare al digitale non come a una moda, ma quale concreta necessità a cui ricorrere per mantenere e anzi aumentare l’efficienza in ottica di competitività futura. La terza ragione, se così vogliamo dire, può essere considerata la somma delle due. Sappiamo che il parco impiantistico installato in Italia è piuttosto vetusto. Significativa fu l’indagine condotta nel 2015 da Ucimu-Sistemi Per Produrre, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri, l’Ice e Unioncamere, che mise in luce per il parco delle macchine utensili installate in Italia un’età media di 13-14 anni. Una età a mio giudizio, e per mio sentore derivato da esperienze dirette sul campo, del tutto sottostimata se si considera il totale degli impianti, macchinari e sistemi per produrre installati tout court nell’industria italiana. Ebbene, è stato anche grazie a queste misure – magari utilizzate anche a solo scopo speculativo economico – che molte imprese hanno potuto compiere inve-

stimenti in beni sia materiali sia immateriali, investimenti che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. Quanto vale l’industria 4.0 italiana

Stimare un valore del mercato nazionale dell’industria 4.0 è difficile, quasi impossibile. In molti ci hanno provato e tanti numeri sono stati rilasciati. Secondo il Mise, solamente nel primo anno di entrata in vigore del Piano, ovvero nel 2017, quando ancora si parlava di iper ammortamento, gli incentivi si sono concretizzati in 13,3 miliardi di euro di investimenti tra macchinari e software. Una cifra del tutto realistica, anche perché elaborata sui dati raccolti dai modelli dichiarativi reddituali in cui all’epoca vigeva l’obbligo di indicazione. Secondo l’Osservatorio Transizione Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2021 il mercato nazionale del 4.0 avrebbe sfondato la quota dei 4 miliardi di euro (4,1 per l’esattezza), trainato per l’85% dalle tecnologie IT (3,5 miliardi di euro), contro un 15% appannaggio delle tecnologie OT (0,6 miliardi di euro). Cifra quest’ultima, se mi è permesso, poco plausibile rispetto a quella del software, che appare invece realistica considerando che il mercato delle soluzioni software e Ict italiano si aggira su un valore superiore ai 7 miliardi di euro. Al contrario, se solo si guardano i numeri del comparto rappresentato da Federmacchine, la federazione delle associazioni nazionali dei costruttori di macchine e beni strumentali, gli 0,6 miliardi di euro appaiono una bazzecola. Il consegnato interno nel 2020 è stato infatti pari a 13,6 miliardi di euro, dei quali, a esser cauti, non si sbaglia di certo a dire che almeno il 50% sia stato fornito in “versione 4.0”. E poi va considerato l’indotto economico generato dai fornitori delle tecnologie di automazione

digitale: sistemi di controllo, apparati di comunicazione, sensoristica evoluta, eccetera. Un mercato che, secondo le previsioni di Anie Assoautomazione (che tuttavia ancora non ha rilasciato i dati ufficiali), nel 2021 dovrebbe aver registrato un giro d’affari complessivo di circa 5,4 miliardi di euro, di cui cautelativamente si potrebbe stimare un 25-30% dedicato al mercato dei costruttori di macchine 4.0. Diversi livelli di maturità

Se da un lato è praticamente impossibile riuscire a inquadrare compiutamente dal punto di vista economico il mercato delle tecnologie 4.0, per le evidenti difficoltà di raccolta, analisi e consolidamento dei dati, dall’altro le indagini qualitative sul livello di maturità e di adozione nelle fabbriche italiane restituiscono, invece, dei dati particolarmente significativi. Come quelli che emergono dalla survey realizzata da The Innovation Group insieme a ContactValue, i cui risultati sono stati presentati nel corso dello “Smart Manufacturing Summit 2022”, la terza edizione, tornata in presenza, del più importante evento convegnistico nazionale in tema di innovazione digitale per l’industria manifatturiera. Come sottolineato in apertura di articolo, sebbene gli aspetti positivi legati al cammino di transizione digitale intrapreso dall’industria siano molti, non mancano alcuni distinguo: e questa survey li ha messi in luce. A parte le grandi imprese – che certamente già da tempo, ben consce delle potenzialità del modello 4.0, avevano trovato naturale implementare modelli organizzativi smart e digitali – nella maggioranza degli altri casi le aziende del settore manifatturiero sono ancora relegate in una fase di sviluppo e di prima implementazione delle tecnologie 4.0 al proprio interno. Non che 5


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STORIA DI COPERTINA | SMART MANUFACTURING

delle tecnologie smart le imprese non ne vogliano sapere, anzi. È infatti solamente l’11% del campione ad affermare di non usufruirne (per ora, aggiungo). Ciò che emerge è piuttosto un ritardo generale nell’adozione, tant’è che il 40% degli intervistati dichiara di essere attualmente in una “fase pilota”: uno

stadio importantissimo per il successivo deployment dei progetti 4.0, ma la cui collocazione ad oggi (a cinque anni dall’introduzione degli incentivi governativi e a ben undici anni dal conio ufficiale del termine “4.0”, avvenuto alla Industrie Messe di Hannover nel 2011) evidenzia un ritardo diffuso.

LAVORI IN CORSO NELL’INDUSTRIA ITALIANA Solo un’impresa manifatturiera su quattro in Italia ha già completato la trasformazione in “industria 4.0”. La ricerca “Smart Manufactuing Survey” di The Innovation Group (condotta tra febbrario e marzo 2022 su un campione di 55 realtà industriali italiane) ha evidenziato che solo nel 25% dei casi gli strumenti di manifattura smart sono usati a piene mani, mentre il 40% delle aziende ha avviato progetti pilota e il 21% è in una fase di roll out. Lo scenario tuttavia potrebbe maturare in tempi abbastanza rapidi, visti i molti lavori in corso e il fatto che il 36% delle aziende abbia definito, se non altro, una roadmap di trasformazione 4.0. Gli ambiti più promettenti sono il monitoraggio remoto e la sensoristica (interessano il 45% del campione), l’Internet of Things industriale (43%), le tecnologie per la convergenza della supply chain (33%) e la stampa 3D. Le motivazioni che spingono le imprese verso il 4.0 sono soprattutto l’ottimizzazione dei processi produttivi (74%), la disponibilità di incentivi e politiche governative a favore (32%) e la volontà di offrire un miglior servizio ai propri clienti (30%).

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Il ruolo dei partner IT

Un’ultima nota relativa ai risultati emersi dalla survey riguarda il ruolo svolto dai partner IT nei confronti delle imprese manifatturiere italiane. Se, da un lato, il mondo dell’industria riconosce ai propri partner IT attenzione verso le esigenze manifestate e conoscenza delle dinamiche settoriali, dall’altro emerge il tema dei costi e, soprattutto, quello dei ritardi, segnalato dalla pressoché totalità del campione d’indagine. È un tema, questo, che meriterebbe un approfondimento a parte, che in questa sede non è possibile fare, ma che sta a significare molto: innanzitutto la distanza che ancora, nonostante i grandi passi compiuti, separa il mondo OT da quello IT quando si tratta di raccogliere e integrare la babele dei dati generati dal campo negli ambienti software di più alto livello. Alberto Taddei, consulente Industry 4.0 e senior partner di ContactValue


DAL “GRANDE RESET” (MANCATO) AL NUOVO PARADIGMA

Avrebbe dovuto essere il “grande reset” dell’industria manifatturiera italiana, un’industria che in Europa è seconda solo alla Germania e per la quale lo shock della pandemia avrebbe potuto coincidere con un momento di rilancio. I due anni di pandemia per molti segmenti del manifatturiero (ci sono eccezioni, pensiamo al farmaceutico e ad alcuni comparti dell’alimentare) hanno rappresentato, da una parte, una specie di “tempo sospeso”, tra interruzioni della produzione causate dai lockdown e scarsità della domanda per il crollo delle vendite di molti prodotti; dall’altra, sono stati un momento di relativa tranquillità per pianificare investimenti e ammodernamenti. Non è un mistero, ne hanno parlato anche i principali media nazionali, che gli imprenditori e i manager illuminati abbiano approfittato di questa pausa di riflessione proprio per accelerare la trasformazione digitale nell’ottica delle fabbriche smart, investendo di più invece che tirando i remi in barca. L’obiettivo era farsi trovare pronti alla fine della pandemia (che per la verità non ci ha ancora definitivamente lasciati) con aziende e filiere ancora più competitive e “veloci” di prima. Come noto, purtroppo a febbraio lo scenario – che nel frattempo aveva visto un incremento dei costi energetici solo in parte giustificato dalle condizioni macroeconomiche – è imprevedibilmente cambiato di nuovo, trascinando molte economie europee e mondiali in una vera e propria condizione di guerra,

Foto di Christopher Burns da Unsplash

Dopo due anni di pandemia, la situazione geopolitica e le conseguenti incertezze economiche hanno disatteso le aspettative di “nuovo inizio” per il settore manifatturiero.

riflesso del conflitto armato in Ucraina. Così l’energia, le materie prime dell’industria delle lavorazioni meccaniche e anche quelle dell’industria alimentare hanno subìto un’ulteriore riduzione delle disponibilità, inaugurando un probabilmente lungo periodo di scarsità che gli imprenditori del manifatturiero ora devono affrontare. A questo si somma l’effetto psicologico sui mercati, tutti i mercati a parte l’industria bellica, di clienti e consumatori spaventati dal rischio di un allargamento del conflitto. La nuova scarsità farà emergere nuove opportunità? Se la possibilità concreta che vengano bloccate completamente le importazioni di gas dalla Russia causerebbe il fermo di molte imprese, oggi il rincaro dei costi energetici sta già provocando interruzioni a singhiozzo della produzione, che in alcuni casi risulta ormai antieconomica. Come sottolineato da Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore associato di Strategia e imprenditoria della Sda Bocconi School of Management, “Siamo entrati nell’epoca delle nuove scarsità: di materie prime,

di energia e di capitale umano. Un’epoca in cui è facile che la domanda superi l’offerta, e che quindi le imprese manifatturiere debbano affrontare uno scenario completamente diverso da quello pre pandemia”. “È un momento in cui più che la resilienza conta l’antifragilità”, gli fa eco Michele Mariella, chief information officer di Maire Tecnimont, “e in cui le imprese devono imparare a guidare il caos, non potendo più evitarlo e resistergli”. “Ma spesso le turbolenze e le incertezze creano opportunità”, aggiunge Marco Taisch, professore di Digital Manufacturing alla School of Management del Politecnico di Milano, “e il ridisegno delle fabbriche, il maufacturing-as-aservice, l’industrial smart working, la sostenibilità e la creazione rapida di nuove competenze potrebbero ovviare alla grande e probabilmente strutturale incertezza dei nuovi scenari, provocata dalla fine della globalizzazione e dall’ingresso delle variabili geopolitiche nell’industria”. Emilio Mango

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Foto di Ashes Sitoula da Unsplash

STORIA DI COPERTINA | SMART MANUFACTURING

VERSO IL GREEN CON EFFICIENZA, DATI E INTEGRAZIONE Il software può fare da collante tra sistemi Scada, Mes, tecnologia OT e Internet of Things. Ed è una componente indispensabile della transizione ecologica.

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ome sarà l’industria del futuro? Raccogliendo dati dai sistemi OT, Scada e Manufacturing Execution System (Mes), dagli oggetti Internet of Things e dal cloud, sarà possibile alimentare applicazioni di analytics di finalità varie, dall’ottimizzazione energetica alla manutenzione predittiva. Il risparmio di tempo e soldi, e dunque l’incre-

mento dei guadagni, non potrà essere, però, l’unico grande obiettivo. Per poter remare a favore della transizione ecologica e degli obiettivi dell’Agenda 2030, l’industria dovrà avere tre caratteristiche: essere sostenibile, digitale e universale. “Possiamo stimare che oggi la temperatura media si sia innalzata di circa un grado rispetto alla temperatura media del periodo pre industriale”,


Foto di Ashes Sitoula da Unsplash

spiega Giancarlo Terzi, vicepresidente della divisione Field Services di Schneider Electric Italia. “La scienza ci dice che il valore massimo di incremento che il pianeta potrebbe tollerare è di 1,5 gradi. Ma continuando sulla strada attuale la temperatura media salirebbe di tre gradi da qui a fine secolo”. Le rinnovabili da sole non bastano

Dal 1990 a oggi le emissioni globali di diossido di carbonio sono aumentate del 50% circa. Il surriscaldamento ha provocato in poco più di un secolo, tra inizio Novecento e l’anno 2010, un innalzamento di 19 centimentri nel livello globale medio dei mari. Naturalmente l’industria – insieme al settore energetico, all’allevamento, ai trasporti e ai comportamenti individuali – è parte del problema ma è anche un irrinunciabile motore di occupazione e di ricchezza in un mondo sovrappopolato. Come ben sappiamo, e come evidenziato dagli obiettivi dell’Agenda 2030 e del summit Cop26, la sfida del taglio delle emissioni di gas serra è affrontabile in parte con la transizione dal carbone alle fonti rinnovabili, quali l’idroelettrico, il fotovoltaico e l’eolico. Ma la restante parte dipende dall’efficientamento energetico. Qui le innovazioni hardware (come i processori che riducono l’impegno energetico di computer e server) hanno sicuramente un ruolo, ma non va sottovalutata l’opera dei software e in particolare di quelli che raccolgono e analizzano dati. “Si stima che da qui al 2030 il consumo di energia elettrica aumenterà del 50%, sarà una volta e mezzo quella attuale”, ha proseguito Terzi, spiegando che per poter sostenere l’aumento della domanda si dovrà agire su più fronti, sul green field dei nuovi edifici e dei nuovi impianti, ma anche sul brown field di quelli esistenti, “che dovremo rinnovare, digitalizzare, rendere più ef-

ficienti, basati su elettricità e su sistemi di accumulo dell’energia”, ha spiegato il manager di Schneider Electric. “Abbiamo bisogno di software per gestire, mantenere e accudire tutto il lifecycle di questi edifici per far sì che conservino la massima efficienza”. Questo è vero già oggi, ma sempre di più lo sarà in futuro, perché il maggior utilizzo di elettricità renderà le reti smart grid sempre più complesse e ci sarà bisogno di software per gestire tale complessità. E ancora, i software di analytics saranno preziosi per gestire al meglio le attività di riciclo, di riuso energetico, di recupero delle emissioni di gas serra. Negli impianti industriali, il software entra in gioco nella gestione della produzione, nel monitoraggio energetico, nell’automazione degli edifici e anche nella gestione dei data center. “Raccogliamo sempre più dati”, ha sottolineato Terzi, “e abbiamo bisogno di software che ci aiutino a comprenderli e a capire come ottenere efficientamento e altre ottimizzazioni. Inoltre anche i servizi dovranno evolvere. Dobbiamo essere certi di mantenere l’efficienza lungo tutto il ciclo di vita degli impianti, anche riuscendo a prevedere i guasti”.

Giancarlo Terzi

La sfida dell’automazione

All’interno di questa visione su un futuro più sostenibile e fondato sui dati, Schneider Electric ha sviluppato una strategia di offerta che l’azienda chiama “automazione universale”. “In futuro l’automazione sarà molto diversa da quella attuale”, ha illustrato Claudio Giulianetti, vice president industrial automation di Schneider Electric Italia. “Sarà integrata e interoperabile, e consentirà una migliore messa in produzione di macchine e impianti. Altro elemento importante della nostra visione è il software, che sarà sempre più aperto e agnostico, cioè non vincolato all’hardware su cui viene eseguito”. L’aspetto dell’apertura è particolarmente importante in ambito industriale, dove esistono tecnologie operative (Operational Technology, OT) e informatiche (IT) che devono poter lavorare in modo integrato. “Nell’industria difficilmente si riesce a portare un software di automazione da un sistema all’altro”, ha rimarcato Marco Gamba, innovation & communication industry leader di Schneider Electric Italia. “C’è molta chiusura e c’è pochissima flessibilità. Con l’automazione universale proponiamo che i dispositivi abbiano un’anima comune. Bisogna svincolare il software applicativo dall’hardware, così da permettere la portabilità”. Le aziende come Schneider Electric e i loro clienti dell’industria non dovranno poi trascurare un altro aspetto, riassunto nell’espressione lifecycle management. “Come industria”, sottolinea Giulianetti, “dovremo essere capaci di gestire l’intero ciclo di vita di asset, di linee produttive e di impianti efficientando il processo, anche con l’automazione, senza trascurare il fine vita di un processo produttivo e dunque il problema dello smaltimento”. Valentina Bernocco 9


PER ALTEA UP STORIA DI COPERTINA | SMARTTECHNOPOLIS MANUFACTURING

L’IMPRESA INTELLIGENTE SPINTA DA ALTEA UP Nata nel mondo Sap, l’azienda di Altea Federation si propone di accompagnare i clienti nel viaggio verso il concetto di intelligent enterprise. Dal manufacturing, è partito un processo di espansione verso altri settori. Altea Federation può essere vista come una sorta di matrioska tecnologica. Nata nel 1993 come società di consulenza, la realtà si è evoluta nel tempo e oggi ha costituito una galassia di ben 20 aziende riunite sotto un modello definito “olonico-virtuale”, per accompagnare i clienti in un percorso di trasformazione dove competenze umane e supporti tecnologici diventano complemento unico di un’evoluzione destinata a coinvolgere allo stesso tempo business e persone. Dentro questo involucro si colloca Altea UP, system integrator focalizzato nel mondo delle tecnologie Sap, che a propria volta è formato da diverse realtà. Fra queste, AdHocLogica Consulting è una società che da sola fattura 5 milioni di euro (la Federation supera i 130 milioni) e si occupa di fornire capacity e competenze nel controllo di gestione e della produzione. Run Time Solutions, invece, segue essenzialmente le piccole aziende nell’implementazione dell’Erp Sap Business One. L’ultima creatura integrata nel piccolo conglomerato si chiama LuxryUp, deriva dall’acquisizione di Pl Consulting e rappresenta per Altea UP il consolidamento della propria presenza nel mercato del fashion e del lusso. La focalizzazione sul mondo Sap fa sì che la proposizione al mercato segua quella del player di riferimento e, quindi, sia oggi concentrata sull’implementazione di tutto ciò che si può racchiudere nel concetto di intelligent enterprise. “Siamo nati, inevitabilmente, nell’Erp, ma abbiamo seguito il nostro vendor di riferimento nella sua espansione verso Crm, analytics, customer experience e così via”, illustra Roberto Gemma, Ceo di Altea UP. “Oggi siamo fra i partner italiani più importanti e Sap può essere considerata un prolungamento della nostra organizzazione”. La società ha sviluppato una presenza piuttosto consolidata nel campo del manufacturing, oltre che del pharma & chemical, dell’engineering & construction, del retail, del food e dell’automotive. “Si tratta di un comparto fondamentale per l’economia del Paese, essendo l’Italia al secondo posto in Europa e potendo migliorare ancora se solo si riuscisse a muoversi come un sistema, anziché continuare a farci concorrenza interna”, evidenzia Gemma. “Noi lavoriamo per offrire strumenti che, sistematizzando la gigantesca quantità di dati a disposizione, consentono di accelerare i processi decisionali e mitigare l’incertezza che in questo periodo investe diversi ambiti, dalla disponibilità delle materie prime alla

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Roberto Gemma

pianificazione degli stock, fino al reperimento di risorse specializzate”. Una peculiarità di Altea UP riguarda l’approccio basato sul concetto di partnership con il cliente, anteposto alla pura proposizione tecnologica. Lo dimostra la messa a punto di ValueUP Journey, un servizio di business transformation advisory, destinato più che altro ai C-level aziendali, che serve a delineare una roadmap condivisa, basata sulla circolazione delle informazioni. ll servizio intende unire i vari elementi operativi delle aziende, per coordinare un processo evolutivo strutturato verso l’intelligent enterprise. Fra le concretizzazioni di questo approccio troviamo per esempio il progetto IeS Factory (l’acronimo sta per Intelligente e Sostenibile) attivato in collaborazione con Regione Puglia e Università del Salento, per la creazione di un “experience center”. Qui, l’esposizione di esempi di linee produttive concepite secondo la logica 4.0, l’utilizzo di visori per la realtà aumentata dedicati all’asset management ed esempi di digital boardroom per gestire i board meeting fungono da tracce per far capire anche ai top executive quali siano i concreti effetti della trasformazione digitale. In chiave più verticale, invece, Intelligent Pharma è una soluzione che integra attività di produzione, qualità e logistica, alla quale si è aggiunta di recente la tecnologia di Robot Process Automation per la convalida dei processi propedeutici alla distribuzione dei prodotti ai centri che poi rivendono alla farmacie.


