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FERRARI 1947-2007. SESSANT’ANNI DI SUCCESSI, SESSANTA MOMENTI INDIMENTICABILI.

La storia della Ferrari dal 1947 ad oggi raccontata attraverso le immagini più significative raccolte in una preziosa opera in tiratura limitata. 60 smalti e 60 stampe d’arte realizzati in esclusiva da Editalia per le celebrazioni della Casa di Maranello.

Dedicato a tutti coloro che hanno la Rossa nel cuore. numero verde 800 014 858

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2008

In collaborazione con: Assocarta,

Assografici, Confartigianato

edizione del premio alla qualitĂ italiana nel settore cartario Il Premio Carte, promosso da Symbola - Fondazione per le qualitĂ italiane e da Comieco - Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base cellulosica, in collaborazione con Confartigianato, Assocarta e Assografici, nasce con l'obiettivo di promuovere e riconoscere l'importante ruolo economico e culturale che il settore cartario riveste nel nostro Paese. La carta è oggi protagonista di un nuovo percorso che coniuga l’innovazione e le nuove tecnologie produttive, il design e la creativitĂ , il territorio e lo sviluppo sostenibile, la tradizione e i saperi artigianali.

Cerimonia di Premiazione MartedÏ, 7 ottobre 2008 - Roma Il Premio conferito nelle 4 categorie (Territorio, Tecnologia e Innovazione, Talento, Tradizione) è un riconoscimento a quelle realtà che meglio incarnano i valori del Made in Italy.

Segreteria Organizzativa Premio Carte 2008 F R 6\PEROD )RQGD]LRQH SHU OH TXDOLWj LWDOLDQH ‡ YLD 0DULD $GHODLGH 5RPD WHO ‡ ID[ ‡ SUHPLRFDUWH#V\PEROD QHW


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editoriale

In viaggio

con le Ombre

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Editalia presenta il nuovo libro d’artista di Paladino e Scianna

Lo sviluppo del progetto culturale ed imprenditoriale di Editalia, partendo dalla tradizionale e ancora viva attività di editore di raffinati volumi per bibliofili, ha avuto nell’arte contemporanea il proprio naturale approdo. Inevitabile, di conseguenza, coniugare queste due anime, dando vita ad opere d’arte in forma di libro. Dopo il Chisciotte ecco, dunque, un nuovo libro d’artista: Ombre. Le incisioni di Mimmo Paladino e le fotografie di Ferdinando Scianna sono il cuore dell’universo espressivo di Ombre, la narrazione visiva prende il sopravvento, la scrittura si trasforma in traccia, scorre parallela, in una reciproca interazione tra suggestioni e linguaggi che rimandano ai mondi dell’immaginario artistico e letterario in cui ciascuno trova la propria chiave di lettura. Perché la forza del libro è proprio nella sua forma, che consente di creare un percorso personale ed intimo nella fruizione dei contenuti. In questo senso, il libro d’artista è la sublimazione della forma libro: ci conduce lungo il flusso creativo dell’artista pagina dopo pagina, ci permette di percorrerlo, scomporlo e ricomporlo secondo una personale esperienza emozionale e cognitiva. Un grazie, quindi, a Mimmo Paladino, straordinario artista e mentore di Ombre, a Ferdinando Scianna che ha mirabilmente introdotto la fotografia d’arte nel dialogo tra testo e immagini, a Corrado Bologna per la sottile linea di parole che ha saputo tracciare tra le ombre e a Roberto Gatti, sensibile e attento stampatore d’arte. Da questo numero, la sezione Arte e impresa si arricchisce di una nuova rubrica, “A regola d’arte”, che vuol essere uno spazio dedicato a quelle imprese italiane capaci di eccellere sotto il segno della qualità. Se l’arte e la cultura possono sostenere la singola impresa, contribuire a definirne la missione e l’ immagine, a comunicarla e a formare le risorse interne, in senso più lato l’arte e la cultura fanno parte del patrimonio genetico di un paese, possono permearne il modo di fare impresa e rappresentare un formidabile vantaggio competitivo. E infatti, l’Italia che vince la sfida della globalizzazione è fatta in primo luogo di piccole-medie imprese e distretti produttivi strettamente legati al territorio, alla ricchezza culturale e alla storia che esso esprime. È davvero un piacere che la nuova rubrica sia inaugurata da un’intervista ad Ermete Realacci, presidente di Symbola, Fondazione per le Qualità italiane e luogo privilegiato di incontro per imprese e comunità locali che “ce la fanno” a proiettarsi nel futuro proprio nel segno della qualità e della tradizione. Infine, un sincero ringraziamento all’assessore alla Cultura del Comune di Roma, Umberto Croppi, che ha concesso alla nostra rivista una delle sue prime interviste, densa di contenuti e indicazioni concrete, sulla futura politica culturale della capitale.

Marco De Guzzis Amministratore delegato Editalia

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sommario

38 NEWS

PRIMO PIANO

Cronache d’arte Nell’universo delle biennali

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Esposizioni in Italia e all’estero Da Manzù a Leibovitz, cosa c’è da vedere

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Eventi/1 Artelibro Bologna, Ombre e luci

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Eventi/2 Quadriennale Roma, la nuova Italia è in rete

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Eventi/3 Palladio, straordinaria semplicità

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Grandi mostre/1 Rembrandt e Riccio, chiaroscuri olandesi

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Grandi mostre/2 Mediterraneo, figure nel mitico mare

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Grandi mostre/3 Schifano, colori come metafore

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Belpaese da salvare Faro di Otranto, risorge il guardiano del mare

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I luoghi del bello Isole Borromeo, sublimi scenari

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75 PERSONAGGI

Il corpo dell’arte Ettore Consolazione, opere di luce

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L’arte prende corpo Nicol Vizioli, vite in equilibrio su alluci privi di ossa

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Conversando sul sofà Umberto Croppi, il futuro di Roma

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Un caffè con Philippe Daverio: Lombardi, un ferrarese sotto le due torri

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ARTE & IMPRESA A regola d’arte Symbola, Ermete Realacci: questa è l’Italia di qualità

MERCATO

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I mestieri dell’arte Unaluna, editoria tra innovazione e tradizione

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Il motore dell’arte Unicredit & art, Catterina Seia: diamo credito all’arte che vale

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Comunicare ad arte Francesca Molteni: Ultrafragola, la web tv del design

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Il cammeo di Adiem Cambellotti tra arte e tecnica

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Codex Il Pluteus 73.16 di Federico II

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In vetrina La Costituzione, la Numero uno e Il volo di Basile

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All’incanto Arte etnica, il fascino di mondi lontani

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cronache d’arte

NELL’UNIVERSO delle biennali

A Mestre il progetto multimediale di Artefacta con inediti percorsi virtuali intorno al mondo di Annarita Guidi

Andrea Juan, Metano X proyecto Antàrtida III, 2007

ell’era in cui l’esistenza virtuale doppia quella fisica, l’arte moltiplica le proprie possibilità di fruizione cogliendo l’occasione di visibilità offerta da internet. Visibilità frammentata che potenzialmente da ogni luogo del globo converge su uno spazio culturale: come Jeremy Rifkin insegna da anni, la chiave è l’accesso. Sulla scia delle nuove prospettive create dal web 2.0 – dove l’interattività non è più solo un’idea, ma la principale piattaforma dell’agire sociale e comunicativo – si è sviluppato il progetto Artefacta, nato dall’idea di Stefano Scialotti e Giuseppe Polegri e coprodotto dall’Istituto enciclopedia Treccani, da Dinamo Italia e dalla casa editrice londinese Trolley. Si tratta di un vero viaggio multimediale (www.treccanilab.com/biennale_di_venezia) che consente di visitare la 52esima Biennale arte di Venezia attraverso una serie di mappe, navigabili dall’utente per raggiungere i padiglioni, gli artisti, le opere e gli eventi collaterali. A disposizione oltre trecento film tra interviste, monografie degli artisti e delle opere. L’essenzialità della comunicazione e il

coinvolgimento emotivo sono gli obiettivi più importanti che la direzione artistica di Artefacta si pone, puntando sulla semplicità e sul parallelismo con il comportamento naturale dei visitatori alle mostre. Oggi Artefacta approda a Mestre per trasformarsi in mostra: il servizio multimediale di vivere l’arte viene offerto al grande pubblico della laguna. L’esposizione, diretta da Stefano Scialotti, mira a far immergere fisicamente i visitatori nei principali padiglioni della scorsa Biennale d’arte attraverso proiezioni e visite guidate. Non solo: altro obiettivo è quello di creare sinergie con le altre biennali. Il programma prevede infatti una sezione dedicata alle proiezioni video dalle biennali del mondo (L’Avana 2000, Cairo 2001, San Paolo 2002, Montreal 2003, Shanghai 2004) in cui è anche visibile, in anteprima, il video dedicato a Dak’art, la biennale inaugurata a Dakar nel maggio 2008. E ancora, una terza sezione dedicata alla Bienal del Fin del mundo (Ushuaia, Argentina), con un’opera di Andrea Juan e un fotoreportage di Giancarlo Ceraudo, e una quarta al video della performance Commissaires refusés de Sophie Calle. Fino al 14 settembre, centro culturale Candiani, piazzale Candiani 7, Mestre. Per informazioni: 0412386126; www.centroculturalecandiani.it.

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cronache d’arte Una gemma a Palazzo Te L a collezione Gonzaga torna a casa. La mostra d’autunno a palazzo Te di Mantova, che parte il 12 ottobre, è un affascinante viaggio nella ricca raccolta ducale d’origine quattrocentesca smembrata nel 1627 con la vendita di parte delle opere a Carlo I Stuart. Tra le gemme antiche e moderne, i dipinti e le medaglie ci sono anche dei preziosi cammei tra i quali spicca per la qualità artistica il cammeo Gonzaga, appartenente a Isabella d’Este. Il manufatto, attualmente conservato all’Ermitage, rientra a Mantova dopo oltre quattrocento anni. Fino all’11 gennaio. Info: www.centropalazzote.it. (S. C.)

Casiraghi punta tutto su Roma Ottanta gallerie e spazi di Roma aperti per due giorni fino a mezzanotte con vernissage, incontri, performance. A promuovere Roma art weekend, il 10 e 11 ottobre, l’organizzazione della fiera capitolina The road to contemporary art insieme all’assessorato alle Politiche culturali del comune. «Siamo convinti – dice Roberto Casiraghi, direttore dell’evento – che la cooperazione tra la neonata fiera e le gallerie della città sia la via per fare di Roma la capitale dell’arte contemporanea».

Nuovi orizzonti artificiali I

A letto con l’artista francese “Au lit avec mon artiste”. Per conoscere l’arte, andate a letto con l’artista. Il progetto di un gruppo di 13 giovani artisti francesi è provocatorio quanto basta per non passare inosservato: per cercare committenti, i 13 si offrono in rete (non in senso biblico) sul sito dernier-avertissement.com. Qui è possibile vedere i loro lavori ed ingaggiarli per un’ora o un fine settimana (da 50 euro a tremila), insomma per il tempo necessario alla realizzazione di un’opera personalizzata. Un modo per scavalcare le gallerie e per costruire un rapporto diretto con l’utente, visto che nel tariffario sono compresi anche vitto e alloggio. Ma solo quelli.

l genio approda a Firenze. Parte il 23 ottobre la terza edizione del Festival della creatività. Visioni, viaggi, scoperte il titolo di quest’anno. Lo spunto, le celebrazioni per Galileo Galilei nel quarto centenario delle sue intuizioni: visioni sul futuro, viaggi nel tempo e nello spazio, invenzioni in ogni campo del sapere sono gli ingredienti dei quattro giorni alla fortezza da Basso. Artisti, scienziati, intellettuali ma anche giovani inventori sono i prota-

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gonisti di un evento che propone le migliori idee creative in circolazione: dalla cultura al design, dalla comunicazione ai new media alle arti. Tra gli ospiti Michelangelo Pistoletto, il celebre designer Jonathan Barnbrook, Piergiorgio Odifreddi, Margherita Hack e Franco Pacini. Per la musica Daddy G, uno dei fondatori del Wild bunch sound system, da cui emersero i Massive attack. Fino al 26 ottobre. Info: www.festivaldellacreativita.it.


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A quattrocento anni dalla nascita, il Don Chisciotte non è mai stato così moderno.

Pier Paolo Puxeddu+Francesca Vitale foto: Eligio Paoni, location Ex Pastificio Cerere

Un grande progetto che unisce arte e editoria, curato interamente da Mimmo Paladino con Editalia, per celebrare il quarto centenario della pubblicazione dell’opera di Cervantes.

Don Chisciotte di Mimmo Paladino Ventuno incisioni all’acquaforte e acquatinta, quattordici incisioni all’acquaforte, acquatinta e collage, sette acqueforti, tre collage e quindici impressioni tipografiche compongono l’opera. Con le immagini dell’artista, dialogano quattordici composizioni del poeta Giuseppe Conte. L’opera è stata interamente curata dall’artista in esclusiva per Editalia e realizzata in tiratura limitata di 120 esemplari, di cui 100, numerati in numeri arabi da 1/100 a 100/100, sono riservati ai collezionisti. Ogni esemplare reca la firma dell’artista. Il volume di grande formato (48 x 35,5 cm circa, formato massimo aperto 48 x 105 cm circa) è raccolto in fogli intonsi, piegati e non rilegati. Accompagnano il volume un’incisione ad acquaforte e acquatinta “fuori testo” di Paladino, numerata, firmata e corredata di certificazione, e il cd “Sui sentieri di Don Chisciotte”, cunto di Mimmo Cuticchio che, rievocando la tradizione orale dei cantastorie, dà voce alle mirabolanti avventure del Cavaliere errante.

numero verde 800 014 858

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expo in Italia ROVERETO

PARMA

IMPRESSIONISTI

CORREGGIO

Per la prima volta arriva all’estero la raccolta dell’Israel museum di Gerusalemme, dedicata a impressionisti e postimpressionisti: tra gli altri, Paul Cézanne e Paul Gauguin. Fino al 6 gennaio 2009, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, corso Bettini 43, Rovereto. Info: 800397760; www.mart.trento.it.

La formazione umana e artistica di Antonio Allegri detto il Correggio e il rapporto del pittore della luce con il suo tempo in una grande mostra a cura di Lucia Fornari Schianchi, allestita nei luoghi che ospitano alcuni dei capolavori realizzati dall’artista. Dal 20 settembre al 25 gennaio 2009, galleria Nazionale, camera della Badessa in san Paolo, monastero di san Giovanni Evangelista, cattedrale, Parma. Info: www.mostracorreggioparma.it.

PERUGIA DA COROT A PICASSO

TIVOLI RITRATTO BAROCCO

Una grande mostra dedicata al ritratto nel Seicento e nel Settecento. Quaranta opere provenienti da collezioni private sia italiane che internazionali, poco note o mai esposte al pubblico e rappresentative dei massimi ritrattisti attivi nella Roma dell’epoca: raffigurazioni di papi, principi, cardinali e figure di spicco della società nella prima esposizione di arte antica ospitata a villa d’Este. Fino al 4 novembre, villa d’Este, Tivoli (Roma). Info: www.villadestetivoli.it.

CASTIGLIONCELLO DA FATTORI A CORCOS A GHIGLIA

Un viaggio pittorico che parte da una selezione di opere dei Macchiaioli e procede verso il Naturalismo della pittura toscana, per poi presentare i ritratti di Vittorio Corcos. Fino al 2 novembre, castello Pasquini, piazza della Vittoria, Castiglioncello (Livorno). Info: 0586724297.

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La passione collezionistica: le raccolte di Duncan ed Elisa Phillips e di Giuseppe Ricci Oddi a confronto per celebrare, rispettivamente, i maestri dell’impressionismo e i protagonisti dell’arte tra ‘800 e ‘900. Fino al 18 gennaio 2009, palazzo Baldeschi al Corso, corso Vannucci 66, Perugia. Info: www.fondazionecrpg.it.


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MONTECATINI TERME BOLDINI MON AMOUR

Il rapporto tra Giovanni Boldini e l’universo femminile, indagato sul piano estetico e psicologico dal pittore ferrarese, rivive in un’esposizione di 110 dipinti e 60 disegni e celebra uno dei più importanti esponenti dell’Ottocento italiano. Dal 18 settembre al 30 dicembre, polo espositivo ex terme Tamerici, Montecatini Terme (Pistoia). Info: www.comunemontecatini.com.

BERGAMO MANZÙ SCULTORE

Manzù padre e Manzù figlio in mostra: una doppia personale racconta in 60 opere il periodo centrale di Giacomo Manzoni e l’itinerario di Pio Manzoni, designer di fama internazionale. Dal primo ottobre all’8 febbraio 2009, Galleria d’arte moderna e contemporanea, via san Tomaso 53, Bergamo. Info: www.gamec.it.

TRIESTE MEDIOEVO

Una mostra per presentare il castello di san Giusto – tornato alle origini dopo un radicale restauro – e riscoprire la Trieste del ‘300. L’itinerario tra i luoghi topici del Medioevo è arricchito da un’esposizione che documenta il paesaggio urbano e la vita sociale dell’epoca. Fino al 25 gennaio 2009, castello di san Giusto, piazza della Cattedrale 3, Trieste. Info: 040-309362.

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expo nel mondo PRAGA I MAESTRI DELLA

VIENNA BRAQUE, L’ALTRO PICASSO

TRADIZIONE CINESE

Il Kunstforum della Banca d’Austria presenta una grandiosa retrospettiva su Georges Braque: un raffinato omaggio a uno dei più grandi avanguardisti del Novecento. Si tratta non solo della prima retrospettiva realizzata in Europa centrale dopo circa vent’anni ma anche la prima volta in assoluto per Braque in Austria, a quarantacinque anni dalla morte, nel 1963. L’esposizione rappresenta dunque un’opportunità unica per riscoprirne l’immensa opera pittorica e grafica. Circa 80 dipinti e numerose stampe guidano infatti il visitatore nell’unicità della sua avventura creativa: Braque fra i fauves, Braque il metodico, Braque l’inventore del collage, Braque il cubista, il “costruttore lirico” e così via. Fino al primo marzo 2009. Vienna, Kunstforum. Info: www.bankaustriakunstforum.at.

Grazie ai contatti tra artisti e storici cechi e cinesi, la Galleria nazionale di Praga ha allestito alla Waldstein riding school una sezione sulla pittura cinese con dipinti importanti tra cui quelli di Qi Baishi, Li Keran, Lin Fegmian e Xu Beihong. Paesaggi, insetti, fiori e uccelli sono i loro temi preferiti. Fino al 2 novembre. Praga, Galleria nazionale. Info: www.ngprague.cz.

LONDRA ANNIE LEIBOVITZ,

UNA VITA DA FOTOGRAFA

Oltre 150 fotografie della celebre Annie Leibovitz. Immagini di famiglie e dei suoi migliori amici insieme ad alcuni ritratti di attori e attrici come Richard Avedon, Angelina Jolie, Nicole Kidman e altri. Fino al 14 settembre alla Maison européenne de la photo di Parigi, la mostra si sposta a Londra dal 16 ottobre e fino al primo febbraio 2009. Londra, National portrait gallery. Info: www.npg.org.uk.

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TORONTO PANORAMICA ARTISTICA SU SHANGAI

Una selezione di lavori contemporanei – dai disegni alle videoinstallazioni su moda e musica fino ai videoclip e alle esposizioni fotografiche dei migliori artisti del momento – attestano Shanghai come una città vivace, giovane e creativa nei campi dell’architettura, delle arti vive come fotografia e design e dell’arte figurativa. Fino al 2 novembre. Toronto, Royal Ontario museum. Info: www.rom.on.ca.

