LDP 1/2012

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APPROFONDIMENTO

Vita da ricchi

Libertá di Parola quello che dici, ma difenderò fino 1/2012 —— Disapprovo alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

L' EDItoriale

Eluana e Beppino Englaro, senza fare rumore di Pino Roveredo In silenzio, chiudendo la confusione fuori dall’ascolto, sottovoce penso… Penso, e provo a farlo senza adagiarmi alle sensazioni e impressioni che girano fuori alla porta, quelle che spesso ti concedono il risparmio di una riflessione, perché, tanto, più che il pensiero, conta da che parte stai!... Da che parte sto? Chiedo scusa ma, io non voglio stare da nessuna parte, io ho bisogno di starmene per i fatti miei, chiuso a chiave dentro la mia coscienza, e davanti al suo specchio costruire e sopportare il rumore intimo del suo riflettere. Allora, sottovoce penso che nessuno si può assumere la proprietà del dolore altrui. Il dolore è come un cognome, ognuno ha il suo. Il dolore è un sentimento che si può condividere solo con la distanza educata di una conoscenza, e mai col sapere presuntuoso di chi vorrebbe consumarlo ignorando l’entità del pezzo che bisogna pagare. Sottovoce, col ritmo del martello che pesta sopra il chiodo, penso a un numero, e più ci ragiono sopra, più quel numero all’apparenza esiguo, diventa cifra impossibile, distanza irraggiungibile, sofferenza inimmaginabile. Diciassette anni! Istintivamente, con la riflessione nello stomaco, provo

a immaginare una ragazza che è diventata donna senza godere il diritto e il piacere di un passaggio. Diciassette anni, ferma, immobile, senza muovere un dito, accennare una smorfia, vivere uno specchio, concedere l’ipotesi illusa di un sorriso, o regalare la speranza di un piccolo, minimo, impercettibile rumore. Niente, nemmeno la pietà di un lamento. Diciassette anni, senza riposo e senza sconto, trascorsi consumando una storia senza righe, parole, vita. Diciassette anni, e cioè, come: duecentoquattro mesi, seimiladuecentocinque giorni, centoquarantottomila novecentoventi ore, e quasi

La crisi! Dal 2009 se ne parla e sempre più questa recessione sta mettendo in ginocchio intere famiglie, quelle che fino a qualche anno fa lavoravano, pagavano regolarmente le tasse, consumavano. La crisi cambia le abitudini della maggior parte degli italiani, priva del diritto all’occupazione e fa crescere la fetta di popolazione a rischio povertà. Ma i ricchi, ci siamo chiesti, anche loro piangono? a pagina 9

nove milioni di minuti. Ora, si può concepire una sofferenza che ritorna per novemilioni di volte?... Sottovoce, con l’ansia da padre, penso a un altro padre, e misuro quel dolore col metro insopportabile della tragedia. No, mi dispiace, ma io non riesco ad entrare in quella tremenda immedesimazione, perché non sono coraggioso, e mi spaventa il peso della sciagura. Io ho paura. Da sempre, con la forza del genitore innamorato, desidero, prego e scongiuro, che i miei figli godano del bene più assoluto, e per quella condizio-

IL TEMA

Violenza sulle donne, una emergenza senza fine a pagina 2

inviati nel mondo

Come l'Argentina è risorta dalle ceneri della crisi a pagina 8

rdp

2011, così la nostra vecchia sede ci ha permesso di operare a pagina 13

continua a pagina 5

Panka rock

Caparezza, «Mi sento leader solo di me stesso» continua a pagina 15

non solo sport

Atletica a Pordenone a pag. 16

tempo libero

Facciamo l'orto a pag. 18


IL TEMA

DONNE E VIOLENZA. QUANDO IL NEMICO HA LE CHIAVI DI CASA Nel 2010, solo il tre per cento delle donne del Friuli Venezia Giulia ha chiesto aiuto ai centri di ascolto antiviolenza di Milena Bidinost In Italia ogni anno vengono uccise in media 100 donne dal marito o fidanzato o da un ex, mentre una su tre è stata vittima nella sua vita dell'aggressività di un uomo. Gli ultimi dati Istat sono del 2006 e coprono la fascia di età tra i 16 e i 70 anni. Risultava che nell’anno precedente il numero delle donne vittime di violenza ammontava a 1 milione e 150 mila (5,4%), soprattutto giovani dai 16 ai 24 anni (16,3%) e dai 25 ai 24 anni (7,9%). Il 3,5% aveva subito violenza sessuale, il 2,7% fisica. Sono dati parziali, quelli che citiamo, rispetto alla drammatica fotografia tracciata dall’indagine: lo sono tanto più se si considera che quest’ultima è a sua volta un granello nel mare vasto della violenza sulle donne. Nella quasi totalità dei casi infatti le violenze non sono denunciate: il sommerso è del 96% per le violenze da un non partner, del 93% per quelle da partner. Ancora troppe infine sono le donne che non parlano con nessuno delle violenze subite. Mobbing, stalking; violenze psicologiche, fisiche e sessuali; in strada, al lavoro; da conoscenti o estranei, ma soprattutto dentro le mura domestiche da parte del proprio uomo. «La moglie o compagna che subisce violenza – spiega Maria De Stefano presidente di Voce Donna, Centro antiviolenza di Pordenone – pensa di poterla controllare accontentando nei comportamenti il proprio uomo e di meritarla tanto da non realizzare che si tratta di violenza». Quando “il nemico ha le chiavi di casa” è cioè difficile accettarlo come tale e spezzare le barriere culturali che proteggono la

sacralità della famiglia, per chiedere aiuto. «La donna ha paura che una sua reazione scateni ancora più aggressività – spiega De Stefano paura per i figli che spesso assistono, un annientamento psicologico quindi, a volte aggravato dalla dipendenza economica dall’uomo». Nel 2011 a Voce Donna di Pordenone (www.vocedonnapn. it) si sono tenuti 342 colloqui (31 le consulenza legali offerte, 7 quelle psicologiche); delle 147 donne accolte al centro di ascolto che hanno seguito il percorso di aiuto, il 65% erano italiane, il 35% straniere; nelle due case rifugio infine Voce Donna ha accolto 11 donne, di cui una sola italiana, e 11 minori. «Hanno per la maggior parte subito violenza domestica – spiega De Stefano – che è la forma più diffusa e anche la meno denunciata. Tracciare un identikit della vittima e dell’aggressore è difficile, perché si tratta di un fenomeno trasversale per età e per status sociale ed economico». Nel 2010 più di 8mila donne in Friuli Venezia Giulia si sono rivolte ai quattro centri di ascolto provinciali e si stima sia solo un 3% del fenomeno totale. « La violenza non è una devianza – conclude De Stefano – ma un fenomeno culturale trasversale che nasce da un concetto, errato ed arretrato, di potere e superiorità del maschio sulla femmina. Nei nostri centri offriamo supporto psicologico e legale utile a far comprende alla donna che merita rispetto in quanto individuo, ad abbassare il livello di paura e a farle mettere in atto quella serie di comportamenti che le consentano di rompere le catene della sottomissione».

