InsideArt Giugno 2013

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INSIDEART ALEX AND FELIX ROSA BARBA C215 SASHA FROLOVA FRANCESCO DI LUCA RIIKKA KOUPPALA DAVIDE IODICE MATHILDE LAVENNE E LÉONIE YOUNG VALERIO ROCCO ORLANDO SUMAKSHI SINGH SEBAASTIAN VAN DONINCK

TRIMESTRALE/ANNO 10 / # 94 EURO 8

Poste italiane spa spedizione in a.p. 70% Roma

GUIDO TALARICO EDITORE

LORENZO BALBI ANDREA DALL’ASTA MASSIMILIANO GIONI ANNA MATTIROLO ANTONIO PAOLUCCI BARTOLOMEO PIETROMARCHI LUDOVICO PRATESI MONIQUE VEAUTE IGOR ZANTI

GUIDO TALARICO EDITORE


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BIENNALE UN SEGNALE PER IL PAESE di GUIDO TALARICO

Se i segnali hanno ancora un valore, da Venezia ne arriva uno importante: la 55esima edizione della Biennale d’arte racchiude in sé tutti i presupposti per essere un successo e diventare un paradigma per l’auspicata e tanto attesa palingenesi culturale di questo Paese. L’input derivante dai due direttori, Massimiliano Gioni per la Biennale e Bartolomeo Pietromarchi per il padiglione Italia, giovani, qualificati, cosmopoliti, ha prodotto un output superiore alle aspettative e sintetizzabile in tre aggettivi: varietà, innovazione, qualità. Come sempre si potrà discettare su quell’esclusione e quella inclusione semplicemente perché tutto ciò è nell’ordine delle cose. Ma alcuno può negare che l’edizione odierna della Biennale può essere iscritta tra quelle di pregio nella centenaria storia della manifestazione. E una fetta cospicua di questo merito va certamente ascritta alla presenza del padiglione del Vaticano, un’evenienza straordinaria certo per qualità dei contenuti ma soprattutto per il suo alto valore simbolico. L’arrivo della Santa sede a Venezia ricuce infatti una ferita tra arte e fede rimasta troppo a lungo senza cura. Il merito è certamente del cardinale Gianfranco Ravasi, un intellettuale di rara raffinatezza, che ha finalmente riportato la cultura al centro delle attività vaticane e che per questa sua dichiarata missione ha potuto contare sul sostegno degli ultimi tre papi. Questa è l’Italia che vogliamo. I giovani di talento, con uno sguardo intelligente, libero, proiettato al futuro ma non dimentico della tradizione e del passato, affiancati dal pensiero profondo e trascendente della chiesa. Ripartiamo da qui: che Venezia 2013 sappia ispirare altre piazze e altre menti verso quel risorgimento culturale che è l’unica prospettiva seria rimasta all’Italia. Il nuovo ministro della Cultura Massimo Bray e le sue due sottosegretarie, Ilaria Borletti Buitoni e Simonetta Giordano, hanno le competenze per far bene. Abbiano il coraggio di osare, di rompere muri e tabù. Trasformino la precarietà della politica in una occasione per fare quello che non è stato fatto fino ad oggi.

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Editore e direttore Guido Talarico (direttore@guidotalaricoeditore.it) Caporedattore Maurizio Zuccari (m.zuccari@insideitalia.it) Redazione Francesco Angelucci, Giorgia Bernoni Alessandro Caruso, Sophie Cnapelynck, Maria Luisa Prete (redazione@insideitalia.it) Progetto grafico Gaia Toscano (grafica@insideitalia.it)

INSIDEART

ANNO 10 # 94 TRIMESTRALE GIUGNO 2013

IMAGO ORBIS 10

SENZA SENSO di Francesco Angelucci

INSIDER 12

ROSA BARBA: CIAK, SI GIRANO SCULTURE

Grafica Francesco Callegher, Giuseppe Marino (grafica2@insideitalia.it)

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SASHA FROLOVA, CYBERPUNK IN LATEX

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RIIKKA KOUPPALA, IL TRAUMA RIVELATORE

Foto & service La presse/Ap, Manuela Giusto, T & P Editori, Millenaria

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VALERIO ROCCO ORLANDO, RITRATTI D’AUTORE di Ludovico Pratesi

Product Manager Carlo Taurelli Salimbeni (c.t.salimbeni@guidotalaricoeditore.it)

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SUMAKSHI SINGH, TRA REALTÀ E ILLUSIONE

Marketing & pubblicità Raffaella Stracqualursi (marketing@guidotalaricoeditore.it) Elena Pagnotta (partner@guidotalaricoeditore.it)

di Claudia Quintieri di Igor Zanti di Lorenzo Balbi

di Sara Rella

OUTSIDER 62

ALEX AND FELIX, SURREALI IMMAGINI ONIRICHE

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C215, CON LA PUZZA DI STRADA ADDOSSO

Amministrazione Alessandro Romanelli (amministrazione@guidotalaricoeditore.it)

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FRANCESCO DI LUCA, POLVERE DI FERRO di Paola Buzzini

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MATHILDE LAVENNE E LÉONIE YOUNG, DA LILLE A ROMA

I nostri recapiti via Antonio Vivaldi 9, 00199 Roma Tel. 0039 06 8080099, 06 99700377 Fax 0039 06 99700312 www.insideart.eu (segreteria@guidotalaricoeditore.it)

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IL LUOGO DEI PAESAGGI DI PIETRA

Stampa Gescom spa, Viterbo Distribuzione edicola Reds scarl, Via Bastioni Michelangelo, 5A 00192 Roma - Tel. 06-39745482 Distribuzione libreria Joo Distrubuzione, Via F. Argelati, 35 - 20143 Milano Abbonamenti Il costo per 4 numeri è di 32 euro mentre per l’edizione online è di 11 euro e può essere sottoscritto in qualsiasi momento dell’anno. Il costo dei numeri arretrati è di 18 euro. Per informazioni: abbonamenti@guidotalaricoeditore.it Inside Art, Reg. Stampa Trib. Cz n. 152 del 23/03/04, è una testata edita da Editoriale Dets srl (amministratore unico Guido Talarico). Direttore responsabile e trattamento dati Guido Talarico. Le notizie pubblicate impegnano esclusivamente i rispettivi autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Tutti i diritti sono riservati. Hanno collaborato Lorenzo Balbi, Paola Buzzini, Alessia Carlino, Valentina Cavera, Simone Cosimi, Andrea Dall’Asta, Marie Fernandez, Nathalie Grenon Sartogo, Davide Iodice, Monia Marchionni, Enrico Migliaccio, Ludovico Pratesi, Claudia Quintieri, Sara Rella, Sebastiaan van Doninck, Igor Zanti Numero chiuso in redazione il 6.5.2013

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A destra:

di Marie Fernandez

di Davide Sollaschi

NOTE FACCE DA DENUNCIA di Davide Iodice

ARGOMENTI 82 84 86 88 90 92 94 102 104

UNA BIENNALE ENCICLOPEDICA di Massimiliano Gioni PARTECIPAZIONI NAZIONALI di Maria Luisa Prete NUOVI PADIGLIONI di Silvia Novelli EVENTI COLLATERALI di Silvia Novelli COSA C’È DA VEDERE IN LAGUNA di Enrico Migliaccio DIALOGHI VENEZIANI intervista con Bartolomeo Pietromarchi di Maria Luisa Prete SETTE STANZE PER L’ITALIA a cura di Maria Luisa Prete IL TRIS DEL PAPA di Antonio Paolucci VENEZIA, DIO DOV’È di Andrea Dall’Asta

PERSONAGGI 120

MONIQUE VEAUTE: TU CHIAMALA, SE VUOI, ARTE VIVA

di Guido Talarico

EVENTI 114

Sebastiaan Van Doninck, Parfum, 2012

di Alessia Carlino

PORTFOLIO

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In copertina: Alex and Felix Queen mini mouse, 2009

di Alessandro Caruso

CLASSICI D’OGGI di Vincenzo Trione VEZZÒLI, SOBRI VIZI AL MAXXI colloquio con Anna Mattirolo di Maurizio Zuccari


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CARTELLONE 118

GLI EVENTI IN ITALIA E ALL’ESTERO

di Silvia Novelli

SPAZI 124 128

RIJKSMUSEUM, IL NUOVO CUORE D’OLANDA di Simone Cosimi POMODORO FRA QUATTRO MURA di Valentina Cavera

ARCHITETTURA & DESIGN 136 138

UNA LUCE SUL NERO di Nathalie Grenon Sartogo UN SUCCESSO ECOFRIENDLY di Monia Marchionni

NUVOLE & PAROLE 142

AMO CAPPUCCETTO ROSSO

ERRATA CORRIGE Sullo scorso numero della rivista nell'articolo su Youssef Nabil, relativamente all'opera Self-portrait with Botticelli, fornitaci direttamente dall'artista, segnaliamo che ogni diritto di sfruttamento dell'immagine e relativa autorizzazione alla pubblicazione è concesso in esclusiva dal museo degli Uffizi di Firenze alla Galleria Poggiali e Forconi di Firenze che ha prodotto l'opera pubblicata. Ci scusiamo con gli interessati per l'omessa segnalazione della courtesy, indipendente dalla nostra volontà.

FIOCCHI AZZURRI IN REDAZIONE L’8 marzo è nato Tommaso (a sinistra), il 16 marzo Giorgio (a destra). Alle loro mamme, Gaia Toscano e Giorgia Bernoni, e ai rispettivi papà, Andrea Colizzi e Daniele Crescenzi, vanno gli auguri di Inside Art e della Editoriale Dets.

di Sebastiaan van Doninck

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4 numeri 25 euro invece di 32 euro

INSIDEART diventa trimestrale lo puoi trovare nei bookshop dei principali musei negli spazi d’arte e nelle migliori librerie di tutta Italia

www.insideart.eu

GUARDIAMO SEMPRE AL FUTURO FESTEGGIAMO I SUCCESSI DEI GIOVANI TALENTI DIAMO PESO ALLA CULTURA MANEGGIAMO MATERIALE ALTAMENTE CREATIVO


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SENZA SENSO Herreman a Lucca Tanto per cominciare, le fotografie di Bart Herreman non sono fotografie. L’artista olandese, infatti, confonde le idee e costringe a ripensare la definizione stessa di fotografia. Se per questa si intende riproduzione del vero, o quanto meno fedeltà con il tempo reale bloccato sui pixel, è chiaro che non stiamo parlando di Herreman. Oltre a non rappresentare niente di vero, il fotografo confonde i tempi degli scatti lavorando immagini provenienti da portfoli presi in tempi diversi. Come se non bastasse, a complicare ancora di più l’immagine ci pensa la prospettiva che dai suoi lavori ne esce distrutta. Cioè, che diavolo ci fa una giraffa che sbuca dalle nubi tempestose e attira l’attenzione di oche e preti che si ritrovano a camminare su un piano non ben identificato che potrebbe essere tanto l’oceano Indiano quanto l’asfalto di notte? Non lo sappiamo e forse non serve saperlo se vi siete fermati a guardare l’immagine. Bart Herreman è in mostra fino al 9 giugno a Serravezza, in provincia di Lucca, nella rassegna Fotografia. Info: www.seravezzafotografia.it (Francesco Angelucci)

Bart Herreman progetto per Seravezza fotografia

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CIAK, SI GIRANO SCULTURE Rosa Barba ha fatto dell’arte un’esperienza multisensoriale spaziale. La sua cinepresa produce film ed è spesso un soggetto scultoreo parte dell’opera. Luci, tempo e suono vengono rielaborati dall’artista con la sua visionarietà

di CLAUDIA QUINTIERI

Rosa Barba Color clocks, 2012


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osa Barba utilizza la telecamera 16 mm come mezzo e sostanza del suo lavoro. La macchina produce film ma è anche, molto spesso, soggetto scultoreo parte dell’opera e oggetto di una spazializzazione omnicomprensiva. Barba crea una multisensoriale esperienza spaziale con la presenza attiva del proiettore nel suo funzionamento e nella sua fisicità, che si unisce alla sperimentazione sugli stilemi del cinema. La luce, il tempo, il suono, i testi, gli oggetti, i movimenti, le persone e i paesaggi sono tutto il materiale che l’artista rielabora con una personale visionarietà. Il messaggio apre a un’espressione mitica e surreale nella creazione di un incantesimo di sospensione temporale e visiva. Durante le sue fiction scorre una narrazione immaginifica. Si bilanciano il carattere magico e il documento di una verità immersa in un punto di vista individuale, attraverso un linguaggio che manifesta un’essenza utopica. Le sue storie, poi, sono suggestive e si intridono di mistero in un’atmosfera che a volte si rivela nello scavo introspettivo. Ogni elemento specifico del cinema, anche quando è connesso agli altri, mantiene un suo statuto individuale. Spesso i soggetti dei suoi film sono architetture e paesaggi archetipici, e le persone utilizzate sono quelle che abitano nei luoghi che filma. Rigorosamente attori non protagonisti. Qual è la tua formazione e come sei arrivata al linguaggio filmico?

R

«I mezzi analogici sono stati il primo strumento con cui ho osservato la realtà circostante e con cui ho realizzato film: prima utilizzavo la fotografia e poi, molto presto, ho iniziato a servirmi di telecamere 16 mm. In realtà molte decisioni le ho prese girando il mio primo lungometraggio, Panzano, nel 2000: per esempio come usare tecnicamente una telecamera, affinché essa diventi parte della performance. In quell’occasione i dispositivi di registrazione del suono erano posizionati ovunque: ho cominciato a discutere con i miei “non attori” su cosa avremmo dovuto riprendere e alla fine alcune caratteristiche conversazioni sono potute diventate parte del film. Inoltre nel momento in cui la telecamera cominciava a riprendere – naturalmente gli obiettivi da 16 mm sono abbastanza rumorosi – i non attori immediatamente cambiavano il loro ruolo. Per cui è diventato importante usare una telecamera 16 mm o una fotocamera a pellicola perché permettono a persone e luoghi di sottoporsi a questi cambiamenti. Ciò senza dubbio ha molto a che fare con il tempo come elemento connaturato a questi mezzi. Importante è l’impronta che rimane sul materiale attraverso la luce e l’esposizione». Ti appassiona il lavoro dei filmakers degli anni ’60 e ’70. Cosa hai imparato da loro? «Come gli strutturalisti io mi preoccupo degli aspetti immanenti del film: di come lavorano i proiettori, della percezione dello spazio, della materialità del mezzo, non solo

L’ARTISTA

Rosa Barba 1972 Nasce ad Alessandria il 27 novembre

1993-1995 Studia teatro e tecnica filmica a Erlangen in Germania

1995-2000 Frequenta l’accademia di Media art a Colonia

1999 Partecipa alle sue prime mostre collettive: Copy and Paste al Kunstraum di Innsbruck Masterclass a Montevideo e Amsterdam

2003-2004 Frequenta per due anni il Rijksakademie van Beeldende Kunsten di Amsterdam

2007-2008 Frequenta lo Iaspis international artists studio program a Stoccolma

2013 Residenza alla Chinati foundation di Marfa in Texas

A sinistra: Rosa Barba A destra: Stage archive 2011


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I MIEI LAVORI SONO SPAZIALIZZAZIONI DELLE CONDIZIONI TEMPORALI QUESTO DETERMINA UNO STATO DI SOSPENSIONE DEL TEMPO, UN’ ESTENSIONE CHE OLTREPASSA LA NARRAZIONE


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Space length thought 2012

PERSONALI 2013 Subject to constant change Turner contemporary Margate e Cornerhouse Manchester A home for a unique individual Musac di Castilla y Léon 2012 Time as perspective Kunsthaus Zurigo A private tableaux and printed cinema Marfa Book Co Marfa 2011 Stage archive Fondazione galleria civica. Center of research on contemporary art Trento e Mart museo di arte moderna e contemporanea Rovereto 2010 Rosa Barba Tate modern level 2 Londra 2009 Static the Real Sublime Giò Marconi Milano 2000 Artothek Colonia Moltkerei Werkstatt Colonia

GALLERIE Giò Marconi Via Tadino 15 Milano www.giomarconi.com

QUOTAZIONI Da 8.000 a 120.000 euro

SITO www.rosabarba.com


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A destra: Theory in order 2011 Sotto: They shine still 2007

da un punto di vista ottico ma anche attraverso l’espressione del tempo e del suono. I processi di frammentazione e di astrazione della narrazione sono probabilmente le cose che abbiamo maggiormente in comune». Nei tuoi film utilizzi la parola, l’immagine, la musica e la luce: come metti in relazione questi elementi? «Considero il mio lavoro simile a un’orchestra con differenti musicisti che suonano musica differente e si impegnano in performance differenti. Solo all’interno di questa complessità la sinfonia acquista senso. Testi, suoni, immagini e luce sono stratificazioni enigmatiche e hanno singoli livelli narrativi che creano l’instabilità. Ciò è proprio al centro delle mie sculture. Il lavoro scultoreo si sviluppa nella tensione fra tutti gli elementi che lo costituiscono, il risultato si situa fra la realizzazione dell’equilibrio e una sorta di magia. Ogni elemento del cinema è utilizzato come un linguaggio autonomo: luce, suono, fotogramma, sequenza e ritmo diventano termini di


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CONSIDERO IL MIO LAVORO SIMILE A UN’ORCHESTRA CON MUSICISTI CHE SUONANO MUSICHE DIVERSE SOLO ALL’INTERNO DI QUESTA COMPLESSITÀ LA SINFONIA ACQUISTA SENSO. TESTI SUONI IMMAGINI E LUCI SONO STRATIFICAZIONI ENIGMATICHE E HANNO SINGOLI LIVELLI NARRATIVI CHE CREANO L’INSTABILITÀ

BOTTA E RISPOSTA L’arte della vita in 10 domande Cosa sognavi di diventare da grande? «Una viaggiatrice». Come sei diventata un’artista? «Guardando attraverso la macchina fotografica». Cosa vorresti essere se non fossi un’artista? «Uno scienziato viaggiatore». Hobby, passioni? «Musica». Come definiresti la tua arte? «Film e sculture orchestrate». Come definiresti la tua vita? «N.R.». Ci sono valori eterni, nell’arte o nella vita? «La passione». Chi sono i tuoi maestri nell’arte o nella vita? «Amici, famiglia e filosofia». Cosa trovi interessante oggi? «Il futuro». Cosa non sopporti di questo tempo? «L’ingiustizia».

una nuova modalità di espressione». La luce è essenziale nel tuo linguaggio: perché? «Il modo in cui un elemento viene illuminato può rivelare una nuova stratificazione temporale e una nuova narrazione. Io amo trasformare il vuoto di una luce bianca in un’identità che diventa solida». Che ruolo ha il tempo? «I miei lavori sono spazializzazioni delle condizioni temporali. Questo fa sì che ci sia uno stato di sospensione del tempo. Non è un tempo narrativo ma un’estensione che attraversa e oltrepassa la narrazione. Ed è esattamente nello spazio tra i frammenti che la narrazione si costruisce e il tempo scorre». Le tue installazioni sono tendenzialmente scultoree ma usi anche i proiettori: come ti relazioni con lo spazio? «L’hardware del cinema, il proiettore, esplorato per le sue qualità scultoree, è talmente centrale nel mio lavoro che


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Lost object A 2006

definisce l’insieme. È il protagonista del lavoro ma anche il suo stesso spettatore. Ricorda una fragile reliquia». I temi che affronti si pongono fra documentario e finzione: perché? «Le mie fiction sono ambientate in luoghi che hanno una stratificazione che non si riferisce a fatti storici ma che descrivono un momento e una tensione nella società, intersecando fatti e finzione si crea una nuova possibilità per rivelarli». Essenziale è il profilarsi della storia, come ti approcci alla storia e come la coniughi con il futuro? «Ciò che cerco di esprimere nei miei film è che il tempo è basato su storie individuali: è un fenomeno malleabile e flebile. Nelle mie opere cinematografiche di solito sono presenti differenti scale temporali che scorrono in parallelo alla mia prospettiva, come fossi un osservatore che non giudica. Io affronto la realtà come una fiction che si basa su interpretazioni individuali degli eventi reali. Le mie pellicole giocano con l’idea che le cose che si vedono possono accadere nel futuro o essere accadute nel passato, cercando di manifestare una soluzione utopistica». Racconti i fatti tramite l’invisibile, l’assenza, l’allusione. È così?

NELLE MIE OPERE CINEMATOGRAFICHE DI SOLITO CI SONO DIFFERENTI SCALE TEMPORALI CHE SCORRONO IN PARALLELO ALLA MIA PROSPETTIVA AFFRONTO LA REALTÀ COME UNA FICTION CHE SI BASA SU VISIONI INDIVIDUALI DI EVENTI REALI

«Pongo in relazione gli elementi e libero la mia creatività facendoli interagire. Ogni cosa necessita una storia per cominciare ma in seguito diventa qualcosa che non era prevedibile. La narrazione nella sua circolarità cinematografica diventa forma. Come una parola che pronunci ripetutamente finché non diventa priva di senso. Il tempo si disperde negli interstizi tra i fotogrammi. Ciò è cruciale per la rappresentazione del movimento, ma in maniera nascosta: l’apparente discontinuità si rivela, effettivamente, una continuità». Come ti poni nei confronti della presenza dell’uomo? «Le location che scelgo per i miei film rappresentano un documento, nello stesso modo in cui gli abitanti del luogo sono a volte i miei non attori nei film. Il lavoro performativo nel tempo, con entrambi, è ciò che mi interessa raggiungere». Nel tuo lavoro si percepisce la visionarietà e il senso dell’enigma: quanto di ciò è voluto e quanto fa parte di un’inclinazione personale? «È una somma della mia percezione delle cose e della mia storia. Cerco di rendere evidente una tensione irrisolta tra la narrazione e la sua naturale parte d’immaginazione».


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Sasha Frolova Albinism twirl, 2010 A sinistra: The bride, 2011

CYBERPUNK IN LATEX Dalla fantascienza a Jeff Koons passando per i gonfiabili in plastica e i manga Questi gli spunti di Sasha Frolova artista russa nata come cosplayer in sfilate d’alta moda e nei rave post sovietici ora eroina futuribile e sexy finalista al premio arte Laguna di IGOR ZANTI


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el 1969 il regista francese Roger Vadim dirige una fulgida Jane Fonda nel film Barbarella, parodistica pellicola di fantascienza venata da un onanistico e pacato erotismo, tratta dall’omonimo fumetto pubblicato, all’inizio degli anni Sessanta, dalla rivista Vmagazine. Barbarella non è solo uno dei film che decreta il successo della giovane e bellissima Jane Fonda ma anche l’inizio di uno stile, di una tendenza estetica che continua ad essere presente, seppur in maniera minore. Gli anni Sessanta, con il loro indubbio sapore pop, con la loro ossessione per i materiali plastici e per un immaginario fantascientifico, si mostrano al loro meglio. Lo stesso stilista Paco Rabanne, da lì a poco, inizierà a ispirarsi a questa pellicola per creare una linea di moda spaziale. Coevo a Barbarella è il capolavoro di Kubrick, 2001

Odissea nello spazio, un film che, riprendendo tematiche vicine alla poetica di Asimov e Philip Dick, veri maestri della letteratura di genere fantascientifico, ripropone il dilemma del rapporto tra uomo e macchina. Ambientato in un immaginario futuro, che ora, a più di 10 anni di distanza dal 2001, risulta inderogabilmente vintage, ma molto in linea con le estetiche futuribili tanto in voga negli anni Sessanta, questo film diventa, per moltissimi aspetti, l’icona di un’epoca e di una cultura. Circa otto anni dopo il successo di Barbarella esce nelle sale una altro cult di fantascienza, L’uomo caduto sulla terra, dove le atmosfere si fanno più rarefatte, gli ambienti meno pop, e l’enigmatica e androgina presenza di David Bowie, con il contributo di una suggestiva colonna sonora, creano un nuovo modo di pensare al futuro e alla fantascienza. È invece

L’ARTISTA

Sasha Frolova

1984 Nasce a Mosca il 18 aprile

2002 Si diploma alla Higher college of art di Mosca

2006 Si laurea con specializzazione in arte contemporanea all’Insitute of contemporary art problems

2011 Partecipa alla Quarta biennale d’arte contemporanea di Mosca, Fr br, parallel program, Arthouse squat forum

2013 È finalista ad arte Laguna, premio speciale della galleria Federica Ghizzoni di Milano e della galleria Akneos di Napoli

A sinistra: un ritratto dell’artista A destra: Icecreamizer psionics exhibition, 2010


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I SUOI COSTUMI SEXY MA ANDROGINI – CHE MOLTO RICORDANO LE SEXY TUTINE DI BARBARELLA – LE SUE MOVENZE DA BAMBOLA MECCANICA E ROBOTICA, IL CONTINUO E OSSESSIVO RIFERIMENTO ALLA CULTURA GIAPPONESE CHE MOLTO DEVE ALL’EREDITÀ CYBERPUNK MA ANCHE L’INTENSA RELAZIONE CON L’ARTE POP ATTRAVERSO GLI OMAGGI A OLDENBURG E A KOONS, RIMANDANO INEVITABILMENTE A UNA REALTÀ DOVE SONO FORTI ED EVIDENTISSIMI GLI ELEMENTI DI IBRIDAZIONE MULTICULTURALE E MULTIMEDIALE


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PERSONALI 2011 Metropolis Collaborazione con Daria Marchik, Quarta biennale di arte contemporanea, parallel program, Mel space, Red october Mosca 2010 Psionics School of management Skolkovo, Mosca Albinism Aidan gallery, Mosca 2009 Cyberprincess Museum of modern art, Mosca

GALLERIA Art re.Flex gallery San Pietroburgo www.russianmuseums.info/M3165

QUOTAZIONI Da 2.000 a 10.000 euro

SITI www.youtube.com/ frolovasasha www.aidangallery.ru /authors/frolova

Cyberprincess Sasha Frolova & Irina Voiteleva photo series, 2009


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del 1982 il capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner, vero e proprio manifesto della cultura cyberpunk che di lì a poco acquisterà ufficialità con la pubblicazione, per l’appunto, del racconto Cyberpunk, dato alle stampe nel 1983 dallo scrittore americano Bruce Bethke. Quattro pellicole differenti, per approccio, per intensità drammatica, per consistenza culturale ed estetica, ma queste quattro opere sono solo i capisaldi di una lista che potrebbe essere infinita, che va da Cocoon, ad Incontri ravvicinati del terzo tipo, dalla Guerra dei mondi a Nirvana. Sono proprio questi i riferimenti estetici, queste le ambientazioni, questo il milieu culturale che vengono in mente quando si osserva e si studia il lavoro dell’artista di origini russe Alexandra (Sasha) Frolova. I suoi costumi sexy ma androgini – che molto ricordano le sexy tutine di Barbarella – le sue movenze da bambola meccanica e robotica, il continuo e ossessivo riferimento alla cultura giapponese che molto deve all’eredità cyberpunk, ma anche l’intensa relazione con l’arte pop, attraverso gli espliciti omaggi ad Oldenburg e a Koons, rimandano, inevitabilmente, a una realtà dove sono forti ed evidentissimi gli elementi di ibridazione multiculturale e multimediale. È curioso e interessante ricostruire la biografia, seppur breve, di Alexandra Frolova e notare come i suoi esordi nel mondo del-

l’arte siano stati, per lo meno, atipici. Influenzata infatti dal lavoro del suo maestro e amico Andrej Bartenev, la Frolova ha iniziato a progettare performance in occasione dei dopo sfilata di alcuni suoi amici stilisti o come intermezzi a rave di musica elettronica. Nella migliore tradizione cosplayer di origine giapponese, fonde, insieme ad altri performer, il gruppo degli Aquaaerobica, dove interpreta una futuribile sexy eroina, molto vicina all’estetica manga che si cimenta nella danza e nell’interpretazione di brani di musica elettronica, in molti casi, cantati in giapponese. Proprio l’esperienza con gli Aquaaerobica permette alla Frolova di avere un discreto successo diventando, con il suo personaggio, un’habitué delle pagine dedicate agli eventi scoiali e culturali dei giornali di tutta la Russia e apparendo sulla patinata edizione russa della rivista Vogue. Ma l’attività di performer con il gruppo degli Aquaaerobica è, per la Frolova, anche l’occasione per iniziare a sperimentare altri aspetti della sua ricerca artistica, introducendo negli spettacoli, come supporto scenico, delle sculture gonfiabili che vengono, inoltre, integrati con i costumi stessi dei performer. Determinante è per Sasha, a questo proposito, la scoperta delle possibilità tecniche ed espressive del latex, che diviene un elemento iconico e caratterizzante della sua

Sopra: Albinism exhibition view, 2010 A destra: Albinism carousel, 2010 Sotto: Lyubolet, 2008


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BOTTA E RISPOSTA L’arte della vita in 10 domande Cosa sognavi di diventare da grande? «Quando ero bambina sognavo di fare l’artista. Da adolescente avevo pensato di fare l’architetto poi ho studiato medicina per diventare specialista in agopuntura e riflessologia. Solo in seguito mi sono resa conto che la mia unica e vera passione è l’arte e ho capito che voglio essere solo un’artista». Come sei diventata un’artista? «Sono stata introdotta nel mondo dell’arte dal mio maestro e amico Andrey Bartenev, un famoso artista russo. Lavorare come sua assistente mi ha insegnato molto di più di qualsiasi accademia. Sono sempre stata molto appassionata di oggetti gonfiabili - giocattoli, palloncini e tutto ciò che si gonfia insomma - e ho sempre usato questi elementi nei miei progetti. Quando ho scoperto il lattice mi sono resa conto che era il materiale che faceva al caso mio e che mi avrebbe offerto la qualità e la resa che ricercavo». Cosa vorresti essere se non fossi un’artista? «Penso che sarei un artista in ogni caso, o forse un cosmonauta, o un mago. Ma penso che queste siano solo altre accezioni del termine artista». Hobby, passioni? «Il mio hobby è l’ arte: vivere l’arte ed essere un’artista». Come definiresti la tua arte? «Cerco di essere multimediale e di raggiungere Gesamtkunstwerk, sintesi delle arti, ma soprattutto mi dedico alla scultura e alla performance. Progetto happening come Aquaaerobika, dove integro l’aspetto scenico e teatrale con la musica elettronica e con gli oggetti scultorei in latex che realizzo, dando vita a una sorta di scultura vivente». Come definiresti la tua vita? «La creatività e il lavoro sono il mio stile di vita. L'arte è modo di vivere. Per me la vita è un pezzo della mia arte». Ci sono valori eterni, nell’arte o nella vita? «L'amore per me è il canale della mia creatività. Altra cosa importante è la bellezza. Quando si osserva la natura, quando si entra in un museo, quando si vede qualcosa di veramente bello, qualcosa che ti colpisce e ti ispira è come incontrare dio per mezzo della bellezza». Chi sono i tuoi maestri nell’arte o nella vita? «I grandi artisti che ho incontrato durante la mia vita sono i miei mentori ed eroi come Andrey Bartenev, Andrew Logan, Zandra Rhodes, Slava Polunin. Il loro esempio, l'esperienza della loro vita mi ispira e mi fa comprendere che sono un’artista». Cosa trovi interessante oggi? «Mi piace la libertà e la follia della nostra epoca. Ora siamo più vicini al futuro che mai. Mi piace avere la possibilità di creare la mia realtà parallela per realizzare le mie fantasie e per portare più bellezza in questo mondo». Cosa non sopporti di questo tempo? «Non mi piace la parola odio. Naturalmente ci sono cose nel nostro tempo che mi deludono e che voglio cambiare. Penso che il nostro mondo abbia bisogno di persone che possano e che vogliano evolversi e cambiare. Credo che l'arte possa essere un nuovo modo per salvare il mondo con la gentilezza».


