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EDITORIALE_INSIDE ART 5
THE QUEEN OF ART di GUIDO TALARICO
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
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opo la regina Elisabetta e la principessa Kate è arrivata l’ora di Patrizia, “The queen of art”. Per un anno intero, infatti, la più famosa collezionista privata italiana sarà la regina del contemporaneo della Gran Bretagna. Mi riferisco alla mia amica Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente dell’omonima fondazione, che, a partire dallo scorso 25 settembre, è stata chiamata ad allestire alla Whitechapel di Londra, storica ed eminentissima galleria britannica, ben quattro mostre. Un onore in precedenza mai riservato a un collezionista italiano che la dice lunga sulla considerazione e la stima che Patrizia gode all’estero. Si è cominciato con Cattelan, che la Sandretto sostenne sin dall’inizio della sua carriera dimostrandosi buona “talent scout”, e si chiude a settembre del prossimo anno con Paola Pivi e la sua visione dell’assurdo. Patrizia, che ho il privilegio di avere tra i giurati del nostro Talent Prize sin dalla prima edizione, sta facendo un lavoro straordinario: dal 1995 dedica la sua vita e investe cospicue risorse personali per valorizzare il patrimonio dell’arte contemporanea italiana e per sostenere le nuove generazioni di artisti. Lo fa con generosità, passione e competenza. Un’attività di grande spessore che all’estero le viene ampiamente riconosciuta, come l’operazione Whitechapel dimostra. Patrizia del resto è un mecenate vero, di quelli che da queste parti ormai se ne vedono pochissimi. In Inghilterra, che di queste cose se ne intendono, lo hanno capito bene. E da noi? Forse un po’ di meno. Ma si sa, in Italia il treno della qualità e dell’innovazione è in ritardo perenne.
PATRIZIA SANDRETTO È UN MECENATE VERO, DI QUELLI CHE DA QUESTE PARTI ORMAI SE NE VEDONO POCHISSIMI IN INGHILTERRA CHE DI QUESTE COSE SE NE INTENDONO, LO HANNO CAPITO BENE E DA NOI? FORSE UN PO’ DI MENO
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Editore e direttore Guido Talarico (direttore@guidotalaricoeditore.it)
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Caporedattore Maurizio Zuccari (m.zuccari@insideitalia.it)
In copertina: Maurizio Marcato dalla serie “Pin up billiard” s. d.
Redazione Francesco Angelucci, Giorgia Bernoni, Teresa Buono Sophie Cnapelynck, Maria Luisa Prete (redazione@insideitalia.it)
a destra: dalla serie “Pin up beer” s. d.
Grafica Gaia Toscano (grafica@insideitalia.it) Foto & service La presse/Ap, Manuela Giusto, T & P Editori, Millenaria Amministratore delegato Carlo Taurelli Salimbeni (c.t.salimbeni@guidotalaricoeditore.it) Marketing & pubblicità Raffaella Stracqualursi (marketing@guidotalaricoeditore.it) Elena Pagnotta (partner@guidotalaricoeditore.it) Pubblicità Rossella Forlè (r.forle@guidotalaricoeditore.it) Amministrazione Alessandro Romanelli (amministrazione@guidotalaricoeditore.it) I nostri recapiti via Antonio Vivaldi 9, 00199 Roma Tel. 0039 06 8080099 06 99700377 Fax 0039 06 99700312 www.insideart.eu (segreteria@guidotalaricoeditore.it) Stampa Arti grafiche Boccia via Tiberio Claudio Felice 7, 84131 Salerno Diffusione Cdm Srl Viale Don Pasquino Borghi,172, 00144 Roma Gestione rete di vendita e logistica Press Di Via Cassanese, 224 20090 Segrate (Mi) Abbonamenti Il costo per 11 numeri è di 55 euro mentre per l’edizione online è di 11 euro e può essere sottoscritto in qualsiasi momento dell’anno. Il costo dei numeri arretrati è di 11 euro. Per informazioni: abbonamenti@guidotalaricoeditore.it Inside Art, Reg. Stampa Trib. Cz n. 152 del 23/03/04, è una testata edita da Guido Talarico Editore srl (presidente Guido Talarico, a.d. Carlo Taurelli Salimbeni, cons. Anne Sophie Cnapelynck). Direttore responsabile e trattamento dati Guido Talarico. Le notizie pubblicate impegnano esclusivamente i rispettivi autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Tutti i diritti sono riservati. www.guidotalaricoeditore.it Hanno collaborato Martina Adami, Deianira Amico, Checchino Antonini, Maria Letizia Bixio, Francesco Bonami, Lucia Bosso, Valentina Cavera, Alessia Cervio, Stefano Cosenz, Simone Cosimi, Enrico Crispolti, Andrea Dall’Asta, Giorgia Fiorio, Annarita Guidi, Antonia Marmo, Ornella Mazzola, Enrico Migliaccio, Camilla Mozzetti, Valentina Piscitelli, Claudia Quintieri, Andrea Rodi, Aldo Runfola, Serena Savelli, Giulio Spacca, Marco Trevisan
LIVING ART NEWS 11
CHIOCCIOLE SUL DUOMO di Silvia Novelli
COPERTINA 13 15 16 18 20
LUNGA VITA ALLE PIN UP di Serena Savelli ISPIRATI DALLA SENSUALITÀ di Serena Savelli FORMOSE FIGURE SENZA TEMPO intervista con Maurizio Marcato di Serena Savelli LA VIRTÙ DELLA BELLEZZA di Milo Manara IL MORBIDO FASCINO DELLE ROTONDITÀ parla Serena Sessa
MONDO 22 24
GLI EVENTI DEL MESE di Giorgia Bernoni IL PADIGLIONE DELLA FELICITÀ di Laura Barreca e Davide Quadrio
ITALIA 28 29 32
AAF, IL PREZIOSO SI FA ACCESSIBILE di Marco Trevisan IL LOW COST RILANCIA IL MERCATO di Maria Letizia Bixio GLI EVENTI DEL MESE di Silvia Novelli
GALLERIE & VERNISSAGE 34 38 42 48 49
CASSO, DOLOMITI CONTEMPORANEE di Teresa Buono MASSIMO DE LUCA, EMERGENTI IN LAGUNA di Enrico Migliaccio INDIRIZZI D’ARTE di Maria Luisa Prete LE INAUGURAZIONE DEL MESE di Silvia Novelli LILLE, UN PROGETTO CHIAMATO CULTURA di Martine Aubry
PORTFOLIO 50
L’AQUILA, IL SILENZIO DELLE COSE NON FATTE di Gianni Berengo Gardin
INSIDE ARTIST 52
ANDREA MARICONTI, ARCHEOLOGIA E MEMORIA DEI MATERIALI di Deianira Amico
Numero chiuso in redazione il 18.09.2012
OUTSIDE ARTIST 59
GIULIO SQUILLACCIOTTI, INDAGINE AL DI SOPRA DI OGNI FATTO REALE di Giorgia Bernoni
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ABOUT ART LETTURE & FUMETTI 86 88 90 91
LA (BELLA) VITA DI UN MERCANTE D’ARTE IN FUGA di Maurizio Zuccari CORÀ SUONA MOZART di Maurizio Zuccari TAV SÌ TAV NO, L’OPERA DI CALIA di Checchino Antonini CHE FINE HA FATTO MATTEI? di Checchino Antonini
VISIONI & MUSICA 92 94 96
SILVIO SOLDINI, LA REALTÀ È TUTTA DA SCOPRIRE di Annarita Guidi IL TEATRO SCOLPITO RIEMPIE LA SCENA di Andrea Rodi MALIKA AYANE, LA NUOVA SIGNORA DELLA MUSICA LEGGERA di Simone Cosimi
RUBRICHE 09 21 31 62 80 98
MATERIAL ART FORMAZIONE & LAVORO 63
LA MASA, GIOVANI ARTISTI PER GRANDI COLLETTIVE di Alessia Cervio
MERCATO & MERCANTI 64 66
LE CASE D’ASTE TIRANO LE SOMME di Stefano Cosenz MINGARDI, UNA PINACOTECA SULLO SCAFFALE di Ornella Mazzola
FONDAZIONI 68 73
VARRONE, OFFICINE CREATIVE A RIETI di Camilla Mozzetti ROMA, LA VERSATILITÀ IN UN SOLO VOLUME di Claudia Quintieri
ARCHITETTURE & DESIGN 76 78 82 85
VENEZIA DISCUTE SUL FUTURO di Valentina Piscitelli SOLIDI MAESTRI DEL COSTRUIRE di Giorgia Bernoni FRANCESCO BOZZA, IL GIOCO DI SQUADRA È VINCENTE di Giulio Spacca COVERI, LA GIOIA DELLE DONNE ANNI ‘80 di Maria Luisa Prete
IL LINGUAGGIO DEGLI OCCHI di Giorgia Fiorio LA FINESTRA SUL MONDO di Francesco Bonami QUI ITALIA di Enrico Crispolti SACRALITARS di Andrea Dall’Asta SEGNI PARTICOLARI di Antonia Marmo MIPIACENONMIPIACE di Aldo Runfola
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grafica Francesco Armitti / Solimena
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catalogo
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IL LINGUAGGIO DEGLI OCCHI_INSIDE ART 9
OLTREL’OMBRADEIMURI QUELPASSAGGIODILUCE INFONDOAIMIEIOCCHI NELLA FOTOGRAFIA LE COSE NON ESISTONO IN SÉ, SONO QUELLECHEIMMAGINODIVEDERE.LATRACCIALUMINOSA SCAVAL’INCONSISTENZADELL’OMBRAERIVELASULLA SUPERFICIEDEICORPILAMETAMORFOSIDELL’APPARENZA
di GIORGIA FIORIO (FOTOGRAFA)
Sarah Girner, “Untitled from the series Away“ 2011
O
ltre l’ombra dei muri profondi il giorno trema abbagliante fuori dalle persiane accostate. Tra le ciglia socchiuse freme l’intarsio filigranato dei riflessi sul mare ottanta metri giù dalle rocce contro la parete bianca. Dov’è la luce che sto guardando? Dov’è la consistenza dell’acqua che vibra sull’intonaco e sulla linea trasparente dell’aria che respiro, mentre è altrove, nel soffio del giorno fuori dal volume di questa stanza. Che cos’è quest’animazione continuamente cangiante che appare interna alle cose e senza la quale cesserei di vedere ciò che sto vedendo e qualsiasi altra cosa? Posso ben dirmi che responsabile di questo fenomeno è l’angolo d’incidenza del raggio luminoso, uguale a quello della sua riflessione… Nondimeno le onde elettromagnetiche di lunghezza variabile, che viaggiano – nel vuoto – a una velocità di 299,792 kilometri al secondo, sono da noi percepite soltanto in una parte minima nella forma di radiazioni luminose che si propagano in linea retta, i raggi – di fatto “mera direzione e non esistenza fisica”… Questa energia propulsa in un movimento incessante è responsabile della mia vista, ossia occupa la parte maggiore della percezione sensoriale e ora che si sposta più lentamente attraverso un medium più denso conduce dinanzi ai miei occhi “l’informazione” della memoria dei corpi che ha incontrato sul suo percorso. Come abbiamo già avuto modo di dire in precedenza – la fotografia, “scrittura della luce”, è il linguaggio che impri-
giona per sempre in una sola combinazione questa potenza trasparente. Prima che sul file digitale o sulla pellicola fotografica, l’immagine – che di fatto non esiste – si presenta come uno stimolo visivo nella percezione periferica della retina, un’impercettibile rotazione dell’occhio porta l’impulso visivo in posizione centrale dove la pupilla lo capta per condurlo al cervello che lo identifica. Nella consapevolezza di questa coincidenza prende forma la rappresentazione mentale, appunto, l’immagine di ciò che vedo… Nella fotografia – di là dell’evidenza ontologica – le cose non esistono “in sé”, sono quelle che immagino di vedere, tali a come le esprimo. La traccia luminosa scava l’inconsistenza dell’ombra e rivela sulla superficie dei corpi la metamorfosi dell’apparenza in una sterminata moltitudine d’identità – ognuna vera? Tutte false? Come non esiste una linea propria al contorno delle cose – sempre oltre e altrove a dove immagino di vederla, il loro “aspetto” è un attributo della mia percezione e non partecipa della definizione di corpi e volumi, persino quello della loro tridimensionalità, dato che posso percepirne l’apparenza, “diversamente rilevata” in una fotografia, piana per definizione. Si tratta allora di riconoscere e rendere evidente qual è immagine, di cui la luce trasforma senza posa volumi e contorni, che affiori, unica e diversa in fondo ai miei occhi e fermarla in una forma compiuta, di cui la fotografia, come la luce, è soltanto un passaggio.
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IN BREVE BIENNALE/1
BIENNALE/2
SCOMPARSO LIA
FIERA GIOVANE
Accademie in mostra
Antiquariato a Roma
Un grande mecenate
Arriva Setup
In programma a Saint-Vincent dal 29 novembre al 31 gennaio 2013 la prima edizione di Sveart, premio Biennale di arte europea. Curata da Paolo Levi e Federico Faloppa, l’iniziativa restituisce valore alle accademie di Belle arti europee, vere e proprie antenne per la selezione dei migliori giovani artisti dell’eurozona.
A palazzo Venezia a Roma, dal 5 al 14 ottobre, l’ottava edizione della Biennale di antiquariato. Un viaggio nel meglio dell’arte classica fino a giungere all’ultimo Novecento italiano e internazionale. Sessanta stand per ospitare gallerie italiane e straniere. Info: www.biennale-antiquariato.roma.it
Scomparso alla Spezia lo scorso 7 settembre, all’età di 99 anni il mecenate Amedeo Lia. Nel 1996 ha donato al comune una tra le più prestigiose collezioni del Nord Italia con opere di Tintoretto, Tiziano, Bellini, Pontormo. Oltre mille opere che oggi risiedono nell’ex convento dei frati minori di San Francesco.
Nasce Setup, fiera d’arte contemporanea indipendente. Ideata da Simona Gavioli, Marco Aion Mangani e Alice Zannoni, è in programma a Bologna dal 25 al 27 gennaio 2013. Ogni galleria dovrà proporre un giovane artista con cui non ha mai collaborato insieme a quelli in organico. Info: www.setup-artfair.com
ARS DIXIT
FESTIVAL/1 Al Lubec si parla di cultura
PHILIPPE DAVERIO Lega, la Sacra rota dell’ignoranza «È ovvio che siamo in un periodo di magra e si risparmia ovunque, però neanche Stalin aveva abolito la spesa sulla cultura! Che la Lega oggi la consideri cosa inutile e marginale è ormai certificato... Se Cota dimentica che le regioni avrebbero un impegno di spesa più sulle infrastrutture culturali che sugli eventi è perché è in campagna elettorale: per i leghisti l’alfabeto è tuttora un problema insormontabile e lui difende la Sacra rota dell’ignoranza». (Elsa Muschella, Corriere della sera, 28 agosto)
PABLO ECHAURREN I lucchetti di Moccia al museo? Una stronzata «Si mette nei musei qualsiasi stronzata, di solito solo perché un’opera è avallata da un critico. Qui l’operazione è diversa, iI lucchetti messi sopra ponte Milvio non nascono come un’opera d’arte, ma li si fa diventare un’opera d’arte. È un’altra stronzata. Se si prendono i fischietti della Lucania può essere interessante, ma i lucchetti dell’amore ispirati ai libri e ai film di Federico Moccia no, perché allora non mettere gli striscioni delle tifoserie, i banchi di scuola istoriati, i diari delle ragazzine?». (Repubblica, 11 settembre)
OSCAR NIEMEYER
Lubec torna a Lucca dal 18 al 20 ottobre. Un festival dedicato alla cultura che affronta tematiche cruciali del panorama contemporaneo: dalle criticità legate ai musei italiani agli strumenti finanziari e alle opportunità per investire in cultura, dal rapporto che lega arte contemporanea e natura alle opportunità di lavoro nel mondo della cultura. Info: www. lubec.it
FESTIVAL/2 Robot a Bologna
L’architettura della bellezza «Secondo Niemeyer, l’architettura deve e può trasformarsi in atto politico. E deve farlo attraverso la bellezza, perché la bellezza ”serve”. La bellezza blocca chiunque per strada. La bellezza fa riflettere: e pensare, studiare, intrecciare gli interessi più diversi, inventare e osare sono l’unico modo per cavarsela dinannzi a un mondo sempre più ingiusto e alla vita che dura il tempo di un respiro. Ha più di cento anni Niemeyer, ma è difficile parlare con qualcuno più sintonizzato di lui sui dolori del presente». (Alberto Riva, Venerdì, 7 settembre)
Dal 10 al 13 ottobre a Bologna un itinerario alla scoperta delle arti digitali, da palazzo Re Enzo alle gallerie della città. Va in scena Robot: non solo un festival musicale, ma anche una manifestazione dedicata alle arti digitali, che coinvolge in primis l’arte contemporanea attraverso il bando ”call4roBot” che presenta 23 progetti artistici. Info: www.robotfestival.it
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Dall’8 al 13 ottobre la terrazza del Duomo di Milano è invasa da 50 chiocciole azzurre realizzate dal Cracking art group. L’installazione si intitola “Regeneration” ed è la prima volta che un’opera d’arte contemporanea trova spazio sul maggiore edificio religioso, nonché il più alto, della città. L’iniziativa nasce per raccogliere fondi a favore del restauro della guglia maggiore, sostegno della statua della Madonnina. Cento multipli di queste sculture vengono venduti alla cifra minima di 1.000 euro alla galleria Glauco Cavaciuti e il ricavato servirà a finanziare i lavori di restauro. Durante la serata inaugurale dell’8 ottobre viene organizzata da Gualtiero Marchesi una cena per la raccolta fondi, dove è possibile acquistare i multipli. Ospite della serata Philippe Daverio pronto a svelare tutti i segreti del Duomo. (Silvia Novelli)
CHIOCCIOLE SUL DUOMO Multipli del Cracking art group in vendita per il restauro della guglia
VENDESI WARHOL La sua fondazione mette tutto all’asta La fondazione Andy Warhol ha deciso di vendere tutte le 20mila opere del padre della pop art a 25 anni dalla sua morte. Obiettivo nobile: raccogliere oltre 100 milioni di dollari che si andranno ad aggiungere ai 225 milioni da utilizzare per sostenere l’arte. Della vendita si occuperà la casa d’aste Christie’s. Intanto, il padre della pop art continua a essere protagonista della scena artistica internazionale: per la prima volta il Metropolitan museum of art di New York ospita una mostra proprio sull’influenza che Warhol ha esercito sull’arte contemporanea, aperta fino al 31 dicembre.
WOJTYLA TORNA A ROMA Inaugurata la statua “rifatta” da Rainaldi Santo subito non lo è stato e nemmeno la statua che Roma gli ha voluto dedicare è arrivata tanto in fretta. Alla fine però, dopo mille polemiche, qualche aggiustamento e circa un anno di ritardo, sotto il cielo della capitale finalmente risplende l’opera che il maestro Oliviero Rainaldi (nella foto dell’autrice) ha concepito per celebrare Giovanni Paolo II, il più amato dei papi. Alla presenza dell’assessore alla Cultura, Dino Gasperini, del sovrintendente Umberto Broccoli, e di un foltissimo gruppo di reporter provenienti da tutto il mondo, Rainaldi ha presentato la versione riveduta e corretta dell’opera dedicata a Wojtyla. Le differenze sono poche ma distintive: il mantello ha un taglio da mantello, che quindi elimina il tanto osteggiato effetto garitta, il volto del beato è più angelico. E tanto sembra bastare a consacrare definitivamente un’opera che nella prima versione aveva fatto storcere il naso a certi critici, ma che da subito i fedeli avevano comunque preso a venerare. Con la nuova veste il successo sembra ora garantito. (Sophie Cnapelynck)
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LUNGA VITA ALLE PIN UP Da mascotte di guerra a eroine della pubblicità: il fascino intramontabile delle procaci ragazze “da appendere” di SERENA SAVELLI
V
isi d’angelo su corpi mozzafiato. Procace sensualità celata da pose ironiche e maldestre. Il tutto condito da ampi sorrisi, nasini all’insù e occhi da cerbiatto. E gli abiti dal gusto discreto concedono allo sguardo qualche lembo di pelle accidentalmente scoperto, probabilmente ingabbiato nel mitologico reggicalze. Le pin up (letteralmente “appendere su”), queste prorompenti ragazze della porta accanto, pioniere della stampa lasciva francese di inizio Novecento, furono le madonne laiche dei plotoni a stelle e strisce della Grande guerra che le strappavano impazientemente dalle riviste per attaccarle come santini negli accampamenti o negli armadietti, a portata di sguardo. Durante il secondo conflitto mondiale non passarono di moda, anzi vennero elevate a vere e proprie mascotte più che a strumenti per
Fernando Vicente Pin up Cortina, s. d.
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far galoppare le fantasie dei soldati, rimaste strozzate dagli orrori della guerra. Eccole apparire sulle riviste dell’esercito come Yank, fondata e diretta da Hartzell Spence, l’inventore delle pin up. Fu lui infatti il primo a decretare la necessità di porre sulle sue copertine giovani donne leziose che poi divennero le dive di Hollywood. Rita Hayworh, Hedy Lamarr, Betty Grable, Marylin Monroe: un successo spropositato. Gli uomini, con una mano sul cuore e una pin up in tasca, affrontavano la morte con il morale più alto, come ammise persino “Ike” Eisenhower. I seni prorompenti, le lunghissime gambe e i volti ammiccanti avevano il potere di rendere le fantasie comuni più palpabile e, dunque, la quotidiane abitudini più vicine. In quegli anni, le pin up divennero delle vere e proprie mascotte, tanto da essere dipinte sui bombardieri – come il B-17 da cui venne tratto il film Memphis Belle – dando vita al fenomeno della nose art, la pittura che decorava gli aerei militari sul “naso”. Un’arte che contagiò i migliori illustratori americani – o trapiantati in America – dell’epoca che, a colpi di olio e pastello, le ritrassero nelle loro pose più celebri. Rolf Armstrong fu uno dei precursori, operando da prima della guerra, mentre il fervido movimento della pin up art, che attinse molto dalla sua opera, esplose nel bel mezzo del conflitto, negli anni Quaranta. Artisti come Earl Mac Pherson, Pearl Frush, Earl Moran, Peter Driben, George Petty, Edward Runci, Billy DeVorss, Zoë Mozert, Joyce Ballantyne e naturalmente Alberto Vargas rappresentarono, con uno stile dal sapore omologato, uno spaccato storico fatto di sogni zuccherosi e rassicuranti speranze. Considerato tra i più grandi del genere, Gil Elvgren ha tra i suoi meriti anche quello di essere stato un avanguardista del fotoritocco. Disegnatore ma anche fotografo, l’artista partiva da scatti in bianco e nero e poi, nell’illustrazione, migliorava i tratti delle modelle a suo gusto, per renderle più appetibili. I risultati erano prodigiosi e i suoi lavori sono rimasti celebri nella storia e nell’immaginario comune. Dopo la guerra, la prorompenza del boom economico aprì le porte al consumismo e agli eccessi, di cui le pin up divennero testimonial, complici di un pubblico sempre più affamato di ricchezza. La pop art non restò indifferente a questa vivace sfumatura e Mel Ramos, in particolare, con le sue donnine adagiate voluttuosamente su qualche marchio importante, ne è stato uno dei massimi esempi. Era un momento di rivoluzione sociale e di costume, e le pin up persero la loro aria verginale per riconoscersi in un’unica, grande icona del “fetish”, Bettie Page. Ma proprio questo nuovo fermento dettò l’esigenza di modelli femminili altri, più spigolosi e meno casti, decretando la fine di miti come Tura Satana di Faster, Pussycat, Kill Kill che rimasero leggenda per registi di “exploitation” e amanti di cult movie, uomini nostalgici e donne grassottelle. E se le mode, regolarmente, si riaffacciano negli anni, ecco che oggi le pin up tornano in auge arricchite di nuova forza e spirito, grazie a una riscoperta del vintage nei campi più disparati. Contaminate da elementi che non gli appartengono del tutto, in questo periodo storico le “ragazze da appendere” sono performer burlesque, ammiccano al gotico, si riempiono di tatuaggi “old school” e cantano in gruppi psychobilly. Sono le nuove icone come Bernie Dexter o la più nota Dita Von Teese a dettare il loro stile contemporaneo. Si perde la magia dell’innocenza e si lascia spazio ad una stravaganza che sa di polvere stantia. Una nostalgica voglia di sedurre che si staglia su un paradossale e triste “già visto” da cui le pin up erano immuni, forti della loro inimitabile originalità.
Sopra: Gil Elvgren “A near miss”, 1960 “Hold everything”, 1962 “Sailor beware”,1953 Sotto: Chuck Bauma, ”Daddy’s little girl”, 2011 A destra: Lorenzo Di Mauro ”Bombs away” 2012
LO STILE Un po’ lolite, un po’ fatali Un po’ lolite e un po’ donne fatali, le pin up si fregiano di uno stile che fa ancora tendenza. Una la regola generale: sensuali nell’intimo, (apparentemente) pudiche nell’abbigliamento. Spazio dunque al reggicalze che si scopre accidentalmente con un colpo di vento o alla classica bretellina calante del corpetto. Attimi che accendono i desideri degli uomini che, con le loro fantasie, influenzano buona parte del ”look” pin up. Non è raro, infatti, vederle gioiose nei panni di marinai e caporali, perché è proprio nei militari che le ”ragazze da appendere” avevano gli ammiratori più entusiasti. Ma la femminilità non può essere mai lasciata da parte, ed ecco che compaiono quadretti e ciliegine su abiti che fanno la ruota, candidi e adolescenziali. Poche audaci si concedono il leopardato come Betty Page, che lanciò anche la mitica frangetta bombata. Persino i capelli, infatti, che incorniciano volti diafani, occhi bistrati di nero e labbra sanguigne, seguono le curve morbide della fertilità, con boccoli e onde tenute insieme da una bandana o da un fiore. L’essere pin up, insomma, ha le sue regole, prima fra tutte quella del sorriso. Una sensualità che si nasconde nell’innocenza: la ricetta perfetta per un fascino senza tempo.
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ISPIRATI DALLA SENSUALITÀ Molti artisti, non solo statunitensi, si sono misurati con l’arte delle curve
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creativi di oggi non sono rimasti immuni dal fascino delle pin up. E se negli anni Sessanta questa fervente mitologia si assopì, la scena artistica non è mai rimasta digiuna di autori rivolti al passato recente. Olivia De Berardinis può essere considerata un’artista italoamericana nostalgica, visto che ha iniziato la sua produzione negli anni Settanta. Un lavoro che continua anche oggi e affonda le sue radici nelle illustrazioni degli anni Quaranta, nei toni pastello e nella scuola di Bettie Page. Una sensualità ritratta con dovizia di particolari, da cui traspare una sensibilità tutta femminile nel mettere in scena il gioco della seduzione. Fernando Vicente, artista spagnolo attivo dagli anni ‘80 con illustrazioni e dipinti incentrati sulla figura femminile, ha indagato il fenomeno delle pin up ritraendone il profilo più moderno e fumettistico. Nonostante sia noto soprattutto per i suoi ritratti disturbanti, ricchi di inquietanti particolari anatomici in evidenza, le sue pin up sono leggere e rassicuranti, sorridenti e caricaturali. Più che la sensualità, delle donne di Vicente spicca il lato ironico, particolarmente amato dall’artista: «Quello
che faccio è rivisitare un genere che già esiste, caricandolo dei canoni di bellezza attuali, completamente differenti da quelli del passato. Le pin up sono nate come evasione dalla dura realtà della guerra. Superato quel periodo storico sono comunque rimaste donne che possono rappresentare ogni tipologia di femminilità e soprattutto delle icone non solo di bellezza, ma anche divertenti». Un amore, il suo per le pin up, nato «quando andavo a scuola. Amavo disegnare le ragazze, poi ho conosciuto i maestri e ho iniziato ad apprezzare veramente questo tipo di arte». Per Vicente, nonostante ci sia un ritorno prepotente, esso non sradica le sue radici: «La riproposizione contemporanea del fenomeno è un riflesso del passato. Tra le dive, ad esempio, Dita Von Teese è una caricatura di Bettie Page, che rimane ad oggi la pin up più rappresentativa». Il divertimento è ciò che amano maggiormente i nuovi pionieri di questa scena artistica, e uno dei più appassionati in tal senso è l’americano Chuck Bauman, che ha fatto dell’umorismo il suo cavallo di battaglia: «Ho sempre disegnato, fin da bambino, e tra le varie cose ritraevo pin up. Ero ispirato
da tutto: cartoni animati, fumetti, locandine e ogni media esistente. Provavo a emulare i soggetti che più mi colpivano». Uno stile pop che Bauman si è portato dietro negli anni, continuando a creare pin up che fossero innanzitutto piacevoli. «Mi piace prendere personaggi che normalmente hanno una sensualità non accentuata, ed evidenziarla. Ciò che amo di più è creare pin up divertenti», racconta. E se una Jessica Rabbit strizzata in un completino da esploratrice può rappresentare l’emblema della moderna pin up, c’è anche chi rimane nostalgicamente fedele a una versione più retrò del genere, come Paul John Ballard o Carlo Pieroni, fotografo italiano tra i migliori sul genere, o ancora Lorenzo Di Mauro. Fresche o stagionate che siano, queste ormai disincantate maestre di seduzione rimangono, dunque, uno dei fenomeni di costume più longevi della storia. E in tempi come quelli di oggi, dove lo sguardo è più rivolto al passato che al futuro, le pin up non possono che salire, sorridenti e fiere, un altro gradino verso l’immortalità. Serena Savelli
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FORMOSE FIGURE SENZATEMPO Tra nostalgia e modernità, gli scatti di Maurizio Marcato donano nuova linfa alla lunga tradizione delle “signorine” di SERENA SAVELLI
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e è vero che le pin up hanno un fascino intramontabile, la fotografia di Maurizio Marcato ne ha consacrato la prorompente bellezza, ripercorrendone la connotazione erotica sotto un profilo audace e divertente. La provocazione, nelle sue opere, si amalgama alla briosità ingenua e maldestra di queste ragazze, incorniciate in contesti pop e pubblicitari. Attraverso scenari scolpiti in sapienti chiaroscuri e tonalità che ammiccano ai grandi maestri del genere, Marcato ha saputo far rivivere il mito, lasciando inalterato il fascino nostalgico effuso dalle opere del passato. Per tutti questi motivi è l’artista di copertina del mese. Quando è nato l’ interesse verso le pin up? «Nel 1960 avevo sei anni e abitavo a Col San Martino, un paesino del Trevigiano. Non era ancora sparita l’ombra lunga della seconda grande guerra e il vertiginoso progresso aveva messo appena qualche radice. Le prime auto transitavano lungo strade inadeguate e l’America aveva superato le clericali barriere protettive nazionali, riversando una cultura e una moda nuova. Chissà se la mia aria trasognante veniva capita quando scortavo con lo sguardo le donne che si vedevano sopra. Liberandosi dell’infame violenza e buio portati dalla guerra si impadronivano della scarcerata moda di allora. Esibivano i loro superbi fianchi, scolpiti da un largo cinturone che chiudeva il girovita strettissimo, i seni prorompevano senza gravità e scoprivano le loro morbide e dolcissime forme nelle lascive scollature a “v”. Non ho mai dimenti-
L’AUTORE Una ricerca versatile Maurizio Marcato nasce il 24 marzo del 1954 a Schio, in provincia di Vicenza. La fotografia, per lui, è uno dei mezzi più creativi della comunicazione visiva e questo amore lo porterà a perseguire la strada del professionismo dal 1979. Nella sua città natale Marcato ha avviato uno studio fotografico orientato alla creazione di immagini pubblicitarie. In seguito l’artista ha collaborato con riviste dedicate all’architettura e al design e nel 2004 è divenuto docente di fotografia al Politecnico di Milano. Versatile e sensibile alle mille sfaccettature del mezzo, Marcato spazia dal reportage al ritratto, dall’architettura ai paesaggi, dalla fotografia artistica alla ricerca. Con i suoi scatti ha raggiunto una fama internazionale, dal Giappone agli Usa. Info: www.mauriziomarcato.com
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Maurizio Marcato ”Pin art billiard” dal calendario del 2011 Sotto: un’immagine dell’artista
LE PIN UP RAPPRESENTANO UN SOGNO NATO IN UN’ERA DI PROSPERITÀ, DI CRESCITA E DI POSITIVITÀ UN MONDO DOVE SOGNARE IL FUTURO ERA SINONIMO DI SOGNARE LA FELICITÀ
cato quel fascino avvolgente, quei passi orgogliosi e audaci che sfidavano il tempo andato e aprivano le porte alla rivoluzionaria era del consumismo e della creatività. Da allora è nato il mio interesse verso le figure delle pin up e non è mai terminato». Come nasce l’idea per una sua opera? «L’ambiente in cui vivo, il clima sociale che respiro e il contesto in cui sono inserito influenzano sempre molto le idee per i miei lavori, ne sono fonte d’ispirazione. Le mie creazioni sono il frutto di una continua ricerca personale e quando le realizzo scopro sempre degli elementi che mi raccontano e mi aprono nuovi orizzonti». Che tipo di donna rappresentano le pin up? «Le pin up rappresentano un sogno nato in un’era di prosperità, di crescita e di positività. Un mondo dove sognare il futuro era sinonimo di sognare la felicità. Un’era che, dopo gli anni ‘60, purtroppo non abbiamo più avuto modo di vivere. Nonostante ciò le pin up sono e saranno sempre delle icone della sensualità». Esiste un artista, o un movimento, che ama particolarmente? E tra le dive pin up? «All’interno dei movimenti artistici rivolti alle pin up, sicuramente Gil Elvgren è il mio artista preferito. In linea generale, invece, amo molto il neorealismo americano. Tra le dive quella che prediligo è Bettie Page». Cosa pensa dell’arte erotica? «L’erotismo è un linguaggio importante per l’uomo. Attraverso esso passa tutta l’umanità e credo che oggigiorno l’arte erotica, quella vera, sia troppo repressa da un perbenismo superficiale».