Da amante a persecutore Un incubo che continua notte e giorno da tre anni di Ferdinando Parigi «Il mio incubo ha avuto inizio nell’estate del 2008». F. ha una quarantina d’anni e un passato non facile. Accetta di raccontarsi, per necessità di sputare fuori una storia che ha reso il suo presente ancora più difficile. Lo fa seduta in un locale pubblico, perché nonostante mi conosca da tempo ha paura. Io sono uomo come lo è lui, colui il quale la mia amica definisce «il mio aguzzino». «E’ iniziato tutto al termine di una breve relazione durata pochi mesi – spiega la donna -. Il mio ex non ha mai accet-

tato che fosse finita e da quel giorno mi è sempre stato addosso ». Quest’uomo abitava vicino a lei, ad una ventina di metri dalla sua casa, e per questo è stato ancora più facile per lui controllarle ogni movimento, minacciare ogni persona che le stava accanto, spaventarla di giorno e di notte. «Mi ha sempre tenuta sotto strettissimo controllo – prosegue la donna -. Si appostava per intere nottate sotto casa mia e quando accendevo la luce per andare in bagno, lui iniziava a tempestarmi di tele-

Quando la mente impara

Molte le donne che partecipano ai corsi di difesa Difendersi dalle aggressioni è un arte che si apprende a partire dal proprio naturale istinto di sopravvivenza. Consapevolezza (di ciò che ci circonda), conoscenza (del corpo e della mente umana e delle loro reazioni) e concentrazione (fiducia in se stessi e dominio della paura) sono gli strumenti da perfezionare per prevenire innanzitutto e, nella peggiore delle ipotesi, per rispondere in modo efficace e secondo legge al proprio aggressore. Salvandosi così la vita e l’equilibrio psicologico, minacciati dalla violenza. E’ questo quanto il maestro Filippo Gaspardo di Fontanafredda insegna nei suoi

corsi di difesa personale, in cui le donne sono sempre di più le principali partecipanti. Tecnico della federazione mondiale Ykkfe e presidente della Budo life centre di Pordenone, Gaspardo è istruttore di difesa per le forze militari e di polizia. «Quando entri in una foresta di lance ed esse ti circondano, ricorda, la tua mente è il tuo scudo protettivo». Questa citazione chiude l’opuscolo che Gaspardo ha scritto e che consegna ai suoi corsi di difesa e riassume efficacemente la prima regola. «E’ fondamentale innanzitutto – spiega Gaspardo – essere lucidi e non entrare in panico, così da mettere in atto atteggiamenti pre-


fonate e di sms». Lo stalker sapeva in diretta chi entrava e chi usciva da casa sua e non ha mai esitato a creare situazioni di disturbo nei confronti dei suoi ospiti, prendendosela con le loro auto, rubando una bicicletta o bucando piuttosto le ruote di uno scooter. «Tutto questo – dice ora con rabbia e dolore - col passare del tempo ha finito col procurare un gravissimo danno ai miei rapporti sociali, nel senso che conoscenti e amici, a scanso di grane anche grosse, hanno preferito non farsi più vivi con me». F. è rimasta per questo motivo da sola a convivere con il suo incubo, nel quale anche il suono del telefono è diventato sinonimo di violenza psicologica feroce. «Questo individuo – conferma la mia amica – mi telefona da un minimo di dieci volte al giorno ad un massimo di 50, anche 100 volte, a seconda che abbia bevuto oppure no. Quando beve infatti diventa particolarmente violento. Ricevevo e ricevo, adesso per fortuna in misura leggermente minore, decine di sms al giorno, il cui contenuto va dalle suppliche “amorose” alle minacce alla mia incolumità, piuttosto che alle offese ai miei familiari, amici e conoscenti. Spesso minaccia di farmi perdere il lavoro, che è la mia unica fonte di sostentamento – racconta la donna - facendo leva su miei vecchi problemi legati all’uso di sostanze». Tutto iniziò nel 2008. Tutto è andato avanti

uguale per oltre tre anni. A che fine, le chiedo? «Non c’è un obbiettivo – spiega lei – semplicemente, preso atto che non voglio saperne di stare con lui, preferisce suscitare in me sentimenti di ostilità e odio, piuttosto che subire la mia indifferenza. L’aspetto paradossale, kafkiano, di tutta questa violenta, massacrante, tremenda, sfinente azione di disturbo - denuncia ad un certo punto la vittima - è che, avendo io reagito fisicamente agli attacchi del mio stalker, sono stata pure denunciata tre volte per averlo graffiato, per avergli sputato e per avergli spruzzato dello spray irritante in faccia nel tentativo di difendermi da lui». Per F. a fare male non sono solo le violenze verbali, le minacce anche di morte, i pedinamenti che in ogni momento il suo ex è capace di scaricarle addosso. C’è anche il senso di abbandono da parte della giustizia a creare dolore. "Dati i miei precedenti con e sostanze – è infatti l’amara considerazione che la donna fa a conclusione del nostro incontro - e sebbene oggi io ne sia finalmente fuori, la mia testimonianza non è mai stata considerata attendibile ai fini di un procedimento giudiziario contro il mio persecutore e per questo in questi anni non ho mai potuto veramente appellarmi alla giustizia per garantirmi una volta per tutte la tranquillità e la normalità di una vita che mi spetterebbe di diritto”.

a dominare la paura

a personale del maestro Filippo Gaspardo ventivi. Osserviamo sempre chi ci circonda, evitiamo i luoghi bui e isolati, diventiamo meno prevedibili modificando spesso le nostre abitudini come, ad esempio, i tragitti abituali casa lavoro». Questo vale sempre, ancora di più se si è oggetto di azioni persecutorie da parte del nostro aggressore. «Personalmente – prosegue il maestro – sconsiglio di ricorrere a dispositivi al peperoncino o simili, perché oltre che illegali sono pericolosi anche per chi li usa a causa magari di un colpo di vento. Meglio è ad esempio – suggerisce – tenere tra le dita chiuse a pugno un arma di fortuna, come le chiavi dell’auto». Pugni

di ferro, nunchaku, spray sono vietati dalla legge, usarli potrebbe comportare il reato penale di “eccesso di difesa”. «Nei corsi – spiega infine Gaspardo – si apprendono le prese, i colpi, le fughe, l’uso della voce e le frasi giuste per chiedere aiuto, a partire dalla conoscenza del corpo umano e dei suoi punti vulnerabili, ma soprattutto – conclude - si riacquista il controllo delle proprie emozioni, in primis la paura, la fiducia in se stessi e quella lucidità che viene meno in situazioni di pericolo, lasciandoci in balia del nostro aggressore, sia egli un conoscente, un rapinatore o un maniaco”. (m.b.)