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A sinistra: Sasha Frolova 2012 Sotto: Metropolis 2011

produzione. Con il passare del tempo il lavoro diventa più complesso, poiché non si riduce solo all’azione performativa, allo spettacolo, di danza, alla musica elettronica e ai movimenti scenici, ma si concentra piuttosto sull’interazione tra la performance e le sculture gonfiabili. I gonfiabili, infatti, non vengono più utilizzati come accessori, ma assumono centralità, e la Frolova sposta progressivamente l’attenzione da lei, come personaggio, come icona sexy e trasgressiva, all’oggetto feticcio. In questo senso la performance assume un ruolo di complementarietà rispetto alla scultura, e viene vissuta dall’artista come un’opportunità per interagire con l’opera, non solo in quanto autore, ma anche come attivatore di un processo di mutazione. Da un punto di vista concettuale il lavoro diventa evidentemente più complesso e rarefatto: abbandonata, o leggermente accantonata, la ricerca che privilegiava un’ indagine estetica sul potere seduttivo dell’icona che strizzava un occhio alla cultura del neo pop giapponese, la Frolova si concentra – ripescando sotto questo aspetto le suggestioni del primo cyberpunk – sul valore e le possibilità di indagine artistica offerte dall’approfondimento della psionic culture, un insieme di teorie che studia e ipotizza un’influenza sulla realtà attraverso l’utilizzo delle facoltà mentali. In questo senso il centro della ricerca in ambito psionico per la Frolova è rappresentato dal potere dell’amore, inteso come forza propulsiva della realtà, come dimostrano opere quali Lyubolet/Lovecraft, una sorta di astronave guidata dall’intensità del rapporto dei due amanti.


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IL TRAUMA RIVELATORE Riikka Kuoppala riesce a ricreare i sottosuoli onirici, spaesanti e grotteschi della memoria rendendoli un fil rouge che unisce i suoi lavori: il rapporto tra figli e genitori, giovani e anziani, o meglio la sua assenza, e le conseguenti e numerose variazioni metaforiche che da questi scontri si dispiegano

di LORENZO BALBI

Riikka Kuoppala Palavan kaupungin alla (Under a burning city), 2010 still da video foto Paula Lehto


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L’ARTISTA

RIIKKA KUOPPALA

1980 Nasce a Helsinki il 19 aprile

2007 Si laurea in arte e cultura all’università di scienze applicate, scuola di Belle arti di Tampere

2008-2009 Mfa alla Carnegie Mellon university di Pittsburgh

2010 Mfa all’accademia di Belle arti di Helsinki

2012 Residenza alla Cité internationale des arts di Parigi

2013 Si specializza all’École nationale superieure des beaux-arts di Lione

H

o incontrato Riikka Kuoppala per la prima volta alcuni mesi fa a Lione, dove la giovane artista finlandese sta svolgendo il postgraduate programme dell’Ensba (Ecole nationale supérieure des beaux arts). Sono rimasto subito colpito dai suoi video, in cui i protagonisti usano le loro memorie come mezzi utili a farli sopravvivere a una crisi di identità o a un forte trauma. Un trauma danneggia qualcosa di così fondamentale in noi stessi che, per capirlo, tutto il nostro essere deve in qualche modo essere riorganizzato. Un trauma può costringerci a dare un’altra occhiata a quello che siamo e a quello in cui crediamo: i nostri ricordi devono essere riorganizzati per riacquistare un senso. Nei suoi video, Riikka Kuoppala descrive e visualizza questo processo di ricostruzione. Alcune settimane dopo il nostro incontro è nato un vivace scambio fatto di discussioni, confronti e riflessioni che ha portato al progetto La casa di biscotti, in programma fino al 15 settembre, prima per-

sonale in Italia dell’artista, negli spazi della fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Il progetto espositivo, unendo due videoinstallazioni, cerca di ricreare le suggestioni della ricerca dell’artista in cui l’indagine psicologica è tessuta insieme all’analisi della realtà esterna. Il percorso di guarigione da un trauma evoca la costante negoziazione tra le aspettative e le regole individuali e collettive. La sceneggiatura dei video avviene sempre alla ricerca di risposte a questi interrogativi: Come ci si può presentare e rappresentare? Che cosa ci è permesso essere? Che cosa succede se non ci si conforma alla propria rappresentazione? Under a burning city (2010) è un’opera sulla memoria della guerra e sul modo in cui questa viene tramandata alle nuove generazioni. I protagonisti, una nonna e la sua nipotina, osservando i segni della guerra in città ne ripercorrono i ricordi cercando un linguaggio comune per condividere e rivivere queste esperienze passate. Il film è ambientato ad Helsinki, città che fu bersaglio di una serie di bombardamenti 70 anni fa.

In alto: un ritratto dell’artista foto Pekka Niskanen A sinistra: Palavan kaupungin alla (Under a burning city), 2010 still da video foto Paula Lehto


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I MIEI FILM NON SONO DI SOLITO CONSIDERATI POLITICI, MA UNA DELLE MOTIVAZIONI PIÙ FORTI CHE MI PORTANO A CONTINUARE A FARE ARTE È LA CONVINZIONE CHE LA RAPPRESENTAZIONE HA SEMPRE UN RAPPORTO DIRETTO CON IL POTERE DI TUTTE LE STORIE CHE SENTIAMO QUALE È QUELLA UFFICIALE?


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PERSONALI 2012 Sohva, televisio ja videot Kluuvi gallery, Helsinki 2011 Under a burning city Forum box gallery Helsinki 2010 Mom, I’m hungry! Sanoma house media piazza, Helsinki 2009 The girl is my memory Kuvataideakatemian galleria, Helsinki Mom, I’m hungry! Alkovi galleria, Helsinki 2008 Visitor in my body Ellis gallery, Pittsburgh 2007 Aamupissa The Finnish labour museum Werstas Tampere

QUOTAZIONI n. d.

GALLERIA n. d.

SITO www.riikkakuoppala.net

Palavan kaupungin (Under a burning city), 2010 still da video


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La Kuoppala ha intervistato alcune donne che hanno vissuto l’esperienza della guerra e consultato registrazioni e archivi dell’epoca. Convivere con un trauma è uno dei temi così come la difficoltà di discutere le memorie con qualcuno che non le ha vissute. I protagonisti vivono i loro ricordi come storie che li aiutano a sopravvivere ai momenti di crisi d’identità. La casa di biscotti che costruiscono insieme è proprio l’esperienza individuale che è differente dalla verità ufficiale, la verità silenziosa che si scontra con la nuova generazione. Le scene sono ricostruite attraverso gli occhi della bambina che, interpretando i ricordi della nonna e dandone una visione nuova, racconta come sia iniziata la guerra: le notti in un riparo antiaereo, l’oscuramento delle finestre delle case, la vista della via Inarintie che brucia. Queste storie non hanno come obiettivo quello di ricostruire una memoria personale o di trovare una verità oggettiva. Sono, invece, uno dei punti di partenza dell’artista nel suo tentativo di mostrare la natura soggettiva del narrare e del rivivere la storia. Lei stessa dice: «I miei film non sono di solito considerati politici,

ma una delle motivazioni più forti che mi portano a continuare a fare arte è la convinzione che la rappresentazione ha sempre un rapporto diretto con il potere. Di tutte le storie che sentiamo, in altre parole quale è quella ufficiale?». Il percorso della mostra ci porta quindi ad entrare in una casetta di scatoloni: al suo interno è presentato il video Couch, tv and vcr (2012) che dipinge la crisi d’identità di un adolescente immaginario, l’agitazione del suo intero sistema di valori e la sua reazione. L’installazione lega insieme diversi strati della sua memoria: è una riflessione su come una famiglia possa essere anche un ambiente stressante, ostile, non familiare. Così come la casa di marzapane di Hansel e Gretel, anche la casa di biscotti in cui Riikka Kuoppala ci fa entrare è invitante e inquietante allo stesso tempo: dolce e irresistibile da un lato, oscura e spaventosa dall’altro. Le scatole di cartone che circondano il video ricordano una casa di biscotti di zenzero come quella di Hansel e Gretel e rievocano le torbide atmosfere familiari della favola dei fratelli Grimm: i genitori che abbandonano i figli al loro destino nel bosco all’inizio della favola


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BOTTA E RISPOSTA L’arte della vita in 10 domande

LA MOSTRA La casa di biscotti La casa di biscotti, a cura di Lorenzo Balbi, è la prima personale in Italia di Riikka Kuoppala. L’esposizione, unendo due videoinstallazioni dell’artista finlandese, cerca di ricreare le suggestioni della sua ricerca creativa. Fino al 15 settembre, fondazione Sandretto Re Rebaudengo, via Modane 16, Torino. Info: www.fsrr.org

Sopra e a sinistra: Palavan kaupungin alla (Under a burning city), 2010 still da video

In alto: Sohva, televisio ja videot (Couch, tv and vcr), 2012 still da video foto Pinja Sormunen

Cosa sognavi di diventare da grande? «Un’artista del circo». Come sei diventata un’artista? «Mentre iniziavo i miei studi artistici, sono stata consigliata da un parente – ben intenzionato e più vecchio di me – a prendere l’arte come un hobby e a trovarmi una professione decente e borghese. Andare alla scuola d’arte sembrava l'unica cosa logica da fare dopo questo». Cosa vorresti essere se non fossi un’artista? «Un avvocato. Oltre a essere un'artista, sono anche una studentessa della facoltà di giurisprudenza di Helsinki». Hobby, passioni? «Il cibo, cucinarlo e mangiarlo. Ho anche creato diversi progetti artistici legati al cibo, come la Political cooking school, durante la quale invito qualcuno a discutere un argomento con me di fronte al pubblico mentre cuciniamo». Come definiresti la tua arte? «È guidata dalla mia curiosità per il recupero delle narrazioni dimenticate, rifiutate e silenziose». Come definiresti la tua vita? «Cerco di non farlo: così è più imprevedibile e divertente». Ci sono valori eterni, nell’arte o nella vita? «Non credo. I valori sono definiti dal tempo e dalla cultura da cui siamo circondati. L’eternità è un’utopia». Chi sono i tuoi maestri nell’arte o nella vita? «Non ho maestri ma recentemente sono stata molto ispirata dal lavoro di Charlotte Salomon, Life? Or theater? Il modo in cui i suoi piccoli dipinti narrano la vita di una giovane ragazza ebrea degli anni Trenta in Germania combinata al trauma famigliare dei suicidi è piuttosto sbalorditivo». Cosa trovi interessante oggi? «Ho partecipato alla parata del Primo Maggio a Helsinki. Trovo interessante come retoriche differenti a volte inizino a sembrare obsolete o fuori luogo abbastanza velocemente. Sto facendo delle ricerche per un nuovo lavoro sul movimento comunista degli anni Settanta in Finlandia, dove il clima politico è completamente cambiato durante la mia vita. Sto cercando una relazione personale con alcune immagini di un archivio di famiglia ed è alquanto difficile trovare un modo per rapportarsi a queste». Cosa non sopporti di questo tempo? «La recente crescita dei valori conservatori: razzismo, omofobia, una diseguaglianza nelle società europee».


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A fianco: Sohva, televisio ja videot (Couch, tv and vcr), 2012 foto Pinja Sormunen

Sotto: Kaupungin (Under a burning city), 2010 foto Riikka Kuoppala

perché non riescono più a sfamarli, salvo poi riaccettarli alla fine della storia quando questi ritornano con nuove ricchezze, o la casa di marzapane, visualizzazione eccessiva dei desideri dei bambini, che si rivela una terribile trappola in grado di trasformare essi stessi in cibo per la spaventosa strega. Gli argomenti trattati nei video di Riikka Kuoppala sono il genere, il trauma, la crisi, la famiglia e la malattia: questi temi sono tutti collegati al modo in cui vediamo noi stessi come parte della società o come reietti. Un breve film del 2008, Visitor in my body, si concentra sulla crisi d’identità causata da una grave malattia. La storia si sviluppa nella soffitta di una vecchia casa in cui una bambina e una donna passano del tempo insieme interagendo come amiche, nonostante potrebbero essere madre e figlia. Mentre giocano le due protagoniste discutono e si scambiano i ricordi: la malattia le unisce e le fa riconsiderare chi sono effettivamente. Mentre la storia si sviluppa, la linea sottile tra realtà e finzione svanisce e le identità dei personaggi cominciano a fondersi. Una narrazione fratturata diventa allegoria d’identità. L’artista ci domanda: «Cosa succede quando la storia di se stessi è incompleta, quando l’identità di una persona è messa in crisi? La narrazione può essere riparata o deve essere sostituita?». Sullo stesso piano è il video Like mother, like daughter (2007), basato sull’incontro immaginario tra una madre e una figlia entrambe di circa 25 anni. Le due donne si incontrano in una stanza vuota e si avvicinano l’un l’altra come in un sogno, parlando dei ricordi che condividono, piccole ma significative cose. Le loro identità si spostano e non è sempre certo chi è chi o che cosa è accaduto in passato e che cosa accade ora. Si scopre che la madre se n’è andata. La figlia risponde alle domande con la voce della madre. A poco a poco l’immagine della madre scompare ed è presente solo nei ricordi. Tutti viviamo in prima persona il momento in cui il ricordo viene tramandato e rivissuto: la forza di questi lavori è proprio nel tentativo di farci ricordare queste emozioni, tanto dolci quanto insane, come una casa di zenzero, insieme dolce e piccante. Riikka Kuoppala, abbandonando la costruzione forzata dettata da certi meccanismi emozionali, riesce a ricreare i sottosuoli onirici, spaesanti e grotteschi della memoria rendendoli un fil rouge che unisce i suoi lavori: il rapporto figli-genitori, giovani-anziani, o meglio la sua assenza, e le conseguenti e numerose variazioni metaforiche che da questi scontri si dispiegano.


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Valerio Rocco Orlando Autoritratto nel salone dei ritratti alla Real academia de EspanĚƒ a a Roma, 2012 foto Sebastiano Luciano

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RITRATTI D’AUTORE

Tra dialogo corale e visioni intimiste video, installazioni e immagini di Valerio Rocco Orlando mettono in scena la relazione tra individio e società per ripensare il senso di appartenenza alla comunità

di LUDOVICO PRATESI


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L

a formazione di Valerio Rocco Orlando viaggia in direzione inconsueta per un artista visivo; studia infatti regia teatrale alla Scuola civica d’arte drammatica di Milano, per poi laurearsi in drammaturgia. Si tratta di un percorso formativo che appare ancor oggi nei suoi lavori come fosse un comune denominatore strutturale in cui la sceneggiatura e la regia del progetto artistico sono parte integrante della poetica e dell’estetica dell’autore. A partire dalle prime opere del 2002, Valerio produce soprattutto video, narrando, come fosse un flusso di coscienza in fieri, storie di vita, prima personali e man mano collettive. Tra i primi lavori di Valerio compaiono dunque i ritratti di donne, come in The sentimental glance una summa di videoritratti di amiche-muse come Celeste (2002), Rita (2003), Eva (2004), Do-

brochna (2005), Amalia (2006), Eleonora (2006). Nel passaggio dunque dall’io al nostro, che si riverbera nei suoi lavori, Valerio Rocco Orlando prende come assunto poetico l’esigenza personale di stabilire un rapporto specifico con le persone che “entrano” nelle sue opere. L’interesse costante in Valerio è quello di stabilire un dialogo profondo con i singoli, anche solo se per un tempo limitato, cercando la via per dare e ricevere dall’altro. «Da qui – afferma – nascono le storie che racconto: proprio dall’esigenza di essere ascoltati, anche da noi stessi. Tant’è vero che chi si siede di fronte alla videocamera, accettando di partecipare a questi progetti, è sempre sempre un volontario. Qui l’opera diventa un mezzo, se vuoi. Si crea un dispositivo di condivisione sostenuto dall’idea che tu abbia qualcosa da dire e che scelga di dirlo proprio a me».

L’ARTISTA

Valerio Rocco Orlando

1978 Nasce il 12 gennaio a Milano

2000 Si diploma in regia teatrale alla scuola civica d’arte drammatica di Milano

2001 Si laurea in drammaturgia all’università Cattolica, Milano

2009 Vince il premio di acquisizione alla Biennale di Monza e alle Pagine bianche d’autore

2011 Vince il premio di produzione con Ritratti, percorsi video al Careof Docva di Milano

2012 Vince il premio la Repubblica al Talent Prize

A sinistra: Amalia, 2006 Nella pagina a fianco, in alto: Endless, 2011 Sotto: Bisiàc, 2007


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NEL LAVORO DI VALERIO ROCCO ORLANDO L’IDEA DI RECIPROCITÀ E SCAMBIO EMPATICO È ESSENZIALE E ASSUME UN CARATTERE PERFORMATIVO E PROCESSUALE CHE, AL DI LÀ DEL RISULTATO INSTALLATIVO E FINALE DEL LAVORO, COSTITUISCE IL VERO NUCLEO DELLA SUA RICERCA: METAMORFOSI, DUNQUE, COME METODO STESSO DI RICERCA E INDAGINE IN CUI IL RUOLO DI CHI È OGGETTO DI RICERCA È SEMPRE UN RUOLO PARTECIPANTE, E LO SPETTATORE STESSO DIVENTA UN’ULTERIORE CONTROPARTE ATTIVA, CON IL PRORIO VISSUTO, LA PROPRIA EMOTIVITÀ, IL PROPRIO MODO DI FRUIRE E DI RELAZIONARSI CON IL LAVORO CHIARA SARTORI

PERSONALI 2013 The reverse grand tour Galleria nazionale d’arte moderna e cont., Roma 2012 Quale educazione per Marte? Villa e collezione Panza Varese 2011 Quale educazione per Marte? Crac, Cremona Nomas foundation, Roma Lover’s discourse, Careof Docva, Fabbrica del vapore, Milano 2010 Lover’s discourse Momenta art, New York 2008 Niendorf (The damaged piano) Galleria Maze, Torino Valerio Rocco Orlando Lucie Fontaine, Milano Niendorf (The damaged piano) Teatro Regio, Parma Palazzo del Broletto Novara 2007 The sentimental glance Galleria Maze, Torino 2006 Video Invitational#3 Viafarini, Milano 2005 Behind the moon Fortezza da Basso, Firenze Eva, Spazio Lima, Milano

GALLERIA N. d.

QUOTAZIONI Promenades, 2012 Conversazioni d'artista a Villa Borghese, Roma foto Giorgio Benni

Da 3.000 a 21.000 euro

SITO www.valerioroccoorlando.com


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CON OGNUNA DELLE PERSONE RITRATTE VALERIO ROCCO ORLANDO HA TRASCORSO DEL TEMPO, CONDIVIDENDO ESPERIENZE ED EMOZIONI HA INSTAURATO UN RAPPORTO BIUNIVOCO BASATO SULL’INTERSCAMBIO CHE È SFOCIATO NELLA SIMPATIA, OSSIA QUEL SENTIMENTO CHE ETIMOLOGICAMENTE SIGNIFICA CONDIVISIONE. TRA SOGGETTO CHE GUARDA E OGGETTO RIMIRATO, COMPLICE LA VICINANZA EMOTIVA, SI INSTAURA UNA RELAZIONE DI RECIPROCA INTERSCAMBIABILITÀ L’OGGETTO E IL SOGGETTO, PUR NELLA LORO DIVERSITÀ, PARLANO L’UNO DELL’ALTRO. IL POTERE RIVELATORE AUMENTA E L’IDENTIFICAZIONE DIVENTA DIRETTA. IL RITRATTO, ALLORA, È LA CHIAVE DI INTERPRETAZIONE DELLA CONDIZIONE DELL’ARTISTA STESSO A destra: Lover’s discourse (noteboard), 2011 foto Antonio Maniscalco

LUCA BEATRICE

Sotto: 14.12 (Roma), 2011 A pagina 50: Valerio Rocco Orlando Quale educazione per Marte?, 2012

Il passaggio dal singolo alla comunità, dal personale al collettivo, non è per Valerio una rinuncia all’individualità del racconto, ma si stabilizza nella narrazione sempre puntuale delle diverse identità in scena e si caratterizza formalmente nell’attenzione al ritratto. Per lui l’immagine del volto è innanzitutto in continuo movimento, mai statica, è un’immagine caratterizzante gli stati d’animo collettivi, pur risultando al contempo sempre imprescindibile dal soggetto. «Sono sempre stato ossessionato dal close-up sul grande schermo – specifica – l volto di un individuo proiettato al cinema assume dimensioni inconsuete, proporzioni diverse, che ci permettono un rapporto diretto, più intimo. Il volto, espanso, diventa un mondo, un paesaggio. Racconta le sue storie, diventa la sua storia; muovendosi, illustra le sue trasformazioni. Non è più spazio, ma tempo. Il tempo della persona e del personaggio durante le riprese, il suo tempo biografico, e ancora il tempo della visione, nel momento in cui si confronta con lo spettatore». In Valerio Rocco Orlando c’è dunque un ulteriore spostamento visivo, quello verso la società, la collettività, spesse volte volutamente distante dalla propria esperienza vissuta. L’indagine sociale è così un ulteriore step nella ricerca dell’arti-

sta, si tratta di una speculazione che conduce verso la realizzazione del progetto Lover’s discourse, in cui Valerio invita, attraverso un volantino affisso nelle strade di Brooklyn, coppie di innamorati a collaborare insieme per un progetto video. L’artista ospita nel proprio studio le coppie, mettendo in scena una fiction in cui il confine tra arte e vita, tra realtà e finzione è giocato sul filo dell’estetica e del montaggio a posteriori. L’indagine sociale si sposta in Valerio di luogo in luogo alla scoperta di identità collettive altre, distanti cioè dalla personale educazione e dall’esistenza dell’artista. È questo in breve il motore del progetto Quale educazione per Marte?, un lavoro iniziato nel 2011 a Roma, poi proseguito all’Avana 2012 e a Bangalore in India nel 2013, che intende analizzare gli esiti del senso d’identità nel momento in cui questo deriva da una percezione simbolica della condivisione di un’esperienza. L‘interesse di Valerio è mettere a confronto diversi sistemi educativi internazionali, a partire dalla relazione personale creata con gli studenti delle differenti scuole con cui ha lavorato. Il risultato è un dialogo su più livelli tra alunni e insegnanti e tra compagni stessi, una dialettica su più fronti in cui l’educazione ufficiale si fonde con quella clandestina, lontana dall’aula ma vicino alle rela-


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BOTTA E RISPOSTA L’arte della vita in 10 domande Cosa sognavi di diventare da grande? «Regista». Come sei diventato un artista? «Attraverso il confronto con gli altri». Cosa vorresti essere se non fossi un artista? «Filosofo». Hobby, passioni? «Viaggiare e ritrovare ogni volta una nuova quotidianità». Come definiresti la tua arte? «Singolare plurale». Come definiresti la tua vita? «Sentimentale». Ci sono valori eterni, nell’arte o nella vita? «Reciprocità e bellezza». Chi sono i tuoi maestri nell’arte o nella vita? «Le nuove generazioni». Cosa trovi interessante oggi? «La precarietà come stimolo per ritrovarsi». Cosa non sopporti di questo tempo? «Sognare non deve essere un lusso».

zioni personali più alternative e forse veritiere. Ultima fatica di Valerio è il progetto recentemente presentato negli spazi della Gnam di Roma dal titolo The reverse grand tour, realizzato nell’arco di un anno, durante il quale l’artista ha posto in essere una sorta di “residenza itinerante” fra le accademie straniere della capitale. Il risultato della sua ricerca dentro gli studi degli stranieri in residenza è stato la realizzazione di un video in cui sono gli stessi artisti ospiti a raccontare la propria esperienza in città. Si tratta di un “tour al contrario” che, partendo da Roma, attraversa le accademie internazionali, investigando i luoghi dove è nato questo modello, al fine di esaminare le relazioni esistenti all’interno di ogni struttura. L’artista realizza in questo modo una fotografia d’insieme della città e una riflessione, in generale, sulla relazione che sussiste oggi tra artista e società. Il progetto si sostanzia poi con l’installazione di quindici fotografie con cui l’artista compone il suo tour alla rovescia. Si tratta di scatti che immortalano l’interno degli studi vuoti, ma ciascuno aperto verso la città e, paradossalmente, avulsi dal contesto circostante. Ogni studio fotografato da Valerio è in realtà uno sguardo sagace e cercato sull’intimità di chi vi abita, un ritratto in absentia che diviene un modo nuovo di


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intendere la residenza d’artista, intesa come esperienza di condivisione prima ancora che di pratica sperimentale pura. La scelta di ospitare il progetto di Valerio Rocco Orlando nelle sale della Gnam è dettata dalla storia, da una Roma capitale che si preparava al suo primo appuntamento internazionale grazie proprio all’Esposizione universale del 1911, realizzata a Valle Giulia, quest’ultima battezzata “Valle delle accademie”. Rocco Orlando ci conduce a ritroso nel tempo, a un’epoca in cui l’educazione passava necessariamente dall’Italia, quando cioè la politica, la cultura e l’arte del Belpaese costituivano una condizione essenziale di consapevolezza e di apprendimento. Mediante il suo racconto per immagini, appare dunque chiaro che gli artisti scelgono spesso un’osservazione avulsa dalla città, protetti dietro finestre che difficilmente sono lasciate aperte ad una reale contaminazione con il luogo sul quale si affacciano. Gli studi e gli appartamenti fotografati da Valerio appaiono come incantevoli oasi da cui osservare a distanza la realtà contingente. Nei suoi lavori etica ed estetica sono inseparabili e la partecipazione e la conoscenza attraverso le immagini sono dunque allo stesso tempo uno strumen-

to e un obbiettivo di cui oggi, come interlocutori in qualche modo privilegiati della società, dobbiamo assolutamente tener conto. Conclude l’artista: «Universale significa andare nello stesso verso, stare nella mente e nella pratica senza distinzione, e in questo senso la condivisione attraverso la fiducia, non solo dell’altro, ma nello stesso legame sociale, costituisce una delle chiavi centrali del mio lavoro. Se la domanda che può riassumere la mia indagine in generale è in che modo ci apparteniamo gli uni agli altri, proprio a partire dal mio vissuto personale, attraverso un delicato processo di immedesimazione e di esperienza diretta con la realtà, tento di riconnettermi con il sentire altrui, al puro scopo di restituire la ricerca di un senso comune. Penso sia totalmente anacronistico continuare a operare in modo isolato all’interno del proprio studio o solo in contesti deputati, producendo opere che hanno spesso il solo risultato di allontanare il pubblico. La bellezza delle immagini è essenziale al coinvolgimento dell’altro, è la soglia che innerva il dispositivo stesso. Se pensiamo all’arte come a un’avanguardia di massa, tanto è importante la motivazione e il processo quanto la sintesi formale e concettuale dell’opera finale».