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LA VIRTÙ DELLA BELLEZZA «Se oggi Botticelli fosse vivo disegnerebbe pin up» Le “donnine” nelle parole di un esperto del genere di MILO MANARA*
uella delle mie donnine è una storia lunga. Parte dall’invenzione della fotografia, che ha fatto perdere alla pittura il fondamentale ruolo sociale in seguito ereditato dal cinema e dalla televisione. A causa di tutto questo le arti figurative sono state collocate in una piccola riserva culturale. Quando negli Stati Uniti è nato l’espressionismo astratto di Pollock e Rauschenberg, contemporaneamente si è sviluppata un’altra corrente in cui i pittori hanno ritrovato una parte del loro ruolo sociale proprio attraverso le pin up, diventate il loro modo di stare a contatto con la gente. Mentre la pittura alta veniva definita pop art, per le pin up non si poteva nemmeno usare la parola arte, anche se erano estremamente pop nel senso di popolari. Il camionista non si attacca sul camion un quadro di Rauschenberg o di Jasper Johns, si attacca giustamente una bella pin up. [...] L’idea della pin up nasce, a mio avviso, con i pittori rinascimentali, che arricchivano l’immaginario dei loro contemporanei con le storie e le figure che dipingevano. I pittori di pin up hanno avuto un ruolo analogo mantenendo un contatto con il pubblico che invece si disinteressa completamente dell’arte figurativa. Una volta Ettore Scola mi disse che se Alessandro Manzoni fosse vivo scriverebbe sceneggiature per il cinema, e io ho aggiunto che se oggi Botticelli fosse vivo sarebbe un autore di fumetti, disegnerebbe delle pin up. [...] Amo le pin up spiritose, quelle in cui si rappresenta una ragazza costretta a far vedere le gambe contro la propria volontà. La costrizione è fondamentale, serve a salvaguardare anche la virtù. Sono ragazze di specchiata moralità che ci fanno vedere le gambe per un colpo di vento, una scaletta malandrina, un chiodo malmesso, il tutto per la gioia di noi spettatori che casualmente ci troviamo nel momento giusto e al posto giusto per guardarle. [...] Le pin up sono diventate una parte importante nella mia carriera, iniziata come fumettista, quando ho sentito il bisogno di fare il pittore. Così sono ripartito dalle pin up, che in fondo sono modelle, figure sempre esistite nella storia dell’arte. Le modelle erano di fatto delle ragazze da appendere, anche se prestavano il loro corpo a operazioni culturali e pittoriche. Alcune di loro, poi, avevano il dono di mettere di buonumore e non solo di far pensare. Una delle modelle più famose della storia si chiamava Frine, era la modella di Prassitele, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Venne accusata di prostituzione e portata in tribunale. Il suo avvocato, anziché pronunciare arringhe, la spogliò davanti alla corte e lei venne assolta perché era bella. Con questa assoluzione i giudici hanno stabilito una cosa importantissima: la bellezza è una virtù. Le pin up in fondo non fanno altro che continuare a rappresentare questo principio.
Q MENTRE LA PITTURA ALTA VENIVA DEFINITA POP ART PER LE PIN UP NON SI POTEVA NEMMENO USARE LA PAROLA ARTE, ANCHE SE ERANO ESTREMAMENTE POP NEL SENSO DI POPOLARI
*estratto da Pin up art, cortesia Einaudi
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SUGLI SCAFFALI
Milo Manara Pin up XXX Aliberti 142 pagine 16 euro
Milo Manara Pin up art a cura di Vincenzo Mollica Einaudi 178 pagine 12,50 euro
Christian Marmonnier Pin up Aslan L’ippocampo 256 pagine 25 euro
Torna nei best seller Pin up XXX di Maurilio Manara detto Milo, per Aliberti editore. C’è poco delle vere pin up ma il meglio delle tavole dell’illustratore nato a Luson nel ‘45, con un’intervista di Loris Mazzetti al maestro che ha fatto del fumetto una rappresentazione artistica, omaggiando la sensualità femminile con la sua personalissima cifra, fatta di bellezza stilistica e trasgressione al comune senso del pudore.
Ancora di Manara Pin up art, testi e immagini raccolti da Vincenzo Mollica per Einaudi. Una sintesi del Milo pensiero a proposito della lunga storia delle sue donnine, equiparabili a vere modelle, della loro importanza nel suo lavoro di fumettista e del suo fare arte per tutti, per i ceti più popolari a cui l’arte delle pin up si rivolge piuttosto che al figurativismo d’élite. Un testo ancora valido, come le sue pin up ”evergreen”, da cui l’estratto in pagina.
Fra il 1964 e il 1982, sulle pagine di Lui, la rivista creata da Daniel Filipacchi, Aslan ha inventato la pin up alla francese, in stile Brigitte Bardot, di cui eseguì il famoso busto in Marianne, esibito in tutti i municipi d’Oltralpe. L’ippocampo ha riunito le creazioni più allettanti, a cura di Christian Marmonnier.
Ragazza in treno, 2011 dalla copertina di Milo Manara, Pin up XXX Aliberti editore A sinistra, dall’alto: Frine davanti all’Aeropago, da Sensualitars, La perla, 2001 Pin up Taratatà dalla copertina di Pin up art, Einaudi, 2002
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IL MORBIDO FASCINO DELLE ROTONDITÀ Fiera del vintage a Forlì e Pin up 2000: le creazioni di Serena Sessa
IL PERSONAGGIO Giornalista e blogger Simona Sessa nasce a Napoli il 16 luglio 1969, vive e lavora ad Ancona. Giornalista e blogger, la sua carriera artistica inizia molto presto tra televisione, teatro e locali notturni in cui si è fatta notare per lo stile sensuale e retrò. Nel tempo si è fatta promotrice di una vera campagna sociale contro i disturbi alimentari, puntando alla rivalutazione del modello di bellezza delle pin up. Sessa oggi è considerata, soprattutto sul web, l’eroina delle donne formose e ha ideato un corpus di iniziative in tema, fra cui l’associazione culturale Pin up del 2000. Info: www.simonasessa.com
Primi giorni d’autunno. Le fronti di decine di uomini s’imperlano ancora di sudore, mentre i respiri si fanno pesanti e gli occhi si inchiodano sulle forme generose di donnine capricciose che gli sfilano davanti, strizzate nei loro corsetti e nelle impegnative calze a rete con la riga dietro. Donne morbide che si contendono lo scettro della pin up più bella, alla Fiera del vintage di Forlì dal 21 al 23 settembre. Il testosterone è alle stelle, è un delirio dei sensi. Perché se la magrezza è oggi il canone di bellezza preminente, gli uomini continuano di gran lunga a preferire la carne. Per questo Simona Sessa, giornalista, blogger e organizzatrice di questo concorso di bellezza, si è resa paladina della bellezza autentica, conducendo una battaglia contro i disturbi alimentari e riportando l’attenzione sui modelli di donne vere, quelle provviste di curve e difetti. Insomma, le vere donne hanno le curve e agli uomini piace la carne? «La donna di oggi – risponde Sessa – è morbida e rotonda ed è un’immagine sana e felice che si contrappone ai modelli di estrema magrezza proposti dalla società. Il ritorno in auge delle pin up vuole richiamare l’attenzione su esempi di donne che mostravano con orgoglio le loro curve. Donne che ammaliavano con la loro procacità ma anche per il loro essere maestre di sensualità». Sessa presiede anche un’associazione culturale dal nome esaustivo: Pin up del 2000. «Pin up del 2000 nasce dalla mia battaglia per sostenere le donne ossessionate dalla magrezza e combatte l’ideale di bellezza filiforme e i condizionamenti psicologici che ne derivano. Il progetto ripropone il mito delle pin up per rinvigorire l’autostima delle donne a dieta o con disturbi alimentari». Ma oltre alla fisicità, cosa hanno le pin up in più degli altri modelli di donna del passato? La risposta è chiara per la Sessa: «Le pin up possedevano l’ironia e la sfrontatezza che gli consentiva di mostrare le loro curve abbondanti con orgoglio. Un concetto di vera femminilità che oggi è evaporato: sono poche le donne che esaltano la propria sensualità. Voglio rivedere per strada donne felici e formose, che si amano così come sono, proprio come le pin up». (S. S.)
DISCOVER BE INSPIRED BY
Busta.eu
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LA FINESTRA SUL MONDO_INSIDE ART 21
IL VALORE DELL’ARTE SBARCA A LONDRA CON LA SANDRETTO SE UN COLLEZIONISTA STA TROPPO A PENSARCI È MOLTO PROBABILE CHE FINIRÀ PER AVERE UNA COLLEZIONE SENZ’ANIMA. BISOGNA REAGIRE CON VELOCITÀ, IL RAPPORTO CON UN’OPERA È IMMEDIATO
di FRANCESCO BONAMI (CRITICO E CURATORE)
LA MOSTRA “Think twice” La Whitechapel gallery di Londra espone opere dalla collezione Sandretto Re Rebaudengo fino all’8 settembre 2013, a cura di Francesco Bonami. Patrizia Sandretto è la prima collezionista italiana a essere invitata dal museo londinese. La collettiva ”Think twice” è suddivisa in quattro mostre: la prima è dedicata a Maurizio Cattelan (fino al 2 dicembre). A seguire le rassegne ”Viral research”, ”Love meal” e ”Have you seen me before”. Info: www.whitechapel.org
In alto: Maurizio Cattelan La rivoluzione siamo noi, 2000 sotto: Cesena 47-A. C. Forniture Sud 12 (2 tempo), 1991
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on vogliamo essere moralisti. Giusto? Ma parlando di una collezione un po’ di morale è necessario prenderla in considerazione. In un’epoca dove il valore dell’arte è diventato estremamente rilevante e preoccupante non è poi una cattiva idea. Quali valori, mi chiederete? I valori che le opere d’arte, presentate dalla fondazione Sandretto Re Rebaudengo nelle quattro tappe alla Whitechapel, si portano addosso. Non sempre valori etici, non spesso valori politici, a volte valori estetici. Sicuramente una combinazione di tutti questi valori, compreso quello economico, che sono cresciuti dentro la collezione fin dagli inizi, quando tutto era più un gioco che una profonda passione e impegno. Un valore che non si vede ma è stato essenziale è la “pazienza”. Quando uno pensa all’arte e ancor di più quando uno la colleziona, bisogna essere sempre estremamente pazienti. Nulla accade dal giorno alla notte nella storia dell’arte. Gli artisti raramente sfornano i loro migliori lavori fin dall’inizio. Quando lo fanno nessuno a volte se ne accorge. Nel corso degli anni collaborando con la fondazione Sandretto Re Rebaudengo ho dovuto rispondere alla domanda “Questo artista ce la farà? Diventerà famoso?” Domande retoriche chiaramente, dal momento che nessuno si aspettava mai una vera risposta per il semplice motivo che è impossibile rispondere del futuro di qualsiasi artista. Tuttavia questa domanda è rimasta nell’aria ogni volta che si sta guardando un’opera di un nuovo artista.
Oggi è impossibile non essere ossessionati dal futuro, dal successo, dal riconoscimento. Non era così alla metà degli anni ‘90. Si era abituati a un senso d’incertezza e collezionare non era un viaggio nel mondo della celebrità ma un’avventura dentro un territorio sconosciuto. Sono passati gli anni e le cose sono cambiate parecchio. I media si concentrano di più sull’arte contemporanea. Gli artisti competono con le stelle del cinema. I curatori da conduttori di treni sono diventati direttori di orchestra. Se un collezionista sta troppo a pensarci bloccando l’istinto è molto probabile che finirà di questi tempi per avere una collezione senz’anima. Davanti all’arte bisogna reagire con velocità non per una questione di non farsi fregare le opere da qualche altro acquirente ma perché il rapporto con un’opera è immediato, diretto così come deve essere la nostra reazione. Stare a pensare o sentire cosa ne pensano gli altri di quello che stai per decidere è molto noioso e una strategia perdente. Errori un vero collezionista non ne fa mai. L’unico che può fare è quello di fare troppe strategie. Il collezionista deve essere imprevedibile, perché l’imprevedibilità è una qualità e un valore. È chiaro che essere imprevedibili può costare caro, mancando ciò che è scontato e ciò che può essere una buona speculazione. Non importa. Essere sempre nel punto giusto della curva non è mai stato lo scopo della collezione Sandretto Re Rebaudengo. Perché se non bisogna starci a pensare due volte facendo il collezionista si deve però continuare a pensare sempre.
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RIO DE JANEIRO Coda Zabetta
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TOKYO ”Arab express” «Arab express fa il punto sui paesi culturalmente arabi del Medio Oriente. Si tratta della regione rappresentata dall’Egitto, dal Levante e dai paesi del Golfo», ha dichiarato il cocuratore e direttore del Mori art museum Nanjo Fumio. In mostra nella collettiva trentaquattro artisti contemporanei provenienti dal bacino medio orientale per offrire al pubblico giapponese il quadro di una cultura spesso ignorata dai nipponici. L’esposizione presenta lavori di differenti media che intendono rovesciare gli stereotipi circolanti sul discusso mondo arabo. Fino al 28 ottobre. Mori art museum, Tokyo. Info: www.m ori.art. museum
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Negli spazi del Mac, Museu de arte contemporânea de Niterói a Rio de Janeiro inaugura la personale di Roberto Coda Zabetta dal titolo ”Verdade” a cura di Guilherme Bueno, Maria Savarese e Maurizio Siniscalco. La mostra prende spunto dalla memoria di quanti hanno sofferto la detenzione in uno dei più spietati sistemi di prigionia del mondo: quello delle carceri brasiliane durante il periodo di dittatura dal 1964 al 1984. Fino al 3 novembre. Mac, Rio de Jainero. Info: www. ma cni ter o i .c o m . b r
MECHELEN
BERLINO/1
“Newtopia”
Gabriel Orozco
La mostra ”Newtopia, the state of human 6 rights” è articolata in quattro sedi del territorio urbano di Mechelen, in Belgio, e intende mettere in relazione l’arte e il tema dei diritti umani. Oltre settanta artisti di diversa generazione, provenienza geografica e ricerca interpretano lo stato dei principi fondamentali dei diritti umani seguendone l’evoluzione negli ultimi cento anni. Tra gli artisti in mostra Yael Bartana, Mona Hatoum, Hans Haacke e Diango Hernández. L’esposizione coinvolge diversi spazi pubblici della città di Mechelen arrivando a estendersi fino a Bruxelles con una mostra satellite di Alfredo Jaar all’Ing cultural centre. Fino al 10 dicembre. Sedi varie, Mechelen, Belgio. Info: www. newto pia. be
Il rumore delle onde del mare, del vento e dei gabbiani accolgono i visitatori della mostra ”Asterism”, dell’artista messicano Gabriel Orozco. ”Asterism” è il diciottesimo lavoro che la fondazione Guggenheim di Berlino commissiona a un artista internazionale. Il tema centrale dell’opera di Orozco è l’incontro, quasi poetico, con gli oggetti del quotidiano e la tensione continua tra la natura e la cultura. Fino al 22 ottobre. Deutsches Guggenheim, Berlino. Info: www.deutsche-guggenheim.de
BERLINO/2 Le Polaroid di Helmut Newton
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Alla Helmut Newton foundation una mostra dedicata alle Polaroid del maestro della fotografia, tragicamente scomparso in un incidente stradale a Hollywood nel gennaio del 2004. «La Polaroid è un quaderno di appunti meraviglioso. La uso spesso per prendere la mia prima impressione di quello che faccio», dichiarava il fotografo tedesco. In mostra trecento Polaroid del maestro, in bilico tra arte ed erotismo, provenienti dalla collezione della moglie June Brunell Newton (conosciuta come Alice Springs). Fino al 20 novembre. Helmut Newton foundation, Berlino. Info: www.helm utnewto n.co m
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a cura di GIORGIA BERNONI
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NEW YORK Il secolo dei giochi ”Century of the child: growing by design, 19002000” è una mastodontica retrospettiva sul design, l’oggettistica e soprattutto i giocattoli con la riproposizione del meglio di un secolo a livello mondiale. In mostra reperti, video, modellini architettonici, libri e abiti, mappe e disegni. Oltre la grande esposizione, ad arricchire le sale del museo newyorkese anche spazi interattivi, giochi e giocattoli del futuro e del passato da esplorare con tutta la famiglia. Fino al 5 novembre. Moma, New York. Info: www.mo ma.o rg
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LONDRA/1
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PARIGI Fotografia italiana
Anish Kapoor
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1 Omnibot 2000 robot giocattolo 1985 2 Gian Paolo Barbieri Laura Alvarez Vogue Italia, 1976 3 Anish Kapoor “Untitled”, 2010 4 Bertozzi & Casoni, ”Regeneration” 2012 5 Gabriel Orozco ”Cats and watermelons”, 1992 6 Alfredo Jaar ”Untitled (Handshake)” 1985 7 Helmut Newton “Untitled”, 1976 8 Ahmed Mater ”Magnetism” 2012 9 Roberto Coda Zabetta, Non abbiamo più paura di avere paura urliamo la nostra ragione 2012
Anish Kapoor è uno degli artisti più significativi nel panorama dell’arte contemporanea internazionale. Nato a Bombay nel 1954, a diciannove anni si sposta in Inghilterra per iscriversi alla scuola d’arte. È degli anni ‘80 la sua amicizia con il proprietario e fondatore della Lisson gallery di Londra Nicholas Longsdail che ora gli dedica una grande retrospettiva. In mostra anche diversi lavori recenti dell’artista. Dal 10 ottobre al 10 novembre. Lisson gallery, Londra. Info: www.lissongallery.org
Artistocratic presenta, alla quarta edizione di Cutlog, un’esposizione con tre grandi nomi della fotografia italiana: Gian Paolo Barbieri, Mario Giacomelli e Ferdinando Scianna. I tre maestri danno vita a una mostra che tocca vari linguaggi della fotografia: l’immagine di moda negli scatti di Barbieri, quelle in bianco e nero della prima campagna di Dolce & Gabbana firmata da Scianna e l’astrattismo delle opere di Giacomelli. Dal 18 al 21 ottobre. Bourse de commerce, Parigi. Info: www.artistocratic.com
LONDRA/2 Bertozzi &Casoni ”Regenera tion,” nel suo doppio significato di nuova nascita e di recu pero, è il titolo della pers onale in cui gli artisti Bertozzi & Ca soni, c ondu cendo ancora u na volta la ceramica a ipnotici esiti mimetici, apro no a possibilità che c ontemplano la transizione, il mu tament o e il cambiament o. Del ma g ma ti c o ” tr a s h ” contemporaneo i due sono da tempo i più ric onosc iu ti ca nto ri capaci di trasformare il disordine in ordine. Dal 12 o tto bre al 10 no vem bre. All visual arts, Londra. Info: www.allvisualarts.org
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ILPADIGLIONE DELLA FELICITÀ La biennale di Shanghai dedicata a 30 città del mondo L’italia presenta Palermo vista da undici grandi artisti di LAURA BARRECA E DAVIDE QUADRIO*
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a Biennale di Shanghai ha scandito con le sue nove edizioni la vita culturale e i “trend” shanghaiesi, creando in Cina un contesto importante da cui prendere spunto e muovere nuove cose. La Biennale di quest’anno inaugura uno spazio espositivo enorme, 40mila metri quadrati, il più grande museo in Cina, e per la prima volta collega la Biennale alla città. Il progetto “City pavilion”, nuovo “format” espositivo della Biennale, coinvolge 30 città nel mondo e Palermo rappresenta l’Italia con la mostra Palermo felicissima, all’interno del progetto “Reactivation” ideato dai curatori Qiu Zhijie, Boris Groys, Jens Hoffmann e Johnson Chang Tsong-zung. Non crediamo debba sorprendere la scelta di includere Palermo all’interno del progetto dei “City pavilion”. Palermo, con la sua storia millenaria, ha la fortuna di avere all’interno del suo tessuto cittadino alcuni tra i più grandi tesori artistici del mondo, e soprattutto un potenziale di rinnovamento e un’energia intrinseca nel territorio che deve essere valorizzata e non dispersa, come purtroppo spesso accade. Palermo è la “porta d’Europa” e ricopre un ruolo fondamentale e decisivo nel Mediterraneo come centro di propulsione e scambio culturale. La possibilità offerta dalla Biennale di Shanghai è l’occasione per rappresentare la sua complessità attraverso lo sguardo degli undici artisti invitati. Palermo felicissima è il titolo liberamente tratto dall’omonimo testo dedicato ai beni artistici e monumentali di Palermo scritto nel 1932 da Nino Basile, e fa riferimento a un’immagine contemporanea di Palermo, una ricostruzione attraverso immagini e suggestioni di artisti che si rifanno a quello spirito avanguardista che l’ha resa una capitale industriale agli inizi del Novecento, città simbolo del Liberty, della moda, dell’industria e del design. Dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale che
In basso a a sinistra: Emma Dante mPalermu, 2001 cortesia dell’artista foto Giuseppe Di Stefano sotto: Massimo Bartolini, “Starless”, 2011 cortesia galleria Massimo De Carlo e Thierry Depagne a destra: Vanessa Beecroft, Vb62/Spasimo Palermo, 2008, Dvd proiezione video still da video, Edizione di 6, cortesia Lia Rumma. Performance commissionata da fondazione Goca, Palermo
L’EVENTO Un ritratto inedito La Biennale di Shanghai è curata da Qiu Zhijie con Boris Efimovich Groys, Jens Hoffmann e Johnson Chang Tsong-zung. Insieme alla mostra principale allestita nell’ex centrale elettrica Nanshi Power Plant, futuro Museo di arte contemporanea della città, hanno scelto di rappresentare le altre nazioni attraverso i ritratti di alcune città collegate al tema della Biennale, ”Reactivation” e alla città di Shanghai. È Palermo a rappresentare l’Italia, una Palermo felicissima raccontata da 11 tra artisti italiani e internazionali. Il progetto è a cura di Laura Barreca e Davide Quadrio. Attraverso le opere di Massimo Bartolini, Pina Bausch, Vanessa Beecroft, Manfredi Beninati, Emma Dante, Formafantasma, Stefania Galegati Shines, Guo Hongwei, Lee Kit, Laboratorio Saccardi e Francesco Simeti, Palermo Felicissima è un viaggio alla scoperta dell’identità di questa città, delle sue atmosfere e delle incredibili contraddizioni che la rendono unica in tutto il mondo. Dal primo ottobre al 31 dicembre, Museo d’arte contemporanea di Shanghai, Cina. Info: www.shanghaibiennale.com
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Stefania Galegati Shines ”Greetings from Palermo”, 2012 cortesia Francesco Pantaleone arte contemporanea, Palermo e Pinksummer, Genova
hanno devastato il cuore della città storica, è seguito il degrado e l’abbandono, ma anche una dimensione di libertà che ne ha fatto oggi meta non solo turistica, ma anche artistica di quei poeti, scrittori, registi, creativi che nelle loro opere sono riusciti a cogliere un’immagine viva e reale della città. Sono undici gli artisti tra italiani e internazionali che prendono parte alla mostra. Riuscire a descrivere una città complessa e contraddittoria come Palermo è un’impresa difficile, ma abbiamo creduto soprattutto nel criterio della diversità delle opere e nell’interdisciplinarietà delle arti, nella varierà dei linguaggi e ovviamente nella qualità dei progetti. Accanto agli artisti visivi, c’è infatti Emma Dante, una delle maggiori protagoniste del teatro italiano contemporaneo, insieme all’esperienza di Pina Bausch, che nel 1989 ha trascorso alcuni mesi nel capoluogo siciliano, conclusi con la produzione dello spettacolo Palermo Palermo. Allora come oggi, Palermo continua a vivere enormi contraddizioni, divisa tra la struggente bellezza del suo passato e la decadenza assoluta del presente. Eppure questa dicotomia la rende un luogo carico di suggestioni, dove l’esperienza del quotidiano può diventare straordinaria. Agli artisti abbiamo chiesto di rappresentare in qualche modo questa unicità, l’energia intrinseca che si percepisce sotto tante prospettive. L’immagine di Palermo appare allo spettatore della biennale profon-
damente nuova, reinventata, curiosa, anche un po’ bizzarra, e certamente lontana dagli sterili luoghi comuni che limitano la conoscenza della sua profonda ricchezza e varietà culturale. Per la sua storia e per le leggende che l’accompagnano, Palermo è sempre stata luogo di incontro e di fusione di linguaggi e tradizioni. Gli artisti che si sono appassionati alla città tanto da trasferirvisi sono diversi: tra questi, Stefania Galegati, a cui è stato affidato il racconto della Palermo contemporanea, degli scorci meno scontati e più reali, che solo lo sguardo disincantato di un’artista come Stefania può mettere a fuoco. Manfredi Beninati è tornato a vivere a Palermo dopo anni di permanenza all’estero. Francesco Simeti ha un rapporto diretto con la città e nel mese di novembre inaugurerà una personale alla Galleria d’arte moderna di palazzo Sant’Anna. Vanessa Beecroft, nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo, uno tra i più suggestivi monumenti architettonici del centro storico, ha trovato la scenografia ideale per la sua performance. Le opere della mostra offrono al pubblico internazionale della Biennale di Shanghai un’immagine contemporanea della città attraverso la scoperta dei luoghi, delle atmosfere, ma anche delle contraddizioni che rendono Palermo unica al mondo. *curatori della mostra Palermo Felicissima
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opo due edizioni di Affordable art fair Milano, e dopo 13 anni di esperienza in tutto il mondo (quest’anno raggiungiamo le 17 fiere in 14 città e 4 continenti) siamo contenti di sbarcare a Roma. La scelta è stata fatta considerando la grande attenzione per il contemporaneo che la capitale ha sviluppato negli ultimi anni, soprattutto dall’avvento del Maxxi e del nuovo Macro. La formula di Affordable art fair è semplice e rivoluzionaria allo stesso tempo. L’obbligatorietà del prezzo esposto e un ambiente rilassato e divertente costituiranno anche per Roma, come è accaduto per le altre sedi, un momento di avvicinamento importante tra artisti emergenti e appassionati d’arte. Tra questi, molti si tramuteranno in collezionisti per la prima volta. La collaborazione con realtà culturali importanti di Roma, come la fondazione Romaeuropa e il festival di Fotografia, testimonia il fatto che la città aspetti con curiosità e interesse l’arrivo di un “format” internazionale che ha cambiato le regole del gioco e che ha contribuito non poco alla nascita di un nuovo collezionismo, per il bene di tutto il sistema del mercato dell’arte. Ciò è maggiormente utile in un momento di stasi dello stesso, come quello che che stiamo vivendo attualmente.
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LA CITTÀ ASPETTA CON CURIOSITÀ L’ARRIVO DI UN “FORMAT” INTERNAZIONALE CHE HA CAMBIATO LE REGOLE DEL GIOCO
*direttore di Aaf
IL PREZIOSO SI FA ACCESSIBILE Alla Pelanda dal 26 al 28 ottobre Affordable art fair Il direttore Trevisan: un evento utile per il sistema dell’arte di MARCO TREVISAN*
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IL LOW COST RILANCIA IL MERCATO I pro e i contro della fiera con opere a basso costo Sbarca a Roma tra dubbi ed entusiasmo dei galleristi di MARIA LETIZIA BIXIO
Yoko d'Holbachie “Take me on the other side”, 2011 Sotto: Prat Pons “Sugar free”, s. d., cortesia Omnium ars Nella pagina a fianco: Lelli e Masotti Theatrum Instrumentorum 1 Petracchi, Napoli, 1982, cortesia Artistocratic
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af, acronimo di Affordable art fair, nonché “cool brand” del Regno Unito, è la principale fiera internazionale per l’arte contemporanea “low cost”: costo delle opere compreso tra 100 e 5.000 euro. Seppur giunta al suo tredicesimo anno di vita, passando per Londra, Bristol, Amsterdam, Bruxelles, Amburgo, Milano, Stoccolma, New York, Seattle, Los Angeles, Città del Messico, Singapore, Hong-Kong, giunge a Roma per la prima volta dal 26 al 28 ottobre negli spazi della Pelanda. Una politica coraggiosa, per certi versi criticabile, quella di aver ribassato gli schemi fieristici convenzionali, rischiando di convertirli in un vero e proprio “discount” dell’arte, specie in un momento in cui il mercato del contemporaneo stentava da tempo di fronte alla ben più salda rivalutazione del moderno. Del resto, è anche comprensibile come, con l’avanzare della crisi, le recenti sovravalutazioni delle poco credibili produzioni delle “art-star”, non potessero non subire un’inevitabile battuta d’arresto nelle vendite. In quest’ottica più di un senso assume Aaf, come strumento per superare l’impasse, ripartendo dal basso, richiamando i potenziali giovani collezionisti e i curiosi dell’arte non necessariamente addentro al mondo galleristico.