Prostitute e transessuali nel mirino di sfruttatori e uomini in divisa Considerati cittadini di serie B, sono più esposti al rischio e meno tutelati dalla legge di Pia Covre Recentemente ci sono stati atti violenti contro donne che si prostituivano conclusisi con l’omicidio, sono stati riportati dalle cronache nazionali otto casi di donne uccise fra dicembre e gennaio, decisamente troppe. La nostra Regione è stata coinvolta circa un anno fa in un duplice caso di omicidio in cui l’assassino arrivava dal Friuli, e pochi mesi fa un gravissimo tentato omicidio a Udine. Il fenomeno della violenza di genere pervade ancora la nostra società che nonostante sia stata influenzata da molti cambiamenti, nelle relazioni fra uomini e donne mantiene asimmetrie di potere che si basano sulla differenza di genere e sulle diseguaglianze sociali. Le morti violente sono la punta di un iceberg di violenza che purtroppo esiste nell’ambito del lavoro sessuale anche se quasi sempre rimane invisibile. Gli aspetti dei rischi a cui sono esposte donne e transessuali che si prostituiscono sono connessi alla identità di genere, perché sono donne, o all’identità transessuale, al fatto che sono straniere, al fatto che sono considerate cittadine di serie B. La privazione del riconoscimento dei diritti lavorativi, e di cittadinanza, per la maggioranza delle sex worker che ora sono straniere, relega queste persone ai margini della società e le rende vulnerabili a ricatti psicologici, abusi di potere, aggressioni fisiche, sfruttamento. Violenze fisiche e psicologiche che non vengono quasi mai denunciate per paura delle ritorsioni e per sfiducia verso le nostre istituzioni. Nel lavoro che il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute svolge sul territorio friulano si sono anche raccolte le testimonianze delle donne e dei transgender che lavorano nel mercato del sesso e che ci hanno raccontato

le proprie esperienze. Emerge un quadro abbastanza preoccupante. Atti violenti e prepotenze da parte di clienti sono abbastanza comuni, essi si approfittano della condizione precaria e dell’isolamento in cui vivono le ragazze per pretendere servizi a rischio e per non pagare. Improvvisati rapinatori che approfittano delle ragazze isolate per sottrarre loro il denaro è anche un fatto comune. Purtroppo il clima di sfiducia che si è venuto a creare verso le forze di polizia, le quali ormai vengono percepite come meri esecutori di repressione contro la prostituzione e l’immigrazione, impediscono quasi sempre alle straniere vittime di aggressioni di denunciare per la paura di essere scoperte ed espulse. Questa situazione dà un grande vantaggio ai malintenzionati che restano impuniti. D’altra parte alcune italiane ci hanno raccontato di aver subito durante le retate e il trattenimento nella questura di Udine violenze psicologiche e di essere state trattenute per ore in situazione di disagio fisico e mentale, schedate e fotosegnalate senza ragione e in violazione anche della legge Merlin. Si è portati a credere che le violenze contro chi fa questo lavoro siano compiute solo dagli sfruttatori e dai trafficanti ma non è così, è vero che i trafficanti possono essere brutali, ma è altrettanto vero che anche chi dovrebbe proteggere ogni persona vittima di un crimine spesso non lo fa adeguatamente. Il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute sostiene e da informazioni a chi intende presentare denuncia per casi di violenze e altro. Il numero di telefono a cui rivolgersi è 848-800017. Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Onlus www.luccioleonline.org


l'angolo della franca

Misure cautelari per gli imputati, no alle facili demagogie Combattere la violenza sulle donne nel rispetto della legge di Franca Merlo Indignazione e proteste per la sentenza della Cassazione del 2 febbraio. Mentre il tribunale del Riesame di Roma aveva confermato la reclusione per due giovani accusati di stupro, come unica misura cautelare applicabile, la Cassazione ha ritenuto che fossero possibili altre misure. «Così si favorisce la violenza sulle donne e si permette ai ricchi di farsi una giustizia alternativa», si affermava da più parti, sull’onda dell’emozione. E a molti personaggi politici non par vero di giudicare aberranti le decisioni della Magistratura. Alessandra Mussolini definisce la sentenza, appunto, «aberrante», Mara Carfagna «impossibile da condivi-

dere, contro le donne, manda un messaggio sbagliato», Barbara Pollastrini «lacerante», Donata Lenzi afferma che «aumenteranno i silenzi delle vittime», Barbara Saltamarini parla di «Doppia violenza per chi subisce uno stupro di gruppo», Ombretta Colli aggiunge che «Chi si macchia dell’infame reato di violenza sessuale non può scontare la propria pena comodamente a casa, seppur con le dovute misure cautelari», e via di seguito. Perfino Telefono Rosa attraverso la presidente Moscatelli afferma che si tratta di «un ennesimo passo indietro dove a rimetterci è la parte più debole ossia le donne vittime di violenza». Ma, dico io

«La donna non si tocca nemmeno con un fiore» Quel monito di mia nonna che mi condizionò la vita di Ferdinando Parigi Avevo sette anni e giocavo con i miei coetanei maschi. Avevamo in grande antipatia le bambine, che chiamavamo sprezzantemente “babe” perché trovavamo stupida tutta la loro passione per quegli oggetti inanimati che sono le bambole e trovavamo assurdo il loro continuo parlare di cose da niente, il loro ridere per battute sciocche, il recitare sciocche filastrocche. Ma quelle “sciocchine” ci incuriosivano, volevamo sapere come erano fatte, perché sapevamo che erano diverse da noi ma non sapevamo in che modo. Fu così che un giorno io e il mio fidato ami-

co Michele decidemmo di sequestrarne una, di portarla in un posto sicuro e lì di spogliarla ed osservarla. Il posto sicuro era un box per auto che sapevamo essere inutilizzato. Lei si chiamava Michela, era figlia di meridionali ed abitava nel nostro palazzo. Non era particolarmente carina, ma per essere studiata si prestava benissimo. La spogliammo e la studiammo. Lei, muta come un pesce, si lasciava fare. Al termine della nostra esplorazione, lei si rivestì e ce ne andammo tutti molto soddisfatti. Qualche giorno dopo, la mia nonna materna, Fabia, venuta a sapere dell'accaduto, mi

in coda a tutte loro: ci rendiamo conto che si sta parlando di misure cautelari, da applicare a imputati e non a colpevoli? Non si sta parlando della pena, ma della misura cautelare in attesa della sentenza. Il giudice deve decidere quali misure applicare ad indagati, che godono ancora della presunzione di innocenza. Si tratta di una restrizione della libertà che è possibile in via eccezionale, solo quando c’è la concreta possibilità che l’indagato cancelli le prove o che ripeta il delitto, mentre è in attesa di giudizio. Nelle democrazie, per fortuna, una persona è innocente di fronte alla legge finché non viene dichiarata colpevole: la “presunzione d’innocenza” è