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BERLINO MITI ARTISTICI IL XIX SECOLO Articolato in una serie di mostre basate sul culto dell’artista, la galleria nazionale di Berlino presenta un interessante ciclo dal titolo “Miti artistici. Il XIX secolo”. L’esibizione, che inizia il primo ottobre, investiga i temi ricorrenti della pittura del sé e dell’esistenza dell’artista in relazione agli altri. Dal ritratto di Thorvaldesen con due suoi amici fino all’intero lavoro dei fratelli Wilhelm e Ridolfo von Schadow passando per l’opera di Caspar David Friedrich, che rivela l’intento di trasformare l’isolamento e l’ascetismo in elementi portanti della sua vita e del suo approccio all’arte. A breve le altre due tappe del percorso. Fino al 18 gennaio 2009. Berlino, galleria nazionale. Info: www.smb.museum.

LONDRA ROTHKO ALLA TATE Dal 21 settembre e fino a febbraio 2009 alla Tate una grande retrospettiva dedicata a uno dei più grandi artisti americani del dopoguerra, Mark Rothko. Il nucleo è costituito da un gruppo di quindici murales. In esposizione anche la serie “Blackform”, dipinta a partire dal ‘60, e gli ultimi dipinti dell’artista, i “Black on gray”, un gruppo di opere che segna il punto d’arrivo della sua arte, sempre più orientata verso nuove prospettive tese al dialogo con lo spettatore. Info: www.tate.org.uk.

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eventi ARTELIBRO BOLOGNA

Ombre e luci

Lampi di luminosità in bianco e nero nel libro d’artista di Editalia di Corrado Bologna*

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mbre e luci. Di questo è fatta la storia dell’uomo; questa è la forza, e nel contempo la terribile fragilità del suo vivere cercare amare conoscere morire. Avvolta nella luce e nell’ombra, che si presentano irrimediabilmente insieme, la vita umana è un continuo oscillare di chiarissima ragione e di emozioni oscure, un fluire senza tregua di impulsi opachi e di idee luminose. La luce e l’ombra, realtà inscindibili, accompagnano il moto del tempo, il lento, immutabile giro del sole che scandisce le ore della natura e della nostra esistenza. Convivono, non possono allontanarsi l’una dall’altra. Si può vedere solo attraverso la luce, ma la luce proietta l’ombra degli oggetti su cui si posa, le montagne e le nuvole, le case e gli esseri viventi, le più piccole foglie e le foreste sterminate, pareggiandoli e rendendoli tutti nello stesso momento corposi ed aerei, pesanti e dinamici: giacché senza un attimo di riposo, dall’alba al tramonto, il sole trascina con sé la loro ombra lungo il dorso della terra, almeno finché le nuvole non lo coprono. L’ombra e la sua compagna fedele, la Luce, sono Personaggi del mito, incarnano un tema di potenza archetipica che popola l’immaginario di tutta l’umanità. La creazione del mondo avvenne attraverso la separazione della Luce dall’ombra. Agli inferi furono cacciati gli spiriti della notte, assunti nella radiosa luce del cielo quelli positivi per la vita. Forse più della Luce, però, è l’ombra ad affascinare da sempre gli artisti, specie quelli dell’immagine. La sfida con l’oscurità li seduce: desiderano vincere le tenebre dando loro un profilo, rappresentandole, e così “portandole alla luce”. Il Caravaggio più buio, il Goya delle pitture scure e delle incisioni graffianti, il Rothko dei monocromi nero su

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nero, sono fra i predecessori altissimi a cui guardavano con evidente ammirazione Mimmo Paladino e Ferdinando Scianna, allievi stupendi di sguardo e di penetrazione, mentre realizzavano le quasi cento incisioni e fotografie, tutte ombre e lampi di luminosità, che costituiscono il nuovo libro pubblicato in pochissimi esemplari numerati da Editalia. Ombre è, appunto, il titolo di questo raffinato libro d’arte dei due autori, unitario e speculare, molteplice e compatto, polifonico, ricamato con la grazia lieve di una sonata, di un liquido duetto da camera tra violoncello e pianoforte. C’è musica, c’è armonia, in Ombre. Non a caso nell’artigianato editoriale si chiama leporello la forma-libro che Roberto Gatti, incisore e impaginatore di talento e gusto rari, ha messo in opera nel suo laboratorio di Modena: nel capolavoro di Mozart è il servitore Leporello a tenere il catalogo delle innumerevoli conquiste del suo signore, il libertino Don Giovanni; e chi non ricorda, nel bellissimo film di Joseph Losey, il leporello che Leporello sciorina sulla superba scalinata della Rotonda di Palladio? La vista e l’udito si intrecciano e si scambiano, come nell’opera lirica: Ombre, che è un leporello delle forme fatte innamorare e soggiogate da Mimmo Paladino e Ferdinando Scianna, diviene, sfogliandolo e ascoltandone il ritmo, un’armoniosa fisarmonica di fogli modulati come un solo flusso di carta, una corrente ininterrotta di segni e di tracce: di ombre, di luci. Le incisioni di Paladino dialogano con le fotografie di Scianna, e le immagini scorrono lungo l’impaginazione in un dialogo senza parole, seducente, trascinante. Senza un programma determinato, ma incontrandosi fra bianco e nero, fra nero e nero e fra bianco e bianco, seguendo le tracce reciproche su una sottile linea d’ombra che trascrive il profilo esatto e onirico


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della realtà, Paladino e Scianna ci offrono uno sguardo sul mondo che sorprende, e talvolta inquieta. I giochi di specchi che essi creano in Ombre sono fisici e metafisici, affascinanti e ingannevoli come gemelli siamesi. Ombre è un libro di segni e di sogni, in cui ritratti di luce e di tenebra sbocciano da luoghi e gesti quotidiani, e le favole più strane prendono forma attraversando spazi vuoti e desolati, semplici sequenze di comunissime “cose” derelitte, abbandonate dagli uomini e dal senso, che i due artisti riscattano a nuovo valore cogliendone significati segreti. Con gesto umanistico e terapeutico, Alberto Burri trasformava i sacchi gettati via dai mugnai, lacerati e ormai inutili, nelle più alte allegorie del nostro tempo. Affacciandoci con gli occhi di Paladino e di Scianna sulle “cose di fuori”, gli oggetti che formano la realtà della vita, impariamo a osservarle per così dire riverberate nello specchio delle “cose di dentro”, che la loro immaginazione scopre e disvela. Entrambi hanno lo spirito d’avventura puro ed estremistico di don Chisciotte (su cui Paladino ha realizzato per Editalia un mirabile libro d’autore e una splendida edizione acquerellata del romanzo). Entrambi hanno l’occhio interiore aguzzo e coraggioso dei grandi eroi della fantasia: signori dei confini, esploratori dell’oltre, perforano la pelle invisibile delle cose, passano dal lato “di dentro” degli oggetti. Scianna scatta foto in cui il soggetto vero è l’ombra di chi scatta la foto; e non riproduce oggetti o

corpi, ma l’ombra di corpi assenti, di oggetti dei quali solo il negativo della luce certifica la presenza. Paladino, incidendo lastre di ferro leggermente smussate sugli angoli come fossero uno schermo cinematografico mentale (l’ultima sua grande opera visiva è un magnifico film, Quijote), ci invita a far scorrere storie sgorgate dagli interstizi fra le pagine sue e quelle di Scianna. Ma forse la vita è un sogno: come sapeva Amleto, i sogni stessi non sono che ombre. Quante storie, quante narrazioni possibili! Un uomo con bastone da pastore che si avvia, di spalle, verso le montagne che continuano nella foto di fronte, quasi a raggiungere un asino immobile sotto una palma irrorata di sole. Chiome arborescenti che fanno rima con un viso di donna dai grandi ciuffi di capelli incisi a ghirigoro. Omini che sembrano lottare nel vuoto sgomitolando un groviglio atmosferico che li irretisce, replicati dagli intrichi di fili elettrici su un muro graffito dal tempo e dalla mano di Qualcuno. Un cavaliere donchisciottesco che galoppa sotto la pioggia, tra fiocchi di nuvole che corrono insieme con lui, volando dalla lastra di Paladino fino alla collina tatuata dall’aratro nella foto di Scianna. Così, in una pagina bellissima di Italo Calvino, Angelica, inseguita da Orlando e da tutti i paladini della letteratura, spicca il salto dal libro del Boiardo verso quello dell’Ariosto. *curatore del volume

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Un volume fatto di sogni

Nel libro d’artista di Mimmo Paladino e Ferdinando Scianna segni e immagini creano percorsi tra fantasia e realtà di Nadine Solano

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«Non piangevo per il fatto di non avere una madre», dichiarò Peter Pan piuttosto adirato. «Piangevo perché non posso riattaccarmi la mia ombra». «Si è staccata?». «Sì». A questo punto Wendy scorse l’ombra sul pavimento e, siccome appariva tanto spiegazzata, ne fu spaurita e dolente per Peter. «È una cosa terribile!», osservò. «Ebbene, te la cucirò io, mio piccolo uomo!», promise Wendy, che non era più alta di lui. Prese il suo cestino da lavoro e si accinse a cucire l’ombra di Peter, non senza averlo avvisato che forse gli avrebbe fatto un po’ male». C’è anche questo passo tratto dalla celebre fiaba di James Matthew Barrie, fra le citazioni che appaiono nelle prime pagine di Ombre, nuova opera di Mimmo Paladino e Ferdinando Scianna. C’è questo passo, insieme alle parole di Plinio il Vecchio, Leonardo, Omero, Platone, Hegel, Giorgio Morandi. Diciassette, brevi testi che attraversano i secoli. Voci diverse, eppure ugualmente opportune. Necessarie, quasi. Perché il volume di cui si sta parlando, preziosissimo libro d’artista pubblicato da Editalia – Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, descrive un mondo che è al contempo fantasia e realtà, riflessione e poesia, dettagli, presenza, mistero e contraddizioni: quello delle ombre, appunto. Trenta incisioni all’acquaforte e dodici impressioni al carborundum realizzate da Mimmo Paladino si uniscono a trenta fotografie di Ferdinando Scianna, in una sorta di fisarmonica cartacea che misura 23 metri. Gli autori, «in due percorsi autonomi che paiono scanditi da una segreta metrica spirituale – scrive Corrado Bologna, cui è affidata la presentazione del

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Artelibro

A Bologna per celebrare il libro d’artista Ombre viene presentato nel corso della quinta edizione di Artelibro, dal 25 al 28 settembre tra il Museo civico archeologico di Bologna e il Palazzo di Re Enzo e del Podestà. Il festival è nato nel 2004 con un obiettivo ben preciso: valorizzare il libro d’arte. Il consenso è arrivato fin da subito, facendo registrare numeri di tutto rispetto: nel 2007 i visitatori hanno toccato quota 35mila. Il pubblico è sempre estremamente variegato, grazie alla ricchezza del programma e alla struttura dell’evento, suddiviso in diverse parti: una mostra mercato cui partecipano editori nazionali e internazionali; uno spazio dedicato alla divulgazione culturale, con conferenze, lezioni magistrali e presentazioni di libri; un’area riservata agli incontri professionali tra addetti ai lavori provenienti da tutto il mondo. Sono previsti, inoltre, mostre, esposizioni, focus tematici e altri eventi di indubbio interesse. Info: www.artelibro.it.

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volume – ritmano un’imbastitura di punti di fuoco, di ritorni, in pagine talvolta speculari per ermetica consonanza, che condividono l’inganno lucido del mondo fluttuante. Ombre di corpi e di alberi senza gli alberi e i corpi. Un uomo con bastone da pastore che si avvia, di spalle, verso le montagne che continuano nella foto di fronte, quasi a raggiungere un asino immobile sotto una palma irrorata di sole. Chiome arborescenti che fanno rima con un viso di donna dai grandi ciuffi di capelli incisi a ghirigoro». Un connubio di indubbia forza espressiva, dunque. Sul quale lo stesso Paladino ha scommesso senza esitazioni, «prima di tutto – dice – perché Ferdinando è da sempre un mio grande amico, poi perché amo la fotografia, il suo linguaggio. Che esiste grazie alla luce, e di conseguenza anche grazie all’ombra». Scianna, da parte sua, conferma: «L’idea nasce principalmente dal profondo legame di amicizia che condivido con Mimmo, dal piacere di stare e lavorare insieme: è per questo che spero funzioni». Rapporto umano, quindi. Ma anche «comunanza estetica che si cala in un oggetto»: è su tali basi che le pagine di Ombre prendono forma, ritrovandosi una accanto all’altra. «Da uomo, da fotografo del sud – continua Scianna – ho sempre avuto un intenso rapporto con la luce. Il sole mi interessa perché fa ombra, ma anche perché rappresenta l’universo opposto e complementare a quello dell’oscurità. La luce simboleggia un modo di essere che nasce da vicende esistenziali e diventa anche un modo di guardare il mondo». A spiegare la struttura del volume e i suoi significati è ancora Paladino: «L’abbiamo concepito come una lunga sequenza che richiama l’idea del cinema. Fa venire in mente una

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A sinistra e nelle pagine precedenti Mimmo Paladino acquaforte per Ombre Editalia, 2008 Ferdinando Scianna stampa fotografica con pigmenti al carbonio per Ombre Editalia, 2008

Il libro

Il workshop

Ombre di Mimmo Paladino e Ferdinando Scianna appartiene alla collana dei libri d’artista pubblicati da Editalia – Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato con lo scopo di coniugare le espressioni artistiche con un’altissima scuola artigiana, conservando così la più antica tradizione libraria italiana. Ombre è un libro che si sviluppa orizzontalmente per ventitré metri, con trenta incisioni all’acquaforte e dodici impressioni al carborundum create da Paladino, oltre a trenta scatti firmati da Scianna. Tutte le immagini sono collegate tra loro da tracce, richiami, idee, in un tragitto figurativo che ha un’unica protagonista: l’ombra. Analizzata, immortalata, rubata anche all’attimo più fugace. La presentazione dell’opera è affidata a uno scritto di Corrado Bologna che ha scelto anche i diciassette testi di autori classici e contemporanei; c’è anche un intervento di Marco De Guzzis, Amministratore delegato di Editalia. Roberto Gatti ha curato il progetto d’impaginazione, l’edizione è stata realizzata in 120 esemplari.

“Come nasce un libro d’artista”: questo il titolo dell’incontro inserito nel programma del festival Artelibro, durante il quale sarà presentato il volume realizzato da Mimmo Paladino e Ferdinando Scianna. Il “workshop”, promosso da Editalia, avrà luogo venerdì 26 settembre alle ore 18.30 all’auditorium Enzo Biagi. Oltre ai due autori, interverranno Marco De Guzzis, Amministratore delegato di Editalia; Roberto Gatti e Giorgio Upiglio, stampatori d’arte, Corrado Bologna, docente dell’università Roma Tre ed Enzo di Martino, critico d’arte.

Un’opera d’arte tutta da sfogliare

Un’occasione per scoprire come nasce un capolavoro

pellicola, in cui le incisioni sono accostate alle fotografie». Un accostamento che, oltre ad essere di notevole impatto visivo, si basa su un elemento comune: «In entrambi i casi – aggiunge – l’immagine finale passa da un processo di stampa. Cambia il supporto: per la fotografia è una lastra, per l’incisione può variare. Io ho utilizzato il ferro». Paladino non si lascia andare a un discorso articolato, a spiegazioni minuziose: «l’artista non si esprime con le parole», taglia corto, ma la sua voce, calma e sicura, lascia intuire soddisfazione e fiducia per il risultato ottenuto. Ombre viene presentato a Bologna il 26 settembre, nell’ambito della quinta edizione di Artelibro, Festival del libro d’arte: «È una decisione degli editori, ma credo che sarà un’esperienza importante quanto utile». Tanti occhi – soprattutto quelli dei più raffinati bibliofili – potranno ammirare il libro e il suo valore, tuttavia Paladino avverte: «Per me l’ombra è soltanto un fatto fisico e geometrico che determina la plasticità di una forma. Non ci sono significati metaforici, non ho inviato alcun messaggio. E proprio qui sta la magia, nel lasciare libera interpretazione a chi guarda». Un punto, questo, ribadito da Marco De Guzzis, Amministratore delegato di Editalia: «Le incisioni di Mimmo Paladino e le fotografie di Ferdinando Scianna sono il cuore dell’universo espressivo di Ombre, la narrazione visiva prende il sopravvento, la scrittura si trasforma in traccia, scorre parallela, in una reciproca interazione tra suggestioni e linguaggi che rimandano ai mondi dell’immaginario artistico e letterario in cui ciascuno trova la propria chiave di lettura».

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eventi

QUADRIENNALE DI ROMA

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L’esposizione d’arte chiusa nella capitale ha accolto temi eterogenei nello spirito della “serendipità” di Gino Agnese*

Non foss’altro che per il lungo intervallo tra le sue mostre, la Quadriennale di Roma è un momento di ricapitolazione firmata da cinque personalità, necessario, indispensabile nel flusso delle esposizioni, delle pubblicazioni, della comunicazione riferita all’arte contemporanea. Stavolta, un momento molto contratto, poiché riguarda soltanto un centinaio di artisti italiani, quasi tutti non più giovanissimi, molti di nome già smagliante. È un fermo-immagine. È una rassegna. È un’esposizione d’arte che non svolge un tema ma ne accoglie molti, così preferendo farsi specchio di una creatività recente, diffusa e assai varia. Ed è un’esposizione che non deriva dalle vedute di un dominus. Chapeau all’idea che una realtà così complessa e così abbondante di differenze, come è quella dell’arte contemporanea, possa essere osservata da un solo punto di vista. E tanto di cappello anche all’idea che quel punto di vista possa subito prefigurarsi e

poi tradursi – esclusioni e inclusioni – nell’esecuzione di un organico progetto espositivo. Formule e modalità che restano affermate. Però la Quadriennale mette in discussione la pretesa che l’eccellenza, anche nelle esposizioni d’arte contemporanea, debba senz’altro toccare a quelle che possono vantare i tre canonici connotati a cui si accennava: il tema, il dominus, il progetto enfaticamente inteso. L’ipotesi declinata dalla 15ª Quadriennale è che la formula della rassegna, fuori da ogni tema e senza debiti con un preordinato progetto sia più coerente con la temperie della post modernità, connotata dalla diffusione della più straordinaria novità del nostro tempo, la “Rete“. È una mostra, la 15ª Quadriennale, che ha offerto al pubblico la chance di una visita in uno spirito che si direbbe di “serendipity“. Andare di opera in opera come di link in link.