VALERIO ROCCO ORLANDO QUESTO SA FARE: SCENEGGIARE LA QUOTIDIANITÀ PER RENDERLA UN MERAVIGLIOSO SPAZIO NARRATIV0 ELEGANTE ED EMOZIONATO. LUI NON È AFFATTO UN DOCUMENTARISTA MA UN NARRATORE DI STORIE IN CUI FICTION E REALTÀ, DESIDERIO E MALINCONIA SI INTRECCIANO CAROLINE CORBETTA


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TRA REALTÀ E ILLUSIONE Le installazioni e i disegni di Sumakshi Singh richiamano l’attenzione dello spettatore parlandogli in modo suadente, come farebbe chi invita alla concentrazione, non alzando il volume ma abbassandolo, quanto basta a incoraggiare l’uditorio a mettersi in ascolto di SARA RELLA

Sumakshi Singh Mapping the memory Mandala, 2008


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l gioco tra realtà e illusione, il virtuosismo delle miniature e l’equilibrio dei grandi spazi, lo sguardo rieducato alla scoperta del casuale e del familiare. Le installazioni e i disegni di Sumakshi Singh, richiamano l’attenzione dello spettatore parlandogli in modo suadente, come farebbe chi invita alla concentrazione, non alzando il volume ma abbassandolo, quanto basta a incoraggiare l’uditorio a mettersi in attento ascolto. Pensando agli esordi della tua ricerca artistica, quali sono gli elementi che permangono nei tuoi lavori più recenti e da quali ispirazioni e riflessioni muovono? «Nei lavori dei miei primi anni in accademia erano già presenti elementi che in futuro avrebbero fatto parte delle mie installazioni; in questi primi disegni ricorrono forme frammentate che confluiscono le une nelle altre, in cui è difficile distinguere dove queste abbiano inizio e dove finiscano. In altre opere dello stesso periodo sentivo l’esigenza di superare la costrizione dello spazio rettangolare, lo percepivo come una contrazione che trattiene la forma e le

impedisce di emergere; giocavo con queste opere di grandi dimensioni modellandone i margini in forme diverse, studiavo la possibilità che il perimetro potesse far risuonare l’eco dei segni presenti nell’opera. Ho iniziato ad appassionarmi a questo tema e a costruire questo tipo di linguaggio dopo aver visto più volte le pitture dei templi di Ellora e Ajanta; se osservi attentamente questi dipinti, alcune figure sullo sfondo costituiscono come delle isole di immagini, per apprezzarle devi creare una connessione tra loro e inventare una narrazione, ogni qualvolta hai una nuova occasione di osservarle, la narrazione cambia; ecco, c’è qualcosa in quello spazio o in quel vuoto tra quelle immagini che è estremamente attivo, pulsante di possibilità, questo qualcosa ha catturato il mio interesse ed è presente in molte mie opere». Dopo aver concluso la prima parte dei tuoi studi a Baroda in India, hai completato la tua specializzazione a Chicago. Come i due modelli educativi hanno contribuito alla tua formazione artistica? «Nel mio college, in India, gli insegnanti

L’ARTISTA

Sumakshi Singh

1980 Nasce l’11 luglio a Nuova Delhi

2001 Si laurea in Belle arti e storia dell’arte alla Maharaja Sayajirao university di Baroda

2003 Consegue il master in Belle arti, pittura e disegno alla School of the art institute of Chicago

2005 Vince una borsa di studio alla Richard H. Driehaus foundation

2008 Partecipa alle esposizioni: Engendered, al Lincoln center di New York; Nature and the City all’Indian Habitat center di Nuova Delhi

2009 Vince la borsa di studio Unidee città dell’arte promossa dalla fondazione Pistoletto e finanziata da Ermenegildo Zegna

2011 Partecipa con l’installazione Circumferences forming; always transforming, now reforming and leaving centers everywhere alla mostra Indian highwa, a Lione e Roma dove espongono alcuni tra i più importanti nomi dell’arte contemporanea indiana

A destra: Average utopia (particolare), 2006 cortesia dell’artista A sinistra: Sumakshi Singh


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PER QUALCUNO COSÌ GIOVANE NON SOLO LE SUE IDEE SONO ACUTAMENTE PERCETTIVE MA ANCHE L’ESECUZIONE DEI SUOI PENSIERI È ALTRETTANTO INNOVATIVA. SE A BARODA HA APPRESO L’IMPORTANTE LEZIONE “NON FORZARE O NON PREVARICARE LA TUA TELA, ASCOLTA L’INTUIZIONE PIUTTOSTO”, OGGI LEI ASSERISCE “UN ARTISTA OGGI PUÒ ESSERE A FEDELE A SE STESSO E ALL’ARTE SOLO SE ESCE DALLA SCATOLA BIANCA INTELLETTUALE ED ENTRA NELLA QUOTIDIANITÀ PER RICONSIDERARE LE OVVIETÀ CHE SONO FAMILIARI NONIKA SINGH

PERSONALI 2008/09 Peel till they bloom Kashya Hildebrand gallerie, Zurigo 2008 Mapping the memory Mandala Camargo foundation Francia Mapping the studio Sculpture space Utica, New York 2006 Lumps, bumps and things that are art Van Harrison gallery New York Average utopia Catwalk, Catskills New York 2005 Elsewhere Halsey gallery Charleston, Usa 2004 Absence and extension Sub-city projects Chicago Flux 12 by 12 Museum of contemporary art Chicago 2003 Void Gallery 400 Chicago

GALLERIA Exhibith 320 Nuova Delhi www.exhibith320.com

QUOTAZIONI N. d.

SITO www.sumakshi.com Circumferences forming; always transforming, now reforming and leaving centers everywhere, 2011 (particolare)


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A destra: Animated suspencion: Halfway here, 2011 In basso: Circumferences forming always transforming, now reforming and leaving centers everywhere, 2011 installazione per Indian highway al Maxxi di Roma A pagina 60: Peel till they boom, 2008 cortesia dell’artista

non avrebbero mai parlato del contenuto della tua opera, nessuno ti avrebbe mai rivolto la domanda: “di cosa tratta il tuo lavoro?”. La discussione era invece orientata a osservazioni molto specifiche, si soffermava su piccoli dettagli, su elementi minimi, come quando ci sofferma a gustare i sapori che compongono il masala – mistura di spezie tipica della cucina indiana ndr – ed era come se il contenuto emergesse spontaneamente tra questi sottili particolari, in un risultato cumulativo; come avviene nella visione di un buon film, la successione delle singole sequenze e la relazione tra esse fa emergere il senso della scena. Quando ero negli Stati Uniti era pressoché il contrario, perché prima di tutto si sarebbero interrogati sul contenuto, come se ti chiedessero “Che piatto è?”, per poi domandarti con quali spezie è condito. Al college in India gran parte del lavoro era dedicato al raggiungimento di uno spazio interiore che non appartiene alla mente, non al sé emozionale, non al sé psicologico, ma che è più profondo. Se entri in contatto con questo spazio interiore mentre lavori a un’opera, e questo può accadere durante la sua intera realizzazione o per pochi istanti, automaticamente l’opera diventa generosa verso l’osservatore perché durante la sua creazione hai toccato un punto comune, che appartiene a tutti. Nella mia esperienza negli Stati Uniti l’arte era strettamente legata al linguaggio e alla comunicazione, l’attenzione era rivolta a cosa vuoi trasmettere con un determinato messaggio, questo particolare punto di vista tiene maggiormente in considerazione l’aspetto psicologico dello spettatore». Cosa è derivato dal confronto tra le due realtà urbane? «Ricordo che ero appena arrivata negli Stati Uniti dall’India, venivo da un posto dove gli alberi crescono a ridosso delle case, dove la natura si lega all’architettura ur-


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CON QUESTI CENNI PICCOLI, MINIMALISTI E COMPRESSI, SINGH INTENDE FARCI PERDERE I NOSTRI RIFERIMENTI. SIAMO INDOTTI A CERCARE CON CONCENTRAZIONE ARTE, QUALUNQUE ARTE ALL’INTERNO DEGLI ECCENTRICI RESTI DI ATTIVITÀ ORMAI TRASCORSE E DI SPAZI VUOTI E IMPROVVISAMENTE OGNI COSA SEMBRA ESSERE POTENZIALMENTE ARTE POLLY ULLRICH

bana in un’interazione organica, mi ero trasferita a Chicago dove gli alberi sono uniformi, dove la natura è accuratamente programmata e delimitata in spazi pensati per essere efficienti e funzionali. Ho iniziato così a interessarmi al linguaggio dell’erba che spunta indesiderata dal ciglio della strada, che fa la sua comparsa senza essere stata invitata, sovversiva rispetto all’idea del controllo sull’ambiente. A partire da queste osservazioni ho realizzato i miei primi microinterventi sulle pareti, inserendo miniature come parte di un microcosmo, in cui non era possibile più distinguerne i limiti fisici dell’opera, dove anche l’imperfezione del muro entrava a far parte dell’installazione. Questo era esattamente ciò che stavo cercando nel mio lavoro; sbarazzarmi di quella cornice che avrebbe definito: questo appartiene all’opera, questo no; questo è lo spazio positivo, questo è lo spazio negativo». Come reagisce il pubblico ai tuoi microinterventi sulle pareti? «Quando le persone fanno ingresso nello spazio espositivo sentono l’urgenza di stabilire cosa è parte dell’opera e cosa non lo è. Nel caso in cui riconoscano uno degli elementi come appartenente alla composizione sono nella condizione di includere ogni cosa nell’opera o di escludere tutto, ovvero non possono applicare una serie di regole e di criteri a un solo elemento e non fare la stessa operazione su tutti gli altri. È anche accaduto che mi chiamassero da una fermata della metropolitana di Chicago dicendomi “Qui sulla parete c’è una fessura con un fungo, è opera tua?”, è divertente. Questo avviene perché una volta che lo sguardo si è esercitato nel gioco di attenzione e di ricerca, questo modo di osservare le cose prosegue oltre lo spazio della galleria. Mi piace pensare di ristabilire continuità tra la galleria e il mondo esterno, riallacciare un contatto che è spesso interrotto.

BOTTA E RISPOSTA L’arte della vita in 10 domande Cosa sognavi di diventare da grande? «Ho sempre saputo che sarei diventa un’artista. Quando avevo appena due anni e qualcuno mi chiedeva cosa farai da grande?, rispondevo: sarò un’artista!». Come sei diventata un’artista? «Ho sempre disegnato e dipinto ma durante le scuole superiori mi sono appassionata allo studio delle scienze e della fisica, questo è stato l’unico momento in cui ho pensato che avrei cambiato il corso della mia carriera e mi sarei dedicata all’astrofisica». Cosa vorresti essere se non fossi un’artista? «Mi sto esercitando molto nella meditazione e sto provando a diventare una brava yogini (praticante dello yoga, ndr)». Hobby, passioni? «Amo meditare, cantare, le escursioni nella natura, fare visita a persone sante, non ne ho incontrate molte, solo tre; amo visitare posti che siano fonte d’ispirazione». Come definiresti la tua arte? «Auspicabilmente difficile da definire». Come definiresti la tua vita? «Molto aperta, cerco di essere attenta a ciò che accade e di dare del mio meglio. Cerco anche di evitare di dare definizioni». Ci sono valori eterni, nell’arte o nella vita? «Sì, assolutamente, credo nell’impegno verso l’integrità del proprio essere e verso il proprio potenziale più alto, sia esso verità, gioia o amore. C’è un assoluto, tutto il resto è relativo e grigio, ma c’è un punto fondamentale che tu puoi toccare e non ha sfumature: è chiaro, integro e non vi è dualità. Il mondo è dualità ma al di là di esso, in quel centro immobile che è il centro della vita, non vi è dualità». Chi sono i tuoi maestri nell’arte o nella vita? I miei maestri di vita sono Swami Kriyananda e Paramhansa Yogananada. Nell’arte ammiro Olafur Elliason e James Turrell». Cosa trovi interessante oggi? Credo ci sia, ormai da tempo, una sorta di eccessività nel modo di vivere, una spinta continua a desiderare e accaparrare beni di ogni tipo. E credo che ora stia iniziando una reazione contraria a questa tendenza, molti tornano indietro, guardano più all’essenziale e a cosa li rende davvero felici, e questo accade perché la maggior parte dei sistemi sta fallendo. Nell’arte si pongono domande interessanti rispetto a questo cambiamento». Cosa non sopporti di questo tempo? «L’apatia, l’atteggiamento che ti impedisce di relazionarti e di impegnarti con ciò che ti accade intorno, di mettere energia in ciò che fai e di cambiare le cose per il meglio».


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Per me l’arte dipende da come osservi e non da cosa osservi, è nei tuoi occhi. Mi incuriosiscono molto le osservazioni del pubblico e il loro movimento mentre cercano di identificare le singole parti del mio lavoro, talvolta i loro spostamenti nello spazio creano la coreografia inconsapevole di una danza. Più che inventare mi interessa puntare il riflettore su un elemento familiare che appartiene alla quotidianità per farlo emergere nella sua potenzialità espressiva, è poi compito dell’osservatore conferirgli un nuovo senso, riconoscendolo come parte della composizione artistica. Attraverso la meditazione, ho compreso che nel mio modo di fare arte ciò che tentavo di ottenere dall’osservatore, era uno stato precognitivo che precede la mente, lo stesso stato che tento di raggiungere mentre lavoro, uno stato in cui le cose non hanno ancora un nome. In questa particolare condizione puoi osservare una singola entità come se la vedessi per la prima volta, creando un’apertura che ti permette non solo di osservare quella determinata entità ma anche lo spazio tra le cose. In quello spazio tra le cose c’è una sorta di unità, quell’unità essenziale dove gli elementi iniziano ad entrare in relazione. Per questa ragione nei miei lavori cerco di ricreare una sorta di

tensione materiale, cercando di collocare ciò che è chiaramente realizzato da me accanto a qualcosa che sembra essere lì accidentalmente, per indurti ad andare oltre l’individuazione dell’elemento artistico e di quello casuale, e ad apprezzare l’unità tra queste apparenti contraddizioni». L’interesse per gli oggetti di uso comune e la percezione della loro familiarità riguarda anche i lavori che definisci interventi percettivi, di cosa si tratta? «Un esempio di intervento percettivo è Mapping the memory mandala, in questa installazione ho riprodotto, nel mio studio in Francia, gli oggetti e l’ambientazione del salotto della casa dei miei nonni in India. Dopo la scomparsa del nonno, gli oggetti e gli interni di quella casa avevano perso improvvisante la particolare familiarità che li aveva sempre contraddistinti ai miei occhi. Ho dovuto quindi rinegoziare il mio rapporto con loro. Ho creato una mappa fedele di quell’ambiente e ho riprodotto, disegnando con gessi colorati sulle superfici e sui mobili presenti nel mio studio, le tende, l’arredo e gli oggetti di quel salotto visti da una prospettiva frontale. Quando lo spettatore vi si trova davanti è l’impressione determinata dall’illusione a prevalere, ma non ap-

pena cambia angolazione oppure entra nell’installazione, si accorge che virtuale e reale coesistono nel medesimo spazio. Contemporaneamente lo spettatore può guardarsi attraverso un video che proietta la sua immagine mentre si muove nell’illusione credibile dell’ambiente ricreato, al punto che è più semplice percepire la propria collocazione nello spazio attraverso l’immagine mediata del video, che attraverso l’esperienza diretta. In un altro progetto, realizzato per l’Indian Art Summit, ho lavorato alla riproduzione tridimensionale, questa volta in bianco e nero, della mia stanza a Delhi. Ho voluto dare risalto a quelle particolari azioni che fanno di una stanza qualsiasi la mia camera da letto. Viaggiando sempre molto in giro per il mondo è difficile identificare un determinato posto come mio, ecco allora che ripetere alcune azioni rituali, come quella di bere un caffè, può darmi la sensazione di essere a casa. Per ricreare la suggestione della mia stanza ho elaborato, attraverso un gioco di video e di disegni, una serie di animazioni. Questi lavori nascono da domande circa l’illusione, la metafora, il virtuale, la percezione e la conoscenza, su cosa è reale e su quali mezzi abbiamo per riconoscerlo».


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SURREALI IMMAGINI ONIRICHE Alex and Felix sono un duo di artisti svizzeri eclettico e raffinato che descrive la realtà attraverso scatti dallo stile ricercato e ironico. Costruiscono gli scenari a mano e bandiscono l’utilizzo del computer: «Ci piace trasmettere naturalezza» Le loro mostre girano il mondo. Il segreto? «Le persone apprezzano la fantasia del linguaggio visivo scherzoso»

di ALESSANDRO CARUSO

L’

errore più grande che si possa commettere nel valutare Alex and Felix è quello di affibbiargli un’etichetta preconfezionata che li cataloghi all’interno di una tendenza definita. La verità è che i due fotografi svizzeri rappresentano la concezione più semplice e pura della creatività e della fantasia. Nelle loro composizioni è sintetizzata con stile raffinato e ironico una visione della realtà che non risponde a chiavi di lettura standardizzate ma è semplicemente una rielaborazione di immagini e storie tratte dalla quotidianità. Due artisti, dallo spirito brillantemente curioso, che osservano, respirano, annusano, toccano e reinterpretano qualunque oggetto

Sopra: Alex and Felix We are Family serie Under constructions 2011 A destra: queen Tin serie 13 Queen 2009


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o individuo che solletichi l’ingegno. Il risultato sono fotografie dal linguaggio visuale molto sofisticato. Come nella celebre serie 13 Queen, dove gli scenari apparentemente postapocalittici fanno da sfondo a immagini di donne idealizzate, vestite con oggetti simbolo della quotidianità: la pipa, due fette di pane, i vinili, una radio o una gruccia a cui è appeso un contenitore. Un equilibrio addolcito dalla regalità dei fiori, una nota di colore che sembra riconciliare tutti gli elementi, fino a dare un tocco quasi onirico: «Le regine per noi sono come fogli bianchi – dicono i due – che simboleggiano come tutto sia possibile. Ci piace creare i personaggi da nuove storie, mescolando le contaminazioni ricevute in differenti contesti, anche se legati al passato». Questi sono Alex and Felix: la personificazione della libertà del genio creativo. La loro storia è degna dei più devoti poeti maledetti: «Ci siamo conosciuti a una festa – raccontano – e dopo quattro litri di rum e venticinque di birra abbiamo pensato di progettare i primi scatti, dai quali è subito emersa la nostra intesa. Ci è voluta un’overdose di film horror e giornali per iniziare a costruire la nostra dimensione». Per i due artisti la ricerca creativa inizia con la suggestione dettata da un particolare della realtà senza filtri o schemi: «Siamo come spugne – rivelano – possiamo essere influenzati da una partita di calcio come da un quadro medievale». Poi inizia un’accurata forgiatura del concetto, che passa attraverso le più diverse arti creative, dalla pittura al fumetto, fino

LA LORO RICERCA INIZIA CON LA SUGGESTIONE DI UN PARTICOLARE DELLA REALTÀ: «SIAMO COME DUE SPUGNE CI PUÒ INFLUENZARE UNA PARTITA DI CALCIO O UN QUADRO ANTICO»


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alla scultura, prima di arrivare alla stampa fotografica. La peculiarità dello stile deriva dalla costruzione a mano degli scenari. Una scelta voluta, per trasmettere, con i loro lavori, l’impressione della naturalezza e mai quella dell’artificialità. Oggi Alex and Felix riscuotono grande popolarità. Negli ultimi anni hanno esposto in molte gallerie nel mondo, dal Museum of photography di Los Angeles, nel 2009, alla Amstel gallery di Amsterdam, nel 2011. Il 19 maggio si è conclusa in Italia l’ ultima collettiva, intitolata Dreamers, a palazzo Tagliaferro, il centro di cultura contemporanea di Andora (Sv). Un’esposizione curata da Nicola Davide Angerame, che ha accolto opere scultoree, fotografiche e di pittura digitale di artisti internazionali che hanno costruito scenari e modelli umani legati a possibili altre dimensioni. Ma quali sono le ragioni di tanto successo? «Ovunque riscontriamo in molta gente un forte interesse per il nostro scherzoso linguaggio visuale», confessano i due. In questo momento Alex and Felix lavorano sulla prossima collezione. Si tratta di due serie. La prima dal titolo Behind, in cui desiderano mostrare i differenti ruoli delle persone nella società. L’altra è Archetyp, con cui giocano sugli archetipi contemporanei in una stanza con più di cinquemila lampadine. Ci vorrà la seconda metà dell’anno per vederli di nuovo in mostra. «Non sappiamo ancora quando – anticipano – ma le prossime tappe potrebbero essere in Olanda e in Svizzera».

Alex (a sinistra) e Felix (a destra) Sopra: P 3 n. 3 serie Behind, 2013 Nella pagina a fianco: Queen Marzipan serie 13 queen, 2009

GLI ARTISTI Alex Gertschen è nato a Lucerna il 27 febbraio 1968. Ha cominciato il suo percorso creativo con l’arte orafa. Dopo aver svolto un impegnativo apprendistato in fotografia è diventato fotografo professionista. Felix Meier è nato a Lucerna il 4 giugno 1969. Il primo approccio con l’estro lo ha avuto quando ha lavorato, giovanissimo, come parrucchiere, per poi iniziare a dedicarsi alla sua specializzazione come graphic designer. Info: www. alex andfelix.c om


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CON LA PUZZA DI STRADA ADDOSSO Christian Guémy in arte C215 lascia tracce su ogni muro Fra stencil, Caravaggio e peccato le parole di uno street artist che non riesce a stare lontano dai marciapiedi: «È tutta colpa di mia figlia» di ALESSIA CARLINO

«S

ono arrivato a Roma percorrendo le strade della città come fossi un pellegrino, lasciando traccia del mio passaggio nelle opere che ho disegnato sui muri della periferia. Quei segni rappresentano una riflessione sulla vita, sulla religione e sul concetto di colpa». Così C215, pseudonimo del francese Christian Guémy, definisce il suo percorso artistico, come se la street art, la forma contemporanea più diretta di espressione creativa, ripercorre le antiche tracce, lasciate secoli fa, dagli uomini che lungo il cammino della via Francigena affrontavano il duro tragitto verso i centri della cristianità. Guémy rivela le fasi del suo pellegrinaggio a Roma attraverso

le opere che ornano, da qualche mese, le strade capitoline seguendo la scia di matrice caravaggesca che l’artista francese sente molto vicina alla sua estetica. I soggetti privilegiati di C215 sono i disagiati, gli ultimi, le persone dimenticate dalla società. Il tratto forte e l’utilizzo del chiaroscuro sono le caratteristiche dominanti della sua tecnica, segni tangibili di una sapiente ricerca creativa. La galleria Wunderkammern di Roma ha recentemente dedicato all’artista originario di Bondy un’esposizione personale intitolata Mea culpa dove sono state presentate al pubblico una serie di opere legate al concetto cristiano di colpa e di peccato. Al telefono da Haiti C215 ha parlato con noi della sua poetica e dei suoi lavori, in un’intervista per capire come il

fenomeno della street art stia evolvendo in questi ultimi anni. Durante il primo periodo di attività artistica hai sperimentato ogni sorta di tecnica pittorica. Quando hai deciso che l’utilizzo degli stencil fosse lo strumento adeguato per esprimere il tuo lavoro? «Ho cominciato a utilizzare gli stencil nel 2006, dopo l’incontro con differenti artisti di Parigi, per la presentazione del primo libro di poesie che ho illustrato. La causa scatenante è stato il desiderio di creare un ritratto di mia figlia vicino casa». Durante un’intervista a una web tv francese descrivi la nascita di tua figlia un impeto, una sorta di rigenerazione. Com’è cambiata la tua visione artistica dopo questo evento?


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STREET ART Quanto costano le opere Pensare che la street art sia solo roba da adolescenti ribelli intrisi di cultura Hip hop è un grande errore. Lo sbaglio, in questo caso, sarebbe sottovalutare un fenomeno importante dell’arte contemporanea che porta questi artisti, spesso venuti dal nulla, a diventare delle star internazionali come ll caso di Banksy. Non fa eccezione, ovviamente, Christian Guémy, in tag C215, che contemporaneamente a un’attività di writer illegale vera e propria non nasconde la sua partecipazione al mercato dell’arte riscuotendo fra collezionisti e appassionati anche un certo successo. Le sue opere infatti sono quotate dai mille ai 7.200 euro.

«Semplicemente non ero un artista prima della sua nascita, ho scelto questo percorso dopo essere diventato padre. È per lei che ho cominciato a dipingere sui muri, il suo ritratto, infatti, si trova in diversi luoghi nel mondo. C’è una stretta connessione tra la mia arte e mia figlia, l’arte è la mia dedizione verso di lei». Quali sono i soggetti privilegiati dei tuoi lavori? «I protagonisti delle mie opere sono volti di persone anonime. Ritraggo anche i miei amici, street artist che conosco e persone uscite fuori dalla mia vita, ma sopra ogni cosa mi piace dipingere i soggetti che vivono ai margini della società, i disagiati e i bambini che incontro per le strade del mondo». Quando hai deciso di ricostruire te stesso attraverso l’arte? Hai parlato di un’epifania, com’è avvenuto questo processo? «Per me è stato un percorso graduale, passo dopo passo mi sentivo meglio e ho scoperto il dolore. Credo sia stata questa la mia epifania, l’arte mi ha risvegliato da un periodo della mia vita molto difficile». A Roma hai lasciato diverse opere sui muri della città, quale significato hai voluto dare a quella che hai definito un ex voto (per grazia ricevuta)? «Ho lasciato il lavoro su una parete di Torpignattara quando sono arrivato a Roma per allestire l’esposizione nella galleria Wunderkammern. Il disegno origi-


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L’ARTISTA

Christian Guémy Metropolitan, 2012 A destra: l’artista A sinistra: Untitled, 2013 Sotto: Roma aeterna, 2013

Christian Guémy, aka C215, nasce a Bondy, vicino Parigi, il 18 ottobre 1973. La sua formazione universitaria è incentrata sullo studio della storia dell’arte, alla Sorbonne consegue un dottorato di ricerca con una tesi dedicata al patrimonio ecclesiastico francese del XVII secolo. L’attività artistica comincia nel 2005 con le prime sperimentazioni con gli stencil. Nel 2008, grazie a Banksy, partecipa al Cans festival di Londra che sancisce la sua definitiva consacrazione a livello internazionale. Oggi le opere del francese decorano le metropoli di tutto il mondo, nonostante la notorietà raggiunta nelle sedi istituzionali di cultura, C215 non abbandona il suo forte rapporto con la strada. Info: www.flickr.com/ photos/c 215/ show

nale si intitola Christian, ho deciso di imprimere una sorta di firma strettamente legata alle opere di matrice religiosa esposte nella mia mostra». Recentemente hai affermato che non vai in un luogo per dipingere, bensì dipingi in qualsiasi luogo vai. Spiegati meglio. «La mia intenzione non è di farmi pubblicità, non scelgo un luogo per dipingere e avere così maggiore visibilità. Sto lasciando delle tracce dietro il mio passaggio, ovunque mi trovi, questo per me è lo stile di vita di un artista urbano». Fai parte della prima generazione di artisti autodidatti provenienti dalla strada che sono stati riconosciuti dalle più importanti istituzioni culturali. Secondo il tuo punto di vista come sta cambiando il fenomeno della street art in questi ultimi anni? «Credo che la street art si stia identificando sempre di più con una nuova generazione di creativi a cui vengono commissionati dipinti per decorare i muri cittadini grazie all’autorizzazione delle istituzioni. Questo è un fenomeno completamente diverso, lo spirito è diverso e la poetica dell’arte metropolitana piano piano penso stia svanendo». In conclusione Christian quali progetti ti aspettano in futuro? «Nel 2014 il museo di arti decorative di Parigi ospiterà una mia personale, credo sia questo il progetto più importante che mi attende».


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POLVERE DI FERRO Francesco Di Luca è un giovane scultore di talento. Il suo è un mondo di lamiere e metallo smaltato in cui si racconta la condizione umana. Una ricerca che lo ha portato in molte città di PAOLA BUZZINI

F

erro in polvere, lamiere e metallo smaltato. Le sculture di Francesco Di Luca riescono a trasmettere la profondità del messaggio nonostanze la freddezza dei materiali utilizzati. La sua è una ricerca sulla condizione umana che lo ha portato in questi anni a interrogarsi sul senso del vuoto per arrivare al tema dell’inizio e la fine delle cose. «La scultura è il mezzo che più mi è congeniale» spiega, mentre il mondo dell’arte comincia ad accorgersi di lui. Velasco Vitali lo ha indicato come uno dei più validi artisti emergenti. Di Luca ringrazia e continua a viaggiare e sperimentare, guardando i lavori di Aron Demetz e Giuseppe Penone come gli esempi attualmente più stimolanti.

Francesco, la scultura non è una delle tecniche che viene generalmente scelta dai giovani artisti. Come mai hai fatto questa scelta? «La scultura non è semplice, ha bisogno di un approccio diverso rispetto alla pittura e a tutte le altre arti visive. Ha bisogno di tempo. Tempo per essere creata, guardata, commentata, metabolizzata e forse ancora non basta. La scultura è semplicemente il mezzo che più mi è congeniale». Riesci a definire con pochi aggettivi il tuo percorso artistico? «Coerente e costante da molti anni. È cambiato nella forma ma non nel significato. Da sempre è una riflessione sulla condizione umana». Le tue opere sono un mondo di lamiere,

metallo smaltato, una vera congiunzione di pezzi. Rispecchia la tua visione della società di oggi? «Per un periodo le mie opere sono state armature, corazze, specchio dell’apparire. Era il pretesto per iniziare un’indagine più complessa sul vuoto e i suoi significati. Per esempio le opere della serie Il senso dell’assenza vogliono proprio rappresentare il mondo e la società contemporanei. In questa serie ho voluto esprimere la naturale conseguenza della crisi attuale. Nella mia mostra personale Cocon, tenutasi alla galleria Fabbrica Eos nel 2010, ho indagato il vuoto nella sua forma più oscura. Oggi sto cercando un percorso diverso: mi attraggono molto la fine e l’inizio delle cose».


