Sofà #12

Page 1

12-10-2010

16:35

Pagina 1

Editalia - Edizioni in Facsimile

Andreas

Cellarius

Sofà

copertina bianca:copertina s6 C

Sofà

atlas coelestis RD 167 - Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma

PIER PAOLO PUXEDDU + FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

Anno IV Numero 12 2010

TRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Dodici, sontuose tavole che illustrano le costellazioni e i sistemi planetari: un viaggio fantastico attraverso i cieli, fra gli astri, i pianeti, le costellazioni e le figure mitologiche che le identificano. Immagini di grande interesse storico e scientifico, capaci di affascinare con la potenza della loro suggestione.

LIBRI D’ARTE, MONETE E MEDAGLIE

per raccontare la nostra storia

Tre Cartelle, ciascuna delle quali contiene quattro tavole montate su tela (formato 133x111 cm). Le tavole (ciascuna del formato di ca. 59x48 cm), sono riprodotte in facsimile su carta speciale per stampe d’arte con nove colori e ritocchi di oro a caldo. Sono realizzate dall’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Tiratura limitata a 999 esemplari numerati e certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

800 014 858 numero verde

150

anni di unità

L’Universo elegante

www.editalia.it

12

Eventi/1

Eventi/2

Sisi e Amato: 1861, i pittori del Risorgimento

Vittorini racconta Guttuso nel centenario della nascita

Un caffè con

Bonito Oliva: un’enciclopedia per il contemporaneo

Le interviste possibili

Garibaldi un eroe inutile?


18:56

Pagina 1

Marco Polo. Le Livre des Merveilles

RD 167 - Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma NOVITÀ

L’Acerba

Giacomo Maggiolo. Carta nautica del bacino del Mediterraneo

Trattato di Aritmetica di Lorenzo il Magnifico

Cart. naut. 2. Bibl. Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma

La Bibbia di San Paolo Biblia Sacra. Codex membranaceus saeculi IX Abbazia di San Paolo fuori le Mura, Roma

Exultet di Salerno Museo Diocesano, Salerno De balneis Puteolanis Ms.1474 - Biblioteca Angelica, Roma Codice Oliveriano I Ms. I - Biblioteca Oliveriana, Pesaro

Ms. fr. 2810 - Bibliothèque nationale de France, Paris Ms Pluteo 40.52 - Biblioteca Mediceo Laurenziana, Firenze Ms. Ricc. 2669 - Biblioteca Riccardiana, Firenze

De Re Rustica Codice E 39 - Biblioteca Vallicelliana, Roma

Le miniature della Bibbia di Oxford Ms W. 106 - The Walters Art Museum, Baltimora / Musée Marmottan, Paris

Codice di Medicina e Farmacia di Federico II Ms Pluteo 73.16 - Biblioteca Mediceo Laurenziana, Firenze

Produced under license of Ferrari Spa. FERRARI, the PRANCING HORSE device, all associated logos and distinctive designs are trademarks of Ferrari Spa. The body designs of the Ferrari cars are protected as Ferrari property under design, trademark and trade dress regulations

PIER PAOLO PUXEDDU + FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

Andreas Cellarius. Atlas Coelestis seu Harmonia Macrocosmica

SCULTURE IN MOVIMENTO: ENZO FERRARI Il tributo al fondatore del Cavallino Rampante Sintesi di arte e tecnologia, questo è sinonimo di Ferrari. Ma anche passione, amore per la sfida, impegno per raggiungere il risultato e superare ogni traguardo, capacità di guardare sempre avanti. E di questo si parla quando il protagonista è l’uomo che ha creato una leggenda: Enzo Ferrari. Solo un’auto estrema come questa poteva portarne degnamente il nome. E solo con un’opera d’arte come questa potevamo farne risplendere ogni dettaglio, nella sua aggressiva perfezione.

Il fascino assoluto del mito La scultura è realizzata con la tecnica della microfusione a cera persa, in bronzo laminato in palladio. I cristalli sono realizzati con la tecnica dello smalto a caldo.

Un prezioso smalto “cattedrale” trasparente permette la visione dei particolari del motore. Scala: 1/18 Dimensioni: 10,5 x 25 x 5,4 cm ca.

TIRATURA LIMITATA PER L’ITALIA A 399 ESEMPLARI NUMERATI E CERTIFICATI

FERRARI ARTISTIC LIMITED EDITIONS

L’ARTE SI ACCENDE DI ROSSO

www.editalia.it

800 014 858 numero verde

PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

5-10-2010

foto RM studio

copertina volta s12:copertina s6


03 facsimili s9:05 s6

5-10-2010

18:05

Pagina 1

Editalia - Edizioni in Facsimile

Nuovi splendori dal passato.

Tesori inestimabili, oggi accessibili a tutti. Una collezione di codici miniati e documenti cartografici antichi splendidamente restituiti in facsimile, nella magia dei colori, delle dorature e delle legature realizzate a mano, in tiratura limitata e numerata.

Il bello della cultura. www.editalia.it

800 014 858 numero verde


04 la lira siamo noi:05 s6

5-10-2010

18:06

Pagina 1

LA

LIRA SIAMO

UN’OPERA D’ARTE IN FORMA DI LIBRO

NOI

Un prezioso album dei ricordi con una copertina scultorea interamente realizzata a mano: un bassorilievo in argento che raffigura il dio Vulcano al lavoro sul verso delle 50 lire del 1954. All’interno, fotografie che raccontano la grande storia e le storie di tutti i giorni. E insieme immagini insolitamente ravvicinate di monete e banconote della Lira, per una spettacolare e inconsueta galleria d’arte.

Il bassorilievo è realizzato in argento patinato a mano. Il volume di grande formato (29 x 39 cm) è composto da 324 pagine stampate su carta pregiata, con oltre 400 fotografie in bianco e nero e a colori. Rilegatura in pelle serigrafata, con impressioni in argento sul dorso. Un cofanetto in plexiglass permette di custodire ed esporre, come su un moderno leggio, il prezioso volume. Tiratura limitata: 4999 esemplari

Con il patrocinio di: Presidenza del Consiglio dei Ministri Comitato per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

Viale Gottardo 146 00141 Roma www.editalia.it

numero verde

800 014 858


05 s12:05 s6

5-10-2010

18:04

Pagina 1

editoriale

VALORIZZARE la nostra storia

E

Editalia è da quasi sessant’anni testimone e protagonista delle vicende culturali e artistiche del nostro Paese. La storia delle nostre produzioni si intreccia naturalmente con la storia del Paese, dando vita a un catalogo dove trovano posto collane di volumi di pregio, grafica d’arte, multipli di sculture, arazzi e coniazioni di monete e medaglie. Opere tutte riconducibili al tema dell’italianità, tanto nei contenuti che per la sensibilità che rivelano verso la cultura del territorio, la valorizzazione del genio di alcuni fra gli artisti più rappresentativi del nostro tempo e delle capacità artigianali, tecniche e artistiche di piccole realtà locali e grandi istituzioni quali la scuola dell’Arte della medaglia e la Zecca dello Stato. È quindi naturale che le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia siano per Editalia e il Gruppo poligrafico un’occasione di rilettura delle proprie produzioni come testimonianza della storia d’Italia e dei suoi tesori artistici e culturali. E dunque, con questo numero, inauguriamo una serie di edizioni speciali che attraverseranno tutto il 2011 proponendo un percorso storico lungo i centocinquanta anni con articoli di approfondimento, mostre, interviste e una nuova rubrica, Speciale 150, che completa questo racconto conducendoci fra le opere del nostro catalogo dedicate alla cultura unitaria. In questo primo numero presentiamo, anticipando le celebrazioni, Le lire dell’unità d’Italia, che nella riconiazione di tre monete storiche riassume il valore ideale, culturale ed economico che l’unificazione monetaria nel segno della lira ha avuto per l’Italia. Celebrare la nostra storia, valorizzare la tradizione e la memoria. Ma anche proiettarsi nel presente e nel futuro. Ed ecco allora Editalia e il gruppo Ipzs coinvolti nel dibattito sul contributo che l’arte può dare alle organizzazioni aziendali e allo sviluppo economico sostenibile, partecipando da protagonisti alla terza edizione di Art for business. Nella stessa logica, pensiamo al sostegno del Gruppo poligrafico al Festival del cinema di Roma e al ruolo di Editalia nell’ambizioso progetto dei libri d’artista Campari realizzato da giovani artisti mediterranei, che sarà presentato a ottobre all’ambasciata italiana a Beirut. Eccellenza del made in Italy, innovazione e tradizione possono dunque non essere uno slogan, ma la reale cifra culturale di un importante gruppo industriale.

Marco De Guzzis Amministratore delegato Editalia

5


06-07 s12:06-07 s6

5-10-2010

19:17

Pagina 1

sommario

72 NOTIZIE

PRIMO PIANO

PERSONAGGI

34

Cronache d’arte Lo strano caso dell’Expo meneghino

8

Fotografia Gianni Giansanti, osservatorio sul mondo

10

Esposizioni in Italia e all’estero Rauschenberg a Varese, Monet a Parigi

12

Eventi/1 Unità d’Italia, la dipintura dell’indipendenza Il prologo della solidarietà nazionale Le interviste possibili: Garibaldi, un eroe inutile?

16

Eventi/2 Mika Ninagawa, tsunami cromatico Festival del film di Roma, risate dall’Aldilà

25

Eventi/3 Biennale architettura, schizzi dal domani

30

Grandi mostre/1 Renato Guttuso, il pittore che rinnovò l’arte moderna

34

Grandi mostre/2 Roberto Stelluti, grafica esistenzialista

38

Conversando sul sofà Michela Murgia, amore e dolce morte

42

Un caffè con Achille Bonito Oliva, il comico contemporaneo

48

Il corpo dell’arte Meloniski da Villacidro, dalla pietra alla fiaba

52

L’arte prende corpo Octavia Monaco, disegnare è l’unica certezza

58

16 38 6

6

18 25


06-07 s12:06-07 s6

5-10-2010

19:10

Pagina 2

92 I luoghi del bello Castello di Ama, incontri nel Chianti

BELPAESE

61

EDITORIA & ARTE L’arte del libro/3

66

Flaminio Gualdoni: la carta in Europa

ARTE & IMPRESA

IN CHIUSA

Speciale 150 Un omaggio alla nostra storia, viaggio nel catalogo Editalia

68

Freschi di conio Tre monete per l’unità, i valori della nazione

72

Comunicare ad arte/1 Istituto nazionale tributaristi, la cultura dei conti

76

Comunicare ad arte/2 Art for businness forum, se i manager scoprono le arti

78

A regola d’arte Art passion, un Mediterraneo di fermenti

81

I mestieri dell’arte Laboratorio Lignarius, i segreti delle mani

84

Il motore dell’arte Eni, energie per il futuro

87

In cassaforte L’angolo del collezionista: giuste rarità

90

Cose dell’altro mondo Jovana Stokic, suggestioni dalla ex Jugoslavia

92

Il cammeo di Adiem Emilio Greco, immagini d’amore

96

52 48

87

7


08 s12:10 s6

5-10-2010

18:14

Pagina 1

cronache d’arte Fai, una chiacchierata con l’opera Un ciclo di incontri nati con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione su un’opera d’arte specifica; un nuovo modo, dialogico e reciproco, per fruire della bellezza di dieci capolavori. Partire dal dettaglio per arrivare al contesto generale. L’iniziativa Visti da vicino, conversazioni con le opere d’arte, promossa dal Fai (il benemerito Fondo ambiente italiano) propone al pubblico un nuovo tipo di esperienza museale: non più una visita frettolosa di numerose opere, dunque, ma la possibilità di entrare in stretto contatto con un singolo lavoro, innescando una fruttuosa conversazione con l’opera che a sua volta potrà ricambiare lo sguardo dei visitatori. Sono stati individuati dieci capolavori della collezione dei musei Capitolini, sede degli incontri. Si parte con il cavallo di bronzo di Trastevere e l’ingresso è gratuito. Fino al 30 novembre. Musei Capitolini, piazza del Campidoglio, Roma. Info: 066879376; www.museicapitolini.org. (G. B.)

uanta fatica. L’Expo milanese del 2015 sta seriamente rischiando, proprio in questi giorni autunnali, di saltare. Il nodo da sciogliere, lo stesso da mesi, è quello dei terreni al confine fra Rho e Milano di proprietà della fondazione Fiera e del gruppo Cabassi. È lì che devono partire i cantieri, già in forte ritardo. Alla fine, probabilmente, gli amministratori locali se la caveranno con un esproprio, visto che le trattative per l’acquisto o l’intesa con i proprietari delle aree in questione sembrano ogni volta sfociare in

Q

Lo strano caso dell’Expo meneghino

un nulla di fatto. Nel frattempo, l’architetto Stefano Boeri – candidato alle primare del Pd per il comune – ha estratto il suo coniglio dal cilindro: spostare l’Expo nell’area pubblica dell’ortomercato, periferia sud est del capoluogo lombardo. «Non se ne parla», hanno risposto all’unisono il sindaco Letizia Moratti, il presidente della regione Roberto Formigoni (nella foto Lapresse mentre festeggiano la nomina) e quello della provincia Guido Podestà. Smirne, la candidata sconfitta, se la ride sotto i baffi. (Simone Cosimi)

British museum, donazioni miracolose Martedì in arte Negli ultimi decenni (quasi) nessun privato aveva sborsato tanto. E senza chiedere nulla in cambio. In tempi di magra, poi, è una vera e inaspettata benedizione. John Sainsbury, ex presidente della nota catena inglese di supermercati, ha infatti versato nelle casse del British museum qualcosa come 25 milioni di sterline. Una bomba. La donazione finanzierà i nuovi spazi del museo progettati da sir Richard Rogers e dedicati alle esposizioni temporanee oltre a diverse campagne di restauro. La famiglia Sainsbury non è nuova a queste succose elargizioni artistiche: l’anno scorso a Londra è spuntato, nel quartiere vittoriano di Spitalfields, Raven row, un centro per l’arte contemporanea fondato e diretto dal collezionista Alex Sainsbury.

Si chiama Martedì in arte ed è una delle ultime iniziative del Mibac. Riguarda tutti i musei statali italiani con più di 50mila visitatori l’anno, che ogni ultimo martedì del mese fino a dicembre aprono gratuitamente le porte al pubblico dalle 19 alle 23. Col preciso scopo di avvicinare un’utenza più ampia alla fruizione dei beni artistici del paese, il ministero dichiara inoltre di aver pensato ai giovani e ai nuclei famigliari in difficoltà economiche. (S. C.)

8


09 talent:05 s6

5-10-2010

18:15

Pagina 1


10-11 s12:10 s6

5-10-2010

18:16

Pagina 1

colpo d’occhio GIANNI GIANSANTI

Osservatorio

sul MONDO

10


10-11 s12:10 s6

5-10-2010

18:43

Pagina 2

Gianni Giansanti papa Giovanni Paolo II, 1986 A sinistra: il ritrovamento di Aldo Moro, 9 maggio 1978 Sotto: villaggio Komba Etiopia, 2004

Nella prima monografica a Milano gli scatti del fotografo romano documentano trent’anni di storia di Giorgia Bernoni

«T

orno a inquadrare Moro. Riavvolgo il rullo. Quindi in b/n riprendo l’arrivo dell’ambulanza e il corpo che viene portato via. Ultime immagini e corsa folle al laboratorio. Non perdo di vista un solo attimo le pellicole. Adesso le ho in mano, le immagini. Sono già all’Associated press per il bianco e nero. Poi vado a Time con le foto a colori e ho la copertina. Alla sera tardi, a casa, mi chiama Gamma, allora l’agenzia dei miei sogni. Mi propongono un contratto. In piena notte arriva un aereo privato e la mattina alle sette i negativi sono a Parigi. E in quel volo inizia la mia seconda vita». È raccolto in questa appassionata testimonianza l’amore di Gianni Giansanti per la sua professione e per la capacità intrinseca di saper cogliere l’atmosfera e la peculiarità di un momento. Divenuto celebre poco più che ventenne per lo scatto al cadavere di Aldo Moro nel ’78, Giansanti ha collezionato nella sua lunga carriera una serie di istantanee eterogenee e differenti che, messe insieme come in un collage ideale, ritraggono le molteplici facce dell’umanità. E Umanità è proprio il titolo della mostra e del primo catalogo interamente a lui dedicati, una raccolta di novanta scatti del fotografo romano, venuto a mancare prematuramente nel 2009 a soli 52 anni, che condensano trent’anni di storia. La sua grande capacità, al contempo la sua firma stilistica: ibridare fotografia di reportage a cronaca sociale, senza mai tralasciare l’uomo come oggetto della ricerca. Esemplare il suo lavoro su papa Giovanni Paolo II che gli fece vincere il primo premio al World press photo nel 1988. Un uomo, un fotografo, un giornalista spinto dall’indomita esigenza di raccontare e dall’abilità di carpire i momenti epi fanici delle esistenze.

11

La mostra Umanità Umanità è la prima mostra dedicata a Gianni Giansanti, curata da Chiara Mariani e Ada Masella. Il volume, edito da Contrasto, è la prima opera completa sul lavoro del fotogiornalista e contiene testi di Carlo Verdelli, Chiara Mariani, Antonio D’Orrico, Jeff Israely, Toni Capuozzo. Fino al 14 novembre. Museo nazionale della Scienza e della tecnologia, via San Vittore 21, Milano. Info: 02485551; www. museoscienza.org.


12-13 s12:14-15 s

5-10-2010

18:17

Pagina 1

expo in Italia pagine a cura di

Camilla Mozzetti VENEZIA TONY CRAGG Un progetto concepito per gli spazi di Ca’ Pesaro da uno dei protagonisti della scultura britannica (e non solo) dei nostri anni, Tony Cragg (Liverpool, 1949). In un percorso che si snoda lungo i tre piani della sede la mostra presenta una quarantina di opere in vetro, bronzo, acciaio, plastica, legno, pietra, ma anche venti tra disegni, bozzetti preparatori e acquerelli. Fino al 9 gennaio 2011, Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076, Venezia. Info: 848082000; www.museiciviciveneziani.it.

MILANO LE VISIONI DI DALÌ Il genio di Salvador Dalì è protagonista della stagione espositiva di palazzo Reale. La mostra Il sogno si avvicina, fino al 30 gennaio, indaga il rapporto dell’artista spagnolo con il paesaggio, il sogno e il desiderio. La mostra, curata da Vincenzo Trione, propone il cortometraggio Destino di Dalì e Walt Disney, mai proiettato in Italia; esposti anche alcuni dei disegni originali creati per il corto. Info: www.comune.milano.it/palazzoreale.

ROMA VINCENT VAN GOGH AL VITTORIANO La mostra Vincent van Gogh, campagna senza tempo e città moderna, curata da Cornelia Homburg, riporta a Roma dopo ventidue anni il genio del pittore olandese. Il percorso analizza le due inclinazioni contraddittorie che spesso guidarono l’artista nella scelta dei soggetti: l’amore per la campagna e il legame con la città. Fino al 6 febbraio 2011, complesso del Vittoriano, via di San Pietro in Carcere, Roma. Info: 066780363.

TORINO LICINI, ROSLER, AVONDO E RIELLO Antologica di Osvaldo Licini, maestro del Novecento, ma anche la prima mostra in un museo italiano dedicata a Martha Rosler, i disegni di Vittorio Avondo e il progetto di Antonio Riello. Dal 24 ottobre al 31 gennaio 2011, Gam, via Magenta 31, Torino. Info: 0114429523; www.gamtorino.it.

12

PISA I MITI

DI

MIRÓ

Joan Miró, i miti del Mediterraneo presenta 110 opere, tra dipinti, sculture, litografie, disegni e illustrazioni, nelle quali, attraverso il potere trasformatore della poesia e del mito, l’artista catalano esprime la complessità del reale. Per Miró il mito è una forma di racconto che aiuta la comprensione della realtà. Dal 9 ottobre al 23 gennaio 2011, palazzo Blu, via Pietro Toselli 29, Pisa. Info: 050500197.


12-13 s12:14-15 s

5-10-2010

MILANO LA SCULTURA

18:17

ITALIANA ALLA

Pagina 2

POMODORO

Curata da Marco Meneguzzo, La scultura italiana del XXI secolo presenta le opere di 80 artisti, nati nella seconda metà del secolo scorso, dagli storicizzati Nunzio e Dessì, agli esponenti delle generazioni più recenti quali Cattelan, Bartolini, Dynys, Arienti, Beecroft, a quelle ancora più giovani con Cecchini, Sissi, Demetz, Cuoghi, Simeti, Bertozzi & Casoni. Dal 19 ottobre al 20 febbraio 2011, fondazione Arnaldo Pomodoro, via Solari 35, Milano. Info: 0289075394.

FIRENZE I RITRATTI DEL POTERE I ritratti del potere, volti e meccanismi dell’autorità sviluppa un’analisi sulla rappresentazione mediatica della leadership contemporanea, attraverso le opere di artisti quali Francesco Jodice, Annie Leibovitz, Helmut Newton, Martin Parr. Fino al 23 gennaio 2011, Centro di cultura contemporanea Strozzina, piazza Strozzi 1, Firenze. Info: 0552645155; www.strozzina.org.

UDINE A VILLA MANIN MUNCH

VARESE ROBERT RAUSCHENBERG E

PAPETTI

Villa Manin, fino al 6 marzo 2011, celebra la pittura scandinava con la mostra Munch e lo spirito del Nord. L’esposizione è dedicata al paesaggio, ma si compone anche attorno al tema del ritratto, attraverso i principali rappresentanti della pittura scandinava. Di Edvard Munch sono esposte 35 opere. Lo spazio friulano inaugura anche la mostra di Alessandro Papetti, Occhi e lune, fino al primo novembre. Info: 0432821211; www.villamanin-eventi.it.

Robert Rauschenberg è sempre riuscito a scoprire nuovi modi di impiegare gli scarti donando loro una seconda vita. I “Gluts” sono assemblaggi di oggetti di recupero, la maggior parte in metallo, che rappresentano la sua ultima serie di sculture. Dal 14 ottobre al 27 febbraio 2011, Fai, villa e collezione Panza, piazza Litta 1, Varese. Info: 0332283960; www.fondoambiente.it.

13


14-15 s12:14-15 s

5-10-2010

18:18

Pagina 1

expo nel mondo pagine a cura di

Simone Cosimi

LUGANO LE VITE DI ARAKI

BERNA

Una delle poche retrospettive complete ed esaustive su Nobuyoshi Araki organizzate da un museo europeo. La mostra svizzera ne ripercorre l’intera carriera documentando i temi ricorrenti del suo repertorio: oltre alle serie autobiografiche sono esposte le foto di paesaggi, i cieli, le immagini floreali, quelle relative al cibo e naturalmente i celebri nudi femminili, alcuni dei quali sul bondage estremo. Fino al 20 febbraio 2011. Lugano, Museo d’arte villa Malpensata. Info: www.mdam.ch.

Il concetto di peccato capitale anima una pruriginosa collettiva svizzera, stavolta nella capitale della confederazione. Si tratta di sette attitudini dell’animo intorno alle quali l’arte s’interroga da secoli. Da Dürer a Nauman un vizioso viaggio alla scoperta dell’accidia, della superbia e delle loro arcigne sorelle. Fino al 20 febbraio 2011. Berna, Kunstmuseum. Info: www.kunstmuseumbern.ch.

PECCATI CAPITALI

BRUXELLES FUMETTI D’EUROPA

VIENNA IL GIRO DEL MONDO DI RENÉ BURRI

Una selezione fra i migliori illustratori d’Europa celebra il semestre di presidenza belga dell’Unione europea. Il museo del fumetto di Bruxelles, luogo magico per gli appassionati delle tavole illustrate, raccoglie nomi come Vittorio Giardino, Hans Kresse, Uderzo e molti altri. Fino al 27 febbraio 2011. Bruxelles, Belgian comic strip center. Info: www.comicscenter.net.

Pittura, cinema. E poi fotografia. René Burri, oltre che monumento del reportage, è un artista che ha trovato nella macchina fotografica il suo mezzo più felice. Una retrospettiva di livello. Fino al 20 febbraio 2011. Vienna, Kunsthaus. Info: www.kunsthauswien.com.

14


14-15 s12:14-15 s

5-10-2010

18:18

Pagina 2

PARIGI UNA STAGIONE PER MONET Il Grand palais si dedica alle opere più pure dell’impressionismo e ai capolavori di Claude Monet, cui la capitale francese tributa una stagione d’eventi. Si tratta dell’esposizione più importante consacrata al genio parigino: oltre 200 opere, dagli esordi alla morte. Fino al 24 gennaio 2011. Parigi, Grand palais. Info: www.grandpalais.fr.

OTTAWA LA POTENZA DI BEAM Carl Beam (scomparso nel 2005) è conosciuto per le sue potenti combinazioni iconiche attinte dalla sua estetica Anishinaabe, tipica delle popolazioni dell’America del nord. Cinquanta pezzi ripercorrono oltre trent’anni di lavoro. Fino al 16 gennaio 2011. Ottawa, National gallery of Canada. Info: www.gallery.ca.

NEW YORK SCATTI DA RIPENSARE Dal cinema alla pubblicità. Nulla è vero, però, nel senso che gli scatti sono frutto di un processo creativo. Gli artisti di New photography sono infatti uniti dall’appropriazione di fotografie scattate da altri. Stavolta, però, Roe Ethridge, Elad Lassry, Alex Prager e Amanda RossHo lavorano su loro immagini passate, tutte da ripensare. Fino al 10 gennaio 2011. New York, Moma. Info: www.moma.org.

15

LONDRA LE FINALI DEL TURNER Due pittori, una “sound artist” e un gruppo multidisciplinare. Queste le quattro aree creative che animano la mostra legata al prestigioso Turner prize, il riconoscimento britannico per l’arte contemporanea. Dexter Dalwood, Angela De La Cruz, Susan Philipsz e The Otolith group sono al round finale. Nel pieno dell’esposizione, il 6 dicembre, sarà decretato il vincitore. Fino al 3 gennaio 2011. Londra, Tate Britain. Info: www.tate.org.uk.