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*presidente della 15° Quadriennale


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LA CARICA DEI

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GLI ARTISTI IN MOSTRA

Mario Airò / Carolina Raquel Antich / Andrea Aquilani / Stefano Arienti Sergia Avveduti / Massimo Bartolini / Matteo Basilé / Alessandro Bazan / Vanessa Beecroft / Angelo Bellobono / Elisabetta Benassi / Manfredi Beninati / Stefano Boccalini / Francesco Bocchini / Stefano Bonacci / Giuseppe Caccavale / Alessandro Cannistrà / Gea Casolaro / Antonio Catalan / Alice Cattaneo / Loris Cecchini / Francesco Cervelli / Paolo Chiasera / Claudio Citterio / Marco Colazzo / Luca Costantini / Francesco De Grandi / Daniela De Lorenzo / Giulio De Mitri / Fabrice de Nola / Alberto Di Fabio / Anna Di Febo / Elisabetta Di Maggio / Andrea Di Marco / Rä di Martino / Fulvio Di Piazza / Mauro Di Silvestre / Valentino Diego / Bruna Esposito / Stefania Fabrizi / David Fagioli / Lara Favaretto / Flavio Favelli / Danilo Fiorucci / Simona Frillici / Paolo Grassino / Alice Guareschi Debora Hirsch / Irena Kalodera / Karpüseeler / Deborah Logorio / Federico Lombardo / Claudia Losi / Serenella Lupparelli / Andrea Mastrovito / Vittoria Mazzoni / Sabrina Mezzaqui / Matteo Montani / Diego Morandini / Maria Moranti / Liliana Moro / Adriano Nardi / Marco Neri / Davide Nido / Adrian Paci / Luca Pancrazi / Marina Paris / Luana Perilli / Perino & Vele / Diego Perrone / Paola Pivi / Piero Pompili / Franco Pozzi / Luisa Protti / Daniele Puppi / Luisa Rabbia / Antonio Riello / Giovanni Rizzoli / Bernhard Rüdiger / Andrea Salvino / Mariateresa Sartori / Maurizio Savini / Francesco Simeti / Sissi / Federico Solmi / Vittorio Sopracase / Donatella Spaziani / Stalker-On / Giuseppe Stampone / Giovanni Termini / Alessandra Tesi / Silvano Tessarollo / Grazia Toderi / Stefano Tondo / Luca Trevisani / Erich Turroni / Nico Vascellari / Nicola Verlato / Marco Verrelli

Marina Paris Ambiente mobile, 2008 Nella pagina a fianco: Gino Agnese presidente della Quadriennale


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Una veduta d’insieme

Oltre 40mila presenze alla chiusura Corà: qualità, comun denominatore di Massimo Canorro

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on ha raggiunto il numero degli appassionati che hanno visitato La Lupa e la sfinge, Roma e l’Egitto dalla storia al mito, in mostra a castel sant’Angelo, ma gli organizzatori si dichiarono più che soddisfatti degli oltre 40mila ingressi che hanno strappato il biglietto al palazzo delle Esposizioni. «Questa rassegna ha rappresentato un fermo immagine necessario», ha dichiarato Gino Agnese, presidente della Quadriennale d’arte di Roma, giunta alla 15° edizione, che si è chiusa al palazzo delle Esposizioni il 14 settembre. Un’ottima affluenza di visitatori a dimostrazione dell’interesse sempre crescente che il contemporaneo ha, non solo sugli addetti ai lavori, ma anche su curiosi e appassionati. All’indomani della chiusura della 15° Quadriennale d’arte di Roma, Bruno Corà, uno dei cinque commissari, fotografa l’evento: «I novantanove artisti scelti hanno un comune denominatore – spiega il critico – quello della qualità. Ogni sala espositiva, per diverse ragioni, ha avuto motivo di esistere ed essere visitata». Quindi, a domanda su quale artista tra quelli esposti consiglierebbe di tenere d’occhio nel panorama nazionale, il direttore del Museo d’arte e coordinatore del Polo culturale della città di Lugano, non ha dubbi: «Premesso che è sempre difficile estrapolare dal gruppo qualche nome, vorrei citare Claudio Citterio, Luca Costantini, Serenella Lupparelli, Vittoria Mazzoni, Diego Morandini e Davide Nido. Ho trovato le loro opere particolarmente interessanti, ma non aggiungo altro. La mostra doveva essere vista». Così, mentre la penultima edizione ampliava lo sguardo fino ai maestri degli anni Sessanta e Settanta ancora in attività, l’ultima Quadriennale si è concentrata sugli artisti che hanno iniziato ad affermarsi negli ultimi vent’anni. Fra questi, a primeggiare a giudizio dei super esperti la giovane brindisina Deborah Ligorio e l’italoalbanese Adrian Paci.

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Adrian Paci Centro di permanenza temporanea, 2007 cortesia Francesca Kaufmann Milano In basso: Deborah Ligorio Il sonno, 2007 cortesia Francesca Minini, Milano A destra: Maurizio Cattelan agenzia Ap/lapresse

I premiati della mostra

Vincono Paci, Ligorio e Cattelan alla carriera Sono stati i video a trionfare alla 15esima Quadriennale d’arte al palazzo delle Esposizioni di Roma per un’edizione che, per la prima volta, ha assegnato tre premi. La giuria – composta da Suzanne Pagé, direttrice della fondazione Louis Vuitton pour la création di Parigi, Gerald Matt, direttore della Kunsthalle Wien di Vienna e Vicente Todolì, direttore della Tate Modern di Londra – ha assegnato il premio Quadriennale di 20mila euro a Adrian Paci con l’opera Centro di permanenza temporanea, il premio Giovane arte (under 35) di 10mila euro a Deborah Ligorio per il video Il sonno, e il premio alla carriera a Maurizio Cattelan (una medaglia d’oro). Dei tre vincitori l’unico presente alla premiazione è stato Paci: «Non mi aspettavo questo premio, sentendomi da straniero quasi un ospite», ha commentato l’artista italoalbanese.

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eventi ANDREA PALLADIO

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Straordinaria semplicità Nel palazzo Barbaran da Porto di Vicenza un viaggio nell’umanità e nell’evoluzione architettonica di un maestro del ‘500 di Annarita Guidi

All’inizio era un tagliapietra. Un giovane scalpellino intento a sbozzare blocchi, come lo ritrae Leandro Bassano agli inizi del ‘500. Si chiamava Andrea Di Pietro della Gondola e aveva a che fare molto più con la farina che con il marmo. Poteva restare un abile artigiano. La sua opera è invece andata oltre confine, fino al Nord Europa e al Nord America, e la sua arte – così come la sua fama – è sopravvissuta al barocco, al neogotico, al movimento moderno. È Andrea Palladio, conversatore «piacevolissimo e facetissimo»: così lo descrive nel 1616 il suo primo biografo, Paolo Gualdo. Un artista dotato dunque di qualità del tutto intonate al suo tempo – quando l’arte della conversazione invade i manuali di galateo – ma altrettanto armato di doti umane fuori dell’ordinario, come l’attitudine a insegnare agli operai tecniche e termini dell’architettura e quella di passare

insensibilmente dagli ambienti semplici (era del resto figlio di un mugnaio) a quelli ricchi e mondani, a proprio agio tanto con i muratori quanto con gli aristocratici e i committenti. È proprio un nobile, forse non a caso, che gli cambia la vita. E il nome: Andrea Di Pietro diventa Andrea Palladio nella seconda metà degli anni Trenta, in seguito al suo incontro con Giangiorgio Trissino. Lo scrittore (e dotato dilettante di architettura) inventa per lui una nuova identità, evocatrice di quella Roma verso cui compiono insieme i viaggi che rivelano all’artista i caratteri dell’architettura antica e moderna, fino a quel momento conosciuti solo attraverso i libri. La collaborazione tra i due raggiunge probabilmente il punto più alto in quella osmosi intellettuale tra architettura e linguaggio che scambia magicamente i punti di vista: da una parte Trissino, autorevole teo-

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rico di ortografia, grammatica e teoria letteraria, mostra nel proprio sistema di progettazione l’uso di una vera e propria lingua architettonica – grammatica di forme e proporzioni, vocabolario misurato di motivi – e vede forse un parallelo tra struttura linguistica e approccio al disegno architettonico. Dall’altra parte, Palladio trasferisce all’architettura le relazioni, sospinte dalla visione di Trissino, tra stile letterario e regola linguistica. Fatto è che, negli anni immediatamente successivi, il salto dal lavoro sui dettagli e sui progetti di opere su piccola scala alla creazione realizzata con la mente, i libri, la squadra e la penna è già avvenuto. Negli anni Quaranta Palladio passa a declinare la presenza sociale e politica delle élite vicentine nelle campagne in progetti di residenze rurali, per poi spostarsi al centro della vita politica con i palazzi di Vicenza: palazzo Thiene è il primo edificio importante di cui si occupa, mentre palazzo Chiericati – inedita dimora urbana integrata con lo spazio pubblico attraverso un portico al piano terreno – lo consacra definitivamente

al ruolo di architetto. Da qui alla capitale il passo è breve: per gli aristocratici veneziani Palladio diventa, con la razionalità della sua architettura, quasi simbolo di una città futura e riformata. Tanto da riuscire a scavalcare il potente Jacopo Sansovino nella realizzazione della facciata della chiesa di san Francesco della Vigna, fino alla consacrazione ad opera di Giorgio Vasari, che include i lavori di Palladio nella seconda edizione delle sue Vite degli artisti (1568). Due anni dopo, l’architetto di Padova pubblica i suoi Quattro libri, testamento architettonico fatto di formule, ricostruzioni, disegni. E pochi segreti: il segno di un maestro è fatto anche di equilibrio tra detto e non detto, tra volontà di migliorare il livello dell’arte e consapevolezza dell’importanza della scoperta. Anche per questo oggi Vicenza, città d’adozione del Palladio, celebra i cinquecento anni trascorsi dalla sua nascita con una grande mostra che ne racconta la carriera, il potere della mente, la contemporaneità a palazzo Barbaran da Porto. L’unico che riuscì a finire in città.

La mostra

Un genio eterno e contemporaneo Oltre 200 opere originali, ritrovate attraverso una ricerca durata 5 anni nei musei e nelle biblioteche di tutta Europa. Palladio 500 anni mira a raccontare il processo creativo dell’artista attraverso i disegni autografi e i progetti mai realizzati, mentre i dipinti illustrano gli amici e i nemici di Palladio – ritratti da pittori come Tiziano o Tintoretto – e libri, bronzetti, monete e modelli tridimensionali accompagnano il visitatore alla scoperta della vita, dell’architettura, dell’eredità e della portata innovativa dell’architetto più famoso degli ultimi 5 secoli. L’esposizione – a cura di Guido Beltramini e Haward Burns – si snoda in 10 sale dell’unica dimora urbana che Palladio riuscì a realizzare integralmente. Catalogo edito da Marsilio. Dal 20 settembre al 6 gennaio 2009, palazzo Barbaran da Porto, contrà Porti 11, Vicenza. Orari: dalla domenica al giovedì 9,30 - 19, venerdì sabato e festivi 9,30 - 21. Info: www.andreapalladio500.it.


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Nella pagina precedente: progetto di villa Foscari Gambare di Mira Venezia Sopra: basilica palladiana Vicenza A sinistra: San Giorgio Maggiore Venezia

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Il volume Editalia

Fasti e delizie delle ville venete Dopo lo slancio creativo datole da Andrea Palladio, l’architettura di villa conosce una nuova stagione di sviluppo nel Settecento. Le forme e le geometrie neoclassiche invadono dolcemente la campagna veneta: residenze e giardini diventano spazi in cui si consumano i riti sociali e la villeggiatura e dove si celebra il prestigio della buona società veneziana. Fasti e delizie delle ville venete di Editalia documenta le vite e le produzioni di architetti e pittori, da Palladio a Scamozzi, da Sanmicheli a Sansovino, da Veronese a Tiepolo. Formato in folio (32x42 cm), 280 pagine stampate su carta speciale, 200 illustrazioni in bianco e nero e a colori. Rilegatura in pelle con copertina a sbalzo, borchie di metallo sul retro, dorso con nervature e impressioni in oro. Custodia in pelle con una stampa a colori su ciascun lato; targa con dedica ad personam. Tiratura in 1499 esemplari numerati, in omaggio la fedele riproduzione di un’antica stampa.

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grandi mostre REMBRANDT & RICCIO

CHIAROSCURI olandesi

Harmenszoon Van Rijn Rembrandt Mercante di stampe, s. d. nella pagina a fianco: Andrea Riccio Pastore che munge la capra Amaltea, particolare , s. d.

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Una grande mostra a Trento svela i lati nascosti del poliedrico artista secentesco di Giulia Cavallaro

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embrandt è stato paragonato a uno scrittore che abbia padronanza di generi diversi e sia in grado di realizzare indistintamente un romanzo, un poema epico, una commedia, una poesia. La mostra di Trento, ospitata in contemporanea a quella dedicata allo scultore Andrea Riccio, si propone pertanto di analizzare la sua complessa personalità anche attraverso l’esposizione delle stampe degli artisti maggiormente apprezzati e collezionati dallo stesso Rembrandt. Il castello del Buonconsiglio conserva un importante nucleo di incisioni all’acquaforte provenienti dalla collezione Lazzari Turco Menz. Composta da circa un migliaio di fogli, prevalentemente inediti e di cui è in corso la schedatura scientifica, essa abbraccia un arco cronologico che comprende opere di scuola italiana, francese, fiammingo-olandese, tedesca, spagnola e inglese. Nell’ottica di valorizzazione delle proprie collezioni, a conclusione del ciclo di manifestazioni organizzate dalle maggiori istituzioni museali nell’anniversario dei quattrocento anni della nascita di Rembrandt (16061669), il castello del Buonconsiglio, presenta questa ric-

ca raccolta. Partendo dalla presentazione di alcune significative opere di pittura dei più prestigiosi musei europei, quali il Rijskmuseum di Amsterdam e la galleria degli Uffizi di Firenze, sono esposte le più note acqueforti del maestro realizzate su particolari carte e con alcuni disegni che illustrano il momento creativo nel quale vengono tracciate le prime riflessioni che precedono la nascita di un’opera d’arte. In questa sezione, che abbraccia un ampio arco di tempo, dagli anni giovanili di Leida fino al periodo più tardo di Amsterdam, si comprendono l’eclettismo e la versatilità del maestro: lo vediamo infatti attento all’indagine psicologica di un collezionista amico e di uno sconosciuto orientale, come pure alla resa atmosferica di un paesaggio famigliare attraverso un uso straordinario del chiaroscuro, in cui il gioco di luce e ombra esprime la profondità della visione. Come incisore l’artista si appropriò di quasi tutto il repertorio abitualmente trattato nell’arte olandese del Seicento da pittori specializzati. La sua opera comprende dunque storie, ritratti, scene di genere, paesaggi, nudi, schizzi e studi. Ancor più sorprendente è la vastità delle tecniche e dei mezzi espressivi grafici, che nessun altro artista ha eguagliato

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L’iniziativa è resa possibile grazie alla collaborazione con l’istituto universitario olandese di storia dell’arte a Firenze che nel 2000, nell’ambito di un censimento delle acqueforti di Rembrandt presenti nelle collezioni pubbliche e private italiane, aveva avviato, con una particolare indagine radiografica, un’analisi delle filigrane e delle carte, comprendendo anche i fogli di Trento. L’importanza della traduzione di numerosissime sue opere, come pure la folta schiera di artisti, in genere sconosciuti, che lo hanno imitato cercando di fare proprio il suo gusto e il suo stile, sono un tangibile esempio della forza dell’artista, di cui si colgono significativi riflessi anche nella letteratura e nella cinematografia nata intorno al personaggio. Ma anche l’uomo Rembrandt, con la sua personalità colma di contraddizioni, offre spunti di riflessione: profondamente legato al passato ma pronto a mostrarsi secondo nuovi accorgimenti sia tecnici che stilistici, fu interessato a diffondere una scuola ma anche autonomo per intraprendere, solitario, nuovi progetti. La sede che accoglie l’esposizione è un’opera d’arte essa stessa: il castello del Buonconsiglio raccoglie i tratti di storia che lo hanno attraversato, dal periodo dei vescovi di Trento nel XII secolo, fino alla secolarizzazione del principato, alla realizzazione del Magno palazzo nel 1539 e alla nascita della giunta albertiana nel Seicent). Nel XIX secolo fu utilizzato come caserma e nel 1924 divenne museo nazionale. Oggi fa parte dei monumenti e collezioni provinciali a cui fanno capo anche i castelli di Beseno, Stenico e Thun.

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Il maestro olandese e gli allievi Anche Della Bella, Tempesta e il Grechetto

L’esposizione intende approfondire la conoscenza, la fama, la diffusione ma anche la fortuna dell’illustre pittore e incisore olandese, la cui geniale forza espressiva ha lasciato tracce indelebili e profonde nell’ambito della storia artistica. Fra gli artisti esposti, oltre a Rembrandt, vi sono Stefano della Bella, Antonio Tempesta, Giovan Battista Castiglione detto il Grechetto, Jacob Jordaens, Jacques Callot e Rubens, di cui è presentata un’attenta selezione, con esemplari provenienti dalla collezione Lazzari Turco Menz. Fino al 2 novembre. Castello del Buonconsiglio, via Bernardo Clesio, 5, Trento. Da martedì a domenica 10-18; chiuso il lunedì. Info: 0461233770; www.buonconsiglio.it.


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Il tempo di Riccio Lo scultore rinascimentale

Parallelamente si svolge la mostra “Rinascimento e passione per l’antico: Andrea Riccio e il suo tempo”, in cui è presentata per la prima volta una ricca selezione di opere dello scultore Andrea Riccio, uno degli artisti rinascimentali più affascinanti ma oggi meno conosciuti. Sono esposte le sue produzioni in bronzo e in terracotta, con pezzi provenienti dall’Italia e dalle più prestigiose istituzioni straniere. Fino al 2 novembre.

Andrea Riccio Maria, s. d. nella pagina a fianco in senso orario: Schelte Adams Bolswert Paesaggio con uccellatore, 1640 Nicolaes Lauwers Giove e Mercurio nella casa di Filemone e Bauci, 1640 Il castello del Buoncosiglio a Trento

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grandi mostre MEDITERRANEO

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Figure nel mitico mare A Marsala una rassegna dedicata alla pittura italiana nelle avanguardie degli anni Venti e Trenta del ‘900 di Anita Tania Giuga

Novecento, che passione. Il convento del Carmine di Marsala, che dal 1996 accoglie tutte le manifestazioni espositive promosse dall’ente Mostra della città, conferma e rafforza la sua vocazione storica e filologica con una mostra: Mediterraneo, mitologie della figura nell’arte italiana tra le due guerre, sotto la guida di Sergio Troisi. «L’attività espositiva promossa dall’ente Mostra di pittura contemporanea – dice il curatore della rassegna – ha inteso privilegiare in questi anni alcuni momenti fondamentali della storia artistica sia regionale che nazionale del Novecento, in un filo conduttore che dal periodo tra le due guerre giunge sino agli anni Sessanta e Settanta. L’attenzione dedicata a periodi e figure dell’arte siciliana, o che con la Sicilia hanno intessuto rapporti importanti, ha voluto leggere la cultura dell’isola in una più ampia rete di temi e problemati-

che, mettendone in luce la cruciale vocazione moderna». La mostra percorre reinvenzione e rivisitazione dei miti e dei simboli mediterranei come risposta alla crisi della civiltà europea a cavallo delle due guerre mondiali. La rassegna si propone di rileggere l’ampio ventaglio di suggestioni ispirate al mondo classico nelle avanguardie italiane, tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento. La mostra consente di prendere visione di oltre 70 opere provenienti da collezioni pubbliche e private di artisti come Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Carlo Carrà, Emanuele Cavalli, Renato Guttuso, Mario Mafai, Arturo Martini, Antonietta Raphaël, Alberto Savinio, Mario Sironi. Il classicismo di questi lavori pittorici e scultorei è connotato dall’aspirazione al “ritorno all’ordine” che l’Europa turbata dagli orrori della

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In basso a sinistra: Fausto Melotti, Scultura n. 15 1935, corrtesia Archivio Fausto Melotti, Milano

La mostra

Mitologie nell’arte tra le due guerre “Mediterraneo, mitologie della figura nell’arte italiana tra le due guerre”, a cura di Sergio Troisi, è una rassegna che insegue e ritrova l’ampio ventaglio di suggestioni del mondo classico nelle avanguardie italiane tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento. Una conclusione ideale del percorso iniziato dall’ente Mostra di pittura contemporanea “città di Marsala” con una serie decennale di esposizioni dedicate all’arte in Sicilia negli anni Trenta. Presenti opere di Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Carlo Carrà, Emanuele Cavalli, Renato Guttuso, Mario Mafai, Arturo Martini, Antonietta Raphaël, Alberto Savinio, Mario Sironi. Il catalogo in mostra è edito da Sellerio. Fino al 5 ottobre, convento del Carmine, piazza del Carmine, Marsala (Trapani). Info: 0923713822; www.pinacotecamarsala.it.

a destra: Massimo Campigli Donne al mare, 1934 A pagina 34: Aligi Sassu, I Dioscuri, 1931 a pagina 35: Tullio Garbari La Sibilla di Terlano, 1929 22 Tullio Garbari, La Sibilla di 1922 – ’23, cementite su carta riportata su tela 146, 5x106, collezione privata, courtesy 23 Giorgio de Chirico, Bagnante, 1929, olio su tavola 40x33, Museo delle Regole,

guerra scopriva quale ancoraggio e dialetto comune, situando la proposta del museo come riaggregazione di forme certe in risposta a un mondo di strutture in disfacimento. L’iter espositivo conduce il visitatore attraverso un excursus che va dalla ripresa della mitologia antica delle opere di De Chirico e Savinio a quelle del giovane Guttuso; dal primitivismo nelle sculture di Lucio Fontana alla pittura di Corrado Cagli, sul crinale di cinque temi ricorrenti che accomunano gli artisti in mostra: enigma, origine, attesa, sospensione e disagio. Il Mediterraneo acquista così lo spessore di “teologia della memoria” come emblema di civiltà e identità che si oppone alla perdita di sé, risposta allo stato di smarrimento che il conflitto mondiale spalancò mostrando il baratro della civiltà. È proprio lungo la traiettoria di queste linee guida che nascono opere come “Oreste e


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Elettra” di Alberto Savinio (1930), “I Dioscuri” di Aligi Sassu (1931) o “Il Laocoonte” di Arturo Martini (1935). Tra i miti ricorrenti, quello di Orfeo, nume tutelare e soggetto immancabile quando si affronta il tema del ritorno: Orfeo è il cantore che riemerge nel mondo dei vivi dopo aver camminato attraverso il territorio infero. Ma sono d’aiuto ad una più profonda comprensione dell’apparato iconografico i temi del divario-confronto tra destino e legge, delitto e punizione, che tormentano l’uomo sottoposto alla crisi di un ribaltamento dei valori e delle norme di convivenza sociale. Il Mediterraneo con le sue tradizioni e la sua vocazione alla citazione dotta e narrativa è lo sfondo per questa lettura “generazionale”, odierna al contempo, auspicante un linguaggio comune. L’arte proponeva un riscatto iconografico laddove segnali di morte e rovina percuotevano l’Italia e l’Europa.