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Francesco Di Luca Senza titolo, 2012 foto Giorgio Gori


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Il corpo è spesso l’elemento centrale dei tuoi lavori. Ma è solo contorno. Dov’è il contenuto? «Per molto tempo ho descritto l’uomo e le sue fattezze attraverso un abito. Le sculture sono diventate simulacri vuoti di un corpo divenuto cenere e polvere di ferro. Proprio utilizzando la polvere, che è lo scarto prodotto dalla saldatura, è iniziata una nuova serie di lavori intitolata Skin, dove il corpo torna a essere il protagonista unico della scena. Prende forma in nuove creazioni antropomorfe, situate in bilico fra la creazione e la distruzione».

Utilizzi la fotografia e il computer prima di approdare alla realizzazione fisica. Nessuna opera è nata senza progettazione? «Utilizzo la fotografia come strumento per prendere appunti e il computer per immagazzinare immagini ma la realizzazione delle opere avviene sempre di getto. Molte volte senza nessuna progettazione. Disegno molto, trovo sia ancora il modo migliore per fermare il concetto, soprattutto da quando è nata mia figlia e il tempo scorre in modo diverso». In questo periodo a che tipo di sperimentazione estetica ti stai dedicando?

«Mi sto interessando molto alla pelle, all’epidermide come elemento di confine e protezione. Il ferro rimane sempre il materiale prediletto. Le tecniche sono le più diverse: passo dalla saldatura al disegno, dalle resine al taglio laser. Le sculture di farfalle, per esempio, sono una somma di queste tecniche e di questi materiali. Sperimento costantemente, consapevole di trovare la bellezza fra gli errori del caso». Cosa ne pensi del panorama dell’arte contemporanea all’estero? «L’arte fuori dal Belpaese è diversa, soprattutto i meccanismi legati ad essa. Negli ultimi


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NELLA MIA MOSTRA PERSONALE COCON ALLA FABBRICA EOS NEL 2010 HO INDAGATO IL VUOTO NELLA SUA FORMA PIÙ OSCURA OGGI STO CERCANDO UN PERCORSO DIVERSO MI ATTRAGGONO LA FINE E L’INIZIO DELLE COSE A sinistra: Padre, 2012 foto Giorgio Gori Sotto: Notte, 2012 foto Dario Fumagalli

L’ARTISTA Francesco Di Luca è nato a Milano l’8 giugno 1979. Il suo percorso d'artista ha seguito tutte le più importanti tappe formative: maturità artistica e diploma all'accademia delle Belle arti di Brera. Ha iniziato a esporre da quando aveva vent’anni, prima in mostre collettive e grazie alla partecipazione ad alcuni concorsi, fino ad arrivare alla prima personale dieci anni dopo. Ha partecipato a molte fiere italiane e internazionali come Affordable art fair, The road to contemporary e art Verona. Le sue esposizioni più importanti sono avvenute in istituzioni culturali del calibro di Hangar Bicocca e Palazzo Reale. La galleria con cui collabora da diversi anni è Fabbrica Eos di Giancarlo Pedrazzini a Milano. Le quotazioni vanno da 600 a 16.000 euro per le sculture, da 500 a 7.000 per i dipinti su ferro e da 200 a 400 per i disegni su carta. Info: www. fra nc es codiluc a.c om

anni ho viaggiato molto in Europa, visitando città come Madrid, Berlino, Basilea, Colonia e Londra. Ho sempre trovato musei favolosi gestiti in maniera esemplare con ottime mostre e artisti molto interessanti. A Pechino ho visitato il famoso Artdistrict 798 dove ho avuto la fortuna di dare un’occhiata all’allestimento della personale di Zang Huan, grandissimo artista. Ho percepito l’importanza e la forza della tradizone nell’arte cinese. A New York mi sono entusiasmato entrando negli enormi spazi delle gallerie. Mi ha colpito soprattutto quanto sia importante la nuova arte dei giovani. A Mel-

bourne ho capito quanto sia importante difendere gli artisti della propria nazionalità». Quali artisti ti piacciono? Velasco Vitali ha parlato spesso bene di te; ti senti vicino a un’artista come lui? «Velasco lo stimo molto. Ha un grande carisma. Indubbiamente lui, come molti altri artisti, ha formato direttamente o indirettamente il mio percorso artistico. Giuseppe Penone forse è l’artista che più mi attrae in questo momento; la sua ricerca e il suo modo di essere artista mi hanno sempre affascinato. Fra i giovanissimi sti-

mo Aron Demetz. Trovo il suo lavoro molto poetico ed estremamente coerente». Hai lavorato a quattro mani con Fabio Giampietro. Con chi altro vorresti lavorare? «Lavorare con Fabio è stato divertente, è successo per scherzo, senza nessun progetto. Lui voleva esprimere un concetto ma non riuscivamo a capirci a parole; allora abbiamo preso gli attrezzi e abbiamo cominciato. Io saldavo e lui dipingeva sopra. È stato bello confrontarsi. Ci vuole intesa, umiltà e fiducia. Non saprei con quale artista replicare quest’esperienza ma preferirei che fosse uno scultore».


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DA LILLE A ROMA Prosegue la sinergia tra le due città per i giovani artisti All’atelier Wicar Made of dust, visioni del quotidiano * di MARIE FERNANDEZ*

Mathilde Lavenne e Léonie Young sono due artiste poliedriche che lavorano a Lille, all'interno della Malterie, struttura pilota in materia di sostegno alla ricerca e alla sperimentazione artistica nel settore delle arti visive e della musica contemporanea. Il loro rispettivo metodo artistico si esprime attraverso svariati mezzi (disegno, fotografia, video e installazione) che costituisce per loro altrettanti modi di impossessarsi di elementi del quotidiano per mischiarli, associarli o giustapporli e farne emergere un universo ambiguo e fuori dal comune dominato dall'immaginario e dall'assurdo. Se la fotografia rimane il mezzo prediletto di Young nella sua ricerca di una poesia dell’assurdo del paesaggio urbano, la sua pratica artistica fa anche appello al video, all’installazione e al disegno. Niente di sorprendente quando il suo metodo incontra un’ eco nei disegni e nelle installazioni di Mathilde Lavenne, paesaggi mentali ed emozionali unici, creati anche loro a partire da elementi presi nel quotidiano. Al momento della selezione da parte della giuria per l’attribuzione delle residenze artistiche nell’atelier Wicar della città di Lille a Roma, presieduta dalla signora Catherine Cullen, assessore alla Cultura, Lavenne e Young, che hanno già avuto l’opportunità di collaborare insieme in passato, hanno dunque scelto naturalmente di presentare un progetto di residenza artistica comune intitolato Made of dust. Questa residenza a Roma è l'opportunità per le due giovani artiste di spingere il dialogo esistente tra i loro rispettivi passi artistici e di incrociare il loro universo verso la realizzazione di un’ opera in duo. Vera riflessione archeologico plastica sulla benzina, l’ossatura e l’armatura di un paesaggio, Made of dust si propone di mettere in luce il risvolto della medaglia, esplorando la città di Roma da un nuovo punto di vista. Con la creazione di installazioni che mischiano immagini e volumi, costruiti sullo squisito corpo della capitale, Young e Lavenne riusciranno ancora una volta, indubbiamente, a sconvolgere la nostra visione del quotidiano. *direttrice delle arti visive e attività espositive del comune di Lille

A destra: Mathilde Lavenne e Léonie Young progetto per Made of dust 2013


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IL LUOGO DEI PAESAGGI DI PIETRA Intervista con le nuove residenti dell’atelier Wicar Mathilde Lavenne e Léonie Young Indagine archeologica fra reale e immaginario ispirata dalla città eterna Un’installazione che fonde frammenti ritrovati a fotografie Un viaggio nell’anima di Roma e della periferia che rivela un cuore di marmo

di DAVIDE SOLLASCHI

D

eve essere strano vedere per la prima volta Roma, lasciarsi trascinare dalla città e realizzarci sopra un’opera. Deve essere difficile mantenere un certo controllo e non cadere nella tentazione di lasciare il timone in mano alla città eterna. Mathilde Lavenne e Léonie Young, nuove residenti nell’atelier Wicar, sembrano esserci riuscite rimanendo con i piedi per terra, puntando tutto sulla pietra, sul marmo e sul paesaggio. Ma cominciamo dall’inizio e lasciamo parlare direttamente loro. Qual è il vostro progetto ispirato alla città? «Il nostro lavoro si chiama Made of dust ed è un’opera d’esplorazione su Roma, un punto di vista diverso dal solito. Abbiamo ripreso l’idea di un cammino nella città esplorando, così, anche la

periferia e ciò che la circonda e scoprendo il nostro desiderio di studiare la capitale e il suo patrimonio culturale e artistico. Il lavoro è nato da un’idea archeologica del mondo moderno, punta alla materia e alla sua trasformazione fisica nel corso del tempo, analizza la storia dell’opera d’arte e delle sue rovine. Fondamentalmente è una riflessione sull’essenza, sul decoro e sull’armatura di un paesaggio che rende più chiaro il retroscena, ciò che di solito è coperto, che la scena stessa. In questo cammino archeologico preleviamo dal paesaggio degli elementi, degli oggetti rivelatori di questo patrimonio fatto di pietra e marmo. L’inventario che ne viene fuori è il frutto fra l’estrazione di questi particolari e il nostro immaginario. Abbiamo creduto di realizzare il lavoro come un’installazione che fonde immagine e massa, costruito come un


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LE ARTISTE Mathilde Lavenne, nata il 25 gennaio 1982, e Léonie Young, nata il 16 settembre 1981, sono le nuove artiste di Lille in residenza all’atelier Wicar da aprile a giugno. Hanno frequentato la Malterie, a Lille, in cui hanno scoperto le loro affinità. Hanno realizzato insieme a Roma Made of dust, nel quale si rivela la poetica delle due creatrici. Info: www.mathildelavenne.com www.leonieyoung.com

Accanto:

Mathilde Lavenne (a sinistra) e Léonie Young (a destra). A sinistra: studio per Made of dust 2013

bellissimo cadavere in un continuo oscillare fra le nostre due percezioni, quella reale e concreta con quella più immaginifica». Vista questa stretta comunione d’intenti, è la prima volta che lavorate insieme? «Diciamo che veniamo da un lavoro di ricerca comune nato dal nostro incontro alla Malterie. Entrambe abbiamo avuto il desiderio di concretizzare i problemi che legano i nostri cammini. Unite dalla riflessione sul decoro, sulla materia e sul viaggio, abbiamo realizzato il desiderio di creare delle installazioni insieme, mischiando disegni, fotografie e volumi». Quindi come avete operato praticamente in città? «Realizziamo dei prelievi sul territorio. Questo modo di lavorare ci è sembrato molto appropriato per Roma. Consideriamo, in-

fatti, questo progetto come un prolungamento del nostro percorso artistico, lo vediamo come un’occasione per uscire da quello che già conosciamo. La residenza è un periodo di ricerca privilegiato caro a entrambe. Una cosa è certa: l’esperienza accumulata per questo lavoro avrà un’influenza anche sulle nostre successive produzioni». Avete avuto con la città un rapporto profondo. Cosa ne pensate? «Roma è ricca e carica di storia anche se il nostro progetto ci ha condotte a studiarne la periferia. È lì che abbiamo scoperto un modo diverso di vivere la città, dove i paesaggi che abbiamo esplorato si allargano in profondi respiri. Possiamo dire che il nostro lavoro non poteva che realizzarsi qui, così legato com’è a un’idea archeologica molto vicino all’anima della città».


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A fianco: Davide Iodice Antonio Albanese della serie Extravolti, 2012 Sotto: l’autore foto Max Bertoli

L’ARTISTA Medico e musicista Davide Iodice nasce a Torino il 2 giugno 1980. Accantonata la laurea in medicina e chirurgia, decide nel 1999 di ritornare alla sua unica passione: l’arte. Riprende il percorso artistico concentrandosi sullo studio della musica classica ed elettronica, realizzando un lavoro musicosperimentale con la collaborazione dell’orchestra sinfonica bulgara e il virtuosismo dei synth di ultima generazione. Con la collaborazione di Dejan Pavlov, Alessandro Cardinale e Luciano Nieddu adatta i testi alla musica da lui scritta e interpretata nell’album d’esordio ”Delirica”. Da un anno si dedica al suo primo progetto fotografico intitolato Extravolti, realizzato con la collaborazione di noti esponenti della cultura che ha come intento la denuncia di tutti i meccanismi che frenano o impediscono lo sviluppo dell’arte in Italia. Info: www.davideiodice.it

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NOTE FACCE DA DENUNCIA

Extravolti coinvolge personaggi famosi in un’operazione di sensibilizzazione per il rilancio della cultura in Italia Il progetto raccontato dall’autore

di DAVIDE IODICE

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xtravolti è nata come sfida; volevo dimostrare e convincermi che ogni ambizione e progetto possono, con la determinazione e l’onestà, essere concretizzati. Due anni fa, durante una cena con amici, ho brindato all’idea di realizzare un progetto che denunciasse e proponesse soluzioni per affrontare la crisi culturale italiana; l’incredulità dei presenti di fronte alla difficoltà di una persona comune e non nota come me di convincere famosi artisti a “farsi schiacciare gratuitamente la faccia”ha dato il via a una sfida che oggi vuole essere ad libitum e internazionale.All’inizio mi ero imposto di realizzare solamente 18 foto, sembrava un numero perfetto, poi, quando mi sono accorto del potenziale del progetto e della quantità di artisti e interpreti che desideravano sostenerlo, mi sono lasciato coinvolgere da una bulimia di scatti. Il progetto, nato come gioco, è diventato un’azione seria aperta a tutti coloro che credono nell’arte e nella cultura. Ma Extravolti ora non è solo una sfida, è un’opportunità nata con l’idea di utilizzare la fotografia come codice artistico col quale da sempre, insieme alla musica, elaboro esperienze e sperimentazioni. In questo caso il messaggio è stato costruito dando al vetro il ruolo dell’ignoranza che, attraverso la sua freddezza e trasparenza, deforma il valore dell’arte, rappresentata dai visi di ogni forma culturale e artistica. I ritratti appaiono distorti, i visi, rigorosamente fissati da un severo bianco e nero che ne enfatizza i tratti e l’espressione, sono bloccati in una smorfia, schiacciati contro un invisibile muro suggerendo, con grande enfasi ed empatia, la sensazione di immobilismo,


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sofferenza e compressione che affligge la cultura italiana – e non solo – nel momento storico che stiamo vivendo. Sono numerosissimi gli artisti e gli esponenti della cultura e dello sport che ci hanno letteralmente voluto mettere la faccia, tra cui Lucio Dalla, Marco Travaglio, Carla Fracci, Margherita Hack, Morgan, Enrico Colombotto Rosso,Vinicio Capossela, Loredana Bertè, Fabrizio Bosso, Stefano Bollani, Eugenio Finardi, Paolo Rossi, Luigi Lo Cascio, Francesco Casorati, Pali e Dispari, Alessandro Haber, Giuliano Montaldo, Luca Argentero, Gian Marco Tognazzi, Fiona May, Luca Ronconi, Giovanni Soldini, Claudio Bisio, Alba Rohwacher, Leonardo Pieraccioni, Dario Ballantini, Giancarlo Barolat, Stefania Belmondo, Mauro Bigonzetti, Massimo Cacciari, Andrea Chiarotti, don Andrea Gallo, operatori di Emergency, Rosario

Fiorello, Loredana Furno, Enrico Ghezzi, Linus, Valeria Paniccia, Arnaldo Pomodoro, Enrico Robusti, Michele Trimarchi, Gianni Vattimo, Gianfranco Vissani, Alberto Fortis, Andy, Antonio Albanese, Bianco, Brian Eno, Caparezza, Claudia Gerini, Cristina Donà, Eva Poles, Silvio Saffirio, Federico Zampaglione, Gianmaria Testa, Ludovico Einaudi, Michelangelo Pistoletto, Paola Turci, Paolo Fresu, Roy Paci, Samuel, Ugo Nespolo. Contrariamente alle premesse, questo progetto non va letto con pessimismo o scarsa fiducia nella potenza culturale, bensì come una fotografia mentale attraverso la fotografia reale di una civiltà contemporanea che, sovente, tende a emarginare l’arte e i suoi alfieri da tutto ciò che viene considerato immediatamente utile allo sviluppo umano. Garantire questa pratica significherebbe ricono-


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scere alla creatività umana un impegno verso nuove forme interpretative del futuro, restituendo maggiori possibilità di successo civile e umano oltre che la realizzazione di nuovi “colori emotivi”. Il progetto Extravolti è contagioso. Si è già infatti trasformato in una piattaforma dove, attraverso un blog pubblicato sul sito www.extravolti.it, chiunque può proporre idee e progetti da elaborare insieme alla community creata tra gli utenti. Un metodo alternativo e democratico, dove tutti hanno accesso per proporre liberamente collaborazioni o progettare idee utili, non solo ai propri scopi, ma anche sfruttabili dagli altri visitatori della pagina. Una sorta di bacheca, incubatrice o laboratorio digitale dove tutti possono domandare e proporre idee utili allo sviluppo di un progetto artistico o di altro tipo.

LIBRO E CATALOGO IL RICAVATO A EMERGENCY Per la diffusione del progetto verrano creati due tipi di pubblicazioni. Intanto, un libro d’artista a tiratura limitata di 50 copie in plexiglass, dove fogli di pvc trasparente conterranno le foto dei ritratti insieme ai testi delle interviste. Quindi, è in vendita un raffinato catalogo cartaceo con tutte le foto realizzate e l’intero ricavato sarà devoluto a Emergency. Info: www.extravolti.it

Dall’alto in senso orario: Luca Argentero Carla Fracci Arnaldo Pomodoro Margherita Hack Ugo Nespolo Fiona May Marco Travaglio Luigi Lo Cascio


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UNABIENNALE Venezia, la kermesse con l’esposizione dedicata alle infinite immagini del mondo di MASSIMILIANO GIONI*

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a mostra è ispirata all’utopistica idea creativa di Marino Auriti che nel 1955 depositò all’ufficio brevetti statunitense il progetto di un Palazzo enciclopedico, un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità. Auriti progettò un edificio di 136 piani che avrebbe dovuto raggiungere i 700 metri di altezza e occupare più di 16 isolati della città di Washington. L’impresa rimase incompiuta ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell’arte e dell’umanità e accomuna personaggi eccentrici come Auriti a molti artisti, scrittori, scienziati e profeti che hanno cercato – spesso invano – di costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza. Oggi, alle prese con il diluvio dell’informazione, questi tentativi di strutturare la conoscenza in sistemi omnicomprensivi ci appaiono ancora più necessari e ancor più

disperati. Sfumando le distinzioni tra artisti professionisti e dilettanti, tra outsider e insider, l’esposizione adotta un approccio antropologico allo studio delle immagini, concentrandosi in particolare sulle funzioni dell’immaginazione e sul dominio dell’immaginario. Quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori? E che senso ha cercare di costruire un’immagine del mondo quando il mondo stesso si è fatto immagine? Il Palazzo enciclopedico è una mostra sulle ossessioni e sul potere trasformativi dell’immaginazione. Nei vasti spazi dell’Arsenale l’esposizione è organizzata secondo una progressione dalle forme naturali a quelle artificiali, seguendo lo schema tipico delle wunderkammer cinquecentesche e seicentesche. In questi musei delle origini – non dissimili dal Palazzo sognato da Auriti – curiosità e meraviglia si mescolavano per

comporre nuove immagini del mondo fondate su affinità elettive e simpatie magiche. Questa scienza combinatoria – basata sull’organizzazione di oggetti e immagini eterogenee – non è poi dissimile dalla cultura dell’iperconnettività contemporanea. Dalle numerose opere ed espressioni figurative in mostra, che includono film, fotografie, video, bestiari, labirinti, tavole enciclopediche, progetti, performance e installazioni, emerge una costruzione complessa ma fragile, un’architettura del pensiero tanto fantastica quanto delirante. Dopo tutto il modello stesso delle esposizioni biennali nasce dal desiderio impossibile di concentrare in un unico luogo gli infiniti mondi dell’arte contemporanea: un compito che oggi appare assurdo e inebriante quanto il sogno di Auriti. *curatore della 55esima esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia


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GLI ARTISTI A PALAZZO

Hilma af Klint Svezia , Victor Alimpiev Russia, Mirosław Bałka Polonia, Ellen Altfest Usa, Phyllida Barlow Uk, Paweł Althamer Po lonia , Morton Bartlett Usa, Levi Fisher Ames Usa, Gianfranco Baruchello Ita lia, Yuri Ancarani I talia, Hans Bellmer Polonia, Carl Andre Usa, Neïl Beloufa Francia, Uri AranIsraele Israele, Hugo A. Bernatzik collection Asia e Mela nesia, Yuksel Arslan Turc hia, Stefan Bertalan R omania, Ed Atkins Uk, Rossella Biscotti Italia, Marino Auriti Ita lia, Arthur Bispo do Rosário Brasile, John Bock Germania, Tacita Dean Uk, Frédéric Bruly Bouabré Co sta d’Avo rio , John De Andrea Usa, Geta Bratescu Rom ania, Thierry De Cordier Belgio, KP Brehmer Germa nia, Jos De Gruyter e Harald Thys B elgio, James Lee Byars Usa, Walter De Maria Usa, Roger Caillois Franc ia, Trisha Donnelly Usa, Varda Caivano Argentina, Jimmie Durham Usa, Vlassis Caniaris Grecia, Harun Farocki R epu bblica Ceca, James Castle Usa, Peter Fischli & David Weiss Svizzera , Alice Channer Uk , Linda Fregni Nagler Svezia , George Condo Usa, Peter Fritz Austria, Aleister Crowley e Frieda Harris Uk , Aurélien Froment Francia, Robert Crumb Usa, Norbert Ghisoland B elgio, Roberto Cuoghi It alia , Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi Italia, Enrico David Italia, Domenico Gnoli I talia, Kan Xuan Cina , Robert Gober Usa, Bouchra Khalili Maroc co , Tamar Guimarães e Kasper Akhøj B rasil e, Ragnar Kjartansson Islanda, Guo Fengyi Cina, Eva Kotátková R epubblica Cec a, João Maria Gusmão e Pedro Paiva Port ogallo, Evgenij Kozlov Ru ssia , Wade Guyton Usa, Emma Kunz Svizzera, Maria Lassnig Austria, Mark Leckey Uk, Augustin Lesage Francia, Lin Xue Cina, Herbert List Germania, José Antonio Suárez Londoño Co lombia, Sarah Lucas Uk, Helen Marten Uk , Paul Mc Carthy Usa, Steve Mc Queen Uk, Prabhavathi Meppayil India , Duane Hanson Usa, Sharon Hayes Usa, Camille Henrot F ranc ia, Daniel Hesidence Usa, Roger Hiorns Uk, Channa Horwitz Usa, Jessica Jackson Hutchins Usa, René Iché F ranc ia, Hans Josephsohn Russia, Marisa Merz Italia, Pierre Molinier Francia, Matthew Monahan Usa, Laurent Montaron F ra nc ia , Melvin Moti O landa, Matt Mullican Usa, Ron Nagle Usa, Bruce Nauman Usa, Albert Oehlen Germ ania, Shinro Ohtake Giappo ne, J. D. ‘Okhai Ojeikere Nigeria , Henrik Olesen Danimarc a, John Outterbridge Usa, Marco Paolini Italia, Diego Perrone Ita lia, Walter Pichler Italia, Otto Piene Germania, Eliot Porter Usa, Imran Qureshi Pak ist an, Carol Rama I talia, Charles Ray Usa, James Richards Uk, Achilles G. Rizzoli Usa, Pamela Rosenkranz Svizzera , Dieter Roth Germ ania, Viviane Sassen Olanda, Shinichi Sawada Gia ppone, Hans Schärer Svizzera, Karl Schenker Germania, Michael Schmidt Germania, Jean-Frédéric Schnyder Svizzera, Friedrich Schröder-Sonnenstern Ru ssia , Tino Sehgal Uk, Richard Serra Usa, Jim Shaw Usa, Cindy Sherman Usa, Laurie Simmons e Allan Mc Collum Usa, Drossos P. Skyllas Grecia, Harry Smith Usa, Xul Solar Arge ntina, Christiana Soulou Grecia, Eduard Spelterini Svizzera, Rudolf Steiner Croazia, Hito Steyerl Germ ania, Papa Ibra Tall Senegal, Dorothea Tanning Usa, Ryan Trecartin Usa, Rosemarie Trockel Germania , Andra Ursuta Rom ania, Patrick Van Caeckenbergh B elgio, Stan Van Der Beek Usa, Erik van Lieshout O landa, Danh Vo Vietnam , Eugene Von Bruenchenhein Usa, Gunter Weseler Polonia, Jack Whitten Usa, Cathy Wilkes Uk , Christopher Williams Usa , Lynette Yiadom-Boakye Uk, Kohei Yoshiyuki Gia ppo ne, Sergey Zarva Ucraina, Anna Zemánková Repubblic a Ceca, Jakub Julian Ziółkowski Po lonia, Artur Zmijewski Polonia.

ENCICLOPEDICA L’EVENTO Dai Giardini all’Arsenale È aperta al pubblico da sabato primo giugno al 24 novembre ai Giardini e all’Arsenale la 55esima Esposizione internazionale d’arte dal titolo Il Palazzo enciclopedico, curata da Massimiliano Gioni e organizzata dalla Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta. L’esposizione forma un unico percorso che si articola dal padiglione centrale (Giardini) all’Arsenale, con opere che spaziano dall’inizio del secolo scorso a oggi, e con molte nuove produzioni, includendo più di 150 artisti provenienti da 37 nazioni. La Biennale organizza, inoltre, un programma di Meetings on art che prevedono una serie di conversazioni, racconti e incontri con Marco Paolini, dal titolo Fen, previsti nei mesi estivi. In occasione dell’evento viene presentato al pubblico il ciclo pittorico La civiltà nuova di Galileo Chini nel padiglione centrale ai Giardini. Il catalogo dell’Esposizione (Marsilio editori) contiene riproduzioni delle opere degli artisti in mostra, testi monografici sugli autori e una sezione di saggi, coordinati da Sina Najafi e Jeffrey Kastner. Orari: dalle 10 alle 18, escluso il lunedì. Info: 0415218828; www.labiennale.org

Nella pagina a fianco, da sinistra: Paolo Baratta e Massimiliano Gioni foto Giorgio Zucchiatti A sinistra: Marino Auriti con il Palazzo enciclopedico, 1950


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PARTECIPAZIONI NAZIONALI

Nazione Titolo Artisti Curatori Sede

77_ISTITUTO ITALO-LATINO AMERICANO (Bolivia, Colombia, Ecuador, El Salvador, Nicaragua, Panama, Perù, R. Domenicana) El atlas del imperio Alfons Hug Padiglione all’Arsenale

1_ANDORRA Tempus fugit Javier Balmaseda Samantha Bosque Fiona Morrison Josep M. Ubach Paolo De Grandis Campo San Samuele

Nabil, Echtai Shaffik Giulio Durini Dario Arcidiacono Massimiliano Alioto Felipe Cardena, Roberto Paolini, Concetto Pozzati, Lidia Bachis Duccio Trombadori Isola di San Servolo

2_ANGOLA Jorge Gumbe Feliciano dos Santos Beyond Entropy Palazzo Cini, Dorsoduro 3_SIRIA Cara amica arte Miro George, Makhowl Moffak, Al Samman

78_CENTRAL ASIA PAVILION (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan) Winter Ayatgali Tuleubek, Tiago Bom Palazzo Malipiero, San Marco 3199-3201

4_ARGENTINA Eva – Argentina Una metafora contemporanea Nicola Costantino Fernando Farina Padiglione all’Arsenale 5_ARMENIA

Narrative Ararat Sarkissian Arman Grogoryan Isola di S. Lazzaro degli Armeni 6_AUSTRALIA Here art grows on trees Simryn Gill Catherine de Zegher Padiglione ai Giardini 7_AUSTRIA Mathias Poledna Jasper Sharp Padiglione ai Giardini 8_AZERBAIJAN Ornamentation

Rashad Alakbarov Sanan Aleskerov Chingiz Babayev Butunay Hagverdiyev Fakhriyya Mammadova Farid Rasulov Hervé Mikaeloff San Marco 2949

Kumar Karmaker A. K. M. Zahidul Mustafa,Yasmin Jahan Nupur Mokhlesur Rahman Mahbub Zamal Fabio Anselmi Dorsoduro 947

9_BAHAMAS Polar eclipse Tavares Strachan Stamatina Gregory Padiglione all’Arsenale

11_BAHRAIN In a world of your own Mariam Haji, Waheeda Malullah, Camille Zakharia Melissa Enders-Bhatia Padiglione all’Arsenale

10_BANGLADESH Dhali Al Mamoon, Ashok Karmaker, Uttam

12_BELGIO Kreupelhout

Cripplewood Berlinde De Bruyckere J. M. Coetzee Padiglione ai Giardini 13_BOSNIA ERZEGOVINA The garden of delights Mladen Miljanovic Sarita Vujkovic Irfan Hošic Palazzo Malipiero San Marco 3198 14_BRASILE Inside/Outside Hélio Fervenza, Odires Mlászho, Lygia Clark, Max Bill, Bruno Munari