un caposaldo del diritto e ci garantisce come persone libere. Ma, come si arrivati alla sentenza della Cassazione? Nel 2009 il Parlamento aveva approvato una legge di contrasto alla violenza sessuale per cui, per delitti di violenza sessuale e atti sessuali con minorenni, non era consentito al giudice di applicare misure cautelari diverse dalla custodia in carcere. La Corte Costituzionale nel 2010 aveva ritenuto tale norma incompatibile con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione; quindi aveva permesso delle alternative al carcere cautelare. La Cassazione non ha fatto altro che

prese da parte e mi disse una frase che mi rimase impressa e che fu il mio punto di riferimento con il sesso femminile per tanti anni a venire. “Lo sai che una donna non si tocca neanche con un fiore?”, mi disse. Se mia nonna avesse immaginato quali e quanti problemi mi avrebbe creato nella vita quella sentenza, avrebbe evitato sicuramente di pronunciarla. Da quell'istante in poi, per i successivi vent'anni e più, io credetti che a una donna non piacesse essere toccata, non piacesse essere “esplorata”, non piacesse in qualche modo essere presa. Errore capitale, il mio, visto e considerato che è vero tutto il contrario. Ma io non conoscevo la verità, e per una vita ho creduto che fosse sbagliato, che fosse motivo di fastidio e di molestia, per una donna, l'essere oggetto delle attenzioni maschili. All'età di quattordici anni (1976) eravamo nel pieno fulgore, o, per meglio dire, furore femminista. “Io sono mia”, dicevano in tante. “Col dito, col dito, l'orgasmo è garantito”, dicevano altre. Ecco al-

lora formarsi e consolidarsi in me la certezza che le donne non ne volessero sapere degli uomini, e che ogni rapporto sessuale fosse una cosa che la donna subiva, sopportava, per far piacere all'uomo. Essendo sempre stato una persona estremamente educata e sensibile, sulla base di questi assunti fuorvianti, falsati, assurdi, demenziali, per i primi trent'anni della mia vita, dico trent'anni, non ho osato prendere l'iniziativa con le mie coetanee perché ero convinto di far loro un dispetto, se non di arrecare loro un danno psicologico. A trent'anni suonati, una stupenda ragazza, Cristina, mi fece perdere letteralmente la testa, mi innamorai follemente di lei, tuttavia, malgrado ne fossi pazzescamente attratto e fossi pienamente corrisposto, per i primi tre mesi del nostro rapporto non osai fare altro che baciarla teneramente sulla bocca. Così mi avevano insegnato, e così mi regolavo. Un bel giorno, fu veramente un bellissimo giorno, Cristina mi disse: “senti, ma si può sapere perché non mi salti addosso?”. Da trent'anni non


segue dalla prima pagina

L' EDItoriale confermare quella decisione. Ricordo che lo Stato ogni anno paga svariati milioni di euro per risarcire persone che sono state tenute in carcere per misura cautelare e poi assolte nel processo. A questo punto, la mia riflessione abbraccia diversi aspetti del vivere civile. Primo: perché indignarci sempre e comunque, senza entrare nel merito di un problema? Dovremmo re-imparare a pensare, per mirare meglio gli obiettivi della nostra sacrosanta indignazione. Secondo: l’informazione parziale e pilotata non solo toglie spazi alla libertà di pensiero e di giudizio, ma toglie potere politico (cioè di far valere le proprie ragioni) mandando allo sbaraglio. Terzo: ciò che è davvero “aberrante” è l’ignoranza e la spudoratezza di molti giornali e di molti uomini politici, che cavalcano l’onda dell’emozione per avere consenso. Che qualcuno affermi «così si manda un messaggio sbagliato» la dice lunga: è nelle dittature che le persone vengono usate per mandare messaggi attraverso pene esemplari. Tutta questa confusione si chiama demagogia. A qualcuno fa comodo e spesso la gente ci cade, anche con le migliori intenzioni. aspettavo altro che questo. Ero vissuto per tre decenni in un terribile equivoco, nato durante la mia infanzia e consolidatosi nell'adolescenza. La totale ingenuità di mia nonna e l'assoluta stupidità delle femministe, che all'epoca dei miei vent'anni erano la maggioranza, avevano creato nella mia testa un enorme equivoco. Saltai effettivamente addosso alla Cristina come una scimmia, e ricordo quel giorno come uno dei più belli della mia intera vita (e probabilmente anche della sua). Le donne amano più la forza che la dolcezza, amano essere possedute, amano essere prese senza troppi riguardi. Questo me l'ha insegnato la vita, non mia nonna Fabia, e di questo, oggi, sono assolutamente certo. Sono passati diciannove anni da quel magnifico giorno di dicembre con Cristina, e di donne ne ho cambiate diverse, e tutte con caratteri e personalità molto differenti tra loro, ma tutte accomunate da un unico desiderio: che sia l'uomo a prendere l'iniziativa e che lo faccia in modo virile.

Eluana e Beppino Englaro, senza fare rumore di Pino Roveredo

Sì ai diritti delle donne, no alle quote rosa Imporre numeri rischia di sottolineare la separazione dall'uomo di Guerrino Faggiani Tempo fa passeggiavo per il centro e sul corso mi sono imbattuto in un gazebo che inneggiava ai diritti della donna, manifesti, slogan e quant’altro tutti mirati a mostrare l’ingiustizia di fondo a cui è soggetta la donna da parte dell’uomo. Raccoglievano firme per dare il peso del consenso popolare alla loro iniziativa, incentrata in questo caso sull’aumento della presenza femminile in politica. Facevano bella mostra le bandiere del partito promotore, perché fosse chiaro da dove venisse tale lodevole iniziativa. Indifferente al colore dello schieramento mi sono avvicinato per alfabetizzarmi, pronto anche alla firma. Io di natura non sono marchiabile da idee di gruppo o partiti; trovo sia il modo migliore per svilire le singolarità, vero tesoro dell’umanità. Sono tuttavia sempre pronto a schierarmi e ad appoggiare quelle che secondo me sono “le buone idee”. L’offensiva che proponeva il gazebo, per contrastare lo strapotere maschilista nelle poltrone delle stanze dei bottoni della nazione, era di imporre per legge la presenza di un tot per cento di donne al Parlamento, se non ricordo male il 50. Ma non ha importanza il numero, quello che mi ha fatto trasalire è stato il concetto di fondo, sbagliato a mio parere. Siamo d’accordo che non è giusto privilegiare una classe sociale o sessuale che sia, rispetto ad un’altra, poiché si tratterebbe di una violenza in questo caso figlia di