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In questa pagina, in senso orario: Renato Guttuso, Studio per Fuga dall’Etna, 1938 Mario Sironi, Neoclassico, 1922-23, cortesia Claudia Gian Ferrari, Milano Albero Savinio, Il vecchio e il nuovo mondo, 1927


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grandi mostre MARIO SCHIFANO

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Colori come metafore Alla Gnam di Roma una spettacolare antologica su uno degli ultimi artisti “maledetti” di Maria Luisa Prete

Vicenda umana e percorso artistico si intrecciano, si confondono e tracciano senza discontinuità apparenti la parabola chiaro-scura di una leggenda, quella di Mario Schifano (1934-1998), precursore delle avanguardie artistiche, a cominciare dai celebri monocromi, e della pop art in particolare. Sempre al limite, dall’Olimpo al baratro e ritorno, nella vita e nelle alterne fasi creative. A dieci anni dalla morte, una sorprendente antologica non può che raccontare l’artista e l’uomo, più che mai inscindibile binomio per uno degli ultimi “dannati” eroi contemporanei. Droga, leggendarie passioni, fughe, solitudini e violenze striscianti, dolore che toglie respiro e felicità, quella abbagliante che si può leggere solo negli occhi. Una biografia dipinta con toni accesi, ma l’intera produzione forse non può dar conto di tutto, il detto e il non detto, di una vicenda esistenziale entrata nel mito ma

ancora lontana dal farsi storia. In fondo nemmeno lui è riuscito a rappresentarsi, fallendo e rimandando sempre la realizzazione di quell’opera di cui tanto parlava, “Crocifisso a un ferro di cavallo”, il titolo pronto per il capolavoro che voleva dedicare a se stesso. Eroico lo fu, ebbe sicuramente coraggio e fece scelte che si rivelarono profetiche. Paladino dell’intellighenzia nostrana, ma adulato anche all’estero, fu acclamato da critica e pubblico senza riserve, fu la prima figura internazionale dell’arte italiana contemporanea. Ha contribuito al rinnovamento creativo entrando in contatto con artisti quali Tzara e Duchamp, Rauschenberg e Kline, senza dimenticare Warhol che conobbe a New York nel 1962. Attingeva a tutte le fonti, dal futurismo al dadaismo, ma sentiva come un’accusa fastidiosa l’ipotesi di appartenere a una corrente: creava un nuovo modo

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In alto, da sinistra: Mario Schifano O sole mio, 1963

La mostra

Dai monocromi alle opere multimediali

Il bambino pittore, 1985

Con più di 130 opere tra dipinti e disegni, la Galleria nazionale d’arte moderna ospita la prima grande retrospettiva di Mario Schifano, a cura di Achille Bonito Oliva, in collaborazione con l’archivio Mario Schifano. L’allestimento, curato da Federico Lardera, presenta le opere decennio dopo decennio, dai monocromi degli anni ‘50 alle opere multimediali. Fino al 28 settembre, Gnam, viale delle Belle arti 131, Roma. Info: 06322982211; www.gnam.beniculturali.it. Catalogo Electa. Dal 17 ottobre al primo febbraio 2009, l’esposizione si sposterà a Milano negli spazi della Galleria gruppo credito valtellinese, della fondazione Stelline e dell’accademia di Brera.

A fianco: 20 x Monica 1 x Marco 21 vecchie Ferrari, 1986

A pag. 38: Maschere, 1983 A pag. 39: Senza titolo (Fibre ottiche), 1997 Per tutte le immagini copyright archivio Mario Schifano

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di dipingere. Per non deludere le aspettative, fu bravissimo nel ruolo di artista romantico, come nella migliore tradizione: bello e maledetto. All’avanguardia e veloce nel percorrere un mondo schizofrenico, impazzito perché sospeso tra le promesse del progresso e le sicurezze della tradizione. Mario Schifano scelse sempre il futuro, anzi lo anticipò con piglio autoritario e non poteva fare altro: l’indole potente della creazione lo spingeva e lo sorreggeva, era la forza che andava oltre la banale nevrosi del quotidiano. Schifano era un pittore in senso assoluto, era il gesto ad avere il sopravvento e a permeare ogni mezzo espressivo. Non venne terrorizzato dalla tecnologia. Come Pino Pascali, ma con modi e tempi diversi, decise di integrarsi con gioia e ironia nel vortice massmediologico, lo scrutò incuriosito, possedendolo e dominandolo con il brio

feroce del colore. Il suo segno era quello, usato non per rappresentare ma come pura metafora, le sue pennellate correvano per circoscrivere spazio e tempo, dimensioni sbattute sulla tela, pulsanti e talmente vive da fuoriuscire dalle barriere severe della cornice. L’universo cromatico dell’artista racconta la sua fascinazione per un mondo in trasformazione, palpitante di stimoli ma impaurito e aggressivo. Schifano è riuscito a stabilire un contatto elettivo che non ha pari, è stato capace di sussurrare al pubblico le parabole disordinate dell’universo, quello più intimo, quello dell’anima. «Mario Schifano – conclude Achille Bonito Oliva nel saggio introduttivo al catalogo della mostra – ha adoperato un’arte avventurosa come metodo creativo, una sperimentale incursione nel linguaggio e nella vita insieme».

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belpaese da salvare FARO D’OTRANTO

Punto di separazione tra il mar Ionio e l’Adriatico dopo i lavori di recupero ospiterà mostre e un osservatorio di Fabia Martina

Risorge il guardiano

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e fiamme ardenti sospese tra terra, cielo e mare costituivano per gli antichi naviganti del Mediterraneo l’epifania di una divinità protettrice. I fari conservano, tuttora, la loro antica simbologia: sono i guardiani dei mari. Il faro di Otranto non è solo una rassicurante sentinella, ma simbolo del territorio. Progettato per indicare l’orientamento di una rotta che aiutasse i naviganti ad evitare le secche e i minacciosi scogli semisommersi, il faro fu edificato nel punto più ad Oriente d’Italia su di un tratto di costa, denominato Punta Palascia. Questo luogo, che le convenzioni nautiche definiscono il punto di separazione tra il mar Ionio e l’Adriatico, è in grado di resistere ai dislivelli della costa, alla forza dei flutti marini e ai continui tentativi di deterioramento da

parte dell’uomo che ne compromettono la bellezza del paesaggio e la biodiversità. Luciano Cariddi, sindaco di Otranto, ha approfondito il senso di salvaguardia e tutela dei caratteri e delle potenzialità di questo singolare patrimonio culturale. Cosa rappresenta per i cittadini di Otranto il faro e Punta Palascia? «La natura, la possibilità di godere di un paesaggio suggestivo, il privilegio di avere un luogo dove poter osservare l’alba davanti alla grandezza del Mediterraneo, rappresenta la storia. Punta Palascia e la vicina scogliera sono state da sempre costeggiate dai navigli di transito che lasciavano alle loro spalle l’ultimo seno dell’Adriatico diretti verso lo Ionio. È anche un’importante esempio di archeologia industriale: conserviamo, infatti, l’originale lanterna del XIX secolo che sarà riposizionata all’interno della struttura, al termine dei lavori di recupero».

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I progetti Collaborazioni ed esposizioni In attesa di “Lagune del Mediterraneo”, in programma al faro di Otranto dal mese di ottobre, con il restauro prende il via la collaborazione tra l’università del Salento e il comune di Otranto finalizzata alla realizzazione di un osservatorio sulla salute degli ecosistemi mediterranei. Punto di raccolta, organizzazione e divulgazione delle informazioni e delle conoscenze scientifiche, l’osservatorio – coordinato da Alberto Basset, docente di Ecologia all’università del Salento – fungerà da collante tra la ricerca, le istituzioni e l’opinione pubblica. Comune di Otranto, via Basilica, Otranto (Lecce). Info: 0836871306, www.comune.otranto.le.it.

del mare

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La Carta dei fari Editalia, una gemma dell’illuminazione costiera Editalia ha realizzato, per l’Agenzia del demanio, il facsimile della Carta dei fari (1867), accompagnato dallo scritto di Annamaria Mariotti sull’“l’evoluzione dei fari dalle origini al Regno d’Italia”. L’originale è conservato nella biblioteca del ministero della Marina Italiana. Il facsimile è realizzato con retino stocastico, in nove sezioni incollate a mosaico su tela, accompagnato da una pubblicazione di 32 pagine sulla storia della carta e dell’illuminazione costiera. Il tutto in un cofanetto rivestito in carta pregiata e stampata. Tiratura limitata dall’Istituto poligrafico dello Stato in 250 esemplari.

A sinistra un prospetto e nelle pagine precedenti un’immagine del faro di Otranto

Quali procedimenti di tutela e valorizzazione sono stati attivati per il Faro? «A partire dal 2006, Punta Palascia e il faro appartengono al parco Costa Otranto, Santa Maria di Leuca e bosco di Tricase. A questo si aggiunge il costituendo parco naturale, cioè l’istituzione di un’area marina protetta di una fascia di mare prospiciente il Faro e il tratto di costa circostante. Con il ministero dell’Ambiente si è stipulato il progetto “Fari per un ideale Mediterraneo”, un accordo che ha come obiettivo il recupero dei fari di Otranto, Tunisi, Gibilterra, Alessandria e Genova, simboli di ospitalità, solidarietà e amicizia tra i popoli dell’area mediterranea, accomunati da un particolare valore geografico, storico e paesaggistico».

Quali sono i progetti futuri? «A partire da ottobre il faro ospiterà la prima di una serie di mostre intitolata “Lagune del Mediterraneo”, con una linea comune rappresentata dal mare. È stato da poco approvato un protocollo d’intesa con l’università del Salento e la facoltà di biologia marina, volto alla realizzazione di un osservatorio sugli ecosistemi del Mediterraneo. Infine, il progetto Marc-Parc, l’istituzione di un parco marino preso in concessione dal comune di Otranto in cui saranno installate delle boe con cd intelligenti che consentiranno di attraccare nel parco, monitorando perennemente l’area protetta e il livello di inquinamento. Ad ogni imbarcazione verrà fornita una smart-card che consentirà di interagire con la stazione della capitaneria di porto».

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i luoghi del bello

I GIARDINI DEI BORROMEO

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Sublimi scenari Sinestetiche esperienze sensoriali accompagnano la visita ai tre siti del lago Maggiore di proprietà dei Borromeo di Paola Buzzini

Un itinerario verde che coinvolge tre siti del lago Maggiore rende possibile passeggiare attraverso un millennio di storia. I giardini che si possono attraversare sono tra i più belli al mondo, tutti nelle proprietà dei Borromeo. Fino al 19 ottobre sono visitabili le tre tipologie di giardini individuate da Mauro Ambrosoli e realizzate alla rocca. Si parte dalla rocca Borromeo di Angera dove ci sono esemplari fantastici di piante, rose, fiori, erbe. Il percorso espositivo si divide in due: l’interno, nell’ala Scaligera, dove il tema viene illustrato, rievocato per mezzo di documenti e immagini tratte da manoscritti miniati, e dove sono state ricostruite le diverse tipologie di giardini di epoca medievale con la veduta esterna affacciata sulla sponda lombarda del lago Maggiore. Il modello a cui s’ispirano le ricostruzioni scenografiche è quello del diorama, che offre

un’esperienza multisensoriale che stimola l’udito, la vista, l’odorato e il tatto. Nella prima sala vengono ripercorsi i caratteri del giardino monastico, mentre nella seconda sono riportati gli elementi dell’hortus conclusus come ad esempio la tipica struttura chiusa a forma quadrata. La terza sala invece presenta la varietà di piante, fiori e frutti descrivendone le proprietà e i significati. Il visitatore si trova a compiere un’esperienza emozionale visiva basata su immagini, aiutandosi con i pannelli didattici realizzati con poco testo, per vedere, guardare, confrontare ciò che gli occhi hanno la possibilità di ammirare. I maestri giardinieri hanno dato il via al progetto che porterà anno dopo anno ad aggiungere sempre più esemplari di quanti descritti nei documenti dell’epoca. La volontà di creare un giardino medioevale ha come obiettivo la realizzazione di un

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Unico ingresso per tre itinerari Nuovo percorso attraverso la storia dei giardini

I Borromeo, originari di Firenze, nella seconda metà del secolo XV iniziarono a estendere la propria azione sulle sponde del lago Maggiore. La stato Borromeo era suddiviso in 10 podestrie, località lacustri che furono trasformate poi in giardini unici al mondo. Scogli abitati da pescatori divennero isole ricche di terrazze, architetture vegetali e giardini di parata. I giardini permettono oggi di evidenziare i rapporti con la storia e la storia dell'arte e dell'architettura. Grazie al circuito “Paradiso in terra” è possibile ammirare tutti e tre i gioielli Borromeo: i giardini dell’isola Bella, dell’isola Madre e quelli della rocca di Angera, seguendo un itinerario unico che mette insieme i tre monumenti verdi e le straordinarie dimore nei pressi. Rocca Borromeo di Angera (Varese), fino al 19 ottobre. Tutti i giorni dalle 9 alle 17.30, biglietto unico per i tre i siti. Prenotazioni: rocca Borromeo di Angera: 0331931300. Info: 032330556; www.borroemoturismo.it.

In questa pagina e nella precedente: vedute dei giardini dell’isola Bella Nella pagina successiva Roman de la Rose, Guillame de Lorris e Jean de Meun Francia, seconda metà XV sec. la mappa dell’isola Bella


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La rocca di Angera

Nelle sale pure il Museo della bambola Raro esempio di castello medioevale perfettamente conservato, la rocca di Angera si erge su uno sperone di roccia in una posizione strategica per il controllo dei traffici. Proprietà dei Visconti, poi dei Borromeo dal 1449, la costruzione è complessa, racchiusa a proteggere la corte interna e composta da cinque corpi eretti in epoche diverse: la torre principale e la cinta muraria, l’ala Scaligera, l’ala Viscontea, la torre di Giovanni Visconti e l’ala dei Borremei. Le sale interne sono visitabili grazie a un percorso che si sviluppa dall’ampia corte alle sale storiche, alla sala della Giustizia, la più importante affrescata da un ciclo duecentesco, sino alla torre Castellana. La notorietà di Angera non è legata solo al valore monumentale della struttura ma anche alla presenza del Museo della bambola e del giocattolo dove sono ospitati più di mille pezzi. Non solo bambole ma giocattoli, libri e giochi da tavolo.

centro d’interpretazione del Medioevo dell’area compresa fra il Piemonte, la Lombardia e il Canton Ticino. Il primo è il giardino dei principi, all’interno delle mura, luogo di festa, incontro e divertimento completamente circondato da rosai e gelsomini con aranci e cedri. Il secondo, detto il Verziere, accoglie una grande fontana con pesci ombreggiata da alberi da frutto, tra i quali i pruni, e ospitava anche diversi animali: conigli, caprioli, lepri e cerbiatti. Infine il terzo, il giardino delle erbe piccole, unisce molte specie di erbe medicinali e odorifere, insieme con i fiori. La rocca è composta da cinque edifici tra i quali la torre di Giovanni Visconti e l’ala Borromeo. Le sale interne sono grandiose, come la sala della Giustizia dove l’astrologia viene messa in relazione con le vicende umane. Oltre ai saloni dedicati ai grandi personaggi che passarono per la

rocca, ampio spazio è dedicato alle oltre mille bambole che costituiscono il museo delle bambole e del giocattolo. Seconda tappa di questo tour nel verde è l’isola Bella, il più bel giardino d’Italia. Nel 1630 un conte della casata Borromeo decise di trasformare uno scoglio in un luogo speciale. Lo dedicò alla moglie Isabella, nominando così l’isola “bella”. Il palazzo offre ai visitatori un ambiente elegante che conserva diverse opere d’arte: arazzi, mobili, statue, dipinti, stucchi ma è anche un luogo di relax e diletto. Prima di arrivare al giardino ci si imbatte dell’atrio di Diana (così chiamato per la presenza della statua della dea nella fontana), spazio poligonale che funge da raccordo con l’edificio: l’atrio è composto da colonne, pilastri, pietra viva, nicchie e mosaici che impreziosiscono ancor più il paesaggio. Il giardino ha una forma di piramide tronca culminante nella statua del liocorno cavalcato dall’Amore. Dieci sono le terrazze, arricchite di fontane, immerse in azalee, rododendri, rose, pompelmi e arance. Lo spazio è un classico esempio di giardino all’italiana seicentesco. Sull’ultima terrazza s’innalza il teatro, grande scenografia, fondale in pietra, coronato dallo stemma dei Borromeo (il liocorno). Le fioriture sono progettate e

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Galleria Berthier

Riapre il tesoro del Lago Maggiore Il cuore più segreto del palazzo dei Borromeo sull’isola Bella, riservato alla sola famiglia, apre al pubblico dopo un complesso intervento di restauro: 130 dipinti antichi, dai pittori leonardeschi del Cinquecento a quelli seicenteschi lombardi, fino a copie di Tiziano, Raffaello e Guido Reni. Questa galleria di quadri, o galleria Berthier, prese il nome dal generale francese giunto in Italia nel 1800. La disposizione è rimasta fedele a quella storica.

curate da maestri giardinieri per durare da marzo a ottobre. Infine l’isola Madre, nel golfo Borromeo, si distende per 8 ettari di superficie prima utilizzati come frutteto, poi uliveto, agrumeto e infine parco botanico all’inglese realizzato nei primi anni dell’Ottocento. Questo ospita rarissime essenze medievali d’ogni parte del mondo, ad esempio l’esemplare più grande d’Europa di cipresso del Kashmir

di oltre duecento anni; un vero e proprio paradiso terreste dove si aggirano pavoni bianchi, pappagalli e fagiani. Qui i Borromeo hanno scelto di privilegiare la dimensione privata della famiglia. Il palazzo è composto da diverse sale: il salone del ricevimento, la sala delle stagioni con il grande arazzo dedicato alla famiglia, e la sala delle bambole con un ampio spazio dedicato alle marionette e alle macchine sce-

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Giovan Pietro Rizzoli detto Giampietrino Sofonisba, s. d. Nella pagina a fianco: I Giardini dell’Isola Bella e in basso la galleria Berthier

niche; spazio che ha contribuito così all’affermazione dell’attività teatrale che si diffonderà nei palazzi, nei teatri privati fino a quelli pubblici. Lo spettatore verrà condotto in un percorso che gli permetterà di scoprire i vari usi dei giardini, le loro caratteristiche: luogo di conversazione, socializzazione, esperienza agricola e ambiente di creazione paesaggistica. L’aspetto eccezionale di ricostruzione è il fatto che

nulla è riconducibile al caso o al gusto ma a precise simbologie, come ad esempio la fontana con pesci, simbolo di fertilità, l’arancia che sta a indicare la dea Afrodite e l’acqua presente ovunque, principio di vita. Con la scoperta dell’America finisce il Medioevo, e termina così anche la tipologia di giardino medioevale, arrivando le specie via via dal nuovo mondo.

