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i sono forse due o tre progetti nel lavoro di Francesco Fonassi distanti fra loro per mire e cronologia, stretti però sotto una stessa coperta: Guarigione, Ultradiana e Salvatici, quest’ultimo vincitore del Talent Prize 2020. I lavori, prossimi a progetti precedenti nell’alterazione del materiale sonoro, se ne distaccano tematicamente nel proporsi come una cura: prescrizioni per ore malate. Contagiati nei timbri sonori, infiltrati nei tempi di sviluppo musicale si percepiscono strascichi di antiche pratiche farmacologiche: i medicamenta. La libertà assoluta della composizione espressa attraverso il rigore e la minaccia del suo improvviso, violento, necessario e originario troncamento richiamano il discorso poetico: quando esprime l’anarchia attraverso le tavole della legge, quando un sonetto diventa veleno nella poetessa Patrizia Valduga nei suoi, appunto, Medicamenta e altri Medicamenta. C’è quindi un morbo; c’è forse una cura: «Penso – dice Fonassi – che questi lavori curino prima di tutto uno stato psicofisico di disagio e diffidenza verso il presente. Non c’è nulla di più violento del modo in cui la materia sonora abbraccia da subito la propria fine. Questi lavori prescrivono e sottopongono delle condizioni di ascolto epidermico e mentale che, contestualmente al luogo dove vengono prodotti o restituiti, incorporano un pensiero di guarigione. Un pensiero mio, certo, ma sempre riferito al bisogno di coesione e attrazione che l’ascolto plurale offre almeno come potenziale. A loro modo, come progetti precedenti di diversa natura, sono dei prototipi. Mi piace immaginare questi luoghi senza bandiera dove si pratichino ipotesi di pensieri eterei, dove prescrivere un’esperienza auricolare lucida e, se vuoi, antisociale». E questo fa Salvatici definendo un ambiente tragico e rassicurante come una sala d’attesa di un ospedale. Un campo sonoro, composto a partire da un canto congolese di guarigione e da una fisarmonica, risuona attraverso due colonne lignee mutuate da una macchina processionale di Santa Maria In Trastevere. «Le colonne per macchina processionale che ho ricalcato – continua Fonassi – servono a veicolare e mostrare, a trasportare qualcosa di sacro, nella misura in cui ci crediamo, o in cui ci sottoponiamo a un regime pseudo-mistico a cui credere. Sono dei giudici a modo loro. Perché un canto congolese di guarigione, o una fisarmonica? Mi viene da rispondere: perché respirano, ma non possono respirare da soli. Si formano allora dei gruppi di persone, di fiati, delle processioni appunto. Questo sempre prima e dopo il mio lavoro. Osservavo qualcuno durante l’apertura della mostra a Belluno toccare queste colonne come chi tocca un cane ferito per strada, appoggiando la mano sul torace. Tragico e rassicurante al contempo». Come la tragedia si consuma solo con un pubblico, Salvatici si completa solo attraverso un ascolto plurale: del resto molti tuoi lavori si riferiscono a, e nascono da una comunità. «Quasi due anni fa ho conosciuto Stefano Zaniboni, musicista e appassionato collezionista di dischi in gommalacca dai primi del ’900 agli anni ’50. Il suo progetto in trio, Ear Explorer, verte sulla riproduzione quasi ritualistica di alcuni di questi vinili, rallentati e manipolati. Quando sono stato a casa sua per prenderne in prestito alcuni da poter utilizzare per la lavorazione della traccia di Salvatici, siamo finiti ad ascoltare lave vulcaniche e venti sibilanti parlando a ruota libera: conoscendoci. Avevo una sensazione di calma incredibile. Suo il disco che contiene Demande de guèrison, il canto congolese: la composizione ne trasuda
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here are maybe two or three projects in the work of Francesco Fonassi, different from each other in their aims and chronology, but bound together in the same covers: Guarigione, Ultradiana and Salvatici, the latter being the winner of the 2020 Talent Prize. The works, although close to previous projects in their alteration of auditory material, stand out thematically in their proposal of a cure: prescriptions for sick hours. Infecting the sonorous timbres, infiltrating the rhythms of musical development, traces of ancient pharmacological practices can be perceived: medicaments. The absolute freedom of composition expressed through the severity and threat of its sudden, violent, necessary, original cut off evokes poetic discourse: when it expresses anarchy through the tables of the law, when a sonnet becomes venom in the poet Patrizia Valduga’s Medicaments and more Medicaments. So, there is a sickness; maybe there is a cure: «I think – says Fonassi – that these works, first and foremost, cure a psycho-physical state of unease and mistrust towards the present. There is nothing more violent than the way the audio material immediately embraces its end. These works prescribe and undergo conditions of epidermic and mental listening, which, based on the context of the place where they are produced or restored, incorporates an idea of recovery. An idea that is mine, certainly, but always referring to the need for cohesion and attraction offered by collective listening, at least as potential. In their own way, as previous projects with a different nature, they are prototypes. I like to imagine these flagless places where one can hypothesise otherworldly thoughts, where one can prescribe a auditory experience that is lucid, and, if you like, antisocial». And Salvatici does this by defining a tragic and reassuring atmosphere, like a waiting room in a hospital. An acoustic field, composed initially of a Congolese healing chant and an accordion, resonates through two wooden columns borrowed from a processional carriage for Santa Maria In Trastevere. «The columns for the processional carriage, which I faithfully reproduced – continues Fonassi – serve to transmit and display, to transport something sacred, to the extent that we believe in it, or to the extent that we submit ourselves to a pseudo-mystical regime to believe in. In their own way, they are judges. Why a Congolese chant or an accordion? My answer would be: because they breathe, but they cannot breathe on their own. They are formed, then, by groups of people, by breaths, by processions, in fact.This is always before and after my work. I saw someone, during the show in Belluno, touching these columns like someone who touches an injured dog on the street, resting their hand on its chest. Tragic and reassuring at the same time». Just as a tragedy is consumed only with an audience, Salvatici is complete only through collective listening: after all, many of your works refer to, and are created by a community. «Almost two years ago, I met Stefano Zaniboni, a musician and passionate collector of shellac discs from the beginning of the 20th century to the 1950s. His trio project, Ear Explorer, focuses on an almost ritualistic reproduction of some of these vinyls, slowed down and manipulated.When I went to his house to borrow some of them to use for the preparation of the track for Salvatici, we ended up listening to volcanic lava and whistling winds, running our mouths off: getting to know each other. I had an incredible sense of calm. The disc containing Demande de guèrison, the Congolese chant, is his: the composition oozes beats and
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Francesco Fonassi vincitore del Talent Prize 2020
Salvatici, 2019, study on processional columns, Santa Maria in Trastevere, Rome
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WINNER WORK SALVATICI, 2019 installation view, Museo Burel photo Antonio De Svaldi