TECHNOPOLIS PER ALTERNA

UN PONTE TESO FRA INDUSTRIA E CLOUD Il system integrator, partner consolidato di Microsoft, fa leva sulle attuali esigenze del mondo del lavoro per sostenere i processi di trasformazione nel manifatturiero. Il percorso verso la trasformazione digitale riguarda tutti i tipi di azienda, a prescindere dalle dimensioni o dal settore di appartenenza. Naturalmente esistono peculiarità delle quali occorre tener conto, ma uno degli elementi comuni a tutti è certamente poter contare sul supporto di un cloud “intelligente” per ripensare la creazione di valore. Anche i player che vogliano aiutare e indirizzare le strategie dei propri clienti su questo fronte devono adattarsi. Lo ha capito per tempo Alterna, parte integrante di Altea Federation e specializzata nelle tecnologie del mondo Microsoft. “Siamo nati nel 2013, sviluppando competenze a partire dall’Erp, ma sei anni fa abbiamo abbracciato senza riserve il cambiamento ispirato dall’arrivo in Microsoft di Satya Nadella”, ricorda Matteo Giovanditti, Ceo di Alterna. “Oggi abbiamo accesso a un universo molto vasto di soluzioni e sappiamo come mettere a terra anche le tecnologie più sperimentali proposte dal nostro vendor di riferimento”. Fra i comparti meglio coperti dal cloud system integrator rientra il manufacturing, nel quale l’innovazione spesso già intrapresa nel campo delle applicazioni di business deve sposarsi con l’ambito della produzione, dove invece permangono spesso abitudini e modalità di lavoro ben radicate nel tempo. La società ha approcciato il comparto per supportare percorsi graduali di transizione che partissero dalle componenti più operative delle industrie. “La tecnologia è ormai connaturata alle macchine che queste aziende utilizzano e da lì siamo partiti per lavorare su un’innovazione che preservasse e potenziasse la continuità operativa”, racconta Giovanditti. “Creare la possibilità di monitorare le macchine grazie all’IoT, trasferire le informazioni e rielaborarle con l’intelligenza artificiale, consentendo ai clienti di poter intervenire per tempo per non ritrovarsi a dover gestire situazioni inaspettate, sono solo esempi di come siamo in grado di supportare le imprese manifatturiere”. Soprattutto a cominciare dalla prima parte del 2020, il mondo del lavoro è profondamente cambiato, per adattarsi a una maggior remotizzazione dettata dalle circostanze di scenario globale. Nello shop floor le influenze di questa evoluzione non potevano essere troppo estese, trattandosi di ambienti dove la presenza fisica è ancora determinante. Tuttavia, la logica della collaborazione si è allargata anche su questo fronte: “Microsoft Teams è uno strumento assai più versatile di quanto si possa credere”, illustra Giovanditti, “e con le nostre declinazioni può diventare l’interfac-

Matteo Giovanditti

cia più comune per la comunicazione non formale fra dipartimenti, per la strutturazione di interi processi e persino per lo sviluppo di applicazioni low-code”. Nel tempo, Alterna ha aumentato la presenza nel manifatturiero discreto, nel meccanico, ma anche nel fashion, per tutti gli aspetti che coprono la distribuzione dei prodotti, la multicanalità, la raccolta dei feedback o la tailorizzazione dei servizi. Un ambito di innovazione recente riguarda la pianificazione avanzata, basata su algoritmi evoluti, per ottimizzare le catene di produzione. In questo contesto, sono state messe a punto anche partnership con realtà come SedApta con l’aiuto di Nextea – company di Altea Federation, per la gestione della domanda e dei forecast. Guardando al futuro, il system integrator sta già pensando a sfruttare le opportunità collegate al Pnrr per specializzarsi anche nel campo dell’ingegneria e delle costruzioni, rivolgendosi non solo ai colossi del mercato italiano ma anche alle Pmi che spesso entrano nei progetti come subcontractor. È in preparazione, inoltre, un framework in grado di evidenziare il vantaggio che l’intelligenza artificiale può portare alle Pmi. Entro i prossimi tre anni, poi, l’intento è di puntare sulla tecnologia blockchain, per cui già è stata sviluppata una soluzione di gestione integrata della documentazione su base Sharepoint, estendendo proprio grazie alla blockchain le capacità di conservazione digitale, signage e controllo delle identità.

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LO SMART RETAIL: IBRIDO E RESILIENTE

Milano | 6-7 Luglio 2022 Hotel Melià

Giunto alla terza edizione, Retail & Fashion Summit è l’unico evento della comunità imprenditoriale e manageriale italiana pensato per promuovere il dialogo tra business e tecnologia e, coinvolgendo i diversi interlocutori interessati ai processi di innovazione, insieme agli stakeholder che predispongono politiche di incentivazione e promozione della trasformazione dei settori Retail, GDO e Fashion del nostro Paese. Nei due anni di pandemia, gli imprenditori e i manager più illuminati hanno utilizzato il “tempo sospeso” dei lockdown e delle restrizioni per investire in tecnologia e accelerare il processo di trasformazione delle proprie aziende. Oggi quindi il retail italiano, nonostante le difficoltà, si trova nella condizione di riprendere con ancora maggior efficienza. Le minacce però non mancano, sul fronte geopolitico e quindi anche dei costi energetici, logistici e delle materie prime, fattori che rendono lo scenario complesso e sfidante. In quest’ottica, i temi dei finanziamenti (PNRR ma anche molte altre iniziative di sostegno e rilancio), quelli delle strategie energetiche e di approvvigionamento, quelli della gestione avanzata e intelligente dei cicli di vita del prodotto e più in generale della transizione ecologica si affiancano al filone principale dell’evoluzione tecnologica in ottica smart del retail: Cloud, Intelligenza Artificiale, Realtà Virtuale, Aumentata e Metaverso. L’evento avrà, come di consueto, un’ottica “bifocale” che comprende un taglio più strategico di scenario e allo stesso tempo i tavoli di lavoro volti a distillare le istanze più importanti per la crescita del settore.

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IN EVIDENZA

l’analisi

IN EVIDENZA

DARE SEMPRE RAGIONE AL CLIENTE NON BASTA PIÙ

Foto di Mohamed Hassan da Pixabay

Oggi per scontentare i clienti non basta dar loro ragione: le aziende (di qualsiasi dimensione e settore) devono soprattutto saper offrire esperienze personalizzate e coerenti sui diversi canali. Le espressioni customer journey e omnicanalità, per quanto abusate, sottendono un'esigenza di trasformazione reale. Certo, non sono cosa nuova ma negli ultimi due anni – considerando come spartiacque il terremoto della pandemia e dei primi drastici lockdown – questi concetti sono saliti alla ribalta come mai prima d’ora. Secondo una ricerca pubblicata l’anno scorso da Mordor Intelligence, un non trascurabile 25% di persone tende ad abbandonare un negozio (tradizionale o di e-commerce) oppure un marchio già dopo una singola esperienza negativa. Il valore degli investimenti in tecnologie per la customer experience (CX) è una buona cartina tornasole della crescita di attenzione per questa importante leva di vendita: la somma

di dispositivi, software e servizi per la gestione dell’esperienza dei clienti valeva 10,23 miliardi di dollari nel 2020, secondo Mordor Intelligence, e avrà un tasso annuo di crescita composto del 17,9% tra l’inizio del decennio e il 2026; entro quell’anno, il giro d’affari sarà più che raddoppiato, cioè intorno ai 27,13 miliardi di dollari. La rafforzata centralità CX è un fenomeno in parte anche italiano, come suggerito da alcuni dati della “Digital Business Transformation Survey 2022” di The Innovation Group, condotta su un campione di 213 aziende e organizzazioni pubbliche italiane. Innanzitutto, la fetta di quelle che considerano il miglioramento dell’esperienza dei clienti come una priorità per il 2022 è intorno al 24%, un dato non altissimo ma in forte crescita (+71%) rispetto a quanto emerso nell’edizione precedente della ricerca. Inoltre la seconda priorità più citata (dal 39% degli intervistati), cioè il lancio di nuovi prodot-

ti o servizi, è un tema indirettamente legato alla customer experience. A che punto siamo, oggi, in Italia nelle strategie aziendali di CX? Domina l’idea di una certa maturità, reale o percepita che sia: il 65% del campione ritiene che la propria società od organizzazione abbia già un’elevata competenza in quest’ambito, mentre il 27% rientra nella categoria dei “principianti” e appena l’8% in quella dei completi “inesperti”. Non stupisce troppo scoprire che le aziende del settore dell’Ict e dei servizi si posizionano nella parte alta della scale, mentre all’opposto ci sono gli enti pubblici. Ed è interessante notare come gli specifici obiettivi di customer experience cambino a seconda del grado di maturità: le aziende con una competenza più elevata sono più orientate a offrire ai clienti una eccellente esperienza di acquisto o fruizione e a migliorare la customer satisfaction; quelle meno mature puntano direttamente all’aumento delle vendite e all’acquisizione di nuovi clienti (senza però preoccuparsi troppo di fidelizzarli o di trasformarli in portavoce del loro brand). A tendere, possiamo prevedere che ci sarà un graduale spostamento di aziende ed enti pubblici verso una maggiore maturità in ambito CX, ma non sarà un percorso privo di ostacoli. I principali sono la scarsa collaborazione fra l’IT e il business, la difficoltà nell’integrare i diversi touchpoint (cioè i “punti di contatto” tra l’utente e l’azienda o marchio), i costi troppo elevati degli investimenti che andrebbero fatti, e ancora il basso grado di adozione di tecnologie adeguate, l’assenza di una strategia chiara, la mancanza di competenze e il fatto in azienda che non venga percepito il valore della customer experience. Valentina Bernocco

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l’intervista

LA STRADA VERSO IL MULTICLOUD È ANCORA PIÙ SEMPLICE Nutanix punta sempre di più alla vendita di soluzioni in modalità “subscription”, mantenendo l’enfasi sulla semplicità e sulla flessibilità. Il Ceo, Rajiiv Ramaswami, ci ha raccontato la nuova strategia della multinazionale.

Il primo trimestre del 2022 ha fatto segnare ancora una volta risultati lusinghieri per Nutanix, che ha realizzato una crescita del 21% del fatturato rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Ma soprattutto ha ottenuto un incremento 67% sui ricavi ricorrenti, segno del fatto che ormai la società (specializzata in software per la virtualizzazione e il cloud) è diventata una “subscription company”, superando il classico gap e le problematiche di cassa tipiche di chi trasforma il proprio modello da licenza ad abbonamento. “Anche il cash flow nel primo trimestre è stato positivo”, conferma a Technopolis Rajiiv Ramaswami, Ceo worldwide di Nutanix, “frutto della metamorfosi dell’azienda e del fatto che i clienti ci

hanno seguiti in questo percorso di trasformazione: l’incremento del fatturato arriva infatti sia da nuovi contratti sia da upselling di aziende già nel nostro portafoglio”. Da anni puntate sul rinnovamento delle infrastruttura in ottica iperconvergente. C’è ancora margine di crescita?

La domanda è ancora molto solida. Molte aziende stanno ancora rimpiazzando infrastrutture legacy, altre stanno continuando a implementare soluzioni per il remote working dei propri dipendenti e altre, ancora, si stanno spostando con decisione verso il cloud ibrido, accettando ormai senza problema la presenza di una componente pubblica. Come assicurate alle aziende la continuità?

Rajiv Ramaswami

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La nostra filosofia è sempre stata quella di “distruggere” i silos, offrendo ai nostri clienti la più grande libertà di scelta e la massima flessibilità. Stiamo continuando a farlo anche ora che lo scenario è diventato un po’ più complesso per la presenza di diverse offerte di cloud pubblico e privato. È per questo che i clienti ci apprezzano: apprezzano l’ampia libertà nell’utilizzo degli hypervisor e dell’hardware, e la flessibilità della durata delle licenze. Insomma, tutto contribuisce a rendere più facile il passaggio al cloud ibrido e al multicloud, con l’obiettivo, che poi è uno dei nostri slogan, di “rendere il cloud invisibile”.

Quali sono le ultime novità del portafoglio prodotti?

Nella nostra visione di lungo periodo, vogliamo dare ai clienti la possibilità di vedere il cloud come un modello operativo, offrendo una gestione più agevole, oltre che scalabile e flessibile. Lo scorso febbraio, con i nuovi annunci, abbiamo ulteriormente semplificato la nostra offerta, che ora è sicuramente più orientata alle soluzioni. Ora la Nutanix Cloud Platform propone un modello operativo coerente per tutti i tipi di cloud: pubblico, privato e ibrido. Le soluzioni includono la Nutanix Cloud Infrastructure, il Nutanix Cloud Manager, lo Unified Storage e il Nutanix Database Service, oltre alle soluzioni per l’End User Computing. Un fattore di successo importante sono le partnership con gli altri big dell’IT. Dopo Citrix alla fine del 2021 avete annunciato il supporto del cloud di Aws. E gli altri?

Stiamo portando rapidamente a bordo i clienti Amazon Web Services, mentre per Microsoft Azure, di cui è stato annunciato l’avvio di un test con un ristretto numero di clienti, non c’è ancora una data precisa nell’arco di quest’anno. Google, Oracle e Ibm sono la logica prosecuzione di questo percorso, ma lo faremo gradualmente, senza scordare i temi della sicurezza dei dati e delle infrastrutture. Emilio Mango


L’IMPORTANZA DI UN’INNOVAZIONE SOSTENIBILE I drammatici eventi di attualità hanno rimarcato il bisogno di ripensare modelli di business, catene del valore e logistica per una riduzione dell’impatto ambientale. Questo è stato il tema centrale del Sap Executive Summit di Cernobbio. “Zero e Lode” è il titolo scelto per l’edizione 2022 del tradizionale incontro (per la verità sospeso per due anni a causa del covid), organizzato da Sap a Cernobbio, con i partner, i clienti e con l’ecosistema che fa riferimento al mondo delle imprese. Un titolo che “indica una visione orientata al trinomio zero sprechi, zero emissioni e zero diseguaglianze”, ha detto Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia e Grecia, “e significa proseguire il percorso da economia lineare ed economia circolare, un percorso in cui a quanto pare c’è ancora molta strada da fare”. Masperi, dal palco di Cernobbio, ha citato due dati. Il primo arriva dall’ultimo World Economic Forum e dice che solo il 10% dei manager ammette di aver già adottato soluzioni software in grado di misura-

re i valori della cosiddetta green line. Il secondo indica nel 79% il numero di decisori e imprenditori che non è soddisfatto del modo in cui si arriva alla green line. Pare, quindi, che uno dei temi portanti delle strategie aziendali, rilanciato prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, sia ancora quello di come arrivare a conciliare profittabilità, crescita e sostenibilità. “C’è un altro tema, parallelo ma non meno importante”, ha proseguito Masperi, “che è quello di trovare le giuste relazioni tra questi tre fattori e il digitale. Che poi in pratica vuol dire anche capire come misurare la green line e come coniugare la transizione ecologica con quella digitale: questa è la sfida che aspetta i governi, le aziende e le singole persone”. “Il binomio digitale-sostenibilità non Carla Masperi

è scontato”, le ha fatto eco durante il summit Maria Letizia Giorgetti, professore associato di Economia Applicata del Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi dell’Università degli Studi di Milano, “per almeno due motivi. Il primo è che le transizioni non sono automatiche ma vanno accompagnate da una politica industriale e da una cultura che in Italia, terra soprattutto di Pmi, non sono scontate. Il secondo è che il nostro Paese è forte in alcuni settori, citiamo ad esempio il petrolifero, dove la sostenibilità non ha un percorso facile”. Declinata in un’offerta concreta, Sap Cloud for Sustainable Enterprise, e in una strategia di prodotto, la ricerca della sostenibilità attraverso il digitale si traduce nella realizzazione di una vera intelligent enterprise, dotata tra le altre cose di strumenti di analisi predittiva e di intelligenza artificiale che consentano in primo luogo di misurare la sostenibilità, per poter farla crescere insieme ai ricavi e alla profittabilità. “In Sap valorizziamo molto il gioco di squadra”, ha assicurato Masperi, “e per questo diamo molto peso alle reti di business. Le nostre aziende devono essere sostenibili, e per questo avere una visione di medio-lungo periodo, ma devono esserlo anche i partner e i fornitori. Il nostro ruolo, oltre che offirire gli strumenti, è anche quello di accompagnare il top management in questo percorso, monitorando contemporaneamente le tre linee: top, bottom e green. Ci sono già anche in Italia delle best practice interessanti, come Feralpi e Arpa Industriale, che sono riuscite a ottimizzare gli scarti arrivando, nel secondo caso, a riduzioni dell’ordine dell’80%”. Emilio Mango

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l’intervista

IL MODELLO “IBRIDO” TRASFORMA ASSEMBLEE E VOTAZIONI Per gli eventi in cui è necessario esprimere un voto, la possibilità di mescolare la dimensione in presenza e la partecipazione da remoto è una carta vincente. Roberto Silva Coronel, fondatore e Ceo di Mmm Group, ci spiega perché.

Così come è accaduto al mondo del lavoro di ufficio, anche l’universo degli eventi di aggregazione negli ultimi due anni ha parzialmente “traslocato” nella dimensione digitale. E al pari delle tecnologie Unified Communication and Collaboration, anche le piattaforme di “esperienza digitale” stanno dimostrando la propria utilità ben oltre la fase più critica dei lockdown. Stanno diventando, cioè, degli strumenti di comunicazione e lavoro importanti sia per il settore privato sia per i soggetti pubblici. Roberto Silva Coronel, fondatore e Ceo di Mmm Group, ci ha spiegato come funziona LiveVote, una piattaforma integrata per le video assemblee online sviluppata da LiveForum, società appartenente al gruppo.

vata, l’abbiamo creata noi con LiveForum. La nostra società nel 2021 ha organizzato eventi anche molto complessi, dai congressi medici ai meeting aziendali. Da lì abbiamo iniziato ad arricchire la nostra piattaforma con funzionalità come i sondaggi e le reaction. Abbiamo aggiunto un layer di voto certificato, e questo ci ha permesso di differenziarci perché altre piattaforme offro-

Come è nata l’idea di una piattaforma digitale per le assemblee?

Come Mmm Group lavoriamo da 26 anni con le tecnologie di programmazione avanzata e di grafica. Siamo nati ancora prima del Web e il nostro gruppo ha una società che organizza eventi nel mondo digitale, Digital Events. Nel nostro Dna c’è sempre stata l’inclinazione a essere innovativi nella gestione degli eventi fisici. Con la pandemia è arrivata l’esigenza di una piattaforma per gli eventi digitali e, non avendola tro-

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Roberto Silva Coronel

no solo eventi live o solo votazioni certificate. Noi ci poniamo come anello di congiunzione. Dal punto di vista tecnico, come funziona LiveVote?

La piattaforma prevede diverse configurazioni per adattarsi alle esigenze degli enti o delle aziende che la utilizzano. Gli organizzatori accedono venendo riconosciuti come relatori e dispongono di funzionalità riservate, come la chat privata, l’avvio delle sessioni, la gestione della chat pubblica e delle sessione di dibattito che precedono il voto. I partecipanti possono prenotarsi per fare la domanda e “salire sul palco” uno alla volta, evitando gli accavallamenti. L’autenticazione avviene direttamente via Web e può basarsi su Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale (associato al codice fiscale degli utenti, fornito dagli organizzatori) o su un codice One-Time Password inviato tramite Sms. Ma è anche possibile prevedere un single-sign-on basato sul sistema in uso nell’organizzazione. La piattaforma è responsive, può essere fruita su desktop o smartphone o tablet, e se ci viene richiesto gestiamo anche il processo di convocazione dell’assemblea e gli accrediti dei partecipanti. La trasmissione del flusso video si basa su tecnologia Webrtc, che rispetto allo streaming non ha il difetto del delay e assicura,


invece, la sincronia tra ciò che accade “live” e la fruizione. Inoltre è possibile condividere presentazioni e filmati anche in qualità FullHD, in questo caso sfruttando lo streaming. Come riuscite a garantire la correttezza del voto?

Nell’ambito digitale tutto è tracciato. Tutti i log degli utenti autenticati vengono tracciati, e noi conosciamo tutte le regole affinché i voti siano validati dai notai. Applichiamo una firma digitale immediatamente dopo la chiusura della votazione, per garantire l’assenza di manomissioni successive. A oggi non esiste un ente che certifichi le piattaforme di voto online, ma è auspicabile che un domani ci sia. Oggi possiamo dire di essere certificati ISO9001. Siamo un soggetto italiano e questo non un dettaglio è banale, perché in un’e-

ventuale contestazione risponderemmo del nostro operato in termini di legalità e di correttezza rispetto alla legge italiana. La blockchain, ovvero la validazione decentralizzata, potrà essere un domani una soluzione per determinate autenticazioni di voto, ma al momento le piattaforme vengono gestite da organismi internazionali non certificati. Finora che risposta avete ottenuto sul mercato?

Abbiamo appena lanciato questo prodotto sul mercato e stiamo ottenendo un buon riscontro. LiveVote è stata adottata dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Brescia per combinare la fruizione delle assemblee da remoto (l’ente conta ottomila iscritti) con le votazioni sui temi all’ordine del giorno. Presto verrà adottata anche dall’Ordine di

LE RIUNIONI DI LAVORO DIVENTANO IMMERSIVE Le riunioni in videoconferenza sono diventate un’abitudine planetaria. Tra le molte piattaforme che permettono di organizzare e trasmettere eventi digitali di tipo “business”, anche Horizon Workrooms rivendica un posto, sebbene ancora di nicchia. Iniziativa di Meta, la società proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, si tratta di una piattaforma che permette di partecipare alle riunioni con i colleghi in modalità immersiva, interagendo con i gesti e presentandosi agli altri attraverso un avatar. Ci si può sedere intorno a un tavolo (digitale), dialogare, scambiare documenti e idee. Condizione

necessaria per vivere pienamente l’esperienza immersiva è il possesso dei visori di realtà virtuale Oculus Quest 2, ma in alternativa ci si può collegare tramite videochiamata usando un normale Pc. Sorge spontanea la domanda: tutto questo ha senso davvero, o è un azzardo, un’alternativa da nerd, una fuga ludica dalla realtà, che mal si concilia con le esigenze di produttività del mondo del lavoro? Forse un po’ di tutte queste cose, ma non sarebbe la prima volta che la società di Mark Zuckerberg lancia un’idea avventurosa che sarà poi destinata a diventare mainstream.

Milano. Con Confindustria Bergamo abbiamo contratto per un uso intensivo, mentre con altri clienti in pipeline porteremo avanti progetti customizzati. Dunque le assemblee e le votazioni online saranno il futuro? E perché dovrebbero esserlo?