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ARGOMENTI_INSIDE ART 85

Luis Pérez-Oramas Padiglione ai Giardini 15_CANADA Music for silence Shary Boyle Josée Drouin-Brisebois Padiglione ai Giardini 16_CECHIA e SLOVACCHIA Still the same place Petra Feriancova, Zbynek Baladran Marek Pokorny Padiglione ai Giardini 17_CILE Venezia,Venezia Alfredo Jaar Madeleine Grynsztejn Padiglione all’Arsenale 18_CINA Transfiguration He Yunchang, Hu Yaolin, Miao Xiaochun Shu Yong, Tong Hongsheng, Wang Qingsong, Zhang Xiaotao Wang Chunchen Padiglione all’Arsenale 19_CIPRO Oo Lia Haraki, Maria Hassabi, Phanos Kyriacou, Constantinos Taliotis, Natalie Yiaxi Morten Norbye Halvorsen Jason Dodge, Gabriel Lester, Dexter Sinister Raimundas Malašauskas Calle San Biagio 2132 20_COREA To breathe Bottari Kimsooja Seungduk Kim Padiglione ai Giardini 21_COSTA D’AVORIO Traces and signs Frédéric Bruly Bouabré Tamsir Dia, Jems Koko Bi, Franck Fanny Yacouba Konaté Padiglione all’Arsenale 22_COSTA RICA Democrazy & dreams Francisco Cordóba Magazzini del Sale Zattere 23_CROAZIA Between the sky and the earth Kata Mijatovic Branko Franceschi Fondamenta delle Zattere ai Gesuati 919 24_CUBA La perversión de lo clásico: anarquía de los relatos Liudmila and Nelson Maria Magdalena Campos e Leonard Neil Sandra Ramos, Glenda Leon,Lazaro Saavedra Tonel, Hermann Nitsch

Gilberto Zorio, Wang Du Pedro Costa, Rui Chafes Francesca Leone Jorge Fernandez Torres Giacomo Zaza Piazza San Marco 17 25_DANIMARCA Jesper Just in collaboration with Project Projects Jette Gejl Kristensen Lise Harlev, Jesper Elg Mads Gamdrup Anna Krogh Lotte S. Lederballe Pedersen Padiglione ai Giardini 26_EGITTO Treasures of knowledge Mohamed Banawy Khaled Zaki Mohammed Talaat Padiglione ai Giardini 27_EMIRATI ARABI Not yet available Mohammed Kazem Reem Fadda Padiglione all’Arsenale 28_ESTONIA Evident in advance Dénes Farkas Adam Budak Palazzo Malipiero San Marco 3199 29_FINLANDIA Falling trees Antti Laitinen Marko Karo, Mika Elo Harri Laakso Padiglione ai Giardini 30_FRANCIA Ravel Ravel Unravel Anri Sala Christine Macel Padiglione ai Giardini 31_GEORGIA Kamikaze loggia Bouillon Group,Thea Djordjadze, Nikoloz Lutidze, Gela Patashuri with Ei Arakawa and Sergei Tcherepnin Gio Sumbadze Joanna Warsza Padiglione all’Arsenale 32_GERMANIA Ai Weiwei, Romuald Karmakar, Santu Mofokeng, Dayanita Singh Susanne Gaensheimer Padiglione ai Giardini 33_GIAPPONE Abstract speaking sharing uncertainty and collective acts Koki Tanaka Mika Kuraya Padiglione ai Giardini 34_GRAN BRETAGNA Jeremy Deller Emma Gifford-Mead Padiglione ai Giardini

35_GRECIA History zero Stefanos Tsivopoulos Syrago Tsiara Padiglione ai Giardini 36_INDONESIA Sakti Albert Yonathan Setyawan, Eko Nugroho, Entang Wiharso Rahayu Supanggah Sri Astari, Titarubi Carla Bianpoen Rifky Effendy Padiglione all’Arsenale 37_IRAQ Abdul Raheem Yassir Akeel Khreef, Ali Samiaa Bassim Al-Shaker Cheeman Ismaeel Furat al Jamil, Hareth Alhomaam, Jamal Penjweny, Kadhim Nwir, Wami Jonathan Watkins Ca’ Dandolo

44_KUWAIT National works Sami Mohammad Tarek Al-Ghoussein Ala Sestriere Cannaregio 45_LETTONIA North by Northeast Kaspars Podnieks Krišs Salmanis Anne Barlow, Courtenay Finn, Alise Tifentale Padiglione all’Arsenale 46_LIBANO Letter to a refusing pilot Akram Zaatari Sam Bardaouil Till Fellrath Padiglione all’Arsenale

38_IRLANDA The enclave Richard Mosse Anna O’Sullivan Fondaco Marcello San Marco 3415

47_LITUANIA Gintaras Didžiapetris Elena Narbutaite Liudvikas Buklys, Kazys Varnelis, Vytaute Žilinskaite,Morten Norbye Halvorsen Jason Dodge, Gabriel Lester, Dexter Sinister Raimundas Malašauskas Calle San Biagio 2132

39_ISLANDA Katrín Sigurðardóttir Mary Ceruti, Ilaria Bonacossa Dorsoduro 2596

48_LUSSEMBURGO Relegation Catherine Lorent Anna Loporcaro Ca’ del Duca

40_ISRAELE The workshop Gilad Ratman Sergio Edelstein Padiglione ai Giardini

49_MACEDONIA Silentio pathologia Elpida Hadzi-Vasileva Ana Frangovska Santa Croce 113

41_ITALIA Vice versa Francesco Arena, Massimo Bartolini Gianfranco Baruchello Elisabetta Benassi Flavio Favelli, Luigi Ghirri, Piero Golia Francesca Grilli Marcello Maloberti, Fabio Mauri Giulio Paolini Marco Tirelli, Luca Vitone, Sislej Xhafa Bartolomeo Pietromarchi Tese delle Vergini all’Arsenale

50_MALDIVE Portable nation Dj Spooky aka Paul Miller, Thierry Geoffrey/Colonel Christian Falsnaes Mark Harvey Meir Tati Soren Dahlgaard, Amani Naseem Cps – Chamber of public secrets (Alfredo Cramerotti, Aida Eltorie Khaled Ramadan) Padiglione all’Arsenale

42_KENYA Reflective nature Kivuthi M Buno Armando Tanzini Chrispus Wangombe Wachira, Fan Bo, Luo Ling, Lv Peng,Li Wei, He Weming, hen Wending Sandro Orlando Paola Poponi Caserma Cornoldi Castello 4142 43_KOSOVO Petrit Halilaj Kathrin Rhomberg Padiglione all’Arsenale

51_MESSICO Cordiox Ariel Guzik Itala Schmelz Campo San Lorenzo 52_MONTENEGRO Image think Irena Lagator Pejovic Nataša Nikcevic Palazzo Malipiero San Marco 3199 53_NUOVA ZELANDA Front door out back Bill Culbert Justin Paton Santa Maria della Pietà 54_OLANDA Room with broken

sentence Mark Manders Lorenzo Benedetti Padiglione ai Giardini 55_PAESI NORDICI Falling trees Terike Haapoja Marko Karo, Mika Elo Harri Laakso Padiglione ai Giardini 56_NORVEGIA Beware of the holy whore Edvard Munch, Lene Berg and the Dilemma of emancipation Edvard Munch Lene Berg Marta Kuzma Pablo Lafuente Angela Vettese Galleria di Piazza San Marco 57_PARAGUAY The Encyclopedic palace of Paraguay Pedro Barrail, Felix Toranzos, Diana Rossi Daniel Milessi Osvaldo Gonzalez Real Palazzo Carminati Santa Croce 1882 58_POLONIA Everything was forever, until It was no more Konrad Smolenski Agnieszka Pindera Daniel Muzyczuk Padiglione ai Giardini 59_PORTOGALLO Trafaria Praia Joana Vasconcelos Miguel Amado n. d. 60_ROMANIA An immaterial retrospective of the Venice Biennale Maria Alexandra Pirici Manuel Pelmus Raluca Voinea Padiglione ai Giardini 61_RUSSIA Vadim Zakharov Udo Kittelmann Padiglione ai Giardini 62_SANTA SEDE Padiglione all’Arsenale 63_SERBIA Nothing between us Vladimir Peric Miloš Tomic Padiglione ai Giardini 64_SLOVENIA For our economy and culture Jasmina Cibic Tevž Logar San Marco 3073 65_SPAGNA Lara Almarcegui Octavio Zaya Padiglione ai Giardini

66_STATI UNITI Triple point Sarah Sze Carey Lovelace Holly Block Padiglione ai Giardini 67_SUDAFRICA Imaginary fact: contemporary South African art and the archive Brenton Maart Padiglione all’Arsenale 68_SVIZZERA Valentin Carron Giovanni Carmine Padiglione ai Giardini 69_THAILANDIA Poperomia/Golden teardrop, wasinburee Supanichvoraparch Arin Rungjang Penwadee Nophaket Manont, Worathep Akkabootara Santa Croce 556 70_TURCHIA Resistance Ali Kazma Emre Baykal Padiglione all’Arsenale 71_TUVALU Vincent J. F. Huang An Yi Pan, Szu Hsien Li Shu Ping Shih Via Forte Marghera 30 Mestre 72_UCRAINA The monument to a monument Ridnyi Mykola Zinkovskyi Hamlet Kadyrova Zhanna Soloviov Oleksandr Burlaka Victoria n. d. 73_UNGHERIA Lanciata ma non esplosa Zsolt Asztalos Gabriella Uhl Padiglione ai Giardini 74_URUGUAY Time (time) time Wifredo Díaz Valdéz Carlos Capelán Verónica Cordeiro Padiglione ai Giardini 75_VENEZUELA El arte urbano Una estética de la subversión Collettivo di artisti urbani venezuelani Juan Calzadilla Padiglione ai Giardini 76_ZIMBABWE Dudziro Portia Zvavahera Michele Mathison Rashid Jogee,Virginia Chihota Raphael Chikukwa Santa Maria della Pietà


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NUOVI PADIGLIONI

a cura di SILVIA NOVELLI

BAHAMAS Polar eclipse

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KUWAIT Opere nazionali La mostra, dal titolo Opere nazionali, a cura di Ala Younis, presenta le due realizzazioni più importanti dello scultore kuwaitiano Sami Mohammad (1943), unitamente alle nuove produzioni suoi connazionali. La scultura è stata la forma d’arte attraverso cui la scena artistica del Kuwait è salita alle luci della ribalta dagli anni ’60 ai ’90 del secolo scorso. In una pubblicazione parallela, l’esposizione esplora i contesti emotivi e teorici all’origine di queste opere. Info: http://kuwaitpavilion.com

Le Bahamas presentano un’installazione multisensoriale di Tavares Strachan, dal titolo Polar eclipse, che indaga il tema delle esplorazioni eroiche, delle traslazioni culturali, della narrazione storica. Il padiglione immerge il visitatore in un’atmosfera a due dimensioni: come un’installazione unica e completa e come una collezione di opere d'arte individuali. Le opere più importanti sono rappresentate da una video installazione di 14 canali accompagnati da audio surround e una selezione di opere di luce al neon. La mostra, aspitata all’Arsenale; è a cura di Robert Hobbs & Jean Crutchfield. Info: w ww. v enic e ba hamas2013.org

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ANGOLA

KOSOVO

Luanda, encyclopedic city

Petrit Halilaj

La prima volta dell’Angola alla Biennale di Venezia presenta un nuovo modello urbanistico per la capitale, dal titolo Luanda, encyclopedic city. I curatori Stefano Rabolli Pansera e Paula Nascimiento illustrano il progetto che evidenzia la necessità di energia nelle città africane ad alta densità di popolazione e in crescita ed esplora l’impatto di infrastrutture a basso consumo. Palazzo Cini, San Vio, Dorsoduro 864. Info: http://beyondentropy.com

La repubblica del Kosovo viene rappresentata dal giovane artista Petrit Halilaj che sviluppa per l’occasione una nuova installazione sitespecific. La pratica artistica di Halilaj ruota intorno una continua ricerca di cos’è e come si può rappresentare la realtà attraverso l’arte. I ricordi di un’infanzia rurale, l’esperienza della guerra, la distruzione, l’esodo e lo spostamento sono alla base della sua riflessione sulla vita e sulla condizione umana. La sua arte crea dei ponti tra mondi diversi, percezioni, ideologie, generazioni e momenti di vita.La mostra, in programma all’Arsenale, è curata da Kathrin Rhomberg. Info: www.kosovopavilion.com

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BAHRAIN In a world of your own

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In a World of your own è la prima partecipazione nazionale del regno del Bahrain alla Biennale di Venezia, a cura di Melissa Enders-Bhatia. L’esplorazione soggettiva della cultura e di se stessi costituisce il nucleo dell’arte di Mariam Haji, Waheeda Malullah e Camille Zakharia. Con un’enfasi particolare sull’importanza dell’identità, il padiglione esplora l’espressione dell’interiorità e dei significati privati in questi artisti. La mostra è ospitata all’Arsenale.

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MALDIVE Portable nation Il padiglione presenta una raccolta di pensieri sulla conservazione e l’archiviazione di memoria e storia delle Maldive e una rappresentazione visiva del paradiso che affonda. L’obiettivo è quello di fornire una significativa esperienza estetica e la profonda conoscenza del concetto di moderno romanticismo ambientale in relazione alla natura e alla cultura del paese che scompare. A cura di Alfredo Cramerotti, Aida Eltorie, Khaled Ramadan. Info: http://maldivespavilion.com

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1 Tarek Al-Ghoussein Untitled 3 2002-2003 2 Tavares Strachan I belong here, 2012 3 Beyond entropy Angola, padiglione dell’Angola alla Biennale di Venezia 4 Petrit Halilaj Kostërrc (Ch), 2011 5 Waheeda Malullah Bianco e nero 2009 6 Ocean nation serie fotografica marzo 2013 7 Diana Rossi Sacred totem of the ache, 2013 . 8 Franck Fanny Nature morte 2012 9 Vincent J.F. Huang Modern Atlantis project, 2013

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TUVALU

PARAGUAY

Destiny intertwined

Il palazzo enciclopedico del Paraguay

A cura di An-Yi Pan, Szu Hsien Li e Shu Ping Shih, ospitato a Forte Marghera, il padiglione di Tuvalu, un microarcipelago del Pacifico che rischia di essere sommerso dalle acque, presenta il progetto di Vincent J. F. Huang. L’artista denuncia i paradossi del progresso che rischiano di distruggere il suo paese. «Siamo l'isola con la più bassa emissione di anidride carbonica, e la prima ad essere minacciata di scomparire sotto il livello del mare a causa del cambiamento climatico», ammonisce. Info: www.tuvalupavilion.com

A cura di Osvaldo Gonzalez Real, il padiglione del Paraguay, ospitato al palazzo Carminati, presenta le opere di quattro artisti: Pedro Barrail, Daniel Milessi, Diana Rossi e Felix Toranzos. Le opere, provenienti da varie tendenze dell’arte contemporanea, sono legati al tema principale dell’Esposizione internazionale d’arte a cura di Massimiliano Gioni. Info: www.bienaldevenecia-paraguay.com

COSTA D’AVORIO Traces and signs Il padiglione della Costa d’Avorio espone le opere di quattro artisti: Frédéric Bruly Bouabré; Tamsir Dia, Jems Koko Bi, Franck Fanny. Una memoria che archivia non fa rumore. I fatti non incidono la memoria come un disco, modificando invece le vite con tracce e segni che rimandano ad avvenimenti felici o dolorosi con i quali dobbiamo imparare a convivere. La mostra, dal titolo Traces and signs, è curata da Yacouba Konaté agli Spiazzi, all’Arsenale e al Castello 3865. Info: www.ivoirebiennalevenise.info

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EVENTI COLLATERALI

Titolo Descrizione Sede Data

25%: Cata lonia 1_2 a t V e n ic e Francesc Torres fotografa otto disoccupati, mentre Mercedes Álvarez filma le loro opinioni sull’arte Cantieri Navali Castello 40 (San Pietro di Castello) Dal primo giugno al 24 novembre Abou t Turn: Will Gill 2_A & Peter Wilkins Terranova a Venezia About Turn presenta nuove opere di Will Gill e Peter Wilkins Galleria Ca’ Rezzonico Dorsoduro 2793 Dal 29 maggio

al 24 novembre Ai W ei wei 3_A Dispo siti on Ai Weiwei presenta il primo progetto sviluppato utilizzando barre di armatura recuperate nelle scuole crollate durante il terremoto di Sichuan del 2008 Chiesa di Sant’Antonin e Castello Dal 29 maggio al 15 settembre A remote whi sper 4_A Pedro Cabrita Reis, tra i maggiori artisti portoghesi, presenta un’installazione dal titolo A remote

whisper San Marco 2906 Dal 29 maggio al 24 novembre Art and knowledge: 5_A The spirit of the place in the platonic solids Lore Bert presenta cinque sculture di specchio accanto a undici opere di grande formato Biblioteca nazionale marciana, piazzetta San Marco 7 Dal 29 maggio al 24 novembre Back to back to 6_B B iennale – Free e xp r e s s i o n Il progetto è un evento

collettivo e generazionale Santa Croce 2161 Dal primo giugno al 24 novembre Bart Do rsa, Katya 7_B Katya di Bart Dorsa racconta la storia di una ragazza russa Dorsoduro 417 Dal 29 maggio al 15 settembre Bedwyr Willia ms: 8_B The starr y mes senger Il lavoro ripensa l’esplorazione dello spazio sia infinito che minuto Castello 450 Dal primo giugno al 24 novembre

Br eath 9_B Shirazeh Houshiary presenta l’installazione Breath: i canti evocativi di preghiere buddiste, cristiane, ebraiche e islamiche sono diffusi da quattro schermi Arsenale di Venezia Dal primo giugno al 24 novembre Cu ltu re? Mi nd? 10_C Beco ming Una mostra di un gruppo di artisti cinesi il cui obbiettivo è sovrapporre l’impatto culturale della globalizzazione sulle loro tradizioni Palazzo Marcello

San Marco 3699 Dal primo giugno al 24 novembre Emergency 11_E pavili on: r ebuilding utopia Sono passati quarant’anni. Quando ha cominciato a cambiare il mondo? Nel 1973? Teatro Fondamenta nuove, Cannaregio 5013 Dal primo giugno al 10 novembre Future genera tio n 12_F a r t p r iz e @ Venice 2013 Un ampio spettro di posizioni artistiche che permettono di


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scoprire e mappare tendenze future e innovative di una nuova generazione di artisti Dorsoduro 874 Dal primo giugno al primo settembre Glas stress 13_G White li ght/ White heat Agli artisti invitati si chiede di dare un’interpretazione sul tema della luce e del calore San Marco 4810 Dal 31 maggio al 24 novembre 14_II libri d’acqua Una mostra di Antonio Nocera sul tema della migrazione come fenomeno sociale totale Riviera San Nicolò 26 Lido di Venezia Dal primo giugno al 24 novembre 15_IImago mundi La mostra presenta la collezione raccolta da Luciano Benetton Fondazione Querini Stampalia, Castello 5252 (Santa Maria Formosa) Dal 27 agosto al 27 ottobre 16_IIn Grimani . Ri tsue Mis hima glass wo rks Ritsue Mishima si esprime utilizzando la millenaria cultura artigianale della fornace e i maestri vetrai muranesi danno forma alle sue idee Palazzo Grimani di Santa Maria Formosa Castello 4858 Dal 30 maggio al 29 settembre 17_IInk brush hea rt Xi Shuang Ban Na Chiesa di San Stae Campo San Stae Santa Croce Da primo giugno al 24 novembre 18_LLawrence Weiner: the grace o f a gestu re L’opera di Lawrence Weiner appare su cinque dei maggiori sistemi di trasporto della città di Venezia i vaporetti che trasportano l’opera lungo il Canal Grande

l’Arsenale, i Giardini e oltre San Marco 4793 Dal 2 giugno al 24 novembre 19_LLe retour de l’enfui Nell’esposizione dialogano opere d’arte primitiva, antica, moderna e contemporanea Dorsoduro 1050 Dal primo giugno al 31 agosto 20_LLo st i n translatio n Una mostra di oltre cento opere di arte russa degli ultimi quarant’anni che prende in esame gli aspetti storici, politici, sociali ed economici del processo di traduzione di un’opera nell’età della globalizzazione Università Ca’ Foscari Dorsoduro 3484 Dal 29 maggio al 15 settembre 21_LLo ve me, love me not, co ntemporary art from Azerba ija n and its neighbo urs Nuove prospettive sulle diverse e ricche culture dell’Azerbaijan e dei paesi vicini Arsenale Nord Tesa 100 Dal primo giugno al 24 novembre Mi nd beating 22_M Scopo della mostra è considerare la mente come un contenitore, esplorando le relazioni tra creazione visiva e mondo multidimensionale Castello 925 Dal 31 maggio al 24 novembre Nell’acqua ca pi sco 23_N Protagonista del progetto è l’acqua che racconta relazioni, comunicazioni, sentimenti e aspirazioni Ateneo veneto, San Marco 1897 Dal 30 maggio al 29 settembre No i s e 24_N Una riflessione sul rumore quale condizione necessaria di ogni processo comunicativo

Santa Croce 2254 Da primo giugno al 20 ottobre Otherwise 25_O o ccupied La mostra presenta due noti artisti palestinesi: Bashir Makhoul e Aissa Deebi Palazzo Ca’ Giustinian Recanati, Dorsoduro 1012 Dal 29 maggio al 30 giugno Overpla y 26_O Un’esposizione dedicata al rapporto tra arte e crisi Cannaregio 4118 Dal primo giugno al 24 novembre Passa ggi o nella 27_P stori a: 20 anni di B iennale di Venezi a e a rte contempo ranea c in e s e Il 2013 segna il ventesimo anniversario della partecipazione degli artisti cinesi alla Biennale di Venezia Arsenale, Nappa 89 Dal primo giugno al 24 novembre Pato. M en palace 28_P theatre of memo ry encyclo pa edic Il progetto incoraggia una riflessione sulle informazioni e le conoscenze Arsenale Castello 2126/A Dal primo giugno al 24 novembre Personal 29_P structu res La mostra presenta opere sui temi del tempo, dello spazio dell’esistenza Palazzo Bembo San Marco 4793 Dal primo giugno al 24 novembre Perspectives 30_P John Pawson rivela una nuova prospettiva della Basilica di San Giorgio Maggiore e offre una vista unica sulla bellezza del capolavoro di Andrea Palladio Isola di San Giorgio Maggiore, Basilica di San Giorgio Maggiore Dal primo giugno al 24 novembre

R hapso dy in green 31_R La mostra analizza come i tre artisti taiwanesi contemporanei Tsan-Hsing Kao Ming-Chang Huang e Yu-Cheng Chou reagiscano artisticamente al colore verde Castello 3701 Dal primo giugno al 15 settembre R hi zo ma 32_R (generati on in waiting) Congiungendo le arti visive alla filosofia naturale e alle scienze la mostra presenta artisti emergenti dell’Arabia Saudita Magazzino del Sale Dorsoduro 262 Dal 30 maggio al 24 novembre Salon su isse 33_S Il Salon suisse comprende dibattiti e letture pubbliche ma anche iniziative sperimentali come performance audiovisive, la ricostruzione di una mostra e conferenze Palazzo Trevisan degli Ulivi, Dorsoduro 810 1-2 giugno 13-15 giugno 12-14 settembre 17-19 ottobre 2-23 novembre Scotland + Venice 34_S La mostra presenta il lavoro di tre artisti che operano in Scozia: Corin Sworn, Duncan Campbell e Hayley Tompkins Palazzo Pisani Cannaregio 6103 Dal primo giugno al 24 novembre Steel-lives 35_S Still-life Un flusso cinema tografico permea il lavoro fotografico di Norayr Kasper lontano dalla nostalgia e dal reportage Dorsoduro 1602 Dal primo giugno al 24 novembre 36_TThe dream of Eu rasia L’installazione condensa due aspetti: il linguaggio artistico di Omar Galliani che

attinge alla tradizione rinascimentale, e la capacità di instaurare un dialogo fra le culture europee e asiatiche San Marco 2504 Dal primo giugno al 30 settembre 37_TThe grand ca nal Il Canal grande di Cina è il tema di questa mostra collaterale Castello 4312 Dal primo giugno al 24 novembre 38_TThe intimate subver sion by Ángel Marcos Un progetto work in progress che nasce dalla coscienza di vedere un mondo in continuo cambiamento Castello 2786 Da primo giugno al 30 settembre 39_TThe joycean society Dora Garcia propone una video installazione che trae ispirazione da gruppi di lettura e club letterari che leggono in pubblico le opere di James Joyce Punch Space Giudecca 800/o Dal 30 maggio al 24 novembre 40_TThe mu seum of everythi ng Il Museum of everything è il primo museo itinerante del mondo per artisti autodidatti, ignorati e sconosciuti Castello 1254 Dal 29 maggio al 28 luglio 41_TThis is not a Taiwan pavilion La mostra esprime attraverso l’identità dello straniero, le preoccupazioni diffuse attorno al tema della coesistenza Castello 4209 Da primo giugno al 24 novembre 42_TTho ma s Zipp Co mparative investigati on abou t the disposition of the width of a circle Il progetto di Thomas Zipp esplora le

manifestazioni dell’inconscio San Marco 4013 (Campo Manin) dal primo giugno al 24 novembre 43_TTransitions Victor Matthews e Paolo Nicola Rossini affrontano temi universali come la vita i ricordi, il sogno e il subconscio Dorsoduro 453 (Rio Terà San Vio) Dal primo giugno al 27 giugno United cultural 44_U na tio ns United cultural nations è una creazione di Mi Qiu. Questo termine deriva dal suo mantra quotidiano per momenti seri e di divertimento Santa Croce 1959-1961 Dal primo giugno al primo luglio Voi ce o f the 45_V unseen chinese independent a rt 1979/to da y La mostra mette in luce la storia dell’arte cinese degli ultimi trent’anni attraverso il lavoro di oltre 100 artisti Arsenale Dal primo giugno al 24 novembre Who is Alice? 46_W La mostra che presenta la collezione del Museo nazionale di arte contemporanea in Corea Cannaregio 3831 Dal 31maggio al 24 novembre Woman’s universe 47_W Il tema della mostra è la descrizione dell’anima delle donne Castello Dal primo giugno al 24 novembre You (you ) – Lee Kit 48_Y Hong Kong La mostra è concepita come il ricordo di momenti personali e collettivi Arsenale Castello 2126 Da primo giugno al 24 novembre


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COSA C’È DA VEDERE IN LAGUNA Piccola guida agli appuntamenti veneziani, tra proposte ufficiali e non solo di ENRICO MIGLIACCIO

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ra eventi collaterali ufficiali e non, Venezia propone appuntamenti per tutti i gusti. La prestigiosa cornice settecentesca di palazzo Widmann presenta Wunderkammer, la camera della meraviglie contemporanee. Allestita nel cuore della Serenissima, a pochi passi dal Ponte del Rialto e da palazzo Grassi, la mostra coinvolge 20 artisti e stravaganti ed eccezionali oggetti realizzati dall’uomo o dalla natura ispirati agli eccentrici collezionisti tra il XVI e il XVIII secolo. Il Parco scientifico tecnologico di Venezia, centro culturale Candiani, presenta un’esposizione dedicata ai collezionisti e amanti della fotografia: Photissima art fair. Artisti mid-career, presenti con personali e uniche visioni del mondo. Gioiello del Fai, il Negozio Olivetti di piazza San Marco apre al pubblico per l’occasione con un lavoro inedito, Time Lapse, a cura di Bertolomeo Pietromarchi, alla guida del padiglione Italia e direttore del Macro di Roma. Una rilettura dell’architettura della location attraverso il

suono e la fotografia. Due le opere: Il suono dell’architettura, installazione di Dozzy Donato e Nuove visioni per Carlo Scarpa, di Armin Linke. L’estetica del rumore intesa anche come interferenza nell’ambiente e nella comunicazione è il perno su cui ruota l’originale progetto Noise, agli ex Magazzini di San Cassian: un tuffo nel suono che parte dalle traduzioni visive di materiale acustico di Carsten Nicolai ai ritratti trascritti di Anne James Chaton passando dai virus informatici di Joseph Nechvatal, alle installazioni sonore di Roberto Pugliese fino alle distorsioni di Pascal Dombis. Artisti contemporanei uniti dal vetro danno vita a Glasstress: White light/white heat. Nata dall’idea del suo curatore Adriano Berengo, l’esposizione è ambientata in tre sedi con 65 artisti tra cui Ron Arad e il suo progetto speciale Last train. Sono tre gli attori principali di Il lavoro creativo degli italiani d’Olanda: Rossella Biscotti, invitata per l’esposizione internazionale, Francesca Grilli con un nuovo lavoro al padiglione Italia e Lorenzo

Benedetti, vincitore per il padiglione olandese con il nuovo progetto di Mark Manders. Molti altri gli eventi collaterali di sicuro interesse presenti all’Arsenale come You (you), importante personale di Lee Kit, artista di Hong Kong, caratterizzata tra l’altro da una serie di performance dal vivo e installazioni spaziali che incorporano diversi elementi come l’interpretazione, immagini animate, oggetti preconfezionati e suoni. Il Macao museum of art dedica da sempre forze indirizzate alla promozione degli artisti locali in ambito internazionale e con Pato.men, tema scelto per l’esposizione di quest’anno, sceglie come protagonista Carlos Marreiros, famoso artista e architetto di Macao che nelle sue indagini spinge intenzionalmente i contemporanei che vivono nell’epoca dell’informazione a riflettere sulla loro posizione rispetto a due prospettive: da un lato l’informazione che fluttua in maniera inafferrabile, dall’altro l’informazione che forma significati, esplorandone ulteriormente le valenze e le potenzialità.