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il corpo dell’arte ETTORE CONSOLAZIONE

Opere di luce Quando la tela si piega alla memoria di Claudia Quintieri

Le tre dame, 1983 Nella pagina a fianco: Valigia con farfalle, 1974

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ttore Consolazione, artista romano, si accosta alla scultura a un’età già adulta, dopo gli studi di scenografia, architettura e incisione. La sua storia artistica si divide in due periodi netti, dove nel primo sperimenta la sua vocazione. Inizia il suo percorso artistico con un’opera intrisa di un manierismo contemporaneo volto a rileggere la storia dell’arte nella ricostruzione del famoso affresco Il sogno di Costantino di Piero della Francesca utilizzando, come materiale, la tela. E la tela è protagonista spesso in questo periodo: si piega al volere della memoria nel Libro bianco, quella stessa memoria che non vuole dimenticare le Molotov, ma è anche fulcro di un discorso sulla luce; è fonte di luminosità modulata che avvolge l’oggetto anche se si tratta di

una semplice Farfalla. Continua la rilettura della storia dell’arte con un San Giorgio, e crea iconografie personali: Il gigante, Il castello, Il cavaliere, L’eroe, Le città. Verso la metà degli anni ’80 compaiono materiali duri ed è l’inizio di una seconda fase dell’artista che scoprirà un nuovo valore della luce: Canto d’ombra. Consolazione verrà attratto quindi da cemento, acciaio, ferro, bronzo. Quella luminosità candida data dalla tela bianca si trasforma in ricerca di modulazione fra luce e ombra, assorbimento e riflessione, proiezione e trattamento. I materiali nuovi creeranno diversi piani di percezione, movimenti orizzontali, verticali o in profondità e aggregazioni o disgregazioni luminose. Nell’indagine sul fattore luministico Consolazione si ispira alla scultura di Francesco Lo Savio. Nasce così la consapevolezza che la luce che nasconde l’ombra aiuta a cogliere l’impercettibile e l’ombra che nasconde la luce è portatrice di eloquenti silenzi.

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Il Sogno di Costantino, una delle prime installazioni italiane, come è nato? «È nato con l’idea di spettacolarizzare un quadro. Le composizioni degli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo sembrano delle scene teatrali grandiose, piene di luce, molto moderne». Il sogno e la fiaba attraversano tutta la prima produzione degli anni Settanta. Sono in relazione con i materiali utilizzati: la stoffa, la gommapiuma, la terracotta? «Per quanto riguarda la tela imbottita quel bianco panna evanescente che si annulla era contestuale al sogno. Anche quei lavori che implicitamente facevano riferimento alla politica degli anni Settanta rientravano in un’idea di sogno come utopia. Ipotizzavo utopicamente, come sogno, una sinistra illuminata al potere». Negli anni Settanta ha prodotto la serie delle “Molotov”, in cui si riscontra una certa ironia. «Nel mio lavoro c’è sempre l’ironia, le mie corazze sono morbide. La componente ironica nasce dal creare contrasti interni, come il duro e il morbido. Nel ‘77 nelle mie opere c’era molta ironia, ma palesavo una

realtà drammatica come quella degli anni di piombo». È sempre presente una ricerca sulla luce? «Ho scelto la tela grezza, la tela bianca o la tela di sacco e non le tele colorate perché così la luce poteva prendere il sopravvento». Varie volte ha lavorato con i libri: li ha imbullonati e coperti di cemento. Che tipo di operazione intendeva svolgere? «L’operazione primaria era quella di provocare contrasti. Mettevo in contrapposizione la carta fragile con il cemento armato: il duro, il potente, lo stabile, contrapposto al vecchio foglio ingiallito e fragile». Parliamo del Libro bianco. «È del 1975, prima del Sogno di Costantino. Volevo mettere in evidenza la vita dell’artista. La vita si sfoglia giorno per giorno come un libro. La sua parte più spessa è il futuro mano mano più sottile, mentre il passato diventa sempre più alto. All’inizio del libro c’è una foto che rappresenta la mia nascita, sto con gli occhi chiusi come un morto: la nascita è anche morte. Nelle pagine successive ci sono altre mie foto dove inizio ad aprire gli occhi. Più gli occhi si aprono più l’immagine .

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L’artista Dalla Quadriennale a New York Il primo luglio 1941 nasce a Roma lo scultore Ettore Consolazione. Figlio d’arte, il padre Giovanni era pittore negli anni ‘50, inizia a esporre nel 1975 partecipando alla X Esposizione nazionale quadriennale d’arte a Roma. Successivamente organizza varie mostre personali e aderisce a diverse mostre collettive. Tappe importanti nel suo percorso sono le sue presenze nel 1976 alla XXXVII Biennale di Venezia e alla XII Biennale di scultura di Gubbio. Nel 1978 prende parte al XXXII Premio Michetti di Francavilla al Mare (Chieti) e alla rassegna Arte-ricerca al palazzo delle Esposizioni di Roma. È del 1979 l’istallazione InterVento, all’Autunno musicale di Villa Olmo a Como. Sempre al palazzo delle Esposizioni a Roma, nel 1981, partecipa alla mostra Linee della ricerca artistica in Italia 19601980” e nel 1986 all’XI Quadriennale di Roma. Ancora nel 1986 prende parte alla mostra “Seven sculptures from Rome” allo Scultur center di New York. Nel 1995 è presente al XXXI premio Vasto e alla rassegna Viaggiatori sulla Flaminia a Spoleto-Trevi. La sua adesione a Lavori in corso n 9, alla Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea di Roma, è del 2000. Nel 2003 è invitato a Erice alla rassegna Arte in Italia negli anni ‘70. Nel 2008 espone alla Galleria ph7 e inaugura Enigma a terra, scultura situata nella sede della Unipol a Roma.

A destra: Ettore Consolazione In alto: Il sogno di Costantino, 1976 particolare dell’installazione A pag. 54: Enigma a muro, 1995 A pag. 55: Stella, 1974

sbiadisce fino all’ultimo foglio dove rimangono accennate solo le pupille grandi e spaventate. Questo per dire che l’artista mentre indaga sul mistero dell’arte arriva a un perché, poi muore annullando nichilisticamente l’idea della vita». Negli anni Ottanta è passato al bronzo, al cemento, all’acciaio corten, al legno. Come è avvenuto questo cambiamento? «A metà degli anni Ottanta mi ero stancato delle opere di tela. Gli ultimi lavori erano molto belli, anzi troppo. Allora ho voluto fare esattamente il contrario: se fino a quel momento avevo pensato tutto bianco comincio a pensare tutto nero, se avevo fatto tutto morbido inizio a fare tutto duro. Era Filiberto Menna a incoraggiarmi. Il cambiamento radicale è stato faticoso e duro, ho sofferto molto per attuarlo». In questa nuova fase l’ha influenzata anche la conoscenza delle opere di Teodosio Magnoni? «È un artista al quale mi sono sempre interessato

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anche mentre facevo il Sogno di Costantino. È stato uno dei primi in Italia a porsi il problema della “scultura ambiente”. Con pochi elementi semplici già definiva interamente lo spazio scultura». Patrizia Ferri ha commentato che lei ha “l’idea dell’opera come dispositivo in uno spazio scenico”. «Ho studiato scenografia all’accademia di Belle arti. Uso il cemento come una pelle, così appare un pieno che non esiste: ecco l’idea della scenografia». Usa forme spigolose e forme curve. «Sono le mie due nature: la tela imbottita morbida, tonda e accattivante, e la spada che offende». Il rapporto con l’architettura e l’idea di scultura? «Creo una scultura fruibile, vivibile, lo spettatore può fare con l’oggetto scultura ciò che vuole: dormirci, mangiare, bere, camminare. Poi la mia è una scultura totale che vive e respira in osmosi con ciò che la circonda, mentre in altri scultori classici, ad esempio Rodin ma anche lo stesso Pomodoro, la scultura è chiusa in se stessa».


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Symbola – Fondazione per le Qualità Italiane - nasce nel luglio 2005 con l’obiettivo di consolidare e diffondere il modello di sviluppo della soft economy. Symbola chiama a raccolta tutti coloro che puntano sulla qualità e sui talenti del territorio, per metterein comune le loro esperienze: personalità che vengono dal mondo economico e imprenditoriale, dalla cittadinanza attiva, dalle realtà territoriali e istituzionali, dal mondodella cultura.

via Maria Adelaide, 8 00196 Roma Tel. +39 06 45430941 Fax. +39 06 45430944 info@symbola.net www.symbola.net


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eventi

NICOL VIZIOLI

di Simone Cosimi

Vite in equilibrio

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o non so davvero come immaginarmi, da qui a cinque, dieci anni. Penso che sia contraddittorio fare troppi programmi, se si vuole fare dell’arte la propria vita». Nicol Vizioli è una di quelle che da subito, appena ne incroci la figura in un pub demodé della provincia romana,

capisci che ha il segno della predestinazione. Per carità: starà poi a lei far fruttare questo sigillo creativo, come d’altronde sta facendo seriamente da qualche tempo. «Ho una sola necessità impellente, nel corso delle mie giornate – confida – quella di assecondare l’immediatezza dell’occhio. Perdermi negli scorci nei quali mi imbatto e, nello stesso tempo, tentare di acciuffarli, di non smarrirne le tracce. Dopo un attimo, istanti e non secondi, quell’inquadratura svani-

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L’entusiasmo della giovane romana: «Dopo un attimo l’inquadratura svanisce. E se non l’ho acchiappata e messa da parte, ho qualcosa in meno»

su alluci privi di ossa sce. E io ho qualcosa in meno, se non l’ho acchiappata in qualche modo e messa da parte». Anche se poi, a dire il vero, ama la dimensione del set fotografico all’aperto: ricostruire le sensazioni raccolte nelle sue illuminazioni quotidiane in impianti scabri e precisi. Dentro ai quali si può vedere tutto e il suo contrario. È principalmente la fotografia, ovviamente, a darle questa possibilità. «Anche se non nasco fotografa. E tuttora non mi sento solo fotografa, ma anche pit-

trice. E infatti è proprio questo il lavoro che tento di mettere in atto nell’impianto delle mie foto: restituirne la struttura e il gusto cromatico pittorico». Procede per scatti puntuti. Parla (quasi) travolta dall’entusiasmo. Si percepisce che, dietro, c’è una vera esordiente: con tutti i pregi e i difetti di un’artista che sboccia. «Sembrerà scontato, e mi spiace non avere altro modo di spiegarmi, ma a me interessa ricercare il bello. Coglierne le epifanie e riproporle nei miei scatti».

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A sinistra: Nicol Vizioli, Cybele & Attis, 2008 A destra: Gold in the air of summer, 2008 Alle pagine 58-59: sopra: Unititled 2, 2008 sotto: Untitled 1, 2008

L’artista

Una passione per Sigismondi Nicol Vizioli nasce il 7 settembre 1982 a Roma. Si diploma al liceo classico e si laurea alla Sapienza di Roma in Arte e scienza dello spettacolo con una tesi sulla fotografa e regista canadese Floria Sigismondi. Un paio di collettive, poi la prima personale, lo scorso maggio, alla Rufart gallery, nella capitale, cominciano a far parlare delle sue foto, realizzate esclusivamente con soggetti scelti fra amici e conoscenti. Lavora nel suo studio al Quadraro vecchio e vive a Fonte Nuova, presso Monterotondo (Roma).aa.


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Dentro, c’è il contrasto più vecchio e affascinante del mondo, quasi ancestrale: quello di genere. Uomo-donna, maschio-femmina, distruzionecostruzione, guerra-pace. Soggetti, quelli della Vizioli, che cercano e al contempo tentano di evitare un sanguinario corpo a corpo. Si inseguono avvolti dal loro torpore schivando di passo in passo la scintilla. Oscillano e ondeggiano, in bilico «su alluci privi di ossa», come ama ripetere l’autrice con una spietata citazione dalla poetessa franco-statunitense Anaïs Nin, sua musa ispiratrice. «Odio il sole sparato. Amo invece una luminosità spenta, grigia – continua la giovane fotografa romana – la luce naturale, certo: però soffusa, schermata insomma da un’armata di nuvole. Una protezione che mi permetta di lavorare sulle sfumature, di costruire contrasti netti e decisi». E poi c’è il nudo. Sempre, o

quasi. «Devo togliere di mezzo qualsiasi ostacolo: mi interessa il movimento plastico, la carne, il disequilibrio fra i corpi, il loro ping pong emozionale. Cosa vuoi che me ne faccia dei vestiti?». Fra l’amore per il ceco Jan Saudek – e come nell’autore praghese i suoi corpi spogliati di vesti sono quelli della gente comune, degli amici della porta a fianco che la scortano nei suoi folli set fotografici fra parchi e boschi – e le infinite nottate trascorse nel suo nuovo studio «condiviso con altri due artisti, l’affitto costava troppo», al Quadraro vecchio, Nicol Vizioli è impegnata nella battaglia più emozionante della vita: scegliere una sua strada. Angosciata ed esaltata al contempo da un futuro artistico promettente. «Per ora cerco semplicemente di vivere, mi sembra già molto. Se tu fossi dentro la mia testa, non potresti non essere d’accordo con me».

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conversando sul sofà UMBERTO CROPPI

Il futuro

di Roma L’assessore racconta la strategia per la cultura di Giorgia Bernoni

L’assessore alla Cultura Umberto Croppi foto Manuela Giusto Nella pagina a fianco: l’alba sulla Notte bianca foto Ap/lapresse Nelle pagine successive: la sede del palazzo delle Esposizioni e del Macro

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o scenario che si gode dalla finestre dell’ufficio dell’ assessore alla cultura Umberto Croppi riconduce immediatamente al dualismo che da anni domina la città di Roma: la suggestiva bellezza delle rovine del Portico d’Ottavia in contrasto con il rumore stridente del traffico che le attanaglia. E proprio dalla gestione della grande eredità del passato insieme con le possibilità insite nel futuro manageriale della città che parte la sfida per quest’uomo, con un passato da comunicatore, che ha le idee chiare sul futuro della cultura a Roma. E sembra non essere troppo turbato dalle polemiche che recentemente lo hanno visto protagonista nella diatriba sul Macro e la gestione uscente. Roma è pronta per un nuovo modello culturale? «Dopo quindici anni di gestione veltroniana la priorità è quella in primo luogo di rimettere ordine, considerando che non c’è al mondo una città che abbia un patrimonio artistico, museale e architettonico al livello di Roma. Questo patrimonio deve essere valorizzato attraverso un’operazione di razionalizzazione dal punto di vista infrastrutturale e deve inoltre essere reso fruibile sotto il profilo della logistica, dei trasporti, dei servizi e della comunicazione. In secondo luogo bisogna procedere al riordinamento del sistema delle istituzioni culturali di nuova realizzazione che hanno funzioni incerte. È opportu-

no scegliere delle forme di semplificazione e di accorpamento, ma sempre nel rispetto delle diverse entità. Penso in primo luogo all’azienda speciale Palaexpò che, con una sua autonomia formale, è l’ente che gestisce il palazzo delle Esposizioni, le scuderie del Quirinale e anche la Casa del cinema, la Casa del jazz e il teatro di Ostia lido, entità di natura diversa tra loro che asseriscono a questa struttura spesso con molte difficoltà di tipo economico e amministrativo». Cosa si prevede per il Macro e quali i motivi della nomina di Philippe Daverio al Palaexpò? «Il Macro è concepito come un ufficio della soprintendenza comunale perché non ha nessuna autonomia formale e non può ricevere finanziamenti da privati. Bisogna intervenire in maniera radicale facendolo diventare autonomo. Penso a una fondazione, chiamando privati che partecipino alla gestione. Le caratteristiche di Daverio sono universalmente riconosciute, si tratta non solo di un grande esperto ma anche di un grande comunicatore e conoscitore dell’arte. Questa operazione rientra nel tentativo di rilancio che vogliamo fare delle nostre esposizioni. Sono felice che sarà alla presidenza dell’azienda speciale Palaexpò che gestisce diverse istituzioni espositive molto importanti. Vorrei che venisse costruito un piano di marketing che riguardi i rapporti tra città e ministero dei Beni culturali. Ad esempio tra pochi mesi ci troveremo con il Macro, che ha una situazione di passivo di sei milioni l’anno, e l’apertura quasi contemporanea

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del Maxxi, che si aggiungeranno alla Galleria d’arte moderna, ad avere a Roma la più grande piattaforma espositiva di arte contemporanea del mondo e nessuno sa come utilizzarla. Capitolo Notte bianca. «Principalmente motivi tecnici ci hanno costretto a farla saltare quest’anno perché i tempi di realizzazione non ci permettevano di andare oltre il cinque giugno per la decisione, ma in quel momento c’era il blocco totale degli investimenti. La Notte bianca romana era eccessivamente concentrata nel centro storico e si è rivelata più che altro un’occasione per la gente per stare in giro, senza diventare un vero momento di approfondimento culturale. I musei aperti e vuoti ne erano un esempio. Fare in modo cioè che la notte diventi un momento di implementazione della funzione dello spettacolo e dei beni culturali. Alcuni musei sono aperti anche negli orari serali, come i musei capitolini o il museo della tecnologia di villa Ada. Mi piacerebbe che a ottobre si realizzi la Notte bianca

dell’arte contemporanea con l’apertura di tutte le gallerie d’arte. Stiamo valutando l’opportunità di fare una notte futurista in occasione del centenario della nascita del futurismo. Ci sono anche delle occasioni tradizionali da riscoprire come la sagra delle lumache nella notte di San Giovanni, che è da sempre la Notte bianca dei romani. Tutto questo ha una funzione di promozione del patrimonio e anche l’indotto economico ne beneficerebbe seriamente». Quale futuro per la Festa del cinema? «A proposito della Festa del cinema si è deciso di proseguire nell’esperimento e la decisione del comune di Roma è stata fondamentale perché ciò avvenisse, dato che partecipiamo con una quota diretta di un milione e mezzo e con la fornitura di servizi. Tuttavia intendiamo porre delle condizioni rigide a questo finanziamento. Innanzitutto una progressiva riduzione dell’investimento, perché nell’ultima edizione è stato speso più del doppio di quanto è stato fatto per il Festival di Venezia. Contemporaneamente

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è necessaria una caratterizzazione dell’evento in termini di marketing. Il cambiamento radicale avverrà però nell’edizione del 2009». Ha un passato come editore alla Vallecchi. Il suo rapporto con l’editoria, in particolare con quella di pregio? «Amo i libri di pregio, ne ho anche prodotti diversi, e conosco molto bene il segmento editoriale in cui si muove Editalia. Un segmento, quella delle grafica e dell’editoria di pregio, interessante anche se credo che in Italia abbia bisogno di un complessivo rinnovamento. Il fatto che nel nostro paese esista un’editoria pubblica di questo tipo è importante e rappresenta un ulteriore modo per avvicinare le persone alla lettura, tuttavia è un’occasione che andrebbe sfruttata in modo più forte con un sostanziale ammodernamento complessivo del linguaggio e della scelta dei soggetti. Il settore è nato infatti su logiche del passato e non ha ancora seguito nella maniera necessaria l’evoluzione dei tempi, non avendo ancora conquistato dei nuovi i target di destinazione».