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Francesco Fonassi
Prescrizioni tradite per ore malate, anarchia attraverso le tavole della legge: una conversazione con il vincitore del Talent Prize Prescriptions betrayed by sick hours, anarchy through the tables of the law: a conversation with the winner of the Talent Prize Francesco Angelucci
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i sono forse due o tre progetti nel lavoro di Francesco Fonassi distanti fra loro per mire e cronologia, stretti però sotto una stessa coperta: Guarigione, Ultradiana e Salvatici, quest’ultimo vincitore del Talent Prize 2020. I lavori, prossimi a progetti precedenti nell’alterazione del materiale sonoro, se ne distaccano tematicamente nel proporsi come una cura: prescrizioni per ore malate. Contagiati nei timbri sonori, infiltrati nei tempi di sviluppo musicale si percepiscono strascichi di antiche pratiche farmacologiche: i medicamenta. La libertà assoluta della composizione espressa attraverso il rigore e la minaccia del suo improvviso, violento, necessario e originario troncamento richiamano il discorso poetico: quando esprime l’anarchia attraverso le tavole della legge, quando un sonetto diventa veleno nella poetessa Patrizia Valduga nei suoi, appunto, Medicamenta e altri Medicamenta. C’è quindi un morbo; c’è forse una cura: «Penso – dice Fonassi – che questi lavori curino prima di tutto uno stato psicofisico di disagio e diffidenza verso il presente. Non c’è nulla di più violento del modo in cui la materia sonora abbraccia da subito la propria fine. Questi lavori prescrivono e sottopongono delle condizioni di ascolto epidermico e mentale che, contestualmente al luogo dove vengono prodotti o restituiti, incorporano un pensiero di guarigione. Un pensiero mio, certo, ma sempre riferito al bisogno di coesione e attrazione che l’ascolto plurale offre almeno come potenziale. A loro modo, come progetti precedenti di diversa natura, sono dei prototipi. Mi piace immaginare questi luoghi senza bandiera dove si pratichino ipotesi di pensieri eterei, dove prescrivere un’esperienza auricolare lucida e, se vuoi, antisociale». E questo fa Salvatici definendo un ambiente tragico e rassicurante come una sala d’attesa di un ospedale. Un campo sonoro, composto a partire da un canto congolese di guarigione e da una fisarmonica, risuona attraverso due colonne lignee mutuate da una macchina processionale di Santa Maria In Trastevere. «Le colonne per macchina processionale che ho ricalcato – continua Fonassi – servono a veicolare e mostrare, a trasportare qualcosa di sacro, nella misura in cui ci crediamo, o in cui ci sottoponiamo a un regime pseudo-mistico a cui credere. Sono dei giudici a modo loro. Perché un canto congolese di guarigione, o una fisarmonica? Mi viene da rispondere: perché respirano, ma non possono respirare da soli. Si formano allora dei gruppi di persone, di fiati, delle processioni appunto. Questo sempre prima e dopo il mio lavoro. Osservavo qualcuno durante l’apertura della mostra a Belluno toccare queste colonne come chi tocca un cane ferito per strada, appoggiando la mano sul torace. Tragico e rassicurante al contempo». Come la tragedia si consuma solo con un pubblico, Salvatici si completa solo attraverso un ascolto plurale: del resto molti tuoi lavori si riferiscono a, e nascono da una comunità. «Quasi due anni fa ho conosciuto Stefano Zaniboni, musicista e appassionato collezionista di dischi in gommalacca dai primi del ’900 agli anni ’50. Il suo progetto in trio, Ear Explorer, verte sulla riproduzione quasi ritualistica di alcuni di questi vinili, rallentati e manipolati. Quando sono stato a casa sua per prenderne in prestito alcuni da poter utilizzare per la lavorazione della traccia di Salvatici, siamo finiti ad ascoltare lave vulcaniche e venti sibilanti parlando a ruota libera: conoscendoci. Avevo una sensazione di calma incredibile. Suo il disco che contiene Demande de guèrison, il canto congolese: la composizione ne trasuda
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here are maybe two or three projects in the work of Francesco Fonassi, different from each other in their aims and chronology, but bound together in the same covers: Guarigione, Ultradiana and Salvatici, the latter being the winner of the 2020 Talent Prize. The works, although close to previous projects in their alteration of auditory material, stand out thematically in their proposal of a cure: prescriptions for sick hours. Infecting the sonorous timbres, infiltrating the rhythms of musical development, traces of ancient pharmacological practices can be perceived: medicaments. The absolute freedom of composition expressed through the severity and threat of its sudden, violent, necessary, original cut off evokes poetic discourse: when it expresses anarchy through the tables of the law, when a sonnet becomes venom in the poet Patrizia Valduga’s Medicaments and more Medicaments. So, there is a sickness; maybe there is a cure: «I think – says Fonassi – that these works, first and foremost, cure a psycho-physical state of unease and mistrust towards the present. There is nothing more violent than the way the audio material immediately embraces its end. These works prescribe and undergo conditions of epidermic and mental listening, which, based on the context of the place where they are produced or restored, incorporates an idea of recovery. An idea that is mine, certainly, but always referring to the need for cohesion and attraction offered by collective listening, at least as potential. In their own way, as previous projects with a different nature, they are prototypes. I like to imagine these flagless places where one can hypothesise otherworldly thoughts, where one can prescribe a auditory experience that is lucid, and, if you like, antisocial». And Salvatici does this by defining a tragic and reassuring atmosphere, like a waiting room in a hospital. An acoustic field, composed initially of a Congolese healing chant and an accordion, resonates through two wooden columns borrowed from a processional carriage for Santa Maria In Trastevere. «The columns for the processional carriage, which I faithfully reproduced – continues Fonassi – serve to transmit and display, to transport something sacred, to the extent that we believe in it, or to the extent that we submit ourselves to a pseudo-mystical regime to believe in. In their own way, they are judges. Why a Congolese chant or an accordion? My answer would be: because they breathe, but they cannot breathe on their own. They are formed, then, by groups of people, by breaths, by processions, in fact. This is always before and after my work. I saw someone, during the show in Belluno, touching these columns like someone who touches an injured dog on the street, resting their hand on its chest. Tragic and reassuring at the same time». Just as a tragedy is consumed only with an audience, Salvatici is complete only through collective listening: after all, many of your works refer to, and are created by a community. «Almost two years ago, I met Stefano Zaniboni, a musician and passionate collector of shellac discs from the beginning of the 20th century to the 1950s. His trio project, Ear Explorer, focuses on an almost ritualistic reproduction of some of these vinyls, slowed down and manipulated.When I went to his house to borrow some of them to use for the preparation of the track for Salvatici, we ended up listening to volcanic lava and whistling winds, running our mouths off: getting to know each other. I had an incredible sense of calm. The disc containing Demande de guèrison, the Congolese chant, is his: the composition oozes beats and