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«Utile e finalmente rivolta non solo al mondo dell’arte che può essere molto chiuso e autoreferenziale», dice la gallerista romana Stefania Miscetti. «Aperta e raggiungibile come dovrebbe essere l’arte contemporanea», continua, di tutt’altro avviso, Giorgio Galotti direttore della Co2, che aggiunge: «Purtroppo o per fortuna l’arte non deve essere per tutti, deve rivolgersi a tutti ma non deve per forza essere compresa da chiunque. Fare l’artista è una cosa seria, serve una vita per diventarlo. Diventare collezionista è ancora più difficile. Con l’acquisto di un oggetto da 200 euro ci si può divertire, ma a cosa serve? A mio avviso le fiere sono già troppe e già abbastanza in crisi». Era nel 1999 quando Will Ramsay, ideatore di Aaf, parlava di arte contemporanea accessibile, incentivando i giovani non milionari né esperti, a godere dell’acquisto a poco prezzo dell’arte originale; ideali che fanno suonare oggi un campanello d’allarme chiamato “tutela della qualità”, visti gli effetti distorsivi che spesso hanno sul mercato le vendite a
basso costo. Ciò non significa che il “bello” debba essere necessariamente “caro”, tutt’altro, ma mai come in contesti del genere è necessario adottare criteri di scelta responsabili e rigorosi, altrimenti si rischia di appiattire in un sol colpo qualità e creatività. Armando Porcari, direttore di The gallery apart, media saggiamente ribadendo come «da sempre la varietà e la diversità hanno significato ricchezza. L’arte in genere e quella contemporanea in particolare ne sono la dimostrazione più lampante e rassicurante. Nell’assoluto rispetto della qualità è benvenuta, quindi, ogni iniziativa che lasci spazio a tutto ciò pur nell’ambito di uno scenario fieristico già abbastanza frequentato». All’interno della fiera, da monitorare la sezione “Young talents” dedicata ad alcuni tra i migliori giovani artisti under 35, selezionati da Affordable, e il progetto con Lomography, finalizzato alla realizzazione di un filmato analogico sperimentale per testare nuove risorse per fare cinema, con l’intervento di Mariana Ferratto, Thorsten Kirchoff, Marina Paris.
L’EVENTO L’arte per tutti La fiera che ha creato migliaia di giovani collezionisti nel mondo, dopo Milano sbarca anche nella capitale con la partecipazione di 50 gallerie internazionali. Arte contemporanea dai 100 ai 5.000 euro: l’intenzione della fiera è quella di coinvolgere un nuovo pubblico abbattendo la paura di non avere gli strumenti per capire e le risorse per acquistare un’opera d’arte. Dal 26 al 28 ottobre, la Pelanda, ex mattatoio Testaccio, piazza Orazio Giustiniani 4, Roma. Info: www.affo rda bleartfair.it
In alto: Christina Thwaites ”Cousins”, s. d. cortesia Rvb arts
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GUTTUSO INTERPRETE DELLA PITTURA CIVILE NEL TEMPO PRESENTE A VENTICINQUE ANNI DALLA SUA SCOMPARSA IN OCCASIONE DEL CENTENARIO DELLA NASCITA RIAPRE AL VITTORIANO UN DISCORSO SULLA PERSONALITÀ COMPLESSA DEL PITTORE, RICONNETTENDOLO A ROMA
di ENRICO CRISPOLTI (CRITICO E STORICO DELL’ARTE)
LA MOSTRA Guttuso 1912-2012 A cura di Fabio Carapezza Guttuso ed Enrico Crispolti, un’antologica su Renato Guttuso sintetizza le esposizioni organizzate nell’ultimo quarto di secolo per ricordare il maestro di Bagheria, nel centenario della nascita. Alla pittura si affiancano le sezioni dedicate al disegno, attività a cui Guttuso si dedicò fin dagli anni ‘30, e al teatro con bozzetti di figurini dell’artista , fotografie di scena e locandine. Vengono inoltre presentate le opere che il pittore teneva per sé, nella sua collezione privata. Guttuso 1912-2012, catalogo Skira, dall’11 ottobre al 10 febbraio 2013, Roma, complesso del Vittoriano, via San Pietro in carcere. Info: 066780664 Renato Guttuso Autoritratto, 1975 collezione Guttuso foto Giuseppe Schiavinotto
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venticinque anni dalla sua scomparsa, in occasione del centenario della nascita in certa misura dilatato (giacché nato negli ultimi giorni del 1911, fu registrato nei primi del 1912), nel Vittoriano, fra gli ultimi mesi del 2012 e i primi del 2013, una intensa e serrata antologica, la prima in assoluto proposta a Roma (uno dei compiti mancati della Gnam, fra i numerosi: per esempio Cagli), riapre un discorso sulla personalità complessa di Renato Guttuso. Di fatto una sintesi delle numerose iniziative espositive organizzate, in questo quarto di secolo, in Italia e all’estero per ricordarlo. Le grandi rassegne in Germania e a Londra, ma soprattutto il ciclo di tre grandi esposizioni proposto, fra 1987 e 2007, dal museo Guttuso di Bagheria, dedicato alla documentazione dell’intero suo percorso creativo (comparata con concomitanti situazioni di ricerca, non soltanto europee). Una mostra che, nella prestigiosa sede storica in cui è proposta, nel cuore di Roma, a non molti passi dai suoi studi degli ultimi decenni, riconnette definitivamente Guttuso con la città dove è maggiormente vissuto, e che ha più amato. Giacché il suo rapporto con Roma è stato fin da principio molto intenso, approdatovi la prima volta nel 1931, partecipando ventenne alla prima Quadriennale romana. Soggetto di numerosi paesaggi urbani, dagli anni Trenta, e luogo di una intensa attività e straordinari rapporti e confronti. E, in un luogo di grande frequentazione quale il Vittoriano, la mostra (curata assieme a Fabio Carapezza Guttuso) risponde anche intimamente a quel carattere di volontà di dialogo con i propri contemporanei che, fin dai primi orientamenti di maturità giovanile (esponente, in tensione “realista”, di una fervida situazione “romana”), Guttuso ha ricercato quale sostanziale ragion d’essere, culturale e civile, del proprio fare pittorico: testimoniare il tempo vissuto nel suo accadere, intensamente parteciparne il racconto. Affermava: “il pittore vero s’immischia con la vita e le corre addosso con il suo mestiere (la sua vocazione) e coi suoi pen-
sieri, dipingendo e vivendo nel medesimo atto” (Telemaco, Appunti sulla pittura, in Il Selvaggio, numeri 34, Roma 1941, pagina 3). E che dunque: “La pittura va presa di petto, come ogni cosa decisiva non si può girarle attorno con più o meno raffinate carezze. È necessario entrare nel cuore della pittura per intenderne le ragioni” (Sulla pittura, L’ora, Palermo, 1 maggio 1934). Già introducendo il primo dei quattro volumi del mio catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso (Mondadori, Milano, 1983), suggerivo come la più convincente chiave di una rilettura della sua opera pittorica fosse in un’interpretazione “storico-civile” del suo operare (anziché in un’interpretazione ideologica, o in chiave realistica oppure espressionista, o esistenziale, o vitalistica, o psicologica, oppure totalmente pittorica, come altrimenti proposto). Più rispondente cioè al senso complessivo del suo deliberato essere in un presente storico determinato, facendosene appunto appassionato interprete, esponente di una coscienza civile di quel presente, configurandone di volta in volta in mitopoietica immagine pittorica, di corrispondenza collettiva, i momenti, i temi, le tensioni, le lotte e le speranze. Non per negare, nel suo percorso creativo, traguardi di forte densità emotiva e vivida intensità propositiva, ma per rendersi conto che tutti i suoi più alti e memorabili esiti di creatività pittorica muovono da fondanti motivazioni di occasioni di partecipazione ideologico-emotiva a coinvolgenti eventi storico-sociali, direttamente o indirettamente, testimoniati. Ma, a fronte di un assai solido patrimonio di conoscenze ormai acquisito, non v’è dubbio che una riconsiderazione della consistenza storica della creatività di Guttuso da un’ottica dell’oggi, cioè decisamente del “poi”, la si possa porre anche con tutta la libertà di un preminente sguardo consapevolmente successivo. Attraverso cioè quelle che a distanza possono apparire implicite anticipazioni, in quanto inattese aperture sul futuro. Che la mostra suggerisce numerose nella lunga vicenda della sua pittura.
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MILANO/1 Le identità di Salvatore Fiume
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Dal 24 ottobre al 23 dicembre, palazzo Pirelli di Milano ospita un’importante personale che celebra la figura di Salvatore Fiume (1915-1997), a quindici anni dalla sua scomparsa. Curata da Alan Jones, Elena Pontiggia, Laura e Luciano Fiume, la mostra, dal titolo Le identità di Salvatore Fiume, presenta 50 opere in grado di tracciare una sintesi della produzione artistica di Fiume nella pittura, nel disegno, nella scultura e nella ceramica. Palazzo Pirelli, via Fabio Filzi 22, Milano. Info: www.provincia.milano.it
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Edgar Degas, capolavori dal museo d’Orsay
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Il museo d’Orsay, che conserva le opere più rappresentative dell’opera di Edgar Degas, accetta di privarsi per quattro mesi di ottanta capolavori, tra dipinti, disegni e sculture, dando vita a una straordinaria rassegna che documenta tutta l’attività del maestro francese. La curatela della mostra è affidata a Xavier Re. Dal 18 ottobre al 27 gennaio 2013, Palazzina promotrice delle Belle arti, viale Crivelli 11, Torino. Info: www.mostradegas.it
Dal 26 ottobre la fondazione Stelline presenta per la prima volta in Italia in maniera completa ed esaustiva l’opera di Maxim Kantor, pittore e scrittore di origine russa. Il cuore dell’esposizione, a cura di Alexandr Borovsky e Cristina Barbano, è il portfolio Vulcanus, Atlas realizzato nel 2010, a cui fanno da cornice un nucleo di dipinti degli ultimi anni e alcuni esempi rappresentavi dell’intera attività pittorica di Kantor. Fino al 9 dicembre, corso Magenta 61, Milano. Info: www.stelline.it
1 Graham Sutherland “Poised form in a landscape”, 1969 2 Francis Bacon “Seated figure” 1974, cortesia The Estate of Francis Bacon 3 Wassily Kandinsky Due ovali (Composizione n. 218), 1919 4 Paul Klee Afide gigante,1923 5 Johannes Vermeer Ragazza con cappello rosso 1665/1666 6 Jack Smith “Untitled” 1958-1962 7 Maxim Kantor Ritratto di Marx 2011 8 Salvatore Fiume Via Raffele Carrieri 1948 9 Edgar Degas Ritratto di donna con vaso di porcellana, 1872
Maxim Kantor
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MODENA ”Changing difference” Inaugura il 20 ottobre alla Galleria civica di Modena, palazzo Santa Margherita e palazzina dei Giardini, la mostra ”Changing difference, queer politics and shifting identities”, a cura di Lorenzo Fusi. La mostra prende in esame il lavoro di tre influenti artisti, Peter Hujar, Mark Morrisroe e Jack Smith. Hujar, Morrisroe e Smith si muovono all’interno del difficile territorio che separa la visibilità e l’assimilazione della ”differenza”. Fino al 27 gennaio 2013, corso Canalgrande 103, Modena. Info: www.galleriacivicadimodena.it
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a cura di SILVIA NOVELLI
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FIRENZE Francis Bacon
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MAMIANO DI TRAVERSETOLO Graham Sutherland, il pittore che smascherò la natura Una grande mostra, a cura di Stefano Roffi, dedicata a Graham Sutherland, considerato, al pari dell’amico-rivale Francis Bacon, uno dei capiscuola della pittura britannica contemporanea. Sutherland è protagonista alla fondazione Magnani Rocca di un’attenta selezione di opere, in parte mai esposte, che documentano il suo percorso artistico. Fino al 9 dicembre, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma). Info: www.magnanirocca.it
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Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea, a cura di Franziska Nori e Barbara Dawson, propone il lavoro di artisti contemporanei che investigano il rapporto tra individuo e collettività. Le opere danno forma a stati d’animo e interrogativi che l’essere umano si pone nel rapporto con la sfera personale, il corpo e il mondo. I dipinti di Francis Bacon dialogano con i lavori di cinque artisti internazionali: Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau. Dal 5 ottobre al 27 gennaio 2013, Centro di cultura contemporanea Strozzina, palazzo Strozzi, Firenze. Info: www.strozzina.org
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Vasilij Kandinskij
Paul Klee e l’Italia
Dal 13 ottobre al 3 febbraio 2013, circa cinquanta opere di Vasilij Kandinskij, padre dell’astrattismo, provenienti dal Museo di stato di San Pietroburgo e da altri importanti musei russi, consentono di ripercorrere il cruciale ventennio del maestro, compreso tra il 1901 e il 1922. La mostra è ideata e curata da Eugenia Petrova, direttrice aggiunta del Museo di stato russo di San Pietroburgo in collaborazione con Claudia Beltramo Ceppi. Palazzo Blu, Lungarno Gambacorti 9, Pisa. Info: www.mostrakandinsky.it
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La Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea dedica una mostra a Paul Klee. Al centro dell’esposizione, curata da Tulliola Sparagni e Mariastella Margozzi, il suo amore per l’Italia. Esponente dell’astrattismo, Klee considerava l’arte come un discorso sulla realtà e non come una sua semplice riproduzione. Dal 9 ottobre al 27 gennaio 2013, Gnam, viale delle Belle Arti 131, Roma. Info: www.gnam.benic ultu rali.it
Finalmente a Roma una rassegna su Johannes Vermeer, massimo esponente della pittura olandese del XVII secolo. La mostra delle Scuderie del Quirinale, curata da Arthur K. Wheelock, Walter Liedtke e Sandrina Bandera, presenta un’accurata selezione di opere di Vermeer – rarissime e distribuite nei musei di tutto il mondo – e all’incirca cinquanta opere degli artisti olandesi suoi contemporanei. Fino al 20 gennaio 2013, via XXIV Maggio 16, Roma. Info: www.scuderiequirinale.it
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ROMA/2 Vermeer, il secolo d’oro dell’arte olandese
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DOLOMITI CONTEMPORANEE Vajont, sul luogo della tragedia inaugura il nuovo spazio espositivo di Casso di TERESA BUONO
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rende vita sulle Dolomiti il nuovo spazio espositivo di Casso, in provincia di Pordenone. Non il solito contenitore di mostre giacché nasce dalle macerie e dalla sofferenza e respira la tragedia, quella consumata la funesta notte del 9 ottobre 1963. Accadde allora che dal monte Floc si staccò una parte di montagna che precipitò nel sottostante bacino idrico delimitato dalla diga di Vajont. Ne scaturirono delle onde che distrussero completamente i borghi circostanti e la vita delle vittime, come quella dei sopravvissuti. La forza della natura, sollecitata dall’incuria dell’uomo, fu implacabile. Non rimase altro che dolore. È in questo dolore, in questo contesto ripiegato sul passato, che si innesta
l’azione di Gianluca D’Incà Levis, classe 1969, architetto, curatore e amante della montagna che conosce, che esplora che scala. Nel luglio del 2011 ha realizzato Dolomiti contemporanee. «Il format – dichiara il curatore – che prevede di utilizzare le Dolomiti come spazio tematico di stimolo per gli artisti e per i progetti culturali, il contesto della montagna sia come idea che come pratica in antagonismo alla logica del piattume». D’Incà Levis prosegue spiegando come avviene la scelta dei luoghi che sono perlopiù «edifici che non vengono utilizzati da anni per i quali non c’è un destino, non c’è un presente; quello che facciamo noi è inserirli all’interno di un progetto, ridargli vita». Dopo le ex fabbriche di Sass Muss e di Taibon, il curatore bellunese
passa ora a Casso: «la postazione di guerra alla morte», come la definisce, e riapre l’edificio distrutto 49 anni prima e rimasto chiuso facendone un «fattore di rivitalizzazione e vettore di impulsi positivi e propositivi». Lo scorso maggio la scuola, grazie al contributo della regione Friuli Venezia Giulia, è stata ristrutturata dall’amministrazione comunale che si è trovata nella condizione di dover rendere lo spazio alla collettività. Così D’Incà Levis ha visto in quella struttura architettonica razionalista il luogo perfetto per l’arte intesa secondo lo spirito di Dolomiti contemporanee. Non intervenire avrebbe significato abbandonare quell’edificio e con esso l’intero luogo al suo «naturale destino: sarebbe stato luogo della memoria, ma ce ne sono fin troppi
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Sotto e a destra: il nuovo spazio di Casso foto Sabrina Pasquali In basso: l’opera di Ericailcane e Kabu su una croda all’esterno dello spazio foto Giacomo De Donà
LA MOSTRA Bilico, collettiva di tredici artisti In bilico. Come la piccola frazione di Casso arroccata sul crinale della montagna. In bilico come il tempo, sospeso tra un passato tragico e un futuro che si fa fatica a progettare. Un equilibrio delicato nel tempo e nello spazio, in cerca di una rinnovata identità. Bilico è il titolo della mostra inaugurale nel nuovo spazio espositivo di Casso nonchè la tematica cui sono stati chiamati a sperimentare tredici artisti nella collettiva curata da Gianluca D’Incà Levis. Gli artisti in mostra sono Matteo Attruia, Michele Bazzana, Ludovico Bomben e Martina Ferretti, Luca Chiesura, Dimitri Giannina, Ericailcane, Gabriele Grones, Kabu, Tiziano Martini, Il moro e il quasi biondo, Derek Rowleiei, Mario Tomè, Jonathan Vivacqua. Fino al 28 ottobre. Nuovo spazio espositivo di Casso, via Sant’Antoni 1, Casso. Info: www.dolomiticontemporanee. net
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di questi e in un posto così chiuso su questa memoria che non libera i vivi, è necessario attivare un dispositivo vitale e, in qualche modo, opporsi all’inerzia che viene generata da un evento di questa portata». Inoltre, le Dolomiti e le montagne sono una visione del mondo, più in particolare una visione dell’arte e degli artisti: sono per il curatore «un meccanismo intellettuale per dire che a me interessa una pratica verticale e una pratica verticale è una pratica di ricerca. L’artista – prosegue – facendo ricerca, sperimentando, sale su come l’alpinista e l’arrampicata altro non è che una dimensione di ricerca e di esplorazione molto affine alla ricerca artistica.
La passerella del nuovo spazio di Casso che si protende verso il monte Toc foto Dardo
Per me aveva molta importanza creare il progetto, realizzare una sorta di scalata attraverso l’arte». All’inaugurazione del nuovo spazio in molti si sono inerpicati per la ripida, strettissima, strada che conduce al nuovo luogo del contemporaneo di Casso. E c’è da pensare che in futuro altri scalatori si inerpicheranno per l’erta stradina. D’Incà Levis sottolinea che «senza i progetti, le mostre sono solo decoro di uno spazio. Non mi importa niente di decorare uno spazio, voglio costruirlo, costruire uno scheletro e un’architettura di rete. Prima di fare esposizioni ed eventi bisogna edificare l’ossatura di un progetto».
LA SEDE Dalla distruzione alla rinascita L’edificio che ospitava la scuola elementare, distrutta la notte del 9 ottobre 1963, è stato ristrutturato dopo quasi cinquant’anni secondo il progetto dell’architetto bellunese Valentino Stelo. Lo spazio presenta un’architettura razionalista, ideale per ospitare mostre d’arte contemporanea. Il nuovo edificio, che fronteggia il segno della gigantesca frana, si proietta, attraverso un ponte sospeso, verso la diga e quella ferita ancora aperta.
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UN’ARMA CONTRO LA VIOLENZA: HALL
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lio Ferraro “gallery store” di Milano presenta la personale dell’artista italofrancese Ralph Hall, dal titolo Krudeltà ment’Hall. La mostra affronta le problematiche dell’illogica violenza dell’uomo sugli animali. Ventidue ceramiche e undici poster reinterpretati in chiave “sadistic”. «Dopo aver pugnalato alle spalle Gesù – afferma Hall – l’uomo si scaglia con violenza innaturale contro le creature perfette create dallo stesso Dio in cui ciecamente crede. Succo d’ipocrisia». Lame di puro acciaio tagliano la ceramica rendendo unico un gesto violento ma ricco di significati simbolici. Un Gesù di velluto blu pugnalato dà vita alla serie di ceramiche che raccontano il regno animale tradito dall’uomo. Anche gli occhi delle creature ricordano le sfumature del Gesù come a identificarsi nella sofferenza del loro creatore. Il “vernissage” in galleria ha sottolineato il forte interesse per Hall con ospiti di spessore, sia del mondo dell’arte che dei media. Valore aggiunto alla mostra un’emblematica videoinstallazione di protesta contro l’estinzione di alcune specie di animali e la “performance” che ha fatto discutere anche ad Art Basel in Svizzera. Per ore l’artista si è lavato i denti senza fermarsi arrivando a sanguinare come a purificarsi dal male e dalle brutture del vivere. Allievo spirituale di Marina Abramovic, Hall mette in gioco il suo corpo e la sua anima per riuscire a scoprire un mondo che vada oltre la volgare visone della realtà, immaginando nuove emozioni e cancellando l’atrocità del suo quotidiano senso di irrequietezza. In questo momento lo stilista dell’arte dedica ogni suo sforzo alla difesa dell’ambiente e degli animali. La scelta di utilizzare la ceramica si lega alla natura del materiale stesso. Vivo, umano, arcaico, legato all’uomo fin dalla sua nascita. Un ritorno alle origini presentato con una nuova lucentezza, opere di una bellezza terrificante, inquietante, ma cariche di espressività. Con questa collezione di pezzi unici, rigorosamente made in Italy, Hall vuole che l’arte entri nelle case come oggetto di design, lasciando al collezionista il privilegio di interagire con l’opera, provando l’emozione di estrarre il coltello per trafiggere, la scultura riuscendo così a rivivere il momento stesso della sua creazione. I poster in carta patinata opaca esaltano la lucentezza delle immagini in simbiosi con le sculture stesse. Fissati con fori ai quatto angoli estremi, come per rafforzare il legame con le pareti, nella loro ricercata semplicità sono lontani da costrizioni strutturali e tecniche, non vetri o cornici asettiche. Una libertà tattile con la possibilità di sfiorare l’immagine percependo vera tridimensionalità spirituale che sequestra lo sguardo senza nessun compromesso visivo. L’artista è stato inoltre ospite durante un evento collaterale di Vogue fashion night out Milano all’interno di Spazio Edit, una delle realtà più esclusive della città. Amico Cigli
A Milano la personale dell’artista italofrancese in difesa degli animali
In alto, a sinistra: Hall, Iguana, 2012 In alto, a destra: ”Blue stinger” 2012 Sotto: Pappagallo, 2012
LA MOSTRA Krudeltà ment’Hall La personale di Ralph Hall è visibile, fino al 30 ottobre, al gallery store Elio Ferraro, via Pietro Maroncelli 1, Milano. Info: www.elioferraro.com
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MASSIMO DE LUCA EMERGENTI IN LAGUNA A Mestre un nuovo spazio espositivo nella ex zona industriale: largo agli “under” 30 IL GALLERISTA E LA SEDE Grafico e collezionista Il nuovo spazio espositivo nasce nell’ex zona industriale della terraferma veneziana, oggi in pieno sviluppo artistico. Due loft gemelli di circa 250 metri quadrati ricavati in un fabbricato commerciale dei primi del Novecento. Un luogo che punta a diventare perno per l’arte contemporanea in un’area in mutazione dal respiro metropolitano. Il gallerista, Massimo De Luca, nato a Venezia il 21 febbraio 1964, è uno dei più importanti collezionisti d’arte di Mestre. Grafico, ha fondato uno studio in città, realizzando progetti per le principali istituzioni culturali, aziendali e commerciali cittadine. Lavorando fianco a fianco con artisti, fotografi e designer, sente crescere la passione per l’arte al punto da farne la sua professione. Galleria Massimo De Luca, via Torino 105/q, Mestre (Venezia). Info: www.massimodeluca.it
di ENRICO MIGLIACCIO
n ex magazzino commerciale della Serenissima riprende vita a Mestre grazie a Massimo De Luca con lo scopo di ridare slancio all’arte emergente italiana. Il collezionista veneziano decide di dare il proprio nome alla galleria investendo in pieno su se stesso. Spazi aperti, confini non tracciati, realtà studiate su misura delle nuove tendenze artistiche garantendone forte visibilità. La professionalità non si lega a nessun vincolo commerciale imposto dal mercato cieco e chiuso, ma vive del respiro puro dei giovani artisti. Una location che rende possibile la cooperazione tra le varie tecniche comunicative lontane da costrizioni strutturali. È lo stesso gallerista a illustrare il progetto dello spazio. De Luca, quali sono gli obiettivi principali della galleria?
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«Si tratta di una meravigliosa scommessa, che intendiamo portare fino in fondo. Io e mia moglie Marina Bastianello abbiamo deciso di aprire un nuovo spazio espositivo a Mestre perché questo costituisce per noi una doppia sfida: contrariamente a Venezia, Mestre non ha una tradizione artistica radicata ma è una città viva e pulsante che vive oggi un importante momento di trasformazione urbana, culturale e di ricerca di identità, e la galleria vuole contribuire a questo fermento. Inoltre, lavorare con i giovani artisti e promuovere le loro opere sul mercato è molto stimolante e adatto quindi al nuovo tessuto culturale che si sta formando, finalmente, in città. Sarebbe stata una scelta più sicura, ma di certo meno rivoluzionaria, aprire lo spazio espositivo a Venezia che sull’arte ha costruito la sua identità e ospita numerose gallerie e continuamente
ne vede aprire di nuove, ma anche chiudere o ripiegarsi su se stesse. Nonostante questo abbiamo deliberatamente scelto di aprire la galleria a Mestre». Come nasce questo progetto? «Ho lavorato come grafico per circa 20 anni, collaborando tra gli altri con Giorgio Camuffo e Sebastiano Girardi, con i quali alla fine degli anni ‘80 ho fondato uno dei più importanti studi di grafica veneziani, conosciuto in tutta Italia. A poco a poco però la mia passione per il mondo dell’arte è cresciuta a tal punto da trasformarsi in una professione, ed ecco che sono diventato prima collezionista e poi gallerista. Un percorso lungo il quale ho incontrato Andrea Bruciati, curatore brillante, impegnato nella promozione delle giovani generazioni di artisti, che ha avuto il merito di farmi avvicinare alle loro opere. Per questo motivo ho deciso di af-
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L’OBIETTIVO È OFFRIRE UNA VISIBILITÀ CONCRETA E QUINDI UN MERCATO A TUTTI I GIOVANI ARTISTI ITALIANI NON ADEGUATAMENTE RICONOSCIUTI
L’interno della galleria a sinistra: Massimo De Luca e la moglie Marina Bastianello foto Cristina Morandin
fidargli l’ideazione del progetto con cui la galleria si presenta al pubblico e agli addetti ai lavori, una doppia collettiva che non ha paura di osare o rischiare dando spazio ad artisti, tutti rigorosamente “under” 30, che a loro volta indagano la realtà senza paure né timori reverenziali. Il progetto traccia la via maestra che la galleria percorrerà da qui in avanti: attraverso collaborazioni e sfide sempre nuove, vorremmo diventare punto di riferimento per artisti, curatori e collezionisti, a partire da Mestre e non solo». Un gallerista con grande maturità in campo artistico, che idea ha dell’arte e come ne vede l’evoluzione? «Qui sarò molto breve e userò parole non mie ma di un artista che stimo profondamente, Maurizio Cattelan: “L’opera d’arte deve farti riflettere sul mondo in cui vivi, non decorarlo”».
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LA MOSTRA Ni dieu ni maître La galleria inaugura con Ni dieu ni maître, un progetto di Andrea Bruciati: sedici artisti e due collettive organizzate in successione. Una scelta forte e decisa per trasformare in una concreata realtà le modalità espressive di giovani artisti italiani under 30. Un percorso che si immerge nel panorama artistico nazionale ancora non adeguatamente studiato. «Gli artisti invitati – spiega Bruciati – fanno parte di quella generazione nata negli anni '80 che sta vivendo quell'età verde di transizione, un periodo accidentato e complesso ma foriero di una sperimentazione coraggiosa e ricca di potenzialità, che non abdica alla sua funzione conoscitiva profonda». Dal 4 ottobre all’11 novembre.
A sinistra: interno della galleria In alto, in senso orario: Vito Stassi “Mountain”, 2011 Dario Pecoraro “The big dawn” 2011 Giorgio Guidi “It’s just a matter of opinion”, 2011
Quali artisti inaugurano la galleria e quali intende presentare in futuro? «La collettiva Ni dieu ni maître vuole offrire uno spunto di riflessione sul ruolo delle giovani generazioni e, di conseguenza, dell’artista nella società contemporanea: i 16 artisti invitati per le due collettive fanno parte di quella generazione nata negli anni ‘80 ancora capace di sperimentazione profonda, di vera indagine della realtà. La “mission” della galleria infatti è proprio quella di offrire una visibilità concreta, e quindi un mercato, ad artisti italiani “under” 30 selezionati per rappresentare un panorama artistico nazionale non ancora adeguatamente indagato, portatore di linguaggi e contenuti differenti legati alla criticità della nostra società. I primi a esporre saranno Graziano Folata, Francesco Fonassi, Riccado Giacconi, Valerio Nicolai, Nicola Ruben Montini, Dario Pecoraro, Manuel Scano, Vito Stassi, Paola Angelini, Thomas Braida, Giulia Cenci, Teresa Cos, Giorgio Guidi, Rebecca Moccia ed Elisa Strinna. L’identità della galleria punta proprio alla valorizzazione dei giovani, e alla sinergia con i curatori che li promuovono, il resto lo faranno i collezionisti».
