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I am so grateful... for Jaz Coleman and Killing Joke
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ADRIAN TRANQUILLI
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we can be heroes Tutti i supereroi, anche quelli più popolari e celebrati, hanno un punto debole. Un frammento di umanità che li espone all’incognita della sconfitta, al rischio della capitolazione, e li sollecita a recuperare quella dimensione esistenziale, loro estranea ma comune a tutti gli individui, che è la lotta per l’affermazione di sé. Un moto di reazione che può rivelarsi faticoso e stentato, ostacolato dalle stesse insidie che rendono vacillanti le scelte di noi semplici mortali. Il fatto di avere esaltato nella sua visione artistica questa idea di fragilità e di “umanità dell’eccezionale”, è ciò che ha spinto veDrò a scegliere i lavori di Adrian Tranquilli per rappresentare il messaggio del 2012. Il richiamo al Batman annichilito o allo Spider-Man sconfitto, ribaltando i canoni rappresentativi e iconografici consolidati, esercita su di noi una funzione rassicurante: relativizzando la nostra percezione e inducendoci a osservare con uno sguardo ironicamente ottimista lo scorrere delle difficoltà quotidiane e i tormenti dell’esistenza. Nella visione di Tranquilli la fisionomia eroica condensa una fitta trama di simboli che richiama una dimensione profonda, archetipica e ancestrale del nostro vissuto emozionale. La confidenza nell’azione salvifica del sovrumano, incarnata dalle spoglie del supereroe, è in fondo la traccia di una nostalgia, del desiderio struggente di recuperare, nella società industriale e di massa, il senso del trascendente. La “dissacrazione” compiuta nei confronti di un simbolo così potente ci porta a riflettere e a ridefinire i nostro codici interpretativi. Nella scoperta di questa “supereroica debolezza”, prodromica al momento della “resurrezione”, si realizza per converso la più compiuta forma di celebrazione della natura umana: perché se nella capacità di riscatto e nel desiderio di rivincita si annida la forza del carattere sovrumano, allora quella stessa dote ci appartiene, è patrimonio di tutti noi. Sì, anche noi siamo supereroi. Facciamocene una ragione e affrontiamo con coraggio la realtà che ci aspetta.
All superheroes, even the most famous and popular, have a weak spot. A token of humanity which exposes them to the possibility of defeat, to the risk of capitulation and encourages them to reclaim that existential dimension, unknown to them, but common to every individual, which is the struggle for the affirmation of self. A form of reaction which can be difficult and tricky, hindered by the same pitfalls which render uncertain the choices made by us simple mortal beings. The exaltation, in his artistic vision, of this idea of frailty and of “humanity of the exceptional” is what has made veDrò choose the works of Adrian Tranquilli to represent the message of 2012. The reference to Batman prostrated or Spider-Man defeated, overturning the representative canons and consolidated iconography, has on us a reassuring function: revitalizing our perception and inducing us to observe with an ironically optimistic gaze the flowing of daily difficulties and the torments of existence. In Tranquilli’s vision, the heroic physiognomy assembles a tightly knitted pattern of symbols which evokes a deep archetypical and ancestral dimension of our emotional inner experiences. The faith in the saving action of the superhuman, embodied in the figure of the superhero, is after all the trace of nostalgia, of the acute desire to reclaim, from the industrial and mass society, the sense of the transcendent. The “desecration” of such a powerful symbol makes us ponder and redefine our interpretative codes. In the discovery of this “superheroic weakness”, prodromic to the moment of “resurrection”, the most comprehensive type of celebration of human nature is carried out conversely: because if the strength of the superhuman character is hidden within the capacity of redemption and the desire for revenge, then this same talent belongs to us, to all of us. Yes, we too are superheroes. Let us come to terms with this and courageously tackle the reality facing us. Benedetta Rizzo, Presidente veDrò/President veDrò Angelo Argento, Responsabile veDrò culture/Manager veDrò culture
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too late the hero Strano destino, quello dei supereroi. O, meglio, dei miti di cui sono proiezioni, superfetazioni. Super, appunto, ché ai nostri tempi magri non bastano gli eroi. Senza, nulla è possibile. Non si dà società cultura mondo senza un mito fondativo che ne tracci i confini e gli consenta di stare in piedi. Non si dà amore, persino, senza l’idea che quel sentimento sia unico irripetibile irreversibile. Mitico. Ma non c’è scampo: appena il nocciolo mitopoietico matura la sua polpa, tutto l’ambaradan mitologico si trasforma in altro e – natura delle umane cose – trascende da sé. Il mito si fa menzogna. Maschera una realtà non più reale, seppur vera agli occhi dei credenti. Così le maschere – marionette? – che di quel reale sono corifèe assumono sembianze altre, si afflosciano immote o cascano malamente nel pozzo dell’oblìo, salvo essere ripescate da qualche Mangiafuoco-antropologo di passo. Una nemesi ben presente nei cicli dei lavori di Adrian Tranquilli che questo catalogo sintetizza in occasione dell’evento organizzato da veDrò, quest’anno dal tema “We can be heroes”. Il Belpaese ne ha viste tante, e forse saprà cavarsela anche stavolta senza che agli italiani debbano spuntare superpoteri. Anzi, chissà, potrebbe essere questa crisi sistemica – culturale e sociale, oltre che economica e politica – l’occasione perché il nostro paese diventi infine normale, anche se non nel senso auspicato dai piallatori d’ogni alterità. Normale e coi suoi acciacchi come, in fondo, il Batman di Tranquilli. Un supereroe nato alla vigilia della Seconda guerra mondiale da Bob Kane che s’ispirò all’ornitottero di Leonardo da Vinci per dare alla gente qualcosa cui aggrapparsi, nella scuraglia che s’appressava all’orizzonte. Una guerra in cui non era più tempo d’eroi, come Robert Aldrich ebbe a dire in “Too late the hero”, al tempo della rinascita globale del fumetto. Mutuando la sua opera dagli stilemi del genere, Tranquilli riflette sulla derealtà – o realtà altra – e invita a scavallare il muro dell’ovvio nella consapevolezza che tutto è possibile, niente è vero. Ma vero è ciò a cui si crede. E l’eroismo, davvero, è essere normali.
Strange fate, that of the superheroes. Or, better, of those myths of which they are projections, superfetations. Super, indeed, because in these lean years heroes are not enough. Without them, nothing is possible. Societies, cultures, worlds cannot exist without a founding myth to trace the boundaries and consent them to stand on their on two feet. Even love cannot be given without the idea that it is a unique sentiment, unrepeatable, irreversible. Mythic. But there’s no escape: as soon as the pulp of the mythopoeic kernel matures all the mythological chaos is transformed into something else and – in the nature of human things – transcends from self. Myth becomes falsehood. Masking a no longer true reality, even if real in the eyes of the believers. In this way the masks – marionettes? – coryphaei of that reality, assume other forms, they motionlessly go limp or awkwardly fall into the well of oblivion unless fished out by some passing-by Mangiafuoco-anthropologist. A nemesis present in the series of works by Adrian Tranquilli who synthesizes this catalogue in occasion of the event “We can be heroes” organised by veDrò. Italy has seen it all, and perhaps it will save itself, once again, without the Italians having to develop superpowers. Who knows, this systemic crisis – cultural and social, besides economic and political – might be the opportunity for our country to finally become normal, even if not in the manner hoped for by the planers of every otherness. Normal and with its infirmities like, after all, Batman of Tranquilli. A superhero born on the eve of the Second World War whose father was Bob Kane, inspired by Leonardo da Vinci’s ornithopter, who wanted to give people something to cling to in the darkness that was gathering on the horizon. A war which was no longer a place for heroes, as Robert Aldrich said in “Too late the hero”, at the time of the global rebirth of comics. Basing his work on the styles of this genre, Tranquilli reflects on the de-reality – or other reality – and invites to leap over the wall of the obvious with the awareness that everything is possible, nothing is real. But true is what we believe in. And heroism, indeed, is being normal. Maurizio Zuccari, Direttore editoriale Insideart autori/Managing editor Insideart autori
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conversazione tra Maria Letizia Bixio e Adrian Tranquilli