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Canto dello sciamano, Domanda di guarigione, 1931, installation view Salvatici, Museo Burel, 2019, photo Antonio De Svaldi
battiti e distorsioni, che riecheggiano su nastro magnetico da una delle due colonne che compongono l’installazione. Di nuovo: quando ci affidiamo a un racconto mediato non siamo più noi a parlare». Questa pluralità struttura anche altri tuoi lavori. «Ricordo le sessioni di respiro svolte in Sicilia con Saori D’Alessandro, sonorizzate insieme a Luca Garino; alla stazione Ospedale della metropolitana di Brescia con il progetto Guarigione dove oltre a un anno di continuum sonoro sono stati accolti musicisti, tra i quali Alvin Curran con il suo shofar, in dialogo con quella nuova condizione sonica semi permanente; a Ultradiana, dove le voci di Letizia Fiorenza e Carlotta Crapes si fanno architettura dinamica e insonne, perché si sa, i muri ci ascoltano sempre, in particolare quelli in cemento armato». La figura dell’artista come demiurgo ne esce acciaccata. «Ritengo che divinizzare la figura mistica o quantomeno magistrale dell’artista solitario sia un modo anacronistico e fuori luogo di guardare all’arte. Serve intessere network reali e localizzati, auto-organizzarsi e svincolarsi dalla dipendenza verso il proprio operato». Una coralità intrinseca anche nel discorso musicale e sottolineata dal tuo frequente utilizzo di più voci, fonti sonore e timbri. A volte nasce un dialogo a volte rimane solo silenzio. «Il silenzio è il terzo dialogante, ciò che resta del sacro. Cito spesso uno dei miei quadri preferiti di sempre, il Ritratto del doge Leonardo Loredan di Giovanni Bellini. Attraverso l’attenzione fisiognomica a un volto psicotico e distaccato, dubbioso, Bellini compie un gesto estremo di svelamento e rottura, lasciando permeare un tipo psicologico preciso e disumano, ma saturo di fede e incanto».
distorsions, which echo on the magnetic tape from one of the two columns that form the installation. Again: when we put our trust in a mediated account, we are no longer the ones that speak». This plurality structures some of your other works as well. «I remember the breathing sessions I did in Sicily with Saori D’Alessandro, voiced along with Luca Garino; the Ospedale station on the Brescia metro for my project Guarigione, where, as well as a year of continuous sound, we welcomed musicians, among whom was Alvin Curran, with his shofar, in dialogue with the new semi-permanent sonic conditions; Ultradiana, where the voices of Letizia Fiorenza and Carlotta Crapes made themselves into dynamic, insomniac architecture, because as we know, the walls have ears – particularly those made from reinforced concrete». This destroys the figure of the artist as a demiurge. «I maintain that deifying the mystical, or at least masterly figure of the solitary artist is an anacronistic, misplaced way to look at art. We need to weave real, localised networks, organise ourselves and free ourselves from our dependency on our own production». An intrinsic chorality, also in musical discourse, emphasised by your frequent use of many voices, sound sources and timbres. At times a dialogue is created, at times there is only silence. «Silence is the third speaker; what remains is sacred. I often reference one of my favourite ever paintings, the Ritratto del doge Leonardo Loredan by Giovanni Bellini. Through his physiognomic attention to a face that is psychotic, detached, doubtful, Bellini performs an extreme gesture of revelation and wreckage, leaving a precise, inhuman psychology to permeate, which is nevertheless overflowing with faith and charm».
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Of work (poema selvatico), 2020
Of work (poema selvatico), 2020
È una pluralità espansa anche nel tempo piegato al presente: dici Bellini, ma anche Ginzburg e anonimi scrittori francesi del Quattordicesimo secolo. «Lo scorso luglio, invitato a prendere parte con un intervento live nella collettiva a Centrale Fies Storia Notturna ispirata ai testi di Carlo Ginzburg sul Shabbat, ho lavorato sul testo di un anonimo francese del XIV secolo legato alla ricerca compiuta con Daniela Zangrando sulla figura folklorica dell’ Om Selvarech. Il testo mi ha ricordato molto gli scritti di Henry David Thoreau per la commistione di lotta eversiva e ambientalista: quasi una profezia. Per la prima volta ho utilizzato la mia voce, processata e irriconoscibile, grottesca. Registro il testo in inglese e lo riproduco in varie sessioni di ascolto in uno degli spazi della mostra, dove Giulia Galvan, un’interprete professionista, dislocata nello spazio e appena visibile, ricalca le mie parole dal vivo utilizzando la tecnica dello shadowing: un esercizio propedeutico alla traduzione simultanea. Interrotte da una serie di fischi/richiami all’attenzione, le sessioni di of Work (poema selvatico), questo il titolo del lavoro, parlano di come questa tecnica cognitiva e divulgativa possa mediare al presente una formula sconosciuta, come a presagirne gli effetti con una leggera latenza». Sembri scappare da qualcosa: guardando i tuoi lavori in quasi quindici anni di percorso sembrano tutti curvare all’improvviso, bruscamente, abbandonare il tracciato per definire un altro perimetro. «Riprenderei l’immagine con cui abbiamo aperto questo dialogo. Premesso che non sapevo cosa fosse questo atlante farmaceutico, né conoscevo il lavoro di Valduga, c’è qualcosa che mi ha sempre affascinato nell’idea di prescrizione, o di mancanza di prescrizione. Scappare, deviare, aderire a movimentazioni incontrollate: tutto vero».
There is also an expanded plurality in the time folded into the present: you mention Bellini, but also Ginzburg and anonymous French writers from the fourteenth century. «Last July, when I was invited to take part in a live intervention in the collective show Storia Notturna, at Centrale Fies, inspired by Carlo Ginzburg’s text on the Shabbat, I worked on a text by a 14th century anonymous French writer, connected to the research I did with Daniela Zangrando on the folk figure, Om Selvarech. The text reminded me a lot of Henry David Thoreau, for its mix of subversive and environmentalist conflict: almost a prophecy. For the first time, I used my own voice, processed and unrecognisable, grotesque. I record the text in English and reproduce it in various listening sessions in one of the exhibition spaces, where Giulia Galvan, a professional interpreter, positioned in the space and just visible, repeats my words, live, using the shadowing technique: a preparatory exercise for simultaneous translation. Interrupted by a series of whistles/calls for attention, the sessions of of Work (poema selvatico) – this is the title of the work – speak about how this cognitive and educational technique can relate an unknown formula to the present, as if it is predicting its effects with a slight latency». You seem to be running away from something: looking at your works over almost fifteen years, they all seem to turn suddenly, abruptly, to abandon the route in order to define a new perimeter. «I would like to return to the image with which we opened this conversation. Even considering that I didn’t know what this pharmaceutical atlas was, and nor did I know the work of Valduga, there is something that has always fascinated me in the idea of prescription, or the lack of prescription. Escaping, diverting, making uncontrolled movements: all true».