16-17 s12:58-59 s7

6-10-2010

17:26

Pagina 1

eventi 1861-2011, 150 ANNI DI UNITÀ

L’epopea risorgimentale vista dai maestri del pennello: dall’epica al verismo sociale Roma apre le celebrazioni alle Scuderie del Quirinale di Carlo Sisi*

LA DIPINTURA DELL’

A

ll’Esposizione nazionale Italiana inaugurata a Firenze nel 1861, il pubblico che numeroso si aggirava negli spazi della stazione Leopolda ebbe modo di constatare i progressi fatti dall’industria, dall’agricoltura, dalla scienza nell’Italia da poco unificata, anche se il poco tempo a disposizione per organizzare l’evento e l’esiguità dei fondi stanziati non favorirono certo la buona riuscita della mostra, determinando quelle anomalie più volte riscontrate dai recensori dell’evento già all’indomani della sua inaugurazione. Al momen-

16

to della distribuzione dei premi lo stesso Cosimo Ridolfi, presidente dell’Esposizione, ammise con qualche imbarazzo i limiti di un’impresa che tuttavia si era assunta il compito di rivelare l’Italia a se stessa mostrandola nella gamma delle sue originarie forze creative, in seno alle quali era stata decretata la presenza anche delle belle arti che, negli anni risorgimentali, si erano dimostrate garanti di una mai spenta dignità nazionale e anzi s’erano vivacemente proposte quale suggestivo veicolo per gli ideali di riscatto patriottico. In una delle circolari inviate ai governatori locali si avanzava infatti l’auspicio che l’occasione espositiva potesse favorire la promozione pubblica degli artisti, “ai quali ogni bene procurato loro è debole riconoscenza nazionale, ove si rifletta che


16-17 s12:58-59 s7

6-10-2010

17:26

Pagina 2

’ INDIPENDENZA nei giorni del dolore seppero con le tele e gli scalpelli mantenere vivo e ammirato il nome italiano e che i monumenti e le opere delle quali hanno arricchito le città sono valse, quasi storia parlante della grandezza nostra passata, a tener vivo in noi quel sacro affetto di patria che ci ha condotti ad operare per la redenzione d’Italia”. I quadri e le sculture esposti parlavano infatti agli spiriti più generosi manifestando le peculiarità stilistiche e poetiche maturate in seno alle “cento città” d’Italia, e ciascuno dei visitatori vi poté leggere nomi celebrati e ammirare nelle sale le opere di concittadini e d’amici che illustravano, a detta di Tullio Dandolo, “le sembianze de’ nostri grandi uomini, le gesta de’ nostri eroi, le allegrezze, i dolori del nostro paese” equamen-

te divisi fra immagini di belliche imprese e gli episodi intimi che, della storia ufficiale, avevano costituito il sommesso, affettuoso tessuto connettivo. Scorrendo il catalogo dell’Esposizione si riesce d’altra parte a delineare il panorama dell’arte contemporanea in Italia sullo sfondo degli eventi che stavano determinando un cambiamento radicale negli assetti politico-culturali della istituenda nazione la quale, a fronte della crisi dell’ideologismo profetico di Giuseppe Mazzini e del programma neoguelfo di Vincenzo Gioberti, assisteva proprio allora al consolidarsi di un nuovo quadro delle tendenze intellettuali dal quale non si può prescindere per valutare a pieno i diversi aspetti del dibattito artistico contemporaneo e la diversa maniera adottata dagli artisti nel trattare

17


18-19 s12:78-79 s6

6-10-2010

15:53

Pagina 1

La mostra/1 Volturno 1860 alla Reggia di Caserta Fino al 15 novembre alla Reggia di Caserta è possibile visitare la mostra Volturno 1860, l’ultima battaglia dei Mille. Il percorso espositivo ripercorre la battaglia del Volturno tra i garibaldini guidati da Giuseppe Garibaldi e i borbonici di Francesco II. Reggia di Caserta, via Douhet 22, tel. 0823448084/277380.

i fatti del loro tempo. I fermenti che accompagnarono questi anni di mutazione politica e culturale dettero forte risalto al “fatto” e al “vero”, al “popolo”, alla filosofia della storia, vale a dire a quelle componenti che convergeranno nello storicismo come impostazione di pensiero e nel realismo come metodo politico e, di riflesso, come filtro interpretativo dell’umana esperienza; mentre le correnti afferenti al partito moderato si sarebbero meglio riconosciute nel crogiuolo ancora vitale del Romanticismo, da cui avrebbero tratto alimento sia l’indirizzo patetico e sentimentale della poesia di Giovanni Prati e di Aleardo Aleardi; sia quello sociale, più direttamente connesso con le condizioni reali della vita italiana di quegli anni, e riconoscibile nelle opere di Francesco Dall’Ongaro, Caterina Percoto, Ippolito Nievo. In questi ultimi, l’affettuosa attenzione rivolta alle condizioni di vita delle plebi contadine, rappresentate spesso nella loro miseria e abbandono, rivelava la diffusa coscienza d’un problema che il processo di unità nazionale non era riuscito ancora a risolvere, e che specialmente Ippolito Nievo porterà alla ribalta affermando che la rivoluzione italiana non si sarebbe potuta definire nazionale se le classi dirigenti non fossero riuscite ad agganciare al loro programma il consenso e la partecipazione attiva dei ceti subalterni, in particolare delle masse contadine. Si intende che tali prese di posizione – riscontrabili anche nel procedere delle arti figurative dalle poetiche del romanticismo storico a quelle del realismo – dipendevano ancora dalle istanze umanitarie e filantropiche coltivate dalla società della Restaurazione, quando la politica dei moderati era riuscita a integrare anche le più forti spinte di rivalsa sociale entro un “prescritto circolo” di soccorsi ideologici e assistenziali che attenuarono scontri e contraccolpi, rivalutando comunque il dato, le manifestazioni del reale, le componenti molteplici della vita quotidiana, che gli autori appena ricordati avrebbero travasato nella verità ben temperata del racconto rusticale. “Abbiamo a dipingere gli affetti umani, per quelli che gli vanno dimenticando – scriveva a proposito Francesco Dall’Ongaro – abbiamo a dipingere la vita intima, la vita domestica perché questa sola

non cesse a quelle maniere convenzionali che hanno già tolto ogni fisionomia all’uomo dinanzi agli altri uomini. Le arti devono una volta intendere la loro missione, devono ammaestrare, non essere paghe del solo diletto”. (...) Da questi stessi presupposti e con una decisa propensione verso gli ideali patriottici e l’educazione del popolo operarono gli artisti, chiamati a testimoniare i caratteri dell’identità italiana in occasioni, come quella fiorentina del 1861, dove le “arti sorelle” furono convocate a svolgere all’unisono la funzione emancipatrice che veniva da più parti auspicata: “Questo tempo felice di libertà e di vita – scriveva un recensore sul Giornale dell’esposizione – non è più tempo sia per le arti che per le lettere da freddi affetti di convenienze, e da sonnacchiosi piaceri da eruditi, e la letteratura e l’arte debbono parlare al popolo ed educarlo muovendone la immaginazione ed il cuore”. Mai del resto, come negli anni che precedettero l’unità, arti figurative e letteratura, per non dire la musica, si alimentarono d’una stessa linfa poetica palpitando a stretto contatto di fronte ai trionfi e alle sventure, agli eroi e ai martiri, agli intimi affetti e alle passioni di popolo, con esiti di grande coinvolgimento alimentati proprio dalla coralità del risultato, dall’evidente convergenza di ambiti poetici diversi ma concordi nel portare alla ribalta i temi del riscatto nazionale, come avveniva nelle opere di Francesco Hayez e di Giuseppe Verdi, spesso frutto di nobili prelievi letterari; o nella consuetudine di attribuire a novelle e romanzi la qualifica di “quadro” o di “scena popolare” per rimarcarne l’appartenenza a quella letteratura di popolo o “rusticale” di recente riabilitata in vista della corale partecipazione al progetto risorgimentale. (...) Chi visitò l’esposizione del 1861, fornito ovviamente di un aggiornato bagaglio critico, non poté non accorgersi che all’origine di quel progetto celebrativo agivano più o meno coscientemente queste convergenze di pensieri e di questioni metodologiche; e inoltre poté valutare con agio la consistente presenza del genere nei ranghi delle scuole regionali – si pensi alla fortuna del paesaggio presso piemontesi e genovesi, al vedutismo dei lombardi, ai natu-

18


18-19 s12:78-79 s6

6-10-2010

15:53

Pagina 2

Francesco Hayez La Meditazione (L’Italia nel 1848), 1850 A sinistra: Gerolamo Induno La partenza dei coscritti nel 1866, 1878 Nelle pagine precedenti: Gerolamo Induno L’imbarco a Quarto del Generale Giuseppe Garibaldi, 1860

19

La mostra/2 Il Risorgimento dei romani Non solo i pittori dell’unità: fino al 9 gennaio 2011 è esposto nella capitale Il Risorgimento dei romani, fotografie dal 1848 al 1870. Attraverso un centinaio di immagini, in gran parte fotografie originali, la mostra ripercorre il periodo risorgimentale e in particolare gli anni compresi fra la Repubblica romana del 1849 e la presa di porta Pia del 1870, un arco di tempo che coincise con l’affermazione della nuova tecnica fotografica. Immagini dei luoghi simbolo della città e del potere temporale del papa rievocano così l’atmosfera in cui Roma e i romani si trovarono a vivere quel tempo sospeso, come in un limbo, tra la nascita del regno italiano e l’ingresso dei bersaglieri di Lamarmora nella città eterna. L’esposizione, curata da Maria Elisa Tittoni, Anita Margiotta e Fabio Betti, rientra nelle iniziative per Roma capitale d’Italia da 140 anni. Museo di Roma in Trastevere, Piazza Sant’Egidio 1/b. Info: 065816563; www.museodiromaintr astevere.it.


20-21 s12:52-53 s7

6-10-2010

17:27

Pagina 1

Michele Cammarano La carica dei bersaglieri a Porta Pia, 1871

ralismi accostanti delle altre scuole settentrionali, alla svolta realistica dei napoletani – mentre avrà avuto modo di considerare come la moderna pittura di storia, rivolta a illustrare i fatti dell’età contemporanea, perseverasse nel travestimento storico di matrice romantica oltre che di accertata presa popolare, oppure desse spazio agli episodi delle guerre risorgimentali ora con l’enfasi necessaria a evocare l’epopea, ora con brani toccanti di paesaggio e di vita quotidiana, spesso studiati sul vero. (...) L’attenzione rivolta all’immagine del popolo e, di conseguenza, ai temi umanitari che la cultura del Risorgimento aveva definitivamente portato alla ribalta, si manifesterà dunque nella descrizione poetica e figurativa di luoghi ove le idee e gli affetti erano condivisi da uomini e donne cresciuti nel sentimento di pietà, nel fraterno e partecipe dolore, nella fiducia provvidenziale, nello slancio ideale che gli statuti della nuova borghesia avevano coltivato a presidio d’una civiltà che si voleva progressista ma pur sempre ideologicamente moderata e paternalista, estranea quindi alle crude analisi che saranno proprie del verismo sociale. (...) Malinconia, disinganno, sentimenti turbati non potevano non affiorare a seguito delle alterne vicende politiche che ispireranno a Domenico Induno una spettacolare “dipintura” del popolo, Il bullettino del giorno 14 luglio 1859 che annunziava la pace di Villafranca, presentato a Brera nel 1862 e la cui carica innovatrice fu subito individuata da Rovani che scrisse a proposito: “Un tal lavoro è nell’arte figurativa quello che in letteratura è la

satira popolare e il romanzo contemporaneo”; un’affermazione che mirava a sottolineare la svolta “manzoniana” che, in area settentrionale e proprio tramite gli Induno, aveva compiuto la pittura di storia rivolta a celebrare gli importanti fatti dell’età contemporanea, ma destinata soprattutto a rimarcare il successo indiscusso della pittura di genere implicata nella rappresentazione degli umili, con esiti di maggiore verità rispetto al reale ben temperato prevalente invece in ambienti, come quello toscano, non ancora del tutto affrancati dalla cultura biedermeier. (...) Come è stato notato, l’idea di comunità nazionale viene affidata, soprattutto nei testi letterari, a traslati simbolici che mirano a presentarla “nelle vesti di una comunità parentale allargata, insediata in un luogo fisico-geografico che le appartiene”: la patria è, del resto, immaginata come una donna e una madre ora affranta e in catene, ora a seno scoperto per indicarla nutrice delle nuove generazioni e quindi origine di una ramificata rete parentale. (...) Alle allegorie ufficiali destinate alle sedi del governo democratico, fanno così da intimo contraltare le numerose raffigurazioni di giovani donne ritratte in atto pensoso o melanconico – prime fra tutte, quelle avvenenti e misteriose di Francesco Hayez – però fiere di stringere al petto i simboli del martirio e della riscossa con i quali additano alle giovani generazioni, figlie tutte “d’un solo riscatto”, i doveri e i sacrifici richiesti dall’amor di patria. *Ottocentista, direttore della Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti e curatore dell’esposizione. Estratto dal catalogo, cortesia Skira

20


20-21 s12:52-53 s7

6-10-2010

17:51

Pagina 2

La mostra/3 I pittori del Risorgimento

Aavv I pittori del Risorgimento Skira 192 pagine, 39 euro

È la prima delle mostre celebrative del centocinquantesimo dell’unità nazionale: 1861, I pittori del Risorgimento. A cura di Fernando Mazzocca, Carlo Sisi e Lucio Villari, l’esposizione aperta il 6 ottobre a Roma, alle Scuderie del Quirinale, chiuderà ai primi dell’anno che celebra l’ unità d’Italia. L’evento ha come tema il confronto tra la pittura delle “cento città” e i fatti che in capo a pochi mesi, tra il 1859 e il 1861 (cioè tra la Seconda guerra d’ indipendenza, la spedizione dei Mille e la proclamazione del regno d’Italia), portarono all’Italia unita. Accanto ai dipinti dei protagonisti del Risorgimento, da Gerolamo Induno a Francesco Hayez, da Michele Cammarano a Giovanni Fattori, tele monumentali che rappresentano l’ epopea bellica, opere di dimensioni più contenute mostrano la partecipazione collettiva all’ ideale risorgimentale. Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio, fino al 16 gennaio 2011. Info: 0639967500; www.scuderiequirinale.it.

IL PROLOGO

S

della solidarietà nazionale

di Giuliano Amato*

C’è una motivata sintonia fra i sentimenti nazionali degli italiani e questa mostra

Sono grato alle Scuderie del Quirinale per questa mostra sui pittori del Risorgimento. La mostra si apre mentre prendono avvio le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia e per molti dei suoi visitatori essa sarà il prologo di tali celebrazioni, quell’apertura di proscenio che predispone gli animi a quanto poi seguirà. Non potrebbe esserci un’apertura migliore a giudizio di chi, come me, si adopra affinché gli italiani possano riconoscersi nell’Italia nascente e in coloro che la fecero nascere. Assai difficilmente ciò accadrebbe se li si attorniasse di monumenti, di scene celebrative di guerra, di richiami retorici a miti nazionalisti prima ancora che nazionali. C’è invece – e non può non esserci – una motivata sintonia fra i sentimenti nazionali degli italiani e il Risorgimento raffigurato in questa mostra. Essa parte da Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria, quei greci di ogni ceto costretti ad abbandonare le loro case e la loro patria durante la lotta di liberazione dalla dominazione ottomana. Prosegue con Spartaco e Masaniello, due eroi popolari, eroi degli esclusi di secoli anteriori, non casualmente ripresi in opere di metà Ottocento. Si sofferma poi su alcune delle tappe fondamentali dell’epopea militare del Risorgimento, ma sempre con dipinti in cui i feriti e i caduti, a volte sia dell’una che dell’altra parte, sono al centro dell’attenzione. E accompagna i grandi quadri che raffigurano la guerra con opere più piccole, che raffigurano la vita trepida e dimessa di chi era a casa, ascoltando la notizia del giorno, leggendo la lettera dal campo, sentendo il racconto del ferito. Ci sono i nostri pittori soldati, a partire da Gerolamo Induno e Michele Cammarano, c’è naturalmente Francesco Hayez, c’è Giovanni Fattori e tutti dipanano il filo rosso di un Risorgimento che fu certo dei grandi, ma fu anche dei tanti che non salirono mai alla ribalta della storia e furono tuttavia partecipi delle azioni, dei sacrifici e spesso degli eroismi che alla storia permisero di compiersi. Senza tracotanza, anzi con una muta sofferenza, che qui è stupendamente rappresentata dallo Staffato di Fattori e da quella Trasteverina uccisa da una bomba di Gerolamo Induno, che non può non richiamare alla mente la fine di Roma città aperta di Roberto Rossellini. Dolorosa ma fortissima testimonianza, questa affinità, della nostra continuità italiana e quindi dei sentimenti di solidarietà di cui è intrisa la nazione che si è formata fra noi. *Presidente del comitato nazionale dei garanti per le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Estratto dal catalogo, cortesia Skira

21


22-23 s12:52-53 s7

8-10-2010

15:40

Pagina 1

le interviste possibili GIUSEPPE GARIBALDI

UN EROE INUTILE? Vita e pensieri del padre della patria, nell’anniversario dell’unità di Maurizio Zuccari l generale sfumacchia pallido e tranquillo, di spalle. Mantellina e papalina colorate spiccano sul granito della tomba. Un’unica scritta, sopra l’anello ferroso: Garibaldi. Mira la Maddalena innanzi, il profilo della Corsica a filo d’orizzonte. Ogni poco un colpo di tosse stizzosa pare stoglierlo dai pensieri. Scatarra, rimette in bocca il mezzotoscano e continua a fissare il mare, pensoso. Generale, permette, quell’intervista… Neanche si volta, cenna al viadotto della Moneta dabbasso, disertato dagli ultimi turisti. «Vedete? Fin qui son giunti i cementificatori del bello, gli aguzzini del sacro suolo. E l’autocarrozze, come le chiamate, a scarrettare torme d’umani su questo scoglio a me caro, oramai zeppo di genti da doversi stringere al passo…» Beh, generale, vengono a trovarla, eppoi sono appena centocinquanta gli abitanti di Caprera. «Troppi! Se ripenso a quando venni quassù la prima volta, nel ’56, con mio figlio Menotti appena sedicenne. Erimo noi due soli, ai primi tempi riattammo un capanno di caprai per passarvi le notti, mentre lavoravamo alla nostra bella casetta. E ora guardate là, che imbalsamazione di vita, che viavai d’imbrancati. Passano e non vedono, sentono e non odono… Ma lasciam stare, di che volevate parlarmi?». Il centocinquantesimo dell’unità, poche domande… Garibaldi tossisce rochito dal catarro bronchiale, lo stesso degli ultimi giorni del giugno 1882. Un colpo di vento leva un lembo della mantella, smuove la zazzera bianca, la mano diafana arregge la berretta prima che s’involi. Però qua, con la sua tosse, se preferisce ci spostiamo dentro. «Mannò, qui va benissimo. Almeno rimiro un poco di quest’azzurro, sempre al chiuso, imbalsamato qua sotto, neanche ai miei bronchi giova questo gran bujo. E io che scongiurai nel mio testamento di cremarmi e interrare le ceneri sotto quest’albera, piantata per la mia cara Clelia». Certo, non è stato bello non rispettare neanche le sue ultime volontà. «Se ripenso alle paternali fatte a Cecchina. Anche il Crispi, e gli altri, non si son peritati d’interferire colle mie parole. E fortuna che non

I

22

mi si portò a Roma, a farmi seppellire nella peste pretina. Comunque, oramai, che più farci? Ma di cosa si dicea?». Dell’Italia, centocinquant’anni d’unità nazionale. Un bel traguardo, nonostante tutto. E in gran parte merito suo. «Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa, miserabile all’interno e umiliata all’estero. Chi potrà negare essere questa Italia un pandemonio? Eppure! Ove si trova un paese più favorito dalla natura, con un cielo unico, un clima stupendo, produzioni variatissime ed eccellenti, popolazioni vivaci e d’intelligenza non superata da altri popoli, soldati che sarebbero senza dubbio i primi del mondo… E tutti questi vantaggi, tutti questi favori della natura, sono annientati dalla connivenza, dal mutuo accordo de’ preti con un pessimo governo». Ecco, parliamone. «Acciocché? Pensavo d’aver veduto toccare il fondo d’ogni gesuitismo governativo col ministerio d’un vendipatria che non voglio neppur nominare, e invece! Da un lato congiurano i fautori della sciagura, i sostenitori dell’ingiustizia, della menzogna e della corruzione, mentre gli altri, più codardi e forse più perversi, gettano tra il popolo tradito paura, diffidenza e sconforto. È sempre la storia di Socrate, di Cristo e di Colombo! Il mondo rimane preda delle miserabili nullità che lo sanno ingannare. Ma libertà non fallisce ai volenti». Alla sua morte, un giornale clericale francese titolò: “Il celebre bandito ha finalmente reso l’anima al diavolo”. «Un brigante onesto è un mio ideale. Se sorgesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolerei nelle sue file. I clericali sono sudditi e militi di una potenza straniera che comanda e non si lascia discutere, semina discordie e corrompe. Proprio per questo non volli accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d’un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare. I preti vanno messi alla vanga, come ho sempre detto». Sempre mangiapreti arrabbiato, eh? Neanche dell’inferno ha avuto paura. «Ma che inferno e inferno! Qua è l’inferno dei vivi. E col papato, quel cancro del corpo italiano, non c’è vita, non prosperità possibile. Ma è all’agonia». Già in vita è giunto al mito senza passare per la memoria.


22-23 s12:52-53 s7

8-10-2010

15:40

Pagina 2

Ma restano di lei giudizi severi, non manca chi la reputa uno tutta azione e niente cervello: per Gramsci era un tipo folclorico, Del Boca l’ha definita un onesto babbeo, Bossi, più semplicemente, un cretino. Un colpo di tosse, più acceso, infiamma le gote diafane, lo scatarro sfiora i piedi del cronista. «Non credo debbasi provare alcunché ai boriosi nostri detrattori. Peraltro, alcuni da voi nomati son stati rudemente colpiti dalla vita, più che dalla storia. Meglio tacere…». Parliamo delle sue tante imprese, allora. Quale resta la pagina più bella? «I Mille! Certo non provò tanta soddisfazione Colombo nella scoperta dell’America, come ne provai io al trovare chi s’occupasse della redenzione patria. In questi tempi di vergognose miserie l’anima, stanca di contemplar ladri e putridume, si sente sollevata pensando alla gloriosa schiera, pensando che non tutti son traditori e codardi, non tutti spudorati sacerdoti del ventre in questa terra dominatrice e serva!». Al Sud, però, il popolo s’aspettava altro da voi. «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio». Forse si potrebbe ritentare dal Nord, oggi. «Pèrdas, adès l’è impusìbil. Scusate, m’è scappata in lingua. È che non ho mai avuta molta dimestichezza con l’italiano». Lasci stare. Quaranta battaglie, rare sconfitte, Mentana la più pesante. Bruciano ancora gli Chassepots? «Mentana fu il risultato di tante mene scellerate! Dopo avere gettato lo sconforto nelle schiere dei volontari, impedito che soccorsi loro giungessero, eccitato alla diserzione molte migliaia di loro, dopo tutto ciò, si preparava Mentana. Ho veduto i mercenari fuggire colle baionette dei nostri catenacci alle reni, davanti ai nostri giovani militi. A Mentana, per un’ora, i volontari hanno potuto passeggiare padroni del campo di battaglia sopra mucchi di cadaveri nemici. Ma a Mentana, dopo l’eroismo di tanti prodi si udì risuonare in mezzo ad una folla di traditori codardi la voce “duemila francesi hanno attaccato al retroguardia”, e quella voce divenne persistente, ebbe colore di un fatto positivo, talché a me stesso fu assicurato da gente che veritiera mi sembrava, coll’aggiungervi: “Gli ho veduti!”

Maledizione! Fino a che punto può giungere la perversità umana!». Una bella mora s’appressa al viottolo che mena alla pineta, l’occhio del generale segue l’ancheggiare languido, pare perdersi dietro chissà quali ricordi d’una vita da rubacuori. «Eppoi non fu quello il dolore più grande…». No? «No. Se proprio volete saperlo, fu l’aver gettato ai piedi d’una creatura dal volto d’angelo, ma capricciosa e volubile, la mia esistenza di soldato». Parlate della marchesina Raimondi? Ma aveva sedici anni, voi avevate superato i cinquanta… «Ohimé, la bella Giuseppina calpestò il mio cuore più d’ogni altra. Più d’Anita che pure amai, e con cui errai, grandemente...». Tira fuori un fazzolettone tutto toppe, si soffia rumorosamente il naso, lo ripone nel pantalone sdrucito. Generale, pure nell’Aldilà non se la passa troppo bene… «Non devo darvi alcuna spiegazione, eppoi giammai fui povero, perché seppi sempre conformarmi alla mia condizione, dal tempo quando, servendo le repubbliche americane, io possedevo una sola camicia di ricambio sotto la sella del mio cavallo, a quello in cui fui dittatore delle Due Sicilie. Se alcuni membri della mia famiglia non avessero dimenticato tale massima, ed alcuni sedicenti amici non avessero abusato della mia buona fede, la mia povertà non sarebbe decantata oggi ed io avrei vissuto, come sempre, una vita mediocre e non povera». Eh, il tradimento degli amici… «Non esistono amici sinceri. Di sinceri ci sono solo i nemici, credete a me». A questo punto mi permetta: si sente ancora l’eroe dei due mondi o un eroe inutile? «Io feci sempre quanto mi parve opportuno, e giusto, senz’altro tornaconto se non l’amor di patria e dell’umanità. Ora, sarò accusato di pessimismo, ma avendo creduto per la maggior parte della mia vita ad un miglioramento umano, sono amareggiato nel veder tanti malanni e tanta corruzione in questo sedicente secolo civile. Che la società umana sia in uno stato normale, lo lascio giudicare agli uomini di senno. E nello stato attuale, lascio giudicare a voi se vi sia ancora bisogno d’eroi. Me a parte, s’intenda». Generale, un’ultima cosa. «Dite». Farebbe una foto con me? «Sempre uguali, voi gazzettieri. Ma, d’altra parte, se non fosse stato per la fotografia e certa stampa, io avrei menata vita forse men grama ma certo stanziaria e ordinaria. E questo proprio non sarei stato capace di sopportarlo. Quindi, orsù, dove debbo guardare?».

Giuseppe Garibaldi con l’autore foto Manuela Giusto elaborazione grafica Gaia Toscano

23


24 macro:05 s6

5-10-2010

18:19

Pagina 1


25 s12:78-79 s6

5-10-2010

18:20

Pagina 1

eventi

MIKA NINAGAWA

Il colore è protagonista nelle fotografie della giapponese in mostra a Roma in occasione del Festival del film

TSUNAMI CROMATICO di Camilla Mozzetti l suo è un cromatismo esasperato. L’occhio dello spettatore viene invaso dal colore a tal punto da non riuscire a fissare e a mettere a fuoco il soggetto dell’opera. La prima idea che balza alla mente, nel vedere le fotografie di Mika Ninagawa, è quella per la quale i suoi lavori non possono non avere alle spalle uno studio ben articolato. Sono opere che suggeriscono l’uso delle più comuni tecniche computerizzate, come Photoshop, o le più moderne macchine digitali. Ma non è così, e in barba a una tecnica fotografica contemporanea che permette a tutti di sentirsi un po’ dei piccoli geni dell’arte, i lavori di Mika Ninagawa sono il frutto di pochi scatti in analogico e di nessun intervento tecnico sul colore. Il cavallo di battaglia di una donna che spazia dalla moda alla fotografia, al cinema con una naturalezza disarmante. «Non costruisco le fotografie apposta per ottenere

I

25

un risultato specifico, dietro all’utilizzo dei colori non c’è un concetto, è una cosa naturale», dice l’artista che insieme ad altri due colossi dell’arte contemporanea giapponese, Takashi Murakami e Yoshitomo Nara, è promossa dalla Tomio Koyama gallery, una delle più prestigiose gallerie d’arte di Tokyo. Le sue sono fotografie che giocano su due aspetti principali ed esclusivi: la varietà cromatica e la banalità dei soggetti raffigurati. Quei colori sfavillanti, eccessivi, che sembrano rubati alle stoffe dei migliori kimono giapponesi e quei soggetti per natura infinitesimali, piccoli e quotidianamente disponibili a tal punto da non rappresentare neanche una fonte d’ispirazione, esplodono in tutta la loro normalità, diventando delle piccole opere d’arte. Sono fiori, pesci, segni distintivi dell’arte nipponica, e tratti umani, ritratti di donne, particolari corredati da un tripudio di colori che sembra strabordare da ogni lavoro, come se la pellicola non fosse capace di contenere il tutto.