all is violent, all is bright Maria Letizia Bixio – Vorrei chiederti, partendo davvero da lontano se me lo consenti, quali utopie possiamo intravedere per i nostri giorni. Viene da domandarsi come collocare quel fenomeno tipicamente umano di mancata rassegnazione allo stato dei fatti, l’esigenza di voler cambiare la propria vita, l’inarrestabile ricerca di un mondo altro, differente dal presente, l’attesa di un Salvatore o Eroe che lo si voglia chiamare, su cui fare affidamento per affrontare le difficoltà terrene, in un momento in cui sembrerebbe che le utopie, brutalmente giudicate irrealiste e talvolta persino inclini ai totalitarismi, abbiano lasciato il posto a uno scialbo fatalismo. Nel tuo lavoro, mutuando degli elementi appartenenti a universi paralleli, è come se presentassi un’alternativa realistica alla dimensione reale, un tentativo di mostrare una via di fuga, di alimentare la fantasia. Questo per un verso consente di avvicinarsi all’“immaginario”, rendendolo più concreto e credibile, dall’altro, l’invasione aliena da parte di personaggi provenienti da altre realtà, mostra l’inevitabile processo di snaturalizzazione della componente supereroica degli stessi, lasciando ancora una volta l’uomo disincantato dinanzi a fragilità e debolezze. Adrian Tranquilli – Oggi, dove lo strapotere della finanza, la fine della politica e il tramonto della chiesa hanno proiettato il modello culturale occidentale in una tecnocratica religione del profitto, l’Occidente mostra il fianco al suo punto più debole e cioè la sua ossessiva necessità di simbolizzare, di proiettare se stesso a un punto tale da aver perso ogni consapevolezza della propria relatività. Le conseguenze sono davanti ai nostri occhi. Se è pur vero che il bisogno della figura del maschio Salvatore, di colui che salva in nome “del bene e del giusto”, può essere considerata una costante culturale, in Occidente è stata particolarmente incisiva, pur con le dovute differenze che vanno dal fatalismo cattolico mediterraneo al pragmatismo protestante. La figura del supereroe non è altro che la trasposizione di tutto questo. Una trasposizione che nasce da un contesto di de-realtà, realtà altra, dove le strutture spazio-temporali sono coerenti con se stesse e pretendono di imporsi come le sole esistenti, in sostanza il riferimento è alla religione. E ancora, la figura del supereroe si fa trasposizione, proprio perché esiste e deriva da quella de-realtà, del tutto autonoma e parallela, costruita attorno a esso. Qui mi riferisco in particolare agli universi creati da Marvel e Dc, dotati di perfette strutture spazio-temporali interne e “continuity” cronologica. Nel mio lavoro, nel momento in cui avviene la sovrapposizione tra realtà e de-realtà, viene mostrata la fragilità e la piena relatività di entrambe. Escludo possibilismi utopici, affermando che tutto è possibile e niente è vero e l’unica via d’uscita per l’uomo è la consapevolezza. M. L. B. Non mi trovo concorde con un autorevole critica che tende a enfatizzare una certa matrice pop del tuo lavoro, ritenendo altrettanto significativo un recupero di alcuni tratti della poetica surrealista. Seppur evidente, infatti, il richiamo a icone provenienti dall’immaginario collettivo, va sottolineato che i supereroi, pur avendo trovato vera e propria consacrazione negli anni ‘60, nascono tra gli anni ‘30 e gli anni ‘40, in un momento storico di profonda crisi, che meglio spiegava la necessità di valorizzare il singolo e l’invocazione di un Salvatore. Per contro, durante l’esplosione capitalistica, sembrava anacronistico dipingere e modellare esseri umani, regola che rimarrà attuale nell’Informale, nell’arte concettuale e in tutte le tendenze che, a partire da quegli anni, hanno rifiutato la rappresentazione oggettiva. Oggi, in un momento di crisi, che valenza ha quel tuo naturalizzare i supereroi di ieri all’interno di spazi e luoghi attuali? È la dimostrazione di un desiderio di fornire un’alternativa al reale, attraverso atmosfere di surrealtà? A. T. Quando nella lettura del mio lavoro si parla di riferimenti storico-artistici, spesso viene sottolineato l’aspetto pop che anch’io trovo meno interessante. Avendo studiato antropologia culturale, sono sempre stato molto affascinato dalle narrazioni
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mitiche ed epiche, da tutte quelle “storie” incentrate sul mito che hanno concretamente contribuito alla costituzione delle basi per i diversi modelli culturali, incluso il nostro. Allo stesso modo mi affascina quell’universo immaginario popolato da figure supereroiche, proprio perché nato, non solo in un momento storico di profonda crisi, all’alba della Seconda guerra mondiale, ma anche perché creato esclusivamente da autori di origine ebraica. A riguardo, va sottolineato un aspetto sociale rilevante, come ha evidenziato Marco Arnaudo (studioso di letteratura italiana e autore del libro “Il fumetto supereroico”), quelli che oggi consideriamo come i “grandi” – Jack Kirby, Stan Lee, Bob Kane o Will Eisner – erano semplici disegnatori o scrittori di fumetti sottopagati, per di più emigrati e spesso emarginati. Interessante e forse anche inerente al mio lavoro, è un’altra considerazione fatta da Arnaudo*: che il fumetto è “il metatesto più ampio e complesso dell’intera storia umana”. Per oltre 70 anni decine di scrittori, disegnatori e inchiostratori hanno lavorato su una narrazione collettiva in maniera logica e senza contraddizioni, producendo centinaia di migliaia di pagine che hanno attraversato generazioni e generazioni di lettori, la mia inclusa. Associare la figura del supereroe agli anni ‘60, e di conseguenza alla pop art, dunque, è un errore iconografico evidente, associarla alla cultura popolare lo è ancora di più. Si tratta di un fenomeno culturale ben più complesso che ha attraversato la maggior parte del XX secolo e che prosegue, più vitale che mai, nel XXI. Ma per tornare alla domanda, direi che per me la figura del supereroe è interessante in quanto è la trasposizione di altre figure salvifiche, intorno alle quali è configurato il nostro modello culturale. Inoltre, è un buon elemento iconografico, utile per riflettere sullo stato della nostra cultura, sul cosiddetto Occidente e sulla fase di declino che sembra stia attraversando. Molto importante è il rapporto tra l’individuo e il suo contesto d’appartenenza culturale. Nella figura del (super)eroe, infatti, si condensa l’aspirazione di innalzarsi al di sopra dell’ordine sociale dominante, o meglio tentare di porre un ordine alternativo al sociale. L’individuo, invece, non può “uscire fuori” dal proprio modello culturale, può solo avere consapevolezza della relatività dello stesso, e per me già questa è una sorta di “salvezza”. M. L. B. Quello che oggi definiamo Arte affonda le sue radici nelle molteplici raffigurazioni dell’uomo, col tempo cancellate da una imperversante perdita dell’essere (umano). Come pensi che debba ritornare la figura dell’uomo nell’immagine artistica e come questo processo estetico possa racchiudere il dibattito socio-culturale sul ruolo che l’uomo riveste attualmente? A. T. Sia chiaro che l’Arte o, se vogliamo, l’accezione che al termine arte viene correntemente attribuita dalla cultura occidentale, ha assunto una contestualizzazione concettuale. Di conseguenza essa presenta caratteristiche non più di natura descrittiva ma simbolica. La rappresentazione della figura dell’uomo può, semmai, essere un bisogno di relazionarsi alla propria fisicità, in particolare ciò avviene con la scultura ma vale anche per il figurativo, si pensi al pittore astratto Willem de Kooning, quando diceva che “il quadro deve essere grande quanto l’apertura delle mie braccia”. Più che gli aspetti formali dell’arte, ciò che per me è sempre stato interessante osservare è che essa, come la scienza e la religione, si sono sviluppate come strumenti con cui affrontare (o trascendere) la mortalità dell’essere umano. E vorrei qui, sul ruolo dell’uomo, ricordare le parole dell’antropologo Lévi Strauss quando, evidenziando l’importanza di cercare di capire le culture altre, definiva come principale e prioritaria la comprensione della propria. M. L. B. Parliamo di giustizia, soffermandoci un po’ di più sul supereroe cui stai dedicando maggiormente la tua produzione dell’ultimo periodo: Batman. Guardando le opere della serie In excelsis (2011-2012), mi vengono in mente alcune pagine del Gorgia di Platone, quando, nel dibattito su chi siano i più forti, Callicle suggerisce all’interlocutore Socrate i più intelligenti. Nell’opera vengono contrapposte due concezioni di vita, rispettivamente la morale del “superuomo”, celebrata dal giovane sofista, e l’ideale socratico della giustizia, della saggezza, dell’equilibrio e della temperanza, secondo cui “non è brutto morire, bensì morire con l’anima macchiata di ingiustizia”. Ecco che in quest’ottica mi sembra che il giustiziere che ritrai vinto, privato di quell’aurea di invincibilità, si riscatti riacquistando la forza dell’Eroe che, come un martire, depone il proprio sacrificio in nome della Dike. Nelle tue opere c’è necessarietà o piuttosto relatività nel rapporto instaurato tra bene e male?