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FRANCESCO FONASSI SALVATICI
Ultradiana, 2016, photo Francesco Demichelis
Il lavoro vincitore del Talent Prize 2020 nasce da una riflessione sull’Om Selvarech (personaggio folklorico della cultura dolomitica) per la mostra Salvatici al museo Burel di Belluno curata da Daniela Zangrando. Il progetto si compone di due colonne che nella loro forma ricalcano una macchina processionale di Santa Maria In Trastevere. L’apparato architettonico risuona di una traccia sonora composta da un canto di guarigione congolese ibridato e celato dalle sonorità di una fisarmonica. Si inscena un dialogo sonico, l’ambiente muta: diventa sacro, gli spettatori sono fedeli e la mostra una processione immobile e sempre deviata, interrotta verso una meta di guarigione. The winner of the 2020 Talent Prize came out of a reflection on Om Selvarech (a folk character from the Dolomites) for the show, Salvatici, at the Burel Museum in Belluno, curated by Daniela Zangrando. The project is composed of two columns, which recreate the form of a processional carriage for Santa Maria In Trastevere. The architectural apparatus resonates with an audio track composed of a Congolese healing chant, combined and disguised by an accordion. A sonic dialogue is staged, and the atmosphere changes: it becomes sacred; the spectators are the faithful and the installation an immobile procession, permanently diverted, interrupted on its way to a destination of healing.
Ultradiana, 2016, photo Francesco Demichelis
1986 Nasce il 22 novembre a Brescia Born in Brescia on November 22st 2009 È nel Kent, sulla costa inglese, per osservare da vicino i sound mirrors e visitare il giardino di Derek Jarman Spends time in Kent, on the English coast, to observe the sound mirrors up close and visit the garden of Derek Jarman 2010 Spara un colpo di pistola a salve nel complesso di San Francesco della Vigna, a Venezia, davanti alla Sacra Conversazione di Giovanni Bellini Shoots a blank shot from a pistol in the San Francesco della Vigna, in Venice, in front of the Sacra Conversazione by Giovanni Bellini 2015 Diventa padre di Isabella Becomes father to Isabella 2018 È co-fondatore di Spettro, polo di cultura sperimentale a Brescia Co-founds Spettro, a centre for experimental culture in Brescia
francescofonassi.eu
Corinna Gosmaro
CHUTZPAH!
04.10.2020 04.12.2020 The Gallery Apart Roma
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FINALIST II PLACE
Pamela Breda
Oltre la superficie delle cose per scovare sostrati nascosti Going beyond the surface of things to unearth hidden foundations Gaia Badioni
FINALIST WORK - THE UNFORESEEN, 2019, multimedia installations
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rtista visiva e filmaker sperimentale, Pamela Breda, seconda classificata al Talent Prize 2020, attraverso le sue immagini indaga la memoria e il potere della narrazione. E riguardo al ruolo degli artisti afferma: «È quello di guardare al di là della superficie delle cose per scoprirne sostrati nascosti». Per sua stessa ammissione, Breda quando era piccola spendeva il suo tempo a sfogliare enciclopedie e a studiare le immagini dei romanzi illustrati. Per chi e per cosa erano state prodotte? Si domandava. Inizia così il percorso di questa giovane artista italiana con un curriculum internazionale e vario, costruito sullo studio accademico e sulla sperimentazione cinematografica. Per meglio comprendere le creazioni della filmaker bisogna capire il suo rapporto con l’immagine. «La fascinazione – dice – si è stratificata negli anni e mi ha portato a studiare storia dell’arte, mentre iniziavo a sperimentare una mia personale ricerca visiva attraverso serie fotografiche e libri d’artista autoprodotti. Con il tempo ho sentito la necessità di avvicinarmi al video e al cinema sperimentale come medium per affrontare storie e narrazioni in una modalità più completa e strutturata». Il termine fascinazione è ricorrente nelle parole dell’artista. Emerge anche in riferimento alla genesi dei suoi lavori, che il più delle volte nascono dalla «fascinazione – ripete non a caso – per
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visual artist and experimental filmmaker, Pamela Breda, a finalist in the 2020 Talent Prize, investigates memory and the power of narration through her images. And regarding the role of artists, she affirms: «It is to look beyond the surface of things in order to discover their hidden foundations». By her own admission, when she was little, Breda spent her time leafing through encyclopaedias and studying the pictures of illustrated novels. She asked herself, who had they been made for, and why? That is how the journey started for this young Italian artist with a varied, international CV, built on academic study and cinematic experimentation.To better understand the creations of the filmmaker, we need to understand her relationship with images. «My fascination – she says – became embedded over the years, and led me to study art history, while I started to experiment with my own personal visual research through series of photographs and self-published artist’s books. Over time, I started to feel the need to move closer to video and experimental cinema as a medium, in order to deal with stories and narratives in a more complete, structured way». The term fascination is a recurring one in the artist’s vocabulary. It also comes out in reference to the genesis of her work, which most of the time comes out of «fascination – she repeats, not for
le storie che incontro, viaggiando, leggendo, parlando con le persone. Storie che conosco per caso, eventi o personaggi la cui storia mi affascina, e che spesso è sconosciuta al grande pubblico». The Wonder Doctor, il suo primo mediometraggio, per esempio, è nato da una passeggiata per le strade di Berna il giorno della sua partenza per l’Italia al termine di un periodo di residenza. «Sotto i portici della città – spiega – ho notato per caso un negozio di noleggio dvd la cui vetrina sembrava un’installazione site-specific. Sono entrata e ho iniziato a parlare con Stefan, il gestore dello spazio. La sua storia mi ha così colpito che ho deciso di tornare in Svizzera l’anno successivo per realizzare un film su di lui». Studiando il suo portfolio, però, si scoprono anche riferimenti a figure simboliche del Novecento, come Virginia Woolf, e all’intelligenza artificiale. Quale legame scorre tra questi due mondi? Vien da chiedersi. La realtà è che non esiste alcuna relazione diretta, se non quella di essere storie che l’artista ha incontrato sul suo cammino ed esplorato di volta in volta. «La figura di Woolf è emersa nel corso di un progetto su alcuni intellettuali e scrittori che hanno fortemente influenzato la cultura occidentale nel ventesimo secolo, un work in progress realizzato a partire da filmati d’archivio (super 8,16mm e super 16mm) ritrovati e ricontestualizzati al fine di sviluppare una serie di