Crediamo che la dimensione digitale e quella fisica conviveranno. La modalità ibrida sarà destinata a imporsi anche per le assemblee, un po’ come sta accadendo in generale nel mondo del lavoro. E la nostra piattaforma, con le sue caratteristiche di sincronia e le funzioni di voto legale, risponde alle esigenze di aziende o enti che vogliano operare in maniera ibrida. Per gli organizzatori c’è innanzitutto un vantaggio economico: per ogni partecipante in loco il costo solitamente non scende sotto i 15 euro, mentre per un evento digitale si spendono in media 5 euro a persona. La modalità ibrida comporta benefici incrementali, risultando già più vantaggiosa dai 200 partecipanti in su, per arrivare a un risparmio del 50% se sono più di 500 e del 75% se sono più di mille. Inoltre, a mio avviso, è anacronistico ormai organizzare un’assemblea solo in presenza, le persone si sono abituate a poter partecipare da remoto. Ma non è nemmeno sempre facile per gli organizzatori abbracciare il cambiamento, e per questo accompagniamo i clienti in questa novità con esperti che si recano in loco per verificare le condizioni di connettività ed eventualmente portare dei sistemi di rete a supporto o fornire servizi come badge e sistemi di accredito. V.B.

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l’intervista

NEI SERVIZI BASATI SU INTERNET LA PROSSIMITÀ È CRUCIALE Da Roma, la rete Internet Exchange di Namex si allarga con un nuovo punto di interscambio posizionato a Bari. Il Ceo, Maurizio Goretti, ci ha parlato dello scenario italiano.

Edge computing, gaming, streaming di contenuti per l’intrattenimento, partite di Serie A e Champions League. Sono solo alcuni esempi di contenuti che fanno oggi leva sul traffico Internet e che necessitano il più possibile di bassa latenza. In pratica, per poter fruire di una qualità del servizio ottimale, il contenuto e il suo utilizzatore dovrebbero essere sempre più vicini, potendosi appoggiare a un sistema di interconnessione affidabile. In Italia, a Milano e Roma operano i due principali hub di interscambio tra i principali fornitori di servizi Internet nazionali e internazionali e i numerosi Isp locali. Al Nord si è radicato il Mix (Milan Internet Exchange), mentre il Centro è il territorio di riferimento per il Namex, real-

Maurizio Goretti

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tà nata a Roma nel 1995 e oggi pronta a espandersi verso il Sud del Paese e anche il bacino del Mediterraneo, forte di oltre 170 provider afferenti. Di recente, l’iXp (Internet Exchange Point) ha avviato un nuovo punto di interscambio a Bari, aggiungendo un proprio data center carrier neutral. Nel sud del Paese si stanno concentrando similmente le attenzioni di Mix, che ha iniziato a operare anche a Palermo. Sullo sfondo, uno scenario di servizi erogati tramite Internet in evoluzione. Di questi temi abbiamo parlato con il Ceo di Namex, Maurizio Goretti. Quali dinamiche segnano il mercato italiano e i vostri recenti sviluppi?

Oggi quasi duecento soggetti si interfacciano con noi, mentre quando siamo partiti ne avevamo quattro. Questi numeri danno il segno dello sviluppo che ha avuto il mercato. Noi offriamo un collegamento fra operatori e fornitori di servizi di connettività, da un lato, e content provider per gli utenti finali dall’altro. Oggi bisogna poter fornire qualità al consumatore di eventi live, serie o giochi online, e dunque il contenuto non può trovarsi lontano dal suo fruitore. Fino a una decina d’anni fa Milano poteva quasi bastare per coprire ciò che serviva in Italia, ma oggi non più. Ci stiamo espandendo e Bari è un crocevia di interscambio, con cavi che si collegano a diversi Paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Asia.

Come sono i rapporti con gli altri iXp italiani? Non si potrebbe pensare a unire le forze?

Siamo in contatto costante con Mix, Topix, OpenHubMed e gli altri soggetti della nostra stessa natura. Però non prevediamo di unire le forze. Un unico hub darebbe più peso internazionale all’Italia, ma rappresenterebbe allo stesso tempo una debolezza. Preferiamo dialogare nel contesto dell’associazione continentale Euro-Ix e cerchiamo di non sovrapporci. Namex è un consorzio e vuole mantenere una natura neutrale rispetto ai provider. Tra i nostri interlocutori, ci sono Google o Netflix, ma il 60% è fatto di piccoli o medi provider e tutti hanno lo stesso peso. Intravedete opportunità legate al Pnrr?

Non direttamente e per il momento facciamo leva sul nostro fatturato di circa quattro milioni di euro e sui canoni incassati. Sarebbe bello che l’Italia destinasse al mercato fondi in modo più strutturato e duraturo, costruendo infrastrutture e dandole in gestione a soggetti come noi. Non si tratta di fare di data center di proprietà dei punti di interscambio, tantomeno della Pubblica Amministrazione, ma di favorire con investimenti e agevolazioni fiscali lo sviluppo delle aziende. Gli iXp dovrebbero essere ospitati all’interno di data center neutrali, gestiti da chi lo fa di mestiere. Roberto Bonino


LA SICUREZZA È FLESSIBILE E SI COSTRUISCE INSIEME Nata come spin-off di F-Secure, WithSecure si propone a una clientela aziendale con un’offerta di servizi basati su cloud. Da 34 anni il marchio F-Secure è presente sul mercato della sicurezza, con tecnologie indirizzate a un pubblico consumer che via via si sono allargate anche all’ambito business. I due percorsi si sono progressivamente distinti, seguendo quella differenziazione delle dinamiche di attacco che il cybercrime ha nel tempo affinato sui diversi target. Oggi l’azienda ha deciso di rivolgersi al mercato con due realtà separate: a F-Secure rimane concentrata sull’offerta di protezione degli endpoint, destinata al pubblico consumer e collegata agli accordi pregressi con i carrier telefonici, mentre la neonata WithSecure seguirà la clientela delle aziende con la proposta di servizi di cybersicurezza basati su cloud. “Il consumer e il B2B sono due ambiti di mercato totalmente diversi tra di loro, che vanno approcciati in maniera mirata secondo le loro specifiche esigenze”, commenta Carmen Palumbo, country sales manager di

WithSecure. “Per questo si è deciso di distinguere le due aree e di concentrarci sul mercato business, intorno al quale vogliamo coinvolgere tutto il nostro ecosistema di partner”. Intercettando una forte crescita della domanda di servizi di cybersicurezza, la strategia sarà focalizzata in particolare sul segmento delle medie imprese, a cui rivolgersi attraverso la rete già di partner di canale già sviluppata, negli anni, da F-Secure. “La cybersecurity è sempre più complessa e su di essa devono essere concentrate sempre maggiori competenze, senza correre il rischio di disperderle su altri fronti”, riprende Palumbo. “Un ambito che gli analisti stimano avrà una media di crescita del 12% da qui al 2025 e sul quale dobbiamo, quindi, focalizzarci sempre di più”. L’offerta di WithSecure spazia dai servizi di consulenza (che comprendono la definizione di strategie di sicurezza, la gestione del rischio e la secure cloud tranCarmen Palumbo

sformation) ai servizi gestiti di managed detection and response, threat intelligence, threat hunting, e ancora alla cosiddetta “gestione della superficie d’attacco”. A ciò si aggiungono software e servizi per la protezione degli endpoint, degli ambienti cloud e delle attività di collaborazione a distanza, inclusi gli ambienti Salesforce e Microsoft 365. “Un’offerta che esalta la nostra natura cloud-native”, sottolinea Palumbo, “e che, in particolare con Elements, descrive una vera e propria dashboard comprensiva dei principali componenti della sicurezza. Al suo interno è possibile gestire la protezione dei contenuti Salesforce, con cui la piattaforma è stata sviluppata. Salesforce e Microsoft 365 sono, infatti, gli ambienti totalmente cloud con cui vogliamo intensificare la collaborazione”. Si punta dunque sulla flessibilità, anche di prezzi, sull’integrazione e su un approccio di “co-security” (richiamato anche nel nome WithSecure), nella consapevolezza del fatto che la sicurezza informatica va affrontata insieme, con la collaborazione di clienti e partner. Tutto ciò rende questa offerta particolarmente adatta a un approccio “as a service”, lasciando margine di azione agli intermediari di canale. “Lavorando insieme, possiamo smettere di approcciare la sicurezza come uno strumento di controllo”, ha dichiarato Juhani Hintikka, che è stato scelto per il ruolo di Ceo di WithSecure, dopo aver ricoperto l’analoga posizione in F-Secure. “Invece, implementeremo la tecnologia e i servizi che funzionano in un determinato contesto di business e forniscono risultati comprovati. In parole semplici, nessuna organizzazione che ripone la propria fiducia in WithSecure dovrebbe subire una grave perdita a causa di un attacco o di un crimine informatico. Il nostro nome è la nostra promessa”. Loris Frezzato

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I SERVIZI FINANZIARI INSEGUONO DATI APERTI E SOSTENIBILITÀ Tra fintech, piattaforme interoperabili e innovazione per gli obiettivi Esg, il settore continua a trasformarsi. L’adozione dell’open banking sta prendendo piede anche in Italia. Se ne parla da più di un decennio, ma a causa della pandemia i cambiamenti che potenzialmente avrebbero richiesto più un decennio sono già il nostro presente. Nei prossimi anni il passaggio dall’open banking all’open finance e, col tempo, fino all’open data continuerà ad accelerare: sarà possibile accedere a qualsiasi dato in pochi secondi e ricevere proposte di servizi convenienti e altamente personalizzati, e ciò lo potrà fare qualsiasi azienda a cui sia stato dato esplicitamente il consenso. Questo incoraggerà un’industria sana e competitiva e un vibrante ecosistema finanziario "aperto", dando ai consumatori e alle imprese più scelta e controllo su come gestire le proprie finanze. L’inclusione finanziaria è un altro grande tema che sta guadagnando sempre più attenzione. E non c’è da stupirsi: secondo la Banca Mondiale, quasi 1,7 miliardi di persone in tutto il mondo non hanno accesso a servizi bancari. I progressi nel fintech e nell’open banking hanno l’ambizione di democratizzare l'accesso ai servizi finanziari, creando prodotti più personalizzati e convenienti per le comunità meno servite. Nei prossimi anni assisteremo probabilmente a un aumento del flusso di investimenti diretti ai third party provider, che consentiranno a chi non dispone di un conto bancario di avere un accesso più immediato al sistema finanziario. Non solo: l’open banking

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offrirà anche l’opportunità di una maggiore inclusione nel risk decisioning, attraverso l’uso dei dati dei conti correnti, essenziali per ottenere una visione d’insieme delle finanze delle persone. L’open banking dei pagamenti è un’altra tendenza in rapida crescita, che rappresenta per le aziende l’enorme opportunità di trasformare le user experience precedentemente trascurate in un vantaggio competitivo. Chi potrà offrire un onboarding o un’esperienza di pagamento più fluida sarà in grado di generare maggiori entrate e di avere clienti più soddisfatti. Con questi nuovi pagamenti le persone non avranno bisogno di monete, banconote, carte o una buona memoria per codici da ricordare. Tutto ciò di cui ci sarà bisogno è un consenso. Le aziende mantengono il controllo dell’esperienza di checkout, mentre gli utenti si collegano semplicemente al proprio conto, si autentica-

Daniel Henriquez

no e pagano. Ciò porta ad alti tassi di successo end-to-end e a una maggiore comodità e soddisfazione del cliente, e grazie a questo effetto valanga tra non molto i pagamenti via open banking saranno un’opzione di uso comune. C’è poi il tema dell’innovazione sostenibile. Oggi c’è forte pressione tra i Paesi e le aziende di tutto il mondo per trovare modi concreti di ridurre la propria impronta di carbonio. Di conseguenza, emergeranno più fintech volte a creare prodotti e servizi che aiutano consumatori e imprese a raggiungere gli obiettivi ambientali. Dai prestiti "verdi" alle app bancarie con funzioni di sostenibilità e tracciamento del carbonio, quest’anno l’innovazione sostenibile sarà la priorità. E l’open banking giocherà un ruolo essenziale nel modo in cui le imprese soddisfano i requisiti di sostenibilità, perché i dati possono indirizzare verso un cambiamento positivo, che si tratti di mappare gli investimenti rispetto alle valutazioni Esg oppure di comprendere meglio il profilo di rischio dei clienti. Nel retail l’open banking può alimentare le app che analizzano le transazioni per aiutare gli individui a tracciare, comprendere e modificare il proprio comportamento, così da migliorare la propria impronta carbonica. La banca britannica NatWest ad esempio sta lavorando in questa direzione, grazie alla collaborazione tra Cogo e Tink, per lanciare un tracker di carbonio nella propria app e aiutare i clienti a ridurre l’impatto climatico delle loro spese. Queste tendenze dovrebbero essere in cima all’agenda degli investimenti delle aziende, in quanto aiuteranno a fornire un vantaggio competitivo sulla concorrenza e a rafforzare la loro posizione sul mercato. Daniel Henriquez, Southern Europe banking lead di Tink


DAL FLOPPY AL CLOUD, LA FEDELTÀ PAGA Cento dipendenti abituati a sentirsi una famiglia e a lavorare con i clienti vestendo i panni del consulente più che del commerciale. Questa è Microsys, un’azienda che ha attraversato con coerenza 30 anni di storia dell’informatica tenendo la barra dritta su due direzioni parallele: trasparenza e competenza. Spesso le storie di successo nascono dalla necessità di reinventarsi dopo un evento sfavorevole. E così è stato per Alessandra Galdabini e Gianpaolo Vittorelli, che nel 1992, per una serie di vicissitudini familiari, sono costretti a dover ricostruire da zero una storia imprenditoriale nell’ambito del mercato IT. “Siamo partiti dal niente”, racconta Vittorelli, “ma questa è stata, per molti versi, la nostra fortuna. Alessandra collaborava con un’azienda che si occupava di soluzioni per Ibm AS/400, mentre io ero un libero professionista. Avevo un’esperienza abbastanza unica sul mercato, perché avevo approfondito più di altri il tema dell’integrazione tra i Pc (che allora muovevano i primi passi) e il mainframe. Inoltre, Alessandra aveva una innegabile capacità di vendere il mio know-how ai suoi clienti”. Galdabini e Vittorelli intuiscono le potenzialità di una sempre maggiore interoperabilità tra computer da scrivania e macchine centrali e, come si dice in questi casi, si trovano al posto giusto nel momento giusto. Nel 1992 nasce quindi Microsys, destinata, almeno nella prima fase della sua storia, ad accompagnare le aziende nella delicata transizione da mainframe ad architetture più agili. “Per molti anni”, prosegue Vittorelli, “abbiamo goduto di un innegabile vantaggio competitivo. Non solo avevamo

le conoscenze e gli strumenti (lavoravamo ad esempio con un’azienda americana sviluppatrice di un software che permetteva di connettere Pc e mainframe), ma eravamo in grado di superare le convenzioni e la pessima comunicazione che veniva fatta in quegli anni sull’utilizzo delle nuove architetture”. Con l’avvento delle architetture cloud, in anni più recenti, Microsys diventa il partner ideale per “smontare” le architetture Pc/server, che nel frattempo

Gianpaolo Vittorelli

hanno definitivamente sostituito i minicomputer e i mainframe, e portarle sulle nuvole. Una fase completamente nuova, che secondo Vittorelli non sarà l’ultima: “Penso che l’attuale tendenza ad andare in cloud subirà un rallentamento quando gli utenti si accorgeranno che la concentrazione dei dati in pochi data center e pochi fornitori non è la soluzione ideale. Mi aspetto prima o poi un ritorno della capacità computazionale e dello storage sulle scrivanie, e noi saremo pronti ad accompagnare i clienti anche in questo nuovo ciclo”. Per Vittorelli, quel “noi” non è un pronome usato per caso, Microsys infatti è da sempre un’azienda fatta soprattutto di persone e di competenze. “Non è tanto una scelta strategica, quella di dare più importanza al know-how che alla capacità di vendere, ma una vera e propria forma mentis. Ci sentiamo molto più consulenti che rivenditori di prodotti, ed è proprio per questo che sin dall’inizio abbiamo preferito lavorare con un solo vendor, cioè Microsoft”. Il fatto di essere mono-vendor è per Microsys un segno distintivo ma anche una garanzia, nei confronti dei clienti, che l’enfasi non è tanto sulla fornitura della soluzione più conveniente (per chi vende), ma sulla soluzione di un problema: “La trasparenza per noi è fondamentale, il nostro cliente non penserà mai che stiamo cercando di piazzare una soluzione piuttosto che un’altra, ma si concentrerà insieme a noi sul progetto. Insomma, nel nostro essere cattivi venditori, siamo gente che parla chiaro e che va dritta al punto, conoscendo vita, morte e miracoli dei prodotti e non abdicando mai dal nostro ruolo consulenziale nei confronti dei clienti, anche a costo di non appiattirci sui loro desiderata se non li riteniamo coerenti con l’obiettivo da raggiungere”. E.M.

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LO SMART WORKING VENEZIANO È UNICO AL MONDO Il progetto Venywhere punta ad attrarre professionisti italiani e stranieri, offrendo spazi di coworking in edifici di pregio storico e architettonico. Cisco è partner dell’iniziativa. L’espressione smart working è talvolta solo un modo accattivante per descrivere la condizione di chi lavora da casa, ma se invece si potesse lavorare in spazi condivisi, belli, funzionali ed equipaggiati della tecnologia necessaria, magari immersi in una tra le città più magiche al mondo? A Venezia sta nascendo il progetto Venywhere, promosso dalla Fondazione di Venezia in collaborazione con l’Università Ca’Foscari e con la partecipazione di altri attori del territorio, come l’incubatore di startup H-Farm, e di un grande vendor tecnologico come Cisco. L’idea è quella di mettere a disposizione spazi di coworking all’interno di edifici di pregio storico e architettonico, per chi, da qualsiasi parte del mondo, scelga di trasferirsi per almeno sei mesi a Venezia. Questi “cervelli in arrivo”, anziché in fuga, ricevono anche supporto con servizi che spaziano dalla ricerca di un alloggio all’assicurazione medica, dagli abbonamenti ai mezzi di trasporto. Per la città, Venywhere è un modo per allargarsi oltre i confini dell’economia del turismo, oggi segnata da molteplici incertezze. “La pandemia ha legittimato e diffuso il modello, già esistente, del lavoro ubiquo”, ha raccontato Massimo Warglien, docente di Ca’ Foscari e ideatore di Venywhere. “E ha dato l’opportunità di portare in città dei cittadini diversi, non turisti ma lavoratori, stranieri e anche italiani, con molti veneziani di ritorno”. Terminata la fase beta, da settembre sarà possibile prenotare via Web le postazioni su base giornaliera scegliendo

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tra spettacolari location come l’Arsenale, il Convento dei Crociferi, palazzi storici della laguna o, ancora, le Procuratie Vecchie di piazza San Marco, aperte al pubblico per la prima volta dopo cinquecento anni di chiusura. Cisco ha aderito al progetto avviando un test pilota con una squadra di 16 giovani dipendenti italiani, greci, francesi e spagnoli, che da Venezia stanno svolgendo le mansioni richieste dal proprio ruolo in azienda ma anche collaborano con un team di ricercatori dell’Università Ca’ Foscari, aiutandoli a definire best practice

Chuck Robbins

di lavoro ibrido facilmente replicabili. Le statistiche di utilizzo di Webex, tra le altre cose, aiuteranno a capire le preferenze di orario, luogo, modalità e metodi di lavoro delle persone, nonché quanto la tecnologia impatti sulla produttività e sulla soddisfazione professionale. La partecipazione di Cisco a un progetto di questo genere non è casuale, perché l’azienda anche in Italia ha imboccato la strada del lavoro flessibile consentendo ai propri dipendenti di scegliere tra dodici “luoghi dell’innovazione”, sparsi tra Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Parma, Pordenone, Treviso e la stessa Venezia. “Pensiamo che il lavoro possa e debba essere sempre più inclusivo”, ha dichiarato Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia. “In Italia consumiamo solo energie rinnovabili, raccogliamo gratuitamente i prodotti alla fine del ciclo di vita e riusciamo a riciclarli per il 98%. Ma c’è anche un altro tipo di sostenibilità, che riguarda il fatto di rendere possibile un’armonia tra le esigenze personali e familiari e quelle lavorative. Questo tipo di armonia è molto positiva per il business, in termini di produttività ed efficacia, oltre che per la felicità delle persone”. L’ospite d’onore all’evento di presentazione di Venywhere è stato niente meno che Chuck Robbins, che non ha perso occasione per tessere le lodi della propria azienda ma anche per riconoscere i meriti della filiale tricolore: “Il team italiano continua a portare avanti progetti che sono esempi e che cerchiamo poi di replicare nel mondo”, ha detto. “Dobbiamo continuare a investire per assicurarci che il futuro del lavoro sia inclusivo, connesso e sicuro. I nostri dipendenti sono incredibilmente efficaci in ciò che fanno, non importa se sono in ufficio o altrove. Non importa quante ore lavorano. Se assicurano risultati e sono efficaci, questo è tutto ciò che conta per l’azienda”. Valentina Bernocco


AUTONOMIA E TEMPI DI RICARICA MIGLIORATI CON IL DIGITALE Ego, multinazionale operante nel settore degli utensili da giardino, sta impiegando una nuova tecnologia digitale di monitoraggio e raffreddamento delle batterie che potrebbe “ispirare” altri produttori di dispositivi. Fondata nel Regno Unito nel 2014, Ego fa parte del gruppo Chervon, fornitore specializzato di utensili operante a livello mondiale nella ricerca, sviluppo, produzione, test, vendita e servizi post-vendita. I prodotti del gruppo sono venduti da oltre 30mila punti vendita in un centinaio di Paesi e, con i suoi oltre settemila dipendenti e una produzione superiore ai 10 milioni di unità all’anno, l’azienda è uno dei primi dieci attori nel settore globale degli utensili elettrici. Quest’anno Ego ha potenziato la propria gamma di utensili sfruttando a tutto campo per le batterie una nuova tecnologia al litio, la quale lascia ben sperare anche per futuri e diversi impieghi, considerando che l’autonomia e i tempi di ricarica sono il cruccio di tutti i vendor che immettono sul mercato dispositivi portatili (e non) funzionanti a energia elettrica. La tecnologia Arc Lithium a 56 Volt di Ego offre, in effetti, un livello di prestazioni tale da raggiungere la potenza dei motori a scoppio, ma senza il rumore, le vibrazioni e i gas di scarico che inquinano l’ambiente e rendono più difficoltoso il lavoro degli operatori. La novità arriva poi in un momento in cui il rispetto per l’ambiente e i costi dei combustibili fossili fanno ben spera-

re in un impulso positivo al mercato degli utensili elettrici. Il desiderio di Ego di creare un futuro sempre più verde prende vita attraverso l'iniziativa Challenge 2025, che non si limita al design degli utensili ma include anche le linee di produzione e i luoghi di lavoro. Ne è una dimostrazione il Green Power Industrial Park, stabilimento che sfrutta le energie rinnovabili (impianti fotovoltaico e geotermico) riducendo le emissioni ambientali. La tecnologia Arc Lithium La tecnologia brevettata Arc Lithium da 56 V delle batterie Ego le rende uniche rispetto a tutte le altre batterie grazie alla sua pro-

gettazione innovativa, che massimizza la funzione di raffreddamento in tre modi: meccanicamente, chimicamente ed elettronicamente. Meccanicamente, perché invece delle tradizionali batterie “a mattone” (in cui le pile sono imballate insieme, si surriscaldano e si spengono) l’esclusivo design ad arco di Ego massimizza la superficie e quindi dissipa il calore in modo più efficace. Chimicamente, perché ciascuna pila è circondata dall’esclusivo materiale a cambiamento di fase Keep Cool, che assorbe energia termica e mantiene ogni singolo elemento alla sua temperatura ottimale più a lungo, aumentando al contempo la durata della batteria. Ed elettronicamente, perché ogni pila viene monitorata singolarmente. Quando il software rileva una pila surriscaldata, l’intera batteria va in protezione, spegnendosi fino a quando non si raffredda e rientrando nei parametri di funzionamento ottimali. Queste innovazioni sono affiancate e valorizzate dalla presenza di un’unità centrale di elaborazione (una vera e propria Cpu) che controlla ogni singola cella della batteria, garantendo il bilanciamento delle operazioni di carica e scarica degli elementi, in modo da non deteriorarne uno in particolare. Ciò garantisce un utilizzo sicuro e una maggiore durata della batteria nel suo complesso. Tutte le batterie portatili Ego sono dotate della tecnologia Arc Lithium e sono progettate per adattarsi a tutti gli utensili del nuovo catalogo, con notevoli risparmi per il vendor in termini di produzione e logistica ma anche per l’utente finale. Al crescere delle dimensioni delle batterie (da 2,5 Ah fino a 28 Ah) aumentano anche la potenza e l’autonomia, ma sempre con tempi di ricarica ultra rapidi.