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COMO Agorà Miniartextil, curata da Luciano Caramel e giunta alla XXII edizione, è il punto di riferimento nel panorama artistico contemporaneo internazionale della ”fiber art”. Il tema di questa edizione è Agorà: un termine greco che definisce un’edizione aperta al confronto tra culture e tradizioni, con uno sguardo attento all’attualità. Il percorso prevede l’esposizione dei 54 minitessili finalisti del concorso e di grandi installazioni ”site specific” di artisti provenienti da tutto il mondo. Dal 6 ottobre al 18 novembre, villa Olmo, via Cantoni 1, Como e villa Carlotta, via Regina 2, Tremezzo (Como). Info: www.miniartextil.it
Lieu Municipal Lieu Municipal d'Art Contemporain d'Art Contemporain
Espace Le Carré Angle rue des Archives / rue de la Halle Tel 0033 3 20744696 www.mairie-lille.fr
TORINO “Atmosphere²”
Collaudi
Progetto ideato dai torinesi Pierluigi Pusole e Paolo Grassino, due fra i protagonisti della scena pittorica e plastica italiana affermatasi dopo la seconda metà degli anni ottanta. La mostra è curata da Gabriella Serusi. Dal 4 ottobre al 25 novembre, Fondazione 107, via Sansovino 234, Torino. Info: www.fondazione107.it
Collaudi, a cura di Guido Curto, è un modo di intendere l’arte senza strategie e condizionamenti. In mostra una selezione di lavori prodotti dai docenti e dagli studenti della scuola di decorazione dell’accademia Albertina. Dal 5 ottobre al 18 novembre, Mirafiori galerie, piazza Cattaneo, Torino. Info: www.mirafiorimotorvillage.it
CUNEO
GENOVA
Diario fotografico
Miró! Poesia e luce
Due tra i protagonisti del fotogiornalismo italiano: Mario Dondero e Pepi Merisio. In mostra la forza di uno scatto che racconta una storia al di là della parola. Esposizione a cura di Daniela Tronfio. Fino al 28 ottobre, fondazione Bottari Lattes, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo). Info: www.fondazionebottarilattes.it
Una rassegna esaustiva dell’opera di Joan Miró. La mostra, a cura di María Luisa Lax Cacho, presenta oltre 80 lavori mai giunti prima in Italia, tra cui 50 oli di sorprendente bellezza, ma anche terrecotte, bronzi e acquerelli. Dal 5 ottobre al 7 aprile 2013, palazzo Ducale, piazza Matteotti 9, Genova. Info: www.palazzoducale.genova.it
MILANO “Body worlds” La mostra celebra la meraviglia del corpo umano riservando un’attenzione particolare al cuore, il motore della vita, primo organo a formarsi dopo il concepimento. L’iniziativa divulga ed educa sui temi della salute. Dal 3 ottobre al 17 febbraio, Fabbrica del vapore, via Procaccini 4, Milano. Info: www.fabbricadelvapore.org
“Wildlife photographer of the year” Il museo Minguzzi di Milano riapre con la mostra itinerante del Natural history museum di Londra e del Bbc Wildlife magazine. In mostra 100 spettacolari fotografie naturalistiche. Dal 20 ottobre al 18 dicembre, museo Minguzzi, via Palermo 11, Milano. Info: www.wpymilano.it
“Passage”
Forme perdute
Prima personale in Italia dell’artista danese Marianne Grønnow, a cura di Lorella Scacco. In mostra una recente serie di lavori in cui emergono motivi astratti ispirati da quelli floreali, che si dispiegano attraverso linee e geometrie, intagli e rilievi. Fino al 10 novembre, Effearte, via Ausonio 1 A, Milano. Info: www.effeartegallery.com
Nella personale di Mauro Staccioli esposta un’opera in cemento a base circolare che si innalza per circa 330 cm di altezza, assottigliandosi a punta verso il soffitto. Al piano inferiore lavori appartenenti alla stessa tipologia. Fino al 21 novembre, A Arte studio Invernizzi, via Scarlatti 12, Milano. Info: www.aarteinvernizzi.it
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pagine a cura di MARIA LUISA PRETE
TORINO
I 99 PROTAGONISTI DI BECCHETTI Ritratti dei grandi della cultura di DANIELA BONI E ELISA PEROTTI*
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abloft è una nuova realtà espositiva che sostiene progetti di artisti locali e internazionali. Nel quartiere Borgo Dora, tra manifatture e palazzi post industriali della Torino del boom anni ‘60 Daniela Boni, Elisa Perotti, Adriano Dettori, Matilde Serrino, ideatori di Labloft, hanno dato vita a uno spazio laboratorio che vive vite parallele: spazio espositivo, studio fotografico, agenzia pubblicitaria e di design, manifattura a servizio della creatività concettuale. In linea con la sua mission, il 26 ottobre porta a Torino la mostra Protagonisti, 99 ritratti che hanno fatto la storia, di Sandro Becchetti, fotografo che da metà degli anni Sessanta ritrae i grandi protagonisti dell’attualità e della cultura, spa-
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ziando dagli acclamati attori, Dustin Hoffman, Anita Ekberg, Claudia Cardinale, Ugo Tognazzi, Piera degli Esposti ai registi Federico Fellini, Alfred Hichcock, Bernardo Bertolucci, i fratelli Taviani, Roman Polansky, dai grandi autori come José Saramago, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti, ad artisti come Andy Wahrol, Max Ernst, Giorgio De Chirico e Christo. *galleriste
Protagonisti, 99 ritratti che hanno fatto la storia di Sandro Becchetti. Dal 27 ottobre al 29 novembre, Labloft, via Lodi 25/e, Torino. Info: www.labloft25.it
“Germination”
Robert Wilson
Ttozoa è il nome d’arte dei due giovani avellinesi, Stefano Forgione e Pino Rossi, che insieme realizzano opere attraverso la proliferazione di muffe su tela, lasciando che queste divengano naturalmente evento artistico. Fino al 20 novembre, Novotel, corso Giulio Cesare 338, Torino. Info: www.dechiricogalleriadarte.com
Il progetto, a cura di Noah Khoshbin, propone cinquanta videoritratti di Robert Wilson dedicati a protagonisti dello ”star system” come Brad Pitt, Johnny Depp, Isabella Rossellini, Jeanne Moreau, ma anche a persone comuni e animali. Fino al 6 gennaio 2013, palazzo Madama, piazza Castello, Torino. Info: www.palazzomadamatorino.it
BRESCIA De rerum naturae
Vivian Maier
Quello di Arturo Delle Donne è progetto che esplora il passato, presente e futuro dell’umanità. L’artista ritrae il cibo con un simbolismo quasi pittorico, accentuando il rapporto fra alimento e cultura. Dal 6 ottobre al 17 novembre, Vision Quest gallery, piazza Invrea 4r, Genova. Info: www.visionquest.it
Vivian Maier coglie lo spirito e le contraddizioni dell’”american lifestyle”. Con lo sguardo tipico dei migliori ”street photographer”, racconta lo straordinario della vita quotidiana e i cambiamenti di costume. Fino al 15 novembre, galleria dell’Incisione, via Bezzecca 4, Brescia. Info: www.incisione.com
“Objekte”
“Black mass”
Le nuove sculture di Gehard Demetz non rappresentano figure umane. Sono particolari di architetture e oggetti estrapolati dal loro contesto che l’artista ricostruisce e scompone per dare forma a una personale riflessione sul sacro. Dal 4 al 27 ottobre, galleria Rubin, via Bonvesin de la Riva 5, Milano. Info: www.galleriarubin.com
La personale dell’artista canadese Ja son Gringler si compone di una monumentale installazione. In contemporanea, ”Dystown”, prima personale italiana del tedesco Martin Kobe. Fino al 31 ottobre, Brand New gallery, via Farini 32, Milano. Info: www.brandnewg a l l e r y .c o m
Màn
Fuoriclasse
Una mostra è una visione della mente. A partire da questa constatazione Paolo Chiasera estende i generi pittorici alle pratiche curatoriali, in una ”Exhibition painting”: mostra che si realizza all’interno della rappresentazione. Fino all’8 novembre, galleria Francesca Minini, via Massimiano 25, Milano. Info: www.francescaminini.it
La collettiva, curata da Luca Cerizza, riunisce una selezione degli artisti che hanno frequentato o ancora frequentano i corsi di Alberto Garutti nelle accademie di Bologna, Milano e Venezia. Dal 6 ottobre al 9 dicembre, Galleria d’arte moderna, via Palestro 16, Milano. Info: www.gam-milano.com
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VenezIa Enrico Castellani/Gunther Uecker
Francesco Jodice
enrico castellani e Gunther Uecker: due maestri dell’arte contemporanea, rappresentanti del Gruppo zero, per la prima volta insieme in Italia in un’esposizione, a cura di Lóránd Hegyi e Davide Di Maggio. Fino al 13 gennaio 2013, ca’ Pesaro, santa croce 2076, Venezia. Info: www.capesaro.visitmuve.it
La mostra di Francesco Jodice, a cura di angela Madesani, presenta foto da ”What we want”. Un osservatorio sulla modificazione del paesaggio visto come proiezione dei desideri della gente. Fino al 30 novembre, palazzo Palumbo Fossati, fondamenta della Malvasia Vecchia, san Marco 2597, Venezia. Info: www.galleriamichelarizzo.net
VIcenza Se il grano non muore
Sospensione
curata da Julia Draganović e elena Forin, la mostra di silvano Tessarollo presenta opere che raccontano uno spazio travolto da un evento la cui azione ha lasciato tracce profonde e incancellabili. Fino al 28 ottobre, ex chiesa dei santi ambrogio e Bellino, contrà s. ambrogio 23, Vicenza. Info: www.fondazionevignato.it
cristina Treppo presenta opere in cemento che riportano impresse delicate trame rubate a oggetti della memoria. In contemporanea, le opere di Toru Takeuchi, giovanissimo e promettente artista giapponese. Fino al 3 novembre, Yvonne arte contemporanea, contrà Porti 21, Vicenza. Info: www.yvonneartecontemporanea.com
TreVIso Le immagini della fantasia
BoLoGna Comportamento emergente
Le immagini della fantasia, nel loro giro planetario nel mondo della fiaba, fanno tappa in quel magico universo che è la russia, con un titolo – nel bosco della Baba Jaga – che evoca la bellezza delle fiabe di afanasjev e gli scenari infiniti di quel paesecontinente. La kermesse compie 30 anni e presenta oltre 350 illustrazioni provenienti da numerosi paesi, riflette sulle modalità espressive di oltre 100 illustratori e 50 allievi della scuola internazionale d’illustrazione. Dal 28 ottobre al 20 gennaio 2013, nuova casa della fantasia, sàrmede (Treviso). Info: www.sarmedemostra.it
La mostra di Gioacchino Pontrelli, curata da raffaele Gavarro, è il risultato di una coniugazione che la tradizione contemporanea pensa ormai molto difficile, quella tra pittura e realtà. I quadri assumono infatti un'esplicita dimensione installativa, qualificando inequivocabilmente lo spazio e aggiungendosi a elementi reali che vi si trovano, fino a concretizzarsi in veri e propri oggetti come tavoli o enigmatiche sculture che si addizionano alla realtà. Dal 5 ottobre al 24 novembre, galleria oltre Dimore, piazza san Giovanni in Monte 7, Bologna. Info: www.oltredimore.it
FIrenze Giuliano Vangi
Un orizzonte
Giuliano Vangi presenta la sua produzione più recente. Ta le opere in mostra, Veio: la scultura rappresenta un motociclista in bronzo, in sella a una vera moto Triumph Tiger 500. Fino al 18 novembre, galleria Frediano Farsetti, Lungarno Guicciardini 21/23 rosso, Firenze. Info: www.galleriafredianofarsetti.it
artan shalsi rilegge le forme della scultura classica con materiali contemporanei. Le sue Pieghe diventano in questo contesto delle chiavi di lettura della forma e un nuovo approdo alla poeticità del linguaggio scultoreo. Dal 20 ottobre al 23 novembre, galleria Il ponte, via Di mezzo 42/b, Firenze. Info: www.galleriailponte.com
FaBrIano
Pescara
“Rock-Paper-Scissors”
Anna Seccia
È anna Franceschini (Pavia, 1979) la vincitrice della XIII edizione del premio ermanno casoli, curato da Marcello smarrelli. L’artista è stata invitata a realizzare un lavoro di ricognizione del territorio di Fabriano. Dal 19 ottobre al 22 dicembre, elica, via Dante 288, Fabriano (ancona). Info: www.fondazionecasoli.org
attraverso l’interazione con l’artista le sinergie di diverse personalità si sono incontrate in un momento corale. È questo una prova della pittura connettiva di anna seccia dove ogni singola voce ha avuto pari dignità nella composizione finale. Dal 6 al 25 ottobre, sfera design, via caduta Del Forte, Pescara. Info: www.sferadesign.net
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INDIRIZZI D’ARTE_INSIDE ART 45
VERONA Il lato oscuro della luna
Le stanze dell’arte
La rassegna, a cura di Andrea Bruciati, indaga il lato oscuro della riflessione artistica. In mostra opere di Sergio Breviario, Stefano Calligaro, David Casini, Andrea Dojmi, Paolo Gonzato, Dacia Manto, Pietro Mele e Lucia Veronesi. Fino al 27 ottobre, Jarach gallery, San Marco 1997, Venezia. Info: www.jarachgallery.com
La mostra, a cura di Dionisio Gavagnin, presenta 50 artisti, del calibro di Carlo Carrà, Carlo Mollino, Giulio Paolini, Enzo Mari, Ugo La Pietra, accomunati dalla ricerca sul rapporto tra l’individuo e la casa. Dal 13 ottobre all’11 novembre, palazzo Taidelli, corso Vittorio Emanuele 61, Sanguinetto (Verona). Info: www.palazzotaidelli.it
BOLOGNA
RAVENNA
Roberto Sebastian Matta
Marco De Luca
Un omaggio a uno degli esponenti più significativi del surrealismo, nonché personaggio di cerniera tra le avanguardie del primo Novecento e l’astrattismo del dopoguerra: Roberto Sebastian Matta. Fino al 20 gennaio 2013, galleria d’arte Maggiore, via D’Azeglio 15, Bologna. Info: www.maggioregam.com
L’antologica di Marco De Luca, curata da Claudio Spadoni, presenta oltre 300 opere, considerate le più significative degli ultimi trent’anni e rappresentative del suo approccio innovativo alla tecnica del mosaico. Fino al 4 novembre, Museo d’arte della città di Ravenna, via di Roma13, Ravenna. Info: www.museocitta.ra.it
FERRARA
L’INCOMUNICABILE IN ESPOSIZIONE Camporesi omaggia Antonioni di MARIA LIVIA BRUNELLI*
ichelangelo Antonioni è un regista di fama internazionale che ha influenzato molti artisti con la sua poetica legata all’incomunicabilità e alla difficoltà dei rapporti tra uomo e donna. In occasione del centenario della nascita, il 29 settembre, Ferrara riparte con nuova energia dopo il terremoto e gli dedica due mostre, realizzate appositamente da Silvia Camporesi e da altri undici artisti dopo un lungo studio sull’opera del regista. Due mostre di grande suggestione per le tematiche e per gli spazi in cui sono ambientate (scorci ferraresi rinascimentali e ville immerse nel verde, già scenari dei film di Antonioni),
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entrambe ideate in collaborazione con l’associazione Michelangelo Antonioni. Oltre a ospitare queste due esposizioni, Ferrara è palcoscenico di una ricca serie di iniziative sulla figura di Antonioni e di una importante esposizione a palazzo dei Diamanti Lo sguardo di Michelangelo, Antonioni e le arti. *gallerista
Silvia Camporesi. Qualche volta, di notte, Omaggio ad Antonioni, a cura di Massimo Marchetti. Fino al 2 dicembre, corso Ercole I d’Este 3, Ferrara. Info: www.mlbgallery.com
LUCCA
ANCONA
Un passo indietro
De rerum fabula
Giorgio Brogi in una mostra ”site specific”, curata da Enrico Mattei e Lorenzo Bruni, presenta pitture, video-proiezioni ambientali e performance ispirate all’idea di compiere un passo indietro, ri-pensando costantemente il presente. Dal 20 ottobre al 4 novembre, villa Bottini, via Elisa 9, Lucca. Info: 058344214
Grande antologica di Valeriano Trubbiani, a cura di Enrico Crispolti, con sculture, ambientazioni, disegni e pirografie, realizzate dagli anni Sessanta al primo decennio del Duemila. Dal 20 ottobre al 17 marzo 2013, mole Vanvitelliana, banchina Giovanni da Chio 28, Ancona. Info: www.museoomero.it
PERUGIA
TERNI
Impermanente 8
Sirene
Introspettiva, meticolosa, paziente. Tre aggettivi che descrivono la personalità e il lavoro di Benedetta Galli. Una tecnica che trova i primi risultati negli assemblaggi del 2003, modificandosi nel tempo e divenendo sempre più raffinata. Fino al 6 gennaio 2013, Art style gallery, via Eugubina 2/b, Perugia. Info: 0755723892
Le opere di Raffaella Simone sono dedicate alla sirena, figura mitologica estremamente simbolica. L’artista si interroga sulla seduzione, l’incanto, l’ambivalenza e l’irresistibile pericolosità di questa figura metà donna e metà pesce. Fino al 20 ottobre, Salerosa, piazza Solferino 20, Terni. Info: 3204571689
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ROMA Afro, dal progetto all’opera 1951-1975 Dal centenario della nascita di Afro una mostra ne illustra il processo creativo. Dalle rivisitazioni delle avanguardie storiche fino all’approdo alle forme astratte. Dall’11 ottobre al 6 gennaio 2013, museo Bilotti, viale Fiorello La Guardia, Roma. Info: www.museocarlobilotti.it
Homo sine pecunia est imago mortis
Cosa ferma le altalene? La mosta, curata da Flavia Montecchi, è un dialogo tra le opere dell’artista Marisa Albanese e i lavori della giovane Cristina Falasca. Tema: la disperzione di comunicazione. Dall’11 ottobre al 12 novembre, Studio d’arte contemporanea Pino Casagrande, via degli Ausoni 7, Roma. Info: www.pinocasagrande.com
Io e Calliope
Sonya Orfalian propone un’installazione che rimuove il significato emblematico del denaro, attraverso la cancellazione dei suoi simboli. Dal 25 ottobre al 7 dicembre, Whitecubealpigneto, via Braccio da Montone 93, Roma. Info: www.whit ec ubealpigneto.c om
Attraverso il genere del fotoromanzo Ileana Florescu si racconta per interposta persona traducendo in immagini (12 ”light box”) brani di dialoghi selezionati da capolavori della letteratura internazionale. Fino al 31 ottobre, Casa delle letterature, piazza dell’orologio 3, Roma. Info: www.casadelleletterature.it
Incanti di donne
“Ring”
Personale del pittore e poeta algerino Brahim Ac hir. I suoi dipinti propongono la visione di donne divine e paesaggi onirici. Un racconto sul mistero della natura. Fino al 20 ottobre, galleria Arché arte nel tempo, via del Pellegrino 59, Roma. Info: www.arc he-arteneltempo. com
”Ring” di Paolo Bielli è un cerchio dove la forza e l’erotismo sono evidenti, al punto tale che sembrano troneggiare lo spazio dei re eroici, ma senza corona. La mostra è curata da Vincenzo Mazzarella. Fino al 16 ottobre, Palazzetto art gallery, via delle Botteghe oscure 34, Roma. Info: www.palazzettoartgallery.com
BARI
CATANZARO
Pino Pascali, cinque bachi da setola e un bozzolo
Geometrie del desiderio
Fabio Sargentini, gallerista e mentore di Pino Pascali, ricostruisce filologicamente la mostra dei ”bachi da setola”, allestita nel marzo del ‘68. Fino al 25 novembre, fondazione museo Pino Pascali, via Parco del Lauro 119, Polignano a Mare (Bari). Info: www.museopinopascali.it
Una mostra tra parole e immagini dedicata al poeta Silvano Trevisani. Dieci artisti intonano linguaggi differenti muovendosi nella periferia di un immaginario mediterraneo. A cura di Roberto Lacarbonara. Dal 6 ottobre al 14 novembre, Centro open space, via Romagna, Catanzaro. Info: 096161839
ROMA Pizzi Cannella Un progetto di ben tre mostre parallele e simultanee – Le regine, Almanacco e Quadreria Roma – ideate da P iero P izzi Can nella appositamente per le sale del palazzo cinquecentesco Muti-Bussi. A unirle un rinnovato piacere di fare pittura a colpi di pennello intriso di una densa materia cromatica, con un vigore di impasto che ricorda l’accesa policromia delle più crude immagini della pittura spagnola seicentesca. A cura di Cesare Biasini Selvaggi. Dal 19 ottobre al 20 gennaio 2013, galleria Mucciaccia, piazza d’Aracoeli 16, Roma. Info: www.galleriamuc ciac cia.it
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a cura di TERESA BUONO
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“Look mommy I scribbled!” Attraverso le tavole originali realizzate per il libro Permafrost, sculture e installazioni ”site specific”, Marco Raparelli ci restituisce una critica sottile a ciò che viene considerato normale nella società. Dal 26 ottobre al 30 novembre, Ex elettrofonica, vicolo Sant’ Onofrio 10, Roma. Info: www.exelettrofonica.com
“Postcard from… Allison Katz” La mostra, curata da Michele D’Aurizio, presenta la ricerca di Allison Katz sulle contraddizioni storiche della pittura – astrazione/figurazione, illusionismo/decorazione, espressione/maniera – per abbracciarle e farle proprie. Fino al 7 novembre, fondazione pastificio Cerere, via degli Ausoni 7, Roma. Info: www.pastificiocerere.it
“Made to Measure videos and drawings” L’artista Maya Zack sonda il rapporto tra video e disegno in un’installazione tra dentro e fuori, senso e non senso, realtà e rappresentazione. Fino al 17 novembre, galleria Marie-Laure Fleisch, vicolo Sforza Cesarini, Roma. Info: www.galleriamlf.com
Santi, sultani e gran capitani in camera mia Per il centenario della nascita di Elsa Morante una mostra presenta gli autografi dei romanzi incompiuti, racconti inediti, scritti di e sul cinema e i quaderni d’infanzia. Fino al 31 gennaio 2013, Biblioteca nazionale, viale del Castro Pretorio, Roma. Info: www.bncrm.librari.beniculturali.it
NAPOLI “Girlbook/boybook”
Eden
La personale di Cristina Gardumi, curata da Chiara Pirozzi, è un’indagine sull’intimità e il fascino del femminino come della mascolinità con le rispettive peculiarità immutabili. Dal 5 ottobre al 30 novembre, Dino Morra arte contemporanea, via Carlo Poerio 18, Napoli. Info: www.dinomorraartecontemporanea.eu
La mostra presenta 30 lavori di Oreste Zevola realizzati con la tecnica dell’intaglio su cartoncino. Zevola dà forma a un’inedita interpretazione concettuale dell’Eden descritto negli antichi testi. A cura di Maria Savarese. Fino al 17 ottobre, Pan, via dei Mille 60, Napoli. Info: www.palazzoartinapoli.net
PALERMO “The ruin gazer” La personale del giovane artista italiano Enrico Piras presenta un corpus di lavori incentrati sulla figura dell’architetto di Hitler Albert Speer, di cui elabora la profonda passione per le rovine architettoniche e l’idea di un viaggio immaginario. Fino al 14 novembre, Zelle arte contemporanea, via Fastuca 2, Palermo. Info: www.zelle.it
ROMA
ANIME NOMADI VERSO LA LIBERTÀ In mostra Kokocinski e Donelly di CRISTIAN PORRETTA*
Sevilla – Palermo Palermo – Siviglia Il progetto, giunto alla seconda tappa, è un confronto tra l’arte contemporanea andalusa e siciliana. Un dialogo tra gli artisti delle due terre. Dal 5 ottobre al 5 novembre, spazio Cannatella, via Papireto 10, Palermo. Info: www.massimocannatella.it
espressione artistica di Alessandro Kokocinski e Anne Donnelly è il risultato di due vite protese verso la ricerca della libertà, mai dome nel loro girovagare ricco di storie, avventure e passioni struggenti. Artista dal talento eccezionale, Kokocinski è presente da anni nei musei e nelle collezioni pubbliche di tutto il mondo. Nei suoi lavori genio e capacità tratteggiano dramma e poesia; il realismo visionario che caratterizza le sue opere riesce a scandagliare la vita dell’uomo fino a toccarne i recessi dell’anima. Saranno esposte carte, sculture e tele in gran parte inedite, fornendo una visione completa della produzione artistica di Kokocinski. Pittrice
L’
di origine irlandese, Anne Donnelly unisce a un’elegante raffinatezza tecnica un’intensa potenza espressiva. Le opere a china e a olio presentate in questa mostra descrivono atmosfere fuori dallo spazio e dal tempo e raccontano il viaggio e il mondo vissuto dall’artista insieme al marito e scrittore Carlo Mazzantini, padre di Margaret. *gallerista e curatore della mostra
Anime nomadi, Alessandro Kokocinski e Anne Donnelly, a cura di Raffaella Renzi e Cristian Porretta. Dal 12 ottobre all’11 novembre, galleria d’arte Spazio 120, via Giulia 120, Roma. Info: www.spazio120.it
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a cura di SILVIA NOVELLI
MILANO A. R. Penck
BRESCIA Pop italiano
VENEZIA Tiravanija
Tra continue ondate di gente si è aperta la mostra dell’artista tedesco A. R. Penck: dipinti e sculture che ricalcano una tendenza neoespressionista. Presenti noti architetti come Stefano Piani e Matteo Muggianu (nella foto) oltre ad artisti quali Bob Krieger e Piero Addis. Fino al 30 novembre. Cardi black box. Info: www. cardiblackbox. com (V. C.)
Vernissage affollato per la collettiva dedicata alla pop art alla galleria Ab/arte di Brescia. Apprezzata la cura di Andrea Barretta e l’allestimento di Riccardo Prevosti, ma anche alcune opere esposte come Propaganda (Esso) di Schifano o Marylin di Rotella. Tra gli ospiti Flavio Bonardi, l’attore Sergio Isonni e l’artista Carla Galli. Info: www.abarte.it (A. B.)
Mancava solo l’artista, il tailandese Rirkrit Tiravanija, alla presentazione, in occasione della Mostra internazionale di architettura di Venezia, del suo film in anteprima mondiale: ”Untitled 2012 (a study for Karl’s perfect day) or ( the incomparable Karl Holmqvist)”. Ma il successo di pubblico e critica non è certo mancato. Info: www.zueccagallery.com (S. N.)
LILLE Presentato il Talent Prize Dal sindaco, Martine Aubry, al vicesindaco, Catherine Cullen (nella foto al microfono con, a sinistra, Sophie Cnapelynck ), alle massime autorità culturali: in tre giorni a Lille abbiamo presentato il Talent Prize a tutti. Il momento centrale è stata l’inaugurazione della mostra a l’Espace le Carré dedicata agli artisti dell’atelier Wicar e alla ”joint venture” con il Talent Prize e con Inside Art. La presentazione fatta da Sophie Cnapelynck, mia moglie, che è di Lille e lì ha fatto l’école d’art, è stata perfetta. Una fiamminga francese che parla nella capitale delle Fiandre: di più proprio non si poteva fare! Alla fine applausi e parole di grande apprezzamento per le nostre attività dedicate all’arte e ai giovani talenti. Insomma, una grande accoglienza che ci ha fatto piacere anche perché abbiamo constatato che il soggiorno a Lille, una vera capitale della cultura, per il vincitore del Talent Prize sarà una grande opportunità di crescita. (Guido Talarico)
ROMA Liu Bolin
ROMA Andrea Dojmi
AGRIGENTO Schiavocampo
Angelo Bucarelli, Cesare Romiti, Adriana Polveroni, Emanuela Avallone, Paolo Cuccia, Giuseppe Pietroniro: sono solo alcuni degli ospiti accorsi al vernissage dell'artista cinese Liu Bolin (nella foto con Beatrice Benedetti, Maria Vittoria Marini Clarelli e Giorgio Gaburro) al museo Andersen di Roma. Tutti curiosi di incontrare l’artista invisibile, in mostra fino all’11 novembre. (L. B.)
Alla Co2 di Giorgio Galotti (nella foto) approda ”The isle of the dead”, personale di Andrea Dojmi. Un corteo di artisti e collezionisti unito al presidente della provincia Nicola Zingaretti e a Lord Nicholas Windsor dei duchi di Kent, aggira un bunker sotterraneo: uno spazio volutamente distorto. Fino al 24 novembre. Info: www.co2gallery.com (M. L. B)
Alle Fam di Agrigento il viaggio creativo di Paolo Schiavocampo. Tra pittura e scultura la prima antologica siciliana dedicata all’artista palermitano. All’inaugurazione erano presenti vari artisti, il prefetto di Agrigento Francesca Ferrandino e personalità del mondo culturale e istituzionale. Fino al 14 ottobre. Info: www.ottocentosiciliano.it (M. G.)
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LILLE, UN PROGETTO CHIAMATO CULTURA Debutta “Fantastic”, quattro mesi di grandi eventi dedicati all’arte di MARTINE AUBRY*
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opo Lille 2004 abbiamo continuato a far vivere lo slancio culturale che ha infuocato e ha fatto risplendere il nostro territorio. Far rivivere quello slancio, vuol dire appoggiarsi alla convinzione che l’arte e la creatività sono degli spazi che uniscono emozione e riflessione, straordinari quanto preziosi per il vivere insieme, in un mondo dove il rinchiudersi in se stessi ha preso il sopravvento. Far rivivere quello slancio, vuol dire testimoniare quanto lo sguardo di questi artisti sul mondo sia stato da sempre pertinente e giudizioso, soprattutto in un’epoca come la nostra dove lo spirito critico e il tempo dell’analisi sono messi male. Nel cuore della nostra Eurométropole, l’associazione lille 3000 ha considerevolmente contribuito ad amplificare queste dinamiche dando vita a degli eventi tanto precisi quanto popolari, dalle varie stagioni tematiche ai nuovi appuntamenti della gare Saint Sauveur, dalle grandi mostre del Tripostal a Futurotextiles in tournée nel mondo. Dopo aver esplorato l’India – nella prima edizione ndr – e in seguito le molte facce dell’Europa, lille 3000 ci conduce oggi in un nuovo strano universo, magico e intrigante. Noi lo chiamiamo “Fantastic”. Per quattro mesi, esploreremo una programmazione abbondante, invitando grandi nomi e giovani rivelazioni della creazione contemporanea nazionale e internazionale. Tra metamorfosi urbane, mostre importanti in tutti i nostri luoghi culturali – molte delle quali frutto di ricche collaborazioni con grandi gallerie e prestigiosi musei francesi e internazionali – spettacoli e festeggiamenti fuori dal comune, eventi dedicati al design o alle scienze, “Fantastic” è un invito al sogno e all’evasione che la durezza delle nostre società ha tendenza ad alterare. Immergendo la città in un’atmosfera sovrannaturale e stupenda, Fantastic ci farà perdere tutti i nostri riferimenti grazie a delle installazioni sorprendenti, come un disco volante o un gigante spettinato che fluttuano nelle stazioni, una casa rovesciata come se fosse caduta dal cielo o una nuvola di nebbia in movimento. Sconvolgendo le nostre percezioni, gli artisti interrogheranno il nostro rapporto col mondo. Come fecero i pittori fiamminghi nel XVI secolo (il palazzo delle Belle arti di Lille li consacrerà con una magnifica mo-
stra), molte opere contemporanee interpretano con forza il ruolo dell’uomo sulla terra. Che si tratti della costituzione dei miti fondatori o della relazione uomo-natura, la frontiera tra il reale e l’irreale è sempre tenue. E ci si può solamente interrogare sulla nostra volontà – molto umana – di dominare il corso del mondo e la realtà. Lasciare le frontiere della realtà vuol anche dire confrontarsi con l’innovazione e con il futuro così affascinanti perché ci aprono sempre più porte verso la modernità. Questa modernità si esprimerà nella mostra “Futurotextiles 3”, presentata in una nuova versione, attraverso il grande evento euro metropolitano “Pop up design” o, ancora, nell’incontro con la fantascienza o con i mondi virtuali. Il viaggio si preannuncia appassionante tanto per le sue emozioni visuali e sensoriali che per la profondità delle sue problematiche. Fantastic è stato concepito come una grande festa da vedere quanto da vivere. Perché a ogni spettatore basta fare un solo passo per diventare protagonista dell’evento, creando ciascuno una propria maschera stravagante per la parata, partecipando a delle esplorazioni fantastiche o esponendo la propria collezione di oggetti improbabili. L’appuntamento è per il 6 ottobre, con l’imperdibile parata di apertura che darà il via a questa edizione: attorno a giganti come Nick Cave, alle performance uniche di Jean-Charles de Castelbajac, all’orchestra nazionale di Lille diretta da Jean-Claude Casadesus, alle armonie dell’Eurométropole e del Groupe F, la dismisura e il paranormale raggiungeranno la città trasformata per diventare… “Fantastic”. *Sindaco di Lille Presidente di Lille métropole (traduzione di Sophie Cnapelynck)
Nick Cave “Pink bunny boy”, s. d. foto James Prinz, Chicago cortesia dell’artista e Jack Shainman gallery New York In alto: Martine Aubry
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IL BOOK RACCONTATO DALL’AUTORE
IL SILENZIO DELLE COSE NON FATTE L’Aquila a tre anni dal sisma: distruzione e voglia di ricostruire di GIANNI BERENGO GARDIN
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l progetto dedicato all’Aquila nasce in collaborazione con One group: due amici aquilani, Francesca Pompa e Duilio Chilante, mi hanno chiesto di fare qualcosa per la città, dato che a tre anni dal sisma ancora non si muove nulla. Nel corso della mia carriera ho avuto modo di raccontare altri terremoti, da quello in Friuli a quello in Emilia. E dalla mia esperienza posso dire che L’Aquila è uno dei peggiori con intere strade distrutte: il terremoto non ha colpito solo alcuni quartieri ma ha devastato l’intera città. La cosa più impressionante è il silenzio che c’è per le strade. Non passa nessuno; non c’è nessuno. Non ci sono i bambini che giocano, le donne che fanno la spesa, la gente che va in ufficio. C’erano solo quattro cani abbandonati che giravano. E io, che sono abbastanza vecchio, ricordo a Roma com’era San Lorenzo dopo il bombardamento degli americani nel ‘43. Avevo 14 anni ed era la stessa cosa. I cani randagi che giravano abbandonati per la città, le case puntellate e questo silenzio di morte. Sono stato all’Aquila dieci giorni, fotografando la zona rossa, le strade deserte e alcuni interni oltre alle persone: il pittore, l’antiquario, il restauratore, il gioielliere, l’incorniciatore. Le stesse persone che ho incontrato la prima volta che sono andato all’Aquila e che oggi sono costrette a vivere nelle baracche. La prima volta ero andato all’Aquila per visitare una delle più belle città d’Italia. Oggi torno con un’amarezza dovuta al fatto che non è stato fatto nulla. Il progetto è solo una goccia in mezzo al mare, ma insieme a tanta gente che si batte per cambiare le cose, anch’io spero di aver dato il mio piccolo contributo.