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TRA I PADIGLIONI Munch inedito e Bosch La Biennale offre un ventaglio di proposte capaci di coinvolgere anche il più critico dei visitatori. Un percorso che abbraccia realtà storicizzate con nuove proposte artistiche partendo dal padiglione dei nostri cugini latini: la Spagna. Il curatore Octavio Zaya ha s elezionato come rappresentante Lara Almarcegui. L’artista, originaria di Saragozza, lavora da tempo al confine tra rigenerazione e decadimento urbano, realizzando progetti che aprono lo sguardo su un mondo trascurato e abbandonato. Alla scoperta di ciò che viene dimenticato si dedica anche l’Azerbaigian. Il principale obiettivo è salvaguardare i valori nazionali, le tecniche e la cultura ornamentale che oggi continua a rivivere nelle opere d’arte moderne e contemporanee. Mladen Miljanovic è stato scelto per rappresentare la Bosnia Erzegovina con Il giardino delle delizie, ispirato all’opera di Hieronymus Bosch, incentrato sull’idea dell’indisciplinatezza dei desideri e delle verità individuali. Infine, la fondazione Bevilacqua La Masa ospita il progetto ufficiale della Norvegia, la mostra Attenzione alla puttana santa: Edvard Munch, Lene Berg e il dilemma dell’emancipazione che presenta opere inedite di Munch in dialogo con i lavori dell’artista contemporanea Lene Berg.

Jan Fabre Skull, 2010 Opera esposta nella mostra Wunderkammer a palazzo Vidmann tra gli eventi extra


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DIALOGHI VENEZIANI Bartolomeo Pietromarchi presenta il padiglione Italia per la Biennale 2013 Dopo i 400 artisti di Vittorio Sgarbi arrivano i 14 del direttore del Macro: «La mia vuole essere una ricognizione sull’arte italiana degli ultimi anni cercando di individuare le costanti Un progetto sostenuto dal basso grazie al lancio del crowdfunding»

di MARIA LUISA PRETE

al galoppo forsennato del cavallo pazzo all’andatura lenta del purosangue inglese. Metafora azzardata, e magari azzeccata, per esemplificare il cambiamento di tono e stile tra il padiglione Italia firmato Vittorio Sgarbi – all’insegna della quantità e della cacofonia artistica – e quello di Bartolomeo Pietromarchi – selettivo e rigoroso. Nel suo ufficio al Macro, il direttore del museo capitolino, pressato tra gli impegni romani e le urgenze della Biennale, racconta il progetto atteso in laguna. Direttore, Vice versa rappresenta l’Italia in un momento difficile. Quali riflessioni mette in campo? «La mostra non è legata alla contingenza della realtà. Anzi vuole essere dichiaratamente un viaggio nell’arte italiana che prende le mosse da un tempo lontano e si concentra su quelle che possono essere le sue caratteristiche generali, delle costanti estetiche degli ultimi 40-50 anni, senza voler essere né una mostra cronologica né storica, che ha cioè una sua progressione nel tempo. Ha una prospettiva molto più ampia rispetto al momento storico che stiamo vivendo. Non ci sono richiami all’attualità. Insisto nel presentare un’espo-

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sizione sulle grandi dinamiche del contemporaneo nel senso più alto del termine. Questo si evince anche dalle categorie impiegate per il confronto e il dialogo tra gli artisti all’interno della mostra: commedia/tragedia, visione/sguardo, suono/silenzio, ma anche paesaggio, archiviazione e visione dell’arte». Per sostenere gli artisti è stato lanciato il progetto di crowdfunding, un finanziamento dal basso, chiuso ufficialmente lo scorso 12 maggio. Sono stati raccolti oltre 100mila euro. Un buon risultato? Come saranno utilizzati? «Per me è al di là delle aspettative, non pensavo di riuscire a toccare questa soglia. A parte i soldi raccolti, quello che mi preme è la grande partecipazione delle persone, il fatto che vi siano grandi numeri non solo economici ma di partecipazione appunto, sono oltre 100 i sostenitori. È un’esperienza straordinaria nata da un’intuizione, dalla velocità di recepire alcune dinamiche che si stanno affermando in giro per il mondo non solo in termini di crowdfunding, ma relativi a una democrazia più partecipata che passa attraverso le nuove tecnologie e questo comporta un cambiamento di mentalità. Aver raccolto questo segnale e averlo appli-

cato a un’occasione così importante come la Biennale è stata una grande opportunità, abbinata a un grande risultato. I soldi saranno utilizzati principalmente per sostenere gli artisti e per tutta la macchina espositiva». La situazione economica e politica ha influenzato l’evento. In che modo sente la pressione? «Purtroppo se il crowdfunding è andato molto bene, quello che invece non è andato altrettanto bene è il reperimento di sponsor aziendali su cui, nelle edizioni passate, si era fatto grande affidamento. Questo significa che il bilanciamento deve essere fatto con le risorse reperite attraverso il finanziamento dal basso. Non ho mai avuto un’esperienza così negativa con gli sponsor privati. Ho ricevuto molti rifiuti, anche circostanziati. Hanno risposto tutti dicendo che il momento è difficile. La situazione di crisi ha pesato parecchio, oltre l’immaginabile, non avrei pensato a una difficoltà economica così estesa». Il confronto con il padiglione precedente è inevitabile. Rispetto a quello di Sgarbi, il suo è un progetto con pochi artisti selezionati. «La Biennale precedente ospitava circa 400 artisti segnalati da personaggi noti. Un pro-


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LA MOSTRA Vice versa Bartolomeo Pietromarchi (Roma, 1968), direttore del Macro, è il curatore del padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia. Vice versa, il titolo scelto per il progetto espositivo, propone un percorso composto da sette stanze, sette ambienti ognuno dei quali ospita due artisti in dialogo tra loro. I protagonisti sono: Francesco Arena, Massimo Bartolini, Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Flavio Favelli, Luigi Ghirri, Piero Golia, Francesca Grilli, Marcello Maloberti, Fabio Mauri, Giulio Paolini, Marco Tirelli, Luca Vitone, Sislej Xhafa. Dal primo giugno al 24 novembre, Tese delle Vergini all’Arsenale, Venezia. Info: www.viceversa2013.org

A destra: Bartolomeo Pietromarchi foto Adolfo Franzò

getto radicalmente diverso da quello di Vice versa che invece è una vera e propria mostra. Gli artisti sono invitati all’interno di una cornice critica e curatoriale molto precisa, con una serie di riflessioni sull’arte italiana e una struttura di dialoghi tra coppie di artisti costruita seguendo un percorso preciso. Concettualmente è un padiglione diverso, poi può piacere oppure no». Cosa teme maggiormente e cosa si augura? «Mi auguro che tutto quello per cui abbiamo lavorato intensamente io, i miei collaboratori, gli artisti e tutti coloro che hanno partecipato al progetto si realizzi al meglio. Spero di rispondere alle aspettative di coloro che ci hanno finanziato. Poi la valutazione personale sul padiglione sarà naturalmente e assolutamente libera». Una domanda per il direttore del Macro. Cosa si aspetta dalla nuova giunta e cosa chiede per l’ulteriore rilancio del museo? «In questi anni abbiamo sempre avuto una linea chiara e una visione precisa del ruolo del museo, coinvolgendo una rete ampia di operatori. Mi auguro che questo lavoro non vada disperso e che il museo assuma un ruolo sempre crescente all’interno del tessuto cittadino».


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7 STANZE X L’ITALIA Il padiglione Italia presenta 14 artisti in un confronto sui temi contemporanei pagine a cura di MARIA LUISA PRETE

VITONE/GHIRRI IL PAESAGGIO Visione e memoria Un doppio sguardo sul paesaggio, sul significato di luogo, sospeso tra visione e memoria, emerge dalle opere di Luigi Ghirri e Luca Vitone. Tra gli autori più importanti della fotografia contemporanea, Ghirri (Scandiano, 1943 – Roncocesi, 1992) si esprime come interprete dell’architettura e del paesaggio italiano, offrendo il suo sguardo alle realizzazioni di importanti architetti. La pratica artistica di Vitone (Genova, 1964) si concentra sull’idea di luogo e invita a riconoscere qualcosa che già conosciamo, sfidando le convenzioni della memoria labile e sbiadita, che caratterizza il presente. Il suo lavoro esplora il modo in cui i luoghi si identificano con la produzione culturale.

In alto: Luigi Ghirri Laguna di Orbetello Grosseto, 1974 cortesia Museo di fotografia contemporanea Cinisello Balsamo © Eredi Luigi Ghirri A fianco: Luca Vitone Per l’eternità, 2013 realizzato in collaborazione con Maria Candida Gentile cortesia dell’artista e galleria Pinksummer Genova


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LA STORIA Dimensione personale e collettiva Il rapporto sofferto e contraddittorio con la storia declinato tra dimensione personale e collettiva si manifesta in Fabio Mauri e Francesco Arena che affrontano, attraverso il filtro del corpo e della dimensione performativa, i buchi irrisolti della storia. La ricerca di Francesco Arena (Torre Santa Susanna, 1978) prende le mosse dagli episodi di carattere politico e sociale che hanno caratterizzato la cronaca italiana degli ultimi decenni, in cui i fatti, troppo spesso taciuti o nascosti, vengono reinterpretati e indagati attraverso le forme sintetiche dell’approccio scultoreo. L’attività di Mauri (Roma, 1926 – 2009) è molto estesa: comprende teatro, performance, installazione, pittura, teoria, insegnamento, come elementi di un unico luogo espressivo. Opera nelle file dell’avanguardia italiana dal 1954. I suoi primi monocromi e Schermi risalgono al 1957. Negli anni Settanta rivolge l’attenzione alla componente ideologica dell’avanguardia linguistica.

MAURI/ARENA In alto a sinistra: Francesco Arena Massa sepolta (indice), 2013 Indice del libro di Elias Canetti Massa e potere (1960) cortesia dell’artista e galleria Monitor Roma A fianco: Fabio Mauri Ideologia e natura, 1973 cortesia studio Fabio Mauri foto Elisabetta Catalano


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A fianco: Marcello Maloberti La voglia matta, 2013 Bolide 27 performance/scultura cortesia dell’artista e galleria Raffaella Cortese, Milano foto Guido Meschiari Sotto: Flavio Favelli Per bellezza, 2013 cortesia dell’artista

MALOBERTI/FAVELLI

SCONFINAMENTI Autobiografia e immaginario Marcello Maloberti e Flavio Favelli rendono sensibili gli sconfinamenti tra autobiografia e immaginario collettivo attraverso riferimenti alla cultura e alle tradizioni popolari. L’esperienza dell’arte per Maloberti (Codogno, 1966) si manifesta attraverso la dimensione performativa del quotidiano, le azioni e gli scenari della vita di tutti i giorni vengono decontestualizzati e trasformati, suscitando meraviglia, aspettativa e desiderio. La ricerca di Favelli (Firenze, 1967) sviluppa la sua pratica artistica attraverso il rapporto intimo e personale che instaura con gli oggetti, le immagini e i mobili che raccoglie nei mercatini e dai robivecchi. L’artista crea un universo estetico carico di bellezza malinconica e di poesia.


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XHAFA/GOLIA LA VITA Tragedia e commedia Il gioco dialettico e i continui slittamenti tra tragedia e commedia si ritrovano nei lavori di Piero Golia e Sislej Xhafa sempre in bilico tra vita vissuta e vita immaginata. Dopo gli studi in ingegneria svolti all’università Federico II di Napoli, Golia (Napoli, 1974) si dedica all’attività artistica, distinguendosi per un approccio al contempo razionale e deliberatamente ironico. La sua ricerca, attraversando una varietà di linguaggi e modalità differenti, mira alla costante messa in discussione dei confini tra realtà e immaginazione, possibile e impossibile, verità e finzione, e si distingue per un approccio dal carattere pungente e acuto. Xhafa (nato a Peja, in Kosovo, nel 1970) tramite espressioni diversificate, mette a fuoco con intelligenza la complessità di temi sociali politici ed economici, osservati in relazione alla complessità della società moderna.Le sue indagini sono condotte sui fenomeni dell’illegalità, del turismo e dell'immigrazione.

In alto: Sislej Xhafa foto Roberto Baldassarre A destra: Piero Golia foto Robbie Fimmano Le opere di Golia e Xhafa realizzate per il padiglione Italia non sono disponibili


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A fianco: Marco Tirelli Senza titolo, 2013 cortesia dell’artista e Giacomo Guidi arte contemporanea foto Giorgio Benni In basso: Giulio Paolini studio per Quadri di un’esposizione, 2013 cortesia dell’artista

TIRELLI/PAOLINI

L’ARTE Realtà e rappresentazione Una propensione dialettica è da sempre propria del lavoro di Giulio Paolini, che dialoga in mostra con Marco Tirelli sul tema dell’arte come illusione, come sguardo prospettico: un invito a entrare in una dimensione ulteriore, costringendoci a restare in equilibrio sul confine tra realtà e rappresentazione. La poetica di Paolini (Genova, 1940) verte su tematiche che interrogano la concezione, il manifestarsi e la visione dell’opera d’arte. Dalle prime indagini intorno agli elementi costitutivi del quadro l’attenzione si è orientata in seguito sull’atto espositivo, sulla considerazione dell’opera come catalogo delle sue stesse possibilità, così come sulla figura dell’autore e il suo mancato contatto con l’opera, che gli preesiste e lo trascende. La pittura di Tirelli (Roma, 1956) è frutto di un complesso processo intellettuale che, partendo dalla registrazione di dati reali, arriva a distillare forme pure e allusioni spaziali e luminose. L’analisi della relazione tra forma – sempre in bilico tra riconoscibilità e astrazione – e luce è così assunta come punto di partenza per l’indagine delle possibilità e dei limiti della percezione.


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GRILLI/BARTOLINI

Dall’alto: Francesca Grilli Fe2O3, Ossido ferrico work in progress centrale Fies marzo, 2013 cortesia dell’artista Massimo Bartolini Due, 2013 rendering studio Binocle, Milano cortesia dell’artista

LA CONTRAPPOSIZIONE Suono e silenzio, libertà e censura La contrapposizione tra suono e silenzio, tra libertà di parola e censura, contraddistingue la ricerca di Massimo Bartolini e Francesca Grilli. La Grilli (Bologna, 1978) esplora l’ambito del suono, nelle sue molteplici implicazioni espressive e percettive. Prediligendo il linguaggio performativo, i lavori muovono da elementi personali per incontrare lo spazio d’azione dello spettatore, coinvolgendolo in un territorio incerto e perturbante. La poetica di Bartolini (Cecina, 1962) si articola attraverso linguaggi differenti che danno vita a opere sempre in stretta connessione con il luogo in cui si trovano. Tramite l’utilizzo di elementi diversificati, l’artista agisce nello spazio distruggendo le classiche coordinate spazio-temporali e creando dimensioni nuove e inaspettate.


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BARUCHELLO/BENASSI CLASSIFICARE Frammento e sistema Le opere di Gianfranco Baruchello ed Elisabetta Benassi si sviluppano nella tensione tra frammento e sistema in cui l’umana ambizione ad archiviare e a classificare si scontra con l’impossibilità e il fallimento. Baruchello (Livorno, 1924) si avvicina alle più aggiornate correnti europee e statunitensi, mantenendo una ricerca indipendente. L’interesse per la catalogazione e l’archivio, le operazioni di assemblaggio di oggetti comuni, le interazioni di confine tra arte, agricoltura e zootecnia, la scelta di operare con il nome di società fittizie o reali, sono alcuni degli aspetti del suo lavoro. La Benassi (Roma, 1966) percorre lo spazio del nostro presente. Il suo lavoro ha come cifra ricorrente l’uso dell’installazione, del video e della fotografia come dispositivi per creare insieme forti suggestioni emotive e una diversa messa a fuoco morale nello spettatore.

In alto: Gianfranco Baruchello Piccolo sistema 2012-2013 (particolare) foto Ezio Gosti A fianco: Elisabetta Benassi Polesine, 2013 realizzazione dell'opera The dry salvages, 2013 (particolare) cortesia dell’artista e Magazzino, Roma


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IL TRIS DELPAPA

La presenza della santa sede all’Arsenale di Venezia è tra le grandi novità di questa Biennale del 2013 A raccontare la prima volta del Vaticano è il suo curatore di ANTONIO PAOLUCCI*

In un padiglione che si configura come un territorio aperto agli attraversamenti culturali e ai percorsi emozionali, si è scelto di individuare, in sinergia con la commissione scientifica, un ristretto nucleo di artisti di livello internazionale che, nella varietà dei linguaggi e delle tecniche, presentassero caratteristiche, sensibilità e aperture convergenti sul percorso elaborato.

A sinistra: Studio Azzurro In principio (e poi), 2013 (particolare) cortesia Studio Azzurro

Il tempo della creazione è stato affidato a Studio Azzurro, che ha fatto dell’immagine immateriale, della luce, dello stimolo sonoro e sensoriale, la base della propria ricerca, riflettendo sulla dimensione percettiva dello spazio come luogo dell’interrelazione, attraverso un meditato utilizzo dei nuovi media. Questo lavoro innesca un dialogo ricco di echi e di rimandi tra il regno vegetale e animale e la dimensione umana, che porta con sé, attraverso il ricordo, altre e personali narrazioni delle origini, all’interno di un piano interattivo che diventa anche attraversamento temporale. Per la de-creazione si è riflettuto sull’opportunità che il tema emergesse con una forza esplicita, capace di far convergere le questioni più attuali. Le fotografie di Josef Koudelka sono state scelte e disposte dall’artista in una precisa sequenza dalla straordinaria potenza evocatrice, in cui emergono temi come la distruzione della guerra, il consumarsi materiale e concettuale della storia attraverso il tempo, i due poli di natura e industria. Sono immagini che denunciano un mondo in abbandono e ferito, e allo stesso tempo si rivelano in grado di trasformare frammenti di realtà in opere d’arte ai limiti dell’astrazione. Il momento della nuova umanità o ri-creazione ha fatto convergere l’attenzione sull’attività di Lawrence Carroll, e in particolare sugli aspetti del suo lavoro legati ai materiali di recupero e ai processi di trasfigurazione, che nelle sue opere si rivelano concreti e simbolici allo stesso tempo. Una elaborazione che, meditando anche sulle esperienze dell’arte povera, attua un’azione continua e ciclica di riparazione/erosione, congelamento/disfacimento, pausa/riattivazione e reintroduzione degli oggetti nel circuito temporale, facendo coesistere fragilità e monumentalità. E tuttavia nessuno dei tre interventi presentati può essere percepito appieno senza tener conto della somma dei tre momenti di questo percorso attraverso il testo della Genesi, come se ognuno fosse in qualche misura capace di contenere e comprendere gli altri. *curatore del padiglione della Santa sede estratto dal catalogo del Palazzo enciclopedico, cortesia dell’autore e della Marsilio editori


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Studio Azzurro, In Principio (e poi), 2013 (bozzetto progettuale schermo laterale) cortesia Studio Azzurro

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VENEZIA DIO DOV’È? Il senso del padiglione si giocherà sulla domanda: dov’è Dio? In che modo si parlerà di Dio, perché ogni uomo possa sentirsi interpellato? L’occasione della biennale per la Santa sede è infatti di proporre un serio dialogo tra arte e fede che non resti sul piano delle intenzioni di ANDREA DALL’ASTA S. J.


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a quando Paolo VI parlò nel 1964 agli artisti nella Cappella Sistina affermando: “Noi abbiamo bisogno di voi”, è passato molto tempo. Se non sempre si ha la consapevolezza del lavoro svolto nel campo dell’arte e dell’architettura religiose, si può tuttavia affermare che questi 50 anni post-conciliari sono stati caratterizzati da luci e ombre, da forti contraddizioni e da numerosi tentativi non sempre all’altezza delle aspettative. Si ha infatti la sensazione che la chiesa non abbia mai compiuto una serie riflessione sull’immagine, ritagliandosi un proprio territorio di pseudo-arte, costituita prevalentemente da dilettanti o da amatori armati di buona volontà quanto di incompetenza. Un tentativo di superare questa frattura decennale tra arte e chiesa è stata la decisione da parte della Santa sede di essere presente alla Biennale di Venezia del 2013, per volontà del cardinale Gianfranco Ravasi. Spianiamo subito il campo da possibili fraintendimenti. Niente scene sacre di carattere devozionale. Nessuna immagine mielosa di qualche santo in estasi sarà proposta. Niente immagini preconfezionate di ca-

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rattere liturgico, appartenenti al mondo del fumetto o del kitsch. Il padiglione della Santa sede ha voluto confrontarsi col campo specifico dell’arte tout court. Non solo. Ha chiesto ai diversi autori di riflettere su temi di carattere universale, ispirandosi ai testi biblici. Partendo dai primi capitoli della Genesi, si è infatti affrontato il tema della creazione, della decreazione e di una nuova creazione. In questo senso, è stato chiesto agli artisti di lasciarsi ispirare da suggestioni bibliche che interpretano l’umano in tutta la sua contraddittorietà, continuamente oscillante tra caduta nel non senso, nel male e nella violenza e desiderio di rinascere, di riprendere il cammino verso un riscatto, una salvezza. In questo senso, il padiglione propone arte sacra, a partire da quanto di più profondo è inscritto nell’esperienza umana, il cui senso, come suggeriscono i testi biblici, risiede nell’alleanza tra Dio e uomo. E proprio nella capacità di parlare di Dio attraverso la storia della creazione risiederà l’originalità della sfida del padiglione, nel suo tentativo di ricucire il dialogo tra arte e fede, oggi ancora troppo dimenticato, come dimostra anche la recente rimozione della

VATICANO: IL SENSO DI UNA PRESENZA Come considerare la presenza del padiglione della Santa sede alla Biennale di Venezia? Al di là del merito, due aspetti rimbalzano sui media: il primo, più laico, riguarda la questione economica: tre milioni di euro, senza considerare le spese per la ristrutturazione del padiglione espositivo, a quanto pare coperte dagli sponsor, sembrano non esattamente in linea coi richiami alla sobrietà reiterati da papa Francesco. La seconda, invece, è di natura propriamente religiosa: in cosa si differenzia dagli altri padiglioni nazionali quello Vaticano che, di fatto, non intende presentare alcun discorso teologico ma unicamente artistico ”tout court”? Un campo di riflessione poteva essere il dialogo inter-religioso, come per esempio la mostra in corso a Parigi Dieu (x), modes d’emploie. Un altro campo di sperimentazione avrebbe potuto essere l’arte liturgica che vive momenti difficili. Il fatto che si sia scelta la strada dell’arte ”tout court”, o meglio di un’arte sacra proposta ormai in tanti spazi d’arte e non, fa riflettere sul senso di una presenza. Evaristo Manfroni) (E

LA SEDE Creazione e ri-creazione È nei 500 mq delle sale d’armi all’Arsenale la sede del neonato padiglione della Santa sede a Venezia. Tre gli artisti coinvolti, sul tema Creazione, de-creazione e ri-creazione: lo statunitense Lewis Carrol, il polacco Josef Koudelka e il gruppo italiano Studio Azzurrro, fondato a Milano nel 1982 da Fabio Cirifino (fotografia), Paolo Rosa (arte visiva e cinema) e Leonardo Sangiorgi (grafica).

A destra: Lawrence Carroll, Untitled, 2012 foto Mario Ciaramitaro A sinistra: lo spazio espositivo sale d’armi all’Arsenale Alle pagine 108-109: Josef Koudelka Trittico - Israele e Palestina, 2010-2011 Trittico - Francia e Gran Bretagna 1986-1997


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della cattedra di Kounellis dalla cattedrale di Reggio Emilia, e sulla quale nessuno, in ambito ecclesiale (ma tanti, in ambiente laico), è intervenuto per mostrare la sua contrarietà. Secondo questa prospettiva, una commissione ha riflettuto sugli artisti da invitare. Se diversi nomi sono stati presi in considerazione, da Arnulf Rainer a Bill Viola, da David Simpson a Cristina Iglesias, da Mona Hatoum a Doris Salcedo, alla fine gli artisti presenti nel padiglione sono tre: Studio Azzurro, Josef Koudelka e Lawrence Carroll. Se Studio

Azzurro riflette sul tema della creazione, proponendo, con una serie di pannelli, una installazione interattiva che ci introduce alla nascita della vita vegetale, animale e umana, il fotografo della Primavera di Praga propone una selezione di fotografie (delle quali alcune inedite) in cui la desolazione, l’abbandono e l’alienazione sono al centro della riflessione. Se con Studio Azzurro ci apriamo al momento germinale della creazione, con Koudelka cadiamo in una sorta di de-creazione, di caduta della vita umana nelle sue contraddittorie-

tà. Con Carroll siamo trasportati nell’ultima sezione del padiglione. Con una grande installazione riflette sul tema della rinascita. L’artista di origine australiana assume come punto di partenza il dramma dell’esistenza colta nei ghetti popolati di emarginati, di diseredati, di esclusi, fondando la propria poetica sul riutilizzo di materiali di scarto. Raccogliere oggetti abbandonati per poi manipolarli attraverso il gesto della creazione artistica, significa farli rinascere, dar loro nuova vita sottraendoli all’oblio, alla corruzione della ma-


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teria. Ciò che appare un rifiuto, uno scarto, può essere trasformato, riportato a nuova vita, acquisire nuova dignità. Sottratto al proprio mondo e re-interpretato, l’oggetto diventa simbolo del desiderio di riscatto di tutti coloro che attendono una rinascita concreta e reale. Un’attesa, dunque, di redenzione e di resurrezione. Abbiamo già visto questi autori in tantissime occasioni. È sufficiente pensare alle mostre di Carroll al museo Correr di Venezia o negli spazi del San Fedele di Milano. Così, per Koudelka, non

possiamo dimenticare la recente esposizione allo Spazio Forma di Milano, né, per Studio Azzurro, le innumerevoli installazioni realizzate in Italia e all’estero. Tuttavia, ci domandiamo che cosa apporteranno di nuovo gli autori. Di quale riflessione si faranno portavoci su Dio, sul mondo e sugli altri, in uno spazio che non può caratterizzarsi come semplice galleria espositiva. In breve, il senso del padiglione si giocherà sulla domanda: dov’è Dio? In che modo si parlerà di Dio, perché ogni uomo possa sentirsi interpellato? L’occasione della

biennale per la Santa sede è infatti quella di essere chiamata a proporre un serio dialogo tra arte e fede che non resti sul piano delle intenzioni o delle dichiarazioni. Su questi interrogativi, ne andrà del suo significato, del senso della sua identità. Ma per rispondere a queste domande, attendiamo di vedere le opere installate negli spazi dell’Arsenale, per una ri-creazione che tutti auspichiamo, sotto i punti di vista politico, sociale e, perché no, anche personale. *padre gesuita, direttore galleria San Fedele


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CLASSICI

D’OGGI

Bellezza, armonia, perfezione, misura e sapienza: diciassette artisti dialogano coi valori dell’antichità Per la prima volta i contemporanei al Foro romano di VINCENZO TRIONE*

I paesaggi dell’arte contemporanea, spesso, sono descritti come territori frastagliati, disomogenei, instabili. Assistiamo alla convivenza di varie e difformi modalità espressive. Diversamente da quel che era avvenuto nel Novecento, non ci sono più movimenti omogenei e compatti, ma personalità individuali. Si è compiuta una deflagrazione: è stato esaltato il valore creativo dell’io.

Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci 2013 (Tempio di Venere e Roma)

Le tendenze sono entrate in crisi, per dissolversi in una diaspora infinita. È davvero così? Si pensi al contesto italiano attuale. Sulle orme di quanto avevano fatto i protagonisti dell’arte povera, della transavanguardia e del post-concettuale – da Pistoletto a Paolini, da Kounellis a Paladino, da Longobardi a Parmiggiani, da Jodice a Beecroft – molti artisti delle ultime generazioni avvertono con forza il bisogno di guardare dietro di sé. Considerano la memoria quasi come una facoltà epica. Vogliono radicare i loro esercizi in regioni lontane. Riattraversano i labirinti della storia dell’arte. Guidati dal bisogno di riaffermare il senso della continuità, si fanno interpreti del destino dell’avanguardia. Pur con accenti diversi, molti artisti attivi in Italia dal secondo dopoguerra sembrano voler reagire a quei critici antimoderni che accusano l’arte di oggi di inconsistenza. Per offrire un retroterra culturale alle loro avventure linguistiche, attribuiscono una nuova centralità alla storia. Si comportano, per riprendere una metafora cara a Marc Fumaroli, non come ragni, ma come api. Per loro, eseguire un’opera non è far nascere qualcosa dal niente, ma è “un trovare e un ritrovare, che ha per merito principale il rinnovo dei luoghi di un’eterna dimora comune”. Sono animati dalla convinzione secondo cui l’apice della civiltà è stato raggiunto nell’Antichità, cui si rifanno costantemente. In questa prospettiva, indispensabile è il richiamo alla classicità, non come immobile e inattingibile archivio di motivi da replicare, ma come arsenale di valori senza luogo e senza tempo. Miniera di categorie assolute da reinterpretare in un’ottica moderna. Scrigno da perlustrare, manipolare, saccheggiare


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LA MOSTRA Post-classici La ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana: fino al 29 settembre gli spazi monumentali del Foro romano e del Palatino a Roma accolgono la mostra Post-classici dedicata ai rapporti tra arte contemporanea e antichità. Il tema della mostra, curata da Vincenzo Trione e promossa dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, è appunto il richiamo all’antico inteso come fonte di valori classici, eterni, assoluti: bellezza, armonia, perfezione, misura e sapienza, reinterpretati in chiave moderna. Per la prima volta, l’arte del nostro tempo entra nel Foro: 17 artisti traggono ispirazione dal dialogo coi luoghi della classicità, confrontandosi con luoghi e monumenti diversi (Tempio di Romolo, Tempio di Venere e Roma, Vigna Barberini, Stadio di Domiziano, Criptoportico neroniano e museo Palatino), presentando opere quasi tutte realizzate per l’occasione. Sono presenti maestri dell'arte povera e della transavanguardia come Kounellis, Pistoletto, Paolini e Paladino; figure non inquadrate in alcun movimento come Aquilanti, Parmiggiani, Longobardi, Albanese, Beecroft; fotografi come Jodice e Biasiucci; voci ”mistiche” (Botta, Pietrosanti) autori post-informali come Colin, fino ai giovanissimi quali Zimmer Frei, Alis/Filliol e Barocco. Accompagna la mostra un volume edito da Electa dove, oltre alla presentazione delle opere esposte, è analizzato a più voci il rapporto tra classicità e contemporaneo. Info: archeoroma. beniculturali.it

e, infine, tradire. Duchamp non è più il modello privilegiato. Frequenti le citazioni dalla statuaria antica e dalla storia dell’arte. E, tuttavia, siamo lontani dal postmoderno e dall’anacronismo. Molti artisti italiani pensano la classicità non come un patrimonio da rimodulare con ironia e disinvoltura, trasgredendo ordini e gerarchie, né come un’eredità intoccabile da rifare, ma come strumento per guarire dalle ubriacature della modernità. E, insieme, come spazio che può alimentare inquietudini, interrogazioni, ansie. Servendosi di media diversi, questi artisti tendono a collocarsi in un territorio poetico comune, fino a dar vita a una sorta di implicito movimento. Ad accomunarli è il bisogno di reinventare temi fondamentali della classicità, fino a renderli irriconoscibili. Riscrivono frammenti dell’antichità: barlumi che fanno appena intuire la totalità. Siamo dinanzi a profanatori, che propongono un confronto dissacrante con la memoria. Classico, per questi artisti, non riguarda solo il passato, ma investe il presente e prefigura gli scenari dell’avvenire. È ciò che tende a relegare l’attualità al rango di un rumore di fondo di cui non si può fare a meno. Interrogano la memoria, per rafforzare la loro voce. Dialogano con i “padri”, per moltiplicare gli spazi dell’immaginario. Pensano le loro opere come dissonanti palinsesti, nei quali le orme della tradizione si confondono con quelle della modernità più estrema. Illuminanti, in tal senso, gli esercizi concettuali di Paolini, architetto di austeri templi e di sofisticati rispecchiamenti tra calchi. E le opere epiche di Kounellis. Imprescindibili riferimenti per molti artisti italiani delle ultime generazioni, ci invitano a considerare il classico come una necessità sempre viva. Un evento che muore per rinascere ininterrottamente, ogni volta uguale a se stesso e ogni volta diverso. *estratto da Post-classici, cortesia Electa e dell’autore


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Sopra: Mimmo Jodice, Demetra Ercolano opera II, 1992 (Museo Palatino) A sinistra, in alto: Claudio Parmiggiani Senza titolo, 1970 (Stadio di Domiziano) In basso: Roberto Pietrosanti Progetto Vigna Barberini, 2013 (Vigna Barberini)

IL CATALOGO Vincenzo Trione (a cura di) Post-classici Electa Mondadori 208 pagine, 62 ill. 29 euro

Nel volume, oltre alle opere esposte è analizzato il rapporto tra classicità e contemporaneità in diversi ambiti, a firma del curatore Vincenzo Trione (arte); Marcello Barbanera (archeologia); Alessandro Piperno (letteratura); (Maurizio Bettini (mitologia); Gianni Canova (cinema), delineando infine un ponte ideale tra passato e presente ai Fori e al Palatino con Emanuele Trevi.


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VEZZÒLI SOBRI VIZI AL MAXXI

Il Museo del XXI secolo inaugura una trilogia su un artista tanto noto quanto discusso che dopo Roma espone negli Stati Uniti La direttrice Anna Mattirolo: non è uno show guardiamo con ironia alle sue icone di oggi di MAURIZIO ZUCCARI

Francesco Vezzòli Eva Mendes in Jeu de Paume, je t’aime! (advertisement for an exhibition that will never open), 2009

ella sua generazione è fra i più noti, quotati, amati e odiati artisti italiani. Forte di ben tre presenze alla Biennale di Venezia – l’ultima nel 2007 – Francesco Vezzòli, classe 1971, sbarca al Maxxi con una mostra a cura della direttrice Anna Mattirolo, dando il là a una trilogia che si chiude in autunno con due grandi eventi negli Stati Uniti. Un 2013 che si preannuncia come un anno davvero importante per l’artista bresciano noto in tutto il mondo per i suoi ricami e la capacità di mettere in posa star di prima grandezza. L’antologica che si apre al Museo del XXI secolo è, di fatto, la prima in Italia. Che vedremo? «Vedremo anzitutto una buona parte degli spazi del Maxxi trasformati ironicamente in una specie di museo dell’800. Nel nostro progetto, anche nell’ambito degli altri spazi espositivi statunitensi, si parla di museo, tanto è vero che la mostra si chiama Galleria Vezzòli, proprio in riferimento alla grande tradizione dei musei nati in quegli anni, dalla National Gallery alla Gnam. Quindi il Maxxi sarà trasformato in questo senso, seguendo il percorso ironico di Vezzòli. In realtà si tratta di una serissima mostra, una raccolta antologica e cronologica dei suoi lavori in quindici anni di carriera». Dalle lacrime ricamate alle icone glamour, al sesso fra star: la sua poetica è quella di un artista che in sé stesso è arte. «Sì, l’artista è concretamente dentro il suo modo di fare arte, la sua vita in qualche maniera si sovrappone al suo lavoro ma bisogna fare molta attenzione, Vezzòli è un artista intelligente, capace di osservare ciò che gli sta intorno, di prendere spunto dalle icone, nel bene e nel male, del nostro contemporaneo. Sembra assecondarle


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LE MOSTRE Galleria Vezzòli Internazionalmente riconosciuto come uno dei più significativi artisti italiani della sua generazione, Francesco Vezzòli (Brescia, 1971) nel corso dell’anno è protagonista di tre personali in altrettante istituzioni museali internazionali. Si comincia dal Maxxi di Roma che, fino al 24 novembre, ospita Galleria Vezzòli, a cura di Anna Mattirolo, direttrice della sezione arte del Museo del XXI secolo. Di fatto, la prima antologica italiana dedicata a questa star del panorama artistico internazionale. Novanta opere raccontano un personaggio eccentrico del mondo dell’arte contemporanea, a partire dai primi lavori, i ricami del 1995, fino ai video, agli autoritratti e alle sculture più recenti. Il titolo della mostra si ispira, ironicamente, alle grandi gallerie romane e ai musei del passato. Per l’occasione, le architetture avveniristiche di Zaha Hadid al Maxxi si vestono di velluti e tappezzerie damascate, su cui spiccano i lavori dell’artista: i video e le immagini che hanno per protagonisti le star del piccolo e del grande schermo (da Gloria Swanson a Edith Piaf, da Sonia Braga a Sharon Stone a Helmut Berger), gli autoritratti, le sculture dalle fattezze classicheggianti. Seguiranno in autunno al Moma PS1 di New York The church of Vezzòli, a cura di Klaus Biesenbach: una chiesa sconsacrata del XIX secolo costruita nel Sud Italia, smontata e rimontata nel cortile del museo. Infine, al Moca di Los Angeles Cinema Vezzòli, a cura di Alma Ruiz, l’artista, utilizzando il cinema classico europeo e lo star sistem hollywoodiano, racconta l’ossessione di oggi per la fama, la politica e l’ostentazione del privato. Info: www.fondazionemaxxi.it; 0639967350; www.moca.org

A sinistra: Francesco Vezzòli Antique not antique self portrait as a crying roman togatus, 2012 In alto: trailer per un rifacimento di Caligola di Gore Vidal, 2005 foto Matthias Vriens

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IL NOSTRO FRANCESCHINO IMPIEGA IL SESSO COME UN VERME GROSSO E ROSSO MESSO LÌ A RICOPRIRE L’AMO LA PROMISCUITÀ DEI RIBALTONI E DEGLI INCIUCI, IL DRAMMA DEL COMANDARE O FOTTERE. CON IRONIA DISINIBITA VEZZÒLI IN QUALCHE MODO TOCCA ANCHE QUESTI CRUCCI ESISTENZIALI DELL’AMMINISTRATORE PUBBLICO CONTEMPORANEO GUIDO TALARICO EDITORE E DIRETTORE INSIDEART

ATTORNO A FRANCESCO VEZZOLI SI È COSTRUITO UN GRANDE TEAM DI LAVORO TRA PIÙ ISTITUZIONI E SONO MOLTO SODDISFATTA CHE IL PROGETTO PARTA A GIUGNO PROPRIO DAL MAXXI, IN ITALIA GIOVANNA MELANDRI PRESIDENTE FONDAZIONE MAXXI

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Sembra assecondarle ma dietro il suo lavoro c’è un’attenta critica, un approfondimento, ci dà degli strumenti per analizzare la società in cui viviamo con i suoi problemi e offre anche un monito sui miti della contemporaneità. Il suo non è solo uno show». Tra i quarantenni è l’artista italiano di punta nel panorama internazionale, quali sono le ragioni del suo successo? «Senza togliergli niente, ci sono tanti artisti italiani della sua età ben messi sulla scena internazionale, la sua è stata una generazione capace di affacciarsi sul resto del mondo. Ma lui è tra i più comunicativi, lo ha saputo fare in modo più appariscente, anche perché nel suo lavoro mette icone riconoscibili e riconosciute, dialoga con tanti settori del made in Italy di successo, penso alla moda, per cui ha abbinato il suo nome ad aspetti che lo hanno facilitato. Poi ha chiamato a lavorare con sé attrici e registi, ha avuto la capacità di convincere grandi personaggi a partecipare ai suoi progetti». Forse anche per il suo successo su di lui si sono appuntate molte critiche. Un pamphlet distribuito da ultimo alla Quadriennale di Roma lo definisce fuffa, il peggio del nostro contemporaneo artistico. «Ognuno la pensa come crede, lo vedrà la storia ciò che rimarrà di Vezzòli e del suo lavoro. Condivido il fatto che molte volte prenda spunto dal peggio che siamo stati capaci di tirar fuori, però varrebbe la pena di capire perché lo fa, guardare oltre, forse è anche questo un monito. Insomma, Francesco sa perfettamente dove stia il bene e il male, sta a noi entrare più in profondità, avere voglia di capire che la sua è anche una critica molto sottile a certi modelli di società nella quale viviamo. Anche il tema che affronta al Maxxi, quello del museo, è sotto osservazione per un’infinità di motivi di natura economica e sociale, quasi antropologica. Ci si chiede cosa sia e cosa debba

essere un museo, se anch’esso sia diventato show, intrattenimento, modificando la sua funzione. Tanti interrogativi che anch’io mi sono posta lavorando con lui, confrontandomi col suo modo di affrontare la questione, con questa mostra». In proposito, sul rapporto fra un museo, in particolare il Maxxi, e un artista consolidato c’è chi punta il dito sul fare da sponda ad artisti come Vezzòli che hanno un nome e “sponsor” importanti, piuttosto che su altri storicizzati o emergenti, comunque che non tirino la volata al mercato. «Rispondo francamente con una sonora risata. Se si lavora coi quarantenni, quindi autori non storicizzati, non va bene; se lo sono o sono troppo giovani non va bene lo stesso. Come nel calcio, mi pare che in Italia vogliamo essere tutti allenatori. Come si fa, parlo di Vezzòli come di chiunque altro della sua generazione, a non lavorare con un quarantenne? Sono artisti che stanno entrando sulla scena nazionale e internazionale, a questa età consolidano la loro carriera. C’è ancora tanto lavoro critico da fare, non stiamo parlando di maestri dell’arte contemporanea, sessantenni o settantenni. Credo che il Maxxi debba avere un’attenzione per gli artisti più giovani, come ha fatto finora, attraverso il Premio per la giovane arte italiana, con un impegno economico sostanzioso». Infine, che chiave di lettura dare ai visitatori, con quale spirito vedere Galleria Vezzòli? «Con lo spirito di guardare quindici anni di lavoro di un artista che si è impegnato con successo. Cercare di capire la sua ironia, di avere uno sguardo arguto sulla società nella quale viviamo, di essere altrettanto ironici. Poi un artista può piacere oppure no ma questa è una grande occasione per osservare e interpretare la nostra contemporaneità, Vezzòli è una figura sulla quale vale la pena approfondire lo sguardo».


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A cura di Silvia Novelli

PERUGIA L’arte è un romanzo La mostra L’arte è un romanzo, la straordinaria storia delle parole che diventano immagini racconta le correlazioni esistenti tra l’universo della scrittura e il mondo dell’arte contemporanea. L’esposizione, curata da Luca Beatrice, è ospitata a palazzo della Penna di Perugia e si snoda lungo le quindici sale disposte sui due piani del museo. Più di sessanta le opere di artisti italiani e stranieri presenti in mostra, caratterizzate da un’eterogeneità dei linguaggi espressivi: dalla pittura alla fotografia, dall’installazione alla scultura, dall’illustrazione agli oggetti di design che portano la firma di architetti di fama internazionale. Fino al primo settembre. Info: 0755772829.

NEW YORK Punk! Chaos to couture La rassegna, a cura di Andrew Bolton, in programma al Metropolitan museum di New York fino al 14 giugno, omaggia tanto il punk e la sua cultura quanto la moda che da questo flusso di nuove idee ha saputo trarre ispirazione. In esposizione oltre cento abiti di icone punk come Malcolm Mc Laren e Vivienne Westwood, ma anche quelli, assai preziosi, di Christian Dior, Gianni Versace, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, John Galliano, Karl Lagerfeld, Riccardo Tisci. Info: www. metmu seu m.o rg

MILANO Mike Kelley MADRID Salvador Dalì Salvador Dalì è protagonista di una retrospettiva, a cura di Jean-Hubert Martin, tra le più complete mai realizzate. Circa 200 opere provenienti da importanti istituzioni e collezioni private di tutto il mondo esposte negli spazi del Museo nacional centro de arte Reina Sofìa di Madrid fino al 2 settembre. La mostra si focalizza sul metodo paranoico-critico sviluppato dal maestro surrealista. Tra le opere esposte: La persistenza della memoria, Metamorfosi di Narciso e Costruzione molle con fagioli bolliti. Info: www.museoreinasofia.es

L’Hangar Bicoccca ospita, fino all’8 settembre, la mostra Mike Kelley: eternity is a long time dedicata all’artista statunitense che ha contribuito a tracciare nuove direzioni nella storia dell’arte contemporanea. Il progetto espositivo, curato da Emi Fontana e Andrea Lissoni è un’occasione unica di approfondimento e conoscenza del lavoro di Kelley. Un percorso – tra installazioni, video e sculture – che si focalizza principalmente tra il 2000 e il 2006, periodo di grande maturità creativa nella produzione dell’artista scomparso nel 2012, tra i più interessanti della contemporaneità. Info: www.hangarbicocca.org


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ROMA Luigi Ghirri Luigi Ghirri, tra gli artisti del padiglione Italia scelti da Bartolomeo Pietromarchi, è protagonista di una retrospettiva al Maxxi di Roma dal titolo Pensare per immagini, a cura di Francesca Fabiani, Laura Gasparini e Giuliano Sergio. L’esposizione, organizzata in tre sezioni – icone, paesaggi e architetture – presenta 300 scatti, vintage prints, new prints inediti, menabò, libri, cartoline, dischi e riviste. Un invito a ripercorrere la fasi della ricerca artistica di Ghirri: le icone di quotidiano, i paesaggi come luoghi di attenzione e di affezione e le architetture, da quelle anonime a quelle d’autore. Fino al 27 ottobre. Info: www.fondazionemaxxi.it

BERLINO Helmut Newton Accanto alla mostra al palazzo delle Esposizioni di Roma, anche Berlino rende omaggio a Helmut Newton con World without men a cura di Matthias Harder. Immagini che nacquero come fotografie di moda, pubblicate sulle maggiori riviste internazionali. Al centro del lavoro è la donna, mentre l’uomo è un accessorio, con il solo scopo di accentuare bellezza e potere femminile. Esposte anche le fotografie in bianco a nero di Archives de nuit, scattate tra gli anni ’80 e ’90, pubblicate a Parigi nel 1992 ed esposte per la prima volta a Berlino. Fino al 13 ottobre, Helmut Newton foundation. Info: www.helmut-newton.com

GENOVA Stanley Kubrick Fino al 25 agosto, palazzo Ducale di Genova ospita la grande mostra dedicata alla breve ma straordinaria carriera da fotografo di Stanley Kubrick. L’esposizione, curata da Michel Draguet, testimonia la capacità di Kubrick di documentare la vita quotidiana degli Stati Uniti dell’immediato dopoguerra, attraverso le inquadrature fulminanti e ironiche nella New York che si apprestava a diventare la nuova capitale mondiale. La mostra propone 160 fotografie tirate con stampa al bromuro d’argento dai negativi originali, realizzate dal regista tra il 1945 e il 1950. Info: www.palazzoducale.genova.it

PECHINO Shirin Neshat The book of kings è il titolo dell’esposizione dedicata a Shirin Neshat in Cina che presenta una nuova serie di fotografie e una videoinstallazione. I lavori sono ispirati al poema epico Shahnameh (Libro dei re), del poeta dell’undicesimo secolo Ferdowsi. L’artista intreccia un linguaggio visivo austero ma sensuale con la musica, la poesia e la storia, ma anche la politica e la filosofia. Fino all’8 settembre alla fondazione Faurschou, Pechino. Info: www. faursc ho u.c om


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TU CHIAMALA SE VUOI ARTE VIVA Intervista a Monique Veaute ai vertici di Romaeuropa fondazione che cura gli eventi dell’omonimo festival sparsi per la capitale Le parole di una donna che tratta il contemporaneo come una vertigine di GUIDO TALARICO

la direttrice Melting pot europeo Monique Veaute è nata il 12 aprile 1951 a tübingen, in Germania. laureata in filosofia, nel 1984 diventa responsabile degli eventi internazionali di France musique, fonda il festival di villa Medici che poi diventerà la fondazione romaeuropa. in Francia è stata insignita del titolo di chevalier des arts et lettres e in italia del titolo di cavaliere al merito della repubblica. dal 2012 è componente del consiglio di amministrazione del Maxxi. info: http://romaeuropa.net


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l giorno fuggiva nel giorno dopo per dimenticare.Adesso ti è messo davanti: tu sei contemporaneo”. Così ha scritto il poeta Milo De Angelis e poco e niente riesce a cogliere meglio l’anima della fondazione Romaeuropa diretta da Monique Veaute. Il punto della questione è facile e lo scopo è nobile, non lasciare che il presente in tutte le sue forme sfugga o passi inosservato. Il calendario eventi di Romaeuropa ha raccolto quest’anno, come del resto gli altri anni, un vasto ventaglio di esperienze artistiche, dal teatro alla musica elettronica, passando per la danza, i corti d’animazione, la street art e le performance proponendo uno sguardo sulla produzione contemporanea, selezionando gli artisti nel caos della creatività odierna per proporre allo spettatore di vivere il suo tempo. È questo ciò che fa la fondazione: chiede di accettare l’impossibilità di catalogare“l’art vivant”, come la chiamano giustamente i francesi, di sentire la vertigine e non rifugiarsi dietro movimenti e artisti storicizzati stampati sui libri di testo, dal sussidiario ai manuali per l’università. A capo della fondazione da dieci anni Monique Veaute racconta dove tutto è iniziato e come tutto sta cambiando. Danza, musica, elettronica e performance, come mai un cammino così poco classico? «Noi seguiamo il contemporaneo, quello che si crea oggi. Da tempo ormai gli artisti possono essere etichettabili secondo le categorie tradizionali e i confini fra i vari linguaggi espressivi non esistono più. Un artista che compone musica elettronica spesso lavora anche con le immagini. Così come la danza contemporanea ha da tempo abbandonato il tutù e le scarpette mentre sempre più spesso lavora con gli architetti o gli artisti visivi, abbandonando il palcoscenico per invadere i musei. Al tempo stesso molti artisti che abbiamo conosciuto nei musei, oggi salgono sul palcoscenico. L’arrivo di nuove tecnologie è stato subito utilizzato e metabolizzato dai creativi più innovativi. Il nostro cammino, insomma, è stato guidato da una normale attenzione alla creazione contemporanea». Il Romaeuropa festival, come le altre manifestazioni che promuovete, ha un forte legame con la città. Come lo avete costruito e quanto è stato difficile?

«Vengo da differenti esperienze in diverse città europee e sono convinta che non si possa realizzare un evento, una programmazione culturale senza conoscere e comprendere il territorio che la ospita. Roma è una città particolare in cui convivono, paradossalmente, il rispetto quasi maniacale del patrimonio e la curiosità per esperienze artistiche contemporanee, anche quelle più radicali. Abbiamo scelto di percorrere le strade dell’arte di oggi, di promuovere artisti che creano in forte sintonia con il loro tempo. A Roma sono presenti da sempre creativi, intellettuali stranieri e italiani e desideriamo dialogare con loro, sia nelle vesti di protagonisti che in quella di osservatori attenti. In questi anni abbiamo costruito un percorso rifiutando le vie più facili, convinti che qualità e novità avrebbero trovato il loro pubblico e avrebbero convinto i nostri partner delle scelte compiute. Con le istituzioni culturali come, fra le tante, il teatro di Roma, Santa Cecilia, le ambasciate straniere, gli istituti di cultura e, per quanto riguarda il Palladium, l’università Roma Tre, ci confrontiamo quotidianamente, in un’ottica di scambio di idee e di concertazione. Difficile? Niente è mai scontato e serve convinzione». Nel corso degli anni come è cambiato il pubblico del festival e il modo di fruire l’evento? «All’inizio c’erano i genitori ma, velocemente, abbiamo visto arrivare i figli e oggi il nostro pubblico è costituito dai figli dei figli. Il nostri spettatori sono giovani. Siamo sempre stati attenti a comunicare i nostri programmi e a valorizzare i lavori degli artisti che presentiamo, coscienti che a volte non sono d’immediato godimento. Comunicare il mondo di un creativo senza tradirlo è questione complessa, ma contiamo sui tanti canali di informazione che riusciamo ad attivare: dal programma cartaceo al sito internet, dai “social network” alla stampa che ci segue sempre con grande attenzione e curiosità, senza dimenticare quei media, web e non, con cui stabiliamo delle partnership. Di recente abbiamo attivato Appena fatto, in collaborazione con Rai radio 3, un ciclo di incontri fra artisti, pubblico e esponenti del mondo della cultura che intervengono in sala a fine spettacolo. Grazie a queste pratiche, si è creato negli anni un vero club di fedeli e un coinvolgimento attivo del nostro pubblico». Com’è il rapporto dello spettatore con il vostro teatro?


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TEATRO PALLADIUM Indagine sul presente Preso e messo a nuovo nel 2003 dall’università Roma Tre, il teatro Palladium è stato affidato un anno dopo alla fondazione Romaeuropa che ne ha fatto il suo quartier generale. Gli eventi che ospita lo spazio che quest’anno festeggia il suo decennale sono ”testate” contro la definizione comune di teatro e il programma di questi anni (quanto meno eclettico) sta a dimostrarlo, dalla street art alla danza, dai corti alle performance, dal teatro sociale fino all’incontro con scrittori e scienziati dove l’unico comune denominatore è il presente indagato in tutte le sue forme.

«Esiste una differenza fra il pubblico del teatro e della danza internazionale e quello che invece segue il teatro italiano di ricerca. Se Peter Brook o Alain Platel attraggono un pubblico numeroso e variegato, il pubblico del teatro di ricerca italiano attira spesso lo stesso gruppo di persone, che negli anni ha portato alla costituzione di una vera e propria comunità di esperti che ci sostiene». C’è un messaggio di fondo che unisce le forme d’arte che proponete? «Sì, solo se si intende come messaggio la libertà della creazione, il superamento delle frontiere, l’apertura al mondo, la carica visionaria degli artisti. Ecco le linee guida delle scelte di Romaeuropa». In un periodo storico dove tutto è mediatico e filtrato, qual’è il valore di un mezzo come il teatro in cui è fondamentale la presenza fisica? «È la presenza fisica che cambia tutto, non solo quella dell’artista in scena ma anche quella del pubblico. La condivisione di un tempo e di

uno spazio in cui si esce della quotidianità crea un comune sentire, qualcosa di magico. Ho visto gruppi che si formavano dopo gli spettacoli per discutere e dare il loro giudizio. Il rituale dello spettacolo dal vivo permette la convivialità,eventualmente l’incontro». La programmazione del Palladium non copre solo gli spettacoli teatrali, perché una scelta del genere? «Il motivo principale è legato al nostro rapporto con l’università Roma Tre che ci ha affidato la programmazione dello spazio di loro proprietà. La fiducia nasce da un rapporto iniziato dieci anni fa, quando insieme al rettore Guido Fabiani e ai diversi presidi di dipartimento, abbiamo iniziato una seria di programmi culturali. Tutti convinti che lo spettacolo dal vivo è una delle forme di trasmissione del sapere, abbiamo pensato a una programmazione che guardasse non solo alla letteratura, al teatro, alla danza e al cinema ma anche


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Hemisphere di Ulf Langheinrich per il festival Sotto sopra del 2006 al teatro Palladium Nelle pagine precedenti: Monique Veaute e un interno del teatro

alla politica, all’economia, alle scienze matematiche e fisiche. In poche parole abbiamo proposto il teatro del sapere. Cosi, in questi anni abbiamo lavorato a stretto contatto con studenti e professori. L’altro motivo è da cercare nel dna di Romaeuropa, costituito dal gusto della scoperta e da una curiosità senza fine e senza confini verso le nuove sperimentazioni. Se l’artista è capace di aprirci a una visione poetica del mondo, il rapporto con l’accademia permette di costruire une griglia di lettura della complessità delle nostre società». In dieci anni ai vertici com’ è cambiata la mentalità del pubblico? «Il pubblico di oggi ha più mezzi a disposizione per comprendere le trasformazioni delle forme espressive. Ed è in grado di conoscere in tempo reale quello che succede non solo a Roma ma nel mondo intero. Internet è uno strumento attraverso il quale chiunque può reperire le informazioni necessarie a una maggiore comprensione di lin-

guaggi a volte difficili. Ma soprattutto lo spettatore oggi ha i mezzi per partecipare attivamente e commentare in tempo reale, attraverso i social media, sia gli artisti, che noi. Direi che il pubblico contemporaneo è diventato protagonista». Qual è stata la sua più grande soddisfazione durante questi anni ai vertici della fondazione Romaeuropa? «La presenza del pubblico, la fedeltà e il sostegno degli artisti nei momenti più difficili,la collaborazione con i nostri partner». Avete già qualche idea per il prossimo calendario? «Sì, stiamo chiudendo la prossima stagione con alcuni fedeli artisti che hanno partecipato alla nascita del Palladium. Come sempre, l’apertura è dedicata ai grandi maestri, che proporremmo in collaborazione con il teatro di Roma con il quale si è creato una forte collaborazione artistica e daremo più spazi ai progetti internazionali».