26-27 s12:30-31 s

8-10-2010

14:54

Pagina 1

Ogni scatto diventa la realizzazione di un universo altro dove i pesci rossi sembrano assumere le sembianze delle creature umane e i fiori, seppur fotografati seguendo la tecnica dei migliori fotoreporter del National Geographic, paiono aprire le porte a un mondo parallelo, dove il confine tra realtà e sogno diventa quasi impercettibile. Basta scorgere qualche particolare della casa di Ninagawa per capire come questa simbiosi tra sogno e realtà sia una costante anche nella sua vita privata. La sua casa-studio vicino a Shinjuku, uno dei quartieri più vivaci della capitale, sembra il paese dei balocchi, dove al posto dei giochi, irrompono le gigantografie dei suoi lavori a ricoprire ogni centimetro delle pareti. Non c’è finzione né manipolazione dietro le sue fotografie, solo l’occhio umano di una donna che viviseziona ogni particolare in uno studio maniacale del dettaglio. Ninagawa non cerca inquadrature uniche, non immortala aspetti sconosciuti. Il suo obiettivo è puntato sulla banalità del quotidiano. Il risultato è solo uno: quella normalità, che passa dinnanzi ai nostri occhi con assoluto silenzio, diventa un contenitore assordante di suggestioni. Oggi le sue fotografie arrivano in Italia e vengono ospitate nella sezione Occhio sul mondo Focus della quinta edizione del Festival internazionale del film di Roma. Per tutta la durata della kermesse cinematografica, infatti, dal 27 ottobre al 5 novembre l’Auditorium parco della musica apre le sue porte a quella che molti ritengono l’artista contemporanea più promettente del Giappone. Collocata negli spazi dell’Auditorium Arte, l’esposizione realizzata grazie alla collaborazione della Koyama gallery consta di 51 opere fotografiche, di varie dimensioni, disposte sulle pareti delle due sale secondo un preciso ordine tematico. Ma non c’è solo la fotografia nell’arte della Ninagawa, c’è molto altro ancora. Nel 2007 ha presentato al 57esimo festival di Berlino il suo primo lavoro da regista, “Sakuran” tratto dall’omonimo manga di Moyoko Anno. Il film racconta la storia di una giovane geisha, interpretata da Tsuchiya Anna, nota attrice, modella e cantante giapponese, che si ribella alle regole del quartiere dei piaceri di Yoshiwara. Niente di trascendentale in fatto di scelta tematica, eppure anche lì, nei panni di regista, la Ninagawa è riuscita a trasmettere emozioni a suon di tonalità cromatiche. La critica ha apprezzato del film l’attenzione scrupolosa della neo regista, non solo nel cercare di rendere interessante una storia dalle tematiche comuni, ma

26


26-27 s12:30-31 s

8-10-2010

15:48

Pagina 2

L’artista Dall’Oriente al festival di Roma Mika Ninagawa nasce a Tokyo il 18 ottobre 1972. Figlia d’arte, il padre è un regista di teatro e la madre è un’attrice, Mika si appassiona di fotografia negli anni del liceo e inizia a studiarla come autodidatta. Nel 2001 si aggiudica il prestigioso “Kimura ihei award” insieme a Hiromix e Yurie Nagasaki. Da allora realizza numerose personali in Giappone arrivando a Londra nel 2005, a Berlino e Parigi nel 2007. A Roma viene ospitata in occasione della quinta edizione del Festival internazionale del film di Roma nella sezione Occhio sul mondo Focus. Info: www.ninamika.com.

Anne, s. d. cortesia dell’artista A pag. 26, dall’alto: “Liquid dreams”, 2003 “Everlasting flowers”, 2005 “Acid bloom”, 2003 cortesia Tomio Koyama gallery

anche nei particolari studiati con cura doviziosa. Il film viene proposto al Festival internazionale del film di Roma in concomitanza con la mostra. «La Ninagawa è un’artista disarmante – dichiara Gaia Morrione curatrice della mostra – per la sua capacità di rendere unici tratti e soggetti che invadono il nostro vivere anche con discreta noia, e la scelta di ospitarla nella sezione Focus del festival di Roma deriva da due fattori. Il primo è ovviamente il cinema, il “fil rouge” di

ogni nostra iniziativa, e Ninagawa ha dimostrato di essere abile anche in questo. Il secondo è invece legato al suo stile e alla sua arte che si sposa degnamente con l’anima del festival: sofisticato e al contempo popolare». Il catalogo della mostra Mika Ninagawa per il festival internazionale del film è edito da Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ed è in vendita alla libreria dell’Auditorium, sede della kermesse cinematografica.

27


28-29 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:55

Pagina 1

eventi FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA

In alto: Keira Knightley A destra: Alain Corneau

Alcune locandine delle pellicole presentate al festival

Risate dall’Aldilà Tra fantasmi e ironia al via l’atteso festival internazionale del film di Roma di Annarita Guidi

U

na risata ci seppellirà? È questa la domanda con cui i cinefili dovrebbero fare i conti in attesa della nuova edizione del festival internazionale del film di Roma. La congiuntura di questo 2010 sembra, infatti, curiosamente sbilanciata tra due opposti apparentemente inconciliabili: la morte e la risata. Ma andiamo con ordine: la manifestazione promette la consueta parata glamour, quest’anno affidata ad artiste come Keira Knightley (risposta romana alla Natalie Portman a Venezia con “Black swan”?) e Nicole Kidman. La prima interpreta

il film di apertura, “Last night”, esordio della regista iraniana Massy Tadjedin incentrato sulla coppia e la fedeltà. La Kidman compare nell’inedita veste di produttrice per “Rabbit hole” di John Cameron Mitchell, di cui è anche interprete insieme ad Aaron Eckhart. Anche qui, una coppia alla prova: non si tratta di tradimenti, ma della morte di un figlio. Già, la morte. Sembra aleggiare come una presenza sulle architetture di Renzo Piano, pronte ad ospitare la folla festivaliera. Questa edizione raccoglie infatti un sinistro numero di omaggi funebri: a Suso Cecchi d’Amico va il Marc’Aurelio d’oro alla carriera, che sarà consegnato da Mario Monicelli ai figli della sceneggiatrice che ha firmato capolavori come Ladri di biciclette. Competizione e delitto sono al centro di “Crime

28


28-29 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:22

Pagina 2

Da sinistra: la sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico gli attori Marcello Mastroianni e Nicole Kidman il regista Akura Kurosawa

La manifestazione Sergio Castellitto presidente della giuria nella quinta edizione A presiedere la giuria del festival, dopo il no di Tornatore, è stato chiamato Sergio Castellitto, mentre gli altri giurati sono la giornalista Natalia Aspesi, il regista Ulu Grosbard, lo scrittore Patrick Mc Grath, il regista Edgar Reitz e Olga Sviblova, direttrice del museo delle Arti multimediali di Mosca. Nella selezione ufficiale competono per il Marc’Aurelio d’oro (attribuito al miglior film e ai migliori interpreti maschile e femminile) 16 pellicole. Nessuna novità sostanziale nelle sezioni collaterali: L’altro cinema-extra raccoglie film indipendenti e documentari, mentre Alice nelle città presenta 14 pellicole giudicate da una giuria di giovani. Occhio sul mondo Focus si concentra sul cinema e la cultura giapponese. Dal 28 ottobre al 5 novembre, Auditorium parco della musica, viale Pietro de Coubertin 30, Roma. Info: 0640401900; www.romacinemafest.it.

d’amour”, l'ultimo film di Alain Corneau (Le deuxième souffle), di cui il festival ha comunicato l’inserimento in selezione ufficiale subito dopo la scomparsa del regista. E ancora, la sezione Occhio sul mondo, Focus è dedicata all’estremo Oriente. Con un certo eloquente ritardo rispetto alle tendenze della cinematografia mondiale (già riorientata a Sud, al mondo latino e latinoamericano, come emerge anche dall’ultimo festival di Venezia), spazio allora all’immenso Akira Kurosawa e alla versione restaurata di “Rashomon”, proiettata per il centenario della sua nascita. E un ulteriore omaggio: a Satoshi Kon, maestro dell’animazione giapponese, anche lui recentemente scomparso. Poi c’è Ugo Tognazzi. Un (altro) fantasma. La sua indimenticabile, contorta

comicità. L’artista sarà ricordato con il documentario Ritratto di mio padre (realizzato dalla figlia Maria Sole), cui si affiancano delle pillole (sic) delle sue interpretazioni, proiettate prima di ogni film. Morte e risata. Intanto, Venezia si è chiusa con le dichiarazioni di Marco Müller, che ha denunciato come e perché critici, media, produttori e distributori “di regime” cerchino di mantenere le loro posizioni contro l’onda anomala del web, dalle riviste alla condivisione di contenuti. Che, secondo altra critica e altro pubblico (forse non gli stessi del festival) e secondo lo stesso Müller, sta per spazzare via, leggi censura permettendo e senza bisogno di battaglie, ogni traccia di Ancien regime. Magari con una grassa risata, proprio come in un film di Tognazzi.

29


30-31 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:23

Pagina 1

eventi BIENNALE ARCHITETTURA

N

Schizzi dal domani Il curatore del padiglione nazionale: «Immaginiamo l’Italia del 2050» di Luca Molinari*

Negli ultimi anni l’Italia sta vivendo un’irritante paura di futuro che vede riflessi significativi nell’architettura, schizofrenicamente dibattuta tra la gestione ordinaria della realtà corrente e forme di neofuturismo estetizzante che non sanno interpretare i cambiamenti che stiamo vivendo. La sezione Italia 2050 del padiglione Italia alla prossima Biennale è stata immaginata per interrogarsi su cosa voglia dire essere sperimentali oggi e che tipo di fenomeni l’architettura dovrà affrontare nei prossimi tempi. Per questo ho deciso di coinvolgere la rivista Wired per aiutarci a individuare i temi urgenti e i protagonisti dal mondo delle scienze sperimentali, dei “new media” e dell’arte che li potessero formulare. Intorno a questi temi abbiamo invitato 14 progettisti italiani, da Atelier Forte a Ian+ passando per Metrogramma, Italo Rota, Alessandro Scandurra, Beniamino Servino e Attilio Stocchi e molti altri, per produrre altrettante installazioni che coinvolgano il visitatore in una giornata tipo italiana nel 2050. L’obiettivo è quello di liberare energie inedite, trasversali e laiche intorno alle domande che i prossimi decenni ci porranno con sempre maggiore urgenza. Paradossalmente non è il risultato finale quello che m’interessa, ma il processo che ogni autore sarà in grado di sviluppare e, insieme, di condividere in maniera inedita con i colleghi. E questa credo sia una dimensione della sperimentazione contemporanea che

da troppo tempo sfugge alla nostra architettura: non mi riferisco solo alla capacità di lavorare in “team” che si sta lentamente acquisendo anche in Italia, ma all’idea di condividere contenuti, obiettivi culturali e politici che diventino innanzitutto un progetto più aperto, visionario, generoso da lanciare al paese. Essere sperimentali oggi non credo significhi essere più tecnologici, sognare che l’uomo voli con la sua macchina nel cielo o disegnare architetture “belle e impossibili”. Non vuole neanche dire essere malinconicamente legati alle utopie sfilacciate del Novecento brandendo ancora la memoria illustre dei tanti Bucky Fuller, Radical Group, Tatlin e Soleri. Forse essere sperimentali oggi vuol dire tornare a guardare al progetto come una forma unitaria, inedita, “open source” in cui la produzione di una visione diventi insieme produzione di nuovi contenuti politici e sociali consapevoli e insieme che sia una forma problematica e imperfetta di dialogo con il mondo che sta radicalmente cambiando. Se alcune di queste sperimentazioni sapranno diventare racconti esplosivi e propositivi per un mondo che chiama visioni generose, allora vorrà dire che l’architettura è riuscita a tornare a parlare alla gente e sopravviverà al rischio di una lenta estinzione. *curatore Padiglione Italia

30


30-31 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:23

Pagina 2

La neopresidente e la mostra Quando la gente incontra l’architettura. Sejima: «Siamo parte della rete» Lei, il Leone d’oro a Venezia l’ha vinto nel 2004 per il suo “21st century museum of contemporary art” a Kanazawa, Giappone. Chissà se avrebbe mai pensato – soprattutto in una Biennale di architettura che esce dal predominio maschile col terzetto Forster, Burdett, Betsky – di finire a dirigere la rassegna internazionale che fa il punto sulla progettazione contemporanea ma che, soprattutto, si lancia verso gli scenari del futuro: «La sensazione diffusa è quella di vivere in una società postideologica – dice Kazuyo Sejima (nella foto), archistar giapponese classe ‘56, spiegando il senso delle sue scelte – siamo più che mai parte della rete. La comunicazione mediata condiziona le relazioni interpersonali. La nostra cultura, così come la nostra economia, da tempo sono diventate globali. Tutto ciò ha cambiato non solo le condizioni materiali del nostro presente, ma anche il modo in cui lo concepiamo. In questo contesto, siamo convinti che l’architettura abbia un ruolo importante: ha il potere di aprire nuovi orizzonti». Non è dunque un caso che il tema formulato per la dodicesima edizione, in questo crogiolo di legami reciproci, sia un emblematico (e salvifico) “People meet in architecture”. L’obiettivo è infatti riscoprire il senso di un’architettura al servizio della socialità: meno mausolei, più comunicazione. Albania, Bahrain, Iran, Malesia, Marocco, Ruanda e Thailandia le nazioni che mettono per la prima volta il naso a Venezia, in un unico percorso espositivo che raccoglie quarantatré partecipanti tra studi, architetti, ingegneri e artisti da tutto il pianeta. La mostra principale negli storici padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico della città lagunare è affiancata da cinquantasei partecipazioni nazionali. “Ailati, riflessi dal futuro” è il tema del padiglione Italia curato da Luca Molinari. Tantissimi i nomi di spicco: da Olafur Eliasson allo studio Herzog & De Meuron passando per l’Oma di Rem Koolhaas, Tom Sachs e Jan De Vylder. ll Leone d'oro per la migliore partecipazione nazionale è andato al Bahrain, quello per il miglior progetto della mostra "People meet in architecture" a Junya Ishigami and associates (Giappone) e il Leone d’argento a Office Kersten Geers David Van Severen and Bas Princen (Belgio e Olanda). Fino al 21 novembre. Info: www.labiennale.org. (S. C.)

Fiona Tan, “Cloud island I (preview for Venice)”, 2010, cortesia dell’artista, Wako works of art, Tokyo and Frith Street gallery, London

31


32-33 s12:14-15 s

5-10-2010

18:24

Pagina 1

Alcuni progetti esposti dai vari padiglioni a Venezia: dall’ufficio madrileno fra gli alberi ai villini belgi in Mongolia

SCATTI DALLA BIENNALE di

Simone Cosimi

TEATRI DI STRADA CINEMA IN TENDA Ha il provocatorio titolo di “Ça va (a prefabricated movie theatre)” il progetto del duo francese Berger & Berger. L’installazione gioca con gli effetti del dissolvimento degli oggetti architettonici che possa esplorare al tempo stesso i sistemi di rappresentazione tipici del cinema, del teatro auditorium e del museo galleria. Insomma: l’edificio si fa esso stesso fluidità cinematografica. Pensato nel 2006, il prefabbricato (foto Guillaume Ziccarelli) disporrebbe in teoria di una serie di utilizzi piuttosto interessanti, dalle rassegne permanenti all’uso nel corso del festival. Il tutto a basso impatto ambientale. Info: http://berger-berger.com.

LUSSI MONGOLI JAN DE VYLDER L’architetto belga Jan De Vylder partecipa alla Biennale di Venezia con una delle cento lussuose ville commissionate per la città di Ordos, in Mongolia, attraverso l’ambizioso progetto Ordos 100. Altrettanti architetti emergenti chiamati a disegnare la loro residenza per mettere in piedi un quartiere nuovo di zecca nella regione cinese. De Vylder ha partecipato alla prima fase, conclusa nel 2008, con una proposta piuttosto differente dalle altre.Info: www.jandevylderarchitecten.com.

LA NATURA DEI LAVORI L’UFFICIO DI SELGASCANO Chi non sognerebbe di lavorare letteralmente in mezzo alla natura? L’ufficio fra gli alberi pensato dallo studio Selgascano – autonomo sotto ogni punto di vista – pare riproporre nelle sue realizzazioni la dimensione della propria impresa: una piccola iniziativa messa in piedi a Madrid da Lucía Cano e José Selgas, entrambi classe 1965. L’unica domanda è: i mezzi pubblici serviranno l’ufficio? Info: www.selgascano.com.

SOSTE D’AUTORE OUDOLF, MENZIONE D’ONORE Si chiama Giardino delle vergini, riallacciandosi a un libro di Jeffrey Eugenides. Collocato in fondo agli spazi dell’Arsenale, il lavoro di Piet Oudolf offre uno scorcio sugli edifici dei cantieri navali e dei magazzini che fanno capolino dalla folta vegetazione. «Delicato e impressionistico nella sua accurata orchestrazione», secondo la giuria che gli ha conferito una menzione d’onore, il paesaggista olandese, fondatore del movimento “new perennial”, ha creato al centro della vegetazione un nuovo giardino, scegliendo piante dalla fioritura tarda. Un invito a riflettere. Info: www.oudolf.com.

32


32-33 s12:14-15 s

5-10-2010

RIFUGI SCOLPITI RADIC E CORREA PER

18:24

IL

Pagina 2

CILE

La Biennale di quest’anno s’è aperta a forme più legate all’arte contemporanea che all’architettura, per quanto le due discipline tendano in molti casi a sfiorarsi. È il caso di Smiljan Radic e Marcela Correa con la loro scultura minimale. Un’ispirazione poetica che accoglie i visitatori all’ingresso dell’Arsenale. Si tratta di un rifugio protetto fatto di un masso di granito scavato e ricoperto di legno di cedro che si lega al racconto dei fratelli Grimm La lepre di mare. L’intento dei progettisti cileni è quello di regalare una speranza ai tanti che l’hanno persa dopo il terremoto dello scorso febbraio.

DIALOGHI SPAZIALI L’ESSENZA DI KEREZ L’architettura di Christian Kerez, venezuelano classe 1962, nonostante la sua tendenza al ritorno all’essenziale, è caratterizzata da una serie di complesse realizzazioni. Quella in mostra a Venezia riguarda la sede della Holcim foundation for sustainable construction (foto Walter Mair), con base in Svizzera. Forse proprio per questo suo approccio quasi filosofico l’architetto residente a Zurigo è stato scelto dalla curatrice Sejima per progettare una serie di strutture aperte che dialogano con lo spazio circostante e invitano il pubblico alla scoperta. Info: www.kerez.ch.

FOTO D’INTERNI L’EQUILIBRIO DELLA LAMBRI Luisa Lambri, classe 1969, espone regolarmente dal 1995 nelle gallerie d’Europa, indagando i rapporti tra architettura, fotografia ed emozioni. A Venezia porta la sua “Untitled (Menil house, #10)” realizzata nel 2002. Documentare gli spazi in bilico fra soggettività e oggettività. Questo l’obiettivo dei suoi lavori. Schivando l’anonimato. Difficile ma affascinante.

LE FORME DI PIANO LE FOTO DEL CENTRO PAUL KLEE A Venezia spazio anche a una documentazione fotografica dei lavori effettuati per il centro Paul Klee di Berna, in Svizzera, inaugurato nel 2005. Le foto di Michel Denancé raccontano le forme sinuose della struttura e la realizzazione del progetto, che ricorda un’onda che emerge dalla vegetazione, scrigno di oltre 4.000 opere firmate dal pittore svizzero. Non un tradizionale museo sin dall’ideazione, ma un centro multimediale di riflessione sull’opera dell’artista. Nel bene o nel male l’edificio è divenuto negli ultimi anni una struttura di riferimento del settore. Info: http://rpbw.r.ui-pro.com.

33


34-35 s12:58-59 s7

5-10-2010

18:25

Pagina 1

grandi mostre RENATO GUTTUSO

34


34-35 s12:58-59 s7

5-10-2010

18:25

Pagina 2

IL PITTORE CHE

RINNOVÒ L’ARTE MODERNA La fondazione Magnani Rocca apre le mostre del centenario Una rievocazione di Vittorini sulle storiche edizioni del Milione di Elio Vittorini*

L

a novità che si manifesta nell’opera di Guttuso tra il ’55 e oggi non è costante di tutto quello ch’egli, dal ’55, ha prodotto e continua a produrre (...). A parte comunque tali indugi (...) il nuovo periodo ha ogni anno opere variamente intense che presentano a un tempo (quelle del ’56 non meno di quelle del ’60) la stessa pienezza di maturazione e la stessa, identica, possibilità di sviluppi ulteriori. La qualità nuova è completa, voglio dire, tanto nelle sue prime manifestazioni che nelle più recenti, e tanto dov’è solo (per es. nella Spiaggia) di una parte di un quadro che dov’è di tutto il quadro (...). Gli elementi del quadro (o della parte di quadro interessata) sono tutti ancora d’ispirazione naturalistica, e compongono forme che risultano, ciascuna di per sé, tradizionali: foglie, frutti, tegole, tazze di pali del telegrafo, mani, orecchie, nasi, piedi, pieghe di panneggiamento, volute di fumo, barattoli, bottiglie ecc. ecc. tutti riconoscibili come tali (per chiunque veda le cose con l’occhio della tradizione) ben di più degli oggetti raffigurati nelle opere di prima del ’49 e non meno di quelli raffigurati nelle opere del momento di Scilla o di Capri. Una foglia qui è naturalisticamente più foglia, malgrado la forte astrazione del colore, che in qualunque opera dei periodi precedenti (...). La liberazione del complesso di colpa che Guttuso covava nei riguardi delle proprie doti tradizionali, liberazione ottenuta attraverso una piena adesione a tali doti, è stata così feconda da riaccendere in sede di sostan-

35


36-37 s12:78-79 s6

8-10-2010

14:57

Pagina 1

Sopra: Renato Guttuso, Fosse Ardeatine, 1950 A sinistra: Ritratto di signora con rose 1945 Autoritratto con maglione 1960 A destra: La spiaggia, 1955-1956

zialità globale le grandi possibilità di pittore moderno che Guttuso aveva sempre impegnato entro i limiti delle sostanzialità particolari. Egli ora può raccogliere degli elementi tutti naturalistici, le foglie e le arance di un aranceto, o le gambe, le mani, gli occhi, i capelli, gli sguardi e i gesti di una folla, per formare un insieme che non è la descrizione di un aranceto, o d’una folla (...), ma una nuova prova di avvicinamento a quella raffigurazione spaziale che l’arte contemporanea va costruendo da parecchi decenni, in corrispondenza dei nuovi concetti e giudizi (si capisce anche psichici) sull’universo di cui la civiltà moderna ha avviato e non ancora concluso (perché continua a mutare di livello tecnico e sociale) l’elaborazione: una nuova prova individuale, dico, di raffigurare plasticamente un modo “comune” di sviluppo d’un pensiero, una nuova e felice prova fatta in un particolare dell’universo stesso quale un aranceto o un movimento di folla che perciò non si fissa sul quadro come un luogo aneddotico o sentimentale e vi assume piuttosto la

36

La mostra Guttuso, passione e realtà A pochi mesi dal centenario della nascita di Renato Guttuso (1911-1987) la fondazione Magnani Rocca apre il ciclo espositivo con una mostra che ripercorre i tratti salienti del suo percorso artistico attraverso una sessantina di opere, tra cui celebri icone quali la monumentale Spiaggia e grandi tele come Il comizio, Fosse Ardeatine, Caffè Greco (prestato per l’occasione dal museo Thyssen-Bornemisza di Madrid). Esposto, per la prima volta, anche l’inedito Ritratto di signora con rose, di proprietà della collezione Barilla, attribuito al pittore di Bagherìa. Guttuso, passione e realtà, fino all’8 dicembre, fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo, Parma. Mostra e catalogo (Edizioni Gabriele Mazzotta) a cura di Stefano Roffi, con interventi dello stesso Roffi, di Enrico Crispolti e Alberto Mattia Martini. Info: 0521848327/148; www.magnanirocca.it.