Politico e comunicatore Da Rauti ai Verdi

Nato a Roma il primo gennaio 1956 è assessore alle politiche culturali e alla comunicazione del Comune di Roma, direttore generale della Fondazione Valore Italia e componente del Consiglio del Design del Ministero per i Beni Culturali. È stato tra gli ideatori delle nuove forme espressive della cultura di destra degli anni '70, tra cui i famosi Campi Hobbit. Arrivato ai vertici del partito con la segreteria Rauti ha diretto il settore comunicazione. Uscito dal Msi nel 1991 si è impegnato in alcuni nuovi soggetti della politica italiana di quegli anni (tra cui La rete e i Verdi), è stato consigliere regionale del Lazio e capogruppo dei Verdi. Ha curato la comunicazione elettorale del sindaco di Roma Gianni Alemanno.


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un caffè con PHILIPPE DAVERIO

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A passeggio nella Bologna di Lombardi per riscoprirne le sculture dimenticate

di Giulia Cavallaro

A destra: particolare del monumento funebre ad Armaciotto de’ Ramazzotti, 1528-30 utilizzato come copertina del volume dedicato ad Alfonso Lombardi Alle pagine 68-69: Philippe Daverio e il monumento nel suo complesso

Bologna offre architetture nascoste, arte urbana che non sempre nel corso degli anni è stata valorizzata ma che racchiude parte della storia della città e numerosi momenti significativi della storia dell’arte. Alfonso Lombardi (Ferrara 1497, Bologna 1537) riveste un ruolo importante nella scultura del capoluogo emiliano, le sue opere creano un dialogo sia con gli abitanti che con i turisti che hanno voglia di scoprire in modo non frettoloso quel che il contesto urbano stesso offre. Dialogando col critico d’arte Philippe Daverio e sfogliando le pagine del volume “Alfonso Lombardi. Lo scultore a Bologna” si offrono a tutti gli strumenti per passeggiare tranquillamente nel centro cittadino emiliano – e lo abbiamo fatto con l’illustre esperto – e riconoscerne capolavori dalla profonda valenza culturale. Com’è secondo lei il rapporto che si instaura tra la scultura e la città? Come si sviluppa, cresce ed evolve? «Il rapporto che si instaura tra la scultura e i cittadini si inscrive nel più ampio rapporto che sussiste tra lo spazio urbano e il cittadino. Diciamo che lo spazio urbano influenza la vita dei cittadini a seconda dei luoghi: non sempre le piazze hanno lo stesso rapporto con i cittadini. La piazza di tipo monarchico è quella che più favorisce la relazione tra se stessa e gli abitanti nel contesto urbano. Un esempio italiano di questa tipologia di spazio è offerto naturalmente da Roma. Affido alla scultura lo stesso ruolo che in generale ha la cultura nelle sue diverse forme espressive, dall’arte alla pittura, alla musica. Un ruolo espressivo, comunicativo, che esalta la storia e il senso della comunità». Nel caso specifico del rapporto tra Bologna e Alfonso Lombardi, come giudica questa relazione, anche in rapporto ad altre esperienze di scultura urbana? «Attraverso Alfonso Lombardi si può riscoprire una parte di Bologna rimasta addormentata per tanto tempo. La coscienza culturale italiana spesso va stimolata, attirando l’attenzione delle persone. Questo soprattutto dal punto di vista della scultura, per mettere in luce ed esaltare la presenza di opere che altrimenti sarebbero ignorate. Come nel caso dell’ampia produzione del Lombardi che spesso passa inosservato, nonostante sia uno scultore le cui opere sono racchiuse nei luoghi simbolo di Bologna. Purtroppo se non si parla di determinati aspetti della cultura italiana il rischio è quello di perdere parte del patrimonio urbano, di cui l’Italia è piena. Probabilmente l’arte e la cultura rimarranno sempre secondari rispetto all’importanza attribuita ad altri aspetti della quotidianità, ma il tentativo di diffondere il passato da parte degli operatori culturali è fondamentale da questo punto di vista. Lombardi si colloca entro un’idea di scultura non platonica, forte, intensa e molto anticipatrice rispetto alla sua epoca. Per questo è degno di essere al centro dell’attenzione del discorso della cultura anche nell’ottica contemporanea». In viaggio per Bologna attraverso i luoghi principali delle sculture di Alfonso Lombardi. «Partendo dal cuore cittadino, San Petronio, esattamente sulla facciata si trova una scultura marmorea di Lombardi, la Resurrezione di Cristo. Dal simbolo cittadino, basta spostarsi

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UN FERRARESE sotto le due Torri

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Il personaggio

Daverio, poliedrico novecentista Famoso per i suoi accostamenti estetici, che emergono dalla sua raffinata scelta dell’abbigliamento, Daverio è un personaggio unico nel panorama dell’arte contemporanea. Nato nel 1949 a Mulhouse in Alsazia, vive sin da giovane tra la Francia e l’Italia. A Milano ha origine la sua attività di mercante d’arte, inaugurando quattro gallerie tra il capoluogo lombardo e New York. Tutta la sua produttiva attività si concentra sulla valorizzazione del Novecento a livello internazionale. Oltre che gallerista, Daverio è anche editore, opinionista (Panorama, Vogue e Liberal), consulente di Skira e storico dell’arte. Così è stato conosciuto al grande pubblico tramite la conduzione del programma televisivo Art tu. Ha promosso e seguito alcuni lavori pubblici significativi (completamento del Piccolo teatro, del teatro dell'Arte alla Triennale, progetto Ansaldo, progetto palazzo Reale, teatro della Bicocca degli Arcimboldi). È stato fra i promotori delle fondazioni come strumento di autonomia e di osmosi fra pubblico e privato nelle istituzioni culturali (Scala, fondazione Pierlombardo, fondazione dei Pomeriggi musicali, fondazione delle Scuole civiche artistiche milanesi). Attualmente conduce il programma Passpartout ed è direttore di Art e Dossier.

Il volume Alfonso Lombardi Lo scultore a Bologna Editrice Compositori 80 pagine, 28 euro Il volume è a cura di Graziano Campanini e Daniela Sinigallesi mentre le immagini sono di Paolo Righi. Un percorso alla scoperta delle opere dell’artista, un viaggio affascinante attraverso Bologna con il filo conduttore della scultura del maestro ferrarese. Grazie agli apparati critici e a una curata documentazione fotografica, presenta non solo la personalità di Lombardi ma anche il legame tra una città e la sua opera scultorea.

lateralmente di qualche metro e imboccare via Clavature per incrociare l’oratorio di Santa Maria della vita, dentro il quale si colloca il Transito della vergine, un altro capolavoro di Lombardi. Attraversando la spaziosa piazza Maggiore troviamo un altro lavoro del maestro ferrarese racchiuso nel municipio, salendo al primo piano si trova infatti Ercole con la sua clava di un colore patinato simile al bronzo. Dentro la bellissima chiesa di San Pietro troviamo invece un Compianto di Cristo morto sul lato destro del primo altare: un’opera manierista, in cui si respira la volontà di Lombardi di partecipare alla vita di corte, di appartenere ad un mondo elegante e dal “bell’aspetto”. Percorrendo via Indipendenza, strada centrale, percorsa da abitanti amalgamati a turisti veloci e ad attenti viaggiatori, si incrocia via De’ Falegnami, in cui si affaccia la chiesa di San Bartolomeo di Reno (chiamata anche Madonna della pioggia): qui il Lombardi ha modellato il Santo apostolo, con la sua barba fluente e il libro sacro retto dal braccio sinistro. Tornando nella piazza centrale di Bologna, la passeggiata dedicata ad Alfonso prosegue tra palazzi signorili, alberi e tanta gente, fino a che non si incontra l’opera più interessante dello scultore, l’Arca di san Domenico, conservata nel luogo dove hanno lavorato generazioni di artisti e dove si collocano le reliquie del santo fondatore dell’ordine domenicano. Hanno lavorato alla nascita di questa splendida opera Niccolò Pisano, Niccolò dell’Arca, Michelangelo e lo stesso Lombardi, di cui si può vedere una formella che raffigura diversi momenti della massima espressione della santità di san Domenico». Qual è l’aspetto qualitativamente significativo del libro “Alfonso Lombardi. Lo scultore a Bologna”? «Il libro merita di essere sfogliato. Possiede un impianto fotografico di altissimo livello, grazie alle immagini di Paolo Righi che riproducono con un rigoroso e intrigante bianco e nero le opere che abbiamo citato nella nostra passeggiata bolognese seguendo come filo conduttore le sculture di Alfonso Lombardi. L’artista ferrarese, contemporaneo a Michelangelo e a Raffaello, è quasi misconosciuto nella stessa Bologna che accoglie diverse prove della sua abilità artistica. L’aspetto interessante che emerge dal volume è il profondo rapporto che si instaura tra una città e le sue opere scultoree e lo stimolo verso la creazione di altri percorsi urbani contemporanei in grado di valorizzare profondamente un turismo alternativo e attento a sculture che con volti, sguardi, mani, esprimono sentimenti, epoche. Un libro che insegna a soffermarci su quei dettagli che la storia ci ha lasciato. Senza permettere di dimenticarli alle nostre spalle».

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a regola d’arte SYMBOLA

SIMBOLI DI QUALITÀ VINCENTE Realacci: «Mettiamo insieme storie di un’Italia che ce la fa» di Chiara Norton

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Da sempre attivo per la tutela dell’ambiente, è socio onorario di Legambiente, presidente dell’Aies e vicepresidente del Kyoto club. Ermete Realacci nasce a Sora (Frosinone), nel 1955, è sposato e vive a Roma. Diplomato al liceo classico, ha lavorato come pubblicista. Nel 2004 istituisce la fondazione Symbola, che dirige tuttora. Con la nuova legislatura è stato nominato ministro ombra dell’Ambiente per il Partito democratico. Perché una fondazione per le qualità italiane? «Spesso l’Italia viene presentata come un paese che ha poca fiducia nel futuro. Eppure, qualcosa vuol dire se nell’ultimo quadriennio le esportazioni sono cresciute del 30%, con un più 10% nel 2007. Questo risultato è stato raggiunto da imprese che, puntando sulla qualità come asset strategico, sono riuscite a competere nei mercati internazionali. Symbola è nata per raccontare e promuovere esperienze di successo come queste, realtà che hanno interpretato la qualità in senso nuovo, non più legata solo ai prodotti, ma anche ai processi che li generano e ai territori che li producono. Un approccio nuovo alla qualità, in grado di tenere insieme responsabilità d’impresa, attenzione al territorio, cultura ambientale, investimento sul capitale umano e innovazione, che abbiamo definito “soft economy”». Chi sono i promotori di Symbola? «Oggi Symbola mette in rete 135 realtà imprenditoriali, associative e istituzionali, convinte che la qualità sia iscritta nel patrimonio genetico dell’Italia e che il nostro paese potrà avere un ruolo autorevole, solo valorizzando quel patrimonio. Tra gli altri a credere in questa iniziativa sono Giuseppe Mussari, presidente del Monte dei Paschi di Siena e attualmente presidente del forum della fondazione; Domenico De Masi, socio-

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logo e presidente del comitato scientifico; Fabio Renzi, segretario generale della fondazione; l’amministratore delegato di Unicredit group Alessandro Profumo; il presidente di Tod’s Diego Della Valle; l’Ad di Editalia Marco de Guzzis; Franco Pasquali della Coldiretti e Franco Bonanini, presidente del parco nazionale delle Cinque terre». Quali sono le principali attività della fondazione? «Il nostro impegno principale è la promozione della qualità in tutte le sue forme: dalle produzioni manifatturiere e artigianali a quelle industriali di punta, dalla ricerca al marketing territoriale, dall’architettura e design al turismo, dalle nuove tecnologie alle eccellenze enologiche e agroalimentari, dalla moda alle produzioni culturali e l’informazione, dai servizi territoriali, ai distretti, dai parchi alle innovative esperienze sociali e imprenditoriali del terzo settore, fino ai prodotti di largo consumo. Symbola attraverso progetti, iniziative, ricerche, seminari come quello annuale estivo, si sta affermando a livello nazionale come uno dei principali punti di riferimento sui temi della qualità. Per creare un indice di misurazione della qualità del paese stiamo elaborando il Piq, Prodotto interno qualità, la cui seconda edizione verrà presentata nel 2009. Sempre nel prossimo anno si terrà a Milano la seconda edizione della Campionaria, la Fiera delle qualità italiane, una grande iniziativa fieristica che metterà insieme in un percorso espositivo innovativo realtà del mondo imprenditoriale, associativo e istituzionale. Il compito di Symbola è dunque incoraggiare e promuovere le eccellenze del made in Italy, da qui nasce la collaborazione con Sofà. Dal prossimo mese Symbola curerà una rubrica chiamata Fatto ad arte in cui racconterà la qualità italiana attraverso i sui protagonisti».

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Un momento dal seminario Symbola di Montefalco Nella pagina precedente: l’intervento del presidente Ermete Realacci


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Se l’Italia GUARDA AVANTI

All’ultimo seminario Symbola le ricette per rilanciare il made in Italy di Elena Mandolini

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evagna e Montefalco sono state teatro dell’usuale seminario estivo della fondazione Symbola. L’attenzione è stata posta sulle condizioni industriali dell’Italia, con riferimento ai movimenti economici degli ultimi due anni e di come si possano risollevare le sorti del nostro paese attraverso il consolidamento del made in Italy, già forte di per sé. Con l’intendo di creare quindi un’Italia più competitiva e, soprattutto, consapevole dei punti di forza da sfruttare. Fabio Renzi, segretario generale di Symbola, nella sua relazione d’apertura ha affermato che sarebbe molto più utile mettere da parte il cinismo e la negatività che ci sta pervadendo per dare spazio a maggiore ottimismo. «Molte realtà di successo – ha affermato Renzi – magari non vengono sufficientemente menzionate. C’è poi la paura che la globalizzazione possa frenare le medie e piccole imprese, accentuata dalle affermazioni accademiche e politiche nonché da forme di concorrenza internazionale sleale». L’obiettivo, dunque, è trovare strategie che possano continuare a liberarci da questo stato di torpore e difendere qualità territoriali e prodotti. Questo processo, lento ma costante, sta già portando novità eccellenti come la notizia che alcuni stilisti britannici hanno spostato in Italia le loro industrie di sarto-

ria prima collocate in Medio Oriente. Nello specifico, secondo la ricerca realizzata da Marco Fortis, docente alla Cattolica di Milano e vicepresidente della fondazione Edison, ciò che frena la scalata sono le cosiddette «4d, ossia il debito pubblico, il deficit energetico e infrastrutturale, il divario nord-sud e il differenziale fiscale con gli altri paesi». In aiuto, arrivano le “4a” del made in Italy, che hanno attutito quello che è stato il deficit energetico lordo. Nel corso del 2007, secondo Fortis, queste 4d hanno toccato un nuovo surplus record arrivando a 113 milioni di euro. Si tratta dei settori più importanti e specializzati della produzione italiana: alimentari e vini; arredo casa; abbigliamento e moda; automazione e meccanica. Proprio l’ultimo settore citato è quello che maggiormente ha portato giovamento all’economia grazie alle esportazioni extra Ue, che ci hanno collocato al di sopra di paesi come Regno Unito, Francia, Spagna, Svezia e Austria. L’unica eccezione è del reparto autoveicoli, che non ha raggiunto tale risultato. Mentre il settore manifatturiero ha trovato buona accoglienza soprattutto nell’Europa centro orientale (in particolare in Russia) e nel Medio Oriente. Livio Barnabò, membro del comitato scientifico di Symbola, è intervenuto nel corso del seminario sottolineando la necessità di dare maggiore spazio al made in Italy come luogo della sfida internazionale. Ciò che manca, a suo avviso, non sono certo le risorse, ma i progetti e le

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La fondazione

Al lavoro per sostenere un’economia soft Lo scopo della fondazione Symbola, presieduta da Ermete Realacci, è favorire il modello di sviluppo della soft economy, ossia fondere la ricerca tecnologica e l’innovazione con la riscoperta della bellezza del territorio italiano assieme alle sue tradizioni ed a tutti i suoi relativi prodotti. Non a caso il termine greco “symbola” significa mettere insieme parti d’uno stesso pezzo con lo scopo di riunificate l’originaria unità. I campi d’azione riguardano una maggiore conoscenza del territorio, la definizione di nuove strategie competitive nonché una più intensa promozione della ricerca scientifica. A tale scopo le attività si suddividono in sondaggi, ricerche, incontri, seminari, corsi e master con istituzioni, enti privati e no. Info: www.symbola.net. aa.

Tredici casi d’eccellenza Slam

Ucina

L’azienda genovese produce magliette, guanti, giacche e scarpe e collabora con università e centri di ricerca. Presidente: Carla Giardino.

Associazione senza fini di lucro che sostiene il made in Italy di cantieri e industrie nautiche a livello mondiale. Presidente: Francesco Albertoni.

Club della meccatronica

Consorzio 100% italiano

Unisce la meccanica e l’elettronica. Le imprese del club reinvestono una gran parte del loro fatturato nella ricerca. Presidente: Aimone Storchi.

Comprensiva di 63 imprese del settore conciario che producono a livello nazionale. Presidente: Andrea Calistri.

Ferretti group Leader nella nautica da diporto nonché produttore di yacht e megayacht di lusso. Presidente: Norberto Ferretti.

Mario Cucinella capacità di realizzarli. Risulta facile, infatti, che gli investitori professionali lamentino una forte carenza di progetti convincenti e stimolanti. «Il valore delle nostre produzioni – ha dichiarato Barnabò – è risposto nella specializzazione, nel presidio dei mercati, nella rinnovata tecnologia, nell’individualità industriale e infine nella capacità di recuperare le nostre tradizioni». Allora perché tanta fragilità e timore nelle nostre industrie? Perché ancora oggi, è emerso dal seminario, tre sono i campi su cui bisogna maggiormente lavorare: ossia una maggiore innovazione, una spinta ai processi di un commercio internazionale e il riassetto di una gerarchia territoriale delle funzioni terziarie. Grazie alla ricerca coadiuvata fra Symbola e il ministero dello Sviluppo economico sono nati tre nuovi strumenti utili a tracciare la strada, fra cui spicca il Piq, Prodotto interno qualità: un innovativo metro di misura per la nuova economia. A conclusione del seminario, Symbola ha segnalato i tredici casi di eccellenza italiana basandosi anche sul concetto di soft economy. Come ha affermato Renzi: «Abbiamo cercato il futuro che abita già nel presente di molte realtà». Infine, il 7 ottobre, nel palazzo delle Esposizioni in Roma, verranno proclamati i vincitori del premio Carte che intende promuovere il settore cartaceo italiano attraverso quattro categorie: tecnologia e innovazione, talento, territorio e tradizione.

Architetto affermato in campo internazionale, porta avanti una nuova linea di pensiero: costruire in base alla sostenibilità ambientale.

Fiera Milano Spa Circa ottanta manifestazioni l’anno e più di 30mila aziende espositrici, per il primo operatore fieristico italiano, secondo al mondo. Presidente: Michele Perini.

Parco delle Cinque terre Il flusso turistico del parco è in continua crescita, così anche la produzione dei rinomati prodotti: passito Sciacchetrà, olio d’oliva, limoncino e grappa.

Lanificio Leo La più antica fabbrica tessile calabrese unita a un museo con tanto di macchine dell’Ottocento.