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A. T. La questione dell’etica è intrinseca se parliamo di cultura. Il sistema che ho adoperato sia in “Futuro imperfetto” che in “In excelsis” è stato quello dell’associazione e della sovrapposizione. Nel primo ciclo di lavori avevo sovrapposto elementi appartenenti a diversi ambiti dell’immaginario collettivo, cercando di creare un cortocircuito semantico. Nel secondo, la sovrapposizione di elementi simbolici è stata più esplicita. Ho, infatti, posto una figura iconica come quella di Batman di fronte a forme universalmente riconoscibili quali la croce, la svastica indiana e simili. Come in altri, in questi cicli in particolare ho cercato di associare, e soprattutto di sovrapporre, le due dimensioni che potremmo definire come realtà e de-realtà, ponendomi la domanda sull’origine della realtà. La conclusione è che sia tutto relativo. Stessa considerazione vale anche per il concetto del Bene e per chi dovrebbe considerarsi il suo unico detentore. Ecco perché mi piace la frase di Achille Bonito Oliva, nei panni di Joker, quando si schiera contro “l’immobilità del bene e del lieto fine” a favore di “un niente ludico e sorprendente”. M. L. B. Maschere e marionette, forse due facce della stessa medaglia, forse la chiave per leggere“Know yourself”(2002-2004) e“These imaginary boys”(2004-2009).A entrambi questi elementi si possono ricondurre quelli di finzione, illusione e verità divenuta favola, strumenti a suo tempo impiegati da Nietzsche per spiegare il rapporto tra l’uomo e il mondo dei simboli. Nell’indagine sulla solitudine umana, nell’angoscia dell’essere sempre differenti da se stessi nel tentativo di liquidare il principio di identità, due sono i problemi che si pongono: per quanto riguarda la maschera, il rapporto tra essere e apparenza, mentre guardando la marionetta, l’impotenza dinanzi all’ignoto burattinaio che ne tira le fila. Nell’operazione concettuale condotta tra Roma, l’Armenia e New York, hai fatto indossare una maschera di Batman a comuni cittadini, lasciando che ognuno, perdendo in quell’istante nome, identità e volto, divenisse personaggio o, per meglio dire, marionetta del tuo palcoscenico. Era questo l’intento? Ritieni che per rispondere all’interrogativo“Do you know yourself?” proposto a uomini mascherati e marionette, possa essere ancora attuale la parabola pirandelliana “io sono colei che mi si crede”? A. T. Consapevole delle connotazioni che avrebbero potuto avere nello stretto ambito dell’arte contemporanea, avevo comunque deciso di utilizzare alcune figure di supereroi perché, per quanto possibile, le ritenevo universalmente riconoscibili. Nella mia personale accezione dell’arte conta la possibilità di comunicare su livelli diversi, per allargare il perimetro occupato dall’arte stessa. Trovo che nella figura in maschera del supereroe sono racchiuse tutte le problematiche cui ho accennato prima, quelle relative alla sua “natura” di salvatore in primis, l’identità e il ruolo che esso ricopre, o deve ricoprire, nella nostra cultura. Poi, c’è un altro punto: quello del fascino che provo per la figura di Batman, in quanto unico tra i supereroi privo di qualsiasi forma di super-potere e in continuo conflitto con i propri limiti fisici. Con l’operazione “Know yourself” cercavo di porre domande proprio sul difficile meccanismo di identificazione che, sebbene possa sembrare semplice, rivela in realtà una serie di interrogativi sospesi e irrisolti, quali: “se io sono l’eroe, il salvatore degli altri, chi salverà me?” e ancora “se io sono l’eroe, il salvatore degli altri, di chi e quali altri stiamo parlando?” e così via. Anche qui, in fondo, si è trattato di una applicazione del principio della sovrapposizione, solo che il confronto tra la dimensione del reale e quella dell’“altro” è stato più diretto e immediato. Attraverso le marionette di “These imaginary boys” credo che mi interessasse innescare un processo di autoanalisi e di demistificazione di quelle certezze che siamo indotti ad accettare come vere. Così lascio aperta ancora una domanda: “ma se l’eroe, nelle sue svariate forme, è proiezione del bisogno collettivo di un salvatore, chi sta dall’altra parte dei fili? Noi stessi o il modello culturale che per definizione si colloca al di sopra dell’individuo?”. La citazione di Pirandello suggerisce domande nuove e ulteriori. In che rapporto si colloca il “fantasma” che si cela dietro la maschera rispetto alla verità? Ed essa può dipendere dal punto di vista dell’osservatore o si deve rapportare necessariamente con l’assoluto? La maschera nasconde il vero o lo separa dalla “realtà” apparente? Non esiste risposta in assoluto, perché essa dipende dal punto di osservazione. E allora il percorso obbligato postula di arrivare a conoscere se stessi e il proprio fantasma per poter ritenere di essere “colei che mi si crede”. Ma se così è, il punto di equilibrio, e di reale ritorno, è di nuovo lo stesso e parimenti inevitabile: non rispondere al “riddle” e piuttosto credere in chiave non logica ma analogica. In sintesi: “believe”... *Marco Arnaudo, Il fumetto supereroico. Mito, etica e strategie narrative, Tunué, Latina, 2010
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conversation between Maria Letizia Bixio and Adrian Tranquilli
all is violent, all is bright Maria Letizia Bixio – If you agree, I’d like to start from the very beginning, and ask you what utopias we can glimpse nowadays. You wonder how to piegeonhole that typically human phenomenon of failing to give in to the state of things, the drive to want to change your life, the unstoppable search for a world other than this one, different from the present, the expectation of a saviour or a hero, however you wish to call it, on whom to rely to face the earthly difficulties in a time in which utopias, brutally judged as unrealistic and sometimes even inclined to totalitarianism, seem to have been replaced by drab fatalism. In your work, by changing elements belonging to parallel universes, it is as if you presented a realistic alternative to the reallife dimension, an attempt to show an escape route, to feed the imagination. On the one hand, this allows us to get closer to what’s “imaginary”, making it more tangible and belivable; but on the other hand, the alien invasion of characters from different realities, shows the inevitable process of distortion of the super heroic component of the same, leaving man once again disillusioned by frailties and weaknesses. Adrian Tranquilli – Today, the excessive power of finance, the end of politics and the decline of the Church have enmeshed the Western cultural model in a technocratic religion of profit, and the West exposes its weakest point – an obsessive need to symbolise, to project itself so far, that it is no longer aware of its own relativity, and the consequences stare us right in the face. Though it is true that the need for the figure of a male saviour, he who saves us in the name of what is “good and just”, is a cultural constant, it has been particularly incisive in the West, albeit with the necessary differences that go from Mediterranean Catholic fatalism to Protestant pragmatism. The figure of the superhero is what results from all this; it’s a transposition generated by a context of de-reality another reality, where time-space structures are coherent with themselves and expect to impose themselves as the only existing ones; in short, it all comes down to religion. And again, the figure of the superhero becomes a transposition, as it exists and derives from that de-reality, entirely self-governed and parallel, that is built around him. I’m thinking specifically to the universes created by Marvel and Dc, endowed with perfect internal time-space structures and chronological continuity. In my work, when realty and de-reality overlap, the fragility and full relativity of both become obvious. I rule out utopic possibilisms, stating that everything is possible and nothing is real and man’s only way out is awareness. M. L. B. I do not agree with the respected critics who emphasize a certain Pop influence in your work. To me, the recovery of some traits of surrealistic poetics is equally important. Even if the reference to icons of the collective imagination is obvious, it needs to be stressed that superheroes, who were truly and properly consecrated in the 60s, started in the 30s and 40s, at a time of deep crisis, which better explains the need to enhance the individual and the invocation of a saviour. On the other hand, during the outbreak of capitalism, it seemed anachronistic to paint and sculpt human beings, a rule that is still applicable in the informal, in conceptual art and all those styles that, since then, have refused objective representation. Today, at a time of crisis, what is the value of your naturalisation of yesterday’s superheroes within current spaces and places? Is it proof of your desire to provide an alternative to the real through surreal atmospheres? A.T. When art-historic references are made when discussing my work, they often highlight the pop aspect, which I too find less interesting. Having studied cultural anthropology, I have always been fascinated by myths and epics, all those “stories” focused on myth, that have tangibly contributed to moulding the foundations of different cultural models, including our own. In the same way, I am fascinated by that imaginary universe peopled by superheroes, because it was created not only,
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in a historical period of profound crisis, the onset of the Second World War, but also because it was created exclusively by Jewish authors. This leads me to highlight a very relevant social aspect, as did Marco Arnaudo*, those that today are thought “masters” – Jack Kirby, Stan Lee, Bob Kane or Will Eisner – were simple underpaid comic illustrators or writers, not to mention immigrants and often social outcasts. Interesting, and maybe also pertaining to my work, is another consideration made by Arnaudo, which is that the comic strip is a bigger and more complex “metatext” of the entire human history. For over 70 years, scores of writers, illustrators and inkers have worked on a collective story in a logical manner without contradictions, producing hundreds of thousands of pages which have touched generations and generations of readers, including mine. Consequently, to associate the figure of the superhero to the 60s, and therefore to Pop art, is a plain iconographic mistake, and it’s an even greater one to associate it to popular culture. It is a more complex cultural phenomenon that has crossed the major part of the 20th century and carries on in the 21st century, more alive than ever. But, getting back to the point, I would say that, for me, the figure of the superhero is interesting as a transposition of other saving figures, around which our cultural model has been set up. Furthermore, it is a good iconographic element, useful to contemplate on the state of our culture, on the so-called West and on the declining phase it is going through. The relationship between the individual and the context of his cultural belonging is very important. In fact, the figure of the (super)hero encompasses the ambition to elevate himself above the dominating social order, or, better still, to attempt to give an alternative order to society. The individual, on the other hand, cannot “leave” his own cultural model, he can only be aware of its relativity, and to me this is already a form of “salvation”. M. L. B. What today is defined as art has its roots in many representations of man, cancelled over time by a rampant loss of being (human). How do you think the figure of man should go back to being represented in art, and how can this aesthetic process enclose the socio-cultural debate on the current role of man? A. T. Let it be clear that art or, if you prefer, the meaning Western culture has given this term, has acquired a conceptual contextualisation. Therefore it no longer has the characteristics pertaining to a descriptive nature, but to a symbolic one. The representation of the human figure can, if anything, be the need to relate to one’s own physicality; this happens mostly in sculpture, but in figurative art too, just think of abstract painter Willem de Kooning. He said that “the painting must be as large as the space between my arms”. More than the formal aspects of art, I have always found interesting is observing that art, like science and religion, has been developed like a tool with which to face (or transcend) the mortality of the human being. On this subject, I would like to quote anthropologist Lévi Strauss. In underlining the importance of trying to understand other cultures, he set as primary and fundamental the understanding of one’s own. M. L. B. Let’s talk about justice, focusing a bit more on the superhero to which you have dedicated the greater part of your production in this last period: Batman. Looking at the works belonging to the series In excelsis (2011-2012), some pages from the Gorgias by Plato come to mind: when debating on who is strongest, Callicles gives Socrates the names of the smartest. In this work you contrast two conceptions of life, the moral of the “superman”, celebrated by the young sophist, and the Socratic ideal of justice, of wisdom, balance and of temperance, according to which “Dying is not to be feared, but dying with your soul soiled by injustice is”. So in this perspective, the avenger which you portray as defeated, deprived from his aura of invincibility, redeems himself and regains the strength of the hero, offers his self-sacrifice like a martyr, in the name of Dike. Is there necessity or relativity in the relationship between good and eveil you potray in your works? A. T. When talking about culture, the issue of ethics is intrinsic. Both for Future imperfect and In excelsis, I adopted a system of association and overlapping. In the first series of works I overlapped elements belonging to different areas of collective
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imagination, trying to create a semantic short-circuit. In the second, the overlapping of symbolic elements has been more explicit. In fact, I have placed an iconic figure such as Batman, over universally recognisable shapes, such as the cross, the Indian swastika and so on. In these series I have tried to associate and above all overlap the two dimensions which can be defined as realty and de-reality, asking myself about the origins of reality. The conclusion is that everything is relative. The same goes for the concept of Good and whoever should be considered its sole holder. This is why I like the Achille Bonito Oliva’s sentence, as the Joker, when he goes against “the immobility of good and happy endings” in favour of “a playful and surprising nothing”. M. L. B. Masks and marionettes may be two faces of the same coin, the key to read Know yourself (2002-2004) and These imaginary boys (2004-2009). Both these elements can link up to those of make-believe, illusion, and truth turned into fairytale, tools that Nietzsche used in the past to explain the relationship between man and the world of symbols. In the research on human loneliness, in the anguish of always being different from oneself, in the attempt to settle the theory of identity, two problems are raised. The first, concerning the mask, is the relationship between being and appearance, while the second, concerning the marionette, is the helplessness in front of the unknown puppeteer who pulls the strings. In the conceptual operation conducted across Rome, Armenia and New York, you had ordinary citizens wearing Batman masks. Each one, losing name, identity and fare for a moment, was allowed to become a character, better still a marionette, on your stage. Was this your intent? Do you believe the answer to the Pirandellian phrase “I am the one you believe me to be…” to be still pertinent when asking masked men and marionettes “Do you know yourself?” A. T. I decided to use some superheroe figures anyway, even if I was aware of what connotations they could have been given in the narrow field of contemporary art, because I considered them universally recognisable. In my personal interpretation of art, what counts is the possibility of communicating on different levels, in order to widen the perimeter occupied by art itself. I believe that the masked figure of the superhero contains all the issues I mentioned earlier, above all those relating to his “nature” as saviour, the identity and the role that he plays, or must play, in our culture. But there is something more. I am fascinated by Batman, because he is the only one among the superheros without any form of superpower, and so is continuously fighting with his own physical limits. With Know yourself I tried to ask questions on the difficult mechanism of acquiring an identity that, even though it appears to be easy, actually reveals a series of hanging and unanswered queries such as “if I am the hero, the saviour of others, who will save me?” and yet again “if I am the hero, the saviour of others, who and what others are we talking about?” and so on. Even this, after all, is an application of the principle of overlapping, only that the confrontation between the real dimension and the “other” has been more direct and immediate. With the marionettes of These imaginary boys I believe I was interested in starting a process of self-analysis and demystification of those certainties that we are induced to accept as real. So I ask another open-ended question “If the hero, in his different forms, is the projection of the collective need for a saviour, who is pulling the strings? Us or the cultural model that, it’s a given, is above the individual?” Pirandello’s quote opens up new and further questions. What is the relationship of the “ghost” hidden behind the mask and the truth? Can it depend on the observer’s point of view or must it necessarily be related to the absolute? Does the mask hide reality or does it disconnect it from apparent “reality”? An absolute answer does not exist, since it depends on your observation point. And so the path is set and solicits to know oneself and one’s own ghost, to believe to be the one “you believe me to be…”. But if that’s the way things are, the point of balance, that which all comes back to, is still the same and equally inevitable: you don’t need to answer the “riddle”, rather believe analogically and not logically. In short, “believe...” *Marco Arnaudo, Il fumetto supereroico. Mito, etica e strategie narrative, Tunué, Latina, 2010
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Robin: How will it be?