36-37 s12:78-79 s6

5-10-2010

18:26

Pagina 2

funzione di “luogo d’emergenza”, di luogo di trasformazione, di luogo che basta ancora poco e acquista la precisione e la forza significante di una “metafora” (...). Così Guttuso è rientrato, volendolo o no, e con un ruolo molto più vasto e positivo di quello corale ch’ebbe fino al ’48, nel grande moto distruttore-edificatore, o insomma rinnovatore, dell’arte moderna che magari non corrisponde a quanto i contrapposti uomini politici, con le loro ideologie ancora medievali o rinascimentali o romantiche, pensano che sia la civiltà moderna, ma che corrisponde a quanto di tecnico, di intellettuale e di sociale continua ad essere elaborato nel seno della civiltà moderna stessa. Egli se ne tirò fuori, nel ’48, per un cumulo di motivi tra cui non fu forse il minore quello di accorgersi che rischiava di restare per sempre (...) nelle zone ambivalenti della sua periferia; e lavorò, il ’49, il ‘50, il ‘51, il ’52, il ’53, il ’54, in una direzione di controcorrente che i suoi critici ritenevano dovesse portarlo, e portare le arti in genere, a far rifiorire i giardini della figuratività rina-

37

scimentale che tanto aveva fruttato ai pittori, gli scultori e gli architetti di cinque secoli, romantici e Courbet compresi. E la direzione presa era in effetti la giusta per portarvelo. Era proprio la vecchia “India” della felicità pittorica tradizionale ch’egli raggiungeva: la pensata eterna, ed eternamente feconda, come se non fossero stati gli uomini mortali a crearla in un dato momento di sviluppo della loro storia… E vi s’inoltrava, vi s’inoltrava. Ma finiva per sbucare, attraversatala tutta, sugli stessi spazi nuovi che ormai quasi tutti cercano dalla parte opposta: tutti cercandoli, o presumendo di cercarli; ma ben pochi, una volta più in là del picassismo, toccandoli, un De Staël meglio d’un Pollock o d’un Wols, e un Dubuffet o un Morlotti meglio d’un Tobey, e gli altri, acquistandosi meriti di perseveranza, o addirittura perdendosi, per furore non solo ideologico, in processi di esterificazione vani e sterili pur se decorativamente suggestivi (...). *Estratto da Storia di Renato Guttuso, Edizioni del Milione, Milano, 1960 cortesia galleria Il milione


38-39 s12:52-53 s7

8-10-2010

15:42

Pagina 1

grandi mostre ROBERTO STELLUTI

Grafica esistenzialista Nelle incisioni dell’artista marchigiano la natura si fa spazio interiore di Enrico Crispolti*

N

on v’è dubbio che in Italia, in particolare nella seconda metà del XX secolo, sia in vario modo affiorata e si sia piuttosto capillarmente diffusa una vera e propria condizione di incultura rispetto all’ambito della grafica, intesa questa quale sfera espressivo-immaginativa-comunicativa, fondata peraltro su una sua prestigiosa specifica tradizione moderna (di prima affermazione rinascimentale). Malgrado infatti Mantegna, Parmigianino, Grechetto, Tiepolo, Piranesi, se volete Fattori, fino, nel nostro tempo, a Morandi, Bartolini, Guerreschi, De Vita, Strazza. Generalmente estranea agli interessi di storici dell’arte, quasi sempre

38

incompresa nella specificità evolutiva dei propri mezzi nell’esercizio di critici d’arte, infatti una cultura della grafica sopravvive ormai in Italia soltanto in eccellenze marginali, in oasi di felice creatività. Che tuttavia, nella loro aurea clandestinità (quasi), non sembra riescano a fare contesto, riescano insomma a restituire – finora almeno – una da decenni dissolta consistenza di tessuto culturale determinato. Ignorata peraltro da tempo, la grafica, nel suo specifico, nella progettualità stessa di grandi istituzioni, dalla Biennale veneziana alla Quadriennale romana. Eppure altrove non è tuttora così, anzi! Ricordo l’impressione fortissima avuta, rispetto alla situazione nostrana, qualche decennio fa a Lubiana (cioè poco lontano da Trieste), quando mi capitò di essere, forse un paio di volte (assieme fra l’altro all’amico, rimpianto, Pierre Restany), nella giuria di quella Biennale internazionale


38-39 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:27

Pagina 2

specificamente appunto della grafica. Ed era l’impressione veramente di essere come in un altro mondo, che dunque si scopriva esistere ancora, un po’ ovunque considerate le affluenze appunto internazionali, e proprio nei suoi specifici parametri di qualità mediale, di inventività, di sperimentazione (dove, fra l’altro, la lezione hayteriana era ormai da tempo innovativamente metabolizzata). Che cosa intendere per quella che chiamo “cultura della grafica”? Esattamente la pratica creativa e il relativo apprezzamento critico, storico, formativo, collezionistico, museale, di un linguaggio specifico, che in quanto tale non ha a che fare con il disegno, né ha a che fare naturalmente con la pittura, come neppure, potrei aggiungere, con la fotografia e soprattutto con la fotoincisione. Un “mezzo” figurale che, se lo si pratichi correttamente (vale a dire dunque nella sua specificità mediale), tuttavia chiede sia una motivazione specifica, espressivocomunicativa, del ricorrervi, sia una cultura operativa delle possibilità insurrogabili del mezzo medesimo. E quindi sollecita, in chi lo pratichi, la libertà di reinventarne la consistenza linguistica secondo una declinazione personale irriducibile a qualsiasi deduzione disegnativa, pittorica o fotografica; pena altrimenti una tarpante sostanziale inconsistenza e dipendenza mediale espressivo-comunicativa del proprio operare. Ora non v’è dubbio che l’operare di Roberto Stelluti, che ammiro e seguo da alcuni anni, rientri totalmente e al maggior livello in questi parametri di eccellenza di specificità culturale espressiva. E vi rientri anzi sviluppando nella sua silenziosa tenacia più d’una sfida segreta, direi proprio attraverso i mezzi e nei modi del proprio operare. Volendone subito, intanto, situare l’orientamento operativo, e dato che è comunque un riferimento quasi patentemente all’origine del suo fare incisorio (penso al trattamento di certi suoi isolati soggetti di “nature morte”, di familiarità di clima affettivo, dell’inizio degli anni Settanta), risulta evidente che Stelluti rovescia evocativamente e rapsodicamente il rapporto di scarto innovativo rispetto a una tradizione di rappresentatività narrativa come l’aveva baldanzosamente operato il suo conterraneo Bartolini giova-

ne. Mentre a una certa aulicità – quantomeno appunto rappresentativa – della tradizione incisoria, Bartolini a suo tempo è infatti venuto contrapponendo una personalissima corsività affettivamente quotidiana, avventurandosi in una dimensione temporale di sotteso riscontro esistenziale, Stelluti invece recupera una propria possibilità di dialogo con la tradizione (e naturalmente la sua, di incisore) al di là del tempo. Esattamente infatti sottraendosi al divenire di questo, arrestandolo in una immobilità quasi magica, che è oltre una dimensione trascorrente. Che ne vanifica l’irreversibilità, al traguardo estremo d’una inversione cristallizzante del fluire discorsivo del tempo vitale, instaurando dunque come iconicamente assoluto, invece, il limite d’una intravista incipiente fatiscenza del tutto. Scartando dunque da ogni possibile divenire evolutivo, cristallizza il tempo come in un suo ultimo traguardo. Ne ammortizza infatti le ulteriori possibilità in una fissità atemporale, in certa misura emblematicamente eterna, che assume il senso di ultima catastrofe, anziché di memoria di storia e dunque di vissuto possibilisticamente reiterabile. Quasi insomma in una riproposizione iconicamente imprevista di “Vanitas”, in un’avvertenza d’un ritorno catastrofico e putrescente in una natura terminalmente cristallizzata, fissamente finale. Il suo orizzonte appare come ormai fuori del commercio quotidiano mondano di uomini e di cose, lontano infatti dagli uomini, immerso interamente, com’è, in un rapporto tra sé e l’infinito della natura. Un rapporto a scala panica, che si potrebbe quasi dire friedrichiana, non fosse tuttavia che per il fatto che Stelluti non si perde in un infinito cosmico, ma proprio al contrario nell’infinitezza panica del finito più particolare di assemblati elementi e brani di natura e di cose, di un accumularsi prossimo di componenti di natura vegetale o petrosa, o appunto di oggetti obsoleti. Le immagini che ci propone inducono infatti come in una immersione di smemoramento, in una situazione di contatto ravvicinato naturale totalizzante, evocato e indagato in una perseverante capziosità analitica, non tanto per restituire l’oggetto che attrae quanto la trama segnica che lo configura. Interessa infatti Stelluti il segno

39


40-41 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:28

Pagina 1

capzioso, forte, figurante, e non la campitura. E il suo segno incisorio si fa così portante d’una intensità metamorfica della natura invasivamente totatilizzante, che non a caso sovrasta e ingloba svariate rovine e relittualità. Un po’ come quella carcassa d’automobile, di cui la foresta equatoriale s’era rigogliosamente reimpossessata, che – nei secondi anni Quaranta – sorprendeva e affascinava l’immaginazione di André Breton. “Incontri ravvicinati”, in particolare in occasioni di natura vegetale, sono quelli che Stelluti propone nelle sue incisioni strepitosamente avvincenti. È del resto quello il titolo di una sua lastra a “maniera molle” e acquaforte, del 1986. E immaginativamente e otticamente (inducendo il riguardante in una sorta di trappola visiva, sfidandone la perspicuità ottico-immaginativa) si confronta con un microcosmo lenticolarmente evocato e patentificato, promuovendo una sorta di provocazione conoscitiva attraverso il fascino del vicino, di una full immersion, iconico-segnica, e insieme del caduco al suo estremo. Mi dice: “come se tutto stesse finendo”, e soprattutto ciò risulta evidente nelle sue “nature morte”, vegetali essiccate. A volte reitera i suoi “soggetti” preferiti, tuttavia allora mutando le modulazioni chiaroscurali dell’insieme, e dunque rinnovando le condizioni di quell’indotto corpo a corpo visivo. Anche se ha inciso alcuni paesaggi marchigiani, Stelluti preferisce una dimensione di spazialità interna, appunto estremamente “ravvicinata”. Riduce quasi la stessa natura a una prossimità come da spazio interno, da immediatezza di confronto oggettuale. Lavora lentamente, impiegando circa tre mesi su una lastra (e comunque uno su un singolo disegno). E sul proprio lavoro ha un controllo personale totale, giacché stampa da sé, nel suo grande e misterioso studio di Fabriano, circa il 90% delle proprie incisioni, in tirature oscillanti fra 70 e 120 esemplari. Ma naturalmente, in un procedere così analitico e capzioso, e dilatato nel tempo, frequenti sono sia le presenze di “stati” diversi d’una medesima incisione, che processualmente portano all’immagine finale di questa, altrettanto che frequenti sono le possibili varianti sia di carta, sia di inchiostro, stampate su Bibbia Oxford. E per Stelluti, prestigioso maestro in particolare d’essenzialità segnica possibile e perentorietà probabile proprie dell’acquaforte (prevalente nettamente nelle sue circa 160 lastre, alcune di grandi dimensioni, realizzate in una quarantina d’anni di lavoro), la tradizione non è generica ma anzitutto specifica a questa pratica artistica: Altdorfer, Rembrandt, Seghers, Piranesi… Ha lavorato e lavora soprattutto appunto all’acquaforte, utilizzando marginalmente l’acquatinta, per fondi e campiture, fra anni Settanta e Ottanta, in particolare, ma anche la “maniera molle”. Il suo impegno da incisore è iniziato alla fine degli anni Sessanta, quando a Roma guardava

L’artista e la mostra Nato per incidere: natura e industria a Monforte d’Alba Roberto Stelluti è nato il 13 settembre 1951 a Fabriano, dove vive e lavora. Si è dedicato all’incisione fin da ragazzo. Ha frequentato i corsi internazionali di tecniche dell’incisione all’istituto di Belle arti di Urbino. Dal 1970 ha partecipato alle più importanti rassegne nazionali della grafica, tra cui il Premio internazionale Biella per l’incisione e la Biennale di Acqui Terme. Dal 1978 numerose sono state le personali organizzate in ambito nazionale. Attualmente è protagonista della mostra Roberto Stelluti, visioni di natura e di città. Per L’occasione, l’artista ha scelto di privilegiare uno dei filoni principi della sua produzione grafica, quello della natura, mettendola vis a vis con immagini apparentemente contrapposte di paesaggi urbani e ambienti industriali. Ne risulta una straordinaria poesia unita a una impeccabile capacità tecnica. Catalogo Arti grafiche Gentile di Fabriano. Fino al 14 novembre, fondazione Bottari Lattes, via Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo). Info: 0173789282; www.fondazionebottarilattes.it.

40

Roberto Stelluti Girasole riflesso, 2009 in alto: Studio per autoritratto 2006 a pagina 38: Italiani brava gente (b) 1979 a pagina 39: La cometa, 1997


40-41 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:28

Pagina 2

alla pittura e al disegno di Guttuso (ma anche alle sue prime forti incisioni, piuttosto sporadiche e che non sono entrate poi nel suo destino espressivo, mentre avrebbero potuto gagliardamente certo avervi adeguato spazio, solo che Renato avesse avuto caratterialmente la pazienza operativa che una medialità sostanzialmente indiretta come quella incisoria certamente richiede). E quando vi frequentava la Don Chisciotte di Giuliano de Marsanich con le opere di J. P. Velly, La nuova pesa con Calabria e Guttuso, Il Gabbiano, dove convergevano Attardi, Guccione, ma anche Vespignani (più memorabile forse, alla distanza, come incisore che come pittore). E la sua scelta per l’incisione, allora, non fu occasionale ma assunta come destino. Ma Stelluti tuttavia ha praticato e pratica anche il disegno e in un suo specifico mediale comunicativo. Disegni realizzati in punta d’argento, o a matita, molto dura. Disegni dal “vero”, ma anche da sue vecchie incisioni, come a ribadire l’emblematicità privata, atemporale, di un’immagine. Estremamente fragili, quasi evanescenti nei modi e le quantità della loro proposizione, risultano tematicamente, e proprio iconicamente, molto spesso del tutto affini alle sue incisioni. Il cui repertorio appare comunque miratamente piuttosto circoscritto: fiori, secchi, dunque già estremizzati, ravvicinati, racchiusi in spazi interni, oggetti pure ravvicinati, sistemati in armadi o affastellati su tavoli, oppure ammucchiate relittuali da sfasciacarrozze, ma anche paesaggi, più raramente d’ampio sguardo, e il più delle volte appunto molto ravvicinati, in una sorta di prensile e aggressivo quasi parossistico “horror vacui” del sottobosco. E tuttavia anche, in qualche caso (come nel 1980), invece paesaggi antropizzati, seppure ormai desueti, relittuali, di architetture industriali come antichizzate, ruinanti, che Stelluti (muovendo da fotografiche apprensioni d’immagine) meticolosamente rilegge, e immobilizza fuori del tempo, nel loro scheletro strutturale definendoli comunque ambientalmente in omaggio a Piranesi. Ancora, questo, un suo modo di divergere dal tempo in quanto misura di un proprio vissuto, verso un ultratempo di tradizione di sublimità quasimetafisica. Sono le sue “rovine” contemporanee: non estraneo infatti a riconoscervi emblematicamente quel livello ultimativo di fatiscenza del tutto, oltre la dimensione della contingenza temporale, oltre la storia, oltre una quotidianità di sguardo e di vissuto, verso forse una visionarietà analitica, stupefacente, rivelatoriamente anagogica, nel prestigio della spettacolarità di trame di puro segno espressivo in quanto autenticamente incisorio ma capaci d’assolutizzare visivamente evocative private presenze iconiche. *Curatore della mostra, testo in catalogo cortesia Arti grafiche Gentile di Fabriano

41


42-43 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:47

Pagina 1

conversando sul sofà MICHELA MURGIA

H

Amore e dolce morte La scrittrice sarda trionfa all’ultima edizione del Campiello con Accabadora, un romanzo sulla maternità e l’eutanasia di Maria Luisa Prete

Ha trionfato all’ultima edizione del Campiello con Accabadora, avendo la meglio sul già titolato Antonio Pennacchi e aggiudicandosi 119 voti dalla giuria dei lettori. Michela Murgia, scrittrice sarda, classe 1972, era raggiante alla Fenice di Venezia durante la serata di premiazione organizzata dalla Confindustria del Veneto. Gioia scalfita, ma solo leggermente, dalla gaffe del presentatore Bruno Vespa sulla scollatura di Silvia Avallone, vincitrice della sezione opera prima. La caduta di stile, o semplicemente il tentativo di voler adeguare la seriosità dell’evento ai canoni televisivi del nazional popolare più spicciolo, ha provocato malumori e polemiche, trascinate per settimane. Ma di quella serata del 4 settembre 2010, il dato più rilevante resta la vittoria della Murgia che, affermando le sue le priorità cul-

turali, ha dedicato la vittoria a Sakineh, la donna iraniana accusata di omicidio e condannata a morte. Ancora una figura femminile e capace di lottare, come le protagoniste del romanzo. Il titolo del libro, Accabadora, significa “colei che finisce”. Ambientato nella Sardegna anni ‘50, nel paese di Soreni, racconta la storia di Maria, quarta figlia di una madre vedova, adottata della vecchia sarta Bonaria Urrai. Tra le due si instaura un legame fondato su un amore puro: madre e figlia a tutti gli effetti. Ma Maria fatica a comprendere alcuni comportamenti della sarta. In realtà, Bonaria entra nelle case per portar fine alle sofferenze con una morte dolce. Maternità elettiva e eutanasia: sono questi i temi del libro, resi senza note retoriche, con autenticità e coraggio. Il romanzo sarà presto un film, diretto dalla

42


42-43 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:47

Pagina 2

Immagine in copertina dell’edizione tedesca di Accabadora In alto a sinistra: Michela Murgia

43


44-45 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

19:14

Pagina 1

A sinistra: Michela Murgia da destra un momento della serata di premiazione alla Fenice di Venezia Giuseppe Tornatore Michela Murgia Emma Mercegaglia e il presidente di Confindustria Veneto Andrea Tomat

La scrittrice Dall’Azione cattolica al Campiello Michela Murgia è nata a Cabras (Oristano) il 3 giugno 1972. Nel suo primo libro (Il mondo deve sapere), originariamente concepito come un blog, ha descritto ironicamente la realtà degli operatori di “call center” di una multinazionale, denunciando le condizioni di sfruttamento e manipolazione psicologica a cui sono sottoposti i lavoratori precari in questo settore. Il libro, nato da una personale esperienza all’interno del telemarketing della Kirby, ha ispirato la sceneggiatura del film Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Di formazione cattolica, la Murgia ha seguito studi teologici ed è stata per anni insegnante di religione, educatrice e animatrice nell’Azione cattolica. Fra le varie esperienze lavorative precedenti l’attività di scrittrice, ha lavorato come venditrice di multiproprietà, operatore fiscale, dirigente amministrativo in una centrale termoelettrica e portiere di notte. Nel maggio 2008 ha pubblicato, per la Einaudi, Viaggio in Sardegna. Nel maggio 2009 il romanzo Accabadora, uscito in traduzione tedesca nel 2010 dalle edizioni Wagenbach di Berlino. Nel settembre 2010, sempre con Accabadora, ha vinto il premio Campiello. Info: www.michelamurgia.com.

44

regista Emanuela Rizzotto. Per la Murgia non è la prima volta. Un altro suo lavoro, Il mondo deve sapere (pubblicato da Isbn nel 2006) è stato portato al cinema con il titolo Tutta la vita davanti da Paolo Virzì nel 2008. L’autrice adesso è concentrata sugli impegni futuri e su Accabadora, primo nelle classifiche di vendita da settimane. Ne spiega lo spirito e si racconta. Di Accabadora, con cui si è aggiudicata l’ultima edizione del Campiello, ha detto: «Esprime il mio sguardo precario sul mondo, è un doppio sguardo, sulle cose serie e su quelle divertenti. Forse è segno di schizofrenia o di eclettismo». Tra il serio e il faceto racconta la vita e la morte. Come riesce a dosare i due punti di vista nell’affrontare argomenti tanto spinosi? «Non credo che la vita e la morte siano argomenti spinosi, sono le trame più appassionanti che esistano per un romanzo. La misura nel trattarli viene dall’autenticità con cui ti ci confronti. Il lettore non è sciocco, sa bene che senza l’autenticità la vita in un racconto diventa superficiale e la morte grottesca». I temi del libro sono essenzialmente due: la maternità elettiva e l’eutanasia. Il suo personaggio segue


44-45 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

19:14

Pagina 2

un percorso senza sbavature. Tutto sembra accadere con naturalezza e serenità. Ma fuori dal romanzo, nella vita reale, la vita accompagnata alla morte appare aberrante, contro natura. Quanto è stato difficile non cadere nella trappola della retorica? «Il romanzo è stato scritto mentre si svolgevano in sequenza le vicende Welby ed Englaro. Ero talmente circondata di retorica “fuori” che il terrore di trasferirne anche solo una parte “dentro” mi ha tenuto la mano in ogni riga. Sull’aberrazione dell’accompagnare la vita alla morte discuterei. Non è il gesto in sé che è aberrante, molto più spesso è il contesto a renderlo tale». La maternità elettiva rimane il tema centrale del romanzo. In un mondo circondato da donne che lottano e investono risorse e tempo per avere un figlio a tutti i costi, cosa prova per un legame che prescinde dal sangue e risulta comunque forte, saldo e naturale? «Per un legame simile, a cui peraltro corrisponde l’unico spunto autobiografico di tutto il romanzo, provo orgoglio e stupore. L’affermazione della supremazia dell’amore e della volontà sul mero dato biologico è una delle cose più altamente umane che

possiamo vantarci di poter fare. Abbiamo dato per secoli un’importanza sproporzionata al potere fisico di generare; sarei felice se venisse il tempo di ridimensionare questo aspetto e riscoprire che la generazione è prima di tutto un moto del cuore, non del ventre». Da donna e scrittrice ha polemizzato per gli apprezzamenti fuori luogo di Vespa e dedicato la vittoria del Campiello a Sakineh. Facili le accuse di femminismo “politicamente corretto”, che argomentazioni mettere in campo per evitarle? «Non esiste un femminismo politicamente corretto, e lo dimostra il fatto che le reazioni scomposte dei commentatori di ogni altezza intellettuale sono durate per settimane. Nell’Iran del 2010 il fatto di Sakineh fa orrore, ma non stupisce. Stupisce invece che nell’Italia del 2010 faccia ancora scandalo chi si permette di ricordare l’elementare principio che le donne sono persone e non strumenti funzionali». La storia è ambientata in Sardegna, un’isola dalla forte identità. Guarda al resto del paese, al continente in maniera distaccata e più obiettiva, spesso ironica. Forse per questo, da scrittrice, riesce a coglierne visioni inedite attraverso la parola e la storia?

45


46-47 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:48

Pagina 1

«La condizione di essere scrittrice e sarda è un dato oggettivamente influente sulla mia prospettiva del mondo». Con il libro Viaggio in Sardegna, undici percorsi nell’isola che non si vede, ha reso omaggio alla sua regione. Che rapporti ha con la Sardegna? «Viscerali, con tutte le luci e le ombre che comporta lo stare dentro le viscere di qualcosa. Me ne nutro, ma sento fortissimo anche il bisogno di restituire. Trovare la misura tra queste due tensioni è il principale mestiere della mia vita, e ci passa dentro anche la scrittura». Dal suo osservatorio privilegiato, qual è lo stato culturale in cui versa l’Italia? E se pessimo, esistono rimedi a breve e lungo termine? Quali sono i suggerimenti di una scrittrice?

«Siamo abituati a pensare che l’Italia sia un paese culturalmente allo sbando. Per certi versi è vero: c’è un’ampia fascia sociale televisivamente educata che ha con la cultura un rapporto che negli anni è passato gradualmente dalla reverenza all’indifferenza, quando non alla diffidenza. D’altro canto esiste una fascia meno numerosa ma comunque forte di persone che invece hanno con la cultura, con i libri, con le notizie, con le arti e la storia un confronto critico quotidiano e profondo. La sfida culturale che sento viva in Italia per me non è far diventare la maggioranza incolta come la minoranza colta, ma trovare linguaggi trasversali che permettano di parlare a entrambe e di farle dialogare tra loro. Non esisterà mai un’Italia interamente educata al senso di sé; ma è importante che esistano voci in grado di trasportare senso in ogni

46


46-47 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:48

Pagina 2

IL VOLUME

Maria e Bonaria, la figlia dell’anima e sua madre

Accabadora Einaudi 166 pagine 18 euro

Maria e Tzia Bonaria vivono come madre e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubare in un negozio, e siccome nessuno la guardava ha pensato di prenderla con sé. E adesso avrà molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l’aspettano, come imparare l’umiltà di accogliere la vita e la morte. La vecchia sarta del paese ha offerto a Maria una casa e un futuro. Eppure c’è qualcosa in questa donna vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce. Quello che tutti sanno e che lei non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre.

L’immagine in copertina di Accabadora A sinistra: il momento del taglio della torta dopo la premiazione al Campiello da sinistra Andrea Osvart Alessandra Pivato Andrea Tomat Michela Murgia Giuseppe Tornatore Bruno Vespa Felice Tonon e Simone Cristicchi

direzione, anche se per farlo devono servirsi dei mezzi che hanno dimostrato ampiamente la loro funzione omologante». Ne Il mondo deve sapere ha raccontato la tragicomica esperienza, purtroppo nota a molti, del “call center”. Storia che ha ispirato Tutta la vita davanti di Virzì. Usciti da quel particolare mondo, è più facile parlarne con ironia. Oggi, alla giusta distanza, cosa rimane di quell’esperienza? «In realtà io quel mondo l’ho raccontato con ironia già mentre c’ero dentro, scegliendolo come unico registro critico possibile. L’ironia è un superpotere mistico, riporta le cose alla loro dimensione reale e soprattutto afferma la superiorità dell’uomo sugli eventi che sembrano volerselo mangiare. Di quella esperienza oggi resta l’amarezza di aver denunciato i

prodromi di quello che stava accadendo e non averli visti prendere sul serio da chi doveva fare le scelte politiche per impedire che arrivassero alle loro conseguenze». Quali i progetti in cantiere? E tra questi, l’idea che Accababora diventi un film la attrae? «Un saggio socio-teologico che analizza quanto conti ancora l’immaginario culturale cattolico nel modo in cui le donne si percepiscono e vengono percepite. Un panino imbottito di pietre per chi pensa che mi occupi di femminismo perché sono politicamente corretta. Quanto alla traduzione cinematografica di Accabadora, il cinema che prende le mosse dalla letteratura mi ha sempre spaventato, ma mi consola che i diritti di questo libro siano stati acquistati da una persona onesta e messi in mano a una regista intelligente e sensibile. Non può che venire bene».