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ITALIA DIGITALE

IL DIGITALE RESISTE ALLE AVVERSITÀ Nonostante l’inflazione e la revisione delle agende politiche imposta dalla crisi bellica, quest’anno gli investimenti in Ict nazionali cresceranno ancora, sfiorando gli 82 miliardi di euro di valore.

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opo due anni di pandemia, il sistema economico europeo è stato travolto da un altro terremoto, di differente natura. Il conflitto russo-ucraino ha determinato non solo un disastro umanitario ma anche l’urgenza di rivedere le politiche energetiche e la destinazione di investimenti che, su base europea e nazionale, avrebbero dovuto imboccare altre strade. Transizione ecologica, trasformazione digitale e parità di genere non possono però essere messi nel cassetto, come slogan già passati di moda: sono, invece, i pilastri su cui dovrebbe reggersi l’idea di società non solo pacifica ma sostenibile, egualitaria e “smart”, a cui punta, con suoi 17 obiettivi, l’Agenda 2030 dell’Onu. E a cui punta anche, su scala più piccola, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del governo italiano. Ma quanto, realisticamente, potremo andare avanti come da programma, nonostante la crisi geopolitica? E il digitale che ruolo avrà? “L’Europa sconta alcuni errori, come quello di essere poco indipendente dalle forniture russe, ma abbiamo 24 |

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sempre pensato che fare commercio con la Russia significasse mantenere la pace”, ha dichiarato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, in occasione di un evento organizzato da The Innovation Group a Milano. La guerra, ha spiegato, si riflette in particolare sugli investimenti, sugli scambi commerciali e soprattutto sul forte rialzo del prezzo dell’energia, che determina inflazione. “Stimiamo per l’economia italiana una crescita del 3% per il 2022, dato inferiore al 4% previsto prima della guerra, e dell’1,6% per il 2023. L’inflazione sarà al 6,2% quest’anno e al 2,5% l’anno prossimo”, ha detto De Felice. “Siamo stati abituati a vedere la nostra vecchia Europa pigra, lenta, non sempre capace di prendere le giuste decisioni di fronte agli shock esterni”, ha proseguito De Felice. “Con la reazione alla pandemia e il piano Next Generation Eu, qualcosa di buono l’ha fatto. Che cosa succederà ora? Credo che gli investimenti energetici debbano aumentare, bisognerà vedere se saranno portati avanti a livello nazionale o internazionale”.

Il digitale non è in una bolla

Sul legame fra digitale e transizione ecologica è intervenuto Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione dell’Università di Oxford, autore del saggio Green & Blue. “Che cosa significa parlare di verde e di blu in un mondo dominato da tensioni geopolitiche, inflazione e crisi del commercio?”, ha detto. “Bisogna smettere di pensare al digitale come se fosse un tema di comunicazione. Per molti anni non abbiamo capito che con il digitale stavamo costruendo un nuovo ambiente. Ma questo ambiente digitale come si collega con quello ordinario delle città, delle piazze, dell’ufficio, delle abitazioni, della guerra in Ucraina? Sarebbe un errore considerarli come spazi separati, privi di connessioni tra loro. Siamo costantemente nell’infosfera, uno spazio unificato che è fatto anche di carri armati così come di videogiochi che in pochi giorni hanno raccolto in supporto dell’Ucraina una quantità di fondi superiore a quella mobilitata da qualsiasi altro soggetto”. A detta di Floridi, se il mercato digitale crea polarizzazione (di ricchezze, potere, accesso alle infor-


mazioni) questo non è un problema che il mercato stesso dovrebbe risolvere, bensì si tratta di un tema sociale, da affrontare con mezzi differenti. “Il verde dell’ambiente, anche quello urbano, se messo insieme al blu del digitale può fare dell’Italia una nazione vincente”, ha rimarcato il filosofo. Il percorso del Pnrr

Lo stress a cui è sottoposta, ancora una volta, la nostra economia non deve quindi far dimenticare i buoni propositi del piano Next Generation Eu e, in Italia, quelli del Pnrr. “Gran parte dell’attuazione del Pnrr in questa fase è nelle mani dei Comuni”, ha spiegato Marco Leonardi, capo del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricordando che le priorità trasversali a tutte le Missioni del piano sono la parità di genere, il miglioramento delle competenze (anche digitali) sul mercato del lavoro e delle prospettive occupazionali dei giovani, e ancora il livellamento della disparità territoriale tra Nord e Sud e tra centro e periferia. “I tempi e le priorità potranno cambiare, ma la sostenibilità resta un tema molto importante”, ha assicurato Leonardi. A che punto siamo con l’attuazione del piano? La prima scadenza, fissata al 31 dicembre 2021, prevedeva il completamento di 51 fra traguardi e obiettivi, per i quali era stanziato un contributo finanziario di 24,1 miliardi. E stando alla relazione di fine anno sullo stato di attuazione del Pnrr, tutti e 51 traguardi e obiettivi sono stati raggiunti nei tempi previsti. La prossima scadenza è fissata al 30 giugno 2022. Il successo o fallimento del piano dipenderà molto anche dagli enti territoriali, che sono i soggetti attuatori di gran parte dei progetti. A Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane e altre amministrazioni locali andranno circa 90 miliardi di euro, ovvero circa il 36% dei fondi del Pnrr sommati alle risorse del Piano nazionale per gli investimenti complementari.

Di certo siamo in una fase delicata, perché il 2022 rappresenta il reale banco di prova per l’attuazione e la buona riuscita del Piano. “Probabilmente il Pnrr potrà essere rivisto, in termini di tempistiche e di priorità, alla luce della guerra”, ha commentato il cofondatore di The Innovation Group, Ezio Viola. Come sottolineato dagli analisti di The Innovation Group, quel Pnrr che fino a ieri potevamo considerare un impulso alla crescita dell’economia italiana oggi è se non altro un fattore di mitigazione del rischio di rallentamento, che farà sentire i suoi effetti nel prossimo biennio. Un progetto imperfetto

Una voce decisamente più critica, in merito al Pnrr, è quella di Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia della Scuola di Direzione Aziendale (Sda) dell’Università Bocconi. “Non stiamo investendo abbastanza in soft skill digitali”, ha dichiarato. “Il Pnrr avrebbe dovuto contribuire a costruire piattaforme innovative e sostenibili sul lato dell’offerta, anziché sussidi alla domanda. C’è un errore di fondo nella logica che informa il Pnrr, almeno nei due assi strategici della digitalizzazione e della transizione ecologica”. Ovvero, a detta di Carnevale Maffè, non è stata correttamente interpretata l’indicazione del Recovery Fund europeo, quella di favorire una trasformazione strutturale del sistema di offerta industriale europea, facendo leva sul digitale e sull’economia green, e solo secondariamente stimolare la domanda finale nei singoli Paesi. Così come progettato, il Pnrr aumenterà la dipendenza dell’Italia dalle tecnologie estere, senza di contro favorire le esportazioni. Se non altro, concede Carnevale Maffè, la transizione in cloud della Pubblica Amministrazione rappresenta un’evoluzione e il progetto presentato dalla cordata Tim-Leonardo-Cdp-Sogei è migliorativo rispetto alle richieste del bando. Sarebbe stato opportuno, però, strutturare il futuro Polo Strategico Nazionale su un modello federato, anziché centralizzato.

“L’omissione grave, nel Pnrr, è quella delle competenze, un tema affrontato in maniera spot ma senza una riforma del sistema scolastico”, conclude Carnevale Maffè. Mercato digitale ancora in crescita

Come già accaduto con la pandemia, il mercato digitale risentirà dello scenario geopolitico però non quanto altri settori dell’economia. “Riteniamo che il mercato digitale sovraperformerà rispetto all’andamento del PIL, come già successo nel 2021”, ha spiegato Viola. “Per le medie e grandi imprese, se non per le altre, gli investimenti in digitale sono di tipo strategico e non tattico”. Dall’indagine “Digital Business Transformation Survey”, condotta da The Innovation Group a inizio anno su un campione di aziende italiane, risulta che quasi la metà delle imprese nel 2022 aumenterà il budget destinato all’IT (il 21% lo incrementerà di oltre il 10%, il 30% prevede un rialzo più ridotto), mentre per il 35% delle aziende la spesa IT sarà in linea con quella del 2021. Il 10% non ha ancora definito la strategia e soltanto una piccola quota, il 3%, ha intenzione di ridurre il budget. Secondo le stime di The Innovation Group (elaborate prima dell’invasione russa in Ucraina) quest’anno in Italia il mercato digitale crescerà del 3,8%, raggiungendo un valore di 81,9 miliardi di euro circa. Mentre la spesa per l’IT tradizionale e le telecomunicazioni calerà di qualche decimo percentuale, di contro il mercato delle tecnologie più innovative (come il cloud, gli analytics e l’intelligenza artificiale) salirà del 7,6%. Le aziende investiranno soprattutto, nell’ordine, in progetti di innovazione dello sviluppo software con metodologia Agile o DevOps, in tecnologie per i Big Data, in automazione di processo, in cloud computing applicativo, infrastrutturale e di piattaforma, in miglioramento della customer experience, in intelligenza artificiale e machine learning. Valentina Bernocco 25


ITALIA DIGITALE | Perpiciatis

PNRR E AMBIENTE, DUE BOOST PER LA TRASFORMAZIONE Come può la tecnologia favorire la trasformazione delle aziende italiane? Il punto di vista di Dxc, Dassault, Nokia, Oracle, Salesforce e Sap. Due parole chiave si incrociano nei pensieri e nelle strategie che i vendor di tecnologia hanno messo a punto per supportare i processi di trasformazione dei propri clienti. Sostenibilità e Pnrr sono gli architravi degli sviluppi ipotizzabili in uno scenario condizionato dalle incertezze derivanti dagli strascichi legati alla pandemia, ma anche dallo shortage di materie prime, dall’ascesa dei costi energetici e dagli effetti della guerra russo-ucraina, ancora da misurare. Sul fronte del rapporto tra digitale e ambiente, fa chiarezza Carla Masperi, acting country manager e Coo di Sap: “La sostenibilità va integrata nei processi aziendali, non basta più solo enunciarla”, ha dichiarato Masperi, ospite di un recente evento di The Innovation Group. “La misurazione della green line diventerà sempre più rilevante e per questo serve una componente blue intelligente, in grado di restituire dati corretti e affidabili”. Le ha fatto eco Eugenio Maria Bonomi, amministratore delegato di Dxc Technology Italia, citando l’esperienza del progetto realizzato con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili per creare una piattaforma di servizi digitali a supporto della mobilità, con finalità che spaziano dall’efficienza dei trasporti al rilascio delle patenti. “Esg è un obiettivo, ancor prima che un acronimo e le tecnologie devono

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supportarlo”, ha detto Bonomi. “La lettera esse, nel nostro caso, si può declinare nei concetti di sicurezza, servizio e sostenibilità”. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza è naturalmente un tema caldo, per l’ammontare di risorse finanziarie messe a disposizione e per il peso riservato alle iniziative fondate sulla digitalizzazione. Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato e vicepresidente di Nokia Italia, ha però messo in guardia sul rispetto delle scadenze e degli obiettivi posti dall’Unione Europea: “Monitorare il raggiungimento dei traguardi prefissati è fondamentale per non vedersi bloccati gli stanziamenti e sarebbe opportuno designare un commissario per questo. Noi faremo la nostra parte e lo testimonia il 25% di incidenza della spesa in ricerca & sviluppo sul totale in Italia, mirato a valorizzare le competenze prima di tutto”. Il clima comunque favorevole verso gli investimenti in tecnologia è stato ribadito da Alessandro Ippolito, country manager & vice president technology di Oracle Italia: “Non è un caso che a dicembre sia stata inaugurata la prima cloud region nel Paese. La nostra capacità tecnologica e la cultura dei dati sono a disposizione della costruzione del polo strategico nazionale. Stiamo lavorando in modo particolare sulla sanità, per favorire il collegamento fra centro e regioni,

ma occorre puntare anche sulle competenze, perché il Pnrr avrà successo solo se ci sarà uno sviluppo capace di coinvolgere la Pubblica Amministrazione, a tutti i livelli, con i suoi quattro milioni di dipendenti”. Sull’importanza del fattore umano come chiave del successo di un piano di digitalizzazione del Paese ha insistito anche Mauro Solimene, senior vice president e country leader di Salesforce. “Abbiamo stimato una generazione di valore pari a 9 miliardi di euro per le aziende che lavorano sulla nostra piattaforma”, ha detto Solimene, “ma occorrono 36mila talenti digitali per compiere questa conversione. Noi abbiamo aperto a progetti con aziende che vogliono investire nel Sud, ma anche con le università e con una formazione più inclusiva”. Non da ultimo, la tecnologia può essere anche un supporto anche per la creatività, una delle qualità che più ci viene riconosciuta nel mondo. “Lavorare con l’intelligenza del dato significa poter sviluppare una collaborazione più destrutturata”, ha indicato Guido Porro, managing director e vice president di Dassault, “e per questo occorre avere la possibilità anche di sbagliare, provando e simulando gli scenari più diversi. A questo serve il concetto di virtual twin che stiamo propugnando con la nostra piattaforma 3D. Roberto Bonino


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN VIAGGIO VERSO IL CLOUD Come superare gli ostacoli di natura tecnica, organizzativa e culturale, per una “migrazione” fatta nel modo corretto? Le strategie di Hpe, Ibm, Microsoft, Google e Noovle. Infrastrutture moderne e basate su cloud stanno diventando sempre più un obbligo, anziché una scelta. Soprattutto quando si parla di Pubblica Amministrazione italiana, per la quale le analisi effettuate nell’ambito del Piano Strategico Nazionale (Psn) hanno rilevato un diffuso utilizzo di data center poco sicuri e di applicazioni non al passo con i tempi. Il cloud può essere una strada preferenziale per l’innovazione digitale, ma come realizzare la cosiddetta “migrazione” superando gli ostacoli sul percorso? Alla sfida certamente non si sottraggono i maggiori fornitori di servizi cloud. Per Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato di Hpe Italia, bisogna guardare a un cloud di nuova generazione, “che si concentri veramente sulla logica dell’as-a-service e che sia in grado di integrare il concetto del multicloud, che cooperi con i cloud pubblici e che riesca a interpretare e gestire i dati direttamente dove essi vengono generati, nell’edge”. Sei dati vengono gestiti direttamente nell’edge (per esempio, nei sensori o macchinari di industria 4.0), è possibile ridurre fino al 70% del tempo di rilascio delle applicazioni. “Un risultato della pandemia è stata un’esplosione nella richiesta di cloud, che ha portato domanda e offerta a diversi livelli di maturità”, ha spiegato Daryoush Goljahani, channel sales director Italy di Google Cloud Italia. “Ha stimolato, inoltre, una trasforma-

zione dei modelli di business, orientati alla disintermediazione e a un rapporto diretto con i clienti. Una situazione che, più che il tema della nazionalizzazione delle infrastrutture, ha sollevato il problema della necessità di un’espansione dell’infrastruttura stessa”. Se prima dell’emergenza sanitaria l’offerta di servizi cloud era nettamente superiore alla domanda, oggi siamo nella situazione opposta. “La spinta alla modernizzazione della PA parte direttamente dal Paese”, ha affermato Carlo D’Asaro Biondo, Ceo di Noovle. “La velocità e il grado di digitalizzazione sono elevati nel singolo individuo, molto di più che nelle aziende e soprattutto nella PA, ed è naturale che ognuno si aspetti anche in questi ambiti la stessa facilità di accesso agli applicativi che normalmente usa a casa propria”. Ma come dovrà essere il cloud adottato dalle nostre Pmi e dai nostri enti pubblici, per avere effetti trasformativi? Semplicità della user experience, adattabilità allo specifico

contesto d’uso, ibridazioni, integrazioni, interoperabilità sono caratteristiche sempre più richieste. “Il cloud è stato ormai digerito dalle aziende, come anche le sue virtù”, ha detto Nico Losito, vice president technology di Ibm Italia, “ma la sfida oggi è la gestione dell’eterogeneità che contraddistingue sempre di più i progetti digitali delle aziende. Una eterogeneità che va governata per non rischiare che sfugga di mano”. Orientarsi sul cloud avendo in casa tecnologie eterogenee non significa per forza ricostruire l’infrastruttura da zero, ma piuttosto sfruttare tecnologie che permettano la interoperabilità tra differenti cloud. C’è poi un’altra questione fondamentale, che esula dalla scelta delle tecnologie: le competenze presenti nelle aziende. Il famigerato skill shortage può ostacolare la riuscita di progetti complessi, come spesso sono quelli di adozione del cloud. “In Italia mancano data scientist e altre figure specializzate, con sole 18mila risorse disponibili a fronte di un tasso generale di disoccupazione del 9%”, ha testimoniato Matteo Mille, chief marketing and operation officer di Microsoft Italia. “Una carenza drammatica che si sta alimentando proprio nel momento in cui il Pnrr richiede progetti per l’innovazione digitale del Paese. Progetti che, per definizione, chiamano risorse competenti, senza le quali nessuna trasformazione può attuarsi”. Loris Frezzato

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LE SFIDE DEL PRESENTE, TRA CYBERWAR E CLOUD La guerra digitale, ma anche la transizione della Pubblica Amministrazione sul cloud e la necessità di un modello “zero trust”: le opinioni dei maggiori rappresentanti italiani della cybersicurezza a confronto sui temi caldi del 2022.

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l conflitto russo-ucraino sta avendo importanti ripercussioni sui temi della sicurezza informatica, come emerso dai numerosi episodi che hanno riempito le cronache nell’ultimo mese, tra hackeraggi, ransomware, attacchi DDoS e campagne di phishing collegate al tema della guerra. Se ne è parlato anche lo scorso marzo, durante la decima edizione del “Cybersecurity Summit” organizzato da The Innovation Group. Il livello di allerta è elevato, a causa del protrarsi della continua crescita di attacchi e per il rischio di spillover, cioè di contaminazione generale, a partire dalle azioni delle armate cyber di Russia e Ucraina. Secondo Ivano Gabrielli, direttore del servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni, il momento è molto critico e si ha evidenza di attacchi intensi, iniziati anche prima del conflitto. “Al di là di quello che si legge su schieramenti di sigle già note, c’è una situazione non dichiarata che produce 28 |

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danni consistenti e che richiede una risposta molto attenta da parte di chi si occupa di sicurezza”, ha detto Gabrielli. “Servirà poi fare un’analisi approfondita per comprendere meglio uno scenario che in passato era stato solo teorizzato e che ora vediamo alla prova dei fatti. Uno scenario connotato dal fatto di avere poca ribalta pubblica e di puntare più alla sostanza che non ai proclami”. “Viviamo in tempi di guerra, e il dominio cibernetico è di estrema attualità”, ha dichiarato Giorgio Mulè, sottosegretario con delega alla sicurezza del Ministero della Difesa. “C’è una guerra parallela, che si sta combattendo non ai confini ma all’interno dei Paesi, con attacchi che viaggiano in tutte le direzioni, con gruppi che stanno dalla parte dei russi, degli ucraini o che si definiscono neutrali. Sono attacchi gravi quanto quelli fisici, che si nutrono di fake news e che hanno effetti dannosi confrontabili con quelli degli strumenti normali”.