Al centro: un ritratto di Gianni Berengo Gardin In alto: Piazza S. Margherita il Palazzetto dei Nobili e palazzo Camponeschi Piazza S. Margherita, la trasfigurazione Sotto, da sinistra: Corso Vittorio Emanuele II da sempre punto di passaggio privilegiato per la città Gli stessi portici ora colmi di silenzio : Via Sassa, studio dell’artista Marcello Mariani in una chiesa sconsacrata e lo studio dopo la scossa Cortesia Gianni Berengo Gardin/Contrasto
Gianni Berengo Gardin L’Aquila prima e dopo Contrasto 128 pagine 29 euro
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IL FOTOGRAFO E LA MOSTRA Vincitore del World press photo Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930. Nel 1963 vince il World press photo. Dopo essersi trasferito a Milano si dedica principalmente alla fotografia di reportage, all’indagine sociale, alla documentazione di architettura e alla descrizione ambientale. La mostra L’Aquila prima e dopo, fotografie di Gianni Berengo Gardin, a cura di Alessandra Mauro e Suleima Autore, è in programma fino all’11 novembre al museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1B) nell’ambito del festival Fotoleggendo. Info: www.museodiromaintrastevere.it
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LA TRADIZIONE NON È QUALCOSA CHE SI EREDITA, È QUALCOSA CHE SI CONQUISTA LA RELAZIONE CHE IL PITTORE HA CON LA PROPRIA RICERCA INEVITABILMENTE ANDRÀ A RELAZIONARSI E SCONTRARSI CON IL TEMA DELLA MEMORIA
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ARCHEOLOGIA E MEMORIA DEI MATERIALI Olio, cenere e petrolio: nelle tele di Andrea Mariconti la materia da elemento diventa essa stessa opera di DEIANIRA AMICO
Andrea Mariconti Anamnesis moher 38 2011
el cuore di un campo di covoni, un cretto mette in discussione la bidimensionalità della tela: da elemento costitutivo dell’opera, la materia diviene l’opera stessa. Segni e scalfiture, sfogliamenti e stratificazioni, superfici spesse e aspre, fatte di tinte cupe e terrose, grumi di materia vitale, rievocano le proprietà fisiche dei materiali utilizzati: olio, cenere e petrolio. Andrea Mariconti si misura con la natura, in primo luogo con il paesaggio, poi col ritratto; a volte con approccio romantico, nascondendo le impronte dell’uomo, a volte con l’impetuosità gestuale di uno stile personalissimo che annulla il divorzio tra astrazione e realismo. I suoi lavori raccontano le tracce preesistenti di storie, biologie e biografie che esistono nel materiale prima che venga manipolato dalle mani del pittore, invitando lo spettatore a cogliere la stratificazione semantica all’interno dell’opera. Un po’ archivista un po’ sciamano, Mariconti lavora sullo studio e la memoria del materiale, perché, come dichiara lui stesso, «la cenere è corpo di un’eredità. In essa è custodita la memoria del territorio, la vita del legno combusto e purificato. Con la cenere incorporo nuovamente il tessuto dell’esistenza ridefinendo la materialità di ogni rappresentazione. Ogni colore è dato esclusivamente dalla cromìa naturale della singola materia. Gli oggetti, le sostanze, non sono simboli astratti, non vengono usati come metafore. Essi sono, nell’essenza». Ma nelle sue opere l’uso del materiale di scarto non ha valore solo perché esprime il messaggio della sua essenza: esso è sempre me-
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diato da un’estetica ricercata, nobilitato da una tecnica seicentesca di velature, dove l’ultimo intervento è lo sgocciolìo del pennello intriso di colore bianco che direziona la luce e intensifica lo slancio vitale della pittura. Come nell’ultima personale a Lodi, dal titolo Storia naturale. «È un titolo che ritengo particolarmente evocativo, si riferisce sia all’idea di archiviazione di un campionario di materiali sia alla sfera esplicitamente naturale. Nonostante l’incursione dell’olio di motore la mia ricerca rimane strettamente correlata al reame della natura». Le tue opere condividono con la scultura l’attenzione al materiale e con la fotografia l’occhio al taglio compositivo. Qual è il rapporto con l’una e l’altra forma artistica? «La scultura, più frequentemente rispetto alla pittura, si è interrogata sul senso della manipolazione e della trasformazione dei materiali. Credo che il mio lavoro conservi una sensibilità scultorea anche quando si tratta di lavorare sulla bidimensione. La fotografia, invece, per me è sempre stata di supporto al disegno e alla pittura. Le mie fotografie fissano un soggetto nella forma e nella memoria, sono sempre pensate in relazione al quadro futuro. È per me utile tenere un archivio di tutti i luoghi visitati, e da questo estrapolare dei soggetti per le mie opere. Fotografie che posso ritenere autosufficienti, come opere d’arte in sé, ne ho realizzate alcune, ma sono una cosa rara». Utilizzi una tecnica a origami che frammenta l’immagine, per poi ricomporla, in “planimetrie della memoria”. Come si sviluppa questo processo creativo?
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«Si tratta di manipolare l’immagine dipinta una volta terminata, di cercarne le corrispondenze segrete e i diagrammi celati dietro il soggetto. L’origami è un gioco che consente di svelare la natura segreta delle forme, di creare relazioni e corrispondenze. Inoltre pone un soggetto in una dimensione spaziale, di ambiente, e per me questo è estremamente importante perché si lega al concetto di canone. La ricomposizione avviene sia per sottrazione che per addizione, il processo creativo è un continuo esplorare, attraverso il pensiero manuale, le potenzialità della forma e della materia». Il tema della traccia umana in paesaggi desolati è spesso ricorrente; a volte sembra assumere i tratti di un viaggio iniziatico alla riscoperta delle radici di un’umanità dispersa. Come intendi la relazione tra paesaggio e figura umana nella tua opera? «Ho recuperato il concetto di canone. Non in senso formale ma concettuale. Il canone
antico, pensiamo a Policleto, è una relazione tra una parte microcosmica e una macrocosmica. Un frammento del corpo umano viene relazionato alla figura intera e, estrapolata una proporzione concettuale, essa veniva applicata a edifici di funzione civile o religiosa. È come se l’uomo, la cui centralità era totale, andasse a contraddistinguere le forme dello spazio che quello stesso uomo andrà ad abitare. Il rapporto tra uomo e ambiente nel mio lavoro ricalca tale concetto, in una simbiosi anche più creaturale, più viscerale e arcaica». A proposito del tema della memoria e dell’eredità culturale, qual è il tuo legame con la tradizione pittorica? «La tradizione pittorica impone una scelta. La tradizione non è qualcosa che si eredita, è qualcosa che si conquista. La relazione che il pittore ha con la propria ricerca inevitabilmente andrà a relazionarsi e scontrarsi con il tema della memoria, dopotutto vi-
viamo in una terra ricca di tradizione. Mi piace pensare che nella mia ricerca vi sia tutta una serie di pratiche che attraversano molti momenti della tradizione pittorica di varie epoche. L’insieme di queste pratiche, spesso assimilate a livello inconscio, crea un’opera viva nel tempo che si pone in relazione con la tradizione, tendendo però a cercare una dimensione propria». Hai realizzato anche dei laboratori in ambito psichiatrico e coi bambini, come ha influito questa attività con la tua ricerca? «Per me è fondamentale che la pratica artistica abbia una concreta applicazione in ambito sociale. Il lavoro del pittore non può esaurirsi nello studio, non è una pratica che possa definirsi solo attraverso l’autobiografia. La pittura impone per sua natura un rapporto con l’esterno e l’altro. Lavorare in contesti di disagio è una cartina di tornasole in cui viene verificata l’apertura del processo creativo. E questo è molto importante».
“
L’opera di Andrea Mariconti si inquadra in una prospettiva alternativa ma non aliena da quella che disinvoltamente si chiama la verità. Quantomeno e ancora una volta, la verità della pittura
”
(Emanuele Beluffi)
“Blackcoal 16”, 2009 A destra: Aleifar dignum 9, 2011 A fianco, l’artista foto Alberto Castellani
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L’ARTISTA
ANDREA MARICONTI
1978 Nasce l’8 febbraio a Spino d’Adda (Cremona)
2001 Si laurea in arti visive all’accademia di Belle arti di Brera. Nel 2005 arriva anche la laurea in scenografia e discipline dello spettacolo
2002 Prima collettiva: Ritorno ad Itaca a cura di Andrea Dall’Asta, al centro S. Fedele, Milano
2003 Prima personale: Interferenze ancora allo Spazio S. Fedele di Milano a cura di Antonio Spadaro e Rodolfo Balzarotti
2005 Partecipa a un progetto di arteterapia dell’Asvi di Milano in Kosovo per bambini con traumi di guerra
2011 Riceve il premio Arte e bioetica dall’Unesco, al palazzo di vetro dell’Onu, a New York
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“
Andrea Mariconti obbedisce all’evidenza e alla corposità della materia, che suggerisce le forme e guida la rappresentazione. Il principale soggetto delle sue tele, il corpo umano assunto essenzialmente come larva protesa e tronco verticale, vive del contrasto tra la concretezza della cenere, densa di connotazioni calde, e la profondità neutra e opaca dell’acrilico. Proprio qui si trova il punto sensibile della sua ispirazione: le figure emergono, stilizzate nelle loro tensioni essenziali, da un fondo eterno, solenne ma vuoto, con tutto il loro dinamismo. Restano delle corde tese assolutamente concrete, ma insieme semplificate fino a toccare l’astrazione del simbolo. È dunque essenzialmente l’equilibro architettonico delle linee e dei pesi a rivelare l’umanità dei suoi soggetti senza volto (Antonio Spadaro S. I.)
”
BOTTA & RISPOSTA L’arte della vita in 10 domande Cosa sognavi di diventare da grande? « L’archeologo, devo dire che ci sono andato molto vicino». Come sei diventato artista? «Non so dire se si diventa artisti, è una costante tensione che ti porta a forgiare lo sguardo in un particolare modo». Cosa vorresti essere se non fossi artista? «Un pittore». Hobby, passioni? «Il cinema, la storia. Amo coltivare, anche se non ho proprio un pollice verde, e la cucina; qui penso di avere talento, come del resto molti pittori, e certa illustrazione». Come definiresti la tua arte? «Una ricerca di corrispondenze e comunicazione». Come definiresti la tua vita? «Intensa, laboriosa e felice». Ci sono valori eterni, nell’arte o nella vita? «Nell’arte di certo, è sempre stato il senso e la tensione dell’eterno a donare linfa vitale all’arte. E la stessa cosa si può dire della vita». Chi sono i tuoi maestri nell’arte o nella vita? «Sarebbe troppo lungo fare un elenco dei miei maestri, posso riassumente con: chiunque sappia fare il proprio lavoro con dedizione, passione e rispetto per la vita». Cosa trovi interessante oggi? «Questi anni turbolenti sono faticosi ma densissimi di nuove scoperte e sorprese, se solo si sa guardare con attenzione». Cosa non sopporti di questo tempo? «La poca lungimiranza, l’incapacità di proiezione nel futuro».
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LA MOSTRA Storia naturale a Lodi Come in un museo di storia naturale, ogni stanza restituisce all’osservatore l’idea di una teca in cui è esposta una campionatura di materiali e soggetti: le cromìe terrose della cenere su tela per i boschi, le scogliere a picco sul mare e i campi di covoni; le tinte verdastre e lucide del petrolio su carta per i ritratti. Una tecnica gestuale per i paesaggi e più analitica per i ritratti, memori delle suggestioni dei primi esperimenti in ambito fotografico, dai dagherrotipi alle lastre d’argento ottocentesche. Concludono il percorso espositivo la scultura di un uomo plasmato nella terra, il Golem o l’Adamo primordiale, e la bandiera italiana, realizzata per i 150 anni dell’unità, petrolio bianco avorio e cenere. Oltre 60 opere, dal 2005 al 2012, per tracciare un primo percorso antologico di Andrea Mariconti. Nell’occasione, edito da Skira un catalogo con testi di Flaminio Gualdoni e Emanuele Beluffi. L’esposizione è promossa dal Fai, in collaborazione con Federico Rui arte contemporanea. Storia naturale, fino al 21 ottobre, Bipielle arte, via Polenghi Lombardo, Lodi. Info: www.federicorui.com
UNA MATURITÀ POTENTE
Centralità della ragione pittorica del narrare: un pilastro nel lavoro di Mariconti
di FLAMINIO GUALDONI*
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no dei motivi cruciali della pittura d’oggi – ma, a ben vedere, iterativamente da molti decenni – è la ragione narrativa: con il corollario non meno fondante della sua autonomia e identità rispetto alle arti giovani, cinema in testa, le quali parrebbero averle, da questo punto di vista, sottratto l’antica delega sacrale. Andrea Mariconti ragiona di tutto ciò con acribia lucida, e soprattutto centrando il fuoco della propria esperienza sul valore stesso di narrabilità, dopo la conflagrazione dei significati, dopo il collasso dello sguardo, dopo la deriva del tempo saputo. Ne scaturisce questa sua pittura bituminosa, di qualità fredda e sapiente, emotivamente sospesa e come straniata. Bigi petrosi, bianchi agri, rare accensioni di lumi taglienti: come se l’innesco sensibile e il valore situazionale passino un vaglio che li esaurisca allo sfinimento, e li induca a una figurazione sdrucita, disseccata in mera tensione emotiva, architettura minima del silenzio. Soggetti banali, alle soglie dell’anonimato indifferente. Costrutti formali rastremati in architettura forte e di scabra elementarietà, a serrare lo spazio della visione in una sorta di sottile, appena avvertibile, iperdeterminazione di presenza: le figure stanno lì, non distanziate dall’interpretazione, impastate di materie dense e inamene: figure che ti guardano, come dubitanti, chiedendoti per la prima volta di pensarle fuor di retorica. Certo, questo processo di concussione affettiva del visibile per via di levare, prosciugandone la presenza ambigua tra fisiologia e rappresentazione sino a farlo veronica e sedimento cinereo, si nutre di molte matrici. Il retaggio non banale di certa letteratura – da Michel Butor a Georges Perec, da Raymond
Carver a Don DeLillo, per intenderci – e quello del cinema che ne è scaturito; il taglio serrato, a infrangere proporzioni ed equilibri, della fotografia anticlassica e, su tutto, la pittura lucida e desolata discendente da Bacon e dalla sua stremata école du regard. Ciò che si coagula nelle visioni di Mariconti non è tuttavia un carattere di visione, una questione che ancora attenga al rappresentare, men che meno a un figurare possibile. È, piuttosto, la salvaguardia della frequenza emotiva, dello “stream” introverso, come d’ansia cautelata, che determina il suo approccio al narrare. L’artista non accorcia la distanza tra sé e il soggetto; piuttosto, dilata la misura del proprio sguardo straniato, facendosi spettatore slontanato anche quando più emotivamente implicato. È questa delibata alterità che gli consente di chiudere bruscamente il campo visivo per via di restringimenti aggressivi, assediandolo spazialmente, risentendone la densità e la sostanza situazionale, decidendo per tratti essenziali il suo carattere. Tale doppio registro visivo si dispiega quasi programmaticamente identico tanto nel figurare elaborante di corpi e interni, quanto nella misura di genere del paesaggio, ove più vincolante si fa la questione del campo visivo e la retorica della distanza ottica: segno, questo, d’un modo di intendere la pittura radicato in lucido criticismo, non acquattato dietro l’alibi d’una sempre più dilavante postmodernità. Sguardo forte e consapevole, e centralità della ragione pittorica del narrare. Questi i pilastri del tempo primo del lavoro di Mariconti: e già s’intravvede la maturità potente. *critico e curatore, estratto dal catalogo, cortesia Skira
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PERSONALI 2012 Aleifar a cura di Stefano Castelli galleria Rotta Farinelli, Genova Ecumene, terra da abitare a cura di Francesca Baboni e Stefano Taddei sala espositiva Telemaco Signorini, Portoferraio (Li) La natura organica della memoria genera l’opera a cura di Emanuele Beluffi, sala dei Decurioni, palazzo comunale, Cremona e galleria Nuovo spazio, Piacenza 2010 I resti del tempo Galleria Federico Rui, Milano ”Blackcoal”, a cura di Natalia Vecchia, galleria Zero Otto, Lodi 2009 ”No more me”, Bell Roberts gallery, Cape Town, South Africa 2007 Quia Pulvis a cura di Fabrizio Dentice galleria Pittura italiana, Milano Le ombre delle idee a cura di Fra G. La Rocca galleria L’ariete, Bologna 2006 Andrea Mariconti a cura di Maurizio Sciaccaluga galleria Pittura italiana, Milano Silenzi a cura di Flaminio Gualdoni galleria L’ariete, Bologna
GALLERIA Federico Rui arte contemporanea Via Turati 38, Milano (cortile interno) www.federicorui.com
QUOTAZIONI Da mille a settemila euro
SITO www.andreamariconti.com
Interferenze 012, 2004 A sinistra: Meta fisica 21, 2009
2004 Nozzechimiche a cura di Galleria pittura italiana spazio Cailan’d, Milano Rumore bianco a cura di Francesco Gesti e Antonio Spadaro galleria Arturarte, Nepi (Vt) Andrea Mariconti a cura di Francesco Gesti Davide Dall’ombra e Marco Vianello, Meeting di Rimini 2003 Interferenze a cura di Antonio Spadaro e Rodolfo Balzarotti Spazio S. Fedele, Milano
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Giulio Squillacciotti fonda la sua ricerca sulla realtà ma gli sviluppi sull’immaginario
INDAGINEALDISOPRA DI OGNI FATTO REALE di GIORGIA BERNONI
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cchi brillanti e parlantina veloce, Giulio Squillacciotti dimostra più dei trent’anni da poco compiuti. Non tanto nella figura, minuta e giovanile, o nell’abbigliamento, pantalone arrotolato d’obbligo, quanto nello spessore concettuale che fa da sfondo alla sua poetica. Ogni suo lavoro denota, infatti, un percorso di ricerca approfondito che si accompagna a una gestazione calibrata sull’attenzione al particolare e sulla mancanza di fretta. Tutto nasce da una storia, un fatto reale spesso documentato e archiviato nei taccuini fitti di appunti,
che tanto ricordano le agende degli esploratori dei secoli scorsi, dell’artista romano che denota un debole per la catalogazione, probabilmente dovuta agli studi universitari in Storia dell’arte medievale. «Ho studiato una materia – dichiara Squillacciotti in occasione della collettiva “Re-generation” al Macro Testaccio – che ha poco a che vedere con il classico percorso artistico. Il mio è stato un iter molto accademico in termini universitari: uno studio strettamente formale e filologico caratterizzato dalla ricerca delle fonti per stabilire delle tesi. L’aspetto che mi ha sempre affascinato è quello che riguarda le artifi-
ciali possibilità narrative rispetto agli iniziali temi reali. Parallelamente, come sfogo da quel tipo di studio molto inquadrato, portavo avanti cose mie: per esempio mentre lavoravo agli scavi archeologici mi dilettavo nel costruire finti diari dell’archeologo. Dopo la laurea mi sono trasferito a Venezia per iscrivermi allo Iuav, il corso di arte visive della durata di due anni della facoltà di architettura. Non è un’accademia di belle arti, di pratico non insegna nulla, ma si viene messi nella condizione di pensare verso il fare arte. Il corso mi ha permesso, infatti, di acquisire una metodologia legata
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Nella pagina precedente: ”Inside stands to outside as one to infinite”, 2010 live storytelling performance A sinistra: “How to be saved and yet not knowing it”, 2011 video installation Sotto: San Vincenzo al Volturno, 2007 A destra: l’artista Giulio Squillacciotti foto Leonie Spitzer A pagina 61: “Far, from where we came”, 2008 In basso: Rmhc 1989/1999 Hardcore a Roma, 2011
all’ideazione e allo sviluppo di progetti. In seguito attraverso l’unione di un corpus enorme di appunti, disegni e schizzi, sviluppo una storia». Partendo dal reale, Squillacciotti tesse trame che si sviluppano in maniera autonoma, fantasiosa, spesso mettendo al centro del soggetto persone che ne diventano i protagonisti. «Solo recentemente – continua l’artista – ho capito che mi interessano molto le dinamiche umane, anche nel quotidiano. Faccio molto caso a come la gente si comporta nelle relazioni interpersonali e dalle situazioni particolari mi vengono sempre in mente storie da sviluppare». In particolare la produzione di Squillacciotti si caratterizza per l’utilizzo del video ma sarebbe un errore definirlo semplicemente “videomaker” vista la cura e il lavoro preparatorio che ogni lavoro video porta con sé. «Prima, per arrotondare, lavoravo molto con le fotografie da cui ho tratto una certa attenzione per la composizione: anche se c’è una forte componente narrativa che sembra prevalere, nei miei lavori ripongo molta attenzione alla forma. Mi interessa anche il suono ma non
in quanto installazione sonora: sono attratto dai radiodrammi e dai documentari audio: i primi c’erano in Italia ma ora sono quasi spariti mentre i secondi sono molto frequenti, anche oggi, nelle radio irlandesi e inglesi. Mi piacerebbe molto fare un radiodramma sulla Somalia visto che i miei primi ricordi risalgono a un viaggio che ho fatto lì da piccolo con la mia famiglia». A volte la preparazione è talmente accurata che per vedere la luce un lavoro richiede parecchio tempo. È il caso di Rmhc 1989/1999 hardcore a Roma, un documentario sul decennio di esperienze della scena musicale hardcore nella capitale che ha richiesto ben cinque anni di lavoro. «È divertente constatare – precisa l’artista – che nel vedere il
documentario ci sono caratteri comuni ad altri lavori che ho realizzato nel frattempo. È un film con uno spiccato aspetto artistico: dietro c’è la metodologia del mettere insieme gli elementi che esistono a quelli che aggiungo e attraverso i quali integro la storia. È divertente crogiolarsi e sperimentare dentro la costruzione dell’opera; questo aspetto mi porta a dire che è un lavoro artistico e non solo da videomaker». Squillacciotti insegue poco e senza frenesia il mondo delle gallerie: il suo lavoro da Vice, infatti, gli permette di potersi dedicare a progetti scelti senza avere l’ansia di vendere o “piazzare” le sue opere. Dopo aver guardato al passato e ricordato la prima memoria culturale che risiede nei quadri di Giuseppe Capogrossi ammirati a casa dei nonni, l’artista conclude guardando al futuro: «Tra i miei progetti c’è un soggetto che ho scritto, a cui è legato anche un dottorato in Francia che vorrei poter frequentare, collegato al terremoto del 1963 a Skopje, in Macedonia, del 1963 e all’incidenza della necessità della propaganda nelle ricostruzioni sotto Tito e sull’apertura al mondo esterno con il progetto allora vinto dallo studio di Kenzo Tange».g
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GIULIO SQUILLACCIOTTI Le tappe 1982 Nasce a Roma il 5 giugno
2007 A Venezia frequenta i corsi di arti visive dello Iuav
2008 Vince il primo premio alla 92esima collettiva Giovani artisti, fondazione Bevilacqua La Masa
2010 Partecipa alla collettiva 21x21 21 artisti per il XXI secolo della fondazione Sandretto Re Rebaudengo, a cura di Francesco Bonami
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L’ASPETTO CHE MI HA SEMPRE AFFASCINATO È QUELLO CHE RIGUARDA LE ARTIFICIALI POSSIBILITÀ NARRATIVE RISPETTO AGLI INIZIALI TEMI REALI
Partecipa alla collettiva ”The gentlemen of Verona” a palazzo Forti a cura di Andrea Bruciati
2012 Partecipa alla collettiva New York photo festival, Brooklyn
QUOTAZIONI da 1.000 a 5.000 euro
SITO www.giuliosq.com
LE MOSTRE A Faenza, Verona e Venezia Dopo aver partecipato alla collettiva capitolina ”Re-generation”, Giulio Squillacciotti è in mostra il 4 ottobre alla Settimana del contemporaneo di Faenza con L’immaginazione vede, a cura di Marianna Liosi e Alessandra Saviotti, al Museo internazionale della ceramica di Faenza. Info: www.festivalartecontemporanea.it. Il 20 ottobre è presente ad Art Verona per un ”talk” con Simone Frangi. Info: www.artverona.it. Il documentario di Squillacciotti, Rmhc 1989/1999 Hardcore a Roma, viene proiettato il 14 novembre alle ore 17,30 alla Casa del cinema di Venezia. Durante l’autunno il film è anche in ”tour” per l’Europa. Info e date: www.rmhc-film.com
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BILLVIOLAAVILLAPANZA: COMECONIUGARE TECNICAESPIRITUALITÀ GLI SPLENDIDI VIDEO DELL’ARTISTA USA RIVELANO UNA FORZA ESPRESSIVA NON ANCORA COMPRESA NELLE SUE POTENZIALITÀ LITURGICHE. UN MAGNIFICO ESEMPIO DI COME LA VIDEOARTE POSSA PARLARE DELLA FEDE
di ANDREA DALL’ASTA S. I. (DIRETTORE GALLERIA SAN FEDELE)
Bill Viola “Emergence”, 2002
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ella splendida cornice di villa Litta Menafoglio Panza a Varese, appartenuta al celebre collezionista Giuseppe Panza di Biumo, scomparso nel 2010, con la mostra “Bill Viola, Reflections” – fino al 28 ottobre – il Fai, Fondo ambiente italiano, ha reso omaggio a uno dei più grandi artisti del nostro tempo: Bill Viola (New York, 1951). Le dodici videoinstallazioni dialogano in questo modo con le opere della collezione Panza, come i monocromi di David Simpson, le opere ambientali di Dan Flavin, di James Turrel e di Maria Nordman. I video presentati documentano la ricerca dell’artista statunitense dalla metà degli anni Settanta a oggi, mostrando, con un linguaggio raffinato e intenso, come sia possibile interpretare il patrimonio figurativo del passato senza ricorrere a soluzioni oleografiche o nostalgiche. Il lavoro di Viola si pone in questo senso come tra le più interessanti ricerche in grado di coniugare tecnologia e spiritualità: il dato tecnico si pone al servizio di un’indagine che si concentra sulle esperienze dell’uomo come la nascita e la morte, la purificazione, la memoria, il senso del tempo, facendo emergere radici che affondano nella tradizione
cristiana, ma anche nel buddismo zen o nel sufismo islamico. I suoi splendidi video rivelano una forza espressiva non ancora compresa nelle sue potenzialità liturgiche. Salvo casi sporadici, come la videoinstallazione in San Marco a Milano (Deserts, 1994), le sue opere difficilmente hanno varcato la soglia di una chiesa. Perché si fa così fatica oggi a inserire in un edificio sacro un video, sull’esempio di quanto sta accadendo nella cattedrale di San Paolo a Londra? Pensiamo a uno dei suoi capolavori, “Emergence”, del 2002, in cui, riprendendo un celebre affresco di Masolino da Panicale, rappresenta il momento in cui Cristo esce da un sepolcro ricolmo d’acqua. È questo un modello iconografico bizantino noto come il Cristo sposo, il nymphos. Il Cristo risorge dalle acque della Pasqua per incontrare la chiesa, sua sposa, la comunità dei credenti. Il Cristo è deposto a terra. Il suo corpo è affidato alla chiesa, personificata da Maria, sua madre, e dalla Maddalena. Come lo sposo e la sposa diventano una sola carne, dice il racconto biblico della Genesi, così la chiesa è corpo di Cristo. Un magnifico esempio di come la videoarte possa parlare delle dimensioni più profonde della fede cristiana.