nothing – with the stories I encounter, travelling, reading, speaking with people. Stories I come across by chance, events or characters whose stories fascinate me, and which are often unknown by the general public». The Wonder Doctor, her first medium-length film, for example, came out of a walk through the streets of Bern on the day of her departure for Italy at the end of a residency. «Under the arcades of the city – she explains – I noticed, by chance, a DVD rental shop whose window display seemed like a site-specific installation. I went in and started to talk to Stefan, the manager of the space. His story had such an effect on me that I decided to return to Switzerland the year after to make a film about him». Studying her portfolio, however, you can also find references to iconic figures of the 20th century, such as Virginia Woolf, and to artificial intelligence. You wonder, what is the connection between these two worlds? The fact is that there is no direct relationship, only the fact that they are stories the artist has encountered on her journey and explored from time to time. «The figure of Woolf came out of a project on a few intellectuals and writers that strongly influenced western culture in the twentieth century, a work in progress created from archival footage (super 8, 16mm and super 16mm), rediscovered and re-contextualised with the aim
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The Music Room, 2015
narrazioni interconnesse. L’intelligenza artificiale è legata a una serie di storie del mondo contemporaneo, storie di immagini digitali e realtà virtuali che portano lentamente a una riconfigurazione di identità individuali e collettive. Attualmente sto lavorando a un progetto di ricerca multimediale volto all’analisi delle implicazioni etiche, sociali e culturali legate all’interazione con assistenti virtuali e deepfake video». Analisi della contemporaneità, dei suoi abitanti, delle sue storie e anche della sua memoria, che gioca un ruolo fondamentale per l’artista. «Colleziono – ammette – immagini del passato perché le trovo tracce uniche che ci uniscono a quello che non esiste più. Credo che l’aura perduta di cui Walter Benjamin parla in realtà sia fortemente presente nelle foto e nei filmati analogici che sono spesso di fatto copie uniche, nascoste fra le bancarelle dei mercatini delle pulci o negli archivi audiovisivi di musei e istituzioni». Con rispetto l’artista cerca di «scovare al loro interno cose che non sono ancora state scoperte. Penso che le immagini del passato siano la chiave per approcciarsi al presente e al futuro in maniera consapevole, perché non possiamo capire dove stiamo andando se non sappiamo da dove veniamo, e queste immagini ce lo ricordano continuamente». Anche il suono, o meglio
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Beneath The Sea, 2018
of developing a series of interconnected narratives. The artificial intelligence is related to a series of stories about the contemporary world, stories of digital images and virtual realities that slowly lead towards a reconfiguration of individual and collective identities. At the moment, I am working on a multimedia research project analysing the ethical, social and cultural implications of our interaction with virtual assistants and deepfake videos». An analysis of the contemporary world, its inhabitants, its stories, and also its memory, which plays a fundamental role for the artist. «I collect – she admits – images of the past, because I consider them to be unique traces connecting us to that which no longer exists. I believe that the lost aura Walter Benjamin speaks of is very much present in analogue photos and film footage, which are often effectively unique copies, hidden among the stalls at flea markets or in the audiovisual archives of museums and institutions». The artist tries to respectfully «unearth within them things that often haven’t yet been discovered. I think that images of the past are the key to approaching the present and the future with awareness, because we cannot understand where we are going if we don’t know where we come from, and these images continually remind us of that». Sound, too, or rather
No Recollection is Without Consequence, 2019
Landscape Becoming Landscape, 2019
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PAMELA BREDA THE UNFORESEEN (L’INASPETTATO) The Unforeseen (L’inaspettato) è un film sperimentale sviluppato a New York nel corso di una residenza al Pratt Institute. Si tratta di un capitolo, parte di un progetto più ampio, sulla realtà virtuale e su come sempre più spesso il confine fra le nostre esperienze reali e quelle simulate venga a mancare. In particolare il film esplora la cosiddetta Simulation Hypothesis, teoria che propone come tutta la realtà, compresa la Terra e l’universo, siano in realtà una simulazione artificiale, molto probabilmente creata da un potente computer, una simulazione talmente realistica da convincere i suoi abitanti di come il mondo sia reale.
The Past, 2016
«il potere affabulatorio della parola», attiva ricordi e sta diventando una componente sempre più importante nei suoi lavori: «L’utilizzo – spiega – di commentari audio e tracce acusmatiche genera narrazioni sonore che completano la documentazione visiva». Un altro aspetto cruciale del suo linguaggio è la presentazione dei suoi lavori, spesso frammentati o suddivisi in trilogie. Una scelta che ha a che fare con i soggetti scelti, il più delle volte complessi, che necessitano di anni per svilupparsi. «Le opere strutturate in vari capitoli – ammette – funzionano come unità singole ma anche nel loro insieme. Cosa che peraltro rispecchia il funzionamento dell’immagine: ogni immagine ne genera un’altra, in una catena infinita e rizomatica». E alla domanda cosa è il mito per te?, Breda risponde: «Piuttosto che a miti religiosi e storie collettive, sono interessata a storie perdute o sconosciute, cariche di significati e livelli di lettura. Maya Deren paragonava la figura del regista a quella dello sciamano, in grado di rivelare delle realtà nascoste attraverso la camera. Penso che sia questo il ruolo degli artisti, guardare al di là della superficie delle cose per scoprirne sostrati nascosti».
the spell-binding power of words, activates memories, and is becoming an ever more important element of her work: «The use – she explains – of audio commentaries and acousmatic tracks creates auditory narratives that complete the visual documentation». Another crucial element of her language is the presentation of her works, often fragmented or divided into trilogies.This is a choice that has to do with the subjects she chooses – in most cases complex – which take years to develop. «The works structured into various chapters – she admits – function as individual units, but also as a group. This is something, however, that reflects the functioning of the image: each image generates another, in an infinite, rhizomatic chain». And to the question what does myth mean to you? Breda responds: «Rather than religious myths and collective stories, I am interested in lost or unknown stories, full of meanings and levels of understanding. Maya Deren compared the figure of the director to that of the shaman: able to reveal hidden realities through the camera. I think that this is the role of artists, looking beyond the surface of things in order to discover their hidden foundations».
The Unforeseen (L’inaspettato) is an experimental film, developed in New York during a residency at the Pratt Institute. This is one chapter, part of a larger project on virtual reality and how more and more often there is a lack of boundary between our real experiences and simulated ones. In particular, the film explores the socalled Simulation Hypothesis, a theory that proposes that all of reality, including the Earth and the universe, is really an artificial simulation, probably created by a computer; a simulation so realistic that it convinces its inhabitants the world is real.