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IL NUOVO CUORE D’OLANDA Riapre il Rijksmuseum di Amsterdam dopo dieci anni di ristrutturazione Da Rembrandt al ‘900 un percorso storico fra i più ricchi del mondo di SIMONE COSIMI

L’atrio del Rijksmuseum

n edificio del XIX secolo è diventato un museo immerso nella contemporaneità. Ci sono voluti dieci anni ma alla fine il prestigioso Rijksmuseum di Amsterdam è uscito dal lungo letargo grazie al progetto di ristrutturazione firmato dallo studio spagnolo Cruz y Ortiz. Un cambio di fattezze che gli ha regalato tre inediti segni particolari: un atrio grande e luminoso, un nuovo padiglione dedicato all’arte asiatica e una serie di sale intelligentemente rinnovate. Ma, archistar a parte, è stato un lavoro di squadra: se la direzione del restauro, affidata allo studio locale Van Hoogevest, ha tenuto alla ricostruzione dello storico schema decorativo ottocentesco di Pierre Cuypers, l’omologo parigino di Jean-Michel Wilmotte si è occupato delle sale, spingendo l’acceleratore sulla modernità. Anche il percorso espositivo, che ruota intorno alla più grande collezione di opere del periodo d’oro dell’arte fiamminga nonché a una considerevole raccolta d’arte asiatica, ne è uscito profondamente modificato. Entrando in questo rispolverato tempio dell’arte si vive così uno straordinario viaggio nel tempo accomunato dal numero otto: sono infatti ottanta


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VAN GOGH È TORNATO Riapre il museo sul genio dell’Ottocento Non un’autentica ristrutturazione, d’altronde i lavori dell’ala espositiva erano stati ultimati nel 1999, anche se il progetto principale è degli anni Settanta. Piuttosto, un profondo riallestimento per il museo Van Gogh di Amsterdam, il più importante spazio al mondo con opere del pittore olandese. Si riapre con la grande esposizione Van Gogh at work, che celebra appunto anche i quarant’anni di vita: «In appena sette mesi, contro ogni previsione, siamo stati in grado di ristrutturare i pavimenti, i muri e le finestre per dare un nuovo volto alla struttura (racconta Adriaan Dönszelmann, nuovo direttore generale del museo dedicato al genio dei girasoli) fra l’altro, la struttura è ora anche più ecosostenibile». L’esposizione, frutto di otto anni di ricerca, promette di fornire un diverso punto di vista al lavoro di Van Gogh: ripercorre infatti l’evoluzione del pittore per mezzo di 200 opere. Grazie a microscopi e campioni di vernice, i visitatori possono fare esperienza diretta del processo di apprendimento e del metodo creativo dell’incomparabile maestro. Fino al 12 gennaio 2014. Info: www.vangoghmuseum.nl

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Sopra: un interno del Rijksmuseum A sinistra: la gallery of Honour In basso a sinistra: Van Gogh, autoritratto 1887

le sale e oltre ottomila i lavori esposti per un arco storico che abbraccia otto secoli. Insomma, tappa fissa per chiunque visiti Amsterdam insieme allo Stadelijk, riaperto lo scorso autunno, e al museo Van Gogh, anch’esso fresco di riallestimento (vedi box). «La prima impressione è spesso quella che racconta di più di un posto – dice Wim Pijbes, storico direttore del museo – ogni viaggio inizia con un primo passo e non si dimentica mai l’ultimo bacio. Ogni anno, il Rijksmuseum è infatti il primo passo per centinaia di migliaia di persone: guadagnano la prima impressione appena scovano e fissano un autentico Rembrandt, intercettando subito il gusto dell’epoca. Ma non finisce qui. Di questi tempi, nella nostra società così veloce e mutevole, questo aspetto è diventato ancora più importante. Il museo è stato sì rinnovato ma anche, a dirla tutta, reinventato». Non è un caso, d’altronde, che l’unico dipinto tornato al proprio posto, seguendo la logica di Pijbes, sia stato proprio La ronda di notte, il capolavoro di Rembrandt datato 1642. «Il nuovo museo è completamente al passo con il mondo in cui vive, con i gusti del XXI secolo: continuerà senz’altro a soddisfare gli amanti della storia e dell’arte ma svilupperà programmi didattici e giocherà un ruolo più pesante nella società. Oltre a esporre superbamente la collezione, il Rijksmuseum continuerà a cambiare. Arte e storia non sono solo attrezzi del passato e il museo è ora un luogo moderno che accoglierà in

continuazione eventi unici». Dal medioevo al Novecento, quattro piani procedono per rigoroso ordine cronologico alternando oggetti di ogni tipo: dai dipinti ai disegni passando per fotografie, argenti, porcellane, arredamento, gioielli e armi. Ben trenta sale sono dedicate all’asso nella manica, il Secolo d’oro, quando la giovane repubblica commerciale olandese spiccava nei commerci, nelle scienze, nelle guerre e nell’arte. Nella galleria d’onore, cervello del museo, emergono infatti grandi nomi come Vermeer, Frans Hals, Jan Steen e lo stesso, pluricelebrato Rembrandt. Il percorso tocca anche il XX secolo dove fra fotografia e cinema non manca neanche un aeroplano. Concludono il corpo principale della struttura alcune collezioni speciali tematiche dedicate alle eccellenze olandesi, dalla marineria alla musica e una serie di nuove acquisizioni messe a segno nell’ultimo decennio, come il dipinto Il sindaco di Delft e la figlia di Jan Steen, realizzato nel 1655. Anche il padiglione asiatico, firmato sempre dallo studio spagnolo Cruz y Ortiz, contribuisce a svecchiare la struttura con le sue superfici inclinate che producono strane linee visive: qui c’è uno dei patrimoni più ricchi per l’arte orientale, che spazia dal 2.000 a. C. a oggi. Nuova vita anche per gli spazi esterni fra sala esterna, serra e rielaborazioni naturali. Il 21 giugno, proprio nei giardini, viene inaugurata l’esposizione di Henry Moore, la prima di una serie di mostre annuali dedicate alla scultura. Info: www.rijksmuseum.nl


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POMODORO FRA 4 MURA Milano, apre il nuovo spazio a via Vigevano Una retrospettiva sul maestro per ritrovare l’origine della sua storia: «Non ho perso la passione per la ricerca» di VALENTINA CAVERA

d aprile ha inaugurato la nuova sede espositiva della fondazione Arnaldo Pomodoro che trova in via Vigevano 9 un luogo dove essere nuovamente attiva, dopo la chiusura, nel 2011 dello spazio in via Solari. A dare il benvenuto ai visitatori sono le prime opere realizzate dal maestro, risalenti agli anni 1954-1960, esposte fino al 28 giugno nella mostra dedicata allo scultore, intitolata Una scrittura sconcertante. Riflettendo sulla sua prima stagione creativa è naturale chiedersi, andando indietro nel tempo, in che modo e dove tutto ha avuto inizio, ovvero la nascita dell’attività e della ricerca del maestro. Osservando il lavoro svolto in anni di operosità desta curiosità trovare il bandolo della matassa, necessario per comprendere l’artista come oggi è. «A quasi 87 anni di età – dice Pomodoro – dopo una vita di intenso lavoro, ho la soddisfazione di vedere diverse mie sculture nel mondo, collocate nelle città e in spazi pubblici di grande suggestione e importanza. Forse ho definito il motivo stilistico che fa da perno alla mia opera, ma non ho perduto la passione e l’interesse per la ricerca artistica,


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LA MOSTRA Una scrittura sconcertante L’evento espositivo, curato da Flaminio Gualdoni propone 28 rilievi in piombo, argento, bronzo e alcuni disegni e lavori che rappresentano i primi passi di Pomodoro nel mondo della creatività. Vengono alla luce paesaggi segnici in cui la poeticità dell’esistere oltrepassa il semplice racconto per diventare immagine eterna, orizzonte, giardino, incontro o solo un luogo di mezzanotte. Il mondo che vediamo e viviamo dinanzi alle sue opere è il ”mondo dell’astratto che possiede qualche ricordo”, come lo era anche quello di Klee. Fino al 28 giugno.

LA FONDAZIONE Un centro di confronto La novella sede misura 130 metri quadri ed è accompagnata da una stanza usata come archivio di Arnaldo Pomodoro. L’artista è nato il 23 giugno del 1926 presso Rimini e dal 1954 vive e lavora a Milano. L’inaugurazione dell nuovo spazio si è festeggiata con una mostra dedicata allo scultore, intitolata Una scrittura sconcertante, aperta fino al 28 giugno. La seconda esposizione in programma, in onore, questa volta, di Enrico Baj, è prevista per l’inizio dell’autunno. Come si era ripromesso il maestro sin dalla nascita della fondazione nel 1995, questo spazio non è un luogo celebrativo del suo lavoro ma un centro di confronto e discussione, un laboratorio per l’arte e la cultura. Via Vigevano 9, Milano, info: www.fondazionearnaldopomodoro.it

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Sopra: Arnaldo Pomodoro foto Rossano Maniscalchi In alto: Orizzonte, 1956, I, 1956 foto Dario Tettamanzi A sinistra: un momento del vernissage foto Fabrizio Cerrito A pagina 128: l’interno della fondazione Pomodoro

continuando a lavorare e a sperimentare. D’altra parte, il creativo cerca sempre se stesso nel profondo, nell’oscurità; è pressato dalle emozioni e dai sentimenti, nel suo intento di uscire dall’angoscia e sentirsi liberato mentre compie la propria opera». Era il 1954 quando Arnaldo Pomodoro giunse a Milano, dalle Marche, in compagnia del fratello Giò, con il quale aprì in via Visconti il primo studio, poco distante da quello di Lucio Fontana. «Sono arrivato a Milano – racconta l’artista – nel pieno della ripresa, dopo le devastazioni della guerra, in una città nuova e in una nuova cultura. Milano a quei tempi era vitale, con una forte impronta internazionale: città di critici-scrittori come Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Guido Ballo, Raffaele Carrieri, Roberto Sanesi e di artisti come Lucio Fontana, Enrico Castellani, Gianni Dova, Piero Manzoni, Enrico Baj e tanti altri. Ho iniziato subito a frequentare artisti e intellettuali che animavano la vita milanese e si ritrovavano al bar Giamaica. Fondamentale l’incontro con Fernanda Pivano e Ettore Sottsass e, attraverso di loro, con la cultura americana». La vicinanza di Fontana, sicuramente è complice del suo essere un artista di successo. «Ho incontrato Lucio Fontana nel 1954: è stato lui a introdurmi nell’ambiente artistico milanese – ricorda lo scultore – per tanti artisti più giovani Fontana è stato un maestro nel comprendere le capacità e i percorsi di ricerca individuali attraverso il suo formidabile senso del nuovo. Anche per me è stato come un padre che mi ha stimolato, incoraggiato e seguito sempre». Come Fon-

tana attraverso i suoi tagli esplora possibilità spaziale ancora sconosciute, oltrepassando la tela, penetrandola e ferendola, così per Pomodoro l’arte è attraversamento, sconfinamento, è andare oltre fino a sentirsi in uno spazio diverso. «Per quanto riguarda il tema dell’attraversamento – spiega il maestro – devo dire che l’idea di porta, che è anche muro, parete, luogo fondamentale della comunicazione e della comprensione, presente già nella mia prima Porta del 195960, mi ha coinvolto e ispirato: è soglia da oltrepassare e porta da aprire, per esplorare le frontiere dell’ignoto con l’ambizione e la ricerca sempre di spostarle». E anche la mostra Una scrittura sconcertante dà un valore importante alla traccia intesa come parte di un alfabeto segreto da interpretare. «Ho sempre subito un grande fascino da tutte le orme dell’uomo – confessa Pomodoro – soprattutto quelli arcaici, dai graffiti dei primordi alle tavolette mesopotamiche. La ricerca sul segno, d’altra parte, emerge in tutto il mio lavoro. Si tratta di diversi elementi modulari, leggeri e ritmici: l’impronta a volte si allarga, si dilata; a volte, al contrario, diviene calligrafia minuta. Come ha scritto Sinisgalli, presentando nel 1955 i miei lavori alla galleria dell’Obelisco di Roma: “È questa una scrittura sconcertante che sentiamo densa di un fascino nuovo, quasi magnetico”. Da qui, il titolo della mostra». Fondamentale il successivo trasferimento dello scultore nello spazio all’inizio di via Vigevano che si deve ritenere speciale, la casa della vita, ovvero il luogo che l’ha ispirato a realizzare le prime opere.


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ACCADEMIA DI FRANCIA A ROMA VILLA MEDICI Viale TrinitĂ dei Monti 1 00187 Roma Info e programma: www.villamedici.it

Sopra e a destra: Villa Medici, accademia di Francia a Roma


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COLTA ESTATE A VILLA MEDICI

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al 5 all’8 giugno, per la quarta edizione di Villa Aperta, il festival di villa Medici interamente dedicato alla musica pop, elettro, rock e con l'obiettivo di incrementare gli incontri tra artisti di diverse sensibilità, si espande e propone quattro serate con musicisti provenienti da tutto mondo. In apertura del festival, sotto la loggia di villa Medici, due cantanti rock francesi si divideranno la scena: Laetitia Sadier, ex cantante del mitico gruppo Stereolab e Claire Diterzi, in tournée, che presenterà il suo ultimo album Le Salon des Refusées, frutto della sua passata residenza d’artista a villa Medici nel 2011. La seconda serata del festival vedrà protagonisti il Mali e il Marocco, con i Terakaft, gruppo di forte attualità, e con i Master Musicians of Joujouka, che l’Occidente ha ampiamente potuto conoscere grazie alla beat generation negli anni '60. Prima dei due gruppi i francesi Concrete Knives presenteranno il loro ultimo album. Venerdì 7 giugno i giardini della villa risuoneranno al ritmo dell'elettronica di Arnaud Rebotini, gigante retro futurista del leggendario duo francese dei Black

Parte una stagione densa di eventi all’accademia di Francia. Serate sotto il segno dell’arte, della musica e del cinema dai primi di giugno di ANGÈLE PICGIRARD

Strobe, insieme a quella di Erol Alkan, star delle discoteche londinesi. E per la serata di chiusura il festival lascerà carta bianca alla casa discografica Because Music e accoglierà l’italiano Mind Enterprises, la francese Christine and the Queens, capitanati da uno dei gruppi inglesi più famosi del momento: i Klaxons. Il festival Villa Aperta è oggi uno dei maggiori momenti della scena del rock a Roma: il programma di questa quarta edizione è una promessa di belle serate, ricche di sonorità eclettiche e sicura-

mente in grado di riservare emozioni. Il secondo evento, Il cinema all’aperto, si svolgerà dal 15 al 25 luglio. Di notte il pubblico assisterà alle proiezioni di film dedicati a uno dei più grandi attori che la Francia e l’Italia si dividono da tanti anni grazie al suo talento riconosciuto dal 1965 con il film le Mépris de Jean Luc Godard: Michel Piccoli. La rassegna permetterà di vedere per la prima volta, o scoprire di nuovo, i film che hanno costruito la storia del cinema o segnato la nostra quotidianità. Per quanto ri-

guarda invece le mostre, durante l’estate verrà presentato il lavoro di Victor Man, artista che vive a Berlino. La sua mostra personale, dal titolo In un altro aprile, in programma dal 26 giugno al primo settembre 2013, costituisce la terza e ultima tappa del percorso espositivo a cura di Alessandro Rabottini e incentrato sul tema dell’accademia. Il lavoro di Victor Man esplora la storia della pittura e della rappresentazione come il luogo in cui memoria, finzione e amnesia si sedimentano, un luogo denso di ombre e di atmosfere misteriose, all’interno del quale le cose esistono in una condizione di perpetuo movimento. L’esposizione seguirà quella dedicata a Pierre Soulages, famoso pittore francese che ha fatto del colore nero il suo segno distintivo e ancora in programma a villa Medici fino al 16 giugno 2013. La possibilità di visitare i giardini e ascoltare la storia dell’edificio sarà anche una cosa fattibile durante l’estate. Dalle ore 11 alle 18, le guide saranno presenti con le visite in francese, italiano e inglese per fare scoprire la ricchezza di questo palazzo. L’ estate che si avvicina sarà ricca di eventi decisamente interessanti da non dimenticare.


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Sartogo architetti associati Piero Sartogo e Nathalie Grenon via Sardegna 14, 00187 Roma Informazioni e contatti: www.sartogoarchitetti.it information@sartogoarchitetti.it

Sopra: Chiesa del Santo volto di Ges첫 in via della Magliana, Roma A destra: il crocifisso virtuale


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LA LUCE SULNERO

uò essere rappresentato oggi il Cristo come veniva raffigurato da Cimabue? Può corrispondere ancora all’icona classica che ci tramanda un Cristo dall’aspetto scarno, con i capelli scuri e la barba lunga? Si pensi anche agli studi sul velo della Veronica, a quelli sulla sacra Sindone. Allora era una visione più spirituale a prevalere, mentre oggi le teorie scientifiche influenzano una visione del sacro diversa. Tra il pensiero di Darwin e le teorie sulla creazione esiste una distanza per cui la religiosità è vissuta in modo diverso da tutti, anche dall’uomo della strada. Per la chiesa del Santo volto di Gesù, a Roma, abbiamo progettato e installato un crocifisso in ottone dorato alto due metri al centro del grande rosone che si trova sopra l’altare, all’interno della grande vetrata circolare di 20 metri di diametro. Il corpo di Cristo, che visto da lontano potrebbe sembrare disegnato, è in realtà una sagoma vuota tagliata nella croce priva di una consistenza. È virtuale, coerentemente con gli altri nostri progetti. In questo modo abbiamo voluto

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La chiesa del Santo volto di Gesù a Roma è un capolavoro di architettura e arte, impreziosito dalle opere di Mimmo Paladino e Carla Accardi di NATHALIE GRENON SARTOGO

evidenziare al massimo il significato spirituale della crocifissione: il corpo, visibile e invisibile, mostra la morte di Cristo ma ne evoca anche la resurrezione. Una chiesa è uno spazio particolare che associa la dimensione del sacro al concetto di comunità in tutte le sue innumerevoli componenti. E in quest’ottica siamo molto orgogliosi di aver ripristinato la tradizione millenaria dell’opera corale integrando architettura, scultura e pittura. La partecipazione di molti amici artisti si è concretizzata in opere molto importanti:

la straordinaria via Crucis di Mimmo Paladino in terracotta smaltata, la vetrata tra la cappella feriale e l’aula ecclesiale di Carla Accardi, l’intervento sul perimetro esterno di Giuseppe Uncini, il disegno della croce sospesa di Eliseo Mattiacci, l’opera di Chiara Dynys nel grande vano longitudinale della parrocchia, l’occhio nei confessionali di Pietro Ruffo, la pittura murale di Marco Tirelli. Nella progettazione dell’opera non ci sono stati riferimenti ad altri spazi sacri. Ma non nascondiamo la nostra ammirazione per

due opere molto diverse tra loro: sant’ Ivo alla Sapienza, con lo spazio centrale verticale, luminoso, un inno al divino che porta il visitatore immediatamente fuori dalla realtà; e il Pantheon, metafora del sacro rapportato al profano, con la cupola che racchiude la sfera, le proporzioni perfette. Nella chiesa del Santo volto di Gesù la cupola ha un ruolo fondamentale. Tagliata dalla V del sagrato, si sdoppia in due semicupole: una reale che abbraccia l’aula dedicata alla funzione sacrale su cui si affaccia un’ imponente vetrata circolare; e l’altra virtuale, esterna, evocativa, che allude all’inconoscibile, al mistero del divino, alla dimensione irraggiungibile del cosmo. Il sagrato e il percorso luminoso verso la grande croce posta al di là dell’edificio verso cui tutto converge connota la relazione tra lo spazio sacro e la città: visto dalla città è un vettore diretto verso il punto di fuga rappresentato dalla croce; visto spalle alla croce è il gesto dell’accoglienza che si apre come due braccia tese in direzione del contesto urbano per farlo penetrare nel luogo di culto.


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Casa dell’architettura Via Manfredo Fanti, 47 00185, Roma Info e programma: www.casadellarchitettura.it

Sopra e a destra: Casa dell’architettura a Roma


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LE STANZE DI CALVINO

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er celebrare i novant’anni dalla nascita di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, Cuba, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) la Casa dell'architettura di Roma e l'Ixco, Istituto italiano per la cooperazione, hanno organizzato la rassegna In viaggio con Calvino, un’iniziativa culturale incentrata sulla sua attività letteraria e sui riflessi nell’universo della sperimentazione artistica. L’iniziativa vuole mettere in evidenza proprio la molteplicità dei suoi interessi e il sistema di correlazioni con altri settori disciplinari. Alla vocazione per l’essenzialità del linguaggio e la leggerezza di Calvino corrisponde un reciproco amore per la sua ricerca da parte delle arti visive, dell’architettura, della fotografia, del cinema, del teatro e dell’arte dei giardini. Nell’opera di Italo Calvino è centrale il tema della conoscenza, la curiosità per i meccanismi dell’innovazione espressiva, l’essere costante-

Alla Casa dell’architettura di Roma si alternano eventi e spettacoli e incontri per celebrare i novant’anni dalla nascita del grande scrittore Appuntamenti che svelano l’animo eclettico del romanziere. E al teatro si aggiungono la fotografia, le arti visive e l’arte dei giardini di MASSIMO LOCCI

mente proteso verso il futuro, come testimoniato dalle celebri Lezioni americane. Le sei parole chiave per il nuovo millennio, da lui scelte a metà degli anni ‘80, ci consentono di poter immaginare un viaggio insieme per mettere a confronto linguaggi, temi e modalità comunicative. L’iniziativa si terrà nella Casa

dell'architettura di Roma proprio perché nell’opera di Calvino l’architettura e la città svolgono un ruolo paradigmatico, sono lo strumento e il luogo di cui l’uomo dispone per rappresentare il mondo, lo spazio dove dare forma e figura al contesto in cui vive. Inoltre temi come l’esattezza del processo, la comunicazio-

ne espressiva, la leggerezza, la geometria, la simmetria, ma anche una struttura cristallina del linguaggio, rappresentano proprio le sfaccettature del mondo dell’architettura. Per evidenziare l’interesse dello scrittore per il giardino, da lui inteso come catalizzatore dei ragionamenti sullo spazio antropico, è stata bandita una consultazione, riservata ai giovani progettisti under 40, per allestire lo spazio esterno di verde (tripartito in caraibico, mediterraneo e giapponese in onore alle sue passioni) pensato come sintesi introduttiva della mostra e come un luogo d’incontro per la cittadinanza. Gli esiti del confronto sono esposti nella grande sala ovale. Alla sezione iconografica sulle arti visive, l’architettura, la fotografia, il cinema, faranno da cornice una serie di incontri e convegni scientifici sui principali temi letterari, artistici, architettonici. Inoltre sono previste proiezioni di filmati d'archivio (a cura di Rai teche) e documentari sulla sua vita, il suo lavoro e i suoi luoghi.


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UN SUCCESSO ECOFRIENDLY di MONIA MARCHIONNI

Il celebre laboratorio calzaturiero di Giuseppe Santoni è una vera opera d’arte architettonica Progettato da Alessandro Bassetti concilia eleganza, semplicità ed ecosostenibilità in un equilibrio ispirato a Marcutte e Zumthor

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uesta è la storia di un incontro tra il visionario Giuseppe Santoni e l’architetto Alessandro Bassetti, avvenuto a Corridonia, in provincia di Macerata, luogo del cuore della famiglia Santoni e patria del marchio calzaturiero. Qui sorge un head quarter, un edificio costruito in vetro e acciaio, a pianta quadrata, disposto su tre livelli, che sembra galleggiare grazie ai due specchi d’acqua che si trovano ai lati dell’ingresso. Un muro bianco come un guardiano protegge il mondo che sta dentro, interminabile nella sua presenza, semplice nell’inganno che svela poco dopo. Non è un muro ma una porta che si apre e scompare al rilevare di un corpo, lasciando posto a una visione degna


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Showroom del laboratorio al piano terra

della più alta ingegneria architettonica dell’uomo. Al piano terra ci sono giardini verticali tra i più grandi d’Europa che oltre a ingentilire l’ambiente purificano l’aria, al soffitto si impone un lucernario a forma piramidale che illumina gli oggetti esposti nella grande hall. Oggetti che non raccontano il loro passato, ma lo contengono. Sono scarpe. Tutto questo è Santoni spa, la sede di un brand calzaturiero conosciuto in tutto il mondo. Non si tratta solo di scarpe calzate da grandi icone internazionali come Dustin Hoffman, Michael Schumacher, Valentino Rossi, Lu Siqing o Valerij Gergiev, ma di un modo di concepire il lavoro e l’ambiente, di una ricerca tesa alla reinterpretazione di un gusto classico. Si parla di una vita, quella di Andrea Santoni, che dal

1975 a oggi è stata spesa per far crescere il laboratorio di calzature “haut de gamme”; si parla della visione di suo figlio Giuseppe, che ha fatto buon uso del consiglio di non scendere mai a compromessi nella qualità, portando il marchio a diventare un’icona a livello internazionale tra il vecchio e il nuovo continente, la Russia, la Cina e il Medio Oriente, con 400 dipendenti e un fatturato che supera la soglia dei 50 milioni di euro l’anno. Sembra naturale, dunque, che Giuseppe abbia voluto per la nuova sede Santoni un’architettura che rispecchi la filosofia stessa dell’azienda. A parlarcene è proprio lui, che tende lo sguardo anche verso i giovani designer e artisti: «L’attuale sede rispecchia lo spirito della nostra azienda, che è quello di lavorare


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LO SPAZIO Qualità a impatto zero La sede Santoni di Corridonia (Mc) ospita gli uffici, i laboratori progettuali e un ampio showroom. L'edificio a pianta quadrata è interamente realizzato in vetro, acciaio e alluminio, materiali quasi interamente reciclabili. Comfort e abbattimento dei costi di gestione sono stati gli obiettivi dei progetti, perseguiti attraverso un attento studio per massimizzare l' apporto di luce naturale e soluzioni impiantistiche in grado di rendere la struttura il piÚ possibile autonoma energeticamente. Sede legale e showroom Via Montenapoleone 9, Milano. Info: www.santonishoes.com

A sinistra: Giuseppe Santoni A destra: Sala riunioni con giardino verticale Sotto: Ingresso, vista esterna


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L’ARCHITETTO Giovane talento Alessandro Bassetti (Fabriano, 5 maggio 1972) si laurea in architettura nel 2000 all’università di Roma La Sapienza. Il suo studio nei primi anni si occupa della progettazione di un edificio direzionale di 4100 mq e della realizzazione di un complesso residenziale composto da 22 unità abitative. Successivamente realizza progetti per alcuni marchi del made in Italy tra cui la sede centrale della Santoni spa a Corridonia (Mc), il centro di ricerca e sviluppo Indesit Company spa a Fabriano e la sede centrale della Brema srl a Fabriano.

nel pieno rispetto di ciò che si fa e di ciò che ci circonda, i pellami utilizzati per la realizzazione delle calzature sono sempre naturali e non trattati. Siamo molto vicini ai giovani talenti – continua Santoni – principalmente ai designer, collaboriamo costantemente con le più prestigiose università proprio come stiamo facendo in questi mesi con la Marangoni di Milano. Penso che ci affacceremo presto sul mondo dei giovani artisti, magari con un contest creativo. Amo collezionare oggetti belli e senza tempo, questo vale per gli orologi, un numero contenuto ma di alto valore, e anche per pezzi d’autore di modernariato e di design di Gio Ponti e Franco Albini, di una bellezza eterna». Santoni ha un’innata capacità nel riconoscere il talento, è stato un atto di fiducia che lo ha portato ad affidare a Bassetti (classe 1972 e originario di Fabriano) e al suo Studio Bassetti building workshop, fondato nel 2001, dopo la

laurea, la realizzazione dell’edificio. Si tratta di un centro totalmente ecocompatibile, realizzato con materiali riciclabili al 90%, dove le risorse naturali permettono di abbattere il consumo energetico grazie a una centrale fotovoltaica composta da 3.800 pannelli in silicio policristallino e cisterne per la raccolta e il riutilizzo dell’acqua piovana. Per la qualità e l’utilizzo di tecniche innovative, il progetto si aggiudica nel 2011 il premio internazionale “Sistema d’autore Metra”. Ad approfondire l’argomento è lo stesso architetto: «La richiesta principale della committenza è stata quella di avere un edificio semplice ma al contempo elegante, non soggetto alle mode, attuale ora come tra vent’anni. Abbiamo pensato subito al vetro, una doppia facciata in vetro distanziata di ottanta centimetri che come una grande camera d’aria fa circolare in estate l’aria fresca al suo interno e

funge da serra solare nella stagione invernale. Il tutto avviene chiudendo delle griglie motorizzate alla base e alla sommità della facciata stessa». Bassetti pensa che la discrezione nelle forme e nei materiali utilizzati sia il segreto per rispettare l’ambiente pur mantenendo il carattere di un edificio. È convinto che Brunelleschi, Frank Lloyd Wright e Renzo Piano siano dei rivoluzionari geniali della propria epoca ma guarda anche a Glen Marcutt e Peter Zumthor, perché nella maniera più semplice e a volte con i materiali più poveri riescono a fare grandi architetture. L’attenzione alla sostenibilità ambientale è qualcosa di radicato nella storia dell’uomo, risale a quasi cinque miliardi di anni fa. E così riaffiorano alla mente le parole di Paolo Soleri, intenso interprete dell’utopia urbana, per il quale “La ricchezza non consiste nell’avere di più, ma nell’aver bisogno di meno”.


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VAN DONINCK L’EMERGENTE

AMO LE COSE GIOCOSE. MA CHE ABBIANO SEMPRE UN TOCCO OSCURO, COME CAPPUCCETTO ROSSO MANGIATA DAL GRANDE LUPO CATTIVO LA BELLEZZA PURA E INNOCENTE DIVENTA ANCORA PIÙ BELLA E MENO NOIOSA PROPRIO SE CONFRONTATA AL BRUTTO, AL SORPRENDENTE, ALL’INATTESO. MI PIACE GIOCARE CON QUESTA SORTA DI SURREALISMO O REALISMO MAGICO. PER CONDURRE LE PERSONE, GIOVANI E VECCHIE, A GUARDARE E GUARDARE ANCORA A CIÒ CHE C’È SOTTO LA SUPERFICIE. UN LIBRO O UN’ILLUSTRAZIONE NON POSSONO MAI ESSERE PERFETTI O CONCLUSI. ED È FORSE IL BELLO DEL MIO LAVORO: CHE SIA FINITO DALL’IMMAGINAZIONE DI CHI LEGGE O AMMIRA LE MIE OPERE SEBASTIAAN VAN DONINCK

Sebastiaan van Doninck è nato il 5 luglio 1979 nei pressi di Anversa, nelle Fiandre belghe. È cresciuto in una famiglia numerosa: ha infatti 12 tra fratelli e sorelle. Ha studiato alla scuola d’arte San Luca, sempre nel capoluogo fiammingo, conseguendo il master nel 2002 col massimo dei voti. L’anno successivo, il 2003, ha segnato l’inizio della carriera da illustratore per l’editore belga De Eenhoorn. Nel 2004 ha vinto il premio olandese Vlag en Wimpel per il suo volume Het woei. Nello stesso anno è uscito Lied voor een rifafje, il suo terzo lavoro. Da quel momento una scalata continua: prima selezionato fra i venti più importanti illustratori fiamminghi e poi il lavoro da freelance per magazine e riviste mondiali. Dal 2008 sforna circa quattro libri l’anno ed è stato indicato dal Print magazine di New York come uno degli illustratori europei emergenti. Molti suoi lavori sono stati tradotti in taiwanese, giapponese e coreano. Al momento lavora su un volume per la Random House, Cowboy Boyd and mighty Calliope. Info: www.sebastiaanvandoninck.be (Simone Cosimi) In alto: Sebastiaan Van Doninck A sinistra: Schoten, 2012


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Alessia Marcuzzi blogger LaPinella designer MARKS & ANGELS


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