47


48-49 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:49

Pagina 1

un caffè con ACHILLE BONITO OLIVA

IL COMICO contemporaneo Nasce la nuova enciclopedia delle arti ideata dal critico e presentata da Electa di Achille Bonito Oliva*

48


48-49 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:49

Pagina 2

L’ A sinistra: Salvador Dalí “Lobster telephone” 1936 cortesia Siae 2010

L’artista ha una mano sola, concentrata e fissata nella perizia, nell’uso folgorante e notturno della mano mancina. È proverbialmente sinistra la mano d’artista, rafforzata da una risata che isola e amplifica il gesto. Appagato dalla propria incompletezza, l’artista perfeziona la propria mutilazione, tagliandosi, ove mai fosse cresciuta, la mano destra dentro i battenti della porta. Insomma l’artista mette la mano destra dentro la porta, che poi significa fuori dal quadro. Disarmatosi da solo, egli impedisce che la mano destra sappia quello che fa la sinistra, perdendo così ogni riserbo e lasciando impudicamente bene in vista opere fatte ad arte. La scena si ripete per tutti gli artisti del XX secolo che operano con linguaggi diversi tra loro, tutti comunque segnati dall’irruzione del Tempo nel processo creativo e nella fruizione dell’opera. Nelle diverse articolazioni (inclinato, pieno, aperto, interiore) qui il tempo si fa comico e trova la sua verità filosofica nell’opera di Nietzsche. Egli contrappone alla nostalgia impossibile dell’assoluto la forza stoica del frammento, la necessità per l’uomo di procedere attraverso illuminazioni ed epifanie, la creazione di uno spazio simbolico capace di condensare dentro di sé il conflitto tra espansione e contrazione, nostalgia della totalità e riconoscimento di una ineluttabile frammentazione dell’immagine. Premonitrice è la letteratura con le sue teorie romantiche sull’ironia, quella bergsoniana sul riso fino al motto di spirito di Freud e ai Giorni felici di Beckett, passando per Kafka e naturalmente indietreggiando ai saggi sulla caricatura di Baudelaire. Il tempo comico è il tempo dell’irrilevanza, della fine del valore e della cosa in sé, è il tempo della vita immediata invece del tempo dello spirito assoluto (sulla linea di Nietzsche e della sua critica del valore, della cosa in sé e della verità). Il tempo del comico è il rifiuto di prendere sul serio il mondo, la relativizzazione dell’essente. Il tempo del comico è perdita dell’assolutezza e avvento del relativo, come distruzione della serietà e del tragico e affermazione dell’effimero, dell’illusorio, del divertente (de-verto). Le figure del tempo comico sono apparenze transeunti, vane apparenze, simulacri risibili e spesso improbabili che si sostituiscono all’umano. È vero che a volte il comico è anche umano, ma la sua condizione di oggettivazione è un meccanismo di apparenze e di illusioni che va oltre l’umano, è una copia differenziale, è un simulacro. Per quanto riguarda l’arte, individuare l’azione del tempo comico nella vicenda delle arti visive del Novecento vuol dire ripercorrere le trasformazioni, i cambi di paradigma, i movimenti tellurici che hanno scosso l’intero campo dell’esperienza artistica nel corso della modernità. La relazione con altri ambiti espressivi (fotografia, cinema, teatro, musica ecc.), la moltiplicazione e diversificazione del medium oltre i confini delle tecniche artistiche tradizionali, l’investimento del corpo e del linguaggio verbale, lo straniamento, il riso folle, il grottesco, l’assurdo, sono tutti momenti di un percorso che parte dalle prime decisive esperienze del dada zurighese, in cui appare per la prima

49


50-51 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:49

Pagina 1

L’azione del tempo comico nella vicenda delle arti visive del Novecento vuol dire ripercorrere le trasformazioni i cambi di paradigma, i movimenti tellurici che hanno scosso l’intero campo dell’esperienza artistica nel corso della modernità

50


50-51 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:49

Pagina 2

IL VOLUME

Achille Bonito Oliva Enciclopedia delle arti contemporanee Electa 520 pagine 75 euro

A sinistra: Thomas Adès “Powder her face” 1995, foto di scena dell’allestimento di David Schweizer 2001 cortesia Long Beach Opera/Photographer Keith Ian Polakoff

Dalla concezione del tempo nelle sue diverse sfaccettature fino alle varie forme di rappresentazione attraversate nel XX secolo dai linguaggi artistici: questo lungo filo conduttore lega le tappe percorse dalla nuova Enciclopedia presentata da Electa e ideata da Achille Bonito Oliva. La temporalità infatti condiziona intimamente le avanguardie storiche. Si tratta di un tempo interiore, inclinato, comico, ma anche pieno e aperto. Uno scandire costante e irregolare allo stesso tempo di musica, teatro, cinema, arti visive, new media, fotografia e letteratura. «Il tempo – afferma Bonito Oliva – diventa il “frullatore ossessivo” di ogni specificità linguistica, della separazione dei linguaggi, delle differenze tra cultura umanistica e scientifica, della distanza culturale tra Oriente e Occidente». Link permanente del volume è il tempo comico di Nietzsche, il tempo dell’irrilevanza, della fine del valore della cosa in sé, il tempo della vita immediata invece che dello spirito assoluto, quel tempo che conduce verso una ineluttabile frammentazione dell’immagine. Si parte con un saggio di Massimo Cacciari e si prosegue con sezioni tematiche affidate a noti intellettuali. Le immagini risultano rilevanti alla pari delle parole di Freud, Nietzsche, Einstein, Marx, Proust e analizzano le rappresentazioni di musicisti, poeti, letterati, architetti, fotografi, come Giorgio de Chirico, Andy Warhol, Allan Mc Collum, Duglas Gordon, Pedro Almodovar, Julian Schnabel, Mike Kelly & Paul Mc Carthy, Signmar Polke, Loris Cecchin. (Giulia Cavallaro)

volta quella spinta a dissolvere i confini tra “alto” e “basso”, tra lecito e proibito, tra verbale, corporeo e visivo, tra simbolico e letterale, e finalmente tra arte e vita, che resta lungo tutto l’arco del secolo e fino ai nostri giorni l’elemento chiave dell’azione sovversiva, perturbante o liberatoria del comico. Per quanto riguarda l’architettura, nonostante la sua apparente luminosità, il Razionalismo non riesce a sfuggire all’ansia di definizione e, proponendo l’adeguamento al Tempo normato dell’Industria, apre il varco all’inevitabile e complementare flusso dell’onirico e del surreale. Ma soprattutto è la drammatica contrapposizione dei Tempi a incerare la diagnosi nietzscheana del mondo ridotto a frammenti: fuori della maschera dell’imperturbabile neutralità, il razionalismo fu in realtà terreno di scontro tra diverse interpretazioni del ruolo dell’arte e del peso dell’etica nei turbamenti dell’estetica. Il comico attraversa il teatro del Novecento come un vento dissacratore, un’onda che spazza via le certezze e i luoghi comuni di un’arte che si voleva “borghese” per eccellenza. A partire dalla provocazione e dallo sberleffo dell’Ubu roi di Jarry, giungendo al sarcasmo di Carmelo Bene, gli strumenti dell’irrisione e del ribaltamento, tipici del comico, incontrano l’avanguardia. È possibile, così, ipotizzare un percorso di lettura del Novecento teatrale seguendo i modi in cui il comico (e non il teatro comico come genere minore rassicurante) entra nelle pratiche di decostruzione del linguaggio. È un percorso che tocca le avanguardie storiche, il teatro dell’assurdo, Dario Fo e Tadeusz Kantor, oltre ai già citati Jarry e Bene, ma deve fare i conti anche con chi, Petrolini, Totò, Valentin, ha praticato la strategia irridente del comico senza mai tradurla in pratiche “alte”, tenendola volutamente e ostentatamente ancorata al contesto “basso” di origine. *Estratto dalla postfazione, cortesia Electa

51


52-53 ok s12:58-59 s7

8-10-2010

15:00

Pagina 1

il corpo dell’arte MELONISKI DA VILLACIDRO

DALLA PIETRA

I

mmaginate un ragazzo del Campidano, figlio di contadini, nato a pochi giorni di distanza da quello celebrato da Lucio Dalla in una celebre canzone, nel marzo ‘43. Sono anni di pane e sale, terra dura da masticare, sogni dietro cui perdersi. Tra questi c’è la voglia di fare il medico, ma i soldi per studiare non ci sono. Tra questi, anche, ci sono mani che sfiorano le rocce di una terra antica, occhi che vedono come da queste pietre, catastate per farne confini, si possa ricavare altro. È guardando, sfiorando, colorando questi massi messi a marcare uno spazio vitale che Giovanni Meloni ha un altro sogno, quello che lo porta a essere ciò che è:

Storia di un artista che dalla natìa Sardegna attraversa un tempo contadino e approda in Lombardia, passando per l’utopia del ‘68. Sculture e pitture, le sue, permeate di magico surrealismo ma soprattutto di poesia e umanità di Maurizio Zuccari

52


52-53 ok s12:58-59 s7

6-10-2010

15:47

Pagina 2

alla fiaba Meloniski da Villacidro. Uno scultore, un artista fai da sé capace di trasformare la durezza della pietra in soave materia espressiva, le sue tele in affreschi del cuore. Fiabe surreali che affondano le loro radici in un tempo antico per parlare al presente. «Avvicinarmi all’arte è stata una cosa spontanea, come respirare – rievoca Meloniski – da figlio di contadini sono stato mandato in campagna a lavorare, finite le elementari. C’erano grandi blocchi di granito sezionati dagli scalpellini con un lavoro da scultore, venivano rimossi per farne muri a secco. Lì ho cominciato a capire la magia della scultura, a desiderare di lavorare la pietra. Questa e la terra mi hanno chiamato a sé. Alla ceramica e alla pittura sono arrivato dopo, per la mia curiosità innata. Dalla

pietra passare all’argilla è stato anche più divertente, grazie ai commercianti di brocche che venivano ad approvvigionare le famiglie nei campi. Parliamo della Sardegna di mezzo secolo fa, quando i contadini avevano la riserva d’acqua e d’olio dentro grandi contenitori di terracotta. Così ho cominciato a maneggiare la ceramica, mi sono avvicinato alla decorazione. Andando per tentativi, facendo una marea di cocci, perché l’argilla è difficilissima, quando apri il forno non sai cosa trovi, basta una stupidaggine e rovini tutto. La ceramica è un laboratorio di ricerca, un’alchimia». Pittura, scultura, ceramica, grafica, tutto all’insegna di quello che è stato definito una sorta di surrealismo fiabesco. Una definizione che Meloniski accoglie appieno. «Sì, le mie opere

53


54-55 ok s12:78-79 s6

6-10-2010

15:48

Pagina 1

pensiero che affronta il mondo del mistero, questo trapela dalle mie cose, ma non va spiegato, altrimenti che mistero sarebbe? Dico solo che noi registriamo tutto nelle nostre esperienze quotidiane e tutto, al momento opportuno, viene fuori. Soprattutto nel caso dell’artista che lo manifesta attraverso l’arte, questo mezzo straordinario. Se uno ha immagazzinato belle cose, colori, emozioni, non fa altro che tirarle fuori e fissarle nel suo lavoro, nella tela o nelle forme. Ma l’artista obbedisce anche a una spinta interiore, spesso neanche lui riesce a decodificare quello che ha fatto, lo ammetto candidamente. E poi non è necessario razionalizzare a ogni costo, anzi è pericolosissimo, significa perdere il fascino del lavoro artistico. Cosa vuoi razionalizzare nell’arte? Dal momento in cui

sono una specie di fiaba, ma una favola con un profondo contenuto filosofico. Ho frequentato una scuola di pensiero Sufi per 15 anni, questa formazione filosofica ermetica si trasmette nel mio lavoro attraverso il surrealismo. Sono quindi un surrealista fiabesco. Per un periodo ho usato molti simboli, nella pittura questi sono più percepibili anche perché la mia scultura inizialmente è stata condizionata dal desiderio di dare forma a tutti i costi alla materia, mentre nel dipingere sono slegato dal dover ricostruire figure anatomicamente riconoscibili». Sono aedi filiformi che cantano alla notte, i suoi, violinisti che suonano alla luna appesa a un filo, veneri e metamorfosi, città notturne e pesci volanti che rievocano un mondo apparentemente felice, ma non privo di un’aura misterica. «Avendo seguito per anni una scuola di

54


54-55 ok s12:78-79 s6

6-10-2010

15:48

Pagina 2

L’artista Galeotta fu Parigi «A 11 anni lavoravo nei campi, a 17 in una struttura ospedaliera e sognavo di fare il medico, a 26 ero direttore della casa di cura in cui ero impiegato, ma non ho mai smesso di dipingere né di scolpire. Poi, a 27 anni, ho abbandonato tutto per dedicarmi all’arte». Così Giuseppe Meloni, alias Meloniski da Villacidro, racconta l’ingresso nel mondo dell’arte “tout court”, complice un viaggio nella Parigi del ‘68 che gli ha fatto perdere la testa. O meglio gliel’ha fatta trovare, assicura lui. Nato a Villacidro (Cagliari) il 18 marzo 1943, dal 1974 Meloniski ha tenuto oltre cento personali in Italia e all’estero – tra le più recenti la partecipazione all’Expo arte di New York (2008) e alle Murasse di Aosta (2009) – conseguendo numerosi premi. Dopo gli anni nella “ville lumière” e a Milano, si divide fra la casa studio di Santo Stefano Lodigiano e quella in collina in Val Trebbia, nel piacentino. Tra le sue passioni annovera la fuga in campagna e la guida di un aereo da diporto; tra i suoi maestri Michelangelo, Giotto e Caravaggio, nell’arte. Nella vita, Cristo e Gandhi. Sacro e profano, uniti nel nome dell’uomo.

Picasso ha squarciato il velo, ha aperto le possibilità espressive a 360 gradi, l’artista non deve più spiegare il proprio lavoro». Anche perché è nel solco del surrealismo il diritto all’incongruenza. «Ma pensiamo davvero che un artista voglia sempre dire qualcosa, a tutti i costi?» Anche no. «Ma no. Se vogliamo raffreddare, smontare il fascino di un’opera d’arte non dobbiamo far altro che spiegarla razionalmente». Di razionale, invece, c’è la scelta del nome d’arte. «Quando sono arrivato a Milano ho scoperto che esisteva Gino Meloni, allora famoso, mentre io non ero nessuno ma mi firmavo G. Meloni, come lui, e il mercante utilizzava questa omonimìa per vendere le mie cose. Questo mi ha infastidito molto, ho cambiato subito nome. Nello scegliere Meloniski non c’è stato nessun richiamo esotico ma un gesto di grande onestà, direi. Ho aggiunto da Villacidro per non essere confuso con uno che viene dall’Est. Non che abbia qualcosa contro chi è di là, sia chiaro, serviva solo a precisare che sono sardo, italiano e non slavo, ecco». Come Melo – così lo chiamano gli amici – sia giunto dalla natìa Villacidro a Milano, passando per la “ville lumière”, è un’altra storia tutta da raccontare.

55

Meloniski da Villacidro La città del cuore, 2009 A sinistra, dall’alto: un ritratto dell’artista foto Manuela Giusto Sapienza, 1986 Nelle pagine precedenti: Metropoli, 2003


56-57 ok s12:78-79 s6

6-10-2010

17:32

Pagina 1

«Intorno ai 15 anni è successo una specie di miracolo. Allora i primi soldi me li guadagnavo la domenica, facendo il “cane da riporto“ per dei signori che venivano a caccia dal capoluogo. Ho spiegato i miei problemi a uno di questi e lui è diventato il mio mecenate, Dio lo benedica per sempre, mi ha aiutato in tutti i modi a continuare gli studi ed è stato proprio questo che mi ha permesso di andare a lavorare in città, dove ho potuto continuare a studiare e fare arte, ma dovevo fare i conti col tempo che non avevo. A 17 anni ho cominciato a lavorare in una casa di cura di cui, nel tempo, sono diventato direttore. Otto anni dopo, nel 1968, ho spiccato il volo per il primo viaggio nella magica Parigi: tutti i giorni, dalla mattina alla sera, chiuso nei musei a studiare e disegnare. L’impatto di un ragazzo di provincia con una città così aperta, col movimento del ‘68, è stato tale da farmi perdere la testa, cioè da farmela trovare. Il rientro è stato doloroso, ero afflitto da quella che chiamo la “sindrome dell’elastico”, tirato da una parte dal lavoro e dall’altra dall’arte. Nel ‘70 ho raccolto tutto il mio coraggio, misto a una buona dose di incoscienza, e ho fatto il salto definitivo. Abbandonato il lavoro sono tornato a Parigi, poi mi sono trasferito a Milano. Il noviziato, si sa, non è facile per nessuno ma il mio angelo custode che ha la consuetudine di stare sempre alle mie spalle non mi ha mai mollato. A Milano ho incontrato Filippo Schettini, buon gallerista dalla vista lunga, che ha acquistato le prime

opere e mi ha fatto da tramite per una mostra a Genova, alla galleria Arte Verso. Conoscendo i genovesi pensavo che non avrei venduto neanche un’opera, al contrario ho venduto tutto». Ma anche Milano sta stretta a Meloniski, anzi sta troppo larga. Così approda a Santo Stefano Lodigiano, poche case e un casale del Settecento trasformato in studio. «La città è insopportabile per un artista, per uno scultore poi è impensabile, solo per il rumore che fa dà fastidio ai vicini. Così mi sono trasferito a Cernusco sul Naviglio, ma la situazione non era ancora soddisfacente, poi ho scelto questa soluzione di casa-studio del ‘700, dove ho piantato le radici. Ho anche una casa in collina in Val Trebbia, nel piacentino, di là dal Po. Doppia casa, doppio studio. Questa è la mia dimensione: per me la realtà urbana è penalizzante, anche se vivo la città professionalmente, utilizzandola per i rapporti di lavoro». Così, in questo borgo lombardo così diverso dalla terra d’origine, l’artista per passione, autodidatta per necessità, ha trovato il suo nuovo mondo, con la moglie Luisa. E qui, tra tele e crete, vasetti di colore, pietre e bozzetti, accoglie il visitatore con calore e schiettezza, accompagnandolo in un percorso segnato da una sottile linea magica. Opere che del tempo dell’innocenza vissuta e mai persa conservano quel tanto che basta al bambino che è stato di continuare a galleggiare sull’oggi, come i suoi personaggi, per parlare al bambino che è in noi.

Ma davvero pensiamo che un artista voglia sempre dire qualcosa, a tutti i costi? Ma no, se vuoi smontare il fascino di un’opera d’arte devi spiegarla razionalmente

56


56-57 ok s12:78-79 s6

6-10-2010

15:49

Pagina 2

A destra: Piatto, s. d. Sopra: Albero dei due villaggi 2010 A sinistra: Arpa, 1983

Le mostre Doppia personale a Magenta e Alcamo Doppia personale per Meloniski da Villacidro, da un capo all’altro della penisola, nei prossimi mesi: ad Alcamo, in provincia di Trapani, alla galleria Europea, viale Europa 32 – info 0924505750; www.galleriamicati.it – l’artista sardo espone dal 19 novembre al 5 dicembre; a Magenta, nel milanese, dal 27 novembre al 31 dicembre in mostra sculture e tele alla galleria Magenta, via Roma 45, tel. 029791451; www.galleriamagenta.it.

57


58-59 ok s12:52-53 s7

6-10-2010

13:55

Pagina 1

l’arte prende corpo OCTAVIA MONACO

DISEGNARE È L’UNICA CERTEZZA «Dipingere è come pescare da dentro, una fame continua» di Monia Marchionni

L’artista Insegna illustrazione a Bologna Octavia Monaco è nata a Thionville, Francia, il 18 novembre 1963. Nel 1991 si iscrive all’accademia di Belle arti di Bologna ma continua il proprio percorso da autodidatta. I suoi libri illustrati sono conosciuti dai bambini in tutto il mondo, nel 2004 espone alla libreria del Louvre le tavole originali del volume “Vi presento Klimt” e riceve il premio Andersen come migliore illustratore. Nel 2005 viene selezionata per il catalogo “200 Best illustrators worldwide”. Dal 2005 insegna illustrazione e fumetto all’accademia di Belle arti di Bologna. Mostre future: dal 20 novembre al 12 dicembre al Museo casa Frabboni, via Matteotti 137, San Pietro in Casale (Bo), tel. 0516669525, e a gennaio 2011, in contemporanea ad Arte fiera, negli spazi dell’Ina assicurazioni. Info: www.octaviamonaco.it.

O

ctavia Monaco è una raffinata artista e illustratrice di libri per bambini che vive letteralmente d’arte. Dipingere e disegnare è lo scopo della sua vita, non esita a dire che «è una necessità, come respirare, una scelta che diventa una condanna, una forma di devozione, è un pescare da dentro, è una fame continua». Nata a Thionville, in Francia, nel 1963, da madre galiziana e padre italiano, a sei anni si trasferisce a Bologna. Non sente propria nessuna patria, ha un forte senso di sradicamento nella vita in generale che la rende ricercatrice. Solo il disegno ha da sempre rappresentato una certezza, come mostra un episodio in particolare: «Da piccola ero di una timidezza spaventosa, attraverso il disegno ho trovato il senso di me stessa. Avevo preso da copiare l’immagine pubblicitaria di un profumo, una donna con un cappello di paglia, vestito a fiori e cavallo bianco. Quando l’ho realizzato il cavallo era nero, la chioma stellata, lei aveva una testa oblunga, ho pensato che a imporsi era stato qualcos’altro che parlava assolutamente di me: io mi sono conosciuta, riconosciuta attraverso il disegno». Ascoltare la Monaco parlare della sua arte è una vera e propria esperienza, si viene invitati a passo lento nel suo universo fantastico e parallelo che non si fatica a credere l’unico veritiero, abitato da figure fiabesche e misteriose, arcaiche, androgine nel loro essere più feminine che femminili e soprattutto troppo reali per essere il frutto della sua fantasia, sembrano più icone di un passato realmente vissuto in una terra antica. «La mia propensione al fiabesco è stata alimentata dai luoghi in cui io e la mia famiglia ritornavamo periodicamente: in Spagna, ai piedi dei monti della Galizia, una realtà molto rurale ben diversa da Bologna. Avevo una nonna che adesso potrebbe essere definita “la strega”, una guaritrice, bugiarda, dispettosa, vendicativa, solitaria. Aveva delle mani che sembravano delle radici, conosceva tutte le erbe, senza saperlo facevo già esperienza di quei personaggi che hanno poi caratterizzato tutto il mio immaginario». La sua arte è un lungo libro autobiografico, un’illustrazione appunto, di una bambina diventata donna che approccia la vita con incanto e pensa che il mistero più grande sia l’essere umano. Ha sviluppato uno stile inconfondibile caratterizzato da una gamma cromatica ristretta, quella degli ossidi – residui di una prima formazione orafa – e ha indagato le tematiche

58


58-59 ok s12:52-53 s7

6-10-2010

13:55

Pagina 2

Octavia Monaco “Bastet”, 2005 In basso a sinistra: un’immagine dell’artista Nella pagina seguente: “Neckbeth”, 2005

59


60-61 ok s12:78-79 s6

6-10-2010

13:56

Pagina 1

della Grande madre confrontandole con le teorie della mitoarcheologa Marija Gimbutas. I suoi soggetti sono un insieme di corpi floridi alternati da linee dritte e angoli spigolosi che omaggiano la creazione. «Ho semplicemente preso consapevolezza che queste tematiche mi appartenevano già, credo che quando hai esperienza della potenza della natura arrivi a un certo tipo di configurazione perché non potresti mai rappresentare la forza creatrice come un uomo». L’artista vede «l’illustrazione come possibilità pittorica», nella pittura è giunta a un colore più assoluto, tinte piatte, un linguaggio puro, più simbolico e meno descrittivo. Usa l’acrilico per «soddisfare l’urgenza del fare», ma predilige l’olio «per la luce interna ineguagliabile» e nell’illustrazione ha lavorato a due libri in particolare che trattano il tema del feminino: «Ho sentito come importante lavorare per la realizzazione di due libri scritti da Beatrice Masini: Signore e signorine, corale greca e La spada e il cuore, donne della Bibbia. Ho potuto usare in questi libri un linguaggio che forse è quello a cui aspiro, sono più icone che immagini narrative e forse corrispondono veramente al mio modo di intendere l’illustrazione». Continua poi con una riflessione: «Sono considerata un’illustratrice ai limiti, nella pittura ho una libertà molto maggiore, mi interessa un’altra genesi del

lavoro nel senso che quando comincio a dipingere non so dove vado a finire, non è un addomesticamento, non devo seguire uno “story bord” predefinito ma osservo e di conseguenza agisco, definisco, delineo». Ed è proprio con la pittura che Octavia Monaco una volta entrata nella fase creativa non ha limiti, dipinge finché ha energia nella tranquillità della sua casa-studio lontana dalla città, un luogo “off limits”, una tana dove rifugiarsi, una vera e propria estensione dell’artista, da lei definita una soglia, stimolante ma anche pericolosa, che sente di dover tradire per non escludersi completamente dal mondo. «Sempre più mi trovo vicina e associata ad Alice che attraversa la soglia, nel senso che la mia casa è stata proprio concepita come una tana che assume le suggestioni di un mio piccolo tempio, ha una sua sacralità e facilmente posso sentirlo violato da chi non sa starci. Ho una mia ritualità prima di cominciare a lavorare, ad esempio il cambio della veste, indosso sempre un camicione da uomo. C’è un cambio di dimensione che va formalizzato attraverso dei gesti, poi bevo caffè e fumo la pipa, mi permettono uno stacco dal reale e a quel punto posso lavorare a oltranza». Oggi, come allora, la Monaco viene sorpresa dal suo talento stesso, quotidianamente nutrito e parzialmente svelato, perché è inutile cercare, bisogna essere visitati.

60


60-61 ok s12:78-79 s6

6-10-2010

13:56

Pagina 2

i luoghi del bello

CASTELLO DI AMA

Grandi nomi dell’arte affiancano il lavoro di una prestigiosa cantina

INCONTRI NEL CHIANTI di Claudia Quintieri

astello di Ama per l’arte contemporanea è la collezione permanente di opere costituita all’interno dell’azienda vinicola Castello di Ama nel Chianti grazie alla volontà di Lorenza Sebasti e suo marito Marco Pallanti, rispettivamente amministratore delegato ed enologo dell’azienda. La sede si articola in due edifici settecenteschi, tanti ettari per un’area considerevole, oltre a due grandi cantine. «L’azienda nasce nel 1972 – racconta Lorenza Sebasti – dall’innamoramento per questo posto della Toscana da parte di quattro famiglie: Carini, Sebasti, Cavalla e Tradico. Abbiamo trovato il luogo

C

61

in stato di abbandono dopo che negli anni ‘50 e ‘60 erano andate via dalla campagna molte persone a causa dei raccolti scarsi. L’epoca d’oro per queste località è durata fino agli anni ‘30 e ‘40 poi, dopo la guerra, tutto è stato abbandonato. Ci siamo innamorati di un posto che aveva una storia preziosa, perché qui il vino si faceva dal 1700». Un incantevole borgo ormai di culto non solo per gli amanti del buon vino, ma anche per gli appassionati d’arte. «I vini di Ama e di Broglio erano già famosi – prosegue Sebasti – ad esempio, nei mercati inglesi e questo fa onore alla zona e fa capire come sia stata altamente votata a questa produzione. Noi abbiamo ripreso l’attività e abbiamo costruito una cantina avveniristica unica nel Chianti, con vasche in acciaio. Abbiamo anche introdotto le “barrique” per la vinificazione e Marco Pallanti, mio marito, è andato in Francia a specializzarsi». La Sebasti traccia il filo rosso che porta ai propri obiettivi, spiegando la nascita della virtuosa relazione fra creatività e vigneti: «Sono due le parole chiave per noi: eccellenza e autenticità, nel vino come nell’arte con-


62-63 ok s12:30-31 s

6-10-2010

13:57

Pagina 1

temporanea, due attività che si alleano in un sodalizio dal nostro punto di vista naturale. Una bottiglia di vino inizia a vivere quando è stappata e così un’opera d’arte viene apprezzata quando riesci a condividerla in un contesto, in un paesaggio». Con questi presupposti è nata la collezione permanente d’arte contemporanea che vede il primo intervento nel 2000 da parte di Michelangelo Pistoletto, per continuare ogni anno con la realizzazione di un’opera d’arte di un grande artista. «L’idea è passata attraverso altri tentativi – continua nel suo racconto Sebasti – dal ‘94 abbiamo iniziato ad aprire le porte a mostre temporanee, avevamo chiamato questa iniziativa Ama l’arte, giocando con il nostro nome. Ci siamo affidati ai consigli di un giovane curatore come Gian Domenico Semeraro. È stato un successo ma non eravamo pienamente soddisfatti. Le opere esposte ci piacevano, ma le sentivamo estranee al luogo. Dopo un po’ di tempo abbiamo pensato a un progetto nuovo anche grazie all’incontro con Lorenzo Fiaschi della galleria Continua, che si occupa d’arte contemporanea a alto livello. I soci della Continua avevano iniziato già da qualche anno a realizzare Arte all’arte, un evento in cui invitavano gli artisti a fare dei lavori per la Toscana. Abbiamo avuto l’ardire di chiedere di conoscere Michelangelo

Pistoletto e invitarlo ad Ama. Lui ha accettato con grande generosità e sensibilità ed è venuto a visitare la nostra azienda. Ha capito che volevamo agire nel rispetto dell’arte, così è nato il nostro primo lavoro Divisione e moltiplicazione dello specchio, straordinaria scultura in legno che si trova all’entrata della nostra cantina». Dal 2000 si sono quindi succeduti interventi di artisti di livello internazionale. Dopo Pistoletto, Daniel Buren ha costruito Sulle vigne: punti di vista, un muro lungo 25 metri e alto due metri, specchiato, che incornicia la campagna come una finestra sulla vallata. Giulio Paolini ha invece realizzato Paradigma: un parallelepipedo di pietra che ha due parti in contrapposizione fra loro, l’una chiusa e l’altra aperta in un’esplosione di elementi. Kendell Geers ha inserito in una delle due cantine “Revolution/Love”, una scritta in cui “Love” si colloca al centro di “Revolution” costruendo un legame fra i significati delle due parole. Anish Kapoor ha invece fatto una delle sue solite aperture sul mondo nella piccola cappella del Castello di Ama. Chen Zhen ha realizzato “La lumière intérieure du corps humain”. Carlos Garaicoa ha proposto un muro, in ricordo dei muri che hanno fatto la storia, opera dal nome “Yo no quiero ver más a mis vecinos”. Nedko

62


62-63 ok s12:30-31 s

6-10-2010

17:35

Pagina 2

Marco Pallanti e Lorenza Sebasti foto Lucie Leca Sotto, da sinistra: il salotto di villa Ricucci Michelangelo Pistoletto Albero di Ama, divisione e moltiplicazione dello specchio 2000, foto Attilio Maranzano Nelle pagine precedenti: la facciata di villa Ricucci Daniel Buren Sulle vigne: punti di vista, 2001 foto Carlo Borlenghi

La coppia Sebasti & Pallanti La collezione permanente d’arte Castello di Ama per l’arte contemporanea è stata voluta da Lorenza Sebasti e Marco Pallanti, rispettivamente amministratore delegato dal 1993 e enologo dal 1982 dell’azienda vinicola Castello di Ama. Sebasti nasce a Roma il 9 luglio 1965, si laurea in Gestione aziendale e frequenta vari corsi di valutazione e degustazione di vini. Pallanti nasce a Firenze il 9 gennaio 1955, si laurea in Scienze agrarie, frequenta numerosi stage di perfezionamento di Enologia alle università di Bordeaux-Nantes e Suze la Rousse, ed è presidente del consorzio del Chianti Classico dal 2006. Sono sposati dal 1996 e rappresentano la famiglia Sebasti, una delle tre proprietarie dell’azienda insieme alle famiglie Tradico e Carini.