1982 Nasce il 26 maggio a Vittorio Veneto Born on the 26th May in Vittorio Veneto (TV) 2012 Si laurea in Arti visive all’università IUAV di Venezia Graduates in Visual Arts from IUAV University of Venice 2016 Partecipa a una residenza alla Fondazione Bevillacqua La Masa di Venezia ed è tra gli artisti in mostra alla Moscow Biennale for Young Art Participates in a Residency at the Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, and is among the artists exhibited at the Moscow Biennale for Young Art 2017 Frequenta la Kingston University Scholarship for Artistic Research Attends the Kingston University Scholarship for Artistic Research 2019 È Fellow Artist al Pratt Institute negli Stati Uniti Becomes a Fellow Artist at the Pratt Institute, in the United States
cargocollective.com/pamela-breda
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Curatrice: Noëlle Tissier
Académie de France à Rome – Villa Médicis Viale Trinità dei Monti 1, Roma Metro A: Spagna villamedici.it
@villa_medici #ipeccati #johancreten
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FINALIST III PLACE
Giulio Bensasson
Una ricerca sulla caducità della vita: quello che resta quando non resta più il tempo A study of the transience of life: what stays when time won’t stay still Adriana Talia
FINALIST WORK - THE FUTURE IS BRIGHT, 2020
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GIULIO BENSASSON
Tracce, 2014-2015
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iulio Bensasson, artista romano, terzo classificato alla tredicesima edizione del Talent Prize con l’installazione The Future is Bright, colloca al centro del suo discorso artistico il tempo e il disfacimento che il suo naturale decorrere provoca. «Trovo affascinante – dice l’artista – creare opere che abbiano una scadenza, che non dureranno per sempre. I miei lavori sono incentrati sull’idea che niente dura in eterno e non tutto può essere posseduto per sempre.Vanno – continua – in contrasto con il pensiero che regola la società odierna e in particolare l’arte, in cui vige il culto del possesso. Bisogna lasciare andare l’oggetto, cosi come le persone e la vita in generale, mantenendo solo la memoria e le sensazioni che questi ci lasciano». Le opere di Bensasson sono effimere, destinate a decomporsi, ma di alcune di loro resta una traccia, come nel lavoro Temo che mi sfugga qualcosa, in cui dei fiori vengono messi su una carta-cotone, in una busta sottovuoto. Quando l’artista decide che il processo di decomposizione è arrivato a compimento, apre la busta e resta del fiore, sulla carta-cotone, solo il sudario. In questo caso non c’è stato alcun tipo di intervento da parte dell’artista, se non l’attesa e il porre l’oggetto nelle condizioni di decomporsi, quindi crearsi e autorigenerarsi. La decomposizione è per Bensasson come una forma di astrazione, la più pura: al centro del processo non c’è un gesto o un corpo, ma il tempo. L’elemento naturale, fiori o frutta, esplicita la decomposizione: in quanto oggetto passivo dell’azione del tempo, crea immagini caotiche e imprevedibili. L’ispirazione per le sue opere proviene da varie circostanze: da una canzone, un libro, una chiacchierata, da una sensazione. L’idea viene poi veicolata dalla tecnica e dal materiale che decide di
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Temo che mi sfugga qualcosa, 2017
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iulio Bensasson, a Roman artist, who received third prize at the thirteenth edition of the Talent Prize with his installation The Future is Bright, positions the concept of time, and the decay caused by its natural passage, at the centre of his artistic discourse. «I find it fascinating – says the artist – to create works with an expiry date, that won’t last forever. My works are centred on the idea that nothing lasts for eternity, and not everything can be possessed forever. They go against – he continues – the idea that regulates today’s society, and in particular the art world, where the cult of possession rules. We need to let objects go, like people and life in general, keeping only the memory and the sensations they leave us with». Bensasson’s works are ephemeral, destined to decompose, but a trace does remain of some of them, such as the piece Temo che mi sfugga qualcosa, in which flowers are placed on cotton-paper, in a vacuum bag. When the artist decides that the process of decomposition has arrived at completion, he opens the bag, and only the shroud of the flower remains on the cotton-paper. In this case there was no intervention on the part of the artist, apart from the wait, and putting the object in the conditions to decompose, to create itself and renew itself. For Bensasson, decomposition is like a form of abstraction, the purest form: there is no gesture, no body at the centre of the process, only time.The natural element, flowers or fruit, makes the decomposition explicit: as a passive object of the actions of time, it creates chaotic, unpredictable images. The inspiration for his work comes from various situations: from a song, a book, a chat, a feeling. Then the idea is transmitted through the technique and the material he decides to use. «All the
usare. «Tutte le lotte che stiamo portando avanti – racconta Bensasson – in questo periodo, Metoo, Blacklivesmatter, sono accompagnate da uno slogan, e la sensazione che ho provato è stata che questi claim a un certo punto si auto digeriscono: il movimento si spegne nello stesso momento in cui si crea lo slogan, viene meno l’ideale da perseguire e il movimento di lotta; rimane solo una frase da postare sui social per mostrarsi partecipi a un evento di cui non si ha però cognizione». Oltre a questo, l’immagine più semplice a cui si è ispirato è la scritta “andrà tutto bene’’ fuori ai balconi durante il lockdown, cartelloni pieni di speranza e positività, che oggi scolorano e appassiscono, portando via con loro la fiducia per il futuro. Sceglie il rosa shocking per essere pop, per far risaltare la violenza sul candido bianco dei fiori, utilizza l’inglese perché oggi viene usato a sproposito, solo per globalizzare i movimenti. «Il rosa – dice infatti – e l’inglese mi sono sembrati i perfetti marchi del capitalismo». La scelta dei materiali e dei supporti non è lasciata al caso: è funzionale all’estetica dell’opera. Spesso viene ricercato un compromesso tra il problema tecnico, il materiale e il problema poetico, essi devono risolversi l’uno nell’altro per riuscire a veicolare quello che l’artista vuole esprimere: la scelta pratica e quella poetica vanno di pari passo. Usare una rete metallica invece che una lamiera traforata in The Future is Bright avrebbe creato un contrasto più debole con i fiori, cambiando il senso dell’opera. L’allestimento di questo lavoro diviene esso stesso opera, Bensasson lo definisce «apparato cerimoniale», come fosse la creazione di un bouquet per un matrimonio o per una funzione funebre.Vorrebbe che i visitatori, dopo aver visto la sua mostra, dicessero: «Che bella cerimonia», come si è
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Non so dove, non so quando, 2016