Everything is possible
Batman: A future imperfect.
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and nothing is real
Boy: I believe.
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future imperfect “Potrei dimostrare, non come gli uomini pensano nei miti, ma come i miti operano nelle menti degli uomini senza che loro siano informati di questo fatto”. Questa frase dell’antropologo Claude Lévi-Strauss viene spesso citata da Adrian Tranquilli per spiegare, attraverso una chiave polivalente socio-antropologica e psicanalitica, la semiologia del fenomeno supereroico. Non semplice il ruolo di chi, giunto al bivio se dedicarsi interamente all’antropologia culturale piuttosto che all’arte contemporanea, decide di indossare le vesti di quel ricercatore che, analizzando le società umane e i rispettivi modelli nel tempo e nello spazio, ne scardina ogni struttura simbolica. Così tra il 1999 e il 2001 Tranquilli intraprende una vera e propria ricognizione di immagini cult, storie e luoghi provenienti da un generico modello culturale targato XX secolo. Lo scopo, raggiunto nell’installazione “Future imperfect”, era la costruzione di un visionario museo archeologico del futuro, composto da un insolito “mash-up” di elementi universalmente decodificabili, dalla fantascienza alla letteratura, dall’arte al fumetto, dal cinema alle religioni. Se è vero che, come insegna Lévi-Strauss, “l’antropologo rispetta la storia, pur non assegnandole il valore che le spetta”, l’indagine di Tranquilli non può che portare alla dimostrazione della piena relatività della storia stessa. Nell’indefinita ambientazione museale del domani, popolata da visitatori di un futuro imperfetto, Tranquilli, come un diligente ricercatore che ordina i reperti indicandone data e luogo di ritrovamento, depone sopra un grande specchio di confronto realtà per loro natura apparentemente opposte. Dalla contrapposizione di simboli divergenti emerge, tuttavia, una perfetta e inaspettata specularità, crasi di codici semantici coincidenti. Disposte sotto lo sguardo immortale e rassicurante del Maestro Yoda, una serie di presenze ibride costituite da corrispondenze sinallagmatiche: Superman trafitto come San Sebastiano, Wonder Woman vergine mariana che piange lacrime di sangue, Batman deposto come il Cristo redentore, Hulk investito dal karma di un Budda e l’artista calato nella classicità di una Venere blu Klein che porta in grembo un crudele essere: Alien.
“I claim to show, not how men think in myths, but how myths operate in men’s minds without their being aware of the fact”. This sentence of the anthropologist Claude Lévi-Strauss, is often quoted by Adrian Tranquilli to explain from a socio-anthropological and psychoanalytical perspective, the semiology of the superhero phenomenon. Not an easy task for who, having to choose whether to dedicate entirely to cultural anthropology or to contemporary art, decides to enter into the role of the researcher. Such researcher, by analysing the different human societies including their respective models within time and space, disrupts every symbolic structure thereof. Between 1999 and 2001 Tranquilli undertakes a true survey of cult images, stories and places deriving from a generic cultural model labelled XX century. The purpose, reached in the installation “Future imperfect”, was the construction of a visionary archaeological museum of the future, composed of an unusual “mash-up” of universally recognisable elements, from science fiction to literature, from art to comics, from cinema to religion. If it’s true that, as LéviStrauss teaches, “the anthropologist respects history, but he does not accord it a special value”, Tranquilli’s research can only lead to the demonstration of the full relativity of history itself. In the nebulous museum location of tomorrow, populated with visitors of an Imperfect future, Tranquilli, like a diligent researcher who organises the relics indicating date and place of finding, places a large mirror to reflect realities of an apparently opposite nature. From the contrast of diverging symbols emerges, however, a perfect and unexpected specularity, fusion of coinciding semantic codes. Under the immortal and reassuring gaze of Master Yoda, a series of hybrid presences composed of synallagmatic connections: Superman stabbed like Saint Sebastian, Wonder Woman as a Marian virgin crying tears of blood, Batman deposed like Christ the redeemer, Hulk consecrated with Buddha’s karma, and the artist personifies the classicism of a blue Klein Venus future mother of a cruel being: Alien.
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Future imperfect, 1998 Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
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believe Dopo “Futuro imperfetto” per poter evidenziare maggiormente il senso di relatività dei modelli culturali contemporanei, Tranquilli opera un marcato fermo immagine sulle icone più inflazionate dell’universo fumettistico. Nelle opere create tra il 2001 e il 2004, quei supereroi da sempre riconoscibili per la forza e il dinamismo tipici della propria super-indole, vengono catapultati in una dimensione meditativa a loro del tutto estranea. Sullo sfondo, come ulteriore termine di paragone, le sculture vengono inserite in uno spazio scenico carico di riferimenti ad alcune tendenze dell’arte contemporanea. Si passa dalle composizioni poveristiche in sale e in carbone delle installazioni “Believe” e “Back in black”, ai molteplici rimandi geometrici di stampo minimal e land art, sino a opere, come “Until the end”, che segnano l’apertura a un dialogo con la tradizione dell’arte contemporanea, nella sua accezione più alta. La serie “Believe” si prefigge di tradurre l’azione fisica, tipicamente occidentale, in una pluralità di stati mentali contemplativi, di derivazione orientale. Si tratta di un ciclo di transizione che consente al supereroe, ormai naturalizzato nello scenario artistico, di riflettere sul possibile epilogo della propria sorte. Si insinua, infatti, nella mente dell’Invincibile, un male oscuro: il dubbio di non riuscire a salvare quel mondo troppo corrotto. L’eroe, così facendo, inizia a fare i conti con il fantasma di un annunciato fallimento, avvicinandosi, pur senza accorgersene, ai limiti e alle fragilità dell’uomo moderno.
After “Future imperfect” in order to further stress the concept of relativity of the contemporary cultural models, Tranquilli realizes “freeze frame” of the most over-exploited icons of the comic strip universe. In the works created between 2001 and 2004, those superheroes normally recognisable by the strength and dynamism typical of their super-nature, are catapulted in a new meditative dimension. In the background, as a further term of comparison, the sculptures are inserted into a scenic space filled with references to certain tendencies of contemporary art: minimal, land art, or “arte povera” through the use of geometric forms and materials such as salt and coal of the installations “Believe” and “Back in black”, up to works, such as “Until the end”, which mark the opening of a dialogue with classical and modern art, in its highest form. The series “Believe” aims to translate physical action, typical of Western society, into a plurality of contemplative states of mind of Oriental derivation. It’s a transition process, which allows the superhero, now naturalised in the artistic scenario, to think about the possible epilogue of his destiny. There is in fact a dark thought instilled in the mind of the invincible the doubt of not being able to save a too corrupted world. The hero starts thus to deal with the ghost of a foreseen failure, getting closer, without realising it, to the limits and fragility of the modern man.