Hanno ucciso i loro genitori, trasformandoli in disperate macchine da guerra o in schiave abusate: bambini e bambine soldato dai 10 ai 15 anni, senza più identità, infanzia, umanità. Per chi riesce a tornare a casa, fuggendo o a fine guerra, il percorso di riabilitazione psicofisica non è facile. Ma con pazienza e con il tuo aiuto, da migliaia di frammenti di dolore un bambino soldato può tornare, finalmente, un bambino. Campagna di NewEtica per Fondazione Mago Sales - CCP 42520288 a supporto dei centri di recupero in Africa. Scopri questa dura realtà su salviamoibambinisoldato.it
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a cura di ALESSIA CERVIO
FORMAZIONE & LAVORO_INSIDE ART 63
PICCOLI DESIGNER CRESCONO Montepremi: 30mila euro
GIOVANI ARTISTI PERGRANDICOLLETTIVE Al via il novantaseiesimo bando della fondazione La Masa La fondazione Bevilacqua La Masa bandisce la novantaseiesima Collettiva giovani artisti, riservata a giovani residenti, o iscritti a un corso di studi nel Triveneto o che vi abbiano conseguito un diploma o una laurea negli ultimi 7 anni. L’età dei partecipanti, alla data di presentazione dei lavori, deve essere compresa tra i 18 e i 35 anni. Per partecipare alla selezione, gli artisti devono presentare le proprie opere (non più di due, eseguite con qualsiasi tecnica e inedite) nella sede della fondazione Bevilacqua La Masa della galleria di piazza San Marco a Venezia. Una commissione composta dal presidente della fondazione (Angela Vettese), da galleristi, critici d’arte, artisti e altri operatori del settore dell’arte contemporanea di rilievo nazionale scelgono i progetti meritevoli di essere esposti nella collettiva, che si svolgerà nella galleria di piazza San Marco dal 22 dicembre al 20 gennaio 2013. La fondazione mette a disposizione dei tre autori giudicati più meritevoli una borsa di studio del valore di tremila euro e due borse di studio da duemila euro ciascuna. Ogni borsa comporta l’acquisizione dell’opera e il diritto per i borsisti di esporla anche in seguito, all’interno di una mostra a loro dedicata. Ulteriori riconoscimenti speciali e borse di studio possono essere assegnati da enti e soggetti terzi che collaborano al progetto. Scadenza 15 novembre. Info: www.bevilacqualamasa.it
UNA NUOVA CITTÀ DA 655 MILIONI
Il ”Lucky strike talented designer award” della ”Raymond loewy foundation Italy” stimola e supporta la creatività degli studenti che stanno muovendo i primi passi nel settore del design. Può partecipare, presentando la tesi, chi abbia concluso o stia per chiudere un corso di laurea o di post diploma in tutti i rami del design. Montepremi totale di 30mila euro. Scadenza 10 novembre. Info: www.raymo ndloewyfoundation. it
GIORNALISTI DEL FUTURO Per i 50 anni di pubblicità progresso ”On the move”, con il sostegno della fondazione Cariplo, chiede agli studenti tra i 18 e i 30 anni d’immaginare di essere giornalisti o pubblicitari nel 2021, anno in cui la fondazione Pubblicità progresso compirà 50 anni. I temi su cui si possono sviluppare le proposte si trovano sul sito della fondazione. In palio 15 viaggi a Strasburgo con visita al parlamento europeo a novembre. Scadenza 12 ottobre. Info: www.pubbliprogresso.it
MUSICA DA TUTTO IL MONDO Entrare in un’orchestra multietnica La fondazione Cusani onlus ha dato vita a Caput mundi, un’orchestra solidale che vuole unire e far crescere a livello umano e musicale giovani di tutte le nazionalità, lingue, razze, culture e religioni abitanti a Roma e dintorni. Il progetto coinvolge in particolare le ambasciate, istituti di cultura, accademie e scuole straniere, scuole pubbliche a indirizzo musicale e scuole di musica di istanza a Roma. Scadenza 31 dicembre. Info: www.fo ndazionecusani.it
ILLUSTRARE L’OLANDA Partecipazione gratuita
Il Miur lancia un concorso per le prossime metropoli “intelligenti” Il Miur (Ministero dell’istruzione universitaria e della ricerca) lancia un nuovo bando per le città intelligenti: “Smart cities and communities and social innovation” e assegna 655,5 milioni di euro a imprese, centri di ricerca, consorzi, società consortili e a organismi di ricerca con sedi operative su tutto il territorio nazionale. Le idee progettuali dovranno proporre interventi e sviluppare modelli per risolvere problemi di scala urbana e metropolitana negli ambiti individuati, tra cui sicurezza del territorio, invecchiamento della società, tecnologie “welfare” e inclusione, domotica, “waste management”, salute, trasporti e mobilità terrestre, “smart grids”, architettura sostenibile, “cultural heritage”, “cloud computing technologies” per “smart government”. Una quota della dotazione finanziaria è destinata a progetti di innovazione sociale di giovani “under” 30. Scadenza 7 dicembre. Info: www.istruzione.it
Pisa ”Book festival” indice il concorso di illustrazione ”Talent next”: Olandiamo, comunicare l’immagine dell’Olanda mediante l’illustrazione. La partecipazione al concorso è totalmente gratuita e riservata ad artisti e disegnatori emergenti che abbiano un massimo di cinque opere pubblicate. In palio si vince la possibilità di esporre i propri lavori all’interno della decima edizione del festival letterario che si terrà a Pisa dal 23 al 25 novembre. Scadenza 30 ottobre. Info: www.pisabookf est ival. co m
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a cura di STEFANO COSENZ
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LE CASE D’ASTE TIRANO LE SOMME Christie’s registra una crescita di fatturato dell’11% rispetto al 2011
C
hristie’s ha recentemente comunicato i dati ufficiali del primo semestre 2012: 3,5 miliardi di dollari che rappresenta una crescita dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2011. Il fatturato include 661,5 milioni di dollari di vendite private, con una crescita del 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e rappresenta il più alto fatturato nella storia della società e del mercato dell’arte. Leader tra i settori curati da Christie’s il post war e l’arte contemporanea con vendite all’asta per 921,8 milioni di dollari con una crescita del 31% rispetto al primo semestre del 2011, grazie anche al fatturato della singola “evening sale” dell’8 maggio a New York che ha realizzato 388,5 milioni di dollari, rappresentando a oggi l’asta con maggiore fatturato nel settore. Il 27 giugno la vendita serale di Londra ha realizzato 207,3 milioni di dollari, risultando l’asta del settore di maggiore fatturato in Europa. Il maggiore realizzo del periodo è stato ottenuto da un’opera di Mark Rothko, “Orange, red, yellow” venduta a New York l’8 maggio per oltre 86,8 milioni di dollari, l’opera finora di maggior valore nella storia dell’arte contemporanea. Mentre in seconda e terza posizione si attestano due opere di Yves Klein, rispettivamente “Le rose de bleu” del 1960, venduta a Londra il 27 giugno per oltre 36,7
CASA D’ASTA
TIPOLOGIA
DATA
NUMERO DI LOTTI
milioni di dollari (record mondiale dell’artista) e “Fire color 1” del 1962, venduta a New York per oltre 36,4 milioni di dollari. Christie’s registra anche una crescita del 19% dei clienti partecipanti alle sue aste internazionali e allo stesso tempo registra una clientela proveniente da 124 nazioni. Mentre si assiste a una diminuzione del fatturato totale delle vendite a Hong Kong, rispetto ai livelli record del 2011, si registra una crescita del 31% dei clienti asiatici che hanno presentato offerte nelle vendite di New York e Londra. I risultati di Sotheby’s, società quotata in borsa, differentemente dalla privata Christie’s, hanno fatto registrare un forte rallentamento rispetto allo scorso anno, con un fatturato per il primo trimestre del 2012 di 2,99 miliardi di dollari, inferiore del 12,7% rispetto al medesimo periodo del 2011. Questo malgrado la vendita a maggio a New York dell’Urlo di Edvard Munch per 119 milioni di dollari, l’opera più cara finora venduta in un’asta. Come hanno affermato gli analisti di Sotheby’s, sono scarseggiate nel 2012 le vendite di singole collezioni che attraggono enormemente i collezionisti grazie alla sicurezza del “pedigree” delle opere contenute: ne è una prova aver gestito la collezione di Gunter Sachs per incassare nella sola vendita serale 56,3 milioni di dollari, ben al di sopra del totale delle stime.
PERFORMANCE PERFORMANCE PERFORMANCE DI MERCATO D’ASTA DI VENDITA
Christie’s
Old master paintings 3/07
64
84%
0,89
135
Sotheby’s
Old master paintings 4/07
43
67%
0,40
142
Christie’s
Old master paintings 4/07
121
59%
0,31
158
Sotheby’s
Old master paintings 5/07
218
57%
0,15
153
Christie’s
Old master paintings 6/07
187
57%
-0,04
139
Christie’s
Oldmasterwatercolour 3/07
165
82%
1,13
149
Sotheby’s
Old master drawings 4/07
198
52%
2,16
309
LE AST E DI LONDR A DI LUGLIO La sessione di “old master” di Londra a luglio è stata ricca, quasi mille opere tra dipinti, disegni e acquerelli offerti da Christie’s e Sotheby’s, oltre ai 90 offerti il 4 luglio da Bonhams. Le performance di vendita delle “evening sale” di Londra sono decisamente superiori a quelle precedenti, così come le performance d’asta sono migliori di quelle medie di New York di sei mesi prima (0,69 contro 0,20), sia di quelle londinesi del mese prima (0,69 contro 0,28). La performance di mercato, invece, segna pressappoco gli stessi punti. Il mercato dei dipinti antichi sembra aver raggiunto un nuovo equilibrio e un nuovo interesse: il mercato dimostra ancora la grande attenzione alla selezione della qualità dei collezionisti con performance di mercato superiori ai 150 punti. Le aste di disegni e acquerelli di Christie’s e Sotheby’s hanno avuto esiti buoni, se non ottimi, e comunque ben oltre le attese.
Performance di vendita: è la percentuale del venduto, come dichiarato dalle case d’asta e rilevato da Nomisma. Performance d’asta: un valore negativo segnala un esito insoddisfacente dell’asta che non raggiunge la stima minima, “zero” è una performance pari alla stima minima e “uno” alla stima massima. Se “maggiore di 1” ha superato la stima massima. Performance di mercato: è lo scarto, espresso in punti 100, fra le attese e le realizzazioni. fonte: monitor aste di Nomisma, Lum, Il sole 24 ore
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MERCATO & MERCANTI_INSIDE ART 65
Nick Walker “21st century presidents”, 2008 A sinistra: Yves Klein ”Le rose du blu” 1960
Si riapre l’anno per il mercato internazionale
NUOVE SFIDE IN VISTA
A
ottobre primo banco di prova del mercato internazionale dell’arte della nuova stagione, grazie soprattutto alle vendite serali di post war e di arte contemporanea a Londra. Innanzitutto l’attesissimo appuntamento annuale con le “italian sale” dei grandi maestri del XX secolo. L’11 ottobre Christie’s propone un Achrome di Piero Manzoni del 1959 con una stima di 1,8–2,5 milioni di sterline e un Concetto spaziale di Lucio Fontana del 1960 con una stima di 600–800 mila sterline. La stessa vendita comprende artisti internazionali di arte contemporanea: “Untitled”, un olio del 1992 di uno delle firme più ambite dal mercato, Martin Kippenberger, ha stima 2,5–3,5 milioni di sterline, mentre un olio di Gerhard Richter del 1967, in cinque parti è valutato 1,5–2 milioni. Anche da Sotheby’s il 12 un Achrome del 1959 di Piero Manzoni ha stima 2,2– 2,8 milioni di sterline. In questa stessa vendita si proporranno due opere di Giorgio De Chirico, che negli ultimi anni sta godendo una rinnovata domanda: Le muse inquietanti del 1945 con stima 500– 700mila sterline e Il vaticinatore del 1944 con stima 450–650mila sterline. Le due vendite saranno anticipate il 10 a Londra da un’asta di arte contemporanea di Phillips de Pury: accanto a un monumentale collage di Anselm Kiefer del 2006, “Your house rode the dark wave”, con stima 500– 700mila sterline, viene proposto un inedito inchiostro su tela di cotone di Andy Warhol del 1961, “Watches”, con stima 1–2 milioni. Interessanti aste in altri settori dell’arte moderna si svolgeranno in ottobre. Il 17 a Londra da Bonhams si tiene una nuova vendita di arte sudafricana con particolare attenzione alle quotatissime opere della più acclamata artista, Irma Stern:
“Malay lady in yellow” del 1942, ha stima 350–550 mila sterline. Il 18 a New York Swann galleries organizzerà un’attesa vendita di arte afro-americana: “Classical compsition” n.4, olio su tela del 1973 di Eldzier Cortor, ha stima 200-250mila euro. Dal 23 al 25 ottobre, a Dubai, l’attesissimo appuntamento di arte moderna e contemporanea araba, iraniana e turca: “Sensibility green” del 2011 dell’iraniana Reza Derakshani, celebre musicista, artista di spettacolo e pittrice amante della natura e dell’armonia ha stima 70-90mila dollari, mentre un grande polittico realizzato nel 2011 dall’artista turco Ahmet Elhan, “Blue room”, appartenente alla serie “Places”, prodotta dal 2007 combinando migliaia di scatti fotografici presi in spazi pubblici, come luoghi religiosi, bar, sottopassaggi e scuole, ha una stima di 50–80mila dollari. Un lavoro fotografico di Hassan Hajjaj, “Eyes on me”, del 2000, che rappresenta il Marocco e ha una cornice in noce decorata con piccole bottiglie in vetro contenente brillanti pigmenti pittorici, mostra il viso coperto di una donna con eccezione degli occhi per uno sguardo penetrante. La sciarpa che avvolge il viso porta il logo di Louis Vitton, un riferimento alla prevenzione dell’artista verso i marchi (stima 10– 15mila dollari). Il 29 a Los Angeles prima vendita negli Stati Uniti da parte di Bonhams che presenta le opere storiche dei pionieri del graffitismo così come i lavori degli artisti contemporanei che hanno ridefinito il genere. La vendita segue il successo della retrospettiva “Art in the streets” che si è svolta al Museum of contemporary art nella città californiana. Tra i “top lot”, Winnie the Pooh del 2003 di Banksy, pittura spray su tela, stima 50–80mila dollari e “21st century presidents” di Nick Walker del 2008, stima 30-50mila dollari.
IL CALENDARIO Gli appuntamenti del mese Dorot heum Vienna, 18 ott obre Gioielli. Una spilla Tutti frutti di Cartier Londra degli anni ‘30 ha stima 22-34 mila euro; un collier in diamanti e con smeraldo a taglio cabochon da 26 carati ha stima 40–60 mila euro. Info: www.do ro theu m.c om Bon h a m s Stafford, 21 otto bre Motociclette vintage: uno dei due esemplari esistenti della Grindlay-Peerless Jap 500cc ”Hundred model” del 1929, la prima a superare 100 miglia in un’ora nel 1937, ha stima 50-70 mila sterline. Info: www.bonhams. com Christie’s Londra, 23 o tto bre Progetti unici di Carlo Mollino per Casa Cattaneo Villa K2: una sala da pranzo del 1953 in rovere, castagno, linoleum con tavolo grande, tavolo piccolo e dieci sedie ha stima 500-700 mila sterline. Info: www.c hristies.c om Thierry de Maigret a D ro uot Parigi, 24 ott obre Collezione Charles Bouché di archeologia egiziana: un esemplare di Chaouabti, statuetta funeraria in maiolica blu del faraone Séthi 1° (1294-1279 a.C.), ha stima 150-300 mila euro. www.drou ot. com Pando lfini Firenze (Mercato centrale), 1 1 o ttobre Grande vendita di vini pregiati e da collezione in concomitanza con la presentazione della Guida vini dell’Espresso 2013. Tra i pregiati vini italiani, un lotto di tre bottiglie di Sassicaia del 1985 con stima 1.500 euro, una bottiglia magnum di Masseto Tenuta dell’Ornellaia 2011 ha stima 800 euro. www.pandolfini.it
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66 INSIDE ART_MERCATO & MERCANTI
UNA PINACOTECA SULLO SCAFFALE Corrado Mingardi colleziona libri d’artista Oggetti preziosi realizzati da grandi nomi di ORNELLA MAZZOLA
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MERCATO & MERCANTI_INSIDE ART 67
“V
ieni, o Bellezza, dal profondo del cielo o sbuchi dall’abisso?”, si chiedeva Baudelaire, identificando la somma aspirazione dell’uomo come un’entità di natura sfuggente e ambigua, bifronte e ossimorica. I suoi cultori più devoti, i collezionisti, possono cercarla in molte direzioni diverse. Meglio un libro raro o un’opera d’arte figurativa? Il dilemma può trovare soluzione nella scelta di un oggetto pregiato in cui confluiscono entrambi: il libro d’artista, “esperimento sinfonico” a metà tra arte e letteratura, di non facile definizione. Nessuno più del professor Corrado Mingardi, che ne possiede circa duecento esemplari di straordinario prestigio, è qualificato per darla: «Un’edizione a tiratura limitata, particolare per il pregio del supporto cartaceo e per il rigore tipografico, che associ con convenienza testi in prosa o poesia a immagini realizzate con grafica originale da pittori o scultori». Questo il libro d’artista in senso stretto. I tempi, però, cambiano e le formule invecchiano. Mingardi, bibliofilo da sempre e collezionista di libri antichi (prima Bodoni, lo squisito disegnatore e tipografo, editore del Settecento e poi i grandi stampatori del passato da Manuzio a Didot) si “converte” trent’anni fa al libro d’artista, consapevole che l’avvento della seconda avanguardia negli anni Sessanta-Settanta ha decisamente stravolto il carattere aristocratico ed elitario di questo affascinante ibrido, con una nuova generazione di «opere che, pur conservando il carattere di libro si presentano con modestia, per via di stampe tecnicamente standardizzate, con tiratura non limitata oppure al contrario limitata a un solo esemplare, per sconfinare talora nel libro-oggetto», dice. La preziosità del prodotto si sposta, per così dire, dall’asse più propriamente estetico a quello “concettuale”. Al di là delle etichette e delle evoluzioni del genere, la collezione Mingardi colpisce per il notevole pregio e la grande varietà dei suoi pezzi: per l’Ottocento Delacroix, Courbet, Morris e BurneJones, con Redon e Rodin a cavallo tra i due secoli. Da spartiacque funge il Parallèlement di Verlaine e Bonnard, primo pezzo acquistato, seguito da una pletora di nomi eccellenti, da Picasso e Braque a Chagall, da Mirò a Dubuffet, da De Chirico a Klimt, Kokoschka, Grosz, Van De Velde, Man Ray, Calder, Matta, Tapies fino a Paladino. Ultimo pezzo e culmine della collezione Jazz di Matisse, in mostra a Bologna nell’ambito di Artelibro fino al 21 ottobre. Come osserva argutamente il professore: «Una ricchissima pinacoteca, tutta contenuta in qualche scaffale».
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In alto: un ritratto di Corrado Mingardi
IL COLLEZIONISTA Appassionato di Verdi Corrado Mingardi, nato a Fidenza il 26 gennaio 1939, è professore di lettere in pensione e vive a Busseto (Parma), città natale di Giuseppe Verdi, attorno al quale ruotano molti dei suoi interessi e alcuni dei suoi numerosi incarichi ufficiali: direttore del museo Verdiano locale, membro del comitato scientifico del nuovo Museo nazionale Verdiano di villa Pallavicino e del consiglio direttivo dell’associazione Amici di Verdi. Responsabile dal 1969 di una prestigiosa biblioteca a Busseto, da circa 30 anni colleziona libri d’artista, le cui perle sono i tre monumenti del futurismo: i Chimismi lirici di Soffici nell’infolio del 1915, il libro imbullonato di Depero (1827) e le Parole in libertà di D’Albissola-Marinetti (1932), in litolatta.
LA COLLEZIONE Alcune opere Mimmo Paladino (1) Collodi, Pinocchio, 2004 Venezia, Papiro arte Joan Miró (2) Tzara, ”Parler seul”, 1950 Parigi, Maeght editeur D’Albisola-Marinetti (3) Parole in libertà futuriste olfattive tattili termiche, 1932 Savona, Lito-latta editore
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Kirchner (4) Heym, Umbra vitae, 1924 Monaco, Kurt Wolff editore De Chirico (5) Apollinaire, ”Calligrammes” Gallimard, 1930 Parigi, Nouvelle revue français Picasso (6) Reverdy, ”Le chant des morts” 1948, Parigi, Tériade
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OFFICINE CREATIVE La fondazione Varrone apre uno spazio destinato a rilanciare la cultura a Rieti di CAMILLA MOZZETTI
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i chiamano Officine, e già nel nome risiede la missione del nuovo spazio inaugurato lo scorso 30 giugno dalla fondazione Varrone di Rieti. Un luogo di fermento e produzione artistica che promette di regalare alla città – ombelico d’Italia – quella
notorietà, quel successo e anche quel prestigio culturale a cui anela da tempo. Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia, tuonò dicendo: «Con la cultura non si mangia». Quest’affermazione, per diverso tempo, ha trovato seguito nel capoluogo del Lazio. Ma con la nascita delle Officine fondazione Varrone sembra che qualcosa sia destinato a cambiare. Come? Grazie a un polo culturale, di ben 4.000 metri quadrati, che irrompe nella scena cittadina come nuovo catalizzatore culturale. Lo spazio è stato ricavato dalla ristrutturazione
e dalla bonifica di una zona, nel centro storico della città, abitata fino a metà del Novecento da artigiani, fabbri, marmisti ed ebanisti che hanno poi trasferito le proprie attività in aree urbane più grandi, lasciando la chiesa di San Giorgio e l’area limitrofa abbandonate. «Abbiamo impiegato quattro anni per i lavori di ristrutturazione con un impegno economico ingente, circa 5 milioni di euro», dichiara Innocenzo de Sanctis, presidente della fondazione Varrone, che aggiunge: «Realizzare questo centro culturale rappresenta un passo importante per rendere la cultura e le arti volani di benessere e crescita economica per una città ricca di storia, tradizioni, possibilità come Rieti». Gli stessi abitanti della zona a ridosso del fiume Velino hanno dato il loro contributo
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BIBLIOTECA LARGO S. GIORGIO
IL PRESIDENTE E LA SEDE De Sanctis, dal 2003 alla guida dell’ente
CAFFè TEATRO RIGODON LIBRERIA MODERNA CHIESA DI S. GIORGIO GALLERIA D’ARTE CONTEMPORANEA LABORATORIO MODA E COSTUME PALESTRA D’INGLESE
Innocenzo de Sanctis nasce a L’Aquila il 27 luglio 1939. Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita nel 1965 all’università di Camerino, inizia l’attività forense diventando avvocato cassazionista. Dal 2003 ricopre l’incarico di presidente della fondazione Varrone cassa di risparmio di Rieti. Durante questi anni obiettivo di de Sanctis è stata la promozione, attraverso l’ente, della cultura nella città sabina. Numerose attività sono state possibili grazie all’intervento della fondazione, ultima la realizzazione delle Officine Varrone. Un polo culturale di 4.000 metri quadrati, nato in una vecchia zona urbana del centro storico. Il polo, configurandosi come un piccolo borgo medievale, si compone di una biblioteca di filologia classica, alcune scuole d’arte e una palestra di lingua. Nel complesso anche una chiesa sconsacrata che ospita un monumentale organo ispirato agli strumenti tardo seicenteschi del tedesco Arp Schnitger e nella quale la fondazione Varrone ha avviato dei corsi per organisti. Ad arricchire l’attività delle Officine sono la libreria Moderna e il caffè letterario. Officine Varrone, largo San Giorgio, Rieti. Info: www.fondazionevarrone.it
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Laurian Popa Spazio chiuso, s. d. Sotto: una sala della fondazione Varrone A destra: l’organo della chiesa di San Giorgio Nelle pagine precedenti: l’esterno del complesso e la planimetria delle Officine nel box: il presidente Innocenzo de Sanctis
LA MOSTRA Laurian Popa Dura fino al 20 ottobre la personale di Laurian Popa (Arad, Romania 5 febbraio 1980) intitolata Spazi chiusi. Matasse ingarbugliate e sviluppo dei colori, esposti a fianco di un figurativo privo di definizione, in un dominio geometrico e claustrofobico governato dallo spazio chiuso si presentano in questa nuova serie di opere del pittore romeno che affronta un passaggio decisivo e delicato nella vita di ogni artista: il confronto psichico con la sovraesposizione dei modelli e dei colori di riferimento. Per meglio attrezzarsi a questo incontro, Popa introduce la geometria come elemento razionale e similitudine tra la modernità – aperta e tridimensionale – e lo spazio, chiuso e antico, della stanza, dello scaffale, della scatola teatrale.
quando la fondazione ha deciso di metter mano alla ristrutturazione dell’area. «Oltre a creare un centro che nessun altro capoluogo della provincia possiede – presegue de Sanctis – abbiamo riqualificato lo stesso quartiere, realizzando così una duplice missione: restaurare un’intera area urbana e regalare a tutti i cittadini un nuovo centro dove la cultura è declinata in ogni sua forma». E in effetti le iniziative che possono prender vita all’interno delle Officine sono molte. Da una parte la biblioteca, aperta durante la settimana fino alle 22.15 e il sabato fino alle 18.45, che vanta una collana di circa 50mila volumi donati alla fondazione Varrone da alcuni privati: il fondo Riposati, acquisito dall’ente nel 1982 che si compone di ben 12.478 libri inerenti la letteratura latina, greca e italiana, ma anche il fondo Perini Bembo, di proprietà dell’ente dal 2010 che con oltre 4.000 volumi testimonia il giornalismo, il mondo della co-
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municazione e la storia contemporanea, sono solo degli esempi. Insieme a questi, molte altre donazioni sono state messe a disposizione di studenti, appassionati e ricercatori. Tra le altre attività poi, va senz’altro menzionata la galleria d’arte moderna e contemporanea Machina. Il direttore artistico Claudio Scorretti, coadiuvato da Bruno Targusi, ha promesso di portare nella città una vera rivoluzione in fatto di mostre ed esposizioni: «Contiamo di organizzare circa undici eventi l’anno – afferma – presentando giovani artisti contemporanei internazionali, permettendo anche ai talenti della città di emergere, di avere un luogo dove poter dar voce alle proprie espressioni creative». Ma non finisce qui. Le idee del direttore – che si avvale anche del sostegno dell’università dell’Aquila, oltre a quello del liceo artistico della città – sono molte altre, come la realizzazione delle residenze d’artista. «Desideriamo portare a
Rieti nuove intuizioni, nuove idee, nuovi talenti. Per questo desideriamo – spiega Scorretti – realizzare anche qui, sulla scia del successo nazionale e internazionale, le residenze d’artista: permettere cioè a giovani artisti, più o meno famosi, di venire a Rieti per lavorare ed esporre, poi, all’interno delle Officine, realizzando scambi con altre fondazioni straniere, permettendo, magari anche alle nostre leve di poter migliorare stili e ricerche fuori dai confini nazionali». Sostanzialmente, inserire la città di Rieti all’interno del complesso e articolato mondo dell’arte contemporanea. Le Officine hanno aperto i battenti con “Fragments of red memories”, la personale di Cosmin Moldovan. L’artista romeno ha proposto undici sculture in legno realizzate grazie al riciclaggio di materiali di scarto, con l’obiettivo di rappresentare, in chiave ironica, la situazione in cui versa la società del suo paese. La prossima esposizione
vede protagonista un altro artista romeno, Laurian Popa. Alle attività espositive della fondazione Varrone si aggiungono, poi, corsi di pittura, tenuti da Franco Bellardi, corsi di inglese, di organo, nonché il corso di moda, costume e design diretto da Silvia Bruschini, che vanta il merito di aver esposto gli abiti realizzati in Campidoglio nel 2011, nel corso delle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’unità d’Italia. Ultimi, ma non per questo meno importanti, il caffè letterario e la libreria interna alle Officine – distaccamento della celebre libreria Moderna, famosa per i suoi festival, le sue presentazioni che ha proposto lo scorso luglio, nel cortile delle Officine, incontri con autori e scrittori di chiara fama. Che sia questo veramente un primo passo per far crescere la cultura con la “C” maiuscola a Rieti? È il sogno che molti intendono realizzare. E questo è un primo, importante passo.
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TUTTA LA VERSATILITÀ IN UN SOLO VOLUME La fondazione capitolina nasce come spazio di produzione di arte e cultura La direttrice Claudia Gioia: «È un luogo puro e aperto alla sperimentazione» di CLAUDIA QUINTIERI
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o spazio della fondazione Volume è irregolare, le pareti sono di un bianco allo stato grezzo. Quando si varca la soglia, sembra di entrare in un antro dalla conformazione labirintica. L’aspetto del luogo vive di una propria fascinazione che lo rende complice di uno sguardo la cui attenzione è pilotata per declinarsi in epifanie continue. Ci si inoltra in un territorio vergine dove l’opera d’arte vive di vita propria. Il luogo è versatile, pronto ad accogliere le fantasia dell’artista. Si può e si è sempre trasformato in qualcosa di ogni volta diverso a seconda delle esigenze che si sono manifestate a ogni mostra. La fondazione è un crocevia delle più stimolanti personalità del mondo dell’arte, non solo italiana. A testimonianza degli artisti che sono stati protagonisti della programmazione di Volume un catalogo con le foto di Rodolfo Fiorenza, fotografo da poco scomparso. Abbiamo parlato di questo spazio con la direttrice Claudia Gioia. Da quale esigenza è nata la fondazione Volume? «La prerogativa è sempre stata quella di creare un punto di riferimento per l’arte e la cultura contemporanea a Roma. Volume nasce come associazione nel ‘97, quando ancora non esistevano molte realtà legate al contemporaneo nella città. Erano già presenti la Gnam e il palazzo delle Esposizioni, ma il Macro e il Maxxi non erano stati realizzati. Si sentiva l’esigenza di uno spazio no profit che alimentasse il mondo culturale romano e il presidente della fondazione Francesco Nucci, con un gruppo di artisti e intellettuali, fra cui Jannis Kounellis e Achille Bonito Oliva, ha dato il via a questo centro di produzione per l’arte e la cultura».
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A sinistra: interno della fondazione Volume prima dei lavori di ristrutturazione foto Claudio Martinez a pagina 73: ingresso della fondazione foto Rodolfo Fiorenza, 2010 cortesia fondazione Volume
LA SEDE Da ex vetreria a luogo d’arte La fondazione Volume! nasce nel 1997 come associazione culturale no profit grazie al suo presidente Francesco Nucci, neurochirurgo appassionato d’arte. Si costituisce come fondazione nel 2007. Il luogo, situato nel cuore di Trastevere, a Roma, era una ex vetreria che è stata trasformata in spazio espositivo. La direttrice è, dal 2009, Claudia Gioia, nata il 30 agosto 1963. Centoventi metri quadrati di superficie fanno di Volume! un posto del tutto anomalo e interessante in cui la creatività dell’artista che vi espone è portata al limite delle possibilità. Si sottolinea la capacità anche emotiva dello spazio di creare energia e sinergia con le opere. Via San Francesco di Sales 86/88, Roma. Info: www.fondazionevolume.com
È uno spazio che accoglie solo interventi “site specific”, ci vuole parlare del perché di questa scelta? «Quando Francesco Nucci prese questo luogo, era completamente abbandonato e non aveva un’immediata possibilità di uso. In concomitanza con i lavori di ristrutturazione, le prime mostre: si utilizzavano anche il pavimento inesistente e la terra a livello della strada. A tutt’oggi è un luogo particolare e puro. Ogni nuovo artista propone un progetto ed è già nei nostri accordi il poter trasformare completamente lo spazio, fa parte dell’ideazione dell’esposizione. Lo stesso nome, Volume, richiama qualcosa che può essere riempito, svuotato, modificato. Proporre mostre già realizzate altrove, attaccare dei quadri, non è pensabile, la volontà è la presentazione di opere in relazione profonda con Volume». Quali sono gli artisti che hanno lasciato la loro maggior impronta? «Tutti gli artisti che hanno lavorato con noi hanno lasciato impronte importanti. In alcuni casi hanno fatto qui le loro prime esposizioni in Italia. Si sono succeduti, nel corso degli anni, Sol Lewitt, Marina Abramovic e i suoi studenti, e molti altri fra cui giovani come Daniela Perego e Carlos Garaicoa, che oggi girano il mondo». Come è nata e si è sviluppata la collaborazione con Corviale per Parco nomade?
«Parco nomade è un progetto che nasce dalla volontà di incidere realmente sulla realtà: l’idea è di trasformare il luogo in cui si vive, facendo della cultura una leva per il cambiamento. L’area di Corviale è nota non solo a Roma, ma anche in Europa, sia per le sue problematiche sociali che per la presenza imponente dell’edificio, situato in questa parte della campagna romana. Da un’idea di Nucci si è pensato di riqualificare il territorio facendo dialogare l’arte e l’architettura nell’ottica di una sorta di proiezione visionaria di come queste possano contribuire a modificare un contesto». Da quest’anno nasce Crosswise, una serie di eventi che avete ideato ad Art-coregallery, nel quartiere di San Lorenzo a Roma. Su che cosa punta questa nuova iniziativa? «Lo spazio di Volume ha una sua funzione di sperimentazione riguardo ai progetti con gli artisti, poi la fondazione si apre anche al rapporto con la città. È nata l’idea di creare un luogo agile in una realtà a forte connotazione giovanile e culturale com’è il quartiere di San Lorenzo, importante anche per la vicinanza all’università. Si propongono una serie di attività: dal cinema, alla musica, al teatro, alla lettura di testi, alle proiezioni video, con un’attenzione ai linguaggi contemporanei tutti in un’unica sede».