impostazioni culturali, sociali, storiche e chi più ne ha più ne metta, generate da criteri di merito ingiustificati e bassamente di parte, che defraudano la donna della giusta considerazione sociale. Ma se è ingiusto questo, per stesso concetto è anche sbagliato imporre il 50, l’80 o il 10% che sia della presenza femminile nella politica. Non si impone niente: al Parlamento come in qualunque altro posto non si deve sedere d’ufficio, per accordo tra le parti e perché è scritto su un foglio su cui si è legiferato. E’ sbagliato quanto il principio dell’imposto superpotere del maschio. Deve sedere chi merita, uomo o donna che sia, questo è il concetto da far passare. Le grandi conquiste sociali non sono state raggiunte in un giorno, ma goccia dopo goccia. La disparità della donna rispetto all’uomo è la madre delle lotte sociali, ed è per questo logico che rimuoverla richiede tanto tempo, poiché è radicata in noi da sempre. Ma per ogni donna la strada più breve verso questo cambiamento deve essere quella di mostrare ogni giorno il proprio valore, fino al momento in cui nessuno potrà più negare all'ingiustizia a cui le donne sono soggette. E non piuttosto cavalcando concetti sbagliati tanto quelli che si vogliono combattere. Non si cura una malattia con un farmaco che ha lo stesso principio attivo del virus, è clamorosamente sbagliato. Alla fine ho abbandonato il gazebo senza firmare.

ne sarei disposto a truccare le carte, tradire la bandiera, e imbrogliare il Cristo lassù, perché per quel bene sono pronto a commerciare fede e dignità. Egoista? Può essere, ma anche l’egoismo, come la paura, è una debolezza che appartiene agli umani. Sottovoce, col silenzio che si dedica al rispetto, penso al costo esasperato di un uomo messo sulla croce dell’attesa, e poi negargli per diciassette anni l’azzardo di una speranza. Penso anche quella croce stesa sotto il corpo di una ragazza con l’imposizione assoluta d’invecchiare, senza il suo consenso. Con l’urlo, l’unico a disposizione, mi chiedo: ma chi è che decide il prezzo o la condanna verso chi ha avuto la colpa inconsapevole di scivolare in una maledetta fatalità. Chi decide che la scelta fatta in buona salute, non si possa rispettare quando quella salute è venuta meno al patto. E come si fa, senza aver mai sfiorato quel tormento, ma con la sola presunzione dell’ipotesi, a imporre l’obbligo di un’agonia? Col tono del sussurro, provo a uscire dalla storia, e per difesa provo ad aggrapparmi all’uso del confronto. Così penso all’eutanasia morale, quella che da anni permette a milioni di creature africane di consumarsi con l’ingiustizia atroce della fame, e penso a quei bambini santi come Dio, buttati in mare perché incapaci di sopportare il viaggio della speranza. Sono anni che quei diritti di vivere sono accompagnati da grandi costernazioni, indignazioni, ma con poche, minime, scarse prese di posizione e soluzioni. Oggi, pretendiamo di raccontare la storia di un pianto, con la verità di una sola lacrima. Sottovoce esco dalla coscienza e penso, spero, credo, che il Padrone dei Cieli sarà sicuramente più magnanimo delle severità terrene, e davanti alla fatica del signor Beppino Englaro e alla distrazione assegnata alla cara Eluana, riconoscerà la sofferenza e allargherà il suo assenso.


«Mi scappa la pipì» Bisogni quotidiani di un uomo in carrozzina La barriera più grande? L’ostilità delle persone verso la disabilità di Gino Dain Non avevo mai fatto molta attenzione ai problemi della disabilità, perché mi sembrava qualcosa di lontano, non tra le mie priorità più prossime. E invece mai dire mai: da un giorno all’altro mi sono ritrovato “carrozzellato” e vivo difficoltà tangibili e giornaliere, guardo tutto con occhi nuovi. È successo in seguito a una polmonite. Sono stato per due giorni in una sorta di coma, uno spazio sospeso tra qua e là, e quando ho ripreso coscienza mi sono accorto di non essere più capace di stare in piedi, né di allungare le gambe. Così, anche se le

mie condizioni fisiche sono ancora abbastanza buone, mi trovo da solo ad affrontare altre esigenze di vita normale, tipo i svariati lavori di casa, gli spostamenti per fare la spesa, per cui non posso usare i mezzi pubblici perché nel mio comune non c’è un buon servizio, come in altri posti. Scopro le tante barriere architettoniche che chi è in carrozzina si trova a dover superare e un ostacolo emerge sugli altri: “Mi scappa la pipì… e di corsa”, ma come fare se sono solo? Eh già, non tutti possono essere accompagnati da qualcu-

no, perché l’assistenza costa. Anche altre azioni che ho sempre considerato banali, come cambiare una lampadina, rifare il letto, richiedono inevitabilmente l’intervento di un’altra persona. Mi chiedo chi possa venire ad aiutarmi. Tutte queste mansioni potrebbero essere chieste alle istituzioni pubbliche, ma per mille motivi il più delle volte vengono disattese. Allora l’unica cosa che questa situazione riesce a dipanare è la diversità tra le persone che ti hanno circondato in altri momenti e quelle che invece vedi oggi, che hai più bisogno di

solidarietà. La barriera più grande è il sentimento di ostilità e repulsione che la gente ancora cova riguardo alla disabilità. Ne avrei abbastanza solo a contrastare questo sentimento, ma non mi abbatto. So che c’è chi sta molto peggio di me, io ho ancora la speranza di riacquistare l’uso delle gambe, sto facendo fisioterapia. Devo stare attento a non finire di nuovo in profondi abissi di depressione, come quelli che ho già passato, quando l’unica cosa che volevo era stare per conto mio. Non è un bene, devo reagire, altrimenti finisce tutto a carte 48!

ZIO FRANCO

TINA, OMOSESSUALITÀ SCOMODA? Ricordata sempre come fotografa rivoluzianaria, si tace ancora sulla sua essenza di donna di Franco de Marchi Quando si scrive di qualcuno, spesso si scrive fino ad un certo punto. Quel punto che solitamente esonera parte della storia di un persona. In questo caso cito il vivere della friulana Tina Modotti, a molti donna sconosciuta, nata in Carnia 70 anni fa e morta in un taxi di Messico il 5 gennaio 1942 a 45 anni. Fu un personaggio scomodo per quei tempi, ma a mio parere anche per quelli odierni, visto che di lei se ne parla,

ma … fino ad un certo punto. La Modotti lasciò la sua Carnia appena diciassettenne perché comunista dichiarata e lesbica ufficiosamente. Passionaria in Spagna, poi in Argentina, Russia, Stati Uniti e Messico, sposò il pittore Roubaix "Robo" de l'Abrie Richey del quale rimase vedova, quando aveva già iniziato una relazione con il fotografo Edward Weston, che fu uno degli uomini della sua vita. L’ultimo su il triestino