struggles we are carrying out – says Bensasson – in this period: Metoo, Blacklivesmatter, they are all accompanied by a slogan, and the sensation I had was that these claims digest themselves at a certain point. The movement dies the moment a slogan is created: it becomes less of an ideal to pursue and a movement of struggle, and remains only a phrase to post on social media to show you are part of an event that you are not really aware of». Beyond this, the most simple image he was inspired by was the phrase “andrà tutto bene’’ (everything’s going to be ok) hanging from balconies during the lockdown; posters full of hope and positivity, that today are fading and wilting, taking our trust in the future away with them. He chooses shocking pink in order to pop, to make the violence stand out on the pure white of the flowers. He uses English, because today it is overused, only to globalise movements. «The pink – he says, in fact – and the English seemed to me the perfect symbols of capitalism». His choice of materials and media is not left to chance: it is functional to the aesthetics of the work. A compromise is often sought between the issue of technique, the material, and the issue of poetry; these must all be resolved to succeed in conveying what the artist wants to express: the practical choice and the poetic choice go hand in hand. By using a wire mesh instead of a perforated metal sheet in The Future is Bright, he would have created a weaker contrast with the flowers, changing the sense of the piece. The way this work is displayed also becomes part of the work itself: Bensasson defined it as a «ceremonial device», as if it were the creation of a bouquet for a wedding or a funeral. He would like visitors, after seeing his exhibition, to say: «what a beautiful ceremo-
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soliti dire dopo un funerale; vorrebbe che si trovasse il bello e il positivo anche in un evento estremamente negativo e violento, godere del fattore estetico anche in qualcosa di disgustoso. Lavorare con questi materiali non è semplice, una delle opere più complesse da realizzare è stata Slow motion, in cui ha posto nove pere in altrettanti blocchi di resina epossidica, prodotto chimico che ne rallenta il normale disfacimento: da qui il titolo dell’opera. Il lavoro nasce durante una ricerca sui materiali e sulle nature morte, quelle studiate mancavano di tridimensionalità e di stabilità. Ci ha impiegato tre anni per realizzarlo e ha creato un macchinario apposito per colare la resina mentre la pera era in sospensione. «Tutte queste difficoltà – ricorda – come il venire a galla della pera o l’esplosione dei suoi frutti mi irritavano, ma al tempo stesso mi divertivano. C’è una grande ironia: era come se la pera si opponesse a questo processo, non voleva essere eterna. Il tempo non si voleva arrestare». La resina, e quindi la pera, non è eterna, motivo per cui l’opera comunque è destinata a deperire, come la vita stessa. Bensasson sta preparando, con la curatrice Francesca Ceccherini, un’esposizione al Pastifico Cerere; è un progetto che coinvolge varie e giovani realtà territoriali, in cui, proseguendo la sua ricerca artistica, presenterà dei lavori inediti e un’opera site-specific.
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ny», as is usually said after a funeral; he would like us to find the beauty and the positivity even in an extremely negative, violent event, to enjoy the aesthetic aspect even in something disgusting. Working with these materials is not simple – one of the most complex pieces to create was Slow motion, in which he placed nine pears in the same number of blocks of epoxy resin, a chemical product that slows down normal decay, hence the title of the work. The work was created during a study of materials and still lifes – those he studied lacked three-dimensionality and stability. It took three years to make it, and he had to build equipment specially to pour in the resin while the pear was suspended. «All these difficulties – he remembers – like the pear floating to the surface or the fruit exploding annoyed me, but at the same time it was entertaining. There was a great irony: it was as if the pear was fighting against this process; it didn’t want to be eternal. Time didn’t want to stop». The resin, and therefore the pear, is not eternal, so the work is destined to perish anyway, like life itself. Bensasson is preparing, with curator Francesca Ceccherini, an exhibition at the Pastificio Cerere. It is a project that involves various lively local areas, where, following his artistic research, he will present new, unreleased works and a site-specific piece.
e della scritta resta solo una traccia sbiadita. Ispirato dagli slogan dei movimenti sociali degli ultimi anni e alla scritta “andrà tutto bene”, nata come segno di speranza durante il lockdown dei mesi passati,INSIDEART e da come questi claim divengono ben presto solo un Creditsl’opera, Carlo Romano ricordo, da promessa di un futuro migliore, diviene simbolo di un’illusione che crolla, e dello scorrere inesorabile del tempo, i cui effetti non possono essere arrestati. For the 2020 Talent Prize, Bensasson presents a perforated iron sheet in which he inserts around six hundred cut white gerbera flowers, creating a solid surface that hides the base. On this mosaic of flowers, he prints the phrase “The future is bright” with shocking pink spray paint. As they wither, the flowers reveal the cold iron sheet, and only a faded trace remains of the writing. Inspired by the slogans of social movements in recent years, and the phrase “andrà tutto bene” (everything’s going to be ok), created as a symbol of hope during the lockdown of the past months, and by how these claims soon become only a memory, the piece, from the promise of a better future, becomes a symbol of an illusion that crumbles, and of the inexorable passage of time, whose effects cannot be stopped.
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Slow motion, 2017, photo Carlo Romano
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Editor in chief and Publisher Guido Talarico (g.talarico@insideart.eu)
(intornodesign.it) Contacts Redazione Via Flaminia, 441 00196 Roma Associate editor Tel. +39.06.8080099 Alessandro Caruso www.insideart.eu (a.caruso@insideart.eu) (segreteria@insideart.eu) soliti dire vorrebbe legale: che si trovasse il bello Editorial staffdopo un funerale;Sede Via Flaminia, 441 Francesco Angeluccianche in un evento e il positivo estremamente negativo e 00196 Roma anche in qualcosa di Fabrizia Carabelli violento, godere del fattore estetico Sophie Cnapelynck disgustoso. Lavorare con questi materiali non è semplice, Subscriptions Adriana Talia una Talarico delle opere più complesse da realizzare è stata Slow Info: abbonamenti@insideart.eu Giulio (redazione@insideart.eu) motion, in cui ha posto nove pere in altrettanti blocchi Contributors di resina epossidica, prodotto chimico che ne rallenta il Gaia Badioni, Giorgia Basili, Product Manager normale disfacimento: da qui il dell’opera. Il lavoro Eleonora titolo Bruni Gianpaolo Elena Pagnotta Cacciottolo, Giordana Caponenature morte, (e.pagnotta@insideart.eu) nasce durante una ricerca sui materiali e sulle D’Ippolito, Giuditta Elettra e di stabiliquelle studiate mancavano Silvia di tridimensionalità Lavinia Nidiaci Silvia Ferrari Advertising tà. CiAlessandrini ha impiegato tre anni per Giulia realizzarlo ha creato un Lilienau, Giambrone,eCesare Filippo macchinario apposito per colare la resina mentre Giraldi, Enrico Migliaccio, Claudia la pera era Worldwideexcellence Quintieri, Caterina Taurelli of Place Srl inMedia sospensione. «Tutte queste difficoltà – ricorda – come Francesca Torredei suoi frutti Head Office ViaaDella Moscova, 6/8peraSalimbeni, il venire galla della o l’esplosione 20121 Milano mi irritavano, ma al tempoInside stesso Art, mi divertivano. C’è una filippo@worldwideexcellence.com grande ironia: era come seIscrizione la pera sin.opponesse a questo al Roc 34985 www.worldwideexcellence.com Stampa Trib. Cz n. 152 non si voleva processo, non voleva essereReg. eterna. Il tempo del 23/03/04, Advertising & Content Marketing arrestare». La resina, e quindi la pera, non è eterna, motivo è una testata edita Alessandro Romanelli per cui l’opera comunque destinata come la daèEditoriale InsideaArtdeperire, Scarl IQDMedias by FAD srl Direttore responsabile Via Flaminia . 441 – 00196 Roma vita stessa. Bensasson sta preparando, con la curatrice Frane trattamento Tel. 06 8080099 cesca Ceccherini, un’esposizione aldati Pastifico Cerere; è un Guido Talarico www.iqdmedias.com
progetto che coinvolge varie e giovani realtà territoriali, in cui, proseguendo la suaAllricerca artistica, presenterà dei right reserved Design Slow motion, 2017, Carlo Romano Intorno Design lavori inediti e photo un’opera site-specific.