63


64-65 ok s12:30-31 s

6-10-2010

17:38

Pagina 1

Kendell Geers “Revolution/Love” 2003 foto Carlo Borlenghi A sinistra: Louise Bourgeois “Topiary”, 2009 In basso: Anish Kapoor “Aima”, 2004 foto Ela Bialkowska

La tenuta Oltre 250 ettari per il Chianti Castello di Ama, azienda che produce Chianti e altri vini come il Merlot, possiede due edifici settecenteschi per un totale di 600 mq, 250 ettari di terreno di cui 90 a vigneto specializzato, 60 a uliveto e 100 a bosco e due cantine di 2.000 mq complessivi. All’interno è stata realizzata una collezione d’arte permanente dal nome “Castello di Ama per l’arte contemporanea”. I due edifici sono adibiti a residenza privata e possiedono affreschi d’epoca. Il restauro principale è avvenuto nell’80. Il mercoledì e venerdì sono organizzate visite alle cantine e alla collezione. Località Ama, Gaiole in Chianti, Siena. Info: 0577746031; www.castellodiama.com.

Solakov con “Amadoodles” ha utilizzato la parola e il disegno per lasciare una traccia dell’esistenza. Cristina Iglesias ha costruito una scultura che è anche una fontana: “ “Towards the ground”. Infine Louise Bourgeois, recentemente scomparsa, ha lasciato la sua traccia con “Topiary”, una scultura fra figura femminile ed elemento fallico. In più, due anni fa, il giovanissimo Giovanni Ozzola ha realizzato, per l’anniversario della venticinquesima vendemmia di Marco Pallanti, un trittico di fotografie che riprendono di notte un centenario leccio in fiore del castello. La realizzazione di un’opera scaturisce ogni anno dall’idea di legare la creazione artistica alla vendemmia, che avviene una volta all’anno. Si restituisce così l’importanza che ha la fascinazione del luogo negli interventi degli artisti: «Noi mettiamo a

64


64-65 ok s12:30-31 s

6-10-2010

13:57

Pagina 2

disposizione le emozioni che la nostra località suscita, la passione e un grande rispetto per l’arte – puntualizza Sebasti – la storia del posto suggerisce tanti spunti perché ha tracce sedimentate nei secoli: c’è un’origine etrusca, una costruzione romanica del 1100 poi distrutta e infine gli ultimi edifici del ‘700. Rimane sempre la volontà di rispettare il lavoro dell’artista ma pretendiamo una concentrazione sul contesto del Castello di Ama». Il prossimo intervento coinvolge il russo Ilya Kabakov, che presenterà uno dei suoi progetti realizzati nel tempo: «Un’installazione – racconta la padrona di casa – che unisce la cultura della campagna e quella del contadino con la poesia, con uno sguardo all’infinito. Da quando abbiamo conosciuto Kabakov attraverso i suoi lavori e poi di persona abbiamo capito che è un grandissimo poeta. Porta

avanti questa sua caratteristica con leggerezza ma allo stesso tempo con una profondità straordinaria». Essenziale per Lorenza Sebasti e suo marito Marco Pallanti è la possibilità di lasciare una traccia del nostro tempo per le generazioni future. Questo l’obiettivo dell’operazione, secondo Lorenza Sebasti. Dare contemporaneità al territorio: «Cerchiamo di contribuire alla realizzazione di una testimonianza nel campo dell’arte di oggi. Il Chianti non deve rimanere solamente un posto da cartolina, non deve dare l’immagine di un luogo che non abbia vissuto questo secolo. Vorremmo che i lavori che stiamo facendo portassero a guardare al futuro con la sottolineatura del passaggio di questi anni e di questi grandi artisti». E conclude: «Si tratta di un cosciente privilegio poter lavorare accanto a delle opere d’arte così belle». .

65


66-67 ok s12:52-53 s7

6-10-2010

13:58

Pagina 1

l’arte del libro 3. LA CARTA IN EUROPA

IL SEME della democrazia di Flaminio Gualdoni

Heinrich von Meißen (Frauenlob), “Minnesänger“, 1300

66


66-67 ok s12:52-53 s7

6-10-2010

13:58

Pagina 2

Giunta insieme agli Arabi in Spagna e in Italia la carta si diffonde nel mondo europeo Nel ‘300 vengono fondate le prime copisterie e librerie che realizzano libri su committenza: il seme della futura editoria è ormai ben piantato

G

iunta insieme agli Arabi in Spagna e in Italia, tra l’XI e il XII secolo la carta si diffonde nel mondo europeo e vi attua una rivoluzione silenziosa, incruenta ma dalla portata incalcolabile. La sua storia è antica. Gli studi ne fissano l’invenzione nella Cina del II secolo a. C. Il libro, ovvero la parte interna della corteccia del gelso, viene macerato e battuto sino a farne una polpa pastosa di fibre che viene diluita in acqua, distesa su un setaccio e fatta essiccare; velata di una pellicola di amido di riso che la impermeabilizza parzialmente, la carta è così pronta all’uso. Nel 751 il segreto della fabbricazione della carta trapela dalla Cina a Samarcanda, dove si evolve all’impiego di lino, canapa e altre fibre vegetali. Da Samarcanda la produzione s’inoltra nel 793 a Baghdad, e da qui gli Arabi la portano attraverso l’Africa del Nord in Spagna, ove nel 1100 è documentata la produzione delle cartiere di Jativa, e in Italia per la via della Sicilia: ad Amalfi si produce carta sin dal 1220, a Fabriano dal 1268, subito dopo in tutti i luoghi dove ci sia acqua abbondante, fondamentale per la produzione. I cartai italiani, diffusi tra Bologna e Padova, la Toscana e il Piemonte, raggiungono presto l’eccellenza: già nel 1300 quelli milanesi partecipano alla fiera di Ginevra con i loro prodotti, diffusi in tutta Europa. Rispetto alla pergamena la carta è “democratica”, consente la moltiplicazione dei libri rendendoli più economici, leggeri e di un formato che ne consente il trasporto e la circolazione. Non è un caso che la nascita dei nuovi libri si incroci con il dilagare del fenomeno delle università, gli studia che, sull’esempio della pioniera Alma Mater bolognese nata nel 1088, vengono fondate ovunque: Napoli, Parigi, Montpellier, Oxford, Padova, Salamanca, Cambridge, Salerno, Pavia indicano che anche il sapere, ora, non è più inaccessi-

bile a chi non sia un religioso o un nobile. I libri servono per lo studio della teologia, della filosofia, della retorica, delle prime scienze, ma è in questo momento che cominciano a essere consumati anche individualmente, e a occuparsi di argomenti non necessariamente seriosi. Ora si scrive poesia religiosa ma anche laica, passando da Iacopone da Todi e Hadewijch a Rutebeuf. Si concepisce la forma nuova della poesia d’amore, cui i “minnesänger“ tedeschi, letteralmente “canti d’amore”, forniscono il modello. Si trasformano le storie sacre e le vite dei santi in narrazioni avvincenti, in cui all’insegnamento si affianca una delle maggiori conquiste della civiltà, il piacere della lettura individuale, fatta per passione, divertimento, evasione. Agli inizi del ‘200 la Chanson de Roland fissa l’arte orale dei cantastorie in un appassionante racconto organizzato; la trilogia “Lancelot“, “Queste du Graal“ e “Mort Artu“ rende immortali Lancillotto, re Artù e i Cavalieri della tavola rotonda, tra avventure e quell’amore cantato anche dall’allegorico Roman de la rose. Romanzo è il termine che inizia a indicare tutti i racconti basati su una storia. Lo stesso termine “avventura” nasce in questo clima: “â ventiuren“ sono le imprese degli eroi cantate dalle saghe nordiche simili al ciclo di re Artù, come il Canto dei Nibelunghi e il Kudrun. La poesia non religiosa, la novellistica, il romanzo d’avventure, l’epica soppiantano l’idea di libro come testo di studio, diventando una moda che si diffonde a macchia d’olio, ben oltre i confini privilegiati delle corti. Le università iniziano e produrre anche volumi destinati non allo studio ma al commercio esterno, per i borghesi cittadini i quali a loro volta cominciano a consumare voracemente la letteratura, a fare della lettura un’abitudine continuativa, libera, un piacere e non un dovere. Nel ‘300 vengono fondate le prime imprese completamente private, copisterie e librerie che realizzano libri su committenza oppure di propria iniziativa, certe di trovare acquirenti golosi: il seme della futura editoria è, ormai, ben piantato.

67


68-69 ok s12:52-53 s7

5-10-2010

18:02

Pagina 1

1951

editoria & arte SPECIALE 150

1914 1948

La Lira della Repubblica

1870-71

Centenario dell’Istituzione dell’Arma dei Carabinieri La Costituzione della Repubblica Italiana

Roma Capitale

1861 1848

1946

Il Conte di Cavour 1810-1861 L’Italia nell’Ottocento

Il conio della prima Lira

1860

1911

Giuseppe Garibaldi 1807-2007 Unità d’Italia del cinquantenario

2011 La Lira dell’Unità d’Itali 1861-2011

68


68-69 ok s12:52-53 s7

6-10-2010

18:01

Pagina 2

Un omaggio 1957

alla nostra storia Viaggio nel catalogo Editalia per raccontare il paese nato nel 1861

ca

1900

Le 500 lire Caravelle

E

ditalia, casa editrice nata nel 1952 e dal 1991 parte del Gruppo poligrafico e Zecca dello Stato, ha un profilo consolidato nell’ambito dell’editoria di pregio e delle produzioni artistiche. Nei sessant’anni della sua attività ha dedicato molte delle proprie energie alla promozione della cultura italiana, dal territorio agli artisti, alla storia e alle tradizioni artigianali, dando vita a un catalogo che parla di italianità. In queste pagine vogliamo raccontare le tappe di un viaggio attraverso le nostre opere che descrivono un paese nato nel 1861 e del quale, nel 2011, ricorrono i 150 anni di unità. Opere differenti tra loro: la storia delle regioni e delle città raccontata nei raffinati volumi delle collane per bibliofili dove le testimonianze dirette di viaggiatori curiosi, storici e narratori illustrano le bellezze di un territorio antico caratterizzato dalla grande varietà e ricchezza; raccolte monografiche che celebrano personaggi che l’Italia hanno contribuito a “farla” con la loro passione eroica o strategia politica. Opere che ripropongono la lettura della storia attraverso il riconio della lira, la moneta che ha fortemente contribuito a unificare il territorio della penisola; medaglie ricche di simboli territoriali e nazionali. Tutte queste opere raccontano, oltre ai propri contenuti specifici, l’arte del saper fare bene “italiano”, quella particolare capacità tutta peninsulare che affonda le sue radici nella tradizione delle botteghe rinascimentali e che senza interruzione ha continuato a fiorire nel lavoro di grande qualità di chi ha trovato l’equilibrio tra arte e artigianalità, creatività e tradizione, storia e territorio, ricerca di materie prime innovative e tec niche di lavorazione tradizionali.

1922

Storia della Lira nel Regno di Vittorio Emanuele III

Scritti e discorsi di Benito Mussolini

2000

di

2002

Cento libri per Mille anni

’Italia La Lira siamo Noi

69


70-71 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:04

Pagina 1

L’Italia nell’Ottocento e Città nell’Ottocento Collana di volumi di pregio dedicata alle vicende del paese e delle città italiane nel secolo dell’unificazione nazionale. L’Ottocento è stato il teatro delle aspirazioni nazionali e le città ne sono state protagoniste, rivendicando la loro italianità. Le vicende storiche, le espressioni artistiche, i grandi testi letterari che hanno contribuito alla creazione di una raffinata civiltà negli scritti e nelle incisioni di quanti vissero o semplicemente visitarono le varie terre d’Italia. I volumi raccolgono testimonianze di autori italiani e stranieri che restituiscono il vivace clima culturale dell’epoca e ne rievocano, anche nella veste editoriale di grande formato e con rilegature in pelle, la raffinatezza e l’artigianalità.

Giuseppe Garibaldi, cofanetto celebrativo 1807-2007 Cavour disse: «Garibaldi ha reso all’Italia il più grande dei servigi che un uomo potesse renderle: ha dato agli italiani la fiducia in se stessi». Nella ristampa anastatica delle Memorie autobiografiche del 1887 i ricordi personali, gli scritti di carattere militare, le considerazioni sulla politica e sulla società, rispecchiano la forza delle sue convinzioni. La straordinaria vicenda è inoltre ripercorsa attraverso dodici documenti storici provenienti da biblioteche e archivi italiani e stranieri, fra cui l’atto di nascita di Garibaldi conservato a Nizza nella chiesa di San Martino, il telegramma del 1866 con il celebre “obbedisco” e il regio decreto del 1875 col quale re Vittorio Emanuele II concesse a Garibaldi una rendita vitalizia in riconoscimento della sua opera per l’unità d’Italia, conservati all’Archivio di stato di Roma. Per celebrare il bicentenario, inoltre la Zecca dello Stato ha coniato una medaglia commemorativa, in oro e in argento.

Il conte di Cavour Il 17 marzo 1861 a palazzo Carignano, a Torino, viene proclamato il Regno d’Italia e Vittorio Emanuele II suo re. Il 6 giugno a Torino muore Camillo Benso conte di Cavour, uno dei principali artefici dell’unità. Il volume ricostruisce, attraverso saggi storici e documenti pubblici e privati, lo scenario in cui ebbe a muoversi con straordinaria abilità il conte di Cavour nel periodo, cruciale per la storia d’Italia, che va dai moti del ‘48 alla morte prematura dello statista nel giugno del 1861.

70


70-71 s12:52-53 s7

5-10-2010

18:04

Pagina 2

Roma capitale Roma capitale prende l’avvio dalla storica breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 e si ripromette di documentare le vicende di Roma come capitale sia del regno sia della repubblica. L’opera si articola in otto diversi passaggi che conducono il lettore dalle problematiche della “Questione romana”, discusse dai deputati del nascente Regno d’Italia, alla presa militare della nuova capitale. Dai giorni fatali dell’alluvione del Tevere del 1870 si passa agli aspetti della vita romana, ai fasti dannunziani dell’epoca umbertina, agli umori politici, passionali ed esasperati del tempo. Dalle celebrazioni del primo cinquantenario del Regno si giunge alla Roma della vittoria e dei pruriginosi nuovi sogni imperiali; dalla tragedia finale dell’8 settembre 1943, si arriva alla fastosa celebrazione, nel 1970, del primo centenario di Roma capitale. Si tratta dunque un’opera fondamentale per la comprensione di passaggi storici, pulsioni emotive, valori ideali che fecero di Roma il centro dell’attenzione degli Italiani, il riferimento di un’intera nazione, l’elemento aggregante di culture a volte molto diverse che ritrovarono nella capitale una ragione di coesistenza e solidarietà. Nell’occasione delle celebrazioni del 140° anniversario di Roma capitale, il racconto si fa nuovamente attuale, in una veste editoriale splendida di pelle con sbalzo colorato a mano.

Tutte queste opere raccontano, oltre ai propri contenuti specifici, l’arte del saper fare bene “italiano”, quella particolare capacità tutta peninsulare che affonda le sue radici nella tradizione delle botteghe rinascimentali

Unità d’Italia La storia dell’unità scritta da tutte le genti d’Italia e consegnata alla memoria in venti medaglie in argento, una per ogni regione. Le medaglie sono piccole opere di scultura che con un linguaggio simbolico esprimono i significati civili e morali della nazione. Gli artisti della scuola dell’Arte della medaglia e gli incisori della Zecca le hanno realizzate ispirandosi ai fregi e alle decorazioni del complesso del Vittoriano, monumento inaugurato nel 1911 per consacrare l’unità della nazione.

71


72-73 s12:52-53 s7

6-10-2010

13:59

Pagina 1

freschi di conio TRE MONETE PER L’UNITÀ

I valori della nazione Tre monete legate ai momenti più significativi del processo unitario attraverso le quali rileggere per simboli il passato e il presente di Cecilia Sica

“L

a moneta mentre corre nelle mani di tutti come segno ed equivalente di ogni valore, è pure il monumento più popolare, più costante e più universale che rappresenta l’unità di una nazione”. Così il ministro Gioacchino Pepoli, all’indomani della proclamata unità d’Italia nel 1861, sottolinea la necessità per il nuovo Regno di procedere con urgenza all’unificazione monetaria. In Italia circolava un’enorme quantità

di monete diverse: baiocchi, fiorini, paoli, quattrini e altro ancora; monete battute dagli stati preunitari che richiamavano alla mente, con la loro iconografia e con il loro valore, le autorità che le avevano emesse. Il valore simbolico che il denaro assume, circolando di mano in mano e veicolando la rappresentazione dello stato, dell’economia, della religione, in una parola l’identità di un popolo e la storia di una nazione, non sfugge al ministro del neonato regno d’Italia, né alle autorità governative che si succederanno nei 140 anni di vita della lira. Tenendo quindi sempre presente il significato trasversale delle rappresentazioni incise sulle facce delle monete, durante gli anni del regno e poi in quelli della repubblica, gli appunta-

72


72-73 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:00

Pagina 2

L’opera Un volume di pregio completa il cofanetto Le 5 lire 1861 in argento, le 50 lire 1911 in oro e le 500 lire 1961 in argento sono le tre monete riconiate dalla Zecca nei metalli originali della prima coniazione esposte in uno scrigno in legno di frassino intagliato e impreziosito dal bassorilievo laminato in oro con l’allegoria dell’Italia realizzato dalla Scuola dell’arte della medaglia. L’opera è accompagnata dal volume di pregio Le lire dell’unità d’Italia, a cura di Silvana Balbi de Caro. Il Comitato ufficiale per le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia ha concesso a quest’opera, per il suo alto valore simbolico, il patrocinio, rappresentato dal logo ufficiale con i tre tricolori realizzato in smalto. Info: www.editalia.it.

menti più importanti che celebrano l’unità nazionale lasciano tracce sulle monete grazie ad emissioni speciali a essi dedicate. Facendo propria questa chiave di lettura simbolica Editalia dedica la nuova opera “Unità d’Italia” alla rilettura della storia unitaria attraverso i simboli del mondo numismatico. Tre monete rappresentano il percorso storico unitario dall’epopea risorgimentale alla Repubblica e nella loro diversità segnano momenti storici assai differenti. Lo scudo dell’unità, del valore di 5 lire italiane, è stato battuto dalla Zecca di Firenze subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, e sul rovescio sotto lo scudo sabaudo si legge la data marzo 1861, a commemorare in modo esplicito e diretto

l’avvenimento che rievoca. All’indomani della proclamazione i problemi con i quali il neonato governo dovette misurarsi per rendere fatto reale l’unità furono enormi e assorbirono le energie del governo. Nel campo della monetazione quindi si scelse un profilo tradizionale, fortemente istituzionale, piuttosto noioso nella sua fissità, tipologia che durò oltre quarant’anni. Sul diritto campeggiava il ritratto del re regnante, ora il sanguigno Vittorio Emanuele II, il re unificatore, ora il burbero Umberto I; sul rovescio lo stemma sabaudo incorniciato dal collare della santissima Annunziata, massima onorificenza di casa Savoia, e da una doppia corona di alloro. Solo con Vittorio Emanuele III, salito al trono nel 1900 dopo

73


74-75 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:01

Pagina 1

La figura Il bassorilievo La figura allegorica dell’Italia modellata in bassorilievo dagli artisti della scuola dell’Arte della Medaglia è ispirata all’affresco che Giulio Aristide Sartorio realizzò tra il 1908 e il 1912 per l’emiciclo dell’aula della Camara dei deputati a palazzo Montecitorio. Il fregio si snoda per 105 metri e con circa 300 figure che rappresentano i fatti della storia d’Italia dall’età dei comuni al Risorgimento, celebrando l’Italia unita e i valori della nazione.

A sinistra: particolare del bassorilievo laminato in oro dello scrigno Editalia A destra: l’affresco di Giulio Aristide Sartorio Nelle pagine precedenti: le tre monete riconiate dalla Zecca, le 5, le 50 e le 500 lire

l’assassinio del padre, si mette mano al rinnovamento della produzione numismatica del regno. Il giovane re, appassionato collezionista e studioso di monete antiche e moderne, coinvolge per la prima volta gli artisti contemporanei nella definizione di nuovi modelli per la monetazione che, per gli aspetti artistici e per i contenuti, possono ritenersi tra i più significativi della prima metà del ‘900. Sul diritto si susseguono morbide modellazioni del busto del sovrano, che con il passare del tempo indossa la divisa e invecchia, mentre sul rovescio si sviluppa la grande novità dell’epoca: composizioni complesse dallo stile moderno rappresentano lo strumento capillare della politica del governo trasmettendo i valori di un regno sempre più saldo e con mire espansionistiche. Di que-

sto sistema di rappresentazione la serie del cinquantenario, emissione celebrativa del 1911 realizzata per festeggiare il primo giubileo dell’unità, è un valido esempio. Sul rovescio progettato dallo scultore Domenico Trentecoste, Roma e l’Italia, finalmente unite in un’unica nazione, costituiscono il centro monumentale della figurazione mentre i simboli del buongoverno si distribuiscono in piani successivi: l’aratro inghirlandato che ricorda la vocazione agricola del paese, la nave da guerra ornata di festoni che rievoca la potenza militare di uno stato che proprio in quell’anno salpava verso le coste libiche. La straordinaria armonia compositiva dell’insieme, la delicatezza del modellato ispirato alle forme fluide del gusto liberty, rendono le 50 lire del cinquantena-

74


74-75 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:01

Pagina 2

rio una fra le più belle monete del regno. Passano cinquant’anni, cambia la forma di governo, cambiano le rappresentazioni, lo stile, i metalli, ma non l’utilizzo della moneta come veicolo di valori simbolici accessibili a tutti. Il governo repubblicano sceglie dapprima i temi del lavoro e della pace per trasmettere agli italiani nuova fiducia nella ricostruzione del paese, mentre l’immagine della repubblica con il volto e le vesti di una giovane donna prende il posto di quella del re nei diritti delle monete. Finalmente sul finire degli anni Cinquanta, con il paese lanciato in una crescita vertiginosa, per sottolineare la riconquistata prosperità economica è autorizzata l’emissione di monete d’argento da 500 lire. Nel 1961, per i cento anni dell’unità d’Italia Guido

Veroi è incaricato di progettare una moneta d’argento moderna che rappresenti appieno i valori del giovane stato. Con uno stile essenziale dalle linee pulite e nervose, la giovane repubblica è modellata seduta su un capitello ionico, la stratificazione della sua storia, mentre con la mano destra porge un ramoscello di ulivo, simbolo di pace costantemente presente, e con la sinistra sostiene l’elmo, non più indossato a significare che in un paese pacificato si può guardare al futuro con maggior slancio, e infatti sul rovescio un auriga filiforme sprona quattro cavalli a spiccare un balzo tra le date 1861 e 1961. Tre monete legate ai momenti più significativi del processo unitario, attraverso le quali rileggere per simboli il passato e il presente.

75


76-77 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:04

Pagina 1

comunicare ad arte ISTITUTO NAZIONALE TRIBUTARISTI

U

La cultura dei conti Il presidente Alemanno: «Da anni a confronto con la creatività» di Elena Mandolini

Un’occasione per omaggiare il tricolore e rappresentare l’unità del nostro paese. Il presidente dell’Int, Istituto nazionale tributaristi, Riccardo Alemanno, desiderava che i membri del terzo congresso internazionale di settore, tenuto ai primi di ottobre, avessero non solo un ricordo ma un simbolo dell’Italia. «Dare un segnale della nostra volontà, del nostro paese inteso come nazione solidale – afferma Alemanno – ci sembrava doveroso, all’indomani dell’anniversario dell’unità. La nostra fortuna è stata incrociare Editalia, che ha ben reso il nostro desiderio». Nello specifico, il gruppo editoriale ha realizzato un calendario e un elegante cofanetto in cui conservare la costituzione. «Abbiamo limitato al massimo l’ingerenza dei nostri simboli – prosegue il presidente – il segnale non doveva essere quello del nazionalismo esasperato ma la volontà di costruire una nazione unita. Dalla prima volta che ho incontrato i responsabili del marketing di Editalia mi sono sentito attorniato da altissima professionalità. Per cui ci siamo affidati a loro per la scelta dei quadri da inserire nel calendario. Balla e De Chirico sono i miei artisti preferiti, li avrei inseriti io stesso. Come se mi avessero letto nel pensiero». Diverso il metodo di lavoro scelto per il cofanetto: «La costituzione è un segnale – dice il presidente – ritengo che unità e costituzione siano inscindibili per un paese che voglia dirsi moderno e democratico. La modernità della costituzione è nei suoi principi ed essi sono validi in

qualsiasi momento storico. Si possono modernizzare alcune parti ma restano immutati nella loro anima. Noi tributaristi rispettiamo la costituzione come cittadini e rappresentanti di una categoria professionale». Un buon sodalizio, quindi, fra Editalia e l’Int, di cui il presidente parla con toni entusiastici: «Grande professionalità. Grandi capacità tecniche che hanno reso a pieno i nostri desideri. La collaborazione non terminerà con questo congresso. Quando si riscontrano qualità e professionalità così alte, non si può scindere una collaborazione tanto proficua». Non è il primo incontro, questo, fra l’Int e l’arte. Esiste infatti l’Int per la cultura, la musica e lo sport: «Già da molto tempo abbiamo un progetto che viene rinnovato annualmente. Ad esempio abbiamo finanziato un’iniziativa per Genova e Savona, con opere d’arte di giovani artisti, oppure la Biennale internazionale d’incisione di cui siamo sponsor. Abbiamo anche istituito un premio nazionale di poesia per i giovani – precisa Alemanno – lo scorso anno sono arrivati circa ottantamila euro per queste iniziative. Siamo addirittura sponsor di piccoli gruppi rock, squadre sportive dilettantistiche e giovani fotografi». Chiara la conclusione: «Siamo professionisti e cittadini, fruitori di tutto questo. Non è detto che un tributarista debba vivere solo di questo ruolo. Ci piace essere un po’ fuori dagli schemi non solo per scelte professionali ma anche nelle modalità di fruizione dell’arte».