Olimpiadi invernali 2006 Consacrazione a livello mondiale dell’Italia e di Torino, ha dimostrato una grande capacità imprenditoriale e organizzativa grazie anche al lavoro di Evelina Christillin.

Rainbow Presieduta da Iginio Straffi, lo studio ha creato il Cartoon Winx club, esportato in oltre 80 paesi. Lo scorso anno è nato il primo lungometraggio tratto dallo stesso cartone animato animato dalle ragazzine di tutto il mondo.

Coop Il supermercato per eccellenza. Leader della grande distribuzione organizzata, si è unito all’associazione consumatori rafforzando la propria immagine. Presidente: Aldo Soldi.

Acrib L’Associazione calzaturifici della Riviera del Brenta, presieduta da Giuseppe Baiardo, vanta piccole e medie imprese con una produzione annua di circa 22 milioni di paia di scarpe.


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G U I D O TA L A R I C O E D I T O R E

INSIDEART G U I D O TA L A R I C O E D I T O R E

anno 5 #46

settembre 2008

www.insideart.eu

euro 5

Pratesi

Grandi mostre

La mia Pescheria così poco esterofila

Hornby Parole e musica di un’icona pop

MUSEI GALLERIE

Croppi Roma: basta con la Notte bianca, meglio le lumache

talenti emergenti INDIRIZZI D’ARTE

interventi di

Del Vecchio e van Straten

L’Italia è in stallo la creatività può tenerla a galla

architettura & design

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il mestiere dell’arte UNALUNA

Editoria tradizionale

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naluna è una realtà editoriale unica dove l’aspetto artigianale rappresenta la caratteristica principale. Animata dalla volontà di creare ogni libro con lo stesso criterio di manualità che genera un’opera d’arte, si colloca nel campo dell’editoria in maniera assolutamente autonoma rispetto alle convenzioni di questo settore dettate dalle tecniche contemporanee. Nata dalla creatività di Alessandro Sartori e Fausto Olivieri ha una storia lunga tredici anni. Sartori racconta così l’inizio della sua avventura: «Cominciò tutto nel 1995 con una mia crisi esistenziale. Da regista quale ero mi sono chiesto se esistesse il modo di rendere spettacolare un libro. Nel ’97 ci sarebbe stato l’anniversario della morte di Leopardi e volevo celebrarlo con una mia produzione libraria. Ho coinvolto Walter Valentini a cui ho chiesto anche di disegnarmi il logo della casa editrice». Il nome Unaluna nasce dalla combinazione di due aspetti: «In Unaluna – continua Sartori – c’era un’indicazione verso l’astro che io amo, una specie di interlocutore lontano, e soprattutto la ripetizione del termine “una” che voleva, con un po’ di presunzione, indicare l’unicità di quello che volevo fare». Nel 1997 Sartori incontra Olivieri, già collaboratore di Treccani, Rizzoli e Mondadori, che ha ereditato la tipografia del padre continuando a lavorare con metodi tradizionali. Lo stesso Olivieri spiega che per Unaluna

Creare un libro come un’opera artistica di Mauro Cindia

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A Fabriano la sede Monotype e carte particolari

Nella primavera del 1997 nasce a Milano la casa editrice Unaluna che coniuga il fare artigianale con un pensiero contemporaneo nella produzione editoriale. Due i creatori di Unaluna: Alessandro Sartori e Fausto Olivieri. Il primo ha lavorato come regista per la Rai molti anni, mentre il secondo è un tipografo di professione. La loro sfida è stata quella di creare una nuova editoria utilizzando i metodi tradizionali come il monotype e l’impiego di carte particolari. La sede di Unaluna è attualmente al Museo della carta e della filigrana di Fabriano. Info: www.unaluna.it.

hanno adoperato «le tecniche più moderne per avere il miglior risultato per una editoria d’arte, e non d’artista». E aggiunge: «La vera innovazione è stata la scelta delle carte, molto materiche, mosse, in purissimo cotone, e una stampa tipografica risultante dalle tecniche migliori inventate negli ultimi 500 anni, che mantiene però l’uso di elementi tradizionali quali i caratteri tipografici in piombo». Spiega Olivieri: «C’è quasi un rapporto fisico con il libro: annusi, tocchi, senti il rumore e il profumo della carta oltre che guardare». Proprio per la particolarità delle sue creazioni agli inizi Unaluna non ha avuto una vera e propria tipologia editoriale. Ma è già in progetto la realizzazione di una fondazione a Fabriano collegata con il Museo della carta e della filigrana della città. L’obiettivo è quello di divenire un luogo di sperimentazione per rendere attuale la storia libraria con la produzione di vere e proprie collane. Con Sartori nasce anche il “Libroalchiodo”: posto in teche disegnate da lui stesso si può vedere come opera d’arte da attaccare al muro. L’intenzione è quella di rendere eterno il libro: «L’eternità per un libro: su questo possiamo metterci d’accordo», dice ancora Sartori, citando La confessione di Gutenberg di Blake Morrison, presente nel catalogo di Unaluna, a racchiuderne lo spirito. Approfondisce il concetto il motto del tipografo cinquecentesco Cristophe Platin, secondo cui un libro ha bisogno di “labore et constantia”. «Se non avessi avuto la costanza a fronte dei problemi affrontati in questi anni, il progetto non sarebbe allo stato attuale», conclude Sartori.

Dall’alto: macchina fonditrice Monotype per la fusione dei caratteri Fausto Olivieri Nella pagina precedente: Alessandro Sartori l’edizione di “Canti” di Giacomo Leopardi

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il motore dell’arte UNICREDIT & ART

di Simone Cosimi

Diamo credito

all’arte che vale

Catterina Seia: «Non ci interessa lavare il brand nel fiume della cultura per avere visibilità di breve durata» di Simone Cosimi

La manager

Trent’anni nel gruppo bancario leader in Europa Formazione economica e sociologica, Catterina Seia, nata nel 1960, lavora dall’80 per Unicredit. Dal business all’organizzazione fino al marketing. Con la dirigenza ha assunto la responsabilità del centro di formazione, seguita dalla direzione comunicazione e training center di Banca Crt. Dal 2005 è responsabile del progetto che il gruppo ha varato sui linguaggi della contemporaneità a livello internazionale.

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M L’Hvb Kunst palais a Monaco una delle sedi espositive Unicredit Nella pagina precedente: Catterina Seia

Mettere assieme quel complicato patchwork aziendale che, in particolare negli ultimi tre anni, ha fatto di Unicredit un gigante bancario leader in Europa, partorendo un vero gruppo interculturale, oltre che internazionale. Al contempo, comunicare e lavorare all’esterno attraverso il linguaggio più universale che ci sia: quello dell’arte. Catterina Seia, da trent’anni nella famiglia Unicredit fra organizzazione, marketing e comunicazione, fa il punto su quell’ambiziosa realtà che è Unicredit & Art e che dirige sin dall’inizio, nel 2005. Quali sono le ragioni principali della nascita di Unicredit & Art? «Le banche che hanno generato Unicredit erano caratterizzate da un impegno nella valorizzazione delle espressioni culturali delle loro comunità. Varando Unicredit & Art abbiamo razionalizzato gli investimenti con una gestione manageriale. L’attenzione ai giovani e alla contemporaneità riflette i valori nei quali ci riconosciamo: dinamismo, interculturalità, ampliamento delle prospettive, apertura al nuovo». Che genere di sviluppi ci sono stati nell’ultimo anno: un primo bilancio? «Alla partenza, il progetto è stato fortemente criticato come provinciale da chi ha obiettivi di comunicazione a breve termine, inseguendo le star. L’ultimo anno è stato intenso, l’integrazione di Capitalia ha incrementato la nostra collezione che è sempre in movimento, con una media di 250 prestiti ogni anno. Stiamo inoltre rivolgendo attenzione all’est, in Croazia, in Romania e in Turchia. In Italia interverremo in maniera più incisiva al sud. Formazione, educazione all’arte ci vedono in prima linea nella sperimentazione. Il nostro interlocutore privilegiato è il Dipartimento educazione del castello di Rivoli. Una collaborazione d’eccezione vedrà a breve tutti i dipartimenti didattici dei nostri musei partner lavorare assieme, nella cornice di piazza Maggiore per il festival Artelibro, un happening di creatività collettiva che avrà luogo il 28 settembre». L’arte contemporanea è effettivamente divenuta un mezzo per trasmettere valori e idee fondanti per il gruppo, oltre che mettere un logo da qualche parte? «Non ci interessa lavare il brand nel fiume della cultura per avere visibilità di breve durata. Ci accade di frequente di essere sulle prime pagine per il business. Unicredit in pochi anni è passato da una dimensione nazionale a una leadership paneuropea e attraverso una serie di acquisizioni è ora presente in 23 paesi. Le raccolte confluite dalle aggregazioni hanno generato una delle più ampie collezioni corporate in Europa che, con circa 60mila opere, abbraccia tutta la storia dell’arte». Qual è il suo giudizio sul contesto culturale e artistico in Italia: la creatività può tenere a galla un paese in crisi? «Aumenta la consapevolezza della cultura come risorsa, dell’esigenza di operare a livello di sistema. Ci sono luoghi come Torino capaci di valorizzare la storia ed essere protagonisti della contemporaneità. Il Veneto vanta un’elevata densità di industrie creative. Anche la Basilicata, con un presidente come Vito De Filippo e i giovani imprenditori che in Sicilia si stanno dimostrando sensibili all’arte contemporanea. Bisogna riflettere su questi casi positivi. Il nostro paese sta uscendo dalle lamentatio dei salotti». Quali sono stati gli artisti su cui vi siete concentrati di recente? «Segnalo il lavoro svolto con il Mambo, nell’ambito di Focus on italian art, per la produzione di progetti di giovani artisti. Tra quelli già entrati in collezione Luca Pancrazzi, Loris Cecchini, Alessandra Tesi, Elisa Sighicelli, Lara Favaretto, Luisa Lambri, Eva Marisaldi, Patrick Tuttofuoco, Sissi, Previdi, Francesco Jodice. La prossima presentazione avverrà a dicembre».

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comunicare ad arte ULTRAFRAGOLA CHANNELS

Un canale color fragola

È la prima web tv italiana dedicata all’arte, all’architettura e al design L’ideatrice Francesca Molteni: «Facciamo tutto da soli e senza sponsor» di Marilisa Rizzitelli

I

n Italia è la prima web tv dedicata al design, all’arte e all’architettura. Allegra e accattivante, Ultrafragola Channels va in onda tutti i giorni offrendo ai navigatori, 24 ore su 24, un flusso ininterrotto di notizie quotidianamente aggiornate con servizi di approfondimento, news, interviste. Con creatività, ambizione e spirito pionieristico Didi Gnocchi e Francesca Molteni, curatori della casa di produzione milanese 3D, hanno traslato sul web un programma televisivo, in onda per due anni sul canale Cult di Sky, sfruttando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Una semplice evoluzione, una tv senza costi, nuova e trasversale, che incrocia diversi linguaggi. Pubblicata sul web ad aprile 2007 in occasione del salone del Mobile, Ultrafragola è stata subito notata, tanto da attirare l’interesse della giuria popolare di Yahoo!, che per il singolare layout l’ha insignita lo stesso anno del premio “Rivelazioni del web” nella categoria del design. Questo perché il marchio Ultrafragola, peraltro evocativo di uno specchio disegnato alla fine degli anni ’60 dal grande architetto e designer italiano Ettore Sottsass, propone il design, ritenuto da sempre un settore difficile anche dagli addetti ai lavori, in maniera leggera, descrivendolo come un fatto di cronaca, senza orpelli. «Il taglio originale infatti che contraddistingue Ultrafragola in tv è quello di raccontare il design e l’architettura, a tutti. Nessuno, nella redazione, è uno specialista in materia – spiega Francesca Molteni – veniamo dal giornalismo, dal mondo dell’editoria e della tv. Ci sono state occasioni che ci hanno portato su questo terreno, e l’abbiamo semplicemente percorso con la nostra creatività». Al momento Ultrafragola Channels si compone di 3 canali con vari “palinsesti”, ognuno dei quali organizzato per macro temi e non secondo la logica temporale della televisione tradizionale, scandita da orari. «È tutto prodotto e realizzato in casa – continua – privi come siamo di sponsor e pubblicità, abbiamo scelto di

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Il canale

Lo specchio di Sottsass per capire la contemporaneità Ultrafragola Channels è la prima web tv dedicata al design, all’arte e all’architettura in onda 24 ore su 24 con un flusso continuo, un palinsesto strutturato in rubriche tematiche, interviste e servizi esterni, news, approfondimenti e un archivio multimediale. Curato da Didi Gnocchi e Francesca Molteni con la grafica di Andrea Lancellotti, è un canale che si propone con un linguaggio creato per chi ama i modi e gli spazi del web. Ultrafragola è un contenitore di idee, un logo mutuato da uno specchio di Ettore Sottsass: presente, passato e futuro del design, dell’arte e dell’architettura italiana. Ma anche un ponte verso la scena internazionale, per esplorare tendenze, talenti e oggetti del design internazionale. Dallo studio di via Legnano 14, a Milano, i tre operatori di Utrafragola provano a capire e a spiegare cosa c’è dietro un oggetto, una mostra, una casa, una vita creativa. Info: www.ultrafragola.com.

A sinistra: Francesca Molteni e il logo di Ultrafragola Channels

essere indipendenti per avere la libertà di gestire Ultrafragola come ci piace. Il nostro obiettivo è avvicinare le aziende, le istituzioni, tutti coloro che hanno bisogno di una comunicazione a 360°, all’esperienza della web tv. Ci proponiamo infatti da un lato come editori e produttori di questa anche per altri soggetti, dall’altro cerchiamo di rendere facile l’approccio anche per chi è abituato ad accendere il telecomando e a mettersi davanti alla tv. La scelta di approfondire gli argomenti correlati a uno o più articoli, immagini e parole chiave rimane di ciascun utente». Con un canale distribuito online in tutto il mondo, anche in lingua inglese, Ultrafragola vanta una media di 1.500 accessi giornalieri, con punte che arrivano anche a 4.000 durante eventi particolari. «Gli utenti non solo vengono, ma tornano e, soprattutto, restano collegati per 14 minuti. Una permanenza che permette la visione di 7 video, una buona media», conclude la Molteni.

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il cammeo DI ADIEM

CAMBELLOTTI

tra arte e tecnica

L’artista poliedrico ha legato il suo nome a Latina e all’area pontina

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l concorso internazionale Cambellotti e Latina, promosso dalla Banca del tempo del capoluogo pontino in occasione del suo decennale, offre il pretesto per puntare il riflettore su un artista poliedrico, a lungo – e a torto – considerato “di regime”: un cliché ormai anacronistico, grazie anche all’ottica storica più matura che permette di collocare il nostro fra i protagonisti del Novecento italiano. Nato nel 1876 a Roma, dove morì nel 1960, Duilio Cambellotti si formò inizialmente nella bottega del padre intagliatore, rivelando presto una versatilità non comune in tutte le forme delle arti visive, dalla scultura alla pittura, dalla grafica alla ceramica, dal design alla scenografia, alla cartellonistica. Valgano come esempio, in quest’ultimo caso, le affiches per gli spettacoli del teatro Greco di Siracusa, dove la padronanza del segno, agile e corposo, dà luogo a composizioni dal ritmo impeccabile, connotate da un’in-

terpretazione del tutto originale dei miti rappresentati. Dall’antichità classica Cambellotti assimilò anche il principio della compenetrazione fra arte e tecnica, lasciando intuire, come emerge da una sua dichiarazione autobiografica, il valore assegnato al sapere artigiano e al connubio fra sforzo fisico e intellettuale: «Acquistai così contemporaneamente alle altre un’altra tecnica, quella della grafica: la grafica non circoscritta ad una copia della forma e delle luci: non grafica in se stessa, ma sottoposta ad uno scopo immediato, quello cioè di raccogliere una forma attorno ad un pensiero, fosse esso elementare, fosse elevato». Durante la bonifica, Cambellotti lavorò molto nell’area pontina, tanto da essere soprannominato Duilio Pontino. Questa la ragione per cui Latina gli ha intitolato in piazza san Marco un museo che offre una vasta e trasversale rassegna della sua produzione e che, per la varietà di manifestazioni proposte, gioca un ruolo primario nella promozione culturale della città.

Immagine dalla mostra Duilio Cambellotti, dalla tragedia greca al mito di Roma, sezione Progetti, scene e costumi per il teatro Greco galleria Carlo Virgilio, 2008

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SE TI ABITUI A SPEGNERE COMPLETAMENTE GLI ELETTRODOMESTICI DI CASA NON LASCIANDOLI IN STAND-BY, PUOI RISPARMIARE OLTRE 50 EURO ALL’ANNO. E SEGUENDO I 24 CONSIGLI DI ENI PUOI DIMINUIRE FINO AL 30% IL COSTO DELL’ENERGIA NELLA TUA FAMIGLIA RISPARMIANDO FINO A 1600 EURO ALL’ANNO.

Cerca i 24 consigli su eni.it o sulla pagina 498 del televideo.


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codex PLUTEUS 73.16

M Erbe magiche

I saperi farmacologici di Oriente e Occidente si incontrano nel codice mediceo di Federico II di Alessandra Vitale

Mentre sulle reti televisive imperversa lo scorbutico dottor House e sui quotidiani fioccano i casi di malasanità dalle Alpi allo Stretto, nessuna operazione appare più appropriata dell’edizione in facsimile, promossa da Editalia, del codice manoscritto noto come Pluteus 73.16, attualmente conservato nella biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Come dire: noi schizofrenici della salute, che oscilliamo tra ospedali hi-tech e rimedi orientali e omeopatici, faremmo bene a dare uno sguardo indietro, alle origini della nostra storia medica e a una tradizione terapeutica secolare. Il Pluteus 73.16, definito volgarmente “erbario”, è infatti una miscellanea di testi farmacologici (che si occupano cioè di descrivere le

proprietà medicinali di erbe e animali) che costituiscono la summa delle conoscenze mediche raggiunte nel basso medioevo. La raccolta nacque in seno alla celebre scuola di Salerno che segnò un’inversione di tendenza nella storia della medicina occidentale. La leggenda la vuole fondata da Carlo Magno, il quale riunendo quattro maestri (un latino, un greco, un arabo e un ebreo) avrebbe dato vita al sincretismo di tradizioni mediche effettivamente realizzato dalla scuola salernitana. Al clima culturale instaurato da Federico II, che si circondò di intellettuali e scienziati provenienti dal mondo arabo, bizantino e latino, va certamente ascritta la scelta di comporre l’erbario, redatto nella seconda metà del

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Il volume è impreziosito quasi su ogni foglio, recto e verso, da suggestive miniature

XIII secolo. Attentissimo infatti alla regolamentazione della professione medica nei suoi possedimenti, l’imperatore favorì e incentivò l’incontro tra le tradizioni terapeutiche del mondo occidentale e di quello islamico. Il codice contiene quattro importanti testi: uno pseudo–ippocratico, l’Herbarium dello pseudo Apuleio, il Liber de medicina ex animalibus di Sesto Placito Papirense e De herbis feminis dello pseudo Disocoride. A questi testi ne vanno aggiunti altri cinque di minore estensione: una preghiera alla terra e una a tutte le piante, chiara memoria dell’atmosfera pagana in cui si formò l’er-

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bario; il De herba vettonica dello pseudo Antonio Musa; il De taxo di Sesto Placito Papirense sulle applicazioni terapeutiche del tasso e una lettera attribuita ad Apollo sugli impiastri di podagra. Il volume è impreziosito quasi su ogni foglio, recto e verso, da suggestive miniature: piante, animali, motivi ornamentali e simbolici, scene rappresentanti figure umane, vedute di città, ritratti e illustrazioni che accompagnano i testi delle preghiere. Fonte iconografica di prim’ordine, il Pluteus 73.16 proposto da Editalia parla da sé del proprio valore artistico, storico e culturale.