Il percorso della PA

Foto di Joshua Woroniecki da Unsplash

CYBERSECURITY

L’esigenza di una maggiore sicurezza dei dati e servizi della Pubblica Amministrazione italiana precede, però, gli eventi della cyberguerra in corso. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede la creazione di un’infrastruttura sicura per abilitare e accelerare il processo di migrazione in cloud dei servizi e dei dati delle Pubblica Amministrazione centrale e locale, il cosiddetto Polo Strategico Nazionale. Uno tra i risultati da raggiungere è proprio quello elevare gli standard di sicurezza per il trattamento di dati e servizi critici e strategici per il Paese. “La trasformazione digitale nella Pubblica Amministrazione è tra i principali obiettivi del Pnrr”, ha spiegato Mulè. “Oggi abbiamo davanti a noi tre grandi sfide. La prima è quella di assicurare l’autonomia tecnologica, un sovranismo resiliente e tecnologico che deve fare da perimetro a ciò che costituisce lo Stato, cioè territorio, popolo e sovranità. Il secondo aspetto è la garanzia sul controllo dei dati, il terzo è l’aumento della resilienza dei servizi digitali. In coerenza con questi obiettivi, il Pnrr mette a disposizione 623 milioni di euro per la cybersecurity nelle Pubblica Amministrazione, e si ri-


volge a quel 75% delle PA che deve migrare appunto ad ambienti cloud sicuri”. Il sottosegretario ha anche sottolineato l’importanza di sviluppare una competenza sulla cybersicurezza, aspetto su cui l’Italia è ritardo, e le risorse del Pnrr andranno utilizzate anche in tal senso. “I fondi del Pnrr rischiano di essere una goccia nel mare di quello che serve nella Pubblica Amministrazione”, ha detto Giovanni Ciminari, head of cyber defence di Sogei, “ma in realtà potrebbero aiutare ad avviare programmi di grande valore: sono usciti i primi bandi per utilizzare questi fondi e come Sogei vediamo un forte interesse nelle PA”. Le priorità del 2022

Dal dibattito è emersa l’importanza di “fare sistema” per elevare una resilienza che oggi non può più essere circoscritta alla singola organizzazione. “La cybersecurity non può essere un esercizio fine a sé stesso, della singola organizzazione”, ha detto Simone Pezzoli, group Ciso di Autostrade per l’Italia. “Non esiste un soggetto unico che possa risolvere tutti i problemi. C’è invece un ecosistema di interazioni e di partnership con vendor e società terze, con gli altri Ciso italiani, con organismi pubblici, che aiuta a impostare meccanismi virtuosi di scambio di informazioni tempestive, fondamentale per una corretta postura di sicurezza

Giorgio Mulè

soprattutto in una situazione geopolitica molto critica”. Un fattore differenziante per le aziende è il poter disporre delle informazioni corrette in modo molto veloce. Lo ha ribadito Corradino Corradi, head of Ict security & fraud management di Vodafone: “Oggi servono iniziative di sistema per elevare la resilienza comune: con la Polizia Postale noi collaboriamo attivamente per contrastare e prevenire i crimini informatici che colpiscono reti e sistemi informativi”. Il secondo imperativo è oggi (per i responsabili della cybersecurity ma anche per tutti noi) quello di elevare la cultura della sicurezza. “Oggi è fondamentale colmare un divario digitale molto forte nel nostro Paese”, ha dichiarato Petra Chistè, responsabile sicurezza informatica & data protection di Volksbank. “Non ci stiamo preoccupando abbastanza di sottolineare, anche nell’educazione dei nostri figli, quali siano i rischi della sicurezza informatica. Noi come banca abbiamo lanciato l’iniziativa Capture the flag, una competizione aperta a ragazzi tra i 12 e i 20 anni, mirata a diffondere conoscenza sul tema delle identità digitali”. Resta valido, anzi è più che attuale, il dibattito sulla sicurezza del cloud. “Il paradigma oggi è cambiato, il multi-cloud è entrato nella vita di tutte le aziende”, ha detto Nicla Diomede, Ciso dell’Università degli Studi di Milano. “I servizi devono essere molto più dinamici e la sicurezza deve riuscire necessariamente a tenere il passo. La sfida principale è oggi governare la complessità e fluidità degli ambienti: varie soluzioni aiutano a individuare cattive configurazioni o problemi a livello di host o di rete, e a verificare la rispondenza a best practice e norme. Bisogna però anche riuscire anche a semplificare la vita di chi lavora nella security”. La semplificazione si ottiene con uno sforzo progettuale ex ante, nella ridefinizione delle architetture, nello standardizzare e automatizzare.

Architetture a “fiducia zero”

Un approccio che comincia a raccogliere consensi è quello definito “Zero Trust”, in cui vengono applicati maggiori controlli e la fiducia non viene più concessa di default. “Il modello parte dal principio che vadano difesi i singoli asset, non essendo più possibile elevare un muro difensivo esterno”, ha spiegato Daniele Catteddu, chief technology officer di Cloud Security Alliance. “Inoltre, fa riferimento al fatto che non ci si può più fidare di nessun utente o componente”. È poi fondamentale impiegare un modello di analisi dei rischi alimentato da un monitoraggio continuo, da informazioni provenienti da diverse fonti e dalla valutazione del contesto. “Lo Zero Trust punta a ridurre la superficie di attacco tramite un modello di segmentazione molto spinta”, ha proseguito Catteddu, “per ridurre problematiche come l’escalation di privilegi e i movimenti laterali. Fondamentale è dotarsi di un approccio di questo tipo anche per la compliance”.“Passare allo Zero Trust è una sfida complessa”, ha aggiunto Marcello Fausti, responsabile cybersecurity di Italiaonline. “Lo si capisce dal fatto che se ne sente parlare molto ma si vedono poche realizzazioni. Non si raggiunge lo Zero Trust con l’acquisto di una tecnologia ma serve molto lavoro da parte del Ciso e non basta rivolgersi a un fornitore esterno. Inoltre viviamo un periodo di passaggio, tutte le aziende sono in fase di migrazione al cloud, si adottano spesso modelli ibridi e questo complica molto la situazione”. Lo Zero Trust ha anche bisogno di un’infrastruttura aziendale adeguata e di sistemi di gestione delle identità e delle utenze privilegiate. “Incamminarsi in questa una strada equivale a fare grandi progetti di igiene digitale”, ha sottolineato Fausti, “progetti complessi che riguardano tutta l’azienda, dalla risorse umane alle linee del business. Senza la collaborazione di tutti non si procede nella cybersicurezza”. Elena Vaciago 29


TECHNOPOLIS PER TRELLIX

UN SISTEMA OLISTICO PER SUPERARE LA FRAMMENTAZIONE Tecnologie capaci di evolversi e un approccio olistico come quello dell’Extended Detection and Response (Xdr). A collloquio con Giovanni Rizzo, Country Manager Italy di FireEye - Trellix. Con il rebranding come Trellix che cosa è cambiato? Trellix è un’azienda internazionale che ridefinisce il futuro della cybersecurity. Nasciamo dalla fusione di FireEye e McAfee Enterprise, una nuova realtà che riunisce la tecnologia e l’esperienza di due leader del settore per fornire un nuovo standard nelle operazioni di sicurezza e cybersecurity. Quando ci siamo imbarcati in questa nuova fase di crescita, volevamo un nome che catturasse il nostro desiderio di innovare e di aiutare i clienti a crescere. Trellix è un adattamento unico della parola "traliccio" (trellis in inglese), una struttura progettata per supportare la crescita di esseri viventi come piante e alberi. Vorremmo essere quel traliccio per la sicurezza delle aziende di tutto il mondo, fornendo loro il supporto di cui hanno bisogno per essere al sicuro mentre perseguono i loro obiettivi. Il nome riflette dunque la nostra mission: dare vita a organizzazioni resilienti e protette grazie a una “living security”: tecnologie che si evolvono e adattano per proteggere le attività di business e consentire ad aziende e organizzazioni di crescere. Il portafoglio Trellix è costruito attorno all’Extended Detection and Response (Xdr), un ecosistema olistico che consolida tutti i prodotti di sicurezza in una piattaforma interconnessa e in costante comunicazione, la quale impara e si adatta alle nuove minacce.

competenze, né il personale, né le informazioni di intelligence necessarie. Un'altra sfida è il dover dipendere dai processi manuali per gestire l’infrastruttura di sicurezza. Per molte organizzazioni, la necessità di essere assolutamente certi che un avviso non sia un falso positivo prevede tanti livelli di revisione manuale. Di conseguenza si perde tempo prezioso, mentre gli alert restano in attesa della verifica manuale. E gli aggressori sanno che essere tempestivi è fondamentale. Molte organizzazioni credono di risparmiare denaro sviluppando soluzioni di sicurezza in-house o "fatte in casa", che però spesso si rivelano più costose rispetto a soluzioni già pronte all’uso. L'incapacità di aggiornare, la mancanza di competenze e altri problemi tendono a depotenziare le soluzioni interne, rendendole meno sicure e più onerose rispetto a una soluzione affermata e affidabile. Il mondo dinamico di oggi richiede pertanto un ecosistema di sicurezza olistico e integrato e un approccio basato sul cloud che consenta a tutti i prodotti di sicurezza di funzionare all'unisono. L'architettura Xdr di Trellix offre sensoristica avanzata, intelligence sulle minacce, automazione e analisi per aiutare le organizzazioni ad accelerare la prevenzione, il rilevamento, le indagini e la risposta delle minacce nell'ambiente di lavoro e nel cloud.

Quali sfide promettete di aiutare a vincere? Oggi, la maggior parte degli executive non sa come o quando un incidente di sicurezza informatica influenzerà le proprie organizzazioni. Le aziende continuano a investire in soluzioni che gli attaccanti sembrano eludere con facilità. Possono essere proattive e aggiornate sulle minacce attuali, ma proteggersi dai prossimi attacchi continua ad essere un problema, perché molte aziende non hanno né le

Oggi il focus è sull'Extended Detection and Response (Xdr) e non più sul semplice Edr. Qual è la differenza? Il mondo dinamico di oggi richiede un ecosistema di sicurezza olistico e integrato e un approccio basato sul cloud che consenta a tutti i prodotti di funzionare all'unisono. La continua evoluzione delle minacce e la necessità dei team di sicurezza di orientarsi tra una moltitudine di prodotti hanno portato alla creazione della tecnologia Xdr. L’obiettivo è mettere insieme in una soluzione unica la telemetria delle diverse tecnologie di business e di sicurezza, come l’Edr, l'analisi e la visibilità della rete, la posta elettronica, il Siem (security information and event management), il Soar (security orchestration, automation and response), la sicurezza nel cloud e altro ancora. L'architettura Xdr di Trellix offre sensoristica avanzata, intelligence sulle minacce, automazione e analisi per accelerare la prevenzione, il rilevamento, le indagini e la risposta alle minacce. Mettendo in relazione i dati sugli incidenti e usando l’intelligence e gli analytics siamo in grado di rilevare le minacce, attribuire le priorità e rispondere rapidamente agli attacchi. Trellix Xdr offre anche competenze analitiche di alto livello, aiuta i clienti ad applicare le best practices e le conoscenze acquisite nel panorama delle minacce globali, a ridurre il rischio e l’impatto degli incidenti. Inoltre migliora l'efficienza del centro operativo di sicurezza (Soc) correlando eventi e attribuendo priorità alle investigazioni.

Giovanni Rizzo

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TECHNOPOLIS PER CYBEREASON

TRE DOMANDE PER PREPARASI AD AFFRONTARE I RANSOMWARE Per contrastare le attività di RansomOps è fondamentale essere veloci e non limitarsi alla protezione degli endpoint. Ecco come non farsi cogliere di sorpresa. Negli ultimi anni le operazioni di ransomware, o RansomOps, si sono evolute fino a diventare un vero e proprio modello di business che continua a innovarsi e ad acquisire sofisticazione tecnica. Con RansomOps intendiamo le sequenze di attacchi mirati e complessi che assomigliano alle operazioni furtive condotte dagli attori di minacce sponsorizzati da Stati nazionali. Sono tendenzialmente attacchi low and slow, in cui la minaccia impiega settimane o addirittura mesi per diffondersi silenziosamente attraverso il network della vittima prima di arrivare a eseguire il ransomware payload. Quando si tratta di far fronte a minacce sofisticate come le RansomOps, sono tre le domande chiave che le organizzazioni dovrebbero porre al team di sicurezza informatica. Siamo in grado di rilevare gli attacchi ransomware oltre l'endpoint? Le soluzioni di rilevamento e risposta negli endpoint (Edr) forniscono una maggiore visibilità sui dispositivi rispetto alle soluzioni antivirus e antimalware tradizionali, ma ignorano il fatto che molti dei più complessi attacchi RansomOps non iniziano necessariamente a livello dell’endpoint. Per far fronte a queste minacce avanzate, le aziende dovrebbero considerare le limitazioni degli strumenti tradizionali e ampliare le loro capacità di rilevamento all’intero environment. Quanto velocemente siamo in grado di rispondere? Molte organizzazioni pensano, erroneamente, che un piano di risposta e una soluzione Edr siano sufficienti a garantire un’azione immediata ed efficace per fermare gli attacchi. In realtà, gli attacchi sofisticati di oggi richiedono strumenti di incident response uniti all’analisi forense (Digital Forensic and Incident Response, DIFR) che permettano di avere immediatamente informazioni complete e contestualizzate, anche quando la minaccia non è mai stata osservata prima. Nel caso di una RansomOps, la velocità di risposta è tutto. I security team devono poter investigare l’attacco nel suo insieme appena questo viene identificato. Avendo compreso la natura e la portata dell’incidente, la risposta può essere automatizzata per permettere di contenere l’incidente prima che sia troppo tardi. In teoria, le soluzioni Siem e Soar avrebbero dovuto risolvere questo problema, ma non sono mai state in grado di farlo in maniera efficace. Al contrario, i nuovi strumenti DIFR offrono contesto e

William Udovich

correlazioni attivabili che velocizzano l’azione dei difensori e permettono di contenere la minaccia prima che si estenda all’intera rete. Abbiamo bloccato tutta l'operazione malevola o solo una delle attività? Bloccare il ransomware su un endpoint non risolve problemi come le credenziali compromesse o la persistenza sulla rete, e non garantisce che gli attaccanti non si stiano comunque nascondendo all’interno del network o non stiano commettendo attacchi in-memory. È qui che le soluzioni di rilevamento e risposta estesi (Xdr) possono fare la differenza. Una soluzione Xdr guidata dall'intelligenza artificiale può assimilare e correlare rapidamente la telemetria da più risorse di rete per rivelare l'intera sequenza dell'attacco. Rilevando attività potenzialmente dannose sulla base di indicatori di comportamento consente di far fronte a tutte le attività associate a una RansomOps, indipendentemente dal fatto che questi comportamenti siano già stati osservati o che si mimetizzino come normali attività di rete. Una risposta centrata sulle operazioni Le soluzioni Xdr guidate dall’intelligenza artificiale permettono una maggiore visibilità attraverso le risorse di rete in silo, per produrre correlazioni ricche di contesto basate sui comportamenti concatenati degli attaccanti. Solo con un approccio centrato sulle operazioni i difensori possono prevedere, rilevare e rispondere non solo alle RansomOps, ma a tutte le tipologie di cyberattacchi nella rete aziendale.

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TECHNOPOLIS PER ORACLE

LA FIDUCIA È AL CENTRO DELLA SICUREZZA Con lo smart working e con l’evoluzione delle infrastrutture IT, anche la cybersicurezza è cambiata. L’opinione di Fabrizio Zarri, cybersecurity master solution engineer di Oracle Italia. Il tradizionale e sempre dinamico panorama delle minacce che affligge i sistemi informativi delle aziende si è ulteriormente complicato a causa degli effetti generati dalla pandemia negli ultimi due anni. L'ampliamento del perimetro aziendale, dovuto alla diffusione del lavoro remoto, si è innestato su un'evoluzione naturale verso il cloud, creando le premesse per una logica di protezione che dai dispositivi deve necessariamente trasferirsi ai dati, ovunque essi risiedano. Oracle si trova nella posizione privilegiata di player di riferimento, tanto nel campo delle infrastrutture quanto in quello del data management. Fabrizio Zarri, cybersecurity master solution engineer di Oracle Italia, ci aiuta a riflettere sulle evoluzioni in corso e sulle complessità emergenti. Quali elementi oggi influenzano la cybersecurity? In un mondo che si sta facendo inevitabilmente digitale, al centro dell'attenzione si pone oggi il concetto di fiducia. L'accesso ai dati aziendali avviene in modalità più differenziata e il perimetro da controllare si è inevitabilmente allargato. Le modalità di attacco si sono differenziate di pari passo e non è più possibile, oggi, non tener conto delle modalità di provenienza delle richieste di accesso. Questo porta alla diffusione del concetto di “zero trust”, che richiede l'autenticazione di ogni utente al momento dell'accesso, convalidandone l'identità e associando i corretti diritti di collegamento alle risorse aziendali. Fabrizio Zarri

Oracle non è un classico vendor di sicurezza. Come vi collocate nello scenario attuale? In realtà abbiamo una storia più che decennale su questo fronte, tant’è vero che in Italia nel 2008 Oracle ha fondato la Oracle Community for Security, confluita nel 2019 nella Clusit Community for Security. Oggi siamo in grado di offrire soluzioni affidabili grazie all'integrazione by design (ossia fin dalla progettazione) della sicurezza nel nostro database e grazie alla capacità di garantire una migrazione protetta dei dati verso il cloud, tramite le più aggiornate tecnologie di cifratura. Per rassicurare ulteriormente le aziende che intendono sfruttare appieno il potenziale del cloud abbiamo, poi, integrato strumenti a valore aggiunto, senza aggravio di costi, per l'analisi comportamentale e l'automazione del processo di risoluzione del problema di security, grazie all'utilizzo dell'intelligenza artificiale. Nella gestione dei dati c'è il cuore della vostra esperienza storica. Come la declinate nella cybersicurezza? Il nostro database ha integrato la security by design e questo è ormai un elemento imprescindibile. La cifratura dei dati, però, non avviene solo all'interno del database ma in tutte le fasi di trattamento e transito del dato, quindi ad esempio anche nelle procedure di backup. Agli amministratori, poi, offriamo un monitoraggio intelligente garantito dalle nostre tecnologie di machine learning. Possiamo anche aggiungere Oracle Data Safe, un centro di controllo unificato che aiuta a valutare i rischi per i dati e la sicurezza degli utenti, mascherando le informazioni più sensibili e allineandosi ai requisiti di compliance. Come promuovere meglio il tema dell'identità digitale, ancora non diffuso tra le aziende? Noi mettiamo a disposizione non solamente strumenti, ma anche corsi per far evolvere le aziende nel modo più adeguato. Certamente occorre cambiare l'approccio, ma diverse realtà lo stanno già facendo. il modello di responsabilità condivisa si sta affermando, a differenza di quanto accadeva qualche anno fa, e anche il ruolo del Ciso sta evolvendo, da semplice controllore ad advisor aziendale all’interno dei processi organizzativi.

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TECHNOPOLIS PER ACRONIS

COME SCEGLIERE IL GIUSTO MANAGED SERVICE PROVIDER Denis Cassinerio, regional sales director Southern Europe di Acronis, spiega perché per le aziende è importante affidarsi a un Msp che sappia garantire resilienza. Le aziende si affidano sempre più spesso ai Managed Service Provider (Msp), società di servizi IT gestiti che da remoto supervisionano il corretto funzionamento delle infrastrutture e del software dei clienti. Queste terze parti garantiscono quindi la stessa resilienza delle imprese: come far sì che adottino una postura di sicurezza elevata? Che cosa deve fare il responsabile della cybersicurezza aziendale per assicurarsi che i partner Msp rispondano ad elevati requisiti di sicurezza? “La migrazione verso il cloud è oggi una premessa imprescindibile del percorso di evoluzione e trasformazione digitale di imprese, governi e cittadini”, ha detto Denis Cassinerio, regional sales director Southern Europe di Acronis. “L’adozione del cloud richiede però una focalizzazione sul principio della responsabilità condivisa con i provider (shared responsibility model) e sulla necessità di cambiare il governo della security, oltre che sull’esigenza di mettere al centro il valore del dato da proteggere”. I rischi legati alla supply chain sono oggi molto evidenti, dopo una serie di attacchi andati a segno nell’ultimo anno con riferimento ai Managed Service Provider. Eventi infausti, che una volta avuto successo possono impattare su moltissimi clienti dei servizi IT. “Oggi gli Msp sono particolarmente presi di mira”, ha confermato Cassinerio, “ed è importante quindi che adottino piattaforme solide di orchestrazione della sicurezza dei propri clienti. Sta ai clienti, invece, scegliere il proprio fornitore di servizi gestiti in base a precise garanzie sulla capacità di offrire continuità operativa, oltre che in base a capacità e skill necessari per il rilevamento di vulnerabilità e minacce e per la loro prevenzione e mitigazione”. Come va quindi ridefinito il concetto della sicurezza? “Bisogna concentrarsi sui vettori che determinano questa protezione”, ha spiegato Cassinerio, “ossia sui concetti riassunti nell’acronimo Sapas. La sicurezza: una copia affidabile dei dati deve essere sempre disponibile. L’accessibilità: i dati devono essere disponibili ovunque e in qualsiasi momento. La privacy: controllare chi ha accesso ai dati dell’azienda. L’autenticità: serve una replica esatta dell'originale. E infine la sicurezza: proteggere dati, applicazioni e sistemi dalle minacce. Solo in questo modo sarà possibile gestire i dati critici del business secondo standard ed esigenze aziendali recenti. Per farlo, i proprietari dei dati si confrontano con tre sfide: complessità dei dati, sicurezza dei dati e costi di archiviazione. Data protection e sicurezza IT da sole non sono in grado di rispondere a tutti questi problemi, serve

Denis Cassinerio

una risposta univoca e omnicomprensiva”. A tutto questo si somma il fatto che oggi diventa sempre più importante focalizzarsi sulla resilienza, sulla continuità operativa del business. “Le minacce incombono e l’asimmetria dell’attacco è evidente, le capacità degli attaccanti sono sempre più avanzate e l’industria del crimine digitale è fiorente”, ha concluso Cassinerio. “L’aggressione inoltre è sempre più mirata e sempre meno casuale, motivo per cui focalizzarsi sulla continuità del business sta diventando l’aspetto più importante. Per farlo serve quindi un disaster recovery integrato con i processi di protezione cyber, possibilmente con un costo alla portata della singola azienda. Stiamo andando verso uno scenario in cui concetti come Rto ed Rpo vicini allo zero vanno assicurati anche alle piccole e medie imprese, che su queste garanzie si confronteranno sempre di più con i propri service provider”.