76


76-77 s12:52-53 s7

6-10-2010

17:40

Pagina 2

Il calendario Editalia Anche la Costituzione nel cofanetto Editalia ha prodotto per il congresso internazionale dei tributaristi un cofanetto che contiene una pregiata edizione, in piccolo formato, della Costituzione italiana e un “presse papier” con il logo ufficiale dell’istituto lavorato con la tecnica dello smalto. Oltre al cofanetto, anche un calendario che ha come tema la storia del tricolore. Diversi gli artisti selezionati per illustrarne i mesi, da De Chirico a Stragliati. Nell’ultima pagina, una massima di Giovanni Falcone. Info: www.editalia.it.

Odoardo Borrani Il 26 aprile 1859 in Firenze, 1861 In alto, a sinistra: il presidente dell’Istituto nazionale tributaristi Riccardo Alemanno

77


78-79 s12:58-59 s7

6-10-2010

14:06

Pagina 1

comunicare ad arte ART FOR BUSINESS FORUM

Se i MANAGER scoprono le arti Milano, torna l’appuntamento che fa incontrare creatività e impresa di Valeria Cantoni*

egli ultimi cento anni siamo stati educati alla scuola del pensiero lineare, del punto di vista oggettivo, delle scienze esatte, dell’illusione scientifica dell’economia e dell’approccio quantitativo, dell’estetica delle tabelle di Excel, dell’equazione benessere eguale consumo. Tutte queste certezze iniziano a vacillare di fronte agli imprevisti e ai terremoti che stanno affliggendo l’economia globale. Le organizzazioni cercano strade per stringere i costi, mantenendo spesso invariato l’approccio ai problemi. C’è bisogno di una conversione di pensiero che ci porti a comprendere quale valore risiede sotto i nostri occhi e che ci porti a riscoprire il senso della cultura come radice vitale della società, del territorio, dell’economia e delle regole di governo del business, per aiutarci a orientarci un po’ meglio. La scommessa lanciata dall’associazione Art for business è che le arti

N

78

possano essere lo strumento per aiutare le persone a dotarsi di quelle nuove capacità che consentiranno loro di affrontare meglio la complessità e i continui mutamenti in atto: nuovi approcci che porteranno a generare nuove risposte a vecchie domande, favorendo così l’innescarsi del processo di innovazione. Per approfondire questi temi e aprire tavoli di confronto Art for business organizza per il terzo anno Art for business forum, dal 22 al 24 ottobre alla Triennale di Milano, un appuntamento rinnovato e arricchito che si propone come un importante momento di riflessione e di confronto sul contributo che le arti possono offrire alle organizzazioni e alle loro persone in termini di conoscenze, competenze e capacità manageriali che creano innovazione e vantaggio competitivo. Ospite d’onore del forum è il professor Howard Gardner, studioso di psicologia e direttore di Harvard project Zero, noto al grande pubblico per la sua teoria sulle intelligenze multiple e ritenuto uno dei cento intellettuali più influenti al mondo. Gardner terrà una “lectio magi-


78-79 s12:58-59 s7

6-10-2010

17:41

Pagina 2

stralis” sui suoi temi di ricerca che danno anche il titolo al forum: Bello, giusto, efficace, come le arti possono sviluppare nuove qualità nella leadership. Nel corso della kermesse ci sono poi momenti di confronto e presentazioni di casi e personalità del management, per mostrare che la fertilizzazione delle intelligenze, sensibilità ed emozioni è una buona strada per rispondere alla crisi che, prim’ancora che crisi finanziaria, è crisi culturale. Le intelligenze multiple sono al centro dei momenti di apprendimento del primo giorno di lavoro dove importanti manager e imprenditori portano la propria esperienza e dove vengono presentati i risultati della ricerca sul rapporto tra arte e quotidianità. I lin-

guaggi degli artisti verranno poi introdotti nel lessico organizzativo per aprire nuove strade alla risoluzione di problemi e alla costruzione di nuovi modelli di “leadership” meno standardizzati. In 6x6 nonstop: le parole delle arti per il management, i temi dell’ascolto, del progetto, del metodo, del racconto, del prodotto e dell’improvvisazione sono affrontati per manager, professionisti e imprenditori da un compositore, un architetto, un artista visivo, uno scrittore, un designer e un attore. Le istituzioni culturali e la pubblica amministrazione sono al centro di incontri in cui si profilano nuove strade per la valorizzazione dei Beni culturali: la rinnovata collaborazione con Editalia e il Gruppo poligrafico e Zecca dello Stato

79


80-81 s12:58-59 s7

6-10-2010

14:07

Pagina 1

“ In alto, Valeria Cantoni Nella pagina precedente un disegno da un workshop In basso, da sinistra: Alessandro Mendini, Davide Rampello, Marco De Guzzis, Ferdinando Faraò Gabriella Belli, Howard Gardner, Luigi Rovati

L’evento Tre giorni di confronto alla Triennale Bello, giusto, efficace. Trasformare le organizzazioni attraverso le arti. Questo il titolo della terza edizione di Art for business forum, l’appuntamento in cui arti, cultura e mondo delle imprese entrano in comunicazione. Organizzato dall’omonima associazione non profit, l’evento si presenta arricchito grazie a un network sempre più ampio e all’importante partnership con la fondazione Triennale di Milano. Manager, uomini d’affari, direttori e personale di musei e istituzioni culturali e territoriali, amministratori, artisti, collezionisti e studenti sono invitati a intervenire a questa tre giorni di confronto partecipato. Tanti gli invitati, da Germano Celant a Mario Resca passando per l’ospite d’onore, lo scienziato Howard Gardner. Dal 22 al 24 ottobre, Milano, Triennale. Info: www.artforbusiness.it.

Il forum è l’occasione per colmare la distanza fra cultura ed economia riportando le arti a essere il principale fertilizzante delle nostre capacità

apre a momenti di discussione importanti come quello del sabato mattina su Arte e industria e il seminario sull’attrattività della conoscenza: cosa significa valorizzare i luoghi di cultura, che chiama a raccolta soprintendenti ai beni culturali e archeologici, direttori di musei e dirigenti del Mibac per confrontarsi con Mario Resca, Simonetta Bonomi, soprintendente dei Beni archeologici della Calabria, il critico Germano Celant e Roberto Mazzei, presidente del Poligrafico, sul valore dei beni culturali. Al termine dell’incontro il filosofo Carlo Sini tiene una lettura sul valore della memoria e sul significato dell’antico per il tempo che viviamo. Il forum vede anche la collaborazione del compositore Fabio Vacchi, la cui musica viene suonata dal vivo prima di ogni incontro in una sorta di accordatura del pensiero, per predisporre le persone alla partecipazione ai contenuti dei vari incontri. Nuove visioni offrirà sei percorsi di senso all’ora di pranzo e nuove letture della realtà introdotti dalla presenza di accompagnatori d’eccezione al Triennale design museum. L’ultima giornata vede la visita ad alcune gallerie milanesi del circuito Start con una nuova inedita metodologia che si basa sul presupposto che l’esperienza della fruizione artistica può essere un processo di co-creazione che vede coinvolto il visitatore in prima persona. Art for business forum è dunque l’occasione per lavorare con economisti, manager, artisti, soprintendenti, filosofi, per colmare quella distanza tra cultura ed economia, tra beni culturali e affari quotidiani, tra pensiero dell’arte e approccio del mercato che si è creata negli ultimi decenni, riportando le arti a essere il principale fertilizzante delle nostre capacità. *presidente Art for business

80


80-81 s12:58-59 s7

6-10-2010

14:07

Pagina 2

a regola d’arte ART PASSION

Un Mediterraneo di fermenti

L

Campari promuove il contemporaneo con un trittico editoriale e una mostra Il curatore Milan: «Indagine reale su una scena importante ed emergente» di Manfredi Lamartina

La geopolitica e la storia contemporanea vorrebbero queste tre città come pedine fondamentali di un mondo ormai in perenne contrapposizione. Come se, al di là della violenza, della guerra e del fondamentalismo in ogni sua declinazione religiosa, non ci fosse nient’altro da raccontare, osservare e vivere. Eppure Beirut, Istanbul e Tel Aviv hanno almeno un elemento in comune in grado di trascendere le reciproche diffidenze: la bellezza dei nuovi fermenti artistici. Questo è ciò che viene raccontato in Art passion, tre volumi (uno per città), distribuiti in tutta Italia e in alcune capitali europee da Editalia, che celebrano i 150 anni di Campari. «L'obiettivo che mi sono posto – racconta il curatore dell’iniziativa, il trentottenne fotografo veneziano Marco Milan – è di indagare la relazione tra l’artista, in qualità di individuo, e il luogo dove vive. Mi sono concentrato su questa duplice influenza, che permette di trovare diverse possibilità e livelli di scrittura. Abbiamo, per esempio, chi predilige il luogo pubblico esteso e chi invece si rifugia nell’intimità, con uno spazio vitale ridotto, come l’abitazione o lo studio. Diverse corde, dunque, vengono toccate». Nello specifico, ogni artista «è stato da me ritratto in un luogo per lui significativo – spiega Milan – tutti sono stati fotografati attraverso l’utilizzo di uno specchio che rappresenta il legame tra ciò che è fisico e ciò che è metafisico. Nelle inquadrature abbiamo evitato ogni tipo di luce artificiale, per fare in modo che emergesse solo la luce di quel posto e di quell’istante. Più che fare uno scatto, dunque, abbiamo voluto creare un intervento reale nella pagina stampata». La scelta di esplorare tre città mediorientali come Beirut, Istanbul e Tel Aviv ha permesso a Milan di mostrare tre realtà artistiche vive e affascinanti. «Ho vissuto in Medio Oriente praticamente per due anni – precisa Milan – perché non volevo creare un progetto

81


82-83 s12:78-79 s6

6-10-2010

14:16

Pagina 1

orientalista, ovvero di un occidentale che arriva, sceglie e se ne va. Non mi interessava neanche fare una sorta di cartolina. Piuttosto, volevo indagare realmente una scena importante ed emergente. Ecco perché ho scelto di vivere in prima persona in questi luoghi». Il primo volume a essere distribuito sarà quello su Beirut. «Tra gli artisti presenti nel libro – dice Milan – abbiamo Arkam Zaatari, un fotografo che rilegge le vicissitudini della guerra civile. Fornisce dei percorsi e dei legami che parlano di memoria e contemporaneità in questa società che da una parte sta vivendo una fase di grandissimo recupero e crescita, dall’altra conserva cicatrici che, seppure nascoste, bruciano ancora. Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, invece, sono due artisti conosciuti per il film documentario “Je veux voir” con Catherine Deneuve, che esplorava i luoghi della memoria in Libano. Poi c’è una generazione decisamente più giovane nella quale l’elemento della contemporaneità pura e l’aspetto edonistico emergono in maniera importante. È il caso di Johanne Issa, che ritrae una Beirut intrigante e in continuo movimento». Milan, che ha lavorato come fotografo e designer per diversi marchi di livello internazionale, è particolarmente attento alla creazione come atto sociale e, per certi versi, geopolitico. Non a caso il suo prossimo lavoro continuerà a battere in queste zone. «Una nuova idea – racconta – figlia di Art passion e per certi versi sua evoluzione, è focalizzata come prima tappa ancora su Beirut e parlerà del concetto di edificio come paradigma di un’intera città. Inviterò a lavorare con me altri artisti per un’indagine antropologica sull’architettura come elemento determinante per le relazioni interne. Durante la guerra civile, per esempio, l’edificio diventava l’ultimo baluardo per l’affermazione del proprio diritto sulla città».

82

Dall’alto, in senso orario: Marco Milan ritratto di Zena El Khllil e i contributi per il volume Beirut realizzati da Nadim Asfar Charbel Haber e Cinthya Zaven Nella pagina precedente: Marco Milan e il contributo di Akram Zaatari


82-83 s12:78-79 s6

6-10-2010

17:43

Pagina 2

IL VOLUME

Beirut Editalia 272 pagine 980 euro

Un progetto in tre tappe Art passion è un’iniziativa nata per celebrare i 150 anni di Campari. Sono tre gli “art book” del progetto pubblicato da Editalia e curato dall’artista veneziano Marco Milan. Il primo libro è dedicato alla scena di Beirut, con una panoramica su venticinque artisti libanesi ritratti da Milan nei luoghi e nei momenti per loro più significativi. Il libro è distribuito da ottobre in tutta Italia e in diverse capitali europee. Le altre uscite, invece, riguarderanno Istanbul (disponibile da novembre) e Tel Aviv (da dicembre), per un totale di 73 artisti. Le copertine sono state progettate in modo che, una volta unite, venga tratteggiato il confine di Libano, Turchia e Israele. La prima uscita è stata presentata ufficialmente il 18 ottobre all’ambasciata italiana a Beirut.

La mostra Il Medio Oriente alla galleria Campari Fino al 30 ottobre nei locali della galleria Campari di Sesto San Giovanni (Milano) è possibile visitare la mostra Art passion, dedicata alle avanguardie artistiche di Beirut, Istanbul e Tel Aviv. Curata da Marco Milan e Nora Zanella con la collaborazione di Marina Mojana, direttore della struttura, la mostra riprende materiali e immagini raccolte nei volumi del trittico Art passion, permettendo così al pubblico di vedere i 73 artisti ritratti da Milan nei luoghi di lavoro e i contributi realizzati per i libri. Nella galleria sono presenti diverse installazioni sospese e alcuni video attraverso i quali Milan racconta la genesi dell’iniziativa e spiega i fermenti delle tre città. Galleria Campari, via Sacchetti 20, Sesto San Giovanni, Milano. Info: www.campari.com.

83


84-85 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:11

Pagina 1

i mestieri dell’arte LABORATORIO LIGNARIUS

V

I segreti delle mani Il presidente Nespoli: «Restaurare è dare la vita eterna a un oggetto» di Marilisa Rizzitelli

Volete immergervi nel mondo dei mestieri artigiani, partecipare a corsi di restauro e di antiquariato imparando a “leggere” gli antichi manufatti? Un centro di eccellenza dove questo è possibile è Lignarius, associazione romana che si occupa di trasmettere e diffondere le tecniche e i segreti degli antichi mastri artigiani. Nato da una passione di Paola Staccioli e Stefano Nespoli per l’antiquariato, Lignarius coinvolge dal 1992 molti professionisti che si dedicano all’insegnamento delle lavorazioni artistiche di legno, vetro, ceramica, del restauro di mobili e dipinti, libri e stampe. «Nell’86 – racconta Nespoli – con Paola avevamo un negozio di antiquariato e i laboratori di restauro in via del Boschetto, rione Monti, nel cuore della suburra capitolina. Eravamo attorniati da tutte le attività artigiane che ancora in quegli anni esistevano e molti venivano spesso da noi a chiederci di imparare questo lavoro. Dal desiderio di trasmettere qualcosa che conosciamo è nata Lignarius come scuola». Nel tempo l’idea si è articolata e arricchita: ora Lignarius organizza anche una serie di iniziative culturali legate alla storia e alle tradizioni popolari, mostre e dimostra-

zioni sulla lavorazione di materiali diversi. Ma lo spirito iniziale non è cambiato e il punto di forza rimangono i corsi di restauro. «Restaurare un oggetto significa cercare di farlo vivere per sempre, dargli valore, rispettarlo perché appartiene al passato ed è portatore di culture e tradizioni che non abbiamo vissuto – spiega Nespoli – è essenziale capire che ogni cosa nasce per un contesto diverso: il restauro non è un’operazione squisitamente tecnica, è anche qualcos’altro. Prima di iniziare un intervento instauriamo un rapporto, cerchiamo di entrare in contatto con l’oggetto, cerchiamo di immaginare attraverso quante mani e quanti luoghi è passato. Per questo facciamo in modo di ricostruirne la storia». Sorridendo, il presidente di Lignarius continua: «La bravura dell’artigiano, del restauratore, è saper essere un po’ cantastorie. Ovviamente con questo non intendo offendere nessuno. Non che raccontiamo balle, ma piuttosto le storie degli oggetti, in modo da farli apprezzare di più. Storie che non necessariamente sono reali. Non basta avere buona manualità ed essere bravi tecnicamente, bisogna possedere una sensibilità particolare».

84


84-85 s12:52-53 s7

6-10-2010

17:49

Pagina 2

Il laboratorio di lavorazione del legno dell’associazione Lignarius a Roma In alto, a sinistra: Macina, 2006 il tavolino-mosaico realizzato da Francoise Dary dall’opera di Pablo Echaurren

85


86-87 s12:58-59 s7

6-10-2010

14:11

Pagina 1

Una squadra di 15 persone coinvolta oltre che nell’insegnamento anche nel lavoro di restauro di opere d’arte commissionato da privati e istituzioni. Agli interventi dei docenti si abbinano sempre corsi di formazione per gli allievi dei corsi, come è accaduto nel caso del cantiere organizzato nell’oratorio dei Filippini alla chiesa romana della Vallicella o per le vetrate della chiesa irlandese di via Boncompagni. «Non lavoriamo solo per restaurare il mobile della nonna – prosegue Nespoli – quando arrivano fondi pubblici tocchiamo con mano opere di un certo pregio. Non c’interessa il business e la visibilità. Preferiamo andare a scovare beni del nostro patrimonio artistico e offrire il nostro lavoro di restauratori per recuperarli e preservarli dal tempo». Lignarius ha infatti all’attivo manutenzioni di pregio: la biblioteca del Senato, ad esempio, o la fondazione Giorgio e Isa De Chirico. «Spaziamo a 360 gradi. Ci occupiamo anche di arte moderna e contemporanea, quando capita. Lavoriamo spesso con la Cgil che possiede una pinacoteca di contemporanei ricchissima. Nel corso degli anni una delle nostre iniziative di punta è stata Cantieri d’arte, grazie al contributo della regione Lazio. Un progetto mirato a

coniugare la fase creativa dell’artista a quella concreta della realizzazione di un’opera. A volte gli artisti lavorano con materiali che non sono propri e si avvalgono di artigiani per concretizzare le loro idee. Noi li abbiamo messi vicini. Abbiamo contattato Nanni Balestrini, Francesco Bracaglia, Tommaso Cascella, Vito Cipolla, Pablo Echaurren e li abbiamo fatti lavorare con i giovani allievi dei corsi di arti decorative, guidati dai loro insegnanti. Sono stati prodotti dei lavori unici e professionalità diverse hanno avuto l’opportunità di conoscersi: una bella esperienza, durata a lungo, con buoni risultati», conclude il direttore. Ogni anno Lignarius organizza corsi professionali e amatoriali che coinvolgono in media 150 persone di ogni età e di diversa provenienza. Nel 2010, per mancanza di finanziamenti, non sono stati programmati corsi pubblici. All’attività istruttiva poi, si accosta quella manuale, con lavori commissionati da esterni e svolti dagli artigiani docenti. Prossimo obiettivo è la creazione a Roma, nel quartiere Esquilino, di una Casa internazionale delle arti e dei mestieri all’interno della quale artigiani immigrati possano svolgere le attività dei paesi d’origine, creando occasioni di comunicazione e scambio culturale. A sinistra: il presidente di Lignarius Stefano Nespoli A destra: La vecchia Europa scultura di cartapesta realizzata da Lignarius su bozzetto di Nanni Balestrini

Il centro Tra arte e manualità Nato nel 1992, Lignarius è un centro d’arte, artigianato e restauro. Nella sede romana di via Mecenate 35 si svolgono diverse attività gestite da un’associazione culturale e da una società. Fondatori e responsabili di Lignarius sono Stefano Nespoli, consulente in antichità e Belle arti per la camera di commercio e il tribunale civile di Roma, e Paola Staccioli, giornalista autrice di libri sulla storia di Roma nonché membro della commissione comunale per l’artigianato artistico e di qualità. La struttura propone un’ampia gamma di corsi di formazione professionale e corsi amatoriali di restauro, antiquariato, arti decorative. Cinquecento metri quadrati occupati in gran parte dalle sei aulelaboratorio utilizzate per la didattica: decorazione pittorica; restauro materiale cartaceo; doratura vetrate artistiche, disegno e pittura e altre. Info: 064885079; www.lignarius.net.

86


86-87 s12:58-59 s7

6-10-2010

14:11

Pagina 2

il motore dell’arte ENI

Da Enrico Mattei alle scelte per la nuova comunicazione fra “scouting” e internet

ENERGIE PER IL FUTURO di Simone Cosimi

N

e è passato di tempo da quando Enrico Mattei, collezionista attento e raffinato, metteva da parte i giovani e promettenti pittori dell’epoca. Gente come Carrà, Sironi, Tosi, Casorati, Morandi e compagnia che avrebbero in seguito puntellato buona parte della storia del Novecento. Il lungimirante fondatore dell’Eni coltivava infatti una profonda passione per l’arte contemporanea, che ha trasmesso negli anni all’intera struttura messa in piedi pezzo dopo pezzo a partire dal 1953. Una sensibilità particolare, definita molto bene da Luisella Severo sul Giorno: «Mattei apparteneva a quella rara categoria di imprenditori colti che acquistavano opere d’arte non per investire denaro, ma per amore». Mecenatismo puro, d’altri tempi. A quei pionieristici acquisti – fra i quali è impossibile non segnalare l’Omaggio a Fattori di Filippo De Pisis, il prediletto dall’imprenditore marchigiano – se ne sono

87

aggiunti nel corso dei decenni molti altri, fino a costituire una collezione di circa 500 opere, conservate nelle diverse sedi dell’Eni. Un inventario lascerebbe di stucco gli studiosi dai palati più difficili: dalla rivoluzione divisionista dei primi anni del secolo, nelle vibranti opere di Pennasilico e Cominetti, a un trittico di nature morte degli anni Venti di Morandi, De Pisis e Mafai, che transita dalla solidità dei valori plastici alla malinconia della Scuola Romana. E ancora: dalla raffinatezza ritrattistica di Casorati al solfeggio formale di Morandi, passando per la luminosità dell’epopea naturalistica di Tosi e la pesante trabeazione chiaroscurale dello spazio di Sironi. Dalle scomposizioni di Birolli e Cassinari al solido realismo di Guttuso e Sassu fino alle suggestioni informali di Chighine, alla semantica inventata di Capogrossi, Castellani, Boetti, Dorazio, alle nuove favole di Salvo e Ontani e alla reinterpretazione della natura di Gilardi e Arienti. Radici solide e profonde che dicono come la promozione e la diffusione della cultura, nelle sue diverse articolazioni, sia da sempre fra i principali obiettivi del colosso energetico nazionale. Da qualche mese Eni ha


88-89 s12:78-79 s6

6-10-2010

17:49

Pagina 1

deciso di tornare a mettere in circolo questo suo dna con le proprie scelte di comunicazione. Alla sensibilità tipica del gruppo s’è aggiunta una forte strategia a tutto tondo. Un salto di qualità, insomma. L’obiettivo – in parte già raggiunto e comunque in continuo “work in progress” – è infatti la creazione di una fucina creativa. L’idea è quella di scovare, in tutti i settantasette paesi in cui Eni è presente, un gruppo di giovani talenti che interpretino in maniera unica ogni momento della comunicazione. L’arte, la scienza e la tecnologia si fondono dunque nei lavori appositamente realizzati dagli artisti selezionati, attraverso i linguaggi più diversi, dalla videoarte alla pittura fino alla fotografia. Una scelta coraggiosa, soprattutto in tempi in cui gli autentici talenti faticano a trovare concrete possibilità di lavoro. Apertura, sperimentazione, innovazione, internazionalità, ricerca e rispetto sono le nuove “keyword” targate Eni. A partire dagli scenari onirici modellati dell’israeliana Ilana Yahav, specializzata nella “sand art” scelta per battezzare le nuove campagne tv e stampa. I passi successivi, invece, hanno coinvolto il mondo degli illustratori, per esempio col talentuoso Alessandro Gottardo mentre il “graphic designer” belga Koen Ivens ha immortalato la nuova campagna per Eni Award. Il risultato vive d’illustrazioni in cui l’energia, in tutte le sue forme, si fonde con elementi caratterizzanti dei singoli territori coinvolti. Ultima nata, la campagna You & Eni firmata dai “The flying herrings”, le aringhe volanti, artisti italiani che spaziano tra le tecniche tradizionali e quelle digitali. Un filo che si riallaccia alle ori-

Nella pagina precedente: Koen Ivens per eni 2010 In alto: Luca Barcellona per eni, 2010 A destra: il trofeo realizzato da Antonio Pio Saracino Eduardo Recife per eni, 2010

gini e che si apre alle nuove realtà della rete: il sito Enizyme.com è infatti la nuova agorà virtuale, una piattaforma di scambio fra artisti, esperti, curiosi e clienti dove tutti i contenuti sfornati dai 35 artisti già al lavoro sono raccolti e condivisi in un’interfaccia minimalista e accattivante che ricorda la struttura di un mandala. Le immagini, una volta sfiorate con il mouse, aprono i mondi di chi le ha realizzate: le loro storie e culture, il portfolio dei precedenti lavori e l’opera partorita per Eni. Minimo comun denominatore dell’impegno dei giovani artisti è l’ormai mitico cane a sei zampe, logo storico del gruppo tornato prepotentemente alla ribalta dopo la decisione di riunire sotto un unico simbolo, il cane a sei zampe, e un nome, Eni, le diverse società del gruppo. «Così il cane nero, proprio come la lupa degli antichi romani – ha scritto Geminello Alvi in occasione della mostra al Vittoriano dedicata all’archetipico animale – provvederà a nutrire l’economia di una benzina, indispensabile all’economia come il latte per i neonati. E però l’animale si mantiene selvaggio nel suo vitalismo, del tutto imprevedibile, che è poi anche il caso dell’agire appunto di Mattei». Europa, Asia, Africa e America: le inedite energie dello scalpitante cane nero vengono ora attinte da ogni angolo del mondo. E ripartono, nell’ottica pervasiva della ragnatela internet, verso mezzo pianeta attraverso il web, la tv, le radio e la vecchia carta stampata. Un caleidoscopio artistico che non è solo una collezione né una semplice strategia. Assomiglia, piuttosto, a una mappa per il futuro.