Vittorio Vidali. Ho cominciato queste righe affermando che, in questo caso, si para di Tina fino ad un certo punto, in quanto chissà perché non si accenna alla sua omosessualità. La Modotti infatti ebbe anche una relazione con la pittrice messicana Frida Kalo, ma di questo nel 2012 non se ne parla: si legga ad esempio l’articolo di Luciano Santin tratto dal Messaggero Veneto del 3 gennaio 2012. L’articolista tratta il

personaggio Modotti splendidamente in quanto ad agiografia e note di vita, ma per il resto tace sulla sua essenza di donna. Tina, geniale fotografa e attrice, ma soprattutto comunista militante fu un personaggio scomodo per l’America di quei tempi. Tornò in Messico e concluse la sua vita in silenzio, povertà e dimenticata anche da quanti aveva aiutato. Anche a Udine e in regione, a mio parere, non viene ricordata come meriterebbe: scomoda da viva ed anche da morta. Forse un giorno qualche articolista non avrà il buon senso di redigere un articolo quantomeno più sincero ed autentico di quanto scritti sino ad oggi. Questo forse, ma vi sarà sempre il solito ma.. di troppo. Comunque, Tina, chi ti conosce per come hai vissuto ti ricorda per quello che sei ed hai contribuito a costruire per voi donne. Il resto è solo vita ed articoli, frutto dei soliti redattori o dirigenti giornalistici che stanno al gioco o al giogo di chi li paga.


CELOX

Spread, future, pareggio di bilancio, recessione: il dizionario della crisi Riflessioni su una società dominata dal dio denaro di Manuele Celotto Giorni fa in tv hanno fatto vedere delle "interviste volanti". Agli intervistati il giornalista chiedeva cosa fossero lo “spread” ed i “future”. Su una quindicina di persone solo un uomo ha risposto correttamente, gli altri hanno dato risposte un po’ così. A me è sembrato strano visto che ormai certi termini fanno parte del nostro vivere quotidiano, però è anche vero che “xe tuta roba che no va in pignata” e fatica ad accendere l’interesse della gente. I media ci propongono continuamente l’andamento della borsa e terminologie di economia assortite e, che ci piaccia o no, la finanza è diventata parte

del nostro vivere quotidiano. Borsa, finanza e banche incidono sull’orientamento politico economico di governi e nazioni come sul nostro quotidiano. Ma come siamo arrivati a tutto questo? La finanza è piena di squali e le banche pensano solo al profitto? Sarà, ma se adesso hanno tutto questo potere è anche perché noi glielo abbiamo dato. Per tanto tempo il danaro è stato il nostro vero dio, le banche erano le cattedrali ed i guru della finanza i nostri sacerdoti. Esagero? Anni fa un giornale (Cuore) pubblicava una classifica (votata dai lettori) dei cinque motivi per cui vale la pena vivere.

Due torri si accasciarono davanti al mondo 11 settembre, dopo il Cile nel '73 fu tragedia anche a New York di Manuele Celotto New York City, quante volte ci è capitato di vedere le famose Torri gemelle immortalate su poster, foto o nelle sequenze di qualche film? Davvero tante. Questi edifici (facevano parte di un complesso di sette strutture tutte collegate tra loro) iniziati nel 1966 ed inaugurati nel 1973 erano un progetto innovativo. La gabbia di acciaio di cui erano rivestiti doveva garantire elasticità e resistenza in edifici così alti perché lassù il vento arriva a 120 all’ora. Erano strutturati e pensati anche per resistere a grandi impatti o attentati. Nel febbraio del 1993 furono collocati 680kg di esplosivo nei sotterranei. L’attentato causò sei morti ed oltre un migliaio di feriti, ma solo la hall delle due torri ne uscì danneg-

giata. Anche l’impatto degli aerei, del nefasto 11 settembre 2001, considerando la sola forza d’urto non fu sufficiente a distruggere le torri, ma ne incrinò la struttura. Erano in grado di resistere anche con i due terzi della struttura danneggiata, infatti non crollarono, ma si accasciarono su loro stesse perché la gabbia

Al primo posto c’erano i soldi, al secondo l’amore che, sommato a far l’amore e “scopare”, era ancora distante nelle preferenze. Suona un po’ triste e strano vero? Però per anni abbiamo vissuto con l’equazione: + soldi = + consumi, + consumi = + felicità e vai che vai bene; il denaro non è più un mezzo, è diventato un fine. Il rovescio di questo è che più consumi e più devi produrre e l’economia non può crescere sempre; l’impatto ambientale si fa sempre più alto e le risorse diminuiscono sempre più in fretta. Magari questa crisi potrebbe diventare un’occasione per ripensare la nostra vita e “rallentare” un po’, “the slow way”.

gore è quando arbitro fischia! Giova ricordare che il potere di acquisto dei salari negli ultimi dieci anni è sceso del 20% circa (i prezzi sono saliti del 25-27% le paghe aumentate del 5-8%). Un po’ difficile chiedere sacrifici e un po’ in contraddizione: l’economia è in recessione, ci sono meno soldi e la gente spende meno, invece servirebbe maggiore liquidità per dare slancio ai consumi e rilanciare nuovamente l’economia. Se importante è il pareggio in bilancio lo sono anche i debiti; i debiti servono sia per le famiglie che per le imprese e poi… i debiti allungano la vita! Tutti i creditori augurano lunga vita ai debitori, o almeno fino a debito estinto.

Adesso nel nostro quotidiano troviamo un’altra “priorità” che è il “pareggio del bilancio”. Dopo anni scellerati di debito pubblico e di finanza un po’ allegra, vengono chiesti sacrifici e rigore. Rigore? Ri-

E poi che ci stanno a fare le banche se non concedono prestiti?

d’acciaio, per il calore dell’incendio che si era propagato con la benzina degli aerei, ne alterò la capacità di resistenza. Mentre scrivo ripenso a quel che è successo. Quel giorno stavo a casa di un amico, quando gli arrivò una telefonata. Corse ad accendere la televisione e mi chiamò. Guardavamo, ma nessuno dei due riusciva ad aprir bocca. Nella testa girava una sola domanda: «Ma è tutto vero?». Non avevo nemmeno idea di dove stava succedendo quel disastro, ma ero sicuro fosse in America. «New York due aerei contro le torri gemelle», sembrò rispondere il giornalista dalla televisione. I morti furono oltre 2600 e più di 400 solo tra i soccorritori. Il danno economico (la borsa restò chiusa per una settimana) fu notevole, ma peggio fu per i danni a medio lungo termine. Il crollo delle torri aveva rilasciato nell’aria un sacco di polve-

ri nocive (amianto, piombo, mercurio) e il ritorno forzato alla normalità (anche e soprattutto per motivi economici) peggiorò le cose. Sia Giuliani (allora sindaco di New York) che Bush avevano spinto perché la situazione tornasse quanto prima alla normalità; l’area fu dichiarata non pericolosa ed agibile dopo una settimana con gravi conseguenze per la salute di chi gravitava attorno per lavoro o altro. A tuttora non è accertato quanti si siano ammalati per quelle polveri e numerose vertenze sono in piedi per rimborsi spese di cure mediche per malattie derivate da quel disastro. Non furono solo quelli gli effetti collaterali: attivisti della pace perseguiti e incarcerati, “esportazione della democrazia” e nuova corsa agli armamenti, informazione manipolata e il livello di paranoia che invade il quotidiano degli americani. Alcune conseguenze le subiamo ancora oggi. I morti in Afghanistan nelle “missioni di pace” e tutti i costi che queste comportano (economici e di vite umane) a tuttora non vedono la fine e in molte zone del paese nulla è cambiato se non addirittura peggiorato.