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TECHNOPOLIS PER SENTINELONE

AUTONOMIA E VELOCITÀ PER COMBATTERE LE MINACCE L’intelligenza artificiale, combinata all’approccio Xdr, sta trasformando le attività di rilevamento e di risposta agli attacchi. Intervista a Marco Rottigni, Technical Director Italia di SentinelOne. Come è cambiato lo scenario della cybersicurezza negli ultimi anni? La pandemia, la dissoluzione dei perimetri e la trasformazione digitale hanno amplificato i rischi di uno scenario degli attacchi informatici già preoccupante. Attacchi che oggi crescono secondo “tre V”: in volume, in velocità e in varianza. Al pari di chi li contrasta, anche gli attaccanti hanno a disposizione tecnologie di intelligenza artificiale che stanno consentendo un incremento esponenziale del volume e della velocità delle minacce, oltre a una varianza che le rende difficili da rilevare. Intanto, nelle aziende le risorse destinate a occuparsi della cybersicurezza non crescono nella stessa misura. La priorità delle aziende dovrebbe essere oggi quella di investire in una “macchina del tempo”, cioè in una macchina tecnologica che permetta di risparmiare e di liberare tempo per le risorse interne, in modo che possano smettere di occuparsi di attività ripetitive e a basso valore aggiunto, per dedicarsi solo agli attacchi sofisticati. E come è possibile ottenere tutto questo? La cybersicurezza deve diventare autonoma e veloce, ovvero non deve più aver bisogno dell’essere umano per essere messa in moto ma deve saper identificare le minacce in autonomia e a velocità macchina (la stessa con cui agiscono i cyberattacchi). In SentinelOne abbiamo investito per sviluppare una tecnologia capace di aumentare la velocità di reazione e di amplificare il potere d’azione dei professionisti della sicurezza. Grazie all’intelligenza artificiale, la tecnologia alla base della nostra piattaforma Singularity riesce a rilevare gli attacchi e a contrastare l’infezione. Minacce come i ransomware oggi preoccupano molto ma seguono schemi d’azione tutto sommato semplici, che possono essere facilmente identificati dall’intelligenza artificiale senza scomodare gli esseri umani. Le persone possono, così, concentrare l’attenzione solo sugli attacchi sofisticati e dedicarsi ad attività di investigazione. Inoltre è fondamentale l’aspetto della velocità: l’intelligenza artificiale ha tempi di reazione paragonabili a quelli degli attacchi e molto più rapidi di quelli delle persone. Parliamo di manciate di secondi, contro ore o addirittura giorni. Singularity, inoltre, sfruttando funzionalità del sistema operativo può riparare i danni causati da un attacco, come la cancellazione o la

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crittografia dei dati. Non si tratta di riportare la macchina allo stato di un certo momento precedente all'infezione, bensì di operare un ripristino "chirurgico", intervenendo solo sugli elementi danneggiati. L’Endpoint Detection and Response (Edr) è stato per molto tempo un pilastro delle strategie di sicurezza aziendali. Oggi è ancora così? La capacità di rilevare la presenza di un attacco su un endpoint e di contrastarlo è ancora cruciale. Ma le aziende sono anche dotate di firewall, Vpn (virtual private network), sistemi di gestione delle identità e altre tecnologie che possono essere usate anche per arricchire l’attività di detection con ulteriori dati, preziosi per rilevare gli attacchi. La capacità di mettere tutte queste tecnologie insieme per farle dialogare con l’Edr si chiama Extended Detection and Response, cioè Xdr, e SentinelOne è oggi uno dei principali interpreti di questo approccio alla sicurezza informatica. Siamo anche in grado di far colloquiare la nostra piattaforma con altre tecnologie, in modo da estendere sia la capacità di detection sia quella di risposta. L’Xdr consente alle aziende di massimizzare sia la resilienza sia gli investimenti tecnologici fatti in passato. Marco Rottigni


TECHNOPOLIS PER ERMES

IL MADE IN ITALY D’ECCELLENZA NELLA PROTEZIONE DEL WEB La società torinese Ermes impiega tecnologia di intelligenza artificiale all’avanguardia e distintive, come racconta il Chief Business Officer, Andrea Marini. Ermes nasce da un progetto di ricerca portato avanti tra Italia e Stati Uniti sul fenomeno dell’estrema profilazione degli utenti durante la loro vita online. Navigando online e seminando indizi sul loro comportamento, le persone non si espongono soltanto a milioni di occhi indiscreti. Le informazioni disseminate online sono utilizzate dai cybercriminali per costruire attacchi sempre più personalizzati sulle singole persone e sempre più efficaci. “Il nostro focus è sulla necessità di dare una protezione concreta ai dipendenti mentre navigano online”, spiega Andrea Marini, Chief Business Officer di Ermes, “e lo facciamo attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. A oggi oltre cento clienti, tra cui Carrefour, BonelliErede e Kpmg,hanno creduto in questo approccio e la società di consulenza Gartner ci ha inserito tra le cento aziende più innovative al mondo che utilizzano l’intelligenza artificiale in ambito cybersecurity”. In una situazione che vede l’anello debole della catena nell’essere umano e in cui le persone mediamente trascorrono oltre il 40% del proprio tempo online, oggi c’è una crescita esponenziale di attacchi veicolati via Web. Questa è l’area di difesa del perimetro aziendale meno evoluta, come dimostrato dagli ultimi due anni di pandemia. In uno scenario post covid in cui la pratica del lavoro agile rimarrà in gran parte consolidata, gli attacchi moderni saranno sempre più “cuciti su misura” dell’utente: questo significa che l’attaccante esperto sa perfettamente chi, dove, quando e come colpire. Inoltre, le ultime tendenze evidenziano anche che la “vita” di questi attacchi sarà sempre più breve: ormai, nella maggior parte dei casi, anche solo qualche ora. Essendo il loro ciclo di vita così veloce, risulta estremamente difficile per i sistemi di sicurezza tradizionali riuscire ad individuarli. Proprio per questo, nella cybersicurezza l’adozione dell’intelligenza artificiale è essenziale per poter individuare tali minacce nel giro di minuti e per evolvere costantemente le capacità grazie a un machine e deep learning molto rapido e costante. “La nostra tecnologia”, sottolinea Marini, “è molto apprezzata dagli analisti di Gartner proprio perché gli algoritmi di AI di nostra proprietà riescono a identificare le nuove minacce Web in soli due minuti. Un risultato straordinario, se si pensa che le stesse soluzioni dei principali vendor mondiali non riescono ad individuare neanche dopo giorni questi rischi. La nostra tecnologia, infatti, non si limita a valutare la reputazione dei siti Web ma ne analizza in real time il comportamento, smascherando

Andrea Marini

tutti gli eventuali pericoli nascosti, e risultando efficace anche contro gli attacchi dal ciclo di vita brevissimo”. Per spiegarlo con un esempio, è come se durante dei controlli in aeroporto, oltre a esaminare il passaporto dei servizi Web (quindi la reputazione), Ermes li guardasse attraverso il metal detector per decidere quali servizi far passare, in base al comportamento in tempo reale e a prescindere dalla reputazione. Per essere sempre all’avanguardia è importante investire in competenze e talenti, ed è questo che la società torinese sta facendo negli ultimi anni. L’Italia è una fucina di talenti in attesa di avere l’opportunità di essere valorizzati, una fucina che nulla ha da invidiare a contesti tanto conclamati come quelli della Silicon Valley o Israele. “È fondamentale investire nel sistema Italia”, conclude Marini, “da un lato per permettere al nostro Paese di realizzare il potenziale inespresso e dall’altro perché scegliere i prodotti italiani garantirebbe l'indipendenza dagli altri Paesi e da situazioni complicate e difficilmente prevedibili, come anche dimostrato dal triste periodo che stiamo vivendo”.

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SANITÀ DIGITALE

GRANDI SPERANZE (E GRANDI NUMERI) PER LA MEDICINA DEL FUTURO Tra cure personalizzate e studio dei Big Data della genomica, tra dispositivi indossabili e sviluppo di nuovi farmaci: il mercato del digital healthcare cresce a ritmo sostenuto.

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digitale) sono vastissimi ed eterogenei, tant’è che risulta alquanto azzardato stimare il valore del mercato della sanità digitale, a partire dalla difficoltà di delinearne esattamente i confini. Oltre al giro d’affari dell’hardware, del software e dei servizi destinati agli operatori sanitari o al personale amministrativo,

Foto di Luke Chesser da Unsplash

el campo della scienza medica e dell’assistenza sanitaria, forse come mai prima d’ora la tecnologia digitale ha sulle spalle un enorme carico di aspettative, di sogni da realizzare e di responsabilità. L’ambito, anzi gli ambiti (sia quello dell’healthcare, sia quello del

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o ancora agli enti della sanità pubblica, c’è da considerare l’altrettanto variegato ambito delle applicazioni mobili di monitoraggio della salute e del benessere. Le principali società di analisti e di ricerche di mercato includono nella definizione “sanità digitale” gli apparati medicali informatizzati, quelli per la telemedicina (monitoraggio continuo e visite mediche a distanza), i dispositivi indossabili per il monitoraggio di parametri corporei (battito cardiaco, ossigenazione, glicemia, apnea notturna, funzionamento neurologico, tracker di attività fisica e altro ancora) e i servizi di medicina personalizzata (diagnosi, prescrizione, trattamento). Tra sviluppatori software, costruttori di macchinari medicali o di dispositivi indossabili, fornitori di servizi cloud o di telecomunicazioni, alcuni dei colossi di questo mercato sono Apple, AT&T, Cisco, General Electric, Google, Ibm, Qualcomm, Telefonica, Samsung, Siemens Healthcare e Vodafone. Confini ampi e frastagliati

Che giro d’affari sviluppa, tutto questo, a livello mondiale? Difficile dirlo con esattezza, per un ambito dai contini tanto ampi e frastagliati. Secondo le stime di Grand View Research, il


IL CAMMINO ANCORA INCERTO DELLE LIFE SCIENCES Il settore delle biotecnologie certo non difetta di grandi ambizioni, scientifiche ed economiche, così come le risorse finanziarie per i progetti di ricerca e sviluppo non rappresentano un grosso problema. Le sperimentazioni tecnologiche avrebbero la strada spianata, se non fosse che a mancare, spesso, sono le capacità digitali, tecniche e relazionali. A dirlo è un recente studio di Capgemini (“Unlocking the Value in Connected Health”), basato su 523 interviste a dirigenti e manager di 166 società farmaceutiche e biotecnologiche, ubicate in Europa, Nord America e Asia. Il 50% delle realtà del settore Life Sciences prevede di sviluppare entro i prossimi cinque anni soluzioni di intelligenza artificiale per il monitoraggio remoto dei pazienti, per applicazioni di biomarcatori digitali (per esempio biosensori indossabili), per la diagnostica predittiva o la medicina preventiva. In particolare, aree di forte interesse sono lo studio delle malattie neurologiche come sclerosi multipla, Alzheimer ed epilessia, lo studio delle patologie rare e l’immunologia. Oggi, però, solo il 16% delle aziende del settore sta già testando soluzioni di sanità connessa o ha ottenuto l’approvazione per farlo. Oltre alla scarsa maturità di adozione, si evidenzia un problema di competenze: solo un’azienda su tre ha le capacità digitali, tecnologiche e relazionali necessarie per realizzare iniziative di sanità connessa destinate a non fallire. E solo una su quattro, al momento, impiega l’intelligenza artificiale per fare analisi predittive in tempo reale su dati raccolti da applicazioni e dispositivi indossabili. Tra le grandi società biotecnologiche e farmaceutiche (con fatturato superiore ai 20 miliardi di dollari) la metà ha già definito una strategia e una pianificazione in merito alle tecnologie di sanità connessa; tra le più piccole (con fatturato inferiore al miliardo di dollari), lo ha fatto solo il 17%. mercato dei dispositivi, del software (incluse le app) e dei servizi di sanità digitale nel 2021 valeva 175,6 miliardi di dollari; tra il 2022 e il 2030 crescerà a un tasso composto annuo del 27,7%. Allied Market Research ha calcolato, invece, un valore di poco inferiore a 145,9 milioni di dollari per il 2020 e un’ipotetica crescita a un tasso Cagr del 17,9% fino al 2030, quando il giro d’affari annuo sarà di 767,7 milioni di dollari. Se includessimo anche le tecnologie informatiche per le biotecnologie, la ricerca medica e farmaceutica, i numeri sarebbero ancor più grandi. Questa peraltro è tendenzialmente l’indicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nell’espressio-

ne digital health comprende non solo le tecnologie di “medicina elettronica” (eHealth) già affermate ma anche l’uso della scienza dei dati e dell’intelligenza artificiale applicate, per esempio, alla genomica, alla lettura delle immagini diagnostiche, allo studio di cure sperimentali e allo sviluppo dei vaccini. Insomma i numeri vanno presi con le pinze (non quelle del chirurgo), ma sulla crescita della spesa pubblica e privata in tecnologie di sanità digitale possiamo non avere dubbi. Motori di questa crescita, nei prossimi anni, saranno la sempre maggiore diffusione degli smartphone, il miglioramento delle connessioni Internet, l’evoluzione dell’infrastruttura IT del

settore sanitario, l’aumento della spesa sanitaria su base nazionale, l’ascesa delle malattie croniche, la domanda di servizi di monitoraggio remoto dei pazienti. La delicata questione etica

Ma quali sono, al contrario, gli ostacoli sul percorso di un’ulteriore crescita del mercato e degli scenari applicativi? Il principale è forse la questione etica: come utilizzare i dati sanitari, fino a che punto poterli considerare come una materia di studio ed eventualmente un bene monetizzabile? La questione è troppo ampia per poterla affrontare in questa sede, ma gli aspetti più critici riguardano probabilmente la tutela della privacy dei dati sanitari e la necessità di evitare che l’intelligenza artificiale possa creare delle discriminazioni. Dalla diagnostica alle cure personalizzate, dalle analisi per l’ottimizzazione della spesa sanitaria al calcolo del rischio assicurativo, gli algoritmi sono un potente strumento di trasformazione in campo medico ma vanno maneggiati con particolare cura. Nell’ultima revisione del “Piano coordinato sull’intelligenza artificiale” della Commissione Europea, datata 2021, si ribadisce che spetta agli Stati membri promuovere l’uso in sanità di sistemi di AI che siano “solidi, equi e degni di fiducia”, e che abbiano una particolare focalizzazione su “prestazioni, sicurezza digitale, sicurezza fisica ed explainability”. Parola, quest’ultima, ben nota a chi si occupa di intelligenza artificiale e che significa la possibilità, per le persone, di comprendere le azioni o i risultati prodotti dagli algoritmi. Di intelligenza artificiale “opaca” è pieno il mondo, ma nel campo sanitario non dovrà trovare spazio. Oltre alla questione etica c’è poi il problema della interoperabilità dei dati (di cui parliamo a pagina 38), per il quale tuttavia le soluzioni tecnologiche già esistono. Valentina Bernocco 37


SANITÀ DIGITALE

DALLA INTEROPERABILITÀ AL MACHINE LEARNING Puntare sugli standard recenti e su piattaforme di interscambio dei dati sarà essenziale per raggiungere gli scopi della “Missione 6” del Pnrr. La visione di Intersystems.

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uando si dice, con una metafora fin troppo usata, che i dati sono il nuovo petrolio, si dimentica forse una dimensione importante, più importante ancora della capacità di produrre ricchezza: la salute, il benessere, l’aspettativa e la qualità della vita delle persone. In sintesi, tutti i valori che dovrebbero sostenere l’ambito della sanità. La trasformazione digitale sta travolgendo anche questo settore, ma diversi ostacoli impediscono di sfruttare pienamente il potere dei dati nell’assistenza medica, nelle procedure di diagnosi, nella gestione delle politiche sanitarie da parte della Pubblica Amministrazione e anche nelle prenotazioni delle prestazioni sanitarie. E il problema principale è forse l’assenza di una standardizzazione dei dati e delle piattaforme e, di conseguenza, l’assenza di una standardizzazione della user experience paragonabile a quella che per esempio è stata realizzata nel retail, nei servizi bancari o in quelli di trasporto aereo. “L’healthcare è sempre stato in ritardo”, sottolinea Michel Amous, managing director per la regione Emea di Intersystems, multinazionale di Cambridge, Massachusetts, che è sul mercato dal 1978 con un’offerta di software e servizi gestiti per la sanità, le amministrazioni pubbliche e le grandi imprese. “Oggi la sanità deve passare dall’attrito alla fluidità dell’esperienza, e questa è una sfida in tutte le geografie”, ha pro38 |

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seguito Amous. “Nei prossimi anni il machine learning fornirà agli operatori del settore e ai medici migliori dati, incluse raccomandazioni e statistiche, per esempio sulle probabilità di rischio per singoli pazienti. Ma questo tipo di machine learning ha come requisiti la standardizzazione e l’unificazione dei dati di diverse piattaforme”. “La sanità da sempre ha a che fare con le informazioni”, fa notare Cesare Guidorzi, country manager dell’area Italia e Malta di Intersystems, “ma storicamente siamo stati abituati a tenerle un po’ segregate, custodite dai medici di famiglia o dagli ospedali. L’utente finora è stato l’agente del workflow dei dati, colui che doveva trasportare le proprie informazioni mediche da una parte all’altra”. D’altra parte la pandemia è servita, an-

Cesare Guidorzi

che in sanità, ad accelerare i processi di digitalizzazione, ma allo stesso tempo ha palesato la difficoltà di gestire una inaspettata mole di dati e di processi, riguardanti contagi, ricoveri, tamponi, vaccini, Green Pass. Le piattaforme tecnologiche sottostanti sono segnate dalla mancanza di standardizzazione e di integrazione, perché spesso i software sono stati progettati da personale clinico e non da informatici, rispondendo al bisogno specifico di ciascuna Asl od ospedale. I quattro livelli di interoperabilità

“Con la pandemia ci siamo resi conto che qualcosa non ha funzionato”, rimarca Alessandra Mazzucco, associate partner healthcare market di Reply. “È successo perché l’interoperabilità dei dati sanitari è stata sviluppata secondo standard vecchi”. In pochi casi, infatti, i sistemi iT hanno adottato il più recente standard HL7 FHIR (Fast Healthcare Interoperability Resources), valido a livello internazionale e utile per lo scambio di cartelle cliniche elettroniche. Per consentire pienamente l’integrazione tra i sistemi sanitari differenti e lo scambio di dati, sono necessari quattro livelli di interoperabilità. C’è un livello di base, che è quello che negli ultimi due anni ha permesso di scaricare e condividere i certificati dei tamponi per il coronavirus. Sul secondo livello, partendo dal basso, c’è un’interoperabilità di tipo in-


L’occasione del Pnrr

Storicamente, in Italia appena l’1% della spesa sanitaria statale è stato destinato a migliorare la gestione e la circolazione delle informazioni. Ma i fondi del Pnrr ora potrebbero dare spinta a una trasformazione basata su una migliore condivisione dei dati e sulla loro analisi “intelligente”, tramite machine learning. La Missione 6, dedicata alla filiera della salute, prevede un investimento complessivo di 15,3 miliardi di euro, destinati a due macro aree di intervento: lo sviluppo di reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale; e l’innovazione e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. Fondamentale, a tal fine, saranno l’evoluzione del Fse (Fascicolo Sanitario Elettronico) regionale, la creazione di un Fse nazionale e la creazione di un’anagrafica nazionale degli assistiti. Gli Fse “2.0” dovranno adottare standard comuni per l’espressione del consenso e per la gestione dei dati, così da essere interoperabili e consentire non solo lo scambio di documenti (per esempio i referti) ma lo scambio di dati strutturati (singole informazioni sull’anagrafica o sulla storia clinica dei pazienti). Lo scenario organizzativo, e di conseguenza quello informatico, è complesso: la rete sanitaria italiana è composta da Asl e Asst (cioè aziende sanitarie locali e aziende socio sanitarie territoriali), ambulatori

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frastrutturale, che viene messa in atto tramite gli standard come il citato HL7 FHIR. Affinché un paziente possa essere “riconosciuto” tra una struttura ospedaliera e l’altra, senza doversi preoccupare di portare con sé la propria documentazione, è necessaria anche una interoperabilità semantica. L’ultimo livello è quello dell’interoperabilità organizzativa, che permette l’accesso ubiquo ai dati e lo scambio tra strutture territoriali ed enti centralizzati.

territoriali infermieristici e specialistici, unità operative di cura, unità complesse, centri diurni, consultori, strutture residenziali e semiresidenziali. Alla lista dovranno aggiungersi, secondo i progetti del Pnrr, le Case della Comunità e gli Ospedali della Comunità. “Durante la pandemia abbiamo visto la debolezza del sistema centrale e i difetti del modello regionale”, commenta Guidorzi. “Bisogna fare in modo che tutti i provider sanitari vedano gli stessi dati, con la stessa granularità. Il progetto è estremamente ambizioso, perché riguarda un’infrastruttura enorme”. Per gli Fse regionali 2.0 il Pnrr mette a disposizione 1,38 miliardi di euro (per la telemedicina c’è, invece, un miliardo di euro) e se dovessimo spendere queste risorse in giornate-uomo, sottolinea il country manager, questi soldi potrebbero non bastare. Inoltre non avremmo, forse, nemmeno abbastanza professionisti esperti in Italia per realizzare ex novo una soluzione. Una strategia possibile