ny», as is usually said after a funeral; he would like us to find the beauty and the positivity even in an extremely negative, violent event, to enjoy the aesthetic aspect even in something disgusting. Working with these materials is not simple – one of the most complex pieces to create was Slow motion, in which he placed nine pears in the same number of blocks of epoxy resin, a chemical product that slows down normal decay, hence the title of the work. The work was created during a study of materials and still lifes – those he studied lacked three-dimensionality and stability. It took three years to make it, and he had to build equipment specially to pour in the resin while the pear was suspended. «All these difficulties – he remembers – like the pear floating to the surface or the fruit exploding annoyed me, but at the same time it was entertaining. There was a great irony: it was as if the pear was fighting against this process; it didn’t want to be eternal. Time didn’t want to stop». The resin, and therefore the pear, is not eternal, so the work is destined to perish anyway, like life itself. Bensasson is preparing, with curator Francesca Ceccherini, an exhibition at the Pastificio Cerere. It is a project that involves various lively local areas, where, following his artistic research, he will present new, unreleased works and motion, 2017,piece. photo Carlo Romano aSlow site-specific
2017 Prende parte alla mostra Mirabilium Archiva, a cura di Giorgia Gastaldon, allestita al Castello di San Vito al Tagliamento (PN), nell’ambito della rassegna Palinsesti 2017-18 Takes part in the exhibition Mirabilium Archiva, curated by Giorgia Gastaldon, held at the Castello di San Vito al Tagliamento (PN), during the 2017-18 Palimpsest Show 2020 Partecipa alla collettiva Don’t try this at home, organizzata da Antilia, una galleria itinerante. La mostra si è svolta sul sito web e sui canali social della galleria Participates in the collective show Don’t try this at home, organised by Antilia, a touring gallery. The exhibition was shown on the gallery’s website and social media channels
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giuliobensasson.com THE FUTURE IS BRIGHT
Slow motion, 2017, photo Carlo Romano
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2016 Dopo aver conseguito il diploma di primo livello in pittura, conclude il suo percorso di studi con il diploma di secondo 25 GIULIO BENSASSON GIULIO BENSASSON livello in scultura e nuove tecnologie applicate allo spazio, entrambi all’Accademia di Belle Arti di Roma After receiving his first-level diploma in fine art, he concludes his studies with a second-level diploma in sculpture and new technologies applied to space, both at the Accademia di Belle Arti in Rome
Per il Talent Prize 2020 Bensasson presenta una lastra in ferro forata in cui inserisce circa seicento gerbere bianche recise, creando una superficie compatta, che nasconde il supporto. Su questo mosaico di fiori imprime, con una vernice spray rosa shocking, la frase “The future is bright”. I fiori Credits Carlo Romano appassendo fanno emergere la fredda lamina in ferro, e della scritta resta solo una traccia sbiadita. Ispirato dagli slogan dei movimenti sociali degli ultimi anni e alla scritta “andrà tutto bene”, nata come segno di speranza durante il lockdown dei mesi passati, e da come questi claim divengono ben presto solo un ricordo, l’opera, da promessa di un futuro migliore, diviene simbolo di un’illusione che crolla, e dello scorrere inesorabile del tempo, i cui effetti non possono essere arrestati. For the 2020 Talent Prize, Bensasson presents a perforated iron sheet in which he inserts around six hundred cut white gerbera flowers, creating a solid surface that hides the base. On this mosaic of flowers, he prints the phrase “The future is bright” with shocking pink spray paint. As they wither, the flowers reveal the cold iron sheet, and only a faded trace remains of the writing. Inspired by the slogans of social movements in recent years, and the phrase “andrà tutto bene” (everything’s going to be ok), created as a symbol of hope during the lockdown of the past months, and by how these claims soon become only a memory, the piece, from the promise of a better future, becomes a symbol of an illusion that crumbles, and of the inexorable passage of time, THE FUTURE IS BRIGHT whose effects cannot be stopped. Per il Talent Prize 2020 Bensasson presenta una lastra in ferro forata in cui inserisce circa seicento gerbere bianche recise, creando una superficie compatta, che nasconde il supporto. Su questo mosaico di fiori imprime, con una vernice spray rosa shocking, la frase “The future is bright”. I fiori
1990 Nasce il 20 ottobre a Roma Giulio Bensasson is born on the 20th October in Rome
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2012 Inizia a lavorare come assistente nello studio romano di 25 Baldo Diodato. Terminerà questa esperienza nelBENSASSON 2015 GIULIO Starts to work as an assistant in the Rome studio of Baldo Diodato. He finishes this experience in 2015
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2016 Dopo aver conseguito il diploma di primo livello in pittura, conclude il suo percorso di studi con il diploma di secondo livello in scultura e nuove tecnologie applicate allo spazio, entrambi all’Accademia di Belle Arti di Roma After receiving his first-level diploma in fine art, he concludes his studies with a second-level diploma in sculpture and new technologies applied to space, both at the Accademia di Belle Arti in Rome 2017 Prende parte alla mostra Mirabilium Archiva, a cura di Giorgia Gastaldon, allestita al Castello di San Vito al Tagliamento (PN), nell’ambito della rassegna Palinsesti 2017-18 Takes part in the exhibition Mirabilium Archiva, curated by Giorgia Gastaldon, held at the Castello di San Vito al Tagliamento (PN), during the 2017-18 Palimpsest Show
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2020 Partecipa alla collettiva Don’t try this at home, organizzata da Antilia, una galleria itinerante. La mostra si è svolta sul sito web e sui canali social della galleria Participates in the collective show Don’t try this at home, organised by Antilia, a touring gallery. The exhibition was 1990 on the gallery’s website and social media channels shown Nasce il 20 ottobre a Roma Giulio Bensasson is born on the 20th October in Rome 2012 giuliobensasson.com Inizia a lavorare come assistente nello studio romano di Baldo Diodato. Terminerà questa esperienza nel 2015 Starts to work as an assistant in the Rome studio of Baldo
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