IL NOME, “VOLUME” RICHIAMA QUALCOSA CHE PUÒ ESSERE RIEMPITO, SVUOTATO E MODIFICATO
LA MOSTRA Volume interno Il 4 ottobre inaugura la mostra di Sissi, dal titolo Volume interno, a cura di Claudia Gioia. Opere inedite rendono noto un aspetto dell’artista lontano dalle ”performance” in cui erano centrali il suo corpo e la sua fisicità. Il lavoro già sviluppato in Anatomia parallela è composto da disegni anatomici, dalle ossa al sistema circolatorio. Le emozioni modificano i nostri organi, così i disegni si possono collegare alla sua usuale volontà di estremizzare il linguaggio corporale. Fino al 4 novembre.
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UN’IDEA DEL 2008 Anatomia parallela Era il maggio del 2008 quando per la prima volta ho avuto modo d’incrociare i disegni anatomici di Sissi, Un’anatomia parallela che prima ancora d’uscire dal libro dei sogni possibili per approdare alla fondazione Volume era un volume – destino delle cose – il titolo della sua tesi di laurea. Nella sua residenza-laboratorio in uno dei più antichi e fascinosi palazzi nobili di Bologna, Sissi, in arte Daniela Olivieri, bolognese classe ‘77, sfogliava quelle immagini d’ossa sfrante, nervature slabbrate, sognando di potergli dare un corpo, un giorno. Ora quel giorno è arrivato, e la sua Anatomia parallela è un’occasione per conoscere l’opera minore ma più intima della giovane artista, lontano dalle performance e dalle ”mise” barocche che l’hanno resa un nome nel campo dell’arte contemporanea. (M. Z.)
Sissi, Anatomia parallela 1 Analisi del lembo scucito, 2011 Sotto: l’artista mentre sfoglia il volume Un’anatomia parallela foto Maurizio Zuccari
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VENEZIA DISCUTE SUL FUTURO La città è sede di nuovi progetti architettonici Non mancano però le polemiche per gli azzardi di VALENTINA PISCITELLI
Sotto: rendering della torre ”Palais Lumière” di Pierre Cardin A destra, in senso orario: la fondazione Giorgio Cini, un disegno e un’immagine di Punta della Dogana, il prospetto sud del progetto di ampliamento dell’hotel Santa Chiara degli architetti Antonio Gatto Dario Lugato e Maurizio Varratta, il ponte dei Sospiri impacchettato e la porta d’acqua di Frank Gehry
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avvero a Venezia il denaro può muovere ogni cosa? È questa la domanda che Italia Nostra si pone davanti alla spettacolare torre alta 256 metri che si appresta a marcare il “landmark” della Laguna entro il 2015, destinandola alla cancellazione certa dalla lista dei siti Unesco. Il progetto del “Palais Lumière”, fortemente voluto da Pierre Cardin, sorgerà a Marghera tra le polemiche di numerosi intellettuali che parlano di vero e proprio oltraggio alla città. Venezia è sotto assedio: lo scrittore Tiziano Scarpa ne parla come di “una città letale”, dove la radioattività estetica è altissima. La battaglia intrapresa contro le maxi affissioni da Anna Somers Cocks del comitato “Venice in peril fund”, ha portato con successo a termine la campagna contro l’abitudine di stuprare i monumenti con giganteschi cartelloni pubblicitari sempre illuminati «perché – a suo dire – portano via la meravigliosa oscurità di Venezia». Chi non ricorda l’impacchettamento del ponte dei Sospiri in cui oggi si mimetizza – con opposto spirito – l’artista Liu Bolin? Salvatore Settis buon ultimo ha dichiarato inammissibile la logica delle navi da crociera che attraversano Venezia, distruggendo quotidianamente i fondali. È dunque una questione di cambiamento culturale, il segno dei tempi che mutano se pensiamo che anni addietro il regolamento edilizio di Venezia non ha permesso all’architetto Frank Lloyd Wright di costruire un palazzetto e a Le Corbusier di edificare a Cannaregio il nuovo ospedale, oggi si realizza una costruzione di una torre per favorire l’indotto lavorativo di almeno 5.000 persone che saranno coinvolte nella costruzione del grande edificio, e dei molti altri che verranno per tutti i servizi e le forniture necessarie alle
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attività quotidiane che si svolgeranno al suo interno. Il progetto ha ottenuto il via libera del comune di Venezia, della provincia e della regione. Al permesso di costruire manca solo il parere positivo dell’Enac sulla questione dello “sforamento” in altezza del limite di 110 metri, previsti dalle norme in prossimità degli aeroporti. «Si sono realizzate, in questi ultimi anni, opere architettoniche di alto valore innovativo: il recupero attento della Punta della Dogana; il ponte di Calatrava; il palazzo della Giustizia, il terminal del Tronchetto ma il dibattito tra le parti favorevoli o contrarie è costato un clima acceso», dichiara il presidente dell’ordine degli Architetti di Venezia Antonio Gatto. «E tutto questo – prosegue – in una città che già soffre improponibili tempi di approvazione dei progetti e ha quindi allontanato possibili investitori. In questo periodo si affacciano alla ribalta nuovi progetti che al di là del “piace o non piace” potrebbero partire immediatamente: oltre al “Palais Lumière”, il nuovo albergo e la porta d’acqua di Frank Gehry prevista nella nuova darsena aeroportuale. Proposto una decina di anni fa, il progetto è ancora in predicato e ha dato origine a un dibattito acceso proprio come lo è stato per il raddoppio dell’albergo Santa Chiara in piazzale Roma, di fronte al Canal Grande, partito nel 1992 e ancora in costruzione. Tutto ciò per sottolineare che è giusta la tutela paesaggistica e ambientale ma non è giusto non decidere del tutto poiché così facendo del nostro periodo storico non rimarrà traccia».
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a cura di GIORGIA BERNONI
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SOLIDI MAESTRI DEL COSTRUIRE Tre retrospettive celebrano altrettanti architetti In mostra i rinomati progetti dei padri della materia
Sopra: Pier Luigi Nervi Cartiera Burgo di Mantova In alto: Le Corbusier Studio della facciata del duomo di Siena e di alcuni dettagli architettonici,1907 cortesia fondation Le Corbusier Parigi A destra: Giuseppe Terragni Casa del fascio 1928/1932-1936 piazza del Popolo Como foto Paolo Rosselli
FOLIGNO Giuseppe Terragni al Ciac La mostra, c urata da Attilio Terragni e Italo Tomassoni, vuo le riproporre at traverso modelli, disegni, riviste, libri e scritti, la figura di Giuseppe Terragni, sc omparso prematu ramente nel 1943 all’apic e della sua carriera. È merito su o quello di aver ripensato i termini dell’edificare: in pochi decenni Terragni abbozza l’intero percorso dell’architettura moderna, portando l’It alia al passo co i tempi. Dal 6 ottobre al 9 dicembre. Ciac, Foligno. Info : www.centroitaliano ar te cont empora nea.com
MANTOVA
ROMA
La sfida di Pier Luigi Nervi
L’Italia di Le Corbusier al Maxxi
Allestita nelle Fruttiere della dimora gonzaghesca di palazzo Te, la mostra Pier Luigi Nervi architettura come sfida è la prima grande retrospettiva dedicata al più noto ingegnere italiano del ‘900. Frutto di un vasto progetto di ricerca, il percorso pensato da Carlo Olmo è scandito da dodici lavori icona e si arricchisce di nuovi, in parte inediti, contenuti nella tappa mantovana, sottotitolata L’industria e la fabbrica sospesa. Fino al 25 novembre. Palazzo Te, Mantova. Info: www.centropalazzote.it
L’Italia di Le Corbusier, organizzata dal Maxxi architettura diretto da Margherita Guccione, presenta le suggestioni delI’Italia nel percorso e nel lavoro del maestro: dai viaggi di formazione ai progetti, mai realizzati, per il centro calcolo Olivetti di Rho e per l’ospedale di Venezia. In mostra fotografie, disegni, acquerelli e dipinti realizzati da Le Corbusier, insieme a opere di artisti italiani con cui era in contatto. Dal 18 ottobre al 17 febbraio 2013. Maxxi, Roma. Info: www.fondazionemaxxi.it
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NUOVOHOTELBULGARI FRA GREEN E RELAX Inaugurato a Londra l’ultimo albergo del marchio: architettura inglese che parla italiano
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opo Milano e Bali la “maison” Bulgari continua ad ampliare l’elenco delle strutture dedicate a ospitare un pubblico esclusivo. Ha inaugurato infatti il Bulgari hotel and residences di Londra, nella zona centrale di Knightsbridge. La struttura conta 85 stanze, un ristorante, una sala proiezioni con 47 poltrone, una Spa su due piani con piscina coperta, un’area fitness e una palestra attrezzata. Antonio Citterio e Patricia Viel hanno disegnato il progetto architettonico dalle linee pulite ed essenziali. «La grammatica delle forme – spiega Citterio – richiama il rigore del Bulgari di Milano: uno stile monumentale e contemporaneo in grado di consolidare il panorama londinese che sta attraversando una fase di trasformazione. In questo senso la pietra di Portland e il bronzo, materiali tipici dell’architettura pubblica inglese, combinati al design meticoloso dei prospetti
della facciata, rivelano un approccio rigoroso e moderno al progetto». La struttura è stata costruita nel rispetto dei rigidi criteri di architettura ecosostenibile stabiliti dal Breeam (Bre “environmental assessment method”), il più importante metodo di valutazione ambientale degli edifici. Nell’ecologico “green roof” trovano posto covi di uccelli, pipistrelli e un nido di falco pellegrino per incoraggiare l’insediamento della fauna locale, singolarità che rende la struttura in sinergia con il vicino Hyde park. «Anche il design degli interni – continua Citterio – è profondamente innestato sulle tradizioni della città e l’importanza dell’arte argentiera nella storia di Bulgari costituisce un legame fortissimo con una certa immagine della cultura inglese. Il materiale, combinato a legni e dettagli preziosi, diventa il tema portante del progetto di “interior” design». Infatti nel decoro dell’hotel, l’argento è espressione di eleganza, in linea con lo
stile degli altri alberghi del marchio. Fiore all’occhiello della struttura sono i due lampadari che dominano il soffitto a cupola della sala da pranzo, disegnati e realizzati da Padgham and Putland. In argento e realizzati a mano, si caratterizzano per eleganza e sinuosità e nel disegno che li decora si esprime l’idea del ballo e della festa. Il “made in Italy” è una costante anche del raffinato arredo, sia per la provenienza dei materiali che per la lavorazione, riuscendo a coniugare lo stile e la storia di Bulgari con le caratteristiche progettuali. L’hotel è un omaggio alla tradizione argentiera del marchio e celebra, allo stesso tempo, la relazione del “brand” con l’Inghilterra che risale al 1976 quando il marchio fu registrato alla Goldsmiths “hall” di Londra. Il prezzo per una doppia? 500 sterline a notte Lo dicevamo che il design non è per tutti. Martina Adami
BULGARI HOTEL &RESIDENCE 171 knightsbridge, Londra Tel. 2071511010 www.bulgarihotels.com In alto: la piscina sotto da sinistra: esterno camera da letto
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Escale numérique Design Mathieu Lehanneur, 2012. Sistema di arredo urbano in calcestruzzo, legno e verde, con integrazione di funzioni tecnologiche di informazione e interattività
Non perdere il filo Design Tobia Repossi per Modo, 2008. Sistema di gioco composto da tubi metallici colorati, ciascuno lungo 3 metri, a tre altezze diverse, forniti di maniglie mobili
NUOVIMONDIINCITTÀ: RELAZIONIFLUIDEPER NOMADICONTEMPORANEI NEGLI SPAZI CONDIVISI L’ARREDO SI TRASFORMA IN SISTEMA INTEGRATO, ARCHITETTURE DIFFUSE PROGETTATE PER RENDERE PIACEVOLE E UTILE IL TRANSITO E LA SOSTA, PER UNA NUOVA SOCIALITÀ
a cura di ANTONIA MARMO (SIGNDESIGN)
Aster Design Emo design per Neri, 2012. Urban lounger con struttura in acciaio verniciato, base in calcestruzzo, copertura in cristallo e sistema di illuminazione Oled
Treeline Design Pio e Tito Toso per Metalco, 2012. Sistema modulare (seduta, contenimento del verde, elemento salvapiante) realizzato con impasto di pietre di granito o marmo, in vari colori, con finitura sabbiata
Omega-p Design Antonio Mastrorilli, Giuseppe Scuderi, Bomin Kim per Citysì, 2011. Sistema di dissuasori, posacenere e rastrelliera, in acciaio, con finitura satinata o in acciaio zincato e verniciato, elementi in legno e luci Led
Sotto: Les stanzes Design David Apheceix, Benjamin Lafore, Sébastien Martínez Barat (La ville Rayée) per Escofet, 2012. Sistema di arredo urbano, disponibile in due formati, in calcestruzzo e polistirolo ad alta densità
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omadi contemporanei, ci aggiriamo per le nostre città costantemente interconnessi alle nostre reti di relazioni mobili. Questo cambia totalmente il nostro approccio con lo spazio pubblico, non basta più assolvere alle semplici funzioni di offrire una seduta, delimitare uno spazio o contenere dei fiori, seppur in maniera esteticamente curata. Una nuova espressione dell’arredo urbano si afferma, fatta di sistemi, più che di singoli pezzi, quasi delle micro architetture diffuse e intelligenti, capaci di coinvolgere i passanti che ne diventano attori, potendo scegliere come “appropriarsene”. Le esperienze più avanzate, tra applicazioni smart-city e visioni “eco”, mettono insieme multifunzionalità, interattività, gioco e nuova socialità. È un’oasi con connessione Wi-fi, punto informativo digitale e comode sedute attrezzate l’Escale numérique progettata da Mathieu Lehanneur per il comune di Parigi, quasi un’emersione della rete in fibra ottica cittadina, che diventa anche giardino pensile. Disegnata da Emo design per Neri, Aster è un oggetto poetico e superaccessoriato che combina sedute e piani di appoggio, Wi-fi, un sistema audio che ne fa vibrare le pareti, la diffusione di suoni naturali e una copertura in cristallo trasparente con luci Oled interattive. Grazie alla sensibilità di Tobia Repossi e di Modo, nasce Non perdere il filo, un percorso-installazione di tubi colorati con maniglie mobili, studiato per divertire e stimolare bambini abili e diversamente abili nelle loro capacità motorie e nello stare insieme. Pensato come un nastro continuo che affianca le nostre esigenze in movimento, Omega-p è il sistema componibile di elementi, firmato Citysì, che possono vivere in serie o separatamente, come le funzioni che offre, da rastrelliera per biciclette, a dissuasore, a punto luminoso, fino a contenitore posacenere. Polivalente anche Treeline, su progetto di Pio e Tito Toso per Metalco, che consente di aggregare liberamente moduli lineari e curvi in una dinamica organica struttura tra naturale e artificiale. Come preesistenze geologiche attrezzate con avanzati dispositivi tecnologici, Les stanzes del gruppo La Ville Rayée per Escofet, installate alla Défense di Parigi, richiamano la partecipazione attiva dei cittadini, offrendo una molteplicità di opzioni ludiche, di socializzazione e di informazione interattiva.
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la storia della lira
PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO
nella repubblica Italiana
le Ultime Coniazioni Dalla Zecca dello Stato, la nuova emissione celebrativa dedicata alla Lira realizzata in oro dal materiale creatore originale. Gli esemplari della Collezione LA STORIA DELLA LIRA - LE ULTIME CONIAZIONI sono coniati in oro fondo specchio nelle dimensioni originali e nel loro ultimo anno di emissione.
Tiratura limitata e numerata con certificazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Collezione completa: 1999 esemplari Collezioni singole: 1999 esemplari ciascuna
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800 014 858 numero verde
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IL GIOCO DI SQUADRA È VINCENTE Intervista col direttore creativo di Bcube: «Il web necessario strumento del futuro»
di GIULIO SPACCA
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rancesco Bozza è il giovane direttore creativo di Bcube che ha accumulato già molta esperienza lavorando per importanti “brand”. Nei suoi lavori riesce a coniugare l’utilizzo degli strumenti comunicativi classici con la tecnologia moderna. Oggi viviamo nell’epoca dell’homo videns, per cui la comunicazione è soprattutto immagine: la parola, il messaggio, hanno ancora un ruolo importante nella pubblicità? «Prima una piccola precisazione: la comunicazione non è solo immagine e non è solo parola. La comunicazione è l’unione delle due cose. E questa unione si chiama messaggio. La foto di un atleta concentrato, mentre si allena, è solo un’immagine. Ma se sotto, anche in piccolo, gli scrivi “Just do it”, quella stessa foto diventa una storia e allora nel soggetto che guarda si apre un mondo». C’è spazio per i giovani nella comunicazione pubblicitaria? «In realtà, più che spazio per i giovani, c’è spazio per menti giovani. L’età anagrafica è irrilevante, una mente giovane non ha età». In Bcube avete preparato una squadra per ogni ambito della comunicazione: è il modo ideale per realizzare una buona campagna? Oppure è sempre il singolo che riesce a trovare l’ispirazione giusta? «In entrambi i casi possono venire fuori cose interessanti. Ultimamente abbiamo lavorato su progetti che sempre di più mirano a una condivisione totale: penso al lancio della nuova Mini Ray, oppure alla nuova piattaforma di comunicazione Ceres, casi in cui i creativi, i “planner” e le persone che si occupano del web si parlano e si influenzano. Le idee che nascono in coppia
OGGI CHI GUARDA E ASCOLTA LO FA SU PIÙ CANALI INSIEME LA COMUNICAZIONE INTEGRATA RISPONDE A UN CAMBIAMENTO DELLO STILE DI VITA
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FRANCESCO BOZZA Le tappe 1974 Nasce a Benevento il 2 maggio
1999 Entra in pubblicità con Bgs D’Arcy, lavora su Infostrada, Swatch e Ikea
2003 Si sposta in Leo Burnett
2009 Diventa amministratore delegato e direttore creativo di Bcube, agenzia indipendente del gruppo Publicis
In alto: Francesco Bozza A sinistra, dall’alto: i lavori realizzati per i 125 anni della Coca cola, Ceres e Mini
2010 Riceve il premio di direttore creativo dell’anno
spesso poi si arricchiscono con il confronto dei colleghi e, a volte, con il cliente». La comunicazione integrata oggi è la più adatta? «Oggi chi guarda, chi ascolta, chi legge lo fa, volente o nolente, su più canali contemporaneamente: la comunicazione integrata risponde a un cambiamento dello stile di vita e di fruizione dei messaggi della gente. Il “digital” e i “social” media hanno contribuito sicuramente a questo cambiamento. Occorre partire dagli obiettivi di comunicazione, tirare fuori una bella idea e poi farla esplodere su tutti i mezzi che la possano mostrare al meglio. Le cose più apprezzate adesso non sono tanto le campagne quanto le operazioni che coinvolgono la gente in prima persona, che la fanno pensare, partecipare e che la spingono a condividere quello che hanno provato». Nel suo modus operandi quanto viene coinvolto il cliente? «Tantissimo. Amo sviscerare le prime idee, quelle di pancia, davanti al cliente e vedere la sua reazione. Sono anche fortunato, perché lavoro con clienti che hanno sempre creduto nei miei progetti e che hanno sempre trattato me e il mio “team” come dei veri consulenti di comunicazione e non come semplici fornitori di creatività». La comunicazione su internet è la novità di questo millennio, per un creativo che potenziale ha il web? «Più che parlare di potenziale dovrebbe essere considerata una necessità evolutiva di sopravvivenza. Un grosso errore è pensare al “digital” come una disciplina a parte, quando invece deve essere integrata in ogni operazione di comunicazione».
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Mana Bernardes, Mobiluz Sotto: Carol Gay, Noar chair
L’ESPOSIZIONE ”Brazil new design” Arriva al 2 dicembre la nuova mostra della Triennale di Milano dedicata al design. In esposizione i pezzi della nuova scuola brasiliana caratterizzata da un forte uso dei materiali di riciclati che vengono trasformati in oggetti d’arte. Le creazioni presentate sono molto diverse fra loro, nel tentativo di costruire una fotografia del paese esaustiva. La mostra, a cura di Fernando e Humberto Campana, fa parte di un ciclo che la Triennale dedica al design di paesi emergenti. Quella del Brasile è la terza tappa, dopo la Corea e la Cina. Triennale di Milano, viale Emilio Alemagna 6. Info: www.triennale. it
IL DESIGN CHIAMA IL BRASILE RISPONDE Alla Triennale di Milano espongono i giovani creativi del paese Fra riciclo e fantasia, la nuova scena comincia dalla tradizione
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a mostra sul design brasiliano alla Triennale di Milano fissa almeno due punti fermi. Uno, il Brasile non è più perizomi, fischietti e samba; due, il paese è in piena crescita economica e culturale. Tutto questo comporta dei cambiamenti profondi che si riflettono nelle arti e nel design. E sembra proprio il destino del settore quello di farsi specchio dei mutamenti di un paese, come l’Italia degli anni Cinquanta ben testimonia. È infatti nel suo essere materia ibrida fra arte e praticità che il design esprime i contrasti di una nazione che ospita ville milionarie e “favelas” a pochi chilometri di distanza. Tutti i lavori in esposizione si presentano come una vetrina dello stato attuale del disegno industriale brasiliano che si mostra in tutta la sua eterogeneità. L’evento, curato dai fra-
telli Fernando e Humberto Campana, designer di San Paolo, alterna pezzi destinati alla produzione di massa ad altri prettamente artigianali, composizioni che vanno dal legno alle nuove leghe tecnologiche in una fusione fra tradizione e innovazione. Una caratteristica contemporanea che sembra aver trovato terreno fertile in questi giovani creatori è la tecnica del riciclo. Chi meglio di chi vive il contrasto fra povertà e lusso può reinventare un materiale di scarto trasformandolo in un pezzo d’arte? Nessuno, o comunque in pochi. E allora ecco una sedia definita da una struttura di alluminio rivestita da copertoni neri come nel caso di “Noar chair” di Carol Gay, stracci di zanzariera che costruiscono formosi arabesque su un telaio circolare è invece il lavoro di Mana Bernardes con Mobiluz, mentre brandelli di
neon industriali intrecciati fra loro a formare un albero luminoso e inquietante è l’opera di Guto Requena, oppure, dello stesso artista, è la sedia di legno scuro scolpita a colpi di accetta brutali che formano angoli e spigoli vivi per una seduta lontana dall’essere definita rilassante. Riveste materiali riciclati di pelle verde per creare un divano dalle forme asimmetriche Rodrigo Almeida che gioca anche sul contrasto fra linee dritte e morbide curve. Questi artisti, insomma, sembrano riprendere in mano l’amore tutto dadaista dell’oggetto trovato e senza essere secondi a nessuno lo reinterpretano regalandogli una nuova identità. Che non si dica, per favore, che il Brasile è solo perizomi, fischietti e samba. Francesco Angelucci
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Coveri da Prato al made in Italy Un tuffo nel mondo dello stilista Corgnati: «Un vero talent scout»
LA GIOIA DELLE DONNE ANNI ‘80 di MARIA LUISA PRETE
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duardo Nesi, premio Strega nel 2011 con Storia della mia gente, racconta la Prato degli imprenditori in crisi, delle fabbriche nelle mani dei cinesi, del degrado e delle speranze disilluse. Una città lontana dai fasti degli anni ‘80: felice, operosa, dinamica, brulicante di imprenditori illuminati. Tra questi Enrico Coveri: lo stilista capace di imprimere un segno indelebile al made in Italy. Oggi viene celebrato dalla sua città natale con un’iniziativa che presenta il mondo dello stilista e ciò che ha rappresentato. Il ritratto a tutto tondo di un uomo, dalle passioni al lavoro, dalle intuizioni agli innumerevoli successi. Un inno allo stile che ha saputo creare e imporre all’attenzione internazionale. Abiti colorati, floreali, non necessariamente sexy, ironici e soprattutto gioiosi per «una donna sempre in vacanza»: così Martina Corgnati, curatrice dell’esposizione insieme a Ugo Volli e Luigi Salvioli, definisce la creatura di Enrico Coveri. Un’icona degli anni ’80 che rivive nella mostra Coveri story, da Prato al made in Italy. «Un tuffo nel mondo dello stilista – dice la Corgnati – promosso dalla Camera di commercio per il rinnovo della sua sede che ha l’obiettivo di ricordare un’impresa pratese d’eccellenza. Si è creato per l’occasione – continua – un comitato scientifico incaricato di curare i vari aspetti del progetto: quello legato alla moda, affidato a Volli, quello relativo alla comunicazione del brand, curato da Salvioli, e quello propriamente legato all’arte di cui mi occupo io». La mostra, infatti, svela un aspetto poco indagato di Coveri: «Non è stato solo un grande collezionista – afferma la curatrice – ma ha vissuto con gli artisti del suo tempo, da Andy Warhol a Keith Haring. Ma non parlerei di influenza, piuttosto di interazione complessa, produttiva e fertile tra lo stilista e gli artisti che frequentava». Una condivisione di idee capace di influenzare il gusto del pubblico e il modo stesso di vedere la vita. L’esposizione cerca di dar conto di tutto questo e dal percorso «viene fuori una personalità unica, un uomo abile, creativo e intelligente e soprattutto dotato di un istinto fuori dal comune, un vero e proprio talent scout se si pensa che nella sua maison hanno debuttato le più grandi modelle del mondo, da Naomi Campbell a Claudia Schiffer», conclude la Corgnati.
LA MOSTRA L’omaggio a un pratese doc Coveri story, da Prato al Made in Italy, promossa dalla Camera di commercio di Prato, è curata da Ugo Volli, Martina Corgnati e Luigi Salvioli. Abiti originali, bozzetti, gli inediti storyboard delle sfilate, fotografie, video delle sfilate, fino alle copertine che le riviste hanno dedicato alle sue creazioni. Inoltre, una sezione documenta il suo amore per l’arte contemporanea con una selezione di opere e un ritratto di Coveri realizzato da Andy Warhol. Dal 24 ottobre al 18 gennaio 2013, auditorium Camera di commercio, via del Romito 71, Prato. Info: www.po.camcom.it
Collezione autunno/inverno ‘86/‘87 foto Bill King, modella: Monica Schnarre Sopra: Collezione primavera/estate ‘87 foto Frank Yarbrough modella Christy Turlington cortesia Archivio Coveri
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LA (BELLA) VITA DI UN MERCANTE D’ARTE IN FUGA La vicenda umana e artistica del gallerista Paul Rosenberg al centro di 21, rue La Boétie Anne Sinclair fa i conti con la propria storia di famiglia e collettiva nel suo esordio narrativo di MAURIZIO ZUCCARI
A
nne Sinclair non è solo una celebre giornalista e una bella donna (tuttora), famosa ben oltre la Francia. La fresca ex consorte di Dominique Strauss Kahn – da cui si è separata in agosto, bruciato nella corsa all’Eliseo per le sue, diciamo così, marachelle sessuali – è anche la nipote di uno dei maggiori galleristi francesi, Paul Rosenberg. Forse per l’aura di mercante d’arte, anziché di sardine (come scrive nel brano riprodotto a fianco), Anne di quel nonno materno ebreo, rifugiato con la famiglia a New York appena le grinfie di Hitler si allungarono sulla Francia, non si era mai occupata molto. Benché grazie a lui poté conoscere il gran mondo delle belle arti parigine, al punto da farsi fotografare nel ‘68 accanto a un Picasso, amico di famiglia di lunga data, giustamente orgoglioso di posare fianco a tanta giovanile bellezza. Ma gli anni passano, le mamme invecchiano e arriva il momento di aprire la valigia dei ricordi e frugare dentro alle carabattole della nostra storia. Questo ha fatto la Sinclair, in ottobre a Roma e Milano per lanciare 21, rue La Boétie, il volume col quale Skira inaugura una nuova collana di narra-
tiva, Storie, incrociando le vicende artistiche a quelle storiche. Sugli scaffali dai primi del mese, il libro prende titolo e mosse dal numero 21 della via parigina in cui aveva sede la galleria fondata da Rosenberg nel 1910, dove erano di casa i maestri dell’espressionismo, come del cubismo francese, da Matisse a Braque, da Léger a Picasso. Di tutti il nonno di Sinclair fu mentore e mercante, appunto, contribuendo alla loro e propria fortuna. Scampato a New York, dove nel ‘40 fondò l’omonima galleria, sulla 57esima strada, Rosenberg ebbe la possibilità di salvare una piccola parte della sua collezione, che per il resto della vita avrebbe cercato di recuperare a colpi di carte bollate e processi dagli accaparratori, come aveva cercato di salvare dalla furia nazista che vedeva in quelle opere solo esempi d’arte degenerata. Una fatica in buona parte coronata dal successo, per la gioia degli amanti d’arte e degli eredi, tra cui la stessa Sinclair (che, nata a New York da Joseph-Robert Schwartz, ha preso il cognome assunto dal padre durante la guerra). La vita del celebre mercante in fuga, le sue peripezie da rifugiato tutto sommato di lusso, sono narrate dalla nipote con piglio fresco e asciutto proprio a partire da quel palazzone nel cuore di Parigi che ebbe la sorte, una volta requisito dai nazisti, di fungere da centrale antiebraica nella Francia di Vichy e centro di spionaggio negli anni del gollismo. Una storia nella storia, dunque, anzi nella memoria famigliare che è, allo stesso tempo, ricordo collettivo del tempo e dell’arte che fu.
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IL BRANO
ELOGIO DELLA RICCHEZZA
IL LIBRO Anne Sinclair 21, rue La Boétie Skira 216 pagine 18, 50 euro
E poi sono invecchiata Ho imparato che il mondo secondo Proudhon esiste soprattutto nei libri, che guadagnare soldi non è necessariamente una colpa se non si sfrutta nessuno, che si può addirittura considerare morale produrre noi stessi ricchezza invece di accontentarci di beneficiare di quella della società
A sinistra: Anne Sinclair In questa pagina, a destra: l’ingresso della galleria d’arte del nonno materno Paul Rosenberg sulla 57esima Strada, a New York In alto, l’autrice con Pablo Picasso negli anni ‘70
Per molto tempo la parola ”mercante” mi ha dato fastidio. A essere più esatti, la parola mi disturbava quando le ”merci” erano oggetti d’arte, quadri, ”cose rare e cose belle”, come sta scritto sul frontone del Musée de l’homme. Se il nonno avesse venduto jeans o scatole di sardine non l’avrei trovato disonorevole, ma il fatto di arricchirsi con il commercio di oggetti d’arte possedeva per me, quand’ero giovane, lo stesso sentore malefico che oggi aleggia attorno alla professione del banchiere. Niente di disonesto, ma un che di ”impuro” amplificato dalla ripugnanza francese nei confronti del denaro. L’immagine dei pittori maledetti, morti nella miseria, mi rendeva sospetto il commercio di chi fa il mestiere di venderne le tele. Avrei invece trovato molto nobile un uomo motivato esclusivamente dall’amore per l’arte, una sorta di mecenate le cui uniche preoccupazioni fossero la sopravvivenza del buon gusto e la promozione disinteressata di giovani artisti squattrinati. Giulio II che assicura la gloria di Michelangelo, o Peggy Guggenheim, miliardaria sfaccendata, protettrice delle arti, che acquista un’opera al giorno, e va bene. Ma l’immagine stereotipata del commercio, della contrattazione, dell’acquisto di tele a pittori che vivono nell’indigenza, tele che poi vengono vendute ricavandone un grosso profitto, tutto ciò mi procurava un disagio pari alla nausea ispirata a Rubempré dalla società aristocratica parigina. E poi sono invecchiata. Ho imparato che il mondo secondo Proudhon esiste soprattutto nei libri, che guadagnare soldi non è necessariamente una colpa se non si sfrutta nessuno, che si può addirittura considerare morale produrre noi stessi ricchezza invece di accontentarci di beneficiare di quella della società. Ebbene sì, mio nonno, Paul Rosenberg, è stato un mercante.