L’alternativa all’approccio a “mosaico”, che finora ha caratterizzato il panorama italiano dei software usati in sanità, è l’adozione di piattaforme conformi agli standard del settore, che funzionino come sistema di gestione e interscambio di dati. Questo è anche l’approccio di Intersystems, i cui software vengono personalizzati e calati nello specifico contesto grazie all’intervento di un sy-

stem integrator (in Italia, l’azienda collabora in particolare con Engineering, Gpi ed Healthy Reply). Al centro dell’offerta c’è Iris for Health, piattaforma che comprende un database multi-modello per l’elaborazione transazionale (con supporto alle applicazioni real-time), un middleware di interoperabilità (per la gestione e lo scambio di dati tra diverse applicazioni), funzionalità di analytics integrabili con machine learning e con intelligenza artificiale (utili per l’analisi di dati clinici ma anche per il Crm, per le assicurazioni sanitarie o per la gestione dei contenziosi). La piattaforma supporta tutti gli standard per la gestione dei dati in sanità, incluso HL7 FHIR. Progetti di interoperabilità avanzata sono già stati realizzati con tecnologia Intersystems nello Stato di New York, in Scozia e nei Paesi Bassi, per citare solo alcuni casi. In Italia, tra le realtà clienti, spiccano il Policlinico Gemelli di Roma, l’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e le Asl TO4 e TO5. Inoltre con Reply è stata realizzata per la Regione Lombardia una piattaforma regionale di integrazione che già permette lo scambio di documenti tra le strutture territoriali, senza però consentire, al momento, lo scambio di dati strutturati. “In Lombardia siamo a metà percorso”, precisa Mazzucco. “I primi due livelli di interoperabilità sono già effettivi. Per gli altri due stiamo lavorando, grazie alle risorse messe a disposizione dal Pnrr”. Valentina Bernocco 39


Networking EXECUTIVE ANALYSIS | Networking

LE RETI AZIENDALI SI ADATTANO ALL’IBRIDO L’irruzione del lavoro remoto, la migrazione verso il cloud e i cambiamenti organizzativi nelle aziende stanno influenzando l’evoluzione delle modalità di connessione e accesso ai sistemi IT. Il 2020 ha portato con sé una pandemia che nessuno avrebbe voluto, ma è stato per molti versi anche il punto di svolta per processi innovativi che hanno coinvolto le reti aziendali, inizialmente per assicurare a tutti i dipendenti la possibilità di lavorare da remoto, ma anche di interagire e collegarsi senza degrado di qualità da qualunque location. Entrati nel terzo anno della “nuova era”, quale scenario si sta delineando? La “Digital Business Transformation Survey 2022” di The Innovation Group evidenzia come in Italia stia prendendo piede la modalità di lavoro ibrido immaginata come naturale sbocco dell’uscita dalla fase emergenziale della pandemia. Per il 2022, infatti, il 50% delle aziende prevede una diminuzione del peso dello smart working, ma solo il 16% intende ritiene di poter ritornare a un organico operativo in sede al 100%. Il 38%, in particolare nel mondo dei servizi, dei media e dell’Ict, prevede di non variare l’equilibrio organizzativo raggiunto. Un cammino iniziato

La convergenza del mondo digitale e fisico e le interazioni, ora più strette, tra le persone e i loro dispositivi mobili stanno facendo emergere sistemi incentrati sull’utente e paradigmi di rete diversi, in cui il comportamento umano diventa un fattore chiave nella progettazione di protocolli informatici e di networking. L’attuale paradigma, incentrato sull'in40 |

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frastruttura, non appare più corretto per far fronte allo scenario emergente. Il passaggio apparentemente inevitabile è verso un modello people-centric, nel quale gli esseri umani e i loro dispositivi personali non sono visti solo come utenti finali, ma diventano elementi attivi di un traffico spostato su Internet. Su questi temi Technopolis ha costruito una ricerca qualitativa cross-settoriale, che ha coinvolto una quindicina di aziende di grandi e medio-grandi dimensioni. L’iniziativa ha voluto approfondire l’impatto dei cambiamenti generati dalla fase pandemica, lo stato di avanzamento dei processi di virtualizzazione e migrazione al cloud, l’adozione di nuovi modelli di sicurezza soprattutto di tipo cosiddetto “Zero Trust” (nel quale si eseguono verifiche continue sull’identità e sui privilegi di accesso da concedere). Come già accennato, per capire l’evoluzione infrastrutturale delle aziende non si può non partire dagli effetti della fase emergenziale scattata nel 2020, che ha portato al successivo consolidamento del lavoro ibrido. Quasi tutte le realtà coinvolte nella ricerca hanno affrontato il lockdown e la conversione repentina e massiccia al lavoro remoto con cognizione di causa, efficienza e, quindi, ripercussioni quasi nulle sull’operatività del business. A misure di potenziamento delle Vpn e della banda utilizzata si sono aggiunte misure di sicurezza in accesso, a partire dall’autenticazione multifattoria-

le. Quest’ultima evoluzione solo in poche realtà era già stata adottata su larga scala, mentre nella maggior parte dei casi era pianificata su tempi medi o addirittura fuori dalla programmazione evolutiva già definita per gli anni successivi. I percorsi d’innovazione delle reti

Ci sono comunque due ambiti che, proprio a partire dall’inizio della fase pandemica, hanno subìto una forte accelerazione: la migrazione verso il cloud e dell’adozione di tecnologie Sd-Wan (cioè software-defined Wan, reti locali gestite in base a regole dinamiche). Nel primo caso, dobbiamo riferirci a realtà che, in linea di massima, avevano già effettuato una scelta di campo, in diversi casi però limitata ad alcune tipologie di applicazioni. Un po’ diverso è lo scenario se si esamina il tasso di adozione di una vera e propria cloud strategy. Per molte realtà, soprattutto nel campo del finance o del retail, qui non si tratta della semplice decisione di intraprendere un percorso di tipo lift & shift, ma di adottare una visione di lungo termine. La sicurezza resta un elemento destabilizzante in qualche contesto, ma sono i costi (talvolta stimati superiori a quelli dell’on-premise), una certa carenza di competenze interne e i cambiamenti organizzativi a consigliare un passaggio ben strutturato, anche a discapito della velocità di esecuzione. Sul fronte della migrazione verso tecnologie SD-Wan, in diverse aziende il


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percorso è stato già avviato o pianificato a breve termine. Le tradizionali infrastrutture Mpls (Multiprotocol Label Switching) sono destinate alla dismissione, a vantaggio di una tecnologia molto più adatta alle attuali necessità di comunicazione con le strutture dislocate sul territorio e con i soggetti in mobilità. Tra i vantaggi riconosciuti, troviamo la capacità di segmentare e prioritizzare il traffico, la flessibilità di implementazione e gestione, la possibilità di migliorare la qualità della comunicazione soprattutto per le imprese che sono presenti anche in Paesi o aree tecnologicamente ancora un po' arretrate. Le aziende più restie a un’evoluzione, invece, mettono sul tavolo problematiche di sicurezza ancora da risolvere, costi di avviamento giudicati troppo elevati e limiti legati all’immaturità tecnologica interna. Le nuove frontiere della sicurezza

L’evoluzione della relazione fra azienda e persone, innescata dal consolidamento del lavoro ibrido, dovrebbe portare alla necessità di per favorire un accesso alle risorse aziendali indipendente dalla location, in un contesto garantito e sicuro tanto per l’impresa quanto per dipendenti e collaboratori. Allo stesso tempo, il cambiamento legato a una distribuzione dei dati necessariamente diversa rispetto al passato si innesta in un contesto dove, dalla semplice installazione o rafforzamento delle Vpn, si dovrebbe passare a una propagazione sicura dell’infrastruttura e delle policy per arrivare ai dispositivi delle persone, a prescindere da dove si trovino. Una parte del campione analizzato si è mostrata consapevole che non sia più sufficiente autenticare solo gli utenti, ma anche tutte le identità, a prescindere che derivino da sistemi, dispositivi o processi digitali, in modo da assicurare interazioni sicure e affidabili. Si tratta però di avanguardie, che hanno già ma-

turato una certa esperienza legata perlopiù al fatto di dover gestire una quota significativa di lavoratori mobili anche prima della pandemia. in diversi altri casi, non si registra una vera evoluzione in questa direzione. L’affidabilità degli accessi viene associata a strumenti anche di recente introduzione, come l’autenticazione multifattoriale, quasi contrapposti a forme di costruzione di un’identità corporate, che richiederebbero complessi cambiamenti di tipo organizzativo e la necessità di coinvolgere altri dipartimenti. Sicuramente, esiste la diffusa consapevolezza che la classica sicurezza perimetrale oggi non sia più adeguata a un ambiente digitale distribuito, fatto di lavoro remoto e applicazioni in cloud. Negli ultimi tempi si sta facendo largo l’approccio “Zero Trust” come possibile strada da percorrere. Nel panel selezionato per la ricerca, l’atteggiamento verso questo tipo di evoluzione si può considerare

quantomeno cauto. Non sempre c’è una piena consapevolezza degli elementi costitutivi di questo approccio e, in generale, prevale la preoccupazione che l’innalzamento di ulteriori barriere all’ingresso possa creare blocchi indesiderati e disagi difficili da giustificare. Comprensibilmente, in questo scenario, è ancora prematuro parlare di potenziale evoluzione verso un modello di sicurezza Sase (Secure Access Service Edge), in cui dovrebbero andare a convergere, in un unico servizio cloud-based, le tecnologie di wide area networking e quelle di sicurezza di rete. Promettente per la capacità di analisi di contesto in tempo reale, di allineamento alle policy di compliance/sicurezza aziendale e alla valutazione continua del rapporto fra rischio e fiducia, la logica Sase si basa però sul concetto di identità dell’entità, si tratti di persone, gruppi di persone (filiali), dispositivi, applicazioni, servizi o sistemi IoT. Roberto Bonino 41


EXECUTIVE ANALYSIS | Networking

ESPERIENZE E IDEE A CONFRONTO Al centro dei nostri sviluppi di medio termine c’è una strategia di cloud adoption che funge da abilitatore per le esigenze di business e consente di migliorare la velocità di implementazione delle nuove applicazioni. In questo processo rientra anche l’evoluzione verso il software-defined networking. Claudio Mariani, head of enterprise architecture di Banco Bpm Abbiamo già sdoganato da tempo il concetto di identità digitale, proprio perché una grossa fetta della nostra popolazione aziendale è nomade per la natura stessa del proprio lavoro e, quindi, ha bisogno di un accesso dall’esterno flessibile e indipendente dal luogo in cui si trova o dal dispositivo utilizzato. Andrea Provini, Cio, e Fabio Cucciniello, IT Infrastructure Manager di Bracco Una delle sfide che vorremmo affrontare per il futuro è l’eliminazione delle Vpn per l’accesso dei dipendenti all’infrastruttura aziendale. Oggi non esiste più la dicotomia fra una rete interna sicura e una esterna, tipicamente Internet-based, foriera solo di rischi. L’approccio Zero Trust sembra poter essere quello più adatto per gestire questo cambiamento. Elvio Dalla Valentina, IS&T unit director, infrastructure & security di Fendi Ormai il modo di lavorare è cambiato e il ritorno a una presenza fisica in azienda non porterà a ricostituire la situazione precedente. Superata l’emergenza, è stato inevitabile per noi intervenire anche su diversi aspetti infrastrutturali, dal poten42 |

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ziamento della banda Internet alla creazione di una rete Wi-Fi enterprise per i terminali mobili. Ora stiamo migrando la tecnologia Mpls verso SD-Wan per poter beneficiare di prioritizzazione del traffico, bande garantite e altre funzioni utili per ottimizzare i flussi in ingresso e in uscita. Giuseppe Cardillo, head of architecture & innovation di Gruppo Iccrea Veniamo da una cultura digitale molto forte, in direzione sia dei dipendenti sia dei clienti. La fase pandemica non ha pertanto richiesto cambi strutturali, ma ha rafforzato il percorso graduale già avviato. In particolare, l’estensione sempre maggiore dei servizi che la banca offre ai propri clienti senza la mediazione della filiale e la limitazione dell’accesso degli utenti interni alle sole informazioni necessarie per il loro lavoro sono una sfida rilevante per una banca che conta milioni di clienti e circa centomila dipendenti in Italia. Claudio Balbo, senior director, head of IT architecture di Intesa Sanpaolo Nell’esaminare l’infrastruttura di rete di una realtà come Kiko, occorre tener presente che abbiamo una presenza geografica estesa, con circa 900 negozi direttamente gestiti e distribuiti in oltre quindici Paesi. Per creare maggiore uniformità e robustezza nella connettività, aumentarne la facilità e la flessibilità di gestione, e migliorare la qualità dei servizi alla clientela, abbiamo avviato un progetto di migrazione verso la SD-Wan, che in Italia è ormai in fase di completamento e andrà a interessare anche il resto d’Europa. Claudio Bianchi, Cio di Kiko Milano

Innovazione tecnologica ed eccellenza nella sicurezza sono due pillar fondamentali per garantire le migliori performance a chiunque lavori in una delle nostre sedi. Per questo, dal 2020 a oggi abbiamo fatto interventi per potenziare l’infrastruttura Vpn, quella per i terminali server e anche l’approccio mobile. La migrazione al cloud va nella stessa direzione, tenendo presente che si tratta di un cambiamento non solo tecnologico, ma anche organizzativo e di processo. Marco Fillo, Cto, e Gregorio Luppi, head of IT architecture di Leroy Merlin Abbiamo sfruttato la fase iniziale della pandemia per velocizzare la riorganizzazione della componente IT, potendo appoggiarci su un centro di eccellenza, già precedentemente creato, nel quale vengono analizzati in maniera totalmente innovativa processi aziendali e quindi vengono proposte soluzioni che realmente supportino l'attività quotidiana delle varie funzioni dell'azienda. Da qui partono le iniziative di evoluzione soprattutto in direzione del cloud e della distribuzione delle applicazioni. Alessandro Zamboni, IT manager di Man Truck & Bus Italia Siamo una realtà con oltre cento impianti produttivi nel mondo e questo ci ha portati a costruire un’infrastruttura di networking e accesso al cloud basata su diverse componenti collocate in modo più vicino possibile agli utenti. Naturalmente, questo determina una certa complessità nel monitoraggio e della sicurezza, ma soprattutto allo scoppio della pandemia


si è rivelato vincente. In prospettiva, vogliamo diventare una data-driven enterprise e quindi la focalizzazione sarà più sui dati che non sui processi. Stefano Brandinali, Group Cio & Cdo, e Alessandro Bottin, global infrastructure & operation manager di Prysmian

la copertura delle reti periferiche direzionali entro la fine di quest’anno. Ora stiamo iniziando ad affrontare il percorso di migrazione verso un’infrastruttura multicloud. Antonio Motta, Ict infrastructure manager di Reale Mutua Assicurazioni

Diverse scelte, poi rivelatesi essenziali in fase emergenziale, erano state definite e avviate in precedenza. Dalla migrazione al cloud all’evoluzione verso la tecnologia SD-Wan, tutto concorre a una flessibilità architetturale, che ci ha poi consentito di concentrarci sulle applicazioni, in chiave distribuzione e di protezione con Web Application Firewall (Waf ), single sign-on/ autenticazione multifattore, Siem e altro. Daniele Spatari, Ict director di Randstad

A livello infrastrutturale, l’improvviso lockdown del 2020 e tutti gli strascichi in termini di nuova organizzazione del lavoro non ci hanno colti impreparati, perché solo poco tempo prima avevamo affrontato il tema del lavoro remoto nella nostra realtà. Certamente abbiamo dovuto allineare agli standard aziendali anche gli aspetti di sicurezza correlati, legando l’accesso alle risorse all’identità del dipendente, inserendo forme evolute di autenticazione ed erogando a ciascuno solo le applicazioni di sua pertinenza. Vittorio Clemente, regional IT director di Rhiag

Possiamo considerarci dei precursori, poiché già nel 2016 avevamo convertito in SD-Wan tutta la rete delle nostre agenzie, per un totale di circa 1.700 punti rete. Roi e Tco sono stati elementi vincenti e ci hanno spinto a voler completare anche

Molti degli aspetti che riguardano la nostra gestione e monitoraggio dell’infra-

IL CAMMINO VERSO RETI SICURE E INTELLIGENTI Il viaggio è ormai iniziato e non è più un miraggio futuristico. Stiamo parlando di una delle più grandi trasformazioni digitali di tutti i tempi. Non possiamo, infatti, più affrontare i problemi IT come una volta, da un unico centro di controllo troppo statico, senza alcuna flessibilità e resilienza. Occorre far leva su automatismi e logiche di intelligenza artificiale, affinché i problemi vengano individuati ancor prima che creino impatti negativi sull’esperienza digitale, tutto questo garantendo un ambiente sicuro. I dati si trovano nell’edge, nei data center o nel cloud e vanno tutti adeguatamente protetti. Come vendor sia di sicurezza

sia di networking, Hpe Aruba ritiene che il miglior approccio per proteggere le diverse infrastrutture di rete, con tutte le loro differenze e peculiarità, sia basato sul modello Zero Trust. In questo scenario, l’artificial intelligence e in particolare i motori di machine learning giocano un ruolo fondamentale, perché permettono di profilare e categorizzare qualunque connessione alla rete, assegnando le policy automaticamente e indipendentemente dal dispositivo. Aprendoci al futuro, stiamo potenziando la nostra piattaforma con architetture di tipo Sase (Security Service Access Edge) che uniscono funziona-

struttura di rete sono soggetti a un processo di miglioramento continuo. Facciamo costanti investimenti di aggiornamento tecnologico in direzione sia dell’efficienza sia della protezione delle risorse. La vera difficoltà è il reperimento sul mercato delle competenze e risorse per realizzare più progetti di quelli fin qui già attivati. Diego Dematté, responsabile infrastrutture & servizi e direttore Ict di STMicroelectronics Lavorando nel retail, l’abitudine a gestire una connettività diffusa e una distribuzione molto estesa sul territorio con diverse tecnologie di connettività hanno consentito di assorbire le potenziali discontinuità generate da una maggior remotizzazione del lavoro. La resilienza dell’infrastruttura era già comprovata e si era fortunatamente sviluppata una certa abitudine all’utilizzo delle videoconferenze, già diffuse da almeno da cinque anni per le riunioni tra le sedi. Federico Vecchiatti, network and infrastructure manager di Unicomm

lità Wan Edge per le filiali (tra cui SdWan, routing, segmentazione, firewall basato sulla zona e ottimizzazione della rete) e soluzioni di sicurezza, il tutto fornito e gestito nel cloud con un modello as-a-service. L’evoluzione della nostra offerta passa anche attraverso il potenziamento della rete di alliance, poiché riteniamo che ogni partner possa contribuire con la propria specializzazione alla sicurezza delle infrastrutture. Come dicevamo, tutto questo è realtà: sono le fondamenta solide alla base della piattaforma e della strategia proposta da Hpe Aruba, per poter affrontare al meglio il viaggio dall’edge al cloud. Alessandro Ercoli, system engineer manager di Hpe Aruba

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ECCELLENZE.IT | Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

UNA POTENZA DI STORAGE PER LO STUDIO DEI VULCANI Un sistema di archiviazione e backup basato su tecnologie di Qsan e Western Digital permette affidabilità, prestazioni e scalabilità, soddisfacendo anche esigenze di costo.

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no storage molto performante e ad alta densità può essere un ottimo alleato per la ricerca e anche, indirettamente, per la sicurezza fisica delle persone. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) conduce attività di ricerca nel campo della geofisica, geochimica, sismologia, vulcanologia e meteorologia, oltre a svolgere per la Protezione Civile monitoraggi sul rischio sismico e sul rischio di eruzioni. Il dipartimento Roma 1 dell’Ingv, in particolare, porta avanti ricerca di base e applicata, dal laboratorio al campo, per le quali è necessario raccogliere e modellare grandi quantità di dati. Il dipartimento aveva bisogno di consolidare il backup di diverse squadre lavoro in un unico repository ad alta capacità, flessibile e semplice da usare, nonché compatibile con diversi proto-

colli di accesso e archiviazione in cloud. Il progetto, affidato a Storelink, è iniziato con un approfondimento del contesto operativo e degli obiettivi da raggiungere. Si voleva trovare “una soluzione di storage unificata flessibile, espandibile, affidabile e con costi compatibili con il progetto della Pubblica Amministrazione”, racconta Giovanni Fabbriconi, international sales manager di Storelink. “Dopo un'attenta valutazione delle possibili soluzioni, il progetto è stato presentato con la soluzione Qsan e Western Digital, che ha pienamente soddisfatto le aspettative del cliente”. La soluzione congiunta spiega Simone Ceccano, sales manager Italia di Qsan, “offre buone prestazioni, è facile da scalare su richiesta senza utilizzare un numero

Foto di Alain Bonnardeaux da Unsplash

LA SOLUZIONE

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Qnas XN8024D XCubeNXT Unified Storage è ampliato dal sistema di dischi per lo storage ibrido Western Digital Ultrastar Data 60 Jbod (la sigla sta per Just a Bunch of Disks e indica una configurazione alternativa al Raid), che consente di gestire l’archiviazione in modalità softwaredefined e fornisce fino a 1,2 PB di storage raw. La tecnologia IsoVibe riduce il degrado delle prestazioni indotto dalle vibrazioni, mentre ArticFlow evita il surriscaldamento introducendo aria fredda.

eccessivo di unità rack e offre un'elevata affidabilità di archiviazione grazie all'architettura completamente ridondante. Inoltre, il supporto di un elevato numero di protocolli di accesso e la funzione di sincronizzazione cloud facilitano l'attività dell'ente nel consolidamento dei backup dei vari dipartimenti, garantendo allo stesso tempo un elevato livello di sicurezza grazie al sistema operativo Qsm, basato su Zfs”. “La soluzione combinata di Qsan XCubeNXT e del nostro Ultrastar Data60 risponde perfettamente alle esigenze di stoccaggio di Ingv”, aggiunge Davide Villa, business development director Emeai di Western Digital, “perché offre la flessibilità di determinare la combinazione di hard disk per bilanciare capacità, prestazioni e costi”. Con questo progetto, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha realizzato il consolidamento del proprio sistema di backup per diversi gruppi di ricerca e di emergenza, in modo da garantire archiviazione dei dati ad alta densità, flessibilità e supporto a vari protocolli di accesso e backup su cloud. La soluzione soddisfa esigenze di “capacità, flessibilità e prestazioni, contenendo i costi”, sintetizza Ceccano. “Inoltre, Storelink, grazie alle sue competenze infrastrutturali di alto livello, è in grado di garantire il livello di supporto adatto alle funzionalità della struttura”. Visti gli esiti positivi di questa prima iniziativa, è stato successivamente creato un secondo sito di disaster recovery anch’esso basato sullo storage unificato di Qsan.