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Believe, 2001 Palazzo delle Esposizioni, Roma/Rome
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Until the end, 2003
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Back in black, 2005
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The age of chance, 2005
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this is not a love song “Ben presto comprendemmo che non potevamo farne una cosa né una creatura umana... e divenne essa un ignoto per noi” (Rainer Maria Rilke). La citazione del visionario scrittore austriaco introduce al prosieguo della “ricerca sul campo” portata avanti da Tranquilli, dedicata al processo di trasformazione dell’eroe in martire, in una lettura trasversale tra antropologia e arte. Un percorso lungo che vede tra il 2004 e il 2010 un susseguirsi di sculture, dove la dicotomia tra Santo e Supereroe si altera notevolmente. Le due componenti soggettive si sfidano attraverso il confronto interpretativo sulla funzione che il bisogno collettivo ricerca nel ruolo di colui che è stato mandato per salvarci. Chi sia il salvatore, e soprattutto chi il mandante, resta un ignoto sospeso tra Fede e Mito. Nata insieme a “The age of chance”, “This is not a love song” inaugura la serie delle sculture monumentali che riprende il tema dell’espressività barocca attraverso contraddizioni formali suggerite da fittizie prospettive e trompe l’oeil. Con metalli preziosi, quali l’oro e il platino, Tranquilli segna il costato e le stigmate dei neo-martiri della cultura supereroica. Grande attenzione viene data al movimento e all’energia dei corpi, caricati, per la prima volta nella loro storia di smaglianti invincibili, di lirismo e tensione drammatica. Una rinnovata teatralità anima meticolosamente lo spazio scenico popolato da personaggi, protagonisti di nuove sagre. Lo spettatore, anch’esso coinvolto e suggestionato, si interroga sull’eccessiva drammaticità che lascia supporre, con ambiguità beethoveniana, che potrebbe trattarsi piuttosto di manifesta ironia.
“We soon understood that we could not turn her into a thing nor a human being... and she became an unknown entity” (Rainer Maria Rilke). This quotation of the visionary Austrian writer, introduces the continuation of the research carried out by Tranquilli, consecrated to the transformation process of the hero into a martyr, through a transversal interpretation between anthropology and art. A long journey which is marked, between 2004 and 2010, by a succession of sculptures where the dichotomy between saint and superhero is considerably altered. The two subjective components face eachother, through an interpretative confrontation on the function that the community seeks in the role of the one who has been sent to save us. Who is the saviour, and above all who is the sender of such saviour, remain unsolved questions suspended between faith and myth. Created together with “The age of chance”, “This is not a love song” opens the series of monumental sculptures that takes up the theme of the Baroque expressiveness through formal contradictions suggested by fictitious perspectives and trompe l’oeil. Tranquilli marks the ribs and the stigmata of the new martyrs of the superhero culture with precious metals, such as gold and platinum. Great attention is given to the movement and energy of the bodies, charged, for the first time in their history of dazzling invincibility, with lyricism and dramatic tension. A renewed theatricality animates in a meticulous way the scenic space populated with characters, protagonists of new fairs. The spectator, also involved and overwhelmed, questions himself on the excessive drama which, with Beethovenian ambiguity, might be interpreted as a representation of manifest irony.
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This is not a love song 1, 2005
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This is not a love song 16, 2009
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This is not a love song 2, 2005
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know yourself All’interno del modello culturale l’uomo ha l’esigenza di darsi un ruolo. Tale auto-attribuzione spesso prescinde da una reale auto-conoscenza, laddove, al giorno d’oggi, risulta più semplice sapere chi si vuole essere, piuttosto di chi si è veramente. Nell’incessante diatriba tra essere, voler essere e apparire, la serie “Know yourself” (2002-2004), svela il risultato di un potente esperimento, condotto lungo la linea del quarantesimo parallelo dove si collocano New York, Roma e l’Armenia. Attraverso opere fotografiche, video, sculture e installazioni, si snoda il racconto di Tranquilli che, nel ruolo di fabbricante di alternative, decide di dare prima a sé stesso e poi a comuni cittadini abitanti di frenetiche metropoli o di sobborghi alla periferia dell’Occidente, la metaforica chance di “interpretare l’eroe”, di divenire, attraverso l’escamotage della maschera, per un solo giorno, altro da sé. Emblematica la scelta iconografica di Batman, uomo normale privo di superpoteri, la cui straordinarietà è dovuta al solo rigore fisico e mentale, utopico archetipo del “self-made-man” contemporaneo. Il lavoro di Tranquilli dimostra quanto sia facile indossare quella maschera, quasi naturale. Identificarsi nell’eroe, infatti, è prassi diffusa del quotidiano quanto illudersi di poter salvare l’altro, ma l’irrisolto interrogativo su chi salverà noi stessi mette a nudo, una dopo l’altra, le debolezze che affliggono ciascuno: solitudine, angoscia, sindrome d’inadeguatezza, repressione. Un esercito di eroi mancati milita, privo d’identità e di speranze, alla ricerca di sempre nuove illusioni. Uno, nessuno, centomila gli uomini dalle coscienze “omologate” (citando Pasolini), cui è stata imposta una maschera e un ruolo. L’esperimento di Tranquilli è un possibile percorso di ricerca interiore che assume valenza universale. L’uomo, che sia esso orientale o occidentale, si fa espressione di un condiviso disincanto, visione profetica della situazione nella quale versa attualmente la condizione esistenziale dell’individuo. La realtà di “Know yourself” perde la sua oggettività nella visione dell’uno, e si sgretola nell’infinito vortice del relativismo, dove la visione dei centomila diviene ben più oscura di quella pirandelliana.
Men have the need to find their role within the actual cultural model. This self-attribution often does not take true self-knowledge into account. In today’s world, it is easier to know who you want to be rather than who you really are. In the continuing debate between being, wanting to be and appearing, the series “Know yourself” (2002-2004) reveals the outcome of a powerful experiment held along the 40th parallel where New York, Rome and Armenia are found. The story told by Tranquilli runs through photographs, videos, sculptures and installations. In the role of builder of alternatives, Tranquilli decides to give first to himself, and then to the common citizens of frenetic metropolis and suburbs on the borders of the Western society, the metaphoric opportunity of “playing the hero”, the chance of becoming, thanks to a mask, someone different for just one day. The iconographic choice of the Batman is emblematic, an ordinary man without superpowers, whose exceptionality is only due to physical and mental rigour, illusory archetype of the contemporary “self-made-man”. Tranquilli’s work shows how easy it is to wear this mask, nearly natural. To identify oneself with the hero is in fact a normal practice in everyday’s life, as well as thinking of being able to save the others. However, the unsolved question of who will save ourselves, brings to the surface, one after the other, our individual weaknesses: loneliness, pain, inadequacy, repression. An army of failed heroes, lacking identity and hope, constantly searching for new illusions. One, none, a hundred thousand men with a standardized conscience (quoting Pasolini), whom a mask and a role have been imposed. Tranquilli’s experiment is a path for inner search that assumes a universal meaning. Men, whether of Western or Eastern society, are the expression of a shared disillusionment, prophetic vision of the current existential condition of the individual. The reality of “Know yourself” loses its objectivity, in the vision of the one, and crumbles in the infinite vortex of relativism where the vision of the hundred thousand becomes even darker than that of Pirandello.
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Know yourself 0, 2004
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don’t forget the joker La serie di opere create tra il 2005 e il 2008 vede culminata la riflessione sui macro temi dell’ambiguità e del confronto. Rispetto al ciclo “Futuro imperfetto”, dove i protagonisti si facevano portatori sani di quel fortunato remix genico, summa e sovrapposizione di culture apparentemente incompatibili, con “Don’t forget the Joker” si apre il duello per la prevaricazione tra l’eroe e il suo nemico. Emblematica l’omonima trasposizione filmica di un fumetto profetico realizzato da Adrian Tranquilli in collaborazione con alcuni tra i più affermati disegnatori italiani. Alla stessa metaforica partita a dadi siedono l’artista e il critico, rispettivamente Adrian Tranquilli e Achille Bonito Oliva, nel meta ruolo di Batman e Joker. Acerrimi antagonisti, destinati a un complementare inscindibile destino, i detentori del bianco e del nero – trasposizioni simboliche del bene e del male – si confrontano e/o scontrano alternando dominanza e subordinazione. Eppure la stessa forza che li divide li attrae inesorabilmente, impossibile non vederli avanzare fianco a fianco, il distruttore e il creatore del lieto fine che dimostrano, a chi non vi crede, il paradosso della obbligata necessarietà esistenziale dell’uno per l’altro. Ancora una volta si rintracciano richiami al mito, che vanno però centrandosi sulla condizione dell’artista, plasmato, giudicato, distrutto e reinventato dallo sguardo contradditorio del critico. Così nella rosa delle infinite coppie di opposti, che fa ruotare veloci le combinazioni dei possibili epiloghi, qualcuno grida pari, qualcuno dispari, “il calcolo dei dadi più non torna”, dice Montale. Un ultimo lancio, verso il vuoto, li lascia cadere in terra producendo il suono di una metallica risata.
The series of works created among 2005 and 2008 sign the culmination of the reflection on the macro themes of ambiguity and confrontation. Compared to the cycle “Future imperfect”, where the protagonists were immune carriers of that lucky gene remix, summation and overlapping of apparently incompatible cultures, with “Don’t forget the Joker”, the duel for prevarication between the hero and his enemy begins. The homonymous film transposition of a prophetic comic strip, created by Adrian Tranquilli in collaboration with some of the best known Italian illustrators, is emblematic. The artist and the critic, Adrian Tranquilli and Achille Bonito Oliva respectively, play the same metaphoric dice game, in the meta roles of Batman and the Joker. Bitter opponents, meant to share a complementary and indissoluble fate, the holders of white and black – symbolic transpositions of good and evil – confront and/or fight each other alternating dominance and subordination. However, the same force which divides them also inexorably attracts them. It is impossible not to see them walking side by side, the destructor and the creator of the happy ending, demonstrating also to the sceptical ones, the paradox of the compelled existential need one for each other. Once again the references to the myth are perceptible, this time concentrated on the condition of the artist, who is moulded, judged, destroyed and reinvented by the contradictory viewpoint of the critic. So in the short list of the infinite pairs of opposites, making twirl around the combinations of the possible epilogues, someone shouts “even”, someone shouts “odd”,“the dice no longer tell the score”, says Montale. A last throw, towards the void, let them fall to the ground generating the sound of a metallic laugh.