INVIATI NEL MONDO

Argentina, dieci anni dopo Cooperazione e autogestione per risorgere dalla crisi di Fabio Passador Salgo le scale di un antico palazzo di Avenida Corrientes, nel centro di Buenos Aires, la capitale della Repubblica di Argentina. Ad aspettarmi c'è Nora, militante della Liga Argentina por los Derechos del Hobre, la più antica associazione per i diritti umani di tutto il continente latinoamericano. Ci siamo conosciuti quasi due anni prima, in occasione del mio precedente viaggio e a lei sono legati i ricordi più emozionanti delle mie prime manifestazioni in terra argentina. Il momento in cui ci ritroviamo arriva dopo alcune settimane da una sentenza storica che condanna alcuni dei militari colpevoli della sparizione di un'intera generazione di militanti politici in lotta con la dittatura dei generali inaugurata con il colpo di Stato del 1976. In questa causa la Liga, ha supportato Floreal Avellaneda, desaparecido a soli quattordici anni, con l'aiuto di alcune associazioni che si trovano in Italia, tra cui Vientos del Sur di Udine che mi ha permesso di conoscere questo mondo fantastico e altrettanto doloroso. Ed è proprio da una delle grandi finestre della sede in Av. Corrientes, l'arteria culturale della Càpital, con le sue centinaia di librerie, cinema, teatri che si può scorgere il famoso Hotel Bauen, considerato tra i più lussuosi della città, fu costruito per volere della giunta militare nel 1978,

anno dei Mondiali di calcio in Argentina. Dopo la crisi economica del 2001, scoppiata a causa delle politiche ultra liberiste dell'allora presidente argentino Mènem che aveva privatizzato qualsiasi settore pubblico, messo in vendita ai grandi colossi occidentali e soprattutto americani, l'hotel rischiava di chiudere. Successe invece che 13 lavoratori decisero di occupare le stanze lussuose del Bauen e poco dopo si costituirono in una cooperativa, che oggi conta 150 soci e funziona a pieno regime, gestendo 200 stanze distribuite su 25 piani. Un'esperienza incredibile, ma non solitaria. Infatti esiste una vera e propria rete delle aziende recuperate chiamata Ert (Empresas Recuperadas por sus Trabajadores), di cui fanno parte anche la Fasinpat (ex Zanon), famosa fabbrica di ceramica della città di Neuquen, recuperata dagli stessi operai, dopo che il proprietario Luigi Zanon, italiano e politicamente vicino a

Menem, dichiarò il fallimento. Le piastrelle dell'hotel Bauen provengono da lì, come segno di solidarietà tra lavoratori. Ed è proprio da questo hotel che io e Nora partiamo verso la periferia sud dell'enorme capitale, il quartiere di Parque Patricios, dove si trova il barrio autogestito dal Movimento Teritorial de Liberaciòn, uno dei tanti movimenti piqueteros, cioè di disoccupati, che si sono organizzati nelle lotte sociali durante la crisi economica di dieci anni fa. Di ispirazione marxista, molto vicino al Partito Comunista Argentino, l'Mtl è presente con la sua rete in 17 provincie argentine con 20 mila militanti sociali. A Buenos Aires, il movimento si occupa soprattutto dell'emergenza abitativa, che interessa migliaia di persone, in particolar modo nella zona sud della città, dove, secondo le statistiche esistono circa 200 mila abitazioni chiuse. Il Movimento Teritorial de Liberacìon, sposando la lotta di strada, con il lavoro legislativo e di gestione, nell'anno 2003 ini-

L'appena nata cooperativa Mtl ricevette un finanziamento di 16 milioni di pesos argentini per poter realizzare 326 appartamenti in 14.000 metri quadrati di terreno. Il completamento avvenne nel tempo record di 30 mesi con un costo minore del 25% rispetto al mercato edile. Comprensivo di alcuni ambienti pubblici come una piazza ed una decina di esercizi commerciali, dal settembre 2008 vide inaugurata anche la radio comunitaria Radio Sur Mtl Fm 88.3 (http://www.radiosur1027.org. ar/). Con una frequenza limitata all'area cittadina, la sua missione è quella di diffon-

ziò un percorso che, grazie ad una legge speciale che permetteva ad organizzazioni costituite in cooperative di gestire risorse statali e all'appoggio dell'allora amministrazione municipale, portò alla realizzazione del Projecto Monteagudo, dal nome della strada dove sorse il grande quartiere autogestito, dove fino ad alcuni anni fa funzionava una fabbrica ora abbandonata.

dere i valori della democrazia, partecipazione cittadina e cooperazione. Dallo scorso novembre, viene organizzato anche un festival musicale d'integrazione latinoamericana, con musica folklorica nazionale e continentale, dove non mancano le murgas, una forma di teatro di strada che coniuga musica, danza e recitazione nate in Uruguay ma diffuse anche in Argentina, soprattutto durante il Carnevale. La vivacità dei militanti in questo quartiere, nato dalla loro voglia di riscatto, attraverso la lotta ed il lavoro sociale, conditi da una forte creatività, fa si che coloro che come me si avvicinano a questo tipo di esperienze, tornino a casa con un grande bagaglio culturale ed un entusiasmo che difficilmente viene compreso da questa parte del pianeta.