ECCELLENZE.IT | Tecnofil

L’INDUSTRIA DEL FILO DI FERRO VEDE NEL FUTURO CON L’AI L’azienda bresciana ha adottato l’intelligenza artificiale di Vedrai per attività di analisi e modellazione predittiva.

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intelligenza artificiale può essere un ottimo alleato per l’industria manifatturiera, in particolare in tempi segnati da shock di grande impatto, come la pandemia di covid e la guerra russo-ucraina in corso, con le sue conseguenti dinamiche di inflazione e difficoltà di supply chain. Tecnologie come l’AI servono però non solo per affrontare l’emergenza ma soprattutto per guardare al futuro, con una produzione più efficiente e “smart”, con strategie che anticipano nuove tendenze nella domanda o con scelte di diversificazione geografica e altro ancora. Un caso felice è quello di Tecnofil, azienda manifatturiera italiana che opera nel settore della trafileria fabbricando bandelle e fili a basso-medio tenore di carbonio, destinati a numerose applicazioni in ambito industriale, edile, agricolo, vitivinicolo, ferramenta e casalinghi. Fondata nel 1994 a Gottolengo (Brescia) e dal 2016 parte del Gruppo Alfa Acciai, Tecnofil ha voluto affidarsi all’intelligenza artificiale come supporto alle decisioni di business, in particolare con l’obiettivo di massimizzare il margine di guadagno tenendo conto sia delle oscillazioni di mercato sia di cambiamenti interni (per esempio il guasto di un macchinario). La scelta del fornitore è ricaduta di Vedrai, giovane società (nata nel 2020) che sviluppa software per l’analisi predittiva e gli agenti virtuali. Questi ultimi, grazie alla modellazione predittiva basata su apprendimento automatico, calcolano l’impatto futuro di ogni decisione, prima che questa venga presa, con risultati granulari e specifici. Tecnofil ha adottato l’agente

virtuale battezzato James, un programma che fornisce una panoramica complessiva dell’andamento aziendale e simula diversi scenari di allocazione di budget, per osservare i risultati futuri a parità di condizioni. Diventa possibile ipotizzare diversi scenari calati nel contesto produttivo e logistico. Qualche esempio? Tecnofil può ottenere una panoramica sull'andamento dei mercati e dei costi di produzione valutando l'efficienza e il rendimento di un nuovo macchinario, prima di procedere all'acquisto dello stesso. Oppure può osservare che cosa accadrebbe se le attività di una linea di produzione, al momento poco fruttuosa, venissero interrotte. I veri benefici della soluzione adottata si vedranno nel tempo. “Da parte delle aziende serve un cambio di mentalità: adottare soluzioni di AI è una scelta che ha impatto non nel breve, ma nel medio-lungo periodo”, commenta Gianluca Periccioli, amministratore delegato di Tecnofil. “Molti imprenditori si aspettano che, acquistando la soluzione, questa dia risultati dopo poco tempo. Mentre un'azienda basata sui dati necessita di un orizzonte di osservazione più lungo. Bisogna cambiare la cultura aziendale, LA SOLUZIONE L’agente virtuale “James” permette di confrontare innumerevoli variabili economiche (interne ed esterne all’azienda) per generare modelli predittivi su vendite future, entrate, costi e altri Kpi critici.

per abbracciare questa novità: l’organizzazione dei dati, l'apprendimento automatico del machine learning è qualcosa che migliora con il tempo”. “Prendere decisioni in azienda è inevitabile e richiede tempo e soprattutto è un’operazione quotidiana”, aggiunge Michele Grazioli, presidente e amministratore delegato di Vedrai. “L’intelligenza artificiale diventa così un alleato, mostrando agli imprenditori alcune variabili a cui da soli penserebbero e rendendo il futuro aziendale meno rischioso. Con le soluzioni di Vedrai supportiamo le Pmi in questo processo delicato che porterà dei risultati concreti nel medio periodo, ma che è importante avviare fin da subito”. 45


ECCELLENZE.IT | Istituto Sit voluptate Superiore Carlo Emilio Gadda

IN MOTOR VALLEY, LA SCUOLA INCONTRA IL MONDO DEL LAVORO Un'infrastruttura desktop virtuale basata su tecnologia Lenovo e Vmware garantisce continuità alla didattica e prepara gli studenti su app evolute.

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a didattica a distanza per gli studenti può essere anche un modo per sperimentare tecnologie con cui dovranno confrontarsi in futuro. Caso apripista è quello dell’Istituto Superiore Carlo Emilio Gadda, scuola superiore della provincia di Parma, immersa nella “Motor Valley” italiana. Fondato nel 1973, negli anni ha stretto legami con le imprese del territorio, diventando un punto di riferimento per ragazzi e ragazze interessati all'industria ingegneristica e automobilistica. “Già una decina di anni fa, con un'iniziativa chiamata ‘Lab at Home’, avevamo avuto l’intuizione che si potesse offrire ai ragazzi un modo per ritrovare a casa, sui loro computer, i progetti sviluppati a scuola”, racconta la preside, Margherita Rabaglia. La scuola aveva dunque iniziato a permettere l’accesso da remoto ai propri server. Ma oggi la sua offerta formativa include applicazioni evolute di progettazione assistita da computer 3D (CAD), controllo numerico computerizzato (CNC), robotica e realtà aumentata, che richiedono macchine performanti. Serviva dunque una soluzione nuova per garantire la DAD in un modo inclusivo, senza obbligare le famiglie degli studenti all’acquisto di nuovi Pc. Inoltre l’istituto desiderava velocizzare il lavoro del personale tecnico e dei docenti, fino ad allora costretti a preparare manualmente i laptop e le workstation installando e configurando i software di volta in volta. Si è così scelto di creare un’infrastruttura desktop virtuale basata su appliance di Lenovo, su software di Vmware e componenti di Nvidia. “Alla base del progetto c’è stata una collaborazione tra l'istituto Gadda, Lenovo e le aziende 46 |

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del territorio”, racconta Alessandro De Bartolo, country manager di Lenovo. “Questa attenzione e vicinanza al territorio è stata un facilitatore e un elemento virtuoso per portare a compimento questo progetto. Noi di Lenovo abbiamo avuto il vantaggio di poter partire da un’esperienza maturata negli ambienti produttivi di aziende della Motor Valley, e questo ci ha permesso di utilizzare tecnologie normalmente diffuse in ambienti diversi da quello scolastico”. “L’avviamento del progetto”, illustra Luigi Abretti, dello staff tecnico dell’istituto, “è stato pianificato e dimensionato in collaborazione con gli ingegneri di Lenovo, che hanno fornito una tecnologia adeguatamente dimensionata in relazione all’utilizzo dei software”. Dalla fase di selezione del vendor all’avviamento, partito nel novembre del 2021, il progetto è stato completato in sei mesi, un tempo non lungo se consideriamo le attuali difficoltà di supply chain. Con il prossimo anno scolastico sarà attivato un secondo slot di Vdi che potranno fornire desktop virtuali a ulteriori 220 client. I ragazzi e le ragazze possono usare, sia a LA SOLUZIONE Sono state adottate due appliance di infrastruttura iperconvergente Lenovo ThinkAgile serie VX, equipaggiate con Gpu Nvidia T4, con software di virtualizzazione VMware vSphere, Vmware vSan e Vmware Horizon. La tecnologia Nvidia Rtx consente l’accelerazione Gpu per i casi d’uso più impegnativi.

scuola sia da casa, gli stessi software di progettazione e sistemi Vdi utilizzati anche dalle aziende, e questo rappresenta un vantaggio per il futuro ingresso nel mondo del lavoro. A oggi, l'istituto ha riconfigurato le cinquanta workstation esistenti in modo che fungano da thin client, trasformando le macchine legacy in piattaforme IT ad alte prestazioni. L’infrastruttura Vdi torna utile anche in sede, nel caso le macchine standalone dei laboratori non siano in numero sufficiente e si debbano usare dei think client. Molti i vantaggi ottenuti: per l’IT è diventato più semplice configurare e gestire le workstation ed è possibile eseguire attività di manutenzione da remoto; gli insegnanti, invece, possono ora creare ambienti personalizzati per ogni lezione e attivarli per gli studenti semplicemente premendo un pulsante; per gli studenti, invece, i vantaggi ottenuti sono la continuità della didattica e anche l’inclusione, perché nessuno viene discriminato in base al possesso di un Pc più o meno performante. "Ora eseguiamo senza problemi anche le applicazioni più impegnative, come Autodesk AutoCAD e Autodesk Fusion 360, in ambienti desktop virtuali, contribuendo a migliorare le esperienze per i nostri studenti", spiega Rabaglia. “A lungo termine, prevediamo che la possibilità di gestire le nostre workstation da remoto tramite Vmware Horizon ci aiuterà a ridurre i costi e, soprattutto, i tempi operativi per l'IT”.


ECCELLENZE.IT | Costa Crociere

IL NAS COMPLETA L’ESPERIENZA DELLA CROCIERA I sistemi di network-attached storage di Qnap archiviano le fotografie scattate a bordo delle navi, consentendo la stampa su richiesta e la ricerca automatica.

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na nave da crociera non è solo il mezzo di trasporto di un viaggio da sogno, ma è anche un ecosistema tecnologico di significative dimensioni. L'infrastruttura IT a bordo è fatta di server ma anche di dispositivi che devono essere connessi su un’unica rete: macchinetta del caffè, forni delle cucine, sistemi di accesso alle cabine, immagini di videosorveglianza, palmari utilizzati dal personale per l’imbarco degli ospiti e apparati per il Wi-Fi. Questo sistema dev’essere autosufficiente e sempre operativo, dunque le navi hanno bisogno di fare affidamento su server che garantiscano la continuità del servizio. Con alle spalle settant’anni di storia e 25 navi attualmente in servizio, Gruppo Costa conosce bene queste necessità. L’azienda (parte di Gruppo Carnival Corporation e titolare del marchio italiano Costa Crociere e del tedesco Aida Cruises) sulle sue navi ha particolari esigenze di archiviazione dei dati, considerando che oggi offre un servizio fotografico che prevede per ogni viaggio anche decine di migliaia di scatti ad altissima definizione e una fase di post produzione professionale. “Qnap è diventata nostro partner tecnologico di riferimento oltre dieci anni fa, per un’esigenza contingente: quella di disporre di un sistema di repository dei dati di cui avvalersi anche in caso di caduta improvvisa della rete”, ha raccontato Aldo Boccini, head of infrastructure, information technology di Gruppo Costa. “Ci siamo ben presto resi conto delle potenzialità dei Nas di Qnap per la gestione dell’ingente quantità di scatti prodotti in occasione di ogni viaggio”. Partner tecnolo-

gico del progetto è stata la società genovese Digipoint, intervenuta in fase di selezione e attiva nel supporto post vendita. A bordo di ciascuna nave sono operativi due Nas che funzionano come archivio e che hanno permesso di tagliare i costi rispetto al metodo precedente, in cui tutti gli scatti venivano stampati ed esposti: ora, invece, la stampa viene fatta on-demand, solo per le immagini scelte dal cliente. Le macchine di Qnap garantiscono anche il backup continuo dei dati, evitando il rischio di perdere scatti, fatto che avrebbe impatti sia sulla soddisfazione dei clienti sia sui guadagni. E non è tutto: con l’integrazione di soluzioni di riconoscimento facciale il lavoro di post produzione e vendita è diventato più efficiente. Ora i passeggeri non devono più perdersi tra la moltitudine di foto esposte, ma possono trovare le proprie foto, già LA SOLUZIONE A bordo di ogni nave il Nas TS453 di Qnap viene utilizzato come repository fotografico di crociere precedenti, il modello TS-853 come archivio sempre aggiornato per quelle in corso. L’integrazione di software di riconoscimento facciale e un’applicazione fruibile tramite chiosco multimediale permette la ricerca automatica delle fotografie e la stampa on demand. Altri Nas vengono usati per l’archiviazione dei contenuti multimediali.

ritoccate, su un’applicazione fruibile tramite chioschi multimediali e da lì possono acquistarle direttamente. Scoperta la possibilità di integrazione e gestione centralizzata di tutti i Nas, altri dispositivi Qnap sono stati installati a bordo per l’archiviazione di tutti i contenuti di intrattenimento proposti durante le crociere, come musica, film e video. Altri Nas equipaggiano il quartier generale di Genova, l’area logistica e alcune sedi remote. “Siamo molto soddisfatti di Qnap, tanto per le sue performance che per la robustezza dei prodotti”, assicura Boccini. “L’incidenza dei guasti è estremamente bassa, addirittura al di sotto del livello fisiologico previsto, sebbene non siano mai stati presi accorgimenti particolari. Anche la facilità di utilizzo è stata un plus vincente nella scelta di nuove implementazioni, dato che a bordo non sono previste figure con particolari competenze informatiche”. Nell’eventualità di problemi, importante è il ruolo di Digipoint, che attraverso una piattaforma di gestione remota può accedere ai Nas e intervenire all’istante. 47


ECCELLENZE.IT | Regione Sit voluptate Calabria

PRENOTAZIONI SEMPRE ATTIVE CON IL CUP VIRTUALE Nelle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Crotone, con la soluzione di Avaya Contact Center è possibile prenotare le prestazioni sanitarie in qualsiasi momento della giornata.

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i norma per prenotare una prestazione sanitaria occorre armarsi di molta pazienza. Dopo aver composto il numero di telefono del Centro Unico Prenotazioni (Cup) di riferimento, parte un’attesa di lunghezza imprecisata, anticamera di una risposta frettolosa per ottenere una data solitamente lontana nel tempo. Ci sono però delle eccezioni. Verrebbe da pensare al Nord Italia e invece l’esperienza d’avanguardia questa volta vede protagonista la Regione Calabria. I pazienti dell’Area Centro, che corrisponde alle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Crotone, possono servirsi del classico contact center con operatori umani (una cinquantina in tutto) oppure utilizzare il Cup virtuale, che garantisce continuità operativa 24 ore al giorno per tutto l'anno. Il progetto di ammodernamento è naturalmente più complessivo e risponde alle necessità di omogeneizzare il livello dei servizi offerti dalle tre aziende di servizi alla persona (Asp) e dalle due realtà ospedaliere coinvolte nell’iniziativa: “Venivamo da un contesto frastagliato e da contratti con gli operatori troppo generici”, spiega Pier Raffaele Martorelli, responsabile del settore sistemi informativi, area programmazione e controllo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. “Inoltre, avevamo l’esigenza di monitorare con precisione l’operato del contact center, poiché non ave48 |

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vamo a disposizione statistiche sui numeri e l’efficacia del servizio”. Oltre alla citata realtà sanitaria, il progetto coinvolge anche le Asp di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia e l’azienda ospedaliera universitaria Mater Domini di Catanzaro. La realizzazione è stata portata avanti da Inginia, società appartenente al gruppo WebgeLA SOLUZIONE Avaya OneCloud CCaaS (Contact Center as-a-Service) dota gli operatori di una piattaforma con cui ottimizzare il loro lavoro, con strumenti per la comunicazione telefonica, video, chat, messaggistica. Grazie all’intelligenza artificiale, fornisce in modo rapido risposte pertinenti alle richieste degli interlocutori. Nel progetto per l’area Centro Calabria, Webgenesys ha svolto il ruolo di system integrator, mentre la controllata Inginia si occupa di gestire il servizio.

nesys, system integrator con sede a Roma ma operante su tutto il territorio nazionale. Dal punto di vista tecnologico, la scelta è ricaduta sulla soluzione di Avaya per i contact center. “Abbiamo una partnership decennale, che ci ha consentito di investire in competenze e capire come sfruttare al meglio il potenziale del cloud”, conferma Maurizio Nanci, senior project manager di Webgenesys. “Abbiamo così potuto fornire una soluzione in grado di coprire le esigenze di multicanalità ormai proprie anche dei servizi di prenotazione sanitaria, potendo anche misurare la customer satisfaction con un adeguato sistema di reporting”. Proprio la misurazione dell’efficienza del contact center è uno dei vantaggi recepiti dall’utente. “Chi sceglie di prenotare online può decidere se privilegiare la velocità o la vicinanza”, aggiunge Martorelli, “e c’è sempre la possibilità di chiedere l’assistenza di un agente sul canale chat nel caso sia difficoltoso completare la prenotazione in modo autonomo”, “Abbiamo già potuto registrare benefici sulle liste d’attesa e ora l’obiettivo è provare a estendere il servizio ad altre aree della Calabria”.


ECCELLENZE.IT | La Marzocco

DATI E TECNOLOGIE PER UN ARTIGIANATO 4.0 L’azienda fiorentina, produttrice di macchine da caffè professionali, con il digitale ha trasformato le proprie attività di fabbrica e la propria logistica.

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ondata nel 1927 a Firenze, La Marzocco è un’azienda italiana specializzata nella produzione di macchine da caffè professionali di alta gamma. Negli ultimi anni questa realtà storica ha compiuto un notevole balzo in avanti, testimoniato dalla crescita del 60% nei ricavi segnata nel 2021 (oltre 210 milioni di euro di giro d’affari) e merito anche di un processo di internazionalizzazione che ha portato l’export a rappresentare il 97% delle vendite. Da sempre attenta alla realizzazione di ogni singola macchina, fatta praticamente quasi a mano e in alcuni casi sulla base delle esigenze del singolo cliente, l’azienda produce a Firenze in piena ottica “industria 4.0”, integrando l’artigianalità con l’uso della tecnologia digitale. Tra le innovazioni recenti c’è stata l’introduzione della connettività Wi-Fi e dei correlati servizi di gestione dati via Internet, combinati con la disponibilità di un’app che informa i baristi sullo stato di funzionamento e di utilizzo della macchina. Questo è anche il punto di partenza per futuri sviluppi di manutenzione proattiva. Ma non è tutto. “Il nostro percorso verso l’artigiano digitale è iniziato quattro anni fa”, racconta Santina Romano, project manager dell’azienda fiorentina. “Uno dei primi passi è stata la costruzione delle fondamenta sopra cui stiamo già sviluppando il nostro percorso di trasformazione digitale: il layout di produzione. Abbiamo posto le basi per creare la nostra fabbrica digitale. Grazie all’architettura hardware e software riusciamo a far avanzare digitalmente le fasi produttive e a reperire le informazioni di ogni macchina

durante la sua produzione. Abbiamo ottimizzato la gestione della movimentazione del materiale all’interno della fabbrica e abbiamo digitalizzato la gestione dell’ingresso merci. In particolare, riceviamo dai nostri fornitori le prebolle digitali e possiamo impostare dei controlli di qualità propedeutici allo spostamento del materiale nella fabbrica. Abbiamo anche introdotto le tecnologie Rfid per la movimentazione del materiale all’interno della fabbrica ed esse, insieme allo sviluppo delle app, agevolano le attività degli operatori di magazzino e rendono sempre più affidabili le giacenze. Abbiamo, inoltre, introdotto le smart label e delle app per agevolare il processo produttivo. In particolare, l’operatore di produzione può vedere in tempo reale tutte le informazioni delle macchine da realizzare o già in fase di costruzione e le istruzioni di assemblaggio”. La tecnologia è dunque essenziale per avere visibilità sul funzionamento degli impianti e per poter prendere decisioni basate sui dati. Ogni operatore è stato dotato di un tablet personale sul quale può verificare i compiti che gli sono stati assegnati, confermare la selezione e consultare la scheda di produzione con i dettagli tecnici, le istruzioni di montaggio ed eventuali note del responsabile. Il sistema evidenzia gli stati di fermo e durante le fasi del montaggio aiuta l’operatore mostrando una checklist digitale delle operazioni da

compiere o segnalando se debbano essere eseguiti dei particolari controlli. La Marzocco ha anche sviluppato alcune applicazioni custom che, da un lato, permettono ai responsabili di produzione di stabilire in modo agevole il piano giornaliero (controllando anche la disponibilità dei materiali e le skill degli operatori presenti), dall’altro supportano le fasi operative. Tutte queste dotazioni permettono di controllare in tempo reale l’andamento della produzione, mentre alcune dashboard consentono anche di condividere informazioni e di attivare rapidamente delle azioni correttive, se necessario. “Più che di Industria 4.0, in La Marzocco preferiamo parlare di Artigiano 4.0”, sintetizza Romano. “L’artigianalità nella produzione delle macchine rimane al centro e la trasformazione digitale ha l’obiettivo di supportare e agevolare le attività di produzione dei nostri prodotti e di creare una base dati a supporto delle decisioni strategiche”. 49


APPUNTAMENTI di THE INNOVATION GROUP 2022

Maggiori dettagli e iscrizioni su: www.theinnovationgroup.it La partecipazione è gratuita, previa conferma da parte della segreteria organizzativa.

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Il “Grande Reset” dell’industria italiana MILANO 4 e 5 maggio – Enterprise Hotel

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