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Don’t forget the Joker, 2006 Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
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You’ll never get to me, 2009
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You’ll never get to me, 2007 (particolare/detail)
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Don’t forget the Joker, 2009
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All is violent, all is bright, 2009 Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome, 2011
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all is violent, all is bright Fermo immagine su Roma. Una certezza: se Dio fosse un astronauta la sua base spaziale sarebbe la basilica di San Pietro. Tra le tante icone simboliche raccolte da Tranquilli per la decostruzione di vecchi, e l’edificazione di nuovi, modelli culturali, la realtà capitolina, polimorfa e ambivalente, patria di culture, volti e miti, accoglie negli interstizi delle proprie stratificazioni una de-realtà mutuata da Gotham City. “All is violent, all is bright” (2009-2011) è anzitutto una struttura architettonica, carica di rimandi evocativi. San Pietro, non più basilica ma castello, viene ricostruito con 50mila carte da gioco, ciascuna riproducente, in maniera ossessiva, una delle cinquantadue “facce” di Joker, selezionate tra le molteplici raffigurazioni che nel corso dei secoli sono state ascritte a questo emblematico volto. Nella narrazione visiva di Tranquilli, ancora un personaggio dall’indole ambigua e tagliente viene questa volta impiegato per l’edificazione di un ambizioso “castello di carte”, per sua stessa definizione sovrastruttura fragile ed eterea. Una riflessione di taglio “architettonico” sulla solidità delle fondamenta del modello culturale che, allo stato dell’arte, sembrerebbe condannato a un inesorabile sfaldamento. L’interrogativo sullo stato di crisi diviene più stringente con Joker come protagonista. Il giullare, l’affabulatore, l’ambiguo dall’identità frazionata, infatti, prova a insidiare l’immaginario collettivo, ammiccando alle strutture fondanti del nostro modello culturale, cui discende, una per tutte, la religione. Batman è ancora lì, in tutta la sua maestosa presenza, resiliato sul fondo della scena a guardare, con occhi profondi e apparentemente allarmati, l’ombra minacciosa – almeno quanto il suo mantello nero – di quell’immane castello (di carte). Timore imminente o sagace ironia?
Stop motion on Rome. A certainty: if God is an astronaut, his space station would be Saint Peter’s. Among the many symbolic icons collected by Tranquilli for the deconstruction of the old, and the building of the new, cultural models, the Capitoline reality, polymorphous and ambivalent, home of culture, faces and myths, accommodates in the corners of its own stratifications a de-reality borrowed from Gotham City. “All is violent, all is bright” (2009-2011) is, above all, an architectonic structure, charged with evocative references. Saint Peter, no longer basilica but castle, is rebuilt using 50.000 playing cards, each of them obsessively reproducing one of the 52 “faces” of the Joker, picked among the many portrayals that have been attributed to this emblematic figure over the centuries. In Tranquilli’s visual path, yet another character with a cynic and ambivalent nature, that this time is used for the construction of an ambitious “castle of cards”, the definition of the same, fragile and ethereal superstructure. A reflection typified by an “architectonic” approach, questioning the solidity of the foundations of the cultural model, which, at the state of the art, would seem to be condemned to an inexorable break-up. The enquiry on the state of the crisis becomes more pressing with Joker as the protagonist. The fool, the charmer, the ambiguous character with the fractioned identity, tries in fact to undermine the social imaginary, winking at the founding structures of our cultural model from which originates, to name just one, Religion. Batman is still there, in all his majestic presence, exiled to the back of the stage looking at, with intense and apparently worried eyes, the menacing shadow – as menacing as his black mantle – of that dreadful castle (of cards). Forthcoming fear or sagacious irony?
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All is violent, all is bright, 2009 (particolari/details)
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I’ll never get to you, 2009 (particolare/detail)
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All is bright, all is violent, 2011 Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome
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All is bright, all is violent, 2011 (particolare/detail)
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these imaginary boys “Three imaginary boys” (The Cure) Walk across the garden / In the footsteps of my shadow See the lights out / No one’s home In amongst the statues / Stare at nothing in The garden moves / Can you help me? Close my eyes / And hold so tightly Scared of what the morning brings / Waiting for tomorrow Never comes / Deep inside The empty feeling / All the night time leaves me Three imaginary boys Slipping through the door / Hear my heart beats in the hallway Echoes / Round and round / Inside my head Drifting up the stairs / I see the steps behind me Disappearing / Can you help me? Close my eyes / And hold so tightly Scared of what the morning brings Waiting for tomorrow / Never comes Deep inside / The empty feeling All the night time leaves me Three imaginary boys sing in my Sleep sweet child / The moon will change your mind See the cracked reflection / Standing still Before the bedroom mirror / Over my shoulder But no one's there / Whispers in the silence Pressing close behind me / Pressing close behind Can you help me? / Can you help me? Can you help me?
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These imaginary boys, 2004 Kunsthalle, Vienna/Wien
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These imaginary boys 3, 2004
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These imaginary boys 6, 2004
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These imaginary boys 4, 2004
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These imaginary boys, 2012 Chiesa SS. Giovanni e Paolo, Spoleto
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I’ll never get to you, 2009 Castello Svevo di Barletta, Barletta
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I’ll never get to you, 2009 Complesso monumentale del San Michele, Roma/Rome
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in excelsis Il più recente ciclo di lavori vede un temporaneo abbandono della scultura in favore di un disegno altrettanto plastico e tridimensionale. Nel corso di una approfondita riflessione sulla figura del supereroe radicata nell’immaginario collettivo, Tranquilli apre ancora un confronto con la simbologia arcaica, fatta di letture divergenti e ambigue analisi ultra-semantiche. Si parte dal presupposto che la figura del supereroe non è altro che la trasposizione nella cultura occidentale dell’esigenza del Salvatore, colui che salva in nome “del bene e del giusto”. A onore e gloria dell’opera seminale del Modernismo 0.10: l’ultima mostra futurista, emergono chiari i richiami a quel suprematismo affermato dalla ricerca della sensibilità plastica di Kazimir Malevich. Con “In excelsis” la forza dell’eroe è però irrigidita tra massicci piani sovrapposti di simboli e forme; così la croce latina di Tranquilli, accennata, allusa, mai integra, in parte acrilica in parte lignea, sintesi concettuale di pensiero e materia, fa da sfondo sacrale a un Batman privato della consueta aura di potenza. E ancora dualistici confronti tra il supereroe e la croce greca, topos dell’arte bizantina, dalla cui piegatura dei bracci ad angoli retti deriva la svastica, simbolo che nell’antichità – scevro dalle odierne negative accezioni – propiziava fortuna e fertilità. Quanto alla stella, comunista o hollywoodiana? Eroe glorioso? Star popolare? Redentore o martire? Arduo da interpretare univocamente l’universo simbolico ove non si individui lo specifico database iconologico di riferimento. Viceversa, più chiaro e di forte impatto il messaggio stilistico che trova nei drappi il massimo virtuosismo. Il tratto rivela palpiti vigorosi, donando alla veste viscosità e movimento. Con la sensibilità dello scultore, Tranquilli tratteggia il corpo vigoroso, lasciando che le pieghe della morbida coltre accompagnino le inesorabili e precise linee del corpo. Elementi di sacro, profano e politico, coesistono nell’opera che lascia irrisolta un’evocazione possibilista dell’eroe-salvatore, simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.
The most recent series of works signs a temporary departure from sculpture in favour of an equally plastic and three-dimensional drawing. Thoughout a profound reflection on the figure of the superhero deep rooted in the social imaginary, Tranquilli opens another confrontation with archaic symbolism, by diverging interpretations and ambiguous ultra-semantic analyses. The starting point is the assumption that the figure of the superhero is nothing else than the transposition in Western culture of the need for a Saviour, of someone who saves in the name of “good and justice”. To the credit and merit of the seminal work of Modernism “0.10: the last futuristic exhibition”, the reference to that suprematism affirmed in the research of plastic sensibility by Kazimir Malevich, clearly emerges. With In excelsis the strength of the hero is however tensed between overlaid solid layers of symbols and shapes; so Tranquilli’s Latin cross, hinted at, alluded to, never whole, partly acrylic, partly wooden, conceptual synthesis of thought and matter, is the sacred background of a Batman deprived of his usual aura of power. Same for the dualistic contrasts between the superhero and the Greek cross, distinctive feature of the Byzantine art, once symbol of fortune and fertility, from which the modified right angles and lines create a Swastika – devoid of its current negative meaning. As for the star: communist or Hollywood-style? Glorious hero? Popular star? Saviour or martyr? It is difficult to give an unambiguous meaning to this universal symbol without identifying the relevant iconographic database. On the contrary, more legible and of great impact is the stylistic message, which finds in the pleats its maximum virtuosity. It reveals vigorous pulsations, giving to the robe viscosity and movement. With the sensitivity of a sculptor, Tranquilli draws a vigorous body, allowing the folds of the soft cloth to accompany the inexorable and precise lines of the body. Sacred, profane and political elements coexist within this work, leaving unsolved the possible evocation of the hero-saviour, symbol of destiny and of redemption of the entire human race.