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In queste pagine e nelle precedenti: alcune miniature del codice In basso: la copertina in stile mediceo

Un codice suggellato dai Medici Ottima la conservazione del volume

Il codice membranaceo Pluteus 73.16, custodito nella biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, è un documento di inestimabile valore per la storia della medicina. Il manoscritto consta di 230 carte (460 pagine, di cui 400 decorate da miniature, e contiene una silloge di testi che descrivono con parole e immagini gli usi terapeutici, il dosaggio e la somministrazione delle erbe officinali. A vergarlo fu, nella seconda metà del XIII secolo, una sola mano. La legatura, interamente rifatta forse negli anni ottanta dell’800, è in stile mediceo, in pelle rossa con incisioni a secco cantonali in bronzo in corrispondenza degli angoli e bullette centrali con lo stemma dei Medici. Il facsimile è accompagnato dal commentario in italiano e in inglese.

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LA COSTITUZIONE

Patrimonio comune

Il testo originale tra i documenti La Costituzione della repubblica italiana, 1948-2008, è l’opera dedicata alla nostra carta costituente da parte di Editalia (Gruppo Istituto poligrafico e Zecca dello Stato). Un cofanetto in tela serigrafata, arricchito da impressioni in oro, contiene la collezione celebrativa che si compone di diversi elementi. Il testo originale (il documento sul quale prestano giuramento i presidenti della repubblica), conservato nell’archivio centrale di Stato a Roma, è riprodotto in ristampa anastatica. Altri materiali d’epoca sono cinque documenti, in dimensione originale, su alcuni importanti momenti della storia del paese: tre sono i manifesti elettorali dei principali partiti politici per l’elezione della Costituente nel 1946, uno riguarda i risultati del voto divisi per collegio alla Costituente, l’ultimo è un manifesto della Democrazia cristiana con i risultati delle elezioni politiche del 1948. Una medaglia in oro e argento realizzata da Laura Cretara rappresenta simbolicamente la costituzione. www.editalia.it.

Sessant’anni della nostra storia

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Un cofanetto celebrativo per festeggiare l’anniversario della Repubblica italiana di Martina Altieri

Date che ricorrono, celebrazioni, ricordi e memorie. Un anniversario è funzionale alla lotta contro l’oblìo, a tenere a mente chi siamo, le nostre relazioni con l’altro e con il mondo, il cammino percorso. Ad evocare un retroterra comune, ad alimentare la coscienza, a condividere la storicità di eventi ed evoluzioni. Ma un anniversario non è solo un punto di arrivo dal quale voltarsi a guardare indietro, al passato o alla storia, come fondali che segnano la scena dei percorsi individuali. Un anniversario è anche un punto di partenza, periodicamente rinnovato, dal quale si guarda al futuro. «La data del primo gennaio 1948 ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è vivo e ha un futuro: una tavola di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare insieme». Così le parole di

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Giorgio Napolitano segnano il significato dei sessant’anni trascorsi dall’entrata in vigore della Costituzione italiana. Ed è a questa visione, di carta di valori e principi come patto da cui prendere avvio, fattore di coesione, certezza e libertà individuale e collettiva, che si ispira l’opera celebrativa del sessantesimo anniversario della costituzione: una collezione in cui trovano posto preziosi documenti come la stampa anastatica del testo originale, i manifesti elettorali e la carta della Costituente, proveniente dall’archivio di Luigi Einaudi, che riporta i risultati delle elezioni del 2 giugno 1946. Come a doppiare i significati multipli della ricorrenza: il diritto, la storia, la diversità come ricchezza. Una visione celebrata anche dalla medaglia di Laura Cretara, scultrice e incisore della Zecca: una giovane donna e un esagono per i sessant’anni dell’Italia.

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in vetrina LA NUMERO UNO

ZIO PAPERONE APRE IL DEPOSITO di Zoe Bellini e tutto ha un’origine, anche le grandi ricchezze sono riconducibili ad un’unica fonte, un motore primo che ha poi generato tutto il resto. Ed è proprio alla mitica Numero uno di Zio Paperone che Editalia, in collaborazione con la Disney, ha reso omaggio riproducendone un numero estremamente limitato di esemplari. Da sempre la storia della moneta si intreccia indissolubilmente con la storia della civiltà

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che l’ha coniata e che, anche attraverso quella moneta, intende veicolare i suoi valori e le sue speranze. Coniare non significa solo realizzare monete, ma diffondere cultura e arte per chi intende il conio come il risultato di una passione e di un talento artistico che si fondono insieme. Come ha dichiarato Egidio Donato, Direttore marketing di Editalia, in occasione della presentazione della moneta alla Borsa di Milano:

«Editalia, che fa parte del Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, ha deciso di coniarla perché è la moneta con il potere d’acquisto più grande nel mondo della fantasia, delle avventure e del gioco. Anche la Numero uno rappresenta come tutte le monete in reale circolazione un momento della vita che in questo caso è il tempo giocoso e spensierato dei primi anni della fanciullezza». Il mitico zio

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ha aperto il suo deposito per farne uscire il simbolo della fortuna che si costruisce con il lavoro e l’impegno: la Numero uno è la prima che ha guadagnato e grazie alla sua buona stella ha potuto accumulare la sua immensa ricchezza. Preziosa com’è, la Numero uno è contenuta in un cofanetto altrettanto eccezionale che riproduce il deposito di Zio Paperone, con il simbolo del dollaro sulla facciata. Il cofanetto è realiz-

zato con un elegante blocco di plexiglass che contribuisce a riflettere la luce e a far brillare ancora di più l’oro della moneta. Infine la cupola del deposito-cofanetto è una lente che permette di ammirare in ogni dettaglio la Numero uno, lasciandola protetta anche dalla Banda Bassotti. Quelli che oggi sono grandi magnati sono stati bambini e nel loro futuro si immaginavano proprio come il mitico papero.


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Zio Paperone e il cofanetto che racchiude la Numero uno Nella pagina a fianco: le due facce della moneta

Il soldo più famoso

Racchiuso in un prezioso scrigno Oro 750 fondo specchio, diametro 24 mm. La tiratura è limitata a 4.999 esemplari numerati e certificati. Insieme alla Numero uno una speciale targa rende davvero unica la moneta portafortuna: una dedica personalizzata per un regalo speciale. La targhetta è laminata in oro con smaltatura lenticolare a caldo, ed è personalizzabile su richiesta con una incisione. Misura 45 x 70 mm e raffigura Zio Paperone nel suo inimitabile tuffo tra le monete del suo deposito.

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in vetrina PASQUALE BASILE

Pasquale Basile Il volo, 2005

LA LEGGEREZZA DEL BRONZO di Giorgia Bernoni

asquale Basile è essenzialmente un artista ellenico, da intendere in senso soprattutto geometrico. Ma non è solo geografia di forme, così comune a tanti artisti, a dominare lo scenario artistico di Basile, è soprattutto la geometria dello spirito». Così Annarita Saccà, della Saint. John’s University di New

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York, definisce l’artista siciliano in un suo scritto, ed è proprio il gioco raffinato di forme che si rincorrono nella creazione a definirne in maniera più possibile concreta la sua poetica. In ogni versante delle sue creazioni Basile raggiunge valenze linguistiche omogenee pur nell’uso di mezzi diversi. E proprio l’originalità lo impone da subito

all’attenzione del pubblico e della critica, che ne riconosce la qualità intrinseca di ricerca nettamente caratterizzata da uno stile preciso non collocabile rigidamente. Il lavoro dell’artista si snoda in una continua ricerca e sperimentazione il cui comune denominatore è la centralità della cultura mediterranea e i suoi ricorrenti ma

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mai banali topoi artistici. L’incisione affascina e cattura Basile per quella «imprevedibilità di quel suo esito affidato alle morsure», come lui stesso ama ripetere. Il volo, multiplo d’arte di Editalia, rappresenta un soggetto caro all’artista: la testa di una figura femminile, leggera e corposa insieme, il cui profilo si staglia in una sorpren-

dente dimensione. L’opera, in tiratura complessiva di 119 esemplari, è un bronzo con supporto in cristallo acrilico. Per il suo intrinseco valore Il volo è stato scelto come logo della campagna italiana per la cultura della sostenibilità, promossa dall’Unesco per il decennio internazionale dell’educazione allo sviluppo sostenibile.


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all’incanto ARTE ETNICA Le esposizioni Mostre Trame Rivelate Galleria Moshe Tabibnia Milano fino al 18 ottobre. Il frammento ritrovato Il tappeto di caccia e altre storie Museo Poldi Pezzoli Milano fino al 12 ottobre

IL FASCINO di mondi lontani

Il celeste impero Dall’esercito di terracotta alla via della seta Museo di antichità, Torino fino al 16 novembre

Musei Royal museum for Central Africa Tervuren, Belgio Museo preistorico etnografico Pigorini Roma, Italia Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari Roma, Italia Museum for African art New York, Usa Musée national du Mali Bamako, Mali Etnografiska museet Stoccolma, Svezia

Gallerie African contemporary art gallery, Lisbona, Portogallo Galleria l’Esprit tribal Bracciano (Roma)

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L’arte etnica africana: la testimonianza di Alessandra Cardelli curatrice e responsabile del museo Pigorini di Roma di Anna Carone

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urante l’Esposizione universale di Parigi del 1889 ebbe luogo l’ultimo deflagrante atto dell’incontro scontro fra l’occidente europeo e le culture dei nuovi mondi. La visione esotica, d’ascendenza romantica, del selvaggio come essere primitivo ed incorrotto, raggiunse in quell’occasione il culmine della popolarità. Dall’Oceania, dal Sudest asiatico, dalle Americhe, uomini e donne vennero portati a Parigi assieme ai loro oggetti d’uso quotidiano, i loro costumi rituali, i loro oggetti sacri. Céline, Claudel, Gauguin, furono completamente catturati dalla forza espressiva di quel Simbolismo primitivo: il loro percorso artistico ripartì da questo per intraprendere nuove strade, che spesso li portò fuori dalla Francia. Negli anni l’onda d’interesse verso l’arte etnica, è andata ingigantendosi. Esperti d’arte, etnologi, antropologi, hanno contribuito con i loro studi ad indagarne la complessità, che non può prescindere dalle culture locali e dalle credenze religiose per poter essere compresa in profondità. Il gran numero di contributi rende impossibile occuparsi di ognuno dei paesi che hanno prodotto delle opere, diventa così determinante riuscire ad ascoltare una voce che delucidi su una parte del tutto. A tal proposi-

to abbiamo interpellato una delle maggiori esperte italiane d’arte etnica africana, Alessandra Cardelli Antinori, curatrice, studiosa, nonché responsabile per molti anni della collezione africana al museo preistorico etnografico Pigorini di Roma. A maggio è stata inaugurata a Lugano Ethnopassion, la collezione d’arte etnica di Peggy Guggenheim, una delle maggiori collezioniste a livello mondiale. «Il museo delle Culture extraeuropee di Lugano è davvero molto vivace. La storia della collezione Guggenheim è abbastanza complessa. Peggy ha cominciato a metterla insieme quando era legata sentimentalmente a Max Ernst. Quando il loro rapporto si è rotto, lui ha portato via con sé la maggior parte della collezione, che a dire il vero ne costituiva la parte più interessante e di maggior qualità. A lei rimasero solo alcuni pezzi, poi conservati nel magazzino di palazzo Venier a Venezia. Quando Peggy si rese conto che Ernst era andato via con i pezzi migliori perse un po’ la voglia di valorizzare la collezione. La mostra Ethnopassion non è comunque casuale, coincide con un redivivo interesse nei confronti dell’arte etnica, che personalmente preferisco chiamare primitiva, che si sta verificando da qualche anno. In effetti basta guardare il lavoro che si sta facendo al Musée du quai Branly di Parigi, fiore all’occhiello dell’ex presidente Jacques Chirac. Se ne condivida o meno l’obiettivo

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è davvero meraviglioso vedere quanti eventi collaterali abbia messo in moto: esposizioni, convegni, e quant’altro. L’attenzione di pubblico ed addetti ai lavori è decisamente elevata». Chi è il collezionista d’arte etnica, uno studioso che non può prescindere dal contestualizzare un’opera, un semplice acquirente alla caccia di un buon investimento o un amatore? «Il mercato del collezionismo comprende un po’ tutte e tre queste categorie. Io stessa posseggo qualche piccolo pezzo al quale sia io che mio marito siamo legati emotivamente. Di fatto lo contestualizziamo ogni qual volta guardandolo lo carichiamo di ricordi ed emozioni». La sua esperienza al museo Pigorini? «Ho cominciato a lavorare al museo Pigorini all’inizio degli anni ’80. Qui a Roma non è molto conosciuto, pur avendo delle collezioni di una certa rilevanza. In effetti lo si conosce più come museo preistorico, pochi sanno della collezione dell’Africa nera, dell’Oceania, o dell’arte dell’America latina. Il museo è frequentato da studenti, ricercatori, e un buon numero d turisti».

Come sono i musei etnici d’Europa? «Nel resto d’Europa la situazione è alquanto diversa. I musei d’arte etnica sono valorizzati allo stesso modo che quelli più tradizionali. Il museo etnico è aperto al territorio, non è solo conservatore, diventa quasi luogo di integrazione». Quali energie muovono l’Africa oggi? «Ho avuto modo di parlare con un’amica antropologa con una lunga esperienza di cooperazione internazionale in Malawi. Lei ha avuto, cosa impensabile fino a qualche anno fa, un contatto diretto con gli autoctoni che sono diventati capaci di pianificare una strategia comune di intervento. Quando ho conosciuto l’Africa 40 anni fa non c’era niente di tutto questo, l’unica consapevolezza era purtroppo ancora solo quella del bisogno». Invece oggi questa consapevolezza si esprime anche artisticamente? «Ci sono artisti molto bravi, in particolare mi viene in mente El Anatsui, una sua opera che mi ha colpita in modo particolare, Sasa. La sua prerogativa è quella dell’utilizzo dei materiali più diversi, semplici tappi di metallo vengono usati per realizzare quel-

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I consigli dell’esperto

Il dubbio è il primo requisito per l’acquisto La prima regola che gli esperti d’arte etnica, africana in particolare, raccomandano ai potenziali acquirenti, è di porsi sempre dei dubbi. L’arte e l’artigianato etnico in Italia è molto di moda, e per questo abbondano oggetti e oggettini di fattura scadente e realizzati con materiali impropri. Qualche buona lettura in merito alla storia ed al contesto di provenienza dei pezzi non guasta mai Per quanto riguarda le opere contemporanee, il suggerimento è semplicemente quello di valutare la forza espressiva dell’opera, e se esiste una pertinenza tematica con l’Africa d’oggi. Diffidare totalmente dalla mediocre riproposizione di stili primitivi.

Nelle pagine precedenti: Coppia di figure di terracotta congiunte Messico orientale

Il calendario

Aduno koro, contenitore, Mali

Aste

A sinistra: Paul Gauguin, Te Reiroa, Il sogno, 1897

Christie’s Parigi Arte africana e oceanica 4 dicembre

maschera D’mba Baga, Guinea

Koller Zurigo Arte africana 6 dicembre

In basso: maschera Kholuka Yaka settentrionale Congo copyright Paolo Manusardi Milano

Fiere Art Dubai Padiglioni arte contemporanea orientale 17 - 21 marzo 2009 Dubai Lineart The art fair 5 - 9 dicembre Flanders expo Ghent, Belgio

li che al primo sguardo sembrano enormi drappi di soffice stoffa. Ciò che mi colpisce è la forza prorompente che scaturisce dalle opere di questi artisti, possiede la medesima intensità di quella espressa dall’arte primitiva, pur realizzando opere del tutto differenti, creazioni nuove, contemporanee, non banali riproposizioni di gusto esoticheggiante». E riguardo al collezionismo, in questo caso? «L’arte contemporanea africana si è affacciata al mondo del collezionismo in seguito alla grande mostra “Le magiciens de la terre”, svoltasi a Parigi nel 1989. Seppur con difficoltà questo nuovo collezionismo si sta svincolando dall’obsoleta visione eurocentrica. Esistono in effetti vari collezionisti africani che espongono i loro pezzi in Europa». Fra le altre cose, lei ha curato con altri un saggio contenuto in Arte etnica tra cultura e mercato. «Ciò che davvero è interessante di quel testo è la possibilità di poter osservare l’ambito dell’arte etnica da differenti punti di vista. Spesso non c’è la possibilità di stabilire un contatto e un confronto diretto fra i vari specialisti, quell’esperienza ha provato a fornircene una».


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fiere Amburgo, Fine art fair Una superficie espositiva di 600 metri quadri ripartita su due livelli, un allestimento raffinato simile più ad un salone d’arte che ad una fiera e espositori di chiara fama internazionale, fanno di Fine Art Fair uno degli avvenimenti più attesi nel mese di settembre. Con il motto “piccola fiera, grande arte” la manifestazione, in programma dal 25 al 28 settembre nell’ala Schumann del Museo di arti e mestieri di Amburgo, vanta un elevato livello artistico e di mercato delle opere presenti. Disegni e sculture, mobili ed argenteria, porcellane e gioielli, di epoche e stili diversi, accanto al nuovo settore dedicato alla fotografia artistica ed all’arte contemporanea. www.fine-art-fair.de. (M. R.)

Sofà TRIMESTRALE ANNO 2 NUMERO 6

Torino, Artissima 15 Trentuno gallerie italiane e straniere, 17 paesi partecipanti: dall’Australia alla Francia, dalla Germania all’Olanda passando per gli Stati Uniti. Oltre la metà degli espositori è straniera e quindici sono le istituzioni coinvolte nell’organizzazione. Non solo arte ma anche comunicazione: 44 tra le più importanti case editrici, riviste del settore e società specializzate in progettazione artistica a livello internazionale. Solo alcuni numeri di Artissima 15, la più importante fiera d’arte nostrana in programma quest’anno dal 7 al 9 novembre al Lingotto di Torino. La manifestazione, diretta da Andrea Bellini, si presenta forte dei dati dello scorso anno: 42.500 visitatori, 5.000 in più rispetto al 2006 e mille artisti coinvolti. Un osservatorio privilegiato, insomma, sulla giovane arte mondiale. Ma anche un appuntamento culturale per tutti gli addetti ai lavori e gli appassionati di arte contemporanea. Quest’anno Artissima presenta una lista esclusiva di gallerie tutte al top per notorietà e soprattutto per qualità delle proposte e degli artisti rappresentati. Info: www.artissima.it. (S. C.)

Progetto editoriale e realizzazione Guido Talarico Editore spa

Direttore

Guido Talarico

Direttore generale

Carlo Taurelli Salimbeni

Redazione

Sofà è una pubblicazione trimestrale di Editalia Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato via Marciana Marina n. 28 - 00138 Roma Numero verde 800.014858 - fax 06.85085165 www.editalia.it

Direttore responsabile Guido Talarico

Autorizzazione del Tribunale ordinario di Roma n.313 del 3.8.2006

Maurizio Zuccari (caporedattore), Giorgia Bernoni, Simone Cosimi, Annarita Guidi, Maria Luisa Prete

Grafica

Gaia Toscano

Foto

Pubblicità e marketing

Raffaella Stracqualursi pubblicita@insideitalia.it

Stampa

Bimospa S.p.a. via Gottardo 142 00100 Roma Responsabile trattamento dati Guido Talarico. Le notizie pubblicate impegnano esclusivamente i rispettivi autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Tutti i diritti sono riservati.

Manuela Giusto

Hanno collaborato

In copertina

Paola Buzzini, Massimo Canorro, Anna Carone, Alessandro Caruso, Giulia Cavallaro, Anita Tania Giuga, Elena Mandolini, Fabia Martina, Lorenzo Perrelli, Claudia Quintieri, Marilisa Rizzitelli, Nadine Solano, Alessandra Vitale

Mimmo Paladino carborundum per Ombre Editalia, 2008

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