Trofei d’autore Il cane di Saracino per Alonso e Webber Un piccolo grande capolavoro di design ipertecnologico d’autore. Questo si sono portati a casa gli spagnoli Dani Pedrosa e Fernando Alonso, rispettivamente vincitori dei gran premi di Moto Gp e Formula 1 disputati lo scorso luglio in Germania. Il trofeo è stato commissionato da Eni al giovane designer-architetto italiano Antonio Pio Saracino. Si tratta di un’affascinante rielaborazione concettuale del mitico cane a sei zampe ideato nel 1953 da Luigi Broggini. Dalla “cover” di Saracino sboccia un sofisticato gioco di linee energetiche che, come ha dichiarato l’artista, «traduce perfettamente il file virtuale in oggetto fisico tridimensionale». Lo stesso premio è stato assegnato anche all’australiano Mark Webber, vincitore del gran premio di Formula 1 ungherese. Info: www.antoniopiosaracino.com.

88


88-89 s12:78-79 s6

6-10-2010

14:12

Pagina 2

89


90-91 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:13

Pagina 1

in cassaforte L’ANGOLO DEL COLLEZIONISTA

GIUSTE RARITÀ Nelle aste premiate opere importanti ma anche raccolte e arte decorativa di Stefano Cosenz

Amedeo Modigliani Tête 1910-12

n mercato attento alla rarità e alla qualità premia non solo le opere importanti che appaiono sulla scena internazionale delle aste proposte con la giusta stima, ma anche collezioni di arredi, dipinti e arte decorative di dimore patrizie con autorevole pedigree. Antichità I prestigiosi reperti archeologici dell’antica civiltà romana sono battuti a cifre milionarie sulle piazze americane e inglesi. A New York l’11 giugno Sotheby’s batte per 3.442.500 dollari, contro una stima di 300-500mila, una scultura in marmo di età classica, Tre satiri in lotta con il serpente, che fece parte della collezione di Lorenzo il Magnifico. Si tratta di un gruppo scultoreo di età romana imperiale (I secolo a. C.) recentemente riscoperto in Austria. Documenti scritti rivelano che il gruppo scolpito fu ritrovato a Roma nel 1489 scavando nei giardini del convento di San Lorenzo in Panisperna presso il Viminale e subito fu acquistato dal principe il Magnifico. La scultura ispirò poi la celebre Battaglia dei Centauri di Michelangelo. Alla morte del principe la scultura sparì per 350 anni per riapparire nel 1857 in una collezione privata in Dalmazia. Dipinti antichi e del XIX secolo Nuovi record mondiali per gli antichi maestri italiani a Londra. Il 6 luglio da Christie’s un monumentale Re David del Guercino spunta 5.641.250 sterline, un raro dipinto del più celebrato artista rinascimentale, Giovanni Bellini, La Madonna e il Bambino in un paesaggio, è venduto per 3.513.250 sterline, quattro vedute di Londra del Settecento di Antonio Joli volano a 1.441.250 sterline, superando la stima massima, cifre tutte impensabili sul mercato nazionale. Da Sotheby’s il 7 un paesaggio italiano di William Turner, Modern Rome – Campo Vaccino è stato acquistato dal Paul Getty Museum di Los Angeles per 29.721.250 sterline, contro una stima di 12-18 milioni. Altro risultato ragguardevole, 5,9 milioni di euro, è stato ottenuto a Londra da Christie’s il 6 luglio con la vendita della raccolta d’arte, di mobili e oggetti provenienti dalla famosa residenza romana di Maria Angiolillo, oggetti contesi da compratori di cinque continenti: una coppia di vedute

U 90


90-91 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:13

Pagina 2

romane del Settecento dipinte da Antonio Joli per la “French room” del palazzo londinese del duca di Chesterfield è stato battuto per oltre 550mila euro, mentre una scultura Senza titolo dell’artista polacco Igor Mitoraj è stata aggiudicata per oltre 193mila euro, record mondiale dell’artista all’asta. Ottimi risultati anche a Milano da Sotheby’s l’8 giugno con un fatturato di 2,7 milioni di euro: per 900.700 euro è stato aggiudicato un capolavoro assoluto di Giacomo Ceruti, detto Il Pitocchetto, Portarolo col cane, considerata la più importante opera dell’artista del Settecento mai apparsa all’asta in Italia. Il dipinto proveniva dal ciclo di Padernello (dal nome del castello al quale era originariamente destinato), una serie di dipinti in cui l’artista rappresenta scene di vita quotidiana. Dal Los Angeles County Museum proveniva il top lot della vendita milanese di Christie’s del 27 maggio, l’olio su tavola del Cinquecento San Giacomo Maggiore di Benvenuto Tisi, detto Il Garofalo, venduto a un collezionista di Milano per oltre 101mila euro contro una stima di 50-70mila. Si conferma il trend delle affascinanti ed esotiche opere “orientaliste” dell’Ottocento e inizi Novecento ambite dai collezionisti europei, americani, nordafricani e del Medio Oriente: due nuovi record mondiali nell’asta parigina di Artcurial dell’8 giugno per José Crux Herrera (Les fiancés, stimato 60-80mila euro schizza a oltre 471mila) e per Alexandre Roubtzoff (Bédouine de Tunis del 1935, stimato 80-100mila euro, vola a oltre 434mila). Arte moderna e contemporanea Le aste londinesi di Christie’s e Sotheby’s del 22 e 23 giugno scorso di impressionisti e di arte moderna confermano la tenuta di mercato senza comunque quella spasmodica ricerca di record che aveva caratterizzato le vendite di febbraio e con particolare attenzione alla stima del lotto. Nella vendita serale del 22 di Sotheby’s top lot è l’autoritratto di Edouard Manet del 1878-79 con un realizzo di 22.441.250 sterline (stima 20-30 milioni), doppio rispetto a quello ottenuto dalla stessa opera nel 1997 (18,7 milioni di dollari); importante il risultato di Arbres à Collioure di André Derain del 1905, riscoperto in una banca francese nel 1970 e appartenuto al celebre mercante Ambroise Vollard: 16.281.250 sterline, oltre la stima massima di 14 milioni, record mondiale per l’artista fauvista. Nella vendita Christie’s del 23 giugno, il Portrait d’Angel Fernàndez de Soto del 1903 del

periodo blu di Pablo Picasso, stimato 30-40 milioni di sterline, si ferma a 34.761.250 sterline (nel 1995 era stata acquistata dalla fondazione Andrew Lloyd Webber per 29,1 milioni di dollari). Maggior fortuna ha goduto Le baiser, realizzato dall’artista nel 1969, che acquistato nel 2003 per 2.861.600 sterline, ne realizza ora 12.137.250. Da Parigi il 14 giugno uno dei più significativi risultati dell’anno: Christie’s vende una rarissima scultura d’ispirazione africana di Amedeo Modigliani, Tête, datata 1910-12, per 43.185.000 euro, contro una stima di soli 4-6 milioni. Ma l’opera rivela il contatto di Modigliani con un altro grandissimo scultore, Constantin Brancusi. Anche il mercato delle fotografie d’autore alza la testa. Sotheby’s a New York il 21 e 22 giugno, per la collezione Polaroid di opere dei migliori maestri scattate con la celebre macchina, realizza un totale di 12.467.638 dollari: le prime sei posizioni sono occupate da scatti di Ansel Adams (il suo monumentale Clearing Winter Storm, Yosemite National Park del 1938, probabilmente stampato negli anni ’50’60, raggiunge 722.500 dollari contro una stima di 300-500mila). Dall’Italia due importanti risultati. Le alte aggiudicazioni delle rare e più belle opere futuriste di Giacomo Balla: da Farsetti a Prato, top lot dell’asta di arte moderna del 28 e 29 maggio è il suo olio su carta del 1914, Vortice, aggiudicato per 744.850 euro. Accanto a Fontana, Burri e Boetti, un’altra firma del post war italiano si conferma tra i maestri del XX secolo acclamati dal collezionismo internazionale, Enrico Castellani: nell’asta milanese di Sotheby’s del 26-27 maggio la sua Superficie bianca n.32 del 1966 ha realizzato 960.750 euro, contro una stima di 400-500mila, nuovo record mondiale dell’artista. Arti decorative L’asta di Londra di Sotheby’s del 6 luglio premia i tesori con una storia antichissima, come ha dichiarato Mario Tavella, Vice Presidente di Sotheby’s Europe: un tavolo commissionato dall’ultimo Duca di Urbino in avorio e argento, del 1596-97 circa, ha realizzato oltre 937 mila sterline (lo stesso esemplare nel 1989 era stato venduto all’asta per 6 mila sterline), mentre un monumentale rinfrescatoio per vino in argento, con un diametro di oltre 1 metro, senz’altro uno degli argenti più importanti apparsi nell’ultimo mezzo secolo, è stato comprato da un collezionista privato asiatico per oltre 2,5 milioni di sterline.

91


92-93 s12:58-59 s7

6-10-2010

17:11

Pagina 1

cose dell’altro mondo ARTE DEI BALCANI

Alla biennale di Fiume la nuova generazione di talenti performativi eredi della Abramović di Jovana Stokić

SUGGESTIONI DALLA n qualità di curatrice nata nella exJugoslavia e approdata negli Stati Uniti, sono stata invitata a curare la biennale di arte contemporanea che si terrà a Rijeka (Fiume), in Croazia, nel 2011. Essendo emigrata da questa terra, ho cercato un modo di concettualizzare la mia condizione e di offrire una visione d’insieme delle pratiche moderne che reputo più interessanti. Ho ripreso il titolo “Out of the left field” (letteralmente: fuori la sinistra del campo) da una metafora del baseball che significa all’improvviso, da una parte o direzione inaspettata. Il concetto curatoriale della biennale vuole evocare questo elemento di sorpresa, ma anche alludere alle sfere politiche e ideologiche. Gli artisti rappresentati sono incoraggiati a imitare la strategia

I

92

del non allineamento dove, a partire dall’individualità più forte, si stabilisce la possibilità di coesistenza. Gli artisti potranno utilizzare qualsiasi media nell’esecuzione del proprio lavoro, dialogando strettamente con la “performance art” che in questi ultimi anni ha visto un notevole aumento d’interesse. Durante la biennale sono programmati eventi dal vivo che proveranno la capacità della “performance art” di coinvolgere direttamente lo spettatore, inducendolo ad analizzare i propri pensieri e sentimenti e completando così il lavoro iniziato dall’artista. Interpreto questa visione d’insieme attraverso uno sguardo, prettamente personale, sugli esempi individuali. Questo non è da intendersi come esauriente, ma piuttosto come una visione frammentata delle grandi opere d’arte. I seguenti artisti, anche se provenienti da questa regione, non si inseriscono facilmente nelle coordinate


92-93 s12:58-59 s7

6-10-2010

17:11

Pagina 2

La mostra Jelena Tomasevic Nove lavori di Jelena Tomasevic formano la serie “Apparent servitude”, da cui il titolo della mostra. La fragilità degli oggetti è protagonista assoluta di una desolante rappresentazione postumana. Gli stessi semplici elementi della vita quotidiana ritornano protagonisti nel video “Just kidding”: un breve racconto fatto di immagini surreali ed enigmatiche. Fino al 20 novembre. Artopia, via Lazzaro Papi 2, Milano. Info: www.artopiagallery.it. Jelena Tomasevic “Apparent servitude”, 2010

EX JUGOSLAVIA geopolitiche e li ho collocati in modo volontariamente non definito. È struggentemente chiaro che questi artisti non vivono nei loro paesi nativi. Branko Miliskovic, giovane artista serbo, ha proseguito l’eredità dei “performer“ di affermata qualità come Marina Abramović. L’ho incluso in una recente mostra collettiva che orbitava intorno all’idea di coesistenza reciproca. Non allineato non deve essere interpretato qui nel senso geopolitico, ma a un livello più astratto: non appartenente allo stesso allineamento. Branko è sempre stato interessato a un contatto molto diretto con il pubblico, cercando di stabilire un livello altro di comunicazione con elementi minimali: dare e ricevere energia dal pubblico, procedere con questa e ritrasmetterla ancora, e ancora. «Credo che il corpo – afferma Miliskovic – possa generare una tensione particolare e stimolare una carica elettrica naturale o una

forma di campo magnetico intorno all’artista dopo un’azione di lunga durata, sia statica sia attiva. Lavoro intensamente nei campi dello spettacolo dal vivo, video e film. La tematica più importante su cui vorrei concentrarmi è certamente “il territorio”. Nei miei lavori recenti sono stato molto preso dalla mia individualità, spostata da un contesto balcanico, rude, violento, nazionalistico, xenofobico, a un contesto di esperienze europee e mondiali, dopo essere stato per vent’anni un “detenuto“ politico nel mio paese d’origine. La premessa principale è di giustificare la mia posizione su un certo territorio, passando attraverso determinati paesi e i loro abitanti. La mia arte è sempre stata spinta da un’interna ed estrema necessità di raggiungere e oltrepassare scopi estremi, un’esigenza di trasformazione costante e di ricostruzione radicale per lavorare

93


94-95 s12:78-79 s6

6-10-2010

17:12

Pagina 1

finalmente su ciò in cui credo personalmente». Attraverso i suoi video, la fotografia e le performance, i lavori su carta, l’artista croata Vlatka Horvat ha esplorato l’assenza, la memoria e l’occultamento attraverso la giusta opposizione dei componenti di un dato sistema, come il corpo umano, sullo sfondo del mondo intero. L’artista crea un ambiente inquietante di proiezioni di immagini, oggetti trovati modificati, e proposte architettoniche in cui il corpo e lo spazio che occupa sono presentati come luoghi di delusione, collasso e frammentazione offrendo al contempo un modello alternativo per reinventare, resistere e giocare. I lavori di Ana Prvacki prendono la forma di progetti e iniziative che attingono su performance, estetica del consumatore e lo stile popolare e investigano l’economia sempre più dematerializzata di servizi e idee. Nel 2003, Prvacki ha fondato la “Ananatural production“, una società di consulenza di innovazione e stile di vita che abbina preoccupazioni concettuali, problemi contemporanei e vari modi di comunicazione per distribuire idee, ricette e istruzioni per i vari generi di esperienza. Le installazioni di Prvacki sono spesso partecipative, promuovono e forniscono prodotti e servizi agli spettatori, come il lavaggio dei soldi nel “The money mountain” (2008), dove lava le banconote della gente. Per la biennale di Sidney, Prvacki ha esplorato la fornitura di un servizio di eliminazione del dolore. Lei suona e si esercita con il flauto per stimolare la salivazione. Attraverso un semplice procedimento alchemico, la saliva viene raccolta e trasmutata in uno speciale antidolorifico, derivato dalla musica. Coscritto durante la guerra civile bosniaca (1992-1995) per combattere in difesa di Sarajevo, sua città natale, Nebojša Šerić-Shoba ha trascorso la maggior parte della sua ferma militare a sca-

94


94-95 s12:78-79 s6

6-10-2010

17:12

Pagina 2

La biennale di Konjic La sede è nell’ex bunker antiatomico di Tito Oltre alla biennale di Rijeka curata da Jovana Stokic, nella primavera del 2011 una seconda biennale dalla sede insolita si svolgerà vicino a Sarajevo. L’ex bunker antiatomico di Josip Broz, detto Tito, a Konjic, in Bosnia Erzegovina, apre le sue porte e verrà usato per la prima volta per un progetto artistico: la biennale di arte contemporanea intitolata “D-o ark underground”. La manifestazione rinasce su progetto di un gruppo di intellettuali e su un’idea dell’artista bosniaco Jusuf Hadzifejzovic che ha ottenuto l’apertura e la destinazione del bunker, fatto costruire da Tito tra il 1953 e 1979. ll primo artista a essere invitato è Jannis Kounellis, mentre il primo partner europeo è Il centro di ricerca dell’università di Roma La Sapienza, il Museo laboratorio di arte contemporanea (Mlac) già diretto da Simonetta Lux.

Branko Miliskovic dalla performance “Enlightening”, 2010 foto Nemanja Ladjic A pag. 94, dall’alto: Vlatka Horvat “Arrangements (ll)”, 2008 Ana Prvacki “The wild goose step (and then she said)” still da video, 2007

vare trincee tra i corpi sparsi sul campo di battaglia. È da queste esperienze che l’artista ha sviluppato un profondo senso di sfiducia per la macchina politica che ha visto i vicini prendere di mira altri vicini, sparando attraverso linee arbitrarie di demarcazione. A lungo andare questa esperienza lo ha portato alla sobria costatazione che la “storia della razza umana può essere vista come una storia di conflitti”, la maggior parte dei quali sono “destinati ad essere dimenticati, sepolti sotto la superficie della storia”. I viaggi successivi dell’artista lo portano a fotografare vari campi di battaglia, inclusi quelli di Waterloo, Gallipoli, Troia, Verdun, Normandia, Istanbul, Gettysburg e Kursk. Poiché le competitive incarnazioni sociali, culturali e linguistiche, rendono quasi impossibile reclamare un’idea fissa di storia o identità nazionale, il rapporto tra storia e luogo è diventato una lotta per il possesso del passato. Jelena Tomasevic, nata a Podgorica, Montenegro, è profondamente legata all’istituzione del dipingere. Nei suoi dipinti, video e installazioni esplora l’identità al di là della palese identità sessuale o categorie nazionali. La serie di dipinti “Joy of life” rappresentano figure maschili e femminili che indugiano in un universo disgiunto e postutopico. Le figure non sono coinvolte in alcuna attività, stanno semplicemente posando come nelle riviste di moda. Figure femminili con tacchi alti, vestite in completi urbani alla moda suggeriscono azioni sinistre dove la violenza è solamente percepita. Segnalano l’avvento della tarda cultura capitalista dello spettacolo, come un ritratto del mondo che si è spinto da solo verso una strada senza via d’uscita. Questi sono alcuni degli esempi di incredibilmente determinate visualizzazioni non convenzionali in cui credo.

95


96-97 s12:52-53 s7

8-10-2010

15:03

Pagina 1

il cammeo

Immagini d’amore Sabaudia dedica un museo a Emilio Greco: incisioni, sculture e rilievi sul rapporto di coppia di Adiem

U

Uomo e donna in dialettica d’amore. Unioni che preludono ad addii. Canti a due voci e per voce sola. Sono le tonalità prevalenti in gran parte delle opere di Emilio Greco raccolte nell’omonimo museo di Sabaudia, in provincia di Latina. Incisioni, sculture, medaglie e rilievi che si propongono anche come alter ego visivo delle poesie che l’artista ha dedicato al più dibattuto e insondabile dei sentimenti. Con il privilegio, nel destino della coppia, accordato al distacco, come emerge dai suoi versi: “Non ha più speranza del ritorno questo mio lungo commiato d’amore”. Nato a Catania nel 1913 e morto a Roma nel 1995, Emilio Greco ha soggiornato a lungo a Sabaudia, dove è seppellito. Il Museo ha inaugurato nel 1985. Anima della vita culturale cittadina, dotato di ambienti per esposizioni temporanee ed attrezzature multimediali, è un degno pendant degli altri tre musei intitolati a Greco: Tokio, Orvieto e Catania. A concludere il ciclo di eventi programmati in occasione del venticinquennale è stata la personale Emilio Greco, la dimensione psicologica e spirituale. L’accorto allestimento portava la firma di Giorgio Agnisola che ha offerto una delle letture più convincenti della personalità dell’artista, fondandola sull’intenso legame, a tratti biunivoco, fra interiorità e l’aspetto tangibile della stessa. Un legame che si alimenta di un robusto allenamento all’indagine introspettiva: i volti, le figure, le posture scelte da Greco vogliono davvero essere lo specchio dell’anima, il mettersi in vista dei (terre)moti emozionali, delle pulsioni affettive, delle ambizioni ascetiche. Il tutto, tecnicamente parlando, ottenuto con un dosaggio rivoluzionario del segno e della lumeggiatura che obbliga lo sguardo a fissarsi sugli scuri, a rarefarsi e quindi a riposarsi, dopo tanta densità, anche metaforicamente intesa, sulle ampie e decise zone di chiaro. Nei prossimi mesi il museo organizzerà un ciclo di incontri con l’obiettivo di far conoscere le opere del maestro dedicate al disegno a china, a matita e le tecniche dell’incisione. Museo Emilio Greco, palazzo Comunale, Sabaudia (Latina). Info: 0773515791.

96


96-97 s12:52-53 s7

6-10-2010

14:14

Pagina 2

Emilio Greco Immagine d’amore 1972

97


98 s12:05 s6

6-10-2010

17:20

Pagina 1

INSIDEART tutti i mesi nelle migliori edicole, nei principali musei e nei più esclusivi art hotel su www.insideart.eu la lista completa

offerta abbonamento 11 numeri 38 euro invece di 55 euro abbonamento online 11 numeri 11 euro abbonamenti@guidotalaricoeditore.it

Sofà

TRIMESTRALE ANNO 4 NUMERO 12

Sofà è una pubblicazione trimestrale di Editalia Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato viale Gottardo 142, 00141 Roma Numero verde 800014858 - fax 0685085165 www.editalia.it

Direttore responsabile Guido Talarico direttore@guidotalaricoeditore.it Amministratore delegato Carlo Taurelli Salimbeni c.t.salimbeni@guidotalaricoeditore.it Caporedattore Maurizio Zuccari m.zuccari@guidotalaricoeditore.it Redazione Giorgia Bernoni, Simone Cosimi Maria Luisa Prete, Camilla Mozzetti redazioneinsideart@guidotalaricoeditore.it

www.guidotalaricoeditore.it

Autorizzazione del Tribunale ordinario di Roma n. 313 del 3.8.2006

Raffaella Stracqualursi marketing@guidotalaricoeditore.it

Stampa Bimospa spa, via Gottardo 142 00100 Roma Responsabile trattamento dati Guido Talarico. Le notizie pubblicate impegnano esclusivamente i rispettivi autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Tutti i diritti sono riservati

Grafica Gaia Toscano grafica@guidotalaricoeditore.it

In copertina

Foto Manuela Giusto, Ap/Lapresse

Lire 50 del cinquantenario dell’unità d’Italia, 1911

Hanno collaborato Valeria Cantoni, Stefano Cosenz Anna Dalla Mura, Flaminio Gualdoni, Manfredi Lamartina, Elena Mandolini, Claudia Quintieri Marilisa Rizzitelli, Cecilia Sica, Jovana Stokic

numero chiuso in redazione il 06.10.10

Progetto editoriale e realizzazione Guido Talarico Editore spa

Pubblicità e marketing

Coordinamento editoriale Editalia Cecilia Sica, Daniela Tiburtini

Sofà è visibile online sul sito www.insideart.eu


18:56

Pagina 1

Marco Polo. Le Livre des Merveilles

RD 167 - Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma NOVITÀ

L’Acerba

Giacomo Maggiolo. Carta nautica del bacino del Mediterraneo

Trattato di Aritmetica di Lorenzo il Magnifico

Cart. naut. 2. Bibl. Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma

La Bibbia di San Paolo Biblia Sacra. Codex membranaceus saeculi IX Abbazia di San Paolo fuori le Mura, Roma

Exultet di Salerno Museo Diocesano, Salerno De balneis Puteolanis Ms.1474 - Biblioteca Angelica, Roma Codice Oliveriano I Ms. I - Biblioteca Oliveriana, Pesaro

Ms. fr. 2810 - Bibliothèque nationale de France, Paris Ms Pluteo 40.52 - Biblioteca Mediceo Laurenziana, Firenze Ms. Ricc. 2669 - Biblioteca Riccardiana, Firenze

De Re Rustica Codice E 39 - Biblioteca Vallicelliana, Roma

Le miniature della Bibbia di Oxford Ms W. 106 - The Walters Art Museum, Baltimora / Musée Marmottan, Paris

Codice di Medicina e Farmacia di Federico II Ms Pluteo 73.16 - Biblioteca Mediceo Laurenziana, Firenze

Produced under license of Ferrari Spa. FERRARI, the PRANCING HORSE device, all associated logos and distinctive designs are trademarks of Ferrari Spa. The body designs of the Ferrari cars are protected as Ferrari property under design, trademark and trade dress regulations

PIER PAOLO PUXEDDU + FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

Andreas Cellarius. Atlas Coelestis seu Harmonia Macrocosmica

SCULTURE IN MOVIMENTO: ENZO FERRARI Il tributo al fondatore del Cavallino Rampante Sintesi di arte e tecnologia, questo è sinonimo di Ferrari. Ma anche passione, amore per la sfida, impegno per raggiungere il risultato e superare ogni traguardo, capacità di guardare sempre avanti. E di questo si parla quando il protagonista è l’uomo che ha creato una leggenda: Enzo Ferrari. Solo un’auto estrema come questa poteva portarne degnamente il nome. E solo con un’opera d’arte come questa potevamo farne risplendere ogni dettaglio, nella sua aggressiva perfezione.

Il fascino assoluto del mito La scultura è realizzata con la tecnica della microfusione a cera persa, in bronzo laminato in palladio. I cristalli sono realizzati con la tecnica dello smalto a caldo.

Un prezioso smalto “cattedrale” trasparente permette la visione dei particolari del motore. Scala: 1/18 Dimensioni: 10,5 x 25 x 5,4 cm ca.

TIRATURA LIMITATA PER L’ITALIA A 399 ESEMPLARI NUMERATI E CERTIFICATI

FERRARI ARTISTIC LIMITED EDITIONS

L’ARTE SI ACCENDE DI ROSSO

www.editalia.it

800 014 858 numero verde

PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

5-10-2010

foto RM studio

copertina volta s12:copertina s6


12-10-2010

16:35

Pagina 1

Editalia - Edizioni in Facsimile

Andreas

Cellarius

Sofà

copertina bianca:copertina s6 C

Sofà

atlas coelestis

Anno IV Numero 12 2010

PIER PAOLO PUXEDDU + FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

RD 167 - Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma

TRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Dodici, sontuose tavole che illustrano le costellazioni e i sistemi planetari: un viaggio fantastico attraverso i cieli, fra gli astri, i pianeti, le costellazioni e le figure mitologiche che le identificano. Immagini di grande interesse storico e scientifico, capaci di affascinare con la potenza della loro suggestione.

LIBRI D’ARTE, MONETE E MEDAGLIE

per raccontare la nostra storia

Tre Cartelle, ciascuna delle quali contiene quattro tavole montate su tela (formato 133x111 cm). Le tavole (ciascuna del formato di ca. 59x48 cm), sono riprodotte in facsimile su carta speciale per stampe d’arte con nove colori e ritocchi di oro a caldo. Sono realizzate dall’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Tiratura limitata a 999 esemplari numerati e certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

800 014 858 numero verde

150

anni di unità

L’Universo elegante

www.editalia.it

12

Eventi/1

Eventi/2

Sisi e Amato: 1861, i pittori del Risorgimento

Vittorini racconta Guttuso nel centenario della nascita

Un caffè con

Bonito Oliva: un’enciclopedia per il contemporaneo

Le interviste possibili

Garibaldi un eroe inutile?


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.