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CORÀ SUONA MOZART «Dovendo prendere posizione e destino nell’attuale cataclisma mi sono rimesso sulla via» Così il critico spiega il suo nuovo periodico d’arte nato «per sconfiggere Salieri» di MAURIZIO ZUCCARI
«P
er quanto mi riguarda, dovendo prendere posizione e destino nell’attuale cataclisma, a fronte di ogni pronostico dissuasivo, mi sono rimesso sulla via con pochi avventurosi amanti del pensiero, delle esperienze e delle forme del contemporaneo Mozart». Non è che di questi tempi le riviste d’arte contemporanea spuntino come funghi. Così, quando Bruno Corà – sanguigno critico e curatore di lungo corso, romano classe ‘42, da tempo residente in Umbria – ha rimesso in campo una serie di vecchi e nuovi amici per dare vita a Mozart, un quadrimestrale bilingue dedicato agli addetti ai lavori, per di più di carta, ci è parso doveroso cercare di capirci qualcosa. Nessuna presentazione, solo una tua poesia sulle comuni radici greche: perché l’assenza di un editoriale che spieghi le ragioni dell’opera? «Nella pagina 127 di Mozart, cioè quella che precede il colophon finale, dedicata a esortare i lettori ad abbonarsi alla rivista, sta scritto: “Perché sia possibile una riflessione affrancata da condizionamenti limitanti la libertà degli autori; perché sia possibile costruire, interagire, avere memoria, curare le piante e ascoltare suoni nel giardino di delizie. Perché siano possibili gesti di apertura e confronti responsabili”. Questi, insieme ad altri aspetti, se si vuole, sono gli obiettivi che la rivista ha in-
dividuato e il breve testo è una sorta di editoriale senza enfasi. Nulla vieta che in altri numeri, anziché alla fine lo si possa tracciare tra le prime pagine. Ma è anche dalla struttura ordinaria che si intende cominciare a cambiare qualcosa. Spesso gli editoriali esprimono propositi che, letti qualche anno dopo e talvolta anche qualche mese, sono già smentiti, vorrei evitare queste patetiche situazioni. Dunque, quegli obiettivi mi hanno indotto a cercare interlocutori per avviare un’azione condivisa che soddisfi il piacere di appartenere a una comunità di autori liberi dai molti diktat che il sedicente sistema dell’arte tenta di imporre. Abbiamo voluto uno strumento di riflessione e non d’informazione. Di questi esistono già numerosi esempi, mentre alla teoria e al lavoro autonomo degli artisti si offre poco spazio. Oppure quello che si offre è frastornato da mille altri messaggi che, a parer nostro, hanno poco a che fare con l’arte». E il titolo della testata da dove spunta? «Mozart è il nome di un grande artista verso cui l’arte è stata prodiga. Inoltre egli reca nel proprio nome, come un dna, la parola “art”. È stato un gioco da ragazzi spezzare in due la progressione delle lettere componenti quel cognome e porre in prima di copertina solo “Moz”, frammento assolutamente enigmatico e privo di senso come lo è qualsiasi cosa prima di entrarci dentro. Il problema sta tutto lì». Cinque le sezioni della rivista,
Mozart quadrimestrale d’arte diretto da Bruno Corà 128 pagine 20 euro www.3arte.it
Bruno Corà fotografato dall’autore Sullo sfondo un’opera di Jack Sal nella cappella Gandini a Montà (Padova)
tutte con un richiamo al mare, in qualche modo: Avviso ai naviganti, Messaggio nella bottiglia, Onde sonore, Sotto il faro, Fondamenta degli incurabili e Inediti. Spieghiamole. «Trent’anni fa è stato Rimbaud a fornirci con Anoir, Eblanc, Irouge, Uvert, Obleu – dalla sua poesia Voyelles – il titolo della nostra prima avventura. Ora, per quelle ragioni prima indicate e altre, ci è rivenuta voglia e dunque si riparte. Il viaggio è sempre una navigazione. Lo si deve spiegare a chi oggi, nell’epoca del “net”, naviga dalla mattina alla sera? Non credo che sia necessario. Così, le sezioni della rivista si distinguono tra loro poiché gli artisti indicano, con le opere, le coordinate delle loro posizioni, i filosofi e i letterati inviano messaggi di orientamento, i musicisti emettono nuove vibrazioni e frequenze, i critici e gli studiosi osservano e valutano quanto si pone in luce interrogandosi su nuovi possibili fondamenti per la scrittura e per l’arte. Queste, in breve, sono le ragioni esplicite e poi, per i partecipanti alla rivista, ce ne sono molte altre implicite, segrete, di puro divertimento, indirizzate a bersagli inconfessabili che turberanno sicuramente i sonni di qualcuno e faranno venire il mal di pancia a talaltro. Abbiano deciso di divertirci: combattere il cinismo, la furbizia, la spocchia, la mediocrità, il servilismo, la ruffianaggine, il conformismo, il livore, l’invidia, l’arrivismo, ecetera. Insomma, sconfiggere Salieri».
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La Val di Susa alla prese con una modernità coatta Le tesi a favore e quelle contro sul treno veloce Tutta la storia da Luca Abbà a Mario Monti
TAVSÌ TAVNO L’OPERA DICALIA
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a lampadina gli si è accesa a febbraio quando Luca Abbà, un contadino che difendeva la terra che gli dà da vivere, è precipitato da un traliccio su cui s’era arrampicato per sfuggire all’inseguimento di alcuni dei carabinieri che presidiano il non-cantiere della Tav in Val Susa. Ma Claudio Calia, fumettista della scena padovana (lo Sherwood festival è uno degli appuntamenti più interessanti per il comicdom indipendente), ha voluto fabbricare un dossier a fumetti, “citizen journalism” anziché “graphic novel”, sciorinando dati e cifre e ragioni perché ciascuno possa farsi un’opinione sulla grande e devastante opera contrastata da una ventina d’anni dalle popolazioni interessate. Il suo Dossier Tav, pronto per il prossimo salone di Lucca, è tutto qui: progetti, interessi, costi e benefici, valutazioni economiche, etiche, ecologiche e politiche, introdotto da due dichiarazioni, una a favore, l’altra contro. Chi ha ragione? Il tecno banchiere Mario Monti che ripete che senza Tav «la penisola italiana slitterebbe lentamente in un tuffo nel Mediterraneo»; oppure il sociologo torinese Marco Revelli: «Ormai lo sappiamo: i dati ci dicono che la Tav è un’impresa inutile da un punto di vista dei trasporti, dannosa per l’ambiente e insostenibile da un punto di vista economico e finanziario. Allora perché i politici, gli amministratori, giornali come Repubblica e Corriere – come un tribunale dell’inquisizione occulto ma feroce – continuano a bollare come nemico ognuno che esprima dissenso?». Anche questo volume è opera di Becco Giallo.
A sinistra: una pagina di Dossier Tav A destra: particolare della copertina Enrico Mattei
“CITIZEN JOURNALISM” ANZICHÉ “GRAPHIC NOVEL” SCIORINANDO DATI, CIFRE E RAGIONI PERCHÉ CIASCUNO POSSA FARSI UN’OPINIONE Claudio Calia Dossier Tav Becco Giallo 144 pagine 15 euro
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a cura di CHECCHINO ANTONINI
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CHEFINEHAFATTOMATTEI? I disegni di Cortesi e le parole di Niccolini indagano sull’omicidio del presidente dell’Eni
«C
he cosa era Enrico Mattei? Un avventuriero? Un grande patriota? Uno di quegli italiani imprendibili, indefinibili, che sanno entrare in tutte le parti, capaci di grandissimo “charme” come di grandissimo furore, generosi ma con una memoria di elefante per le offese subite, abili nell’usare il denaro ma quasi senza toccarlo, sopra le parti ma capaci di usarle, cinici ma per un grande disegno». Questo ebbe a scrivere Giorgio Bocca del presidente dell’Eni, ucciso in un disastro aereo mezzo secolo fa, precisamente la notte del 27 ottobre 1962, precipitando dal cielo pavese. Aveva solo 56 anni, aveva fatto la Resistenza, era potentissimo e fissato su un obiettivo: la totale autonomia energetica del paese dalle Sette sorelle, come si chiamavano allora le multinazionali angloamericane del petrolio. Per questo non aveva voluto liquidare l’ente pubblico svendendolo ai privati, per questo guardava ai paesi in via di sviluppo. È il caso Mattei, come ogni mistero italiano archiviato da inquirenti opachi, infedeli e collusi (una disgrazia di una notte tempestosa), intrecciato a sua volta con altri misteri, quello del giornalista “desaparecido” Mauro De Mauro (a cui Mattei propose un lavoro pochi giorni prima di precipitare) e dell’intellettuale trucidato Pier Paolo Pasolini (il cui ultimo romanzo, incompiuto, aveva l’eloquente titolo di Petrolio).
Francesco Niccolini Simone Cortesi Enrico Mattei Becco Giallo 144 pagine, 15 euro
Una quindicina di anni fa, il pentito Tommaso Buscetta ha puntato l’indice su Cosa nostra: avrebbe sabotato su commissione il Morane-Saulnier Ms-760 di fabbricazione francese di proprietà dell'Eni-Snam su cui volava lo stesso Mattei. Tra le nebbie degli insabbiamenti gli inquirenti troveranno tracce di esplosivo e cancellazione di prove. Becco Giallo si misura con il caso Mattei a quarant’anni dal celebre film di Francesco Rosi in cui uno strepitoso Volonté si è misurato con l’enigmatico personaggio. La casa editrice di giornalismo a fumetti presenta invece un volume di Francesco Niccolini e Simone Cortesi. Il primo è drammaturgo e sceneggiatore, da molti anni studia e scrive per Marco Paolini e per molti altri teatranti. Sul suo “blog” una citazione del romanziere Rohinton Mistry: «E nonostante tutti gli sforzi creativi, il passato poté essere tenuto a bada solo in maniera imperfetta». Cortesi è un esordiente. Di sè dice: «Mi piace scrivere e disegnare storie normali, quotidiane. Così normali da dare fastidio, da sembrare impossibili. Raccontare la realtà provinciale, di campagna mi diverte, esistono mille storie, anzi infinite. Mi piace il Vov caldo quando fuori è freddo e giocare a biliardino. In porta. La tecnica che mi diverte di più è la china nera, da spalmare sul foglio in mille modi diversi».
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Esce nelle sale Il comandante e la cicogna Il regista milanese racconta il “fango” dell’oggi
LA REALTÀ È TUTTA DA SCOPRIRE di ANNARITA GUIDI
CREDO CHE QUESTA SENSAZIONE DI ESSERE NELLA MELMA E NON RIUSCIRE PIÙ A MUOVERSI MA ANCHE A SOGNARE CI ABBIA SPINTO A FARE UN FILM DOVE C’È MOLTA FANTASIA E SURREALISMO
SILVIO SOLDINI Le tappe 1958 Nasce a Milano l’11 agosto
1989 Gira il suo primo lungometraggio L'aria serena dell’ovest
2000 Realizza Pane e tulipani, film che lo consacra grazie all’ampio successo di critica e di pubblico e fa incetta di premi
2007 Firma la regia di Giorni e nuvole
2010 Realizza Cosa voglio di più presentato al festival di Berlino
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ersonaggi che uno degli autori più delicati e profondi del cinema italiano, Silvio Soldini, descrive come “puri”: un idraulico vedovo (Valerio Mastandrea) e un’artista squattrinata (Alba Rohrwacher) arrancano in un mondo diventato troppo difficile. Un film, Il comandante e la cicogna nelle sale dal 18 ottobre, che per comodità chiamiamo commedia ma che è nato da un afflato artistico un po’ diverso. «Da anni vorrei fare un musical ma ogni volta che mi metto a scrivere ci sono cose che prendono il sopravvento», racconta Soldini. Insieme ai cosceneggiatori Doriana Leondeff e Marco Pettenello, il regista ha realizzato che l’importante non era poi tanto o solo il contenitore, quanto la storia: una storia che gira attorno alla parola fango: quel metaforico, doloroso stallo che oggi, a qualsiasi età, blocca iniziative, desideri e soprattutto l’aria, cioè i sogni. «Una sensazione – precisa il regista – di cui ci siamo accorti mentre iniziavamo a scrivere. Non ci si riesce a muovere, non si sa in cosa sperare, quale direzione auspicare che la politica possa prendere. È stata questa la molla che mi ha portato a scrivere la storia. C’era già l’idea della commedia, perché dopo gli ultimi due film drammatici avevo voglia di uno sguardo più leggero, distaccato e ironico sul mondo. Credo che questa
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sensazione di essere nella melma e non riuscire più a muoversi, ma anche a sognare, ci abbia spinto a fare un film dove c’è molta fantasia, qualcosa di più surreale rispetto alle altre pellicole. I personaggi vivono in questo mondo, però è come se avessero una possibilità di uscire attraverso una porta che noi facciamo fatica ad aprire, quella della fantasia e della speranza. Il problema di questi anni è che uno non spera più che le cose possano migliorare: abbiamo preso tante di quelle mazzate. La cosa più bella che si può regalare allo spettatore è ritrovare un’energia che gli permetta di sognare cose non slegate dalla realtà, ma fattibili». Ecco che il film ci proietta, concretamente, in un altro mondo. Che però è il nostro, visto da un’altra prospettiva. Le statue parlano: Garibaldi e Cazzaniga, Leopardi e Verdi. Un’idea che, oltre a dare una cifra stilistica al film, sembra un modo per cercare un oltre guardando al passato, presente e futuro come se fossero sullo stesso piano, interrogandosi criticamente sul nostro legame con la storia, sul senso di appartenenza e sul concetto stesso di nazione. «È tutte queste cose insieme. Sono riflessioni – continua Soldini – che mi sono accorto di avere da un po’ di tempo in testa, e questo è il film giusto in cui raccontarle. Riflessioni che nascono dall’alzare lo sguardo nelle nostre città. Le statue non le guardiamo più, pochi sanno chi sono i per-
sonaggi nelle nostre vie e, se lo sai, non cerchi di capire perché è stata fatta una statua. Mi è venuto in mente di ribaltare la cosa: cosa potrebbero dire di noi dall’impossibilità di muoversi nel turbine della vita? Forse potrebbero avere qualcosa da dire, soprattutto Garibaldi, che è il comandante del titolo. Lui era un generale certo ma si scoprirà perché viene chiamato così». Sembra questo il cuore del film, la ricerca di un orizzonte che siamo chiamati a vedere o a sforzarci di farlo. Nonostante il destino che mette i protagonisti di fronte a personaggi come l’avvocato Malaffano (Luca Zingaretti) che incarna molti dei peggiori tratti del genere umano: arroganza e sopraffazione. «L’avvocato ci da la misura del mondo in cui viviamo – spiega Soldini – è così vicino a ciò che ci aspettiamo da questo genere di personaggi che non ha molto di inventato. I protagonisti, non melmosi, per forza devono avere a che fare con questa realtà ed è giusto che incontrino anche questi personaggi, perché da questo incontro nascono delle cose». Un film surreale e miracoloso come Pane e tulipani, tragicomico perché l’intelligenza del regista ci dice che forse la consapevolezza del male non è abbastanza: per rinascere è necessario anche il suo ribaltamento. Il rovescio che mostra la caducità di qualsiasi dogma e della vita stessa. Una risata ci seppellirà? Magari.
IL FESTIVAL Artecinema a Napoli Torna a Napoli Artecinema, il festival internazionale di film sull’arte contemporanea che arriva quest’anno alla sua diciassettesima edizione. La direttrice artistica Laura Trisorio ha selezionato una trentina di documentari, molti dei quali in anteprima nazionale, dividendoli nelle categorie Arte e dintorni, architettura, fotografia. Le proiezioni sono intervallate da incontri e dibattiti con i registi, gli artisti e i produttori. Artisti, architetti e fotografi contemporanei vengono presentati attraverso interviste, biografie filmate e narrazioni montate con materiali d’archivio per offrire allo spettatore una visione del soggetto tra il pubblico e il privato di sicuro interesse. Tra i film più attesi quello su Ai Wei Wei, sulla problematica artista inglese Trecey Emin, sull’architetto statunitense John Portman e quello su Paola Pivi che presenta il progetto ”Grrr jamming squeack”: uno studio di registrazione in cui i visitatori hanno potuto comporre performance musicali utilizzando versi di oltre cento animali. Dal 4 al 7 ottobre. Teatro San Carlo e teatro Augusteo, Napoli. Info: www.artecinema.com (G. B.)
A sinistra: il regista Silvio Soldini e una scena tratta dal film Il comandante e la cicogna Sotto: una scena dal film ”Gerhard Richter painting” di Corinna Belz, Germania, 2011
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Le scenografie di Arnaldo Pomodoro a Torino Palazzo Reale omaggia l’arte dello scultore: «Il palco mi dà un senso di libertà creativa»
IL TEATRO SCOLPITO RIEMPIE LA SCENA
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li spazi espositivi di palazzo Reale, nel cuore di Torino, ospitano Il teatro scolpito: una ricca e interessante mostra tesa a mettere in luce l’estrema affinità che lega Arnaldo Pomodoro, uno dei maggiori scultori del Novecento, al mondo del teatro che l’artista stesso ritiene il luogo per eccellenza della ricerca creativa. «L’esperienza teatrale – dichiara Pomodoro – mi ha aperto nuovi orizzonti e mi ha incoraggiato, e persino ispirato, a sperimentare approcci e idee differenti per le sculture di grandi dimensioni, perché il teatro mi dà un senso di libertà creativa: mi sembra di poter materializzare la visionarietà». Attraverso una serie di quarantaquattro testimonianze tra modellini, costumi e oggetti di scena tratti da quasi cinquant’anni di lavoro scenografico realizzato dall’artista per alcuni dei registi più importanti della scena italiana e internazionale, la mostra riesce abilmente a mettere in luce l’ispirazione che Pomodoro è riuscito a trarre da un’arte viva e dinamica, a prima vista così distante dall’apparente
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staticità della scultura. Si va dalla Caterina di Heilbronn di Kleist, messa in scena sul lago di Zurigo nel 1972 con la regia di Luca Ronconi, alla trilogia dell’Orestea di Emilio Isgrò, tratta da Eschilo e realizzata sui ruderi di Gibellina – paese martoriato dal terremoto del Belice del 1968 – messa in scena tra il 1983 e il 1985 con la regia di Filippo Crivelli, fino al recente dittico Cavalleria rusticana di Mascagni e Šárka di Janáček al teatro La Fenice di Venezia, nel 2009, con la regia di Ermanno Olmi. Non potevano certo mancare le opere monumentali che sono diventate la vera e propria cifra stilistica dell’artista. Gli spazi esterni di palazzo Reale ospitano, infatti, sei sculture di grandi dimensioni pensate inizialmente quali parti integranti delle scenografie e poi diventate opere a sé e perfettamente ascrivibili alla sua riconoscibilissima estetica mitica e geometrica: le quattro Forme del mito per il ciclo dell’Orestea, il Grande portale per Oedipus rex e l’Obelisco per La passione di Cleopatra. La
mostra Il teatro scolpito, proprio grazie all’insistita specificità del suo soggetto – il rapporto tra l’artista romagnolo e il teatro, esempio lampante di quel filo rosso di inventiva e visionarietà che collega le une alle altre tutte le forme artistiche – riesce a svelare ampiamente una matrice fondamentale dell’intero spettro creativo di Pomodoro. È lo stesso artista, infatti, a ribadirlo. «L’esperienza teatrale – precisa Pomodoro – che abbraccio con entusiasmo mi ha anche posto in una nuova prospettiva di relazione con gli architetti con i quali lavoro e per l’“environment” della vita urbana». Il teatro, insomma, come scuola d’arte. L’evento è promosso dalla fondazione Arnaldo Pomodoro, patrocinato dal ministero per i Beni culturali e realizzato dalla direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Piemonte, in collaborazione con lo Studio Copernico di Milano. Fino al 25 novembre. Palazzo Reale, Torino. Info: www.piemonte.beniculturali.it Andrea Rodi
”SLAVA’S SNOWSHOW” A Milano la neve è magia
Arnaldo Pomodoro modellino per La tempesta di William Shakespeare, 1998 foto Dario Tettamanzi A destra: un momento di ”Slava’s snowshow”
Clown equilibristi che irrompono in platea, tempeste di neve improvvise che ricoprono di bianco l’intero teatro, bolle di sapone, gigantesche ragnatele di zucchero e palloni colorati. È uno spettacolo che va al di là della quarta parete quello dell’artista russo Slava Polunin, che da più di un decennio coinvolge il pubblico portando in scena, questa volta al Piccolo di Milano, una delle sue rappresentazioni più celebri e premiate: ”Slava's snowshow”. Un teatro in cui si intrecciano comicità e tragedia, pantomima e poesia visiva; uno spettacolo per ridere, essere travolti dagli effetti speciali e partecipare della dimensione onirica della scenografia astratta, giocata su variazioni sul tema in cui gli oggetti, come le macchie di colore in un’opera di Kandinsky, rivelano l’anima simbolista e spiritualista della messa in scena. La neve, ”leit motiv” dello spettacolo, segna la dimensione di un viaggio impossibile tra una realtà infantile e colorata e un mondo freddo, di grande solitudine esistenziale e apocalittico. Come scriveva il poeta russo Boris Pasternàk, la neve cade ”come se scendesse a terra la volta celeste”. Dal 17 ottobre al 4 novembre. Piccolo teatro Strehler, Milano. Info: www.piccoloteatro.org (Deianira Amico)
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LANUOVASIGNORA DELLAMUSICALEGGERA Con la sua voce Malika Ayane apporta nuova linfa al panorama musicale italiano Importanti collaborazioni caratterizzano il terzo lavoro dell’interprete milanese di SIMONE COSIMI
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alika Ayane è un’interprete importante della scena italiana. Chi la sottovaluta scarta delittuosamente alcuni passaggi. Non tanto per le sue origini e il suo esotismo marocchino – sebbene sia milanese doc – ma perché ha scardinato un modo ormai incrostato di fare la buona, vecchia musica leggera. Lo ha fatto e continua a farlo col terzo album appena uscito, Ricreazione, grazie a un timbro singolare e sinuoso, un po’ masticato e molto poetico, con cui lavora soprattutto la lingua italiana liberandola dall’effetto strapaese. Regalandole una nuova vita, più internazionale e al contempo molto intima e personale, e quindi spiazzando spesso chi ascolta (o guarda, viste le sue sempre stimolanti “mise”). Ma anche mettendosi alla prova come autrice e produttrice, schivando le lusinghe dei boss di turno e scegliendo di rischiare di suo, anche se con un pezzo da novanta come Caterina Caselli a guardarle le spalle. «Ci sono mondi musicali diversi nell’album – racconta un’Ayane infervorata – ma se c’è una cosa di cui vado orgogliosa è proprio il fatto di aver sviluppato un suono Malika. Vale a dire un approccio coerente ai brani, scelti sulla base di quello che ritengo più adeguato al mio stile. Quindi i tanti nomi che vedi nel disco, da Pacifico a The Niro, si sono immersi a pieno in questo contesto. A parte, forse, il pezzo di Paolo Conte, da cui ho solo e sempre imparato e che può dare alla sua musica la forma che preferisce». Un affollamento ordinato, quello che trova posto in Ricreazione. Come il divertente scatto che popola la sparatissima copertina dell’album (era mezzogiorno, svela l’artista) ispirata alla Colazione dei canottieri, celeberrimo dipinto di Pierre-Auguste Renoir: «Ci sono dentro tutti quelli che hanno collaborato – continua la Ayane – e ovviamente si va molto oltre il quadro. È un omaggio un po’ pazzo, alla fine ne esce una specie di David La Chapelle ubriaco, al lavoro di squadra, alla condivisione e al recupero di certi valori, come l’affetto e la lealtà, su cui forse sarebbe utile confrontarsi di nuovo proprio in questa fase Malika Ayane foto Flavio e Frank In alto: la copertina dell’album Ricreazione A destra: Archie Shepp foto Peter Necessany
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L’ALBUM Ricreazione Uscito a fine settembre per Sugar, Ricreazione è il terzo album di Malika Ayane. Nata a Milano il 31 gennaio 1984 da madre italiana e padre marocchino, la cantante inizia fin da piccola il percorso nel mondo della canzone. Notata da Caterina Caselli, pubblica il primo disco omonimo nel 2008. Fondamentale Sanremo 2010, quando vince il premio della critica con Ricomincio da qui, scritto con Pacifico. Dopo il festival esce il secondo album, Grovigli. L’ultimo lavoro è stato anticipato dal singolo Tre cose, scritto con Alessandro Raina degli Amor Fou. Info: www.malikaayane.com
storica». Chi sono, dunque, questi nomi? Oltre al re Mida del pop italiano Pacifico e al divo dell’indie-pop Davide The Niro Combusti c’è per esempio Alessandro Raina, il bohémien 2.0 degli Amor Fou, che ha firmato il singolo apripista Tre cose, uno dei più vivaci dell’album. Poi il gigantesco Paolo Conte con una spassosissima Glamour, un irriconoscibile Boosta dei Subsonica, il semplicismo emotivo di Tricarico, un inedito del compianto Sergio Endrigo e altri. Insomma, pare proprio che Malika Ayane stia facendo le prove generali per essere incoronata (magari al prossimo Sanremo, dopo due partecipazioni di enorme successo?) la nuova signora della musica leggera italiana. Etichetta caduta in disgrazia ma che una creatività intelligente come la sua potrebbe facilmente strappare alle grinfie del dimenticatoio: «Non so cosa diventerò – continua la cantante milanese – so solo che devo sempre credere molto in quello che faccio. Nei miei lavori ci sono viscere sparse dappertutto: sono italiana e mezza marocchina, non sarebbe normale se non fosse così, se non ci fosse questo spargimento di emozioni e calore. Ma ho capito da questa esperienza che bisogna saper prendere e imparare tanto dagli altri, senza dimenticare di mettersi costantemente in gioco». Dire che abbia innovato la scena italiana è magari rischioso. Senza dubbio, al di là dei singoli episodi, la voce di Malika Ayane ha portato un approccio virtuoso e trasversale a una scena stitica: «Ho pensato molto a quali possano essere gli aspetti che mi hanno condotto a un successo di cui ancora non mi capacito – conclude la Ayane – forse, su tutti, la spontaneità. Cioè il fatto che il pubblico percepisce la partecipazione in quel che canto, anche se magari paradossalmente spesso non si capisce esattamente quello che dico: prova del fatto che l’emozione passa al di là di una singola lingua. Non è un caso che sia stata costretta a disimparare l’italiano dopo anni di opera per dargli una veste nuova, più sonora». E anche più onesta e comprensibile.
APERITIVO IN CONCERTO A Milano suoni trascinanti Si preannuncia un inverno particolarmente caldo, almeno dal punto di vista musicale, quello in arrivo per gli spettatori milanesi. Parte del merito va alla rassegna Aperitivo in concerto, in programma al teatro Manzoni da fine ottobre ai primi di marzo. Per la sua 28esima edizione l’evento punta infatti i riflettori sull’afrocentrismo, movimento che ha caratterizzato gran parte della musica improvvisata afroamericana a partire dagli anni Sessanta, proponendo un calendario particolarmente ricco e caratterizzato da suoni trascinanti. Gianni Morelenbaum Gualberto, brasiliano di nascita e direttore artistico del festival dal 1997, fin dall’arrivo a Milano ha caratterizzato la sua direzione di felici contaminazioni musicali. «All’inizio – dichiara – il calendario era tutto di musica classica. Poi, visto che la città offriva molte proposte di classica, il baricentro si è spostato verso il jazz fino ad arrivare alle contaminazioni più aperte della contemporaneità, accostando anche linguaggi diversi». Questa manifesta eterogeneità si riscontra già dalla prima data in programma, quella del 28 ottobre, con l’apertura della manifestazione affidata al grande sassofonista Archie Shepp che si esibisce al fianco del gruppo Dar Gnawa. Il complimento più apprezzato dal direttore? «Dopo un concerto, un signore che mi ha confidato che per due ore sembrava di essere a New York». Info e calendario: www.aperitivoinconcerto.com (G. B.)
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SPLENDOREDELLACARNE COMESPERANZADELL’ARTE MAINASSENZADIVIGORE LE MIGLIORI OPERE DI HIRST RESTANO DOT PAINTING E SPIN PAINTING, IL RESTO DEL SUO ARMAMENTARIO: TESCHI, VETRINETTE DEI MEDICINALI, PASTIGLIE, MOZZICONI DI SIGARETTE E DIAMANTI ESSENDO PURA CHINCAGLIERIA
di ALDO RUNFOLA (ARTISTA)
Damien Hirst “After the flood”, 2008
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o splendore e la putrescenza della carne sono momenti inscindibili, sarebbe questo l’essenziale messaggio che Damien Hirst vuole trasmettere. Oro e liquami, pietre preziose ed escrementi, vita e morte. Nonostante il logoro dualismo che l’imprigiona, l’arte, secondo Hirst, è tuttavia dispensatrice di speranza, una speranza che Hirst ritrae in forma di colomba le cui ali spiegate, in una cripta di cristallo e acciaio colma di liquido conservante, sono distese grazie a fili ancorati alle pareti. C’è poco da dire su questa speranza mummificata, fin troppo eloquente riguardo al filmato in cui Hirst, a torso nudo nella casa di vacanza in Messico, traccia con mano incerta, armato di gomma e matita, un bozzetto della sua visione su un foglio di carta da disegno. Il documento che testimonia il processo di creazione è a tal punto risibile che si stenta a credere sia stato ritenuto degno di essere mostrato, risibile in quanto
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manifestamente contrastante con l’immagine di vigore che si è soliti attribuire alle opere di Hirst, le migliori delle quali restano, a me sembra, “Dot painting” e “Spin painting”, il resto del suo armamentario: teschi, vetrinette dei medicinali, pastiglie, mozziconi di sigarette e diamanti essendo pura chincaglieria, come pure, probabilmente, l’universo di pensiero da cui provengono. Al confronto, ma non mi piacciono i confronti, Alighiero Boetti è un gigante di potenza e di leggerezza, un peso massimo i cui colpi sono carezze disperate. Tracce di questa disperazione sono da rilevare, io credo, nell’andamento ora bipolare, ora combinatorio della sua attività creatrice, estrema forma di ribellione e di resistenza al venir meno di ogni plausibile contenuto al nostro esistere come uomini nel “mondo interpretato”, alla nostra funzione e sorte di artisti nell’avvilente panorama sociale dell’arte e del mondo.
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TALENT PRIZE 2012 AL MACRO PELANDA FINALISTI E PREMIATI
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ROMA, CINEMA TORNA IL FESTIVAL CHE FA DISCUTERE
CONTEMPORANEO IL FANTASMA DELLA BELLEZZA