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In excelsis 1, 2011
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In excelsis 2, 2011
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In excelsis 6, 2011
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In excelsis, 2011 Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
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In excelsis 3, 2011
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Yoda - The day after, Santiago de Compostela, Spagna/Spain, 1998-1999 Palazzo Collicola arti visive, museo Carandente, Spoleto, 2010
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elenco delle opere/list of works
pag. 14-15 The golden dream, 2000 Rifugi di Colleferro (Roma/Rome) particolare/detail foto di/photo by Claudio Abate pag. 20-21 Future imperfect 1, 1999 video 2’27” regia di/directed by Daniele Luchetti video still Future imperfect 2, 2001 video 1’38” regia di/directed by Giancarlo Soldi video still Future imperfect 3, 2001 video 3’00” regia di/directed by Giancarlo Soldi video still pag. 22 Artist – The Alien Paris, France – 1960, 1998 tecnica mista/mixed media 180 x 26 x 82 cm, particolare/detail foto di/photo by Claudio Abate
pag. 33 Back in black, 2005 polistirolo, resina e carbone polystyrene, resin and charcoal scultura/sculpture: 120 x 200 x 140 cm carbone/charcoal: dimensioni variabili/variable dimensions foto di/photo by Massimo Tomasini pag. 34 The age of chance 1, 2005 particolare/detail, 11 x 21 x 34 cm foto di/photo by Adrian Tranquilli pag. 35 The age of chance, 2005 Mimmo Scognamiglio arte contemporanea, Napoli/Naples, veduta dell’installazione/installation view foto di/photo by Beppe Avallone
pag. 25 Future imperfect, 1998 Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome veduta dell’installazione/installation view, foto di/photo by Claudio Abate
pag. 36 This is not a love song 6, 2006 Torre civica di Benevento/Civic tower of Benevento, Benevento, veduta dell’installazione/installation view . pag. 38 This is not a love song 3, 2005 polistirolo, resina e argento/polystyrene, resin and silver, 165 x 180 x 65 cm foto di/photo by Beppe Avallone
pag. 26 Hulk – The incredible, 2001 polistirolo e resina/polystyrene and resin, 180 x 195 x 200 cm foto di/photo by Claudio Abate
pag. 39 This is not a love song 10, 2008 vetroresina e argento/fibreglass and silver, 165 x 180 x 65 cm foto di/photo by Claudio Abate
pag. 28-29 Believe, 2001 Palazzo delle Esposizioni Roma/Rome, veduta dell’installazione installation view foto di/photo by Claudio Abate
pag. 40-41 This is not a love song 1, 2005 polistirolo, resina e oro/polystyrene resin and gold, 190 x 175 x 40 cm foto di/photo by Beppe Avallone
pag. 31 Until the end, 2003 gesso, resina e tecnica mista chalk, fibreglass and mixed media scultura/sculpture: 120 x 80 x 70 cm stampa digitale/digital print 130 x 130 cm foto di/photo by Massimo Napoli
pag. 42-43 This is not a love song 16, 2009 vetroresina e argento/fibreglass and silver, 168 x 218 x 38 cm foto di/photo by Adrian Tranquilli pag. 44-45 This is not a love song 2, 2005 polistirolo, resina e argento
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polystyrene, resin and silver 165 x 85 x 60 cm foto di/photo by Adrian Tranquilli pag. 46 Hero, 2004 lattice e tecnica mista/latex and mixed media, 105 x 68 x 135 cm foto di/photo by Adrian Tranquilli pag. 48-49 Know yourself 0, 2004 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 130 x 200 cm pag. 50-51 Know yourself 21, 2002 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 90 x 125 cm pag. 52-53 Know yourself 1, 2002 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 90 x 125 cm pag. 54-55 Know yourself 28, 2002 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 90 x 125 cm pag. 58-59 Don’t forget the Joker 1, 2006 stampa su pvc e proiezione/print on pvc and projection, 170 x 254 cm particolare/detail pag. 60-61 Don’t forget the Joker, 2006 Studio Stefania Miscetti Roma/Rome veduta dell’installazione/installation view foto di/photo by Claudio Abate pag. 62 You’ll never get to me, 2009 particolare/detail foto di/photo by Claudio Abate pag. 63 You’ll never get to me, 2009 stoffa, vetroresina e tecnica mista fabric, fibreglass and mixed media 110 x 200 x 50 cm foto di/photo by Claudio Abate
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pag. 65 You’ll never get to me, 2007 particolare/detail foto di/photo by Adrian Tranquilli
pag. 91 All is bright, all is violent, 2011 particolare/detail foto di/photo by Claudio Abate
pag. 70-71 Don’t forget the Joker, 2009 video 7”, regia di/directed by Chiara Clemente, video stills
pag. 92 Four imaginary boys, 2004 stoffa e legno/fabric and wood 190 x 60 x 35 cm 180 x 55 x 40 cm, 175 x 55 x 30 cm 170 x 45 x 40 cm foto di/photo by Claudio Abate
pag. 72-73-74-75 Don’t forget the Joker, 2009 tavole di/tables by Giuseppe Camuncoli e/and Lorenzo Ruggiero testi di/texts by Fabrizio Plateroti storia di/story by Adrian Tranquilli e/and Fabrizio Plateroti pag. 76-77-78-79 Don’t forget the Joker, 2009 video 7”, regia di/directed by Chiara Clemente, video stills pag. 80-81 All is violent, all is bright, 2009 Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome, 2011, 50.000 carte e legno/50.000 cards and wood 300 x 590 x 980 cm foto di/photo by Claudio Abate pag. 82 All is violent, all is bright, 2009 Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome, 2011, veduta dell’installazione/installation view foto di/photo by Altrospazio pag. 84-85 All is violent, all is bright, 2009 particolari/details foto di/photos by Adrian Tranquilli pag. 86-87 I’ll never get to you, 2009 particolare/detail foto di/photo by Adrian Tranquilli pag. 88-89 All is bright, all is violent, 2011 Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome, 2011, veduta dell’installazione/installation view foto di/photo by Claudio Abate
pag.94-95 These imaginary boys, 2004 Kunsthalle, Vienna/Wien veduta dell’installazione installation view pag. 96-97 These imaginary boys 3, 2004 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 100 x 150 cm pag. 98-99 These imaginary boys 6, 2004 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 100 x 150 cm pag. 100 These imaginary boys 4, 2004 stampa su carta fotografica/print on photographic paper, 200 x 130 cm pag. 102-103 These imaginary boys, 2004 Chiesa SS. Giovanni e Paolo, Spoleto veduta dell’installazione installation view foto di/photo by Dobrila Denegri pag. 105 I’ll never get to you, 2009 Castello Svevo di Barletta, Barletta veduta dell’installazione installation view foto di/photo by Maurizio Abbate/Eclettica cultura dell’arte pag. 107 I’ll never get to you, 2009 Roma/Rome, complesso monumentale del San Michele vetroresina stoffa e resina/fibreglass
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fabric and resin 50 x 300 x 280 cm foto di/photo by Claudio Abate pag. 108 In excelsis 3, 2011 carboncino, carta, legno e smalto charcoal, paper, wood and enamel paint, 120 x 119 x 5 cm foto di/photo by Claudio Abate pag.111 In excelsis 1, 2011 carboncino, carta, legno e smalto charcoal, paper, wood and enamel paint, 280 x 200 x 7 cm foto di/photo by Claudio Abate pag.113 In excelsis 2, 2011 carboncino, carta, legno e smalto charcoal, paper, wood and enamel paint, 280 x 200 x 7 cm foto di/photo by Claudio Abate pag.115 In excelsis 6, 2011 carboncino, carta, legno e smalto charcoal, paper, wood and enamel paint, 225 x 232,5 x 7 cm foto di photo by Claudio Abate pag. 116-117 In excelsis, 2011 Studio Stefania Miscetti, Roma Rome, veduta dell’installazione installation view. Foto di/photo by Humberto Nicoletti Serra pag. 119 In excelsis 3, 2011 carboncino, carta, legno e smalto charcoal, paper, wood and enamel paint 280 x 144 x 7 cm smalto su legno/enamel paint on wood, 200 x 46x 7 cm foto di/photo by Claudio Abate pag. 121 Yoda - The day after Santiago de Compostela Spagna/Spain, 1998-1999 Palazzo Collicola arti visive, museo Carandente, Spoleto, 2010, veduta dell’installazione/installation view
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biografia/biography
Adrian Tranquilli Nato a Melbourne nel 1966, vive e lavora a Roma/Born in Melbourne, 1966, lives and works in Rome
Mostre personali/Solo Exhibitions 2011
All is violent, all is bright, Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome In excelsis, Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
2010
Don’t forget the Joker, Palazzo Reale, Milano/Milan
2009
All is violent, all is bright, Mimmo Scognamiglio arte contemporanea, Milano/Milan
2006
Don’t forget the Joker – sense of falling-falling of sense, Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
2005
The age of chance, Mimmo Scognamiglio arte contemporanea, Napoli/Naples Until the end, spazio Symphonia, Milano/Milan
2004
These imaginary boys, Marella arte contemporanea, Milano/Milan* Sometimes somewhere some heroes, Parkhouse, Düsseldorf
2002
Again, Galleria comunale d’arte contemporanea, Cesena* Believe, Fondazione Bandera per l’arte, Busto Arsizio, Milano/Milan*
2001
Believe, Palazzo delle Esposizioni, Roma/Rome* Evidence, futuro imperfetto III, studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
1999
What if…?, futuro imperfetto II, galleria Sergio Tossi, Prato
1998
Futuro imperfetto, Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome
1997
Transider, galleria De Crescenzo & Viesti, Roma/Rome*
1995
Sei senza nome, Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome* Sei senza nome, sala Borromini, Oratorio dei Filippini, Roma/Rome*
1994
Senza nome, Galerija studentskog kulturnog centra, Belgrado/Beograd Adrian Tranquilli, Studio Aperto, Roma/Rome*
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Mostre collettive selezionate/Selected group exhibitions 2012
+ 50 sculture in citta, tra memoria (1962) e presente (2012), Spoleto, a cura di/curated by Gianluca Marziani*
2011
What?, Mimmo Scognamiglio arte contemporanea, Milano/Milan Dalla cella all’atelier, Castiglia di Saluzzo, Saluzzo, Cuneo, a cura di/curated by Alessandro Demma Su nero nero/Over black black, Castello di Rivara centro d’arte contemporanea, Rivara, Torino/Turin, a cura di/curated by Franz Paludetto Un’altra storia arte italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero, spazio culturale Antonio Ratti, ex Chiesa di san Francesco, Como a cura di/curated by Edoardo di Mauro La costante cosmologica, Complesso monumentale del San Giovanni, Catanzaro, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Fundamentum artis, Scenari dell’arte contemporanea, Unicredit, Bologna, a cura di/curated by Raimonda Z. Bongiovanni
2010
Lucio Fontana, spazio e luce oltre il taglio, Museo civico archeologico di Bologna, a cura di/curated by Raimonda Z. Bongiovanni Un buon domani/A better tomorrow, Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome Cosmogonia – le supernova del collezionismo italiano, Collezione Sciarretta, palazzo Collicola arti visive museo Carandente, Spoleto, a cura di/curated by Gianluca Marziani* La follia dell’arte, villa Rufolo, Ravello, Salerno, a cura di/curated by Achille Bonito Oliva* Figura della protezione, castello dei Pio, Carpi, Modena, a cura di/curated by Bianca Tosatti Incontri ravvicinati di altro tipo, galleria Artsinergy, San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno, a cura di/curated by Gianluca Marziani*
2009
Vraoum! Treasures of comics and contemporary art, La Maison Rouge, fondation Antoine de Galbert, Parigi/Paris a cura di/curated by David Rosenberg e/and Pierre Sterckx* Intramoenia extra art “on the ground, underground”, castello Svevo di Barletta, Barletta a cura di/curated by Achille Bonito Oliva e/and Giusy Caroppo Donne di Roma, Auditorium parco della Musica, Roma/Rome, a cura di/curated by Giuseppe Cerasa A Bartolo, Dart, Chiostro del Bramante, Roma/Rome, a cura di/curated by Achille Bonito Oliva* Premio Terna, Tempio di Adriano, Roma/Rome, a cura di/curated by Cristiana Collu e/and Gianluca Marziani* Battiti, Complesso monumentale del San Michele, Roma/Rome, a cura di/curated by Claudio Libero Pisano
2008
Esculturismos, Sala de exposiciones Alcalá 31, Madrid, a cura di/curated by Peio Hernández Riaño* Omaggio a Toti Scialoja, Il Segno, Roma/Rome, a cura di/curated by Barbara Drudi*
2007
Falso movimento, Centro internazionale per l’arte contemporanea, Castello Colonna, Genazzano, Roma/Rome a cura di/curated by Claudio Pisano* La nuova figurazione italiana. To be continued..., fabbrica Borroni, Bollate, Milano/Milan, a cura di/curated by Chiara Canali* Frail, Hyunnart studio arte contemporanea, Roma/Rome, a cura di/curated by Mario De Candia Eroi! Come noi…?, Pan, Palazzo delle arti Napoli/Naples, a cura di/curated by Julia Draganovic* Nowheremen, Acciaierie arte contemporanea, Cortenuova, Bergamo, a cura di/curated by Omar Calabrese e/and Maurizio Bettini* Dwelling among the elsewheres, Botkyrka konsthall, Stoccolma/Stockholm, a cura di/curated by Dobrila Denegri Contemporary comics, castel Sant’Elmo, Napoli/Naples, a cura di/curated by Guido Cabib*
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2006
Arterritory. Arte, territorio e memoria, Museo Centrale Montemartini, Roma/Rome a cura di/curated by Dominique Lora* C’era una volta un re… la fiaba contemporanea, Arcos, Museo d’arte contemporanea del Sannio, Benevento a cura di/curated by Dobrila Denegri* Imperfect realities. Over the genre, galleria Artsinergy, Bologna, a cura di/curated by Olivia Spatola* Il gioco è fatto, villa Rufolo, Ravello, Salerno, a cura di/curated by Achille Bonito Oliva*
2005
Superstars, the celebrity factor. From Warhol to Madonna, Kunsthalle, Vienna/Wien a cura di/curated by Gerald Matt* Tribù della memoria, Gnam, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma/Rome* Le opere e i giorni, Certosa di San Lorenzo, Padula, Salerno, a cura di/curated by Achille Bonito Oliva* A band a part, Studio Stefania Miscetti, Roma/Rome, a cura di/curated by Enrico Fornaroli e/and Gianluca Marziani Superplastica, Castello di Casalgrande Alto, Reggio Emilia, a cura di/curated by Ivan Quaroni Padiglione Italia. Out of Biennale, Trevi flash art museum, Trevi
2004
Primo, Buia gallery, New York Gioiello d’artista, Museo del Corso, Roma/Rome, a cura di/curated by Francesca Morelli* L’occhio l’orecchio il cuore, Palazzo Ducale, Lucca* Roma/Rome punto uno, Pici gallery, Seul – Tokyo design center, Gotanda – Kuchu Teien Tembodai Sky gallery, Osaka, a cura di/curated by Mara Coccia e/and Mario de Candia* Desrupted landscapes, Belef, Belgrado/Beograd, a cura di/curated by Dobrila Denegri
2003
Young italian genome, Buia gallery, New York, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Roma/Rome duemilatre, galleria Pack, Milano/Milan, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Melting pop, Palazzo delle Papesse, centro arte contemporanea, Siena, a cura di/curated by Gianluca Marziani*
2002
L’ultima cena, Castel dell’Ovo, Napoli/Naples, a cura di/curated by Massimo Sgroi* Fantasy, beauty, play,, Iaspis, The swedish arts grants committee’s international programme for visual artists Stoccolma/Stockholm, a cura di/curated by Dobrila Denegri Imprint of nature, Third international biennal of Gyumri, Armenia* Alto volume corporale, Palazzo Bice Piacentini, centro arte contemporanea, San Benedetto del Tronto a cura di/curated by Gianluca Marziani* Antologia romana, galleria Alessandro Bagnai, Siena, a cura di/curated by Daniela Bigi e/and Roberto Lambarelli*
2001
Disarming beauty, Salvador Dalì museum, St. Petersburg, Florida, a cura di/curated by Suzanne Ramljak* Codice mutante, XXVI premio Avezzano, villa Torlonia, Avezzano, a cura di/curated by Maurizio Calvesi Lorenzo Canova, Augusta Monferini, Rosella Siligato* Architettura e/è arte, Foro Italico, Roma/Rome, a cura di/curated by Massimo Locci* Art files, Centro per le arti visive Pescheria, Pesaro, a cura di/curated by Ludovico Pratesi e/and Sabrina Vedovotto*
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Ventana hacia Venus/Window onto Venus, Bienal de La Habana, Cuba a cura di/curated by associazione per l’arte contemporanea Zerynthia Sui generis, Pac, Milano/Milan, a cura di/curated by Alessandro Riva* Tirannicidi I e II, archivio di stato di Palazzo Reale, Torino, a cura di/curated by Luigi Ficacci* Dalla Mini al mini, cartiere Vannucci, Milano/Milan, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Periplo della scultura contemporanea II, Chiese Rupestri, Matera, a cura di/curated by Giuseppe Appella Pier Giovanni Castagnoli, Fabrizio D’Amico* Trapassato futuro, cartiere Vannucci, Milano/Milan, a cura di/curated by Alessandro Riva* WelcHome, Palazzo delle Esposizioni, Roma/Rome, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Giro d’Italia, Ex Mattatoio, Roma/Rome, a cura di/curated by Alberto Fiz* Talents, spazio Consolo, Milano/Milan, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Formae, variazione sull’immagine, Istituto italiano di cultura, Berlino, a cura di/curated by Maurizio Cecchetti L’ultimo disegno del 1999, centro civico per l’arte contemporanea La Grancia, Serre di Rapolano, Siena a cura di/curated by associazione per l’arte contemporanea Zerynthia* Tirannicidi II, la stampa, Calcografia nazionale, Roma/Rome, a cura di/curated by Luigi Ficacci* Mumble, mumble, Galleria comunale d’arte contemporanea, castel San Pietro Terme, Bologna a cura di/curated by Augusto Pieroni
Progetti Speciali/Special projects 2012
Adrian Tranquilli, Centrale di Fies, Drò, Trento, a cura di/curated by Maria Letizia Bixio*
2003
Know yourself, Macro, Museo d’arte contemporanea di Roma/Rome a cura di/curated by Cristiana Perrella e Gianluca Marziani* Know yourself, Palazzo delle Papesse, Siena, a cura di/curated by Gianluca Marziani* Know yourself, Franca Ducati eventi d’arte,Trento, a cura di/curated by Danilo Eccher
2002
Adrian Tranquilli, La piccola, Rionero in Vulture, Potenza, a cura di/curated by Pasquale Plastino
2000
The golden dream, all’interno di/within Verso Sud, Rifugi di Colleferro, Roma/Rome a cura di/curated by associazione per l’arte contemporanea Zerynthia
* catalogo/catalogue
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catalogo a cura di/catalogue curated by Maria Letizia Bixio © Adrian Tranquilli per le opere/for his works © gli autori per i testi e le tavole/authors for their texts and tables © design di Adrian Tranquilli/layout by Adrian Tranquilli testi di/texts by Maria Letizia Bixio traduzioni/translation Francesca Rampin Astrid Wiedersich Avena si ringraziano/we would like to thank Dobrila Denegri Pino Allamprese Simona Andrini Valerio Barbantini Andrea Bixio Stefania Miscetti Matteo Moscarelli Fabrizio Plateroti Francesca Rampin Giulia Scagnoli
direzione editoriale/managing editor Maurizio Zuccari progetto grafico/design Gaia Toscano redazione/editorial staff Giorgia Bernoni, Maria Luisa Prete stampa/print Cromografica srl Roma – Italia Guido Talarico Editore srl via Antonio Vivaldi 9, 00199 Roma Tel. 0039 06 8080099 - 06 99700377 Fax 0039 06 99700312 www.insideart.eu (segreteria@guidotalaricoeditore.it)
copertina/cover I’ll never get to you, 2009 (particolare/detail)
progetto speciale per/special project for
il catalogo è realizzato in collaborazione con/the catalogue is in collaboration with
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