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

ANCHE I RICCHI PIANGONO?

di Milena Bidinost Di recente una ricerca eseguita sul mercato occupazionale in Friuli Venezia Giulia col contributo dell'Agenzia e regionale del Lavoro, a partire dai dati del 2007, ha fatto emergere che nel corso del 2009 l'11,4% delle famiglie del Fvg è classificata come in stato di "deprivazione" (erano il 9,5% nel 2004) e il 10% dichiara di arrivare a fine mese con grande difficoltà. Il reddito medio dichiarato nel 2006 è pari a 29.745 annui (meno 5mila euro di affitto figurativo) ed è più elevato tra le famiglie classificate come "senza figli", che sono l'11,6% del totale. Le fonti di reddito derivano in primo luogo dal lavoro (circa 70%) seguiti da pensioni, capitali, affitti e trasferimenti sociali. La medesima ricerca dice che nella nostra regione, circa 1/3 della popolazione ha un lavoro da dipendente a tempo pieno e un altro terzo è ritirato dal lavoro. Gli autonomi superano l'8%. Il 53,8% degli individui intervistati in regione percepisce un reddito da lavoro e il reddito netto medio è pari a 16.479 euro. Messa sotto i raggi x, la popolazione meno abbiente soffre: per la crisi occupazionale, l’aumento della pressione fiscale, la perdita di potere d’acquisto dei redditi. Sempre la medesima crisi, secondo i dati dell’Osservatorio Findomestic, ha fatto chiudere i cordoni della borsa nel 2010 alle famiglie del Friuli Venezia Giulia che hanno speso il 3,2% in meno (1.462 mln di euro) rispetto al 2009 per l'acquisto di beni durevoli. Ciò è avvenuto nonostante si sia registrato un aumento del reddito pro capite complessivo, attestatosi a 20.265 euro (+0,7% sul 2009), al quinto posto tra le regioni italiane. La riduzione della spesa in Friuli Venezia Giulia

e' stata maggiore rispetto al dato medio nazionale 2010 (-2,2%), ed e' stata condizionata dal calo del mercato delle auto e delle moto nuove. A salvarsi è stato invece il mercato degli elettrodomestici 'bruni', cioè tv e hi fi, con +142% e dei prodotti informatici, +7,1%. Nel complesso, è emerso dall’indagine, le famiglie della regione sono intenzionate a continuare ad acquistare, ma sono consapevoli di doverlo fare con più prudenza e maggiore informazione rispetto al passato. Ebbene, ci siamo chiesti: ciò vale per la media delle famiglie. I ricchi però, quelli con reddito davvero elevato, stanno nella stessa barca? Ovvero ponderano e risparmiano come la maggioranza degli italiani? La domanda ci è nata considerando un’altra indagine contemporanea, la “Digital Luxury Experience- Altagamma Observatory”, uno studio che Fondazione Altagamma ha condotto su 187 aziende che operano nel settore del lusso con vendite per 60 miliardi di euro. E’ emerso che le vendite online dei prodotti di alta gamma aumenteranno del 20% annuo, raggiungendo gli 11 miliardi di euro nel 2015. Basti pensare che il numero di “amici” dei brand di alta gamma sulle pagine Facebook cresce ad un tasso del 136% annuo. Condotta sulla base di otto macro-categorie di prodotti (moda, arredamento di fascia alta, gioielli e orologi, alimentare, ospitalità, automotive, yacht, altri), l’indagine sottolinea come i prodotti di lusso rappresentino una fetta marginale per il settore (4,5 miliardi di euro, 2,6% sul totale vendite), ma la loro vendita è destinata a crescere del 20% annuo e raggiungerà gli 11 miliardi di euro nel 2015.


La crisi allarga la forbice tra ricchi e poveri: il gap di reddito tra la fascia sociale più benestante e quella meno abbiente continua cioè ad aumentare, come da circa trent’anni a questa parte. Secondo l’Ocse, nel 2008 il reddito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), mentre a metà anni Novanta era appena otto volte più grande. Secondo l’Associazione artigiani e piccole imprese (Cgia) di Mestre, tuttavia non è vero che la manovra Monti e le ultime due redatte dal governo Berlusconi per fare fronte alla crisi non colpiranno anche i ricchi. L’autorevole centro di ricerche veneto ha infatti calcolato le conseguenze economiche delle ultime tre manovre correttive sulle tasche di tre tipologie di ricchi: un manager d’azienda con

Stangata Monti

Non risparmia i grandi redditi, ma non rende poveri i ricchi di Milena Bidinost 550mila euro di reddito l’anno; un dirigente con un reddito di 350mila e un pensionato con un reddito di 220mila. A fronte della patrimoniale che graverà sui loro dossier titoli, del contributo di solidarietà introdotto da Berlusconi, dal peso dell’Imu che interesserà le loro abitazioni (prima e seconda casa) e la tassa di lusso che colpirà le loro auto di grossa cilindrata, per queste due tipologie di dirigenti gli aumenti saranno notevoli. Nel primo caso, la maggiore tassazione sarà già quest’anno di quasi 8.500 euro, per

oscillare poi nei prossimi tre anni tra i 16mila euro e i 21.300 euro per ciascuna annualità. Non va molto meglio nemmeno per il super pensionato. Se si considera anche l’ulteriore contributo di solidarietà introdotto dalla manovra Monti sopra i 200mila euro (aliquota del 15%), le maggiori tasse da versare all’Erario e agli enti locali ammonteranno a 4mila euro per l’anno in corso e tra i 10.700 euro e i 12.300 euro per ciascuno dei prossimi anni. Se è vero che – si potrebbe obbiettare - quando si è ricchi pa-

gare diventa più facile, non è detto che qualche sacrificio in più cominci ad essere richiesto anche a loro. Secondo il dizionario della lingua italiana Sabatini Colletti, ricco è colui che dispone di beni e mezzi economici in abbondanza. Rispetto a cosa, tuttavia? Qualcuno può credere che ricco sia colui il quale può permettersi di licenziarsi senza dover più lavorare per tutta la vita; qualcun altro che lo sia chi guadagna 10, 20 o più mila euro al mese. Ricco, da un altro punto di vista può essere colui il quale non deve fermarsi a riflettere davanti al desiderio di un acquisto. Per questo motivo e per mancanza di indagini sul tema che siano aggiornate ai tempi della crisi, tracciare una fotografia di quelli che, in Friuli Venezia Giulia, sono i cittadini più ricchi, anche solo sulla base dei redditi dichiarati, diventa un impresa ardua.

«La mia Aston Martin? Un regalo per non pensare alla crisi» Per Mario, imprenditore con 800mila euro di reddito, a preoccupare è il pessimismo di Ferdinando Parigi Mario è un nome di invenzione dietro il quale abbiamo voluto raccontarvi la vita di A.M.P., un uomo di 49 anni, impr.enditore nel settore della distribuzione di abbigliamento. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come se la vive la crisi una persona che agli occhi dei più potrebbe essere considerata ricca. Mario ha dichiarato un reddito di circa 700.000 euro nel 2008, un reddito analogo nel 2009, 800.000 euro nel 2010. Nel 2011, a causa di ingenti investimenti, il suo reddito dichiarato è stato di alcune decine di migliaia di euro. Mario è sposato da 25 anni e ha due figli maschi. Abita in provincia di Pordenone, in un appartamento che definisce “carino”. Noi lo abbiamo visitato in parte, trovandolo decisamente bello e molto grande. Ha anche una bellissima villa a Formentera. E' lì che trascorre buona parte della stagione estiva, compatibilmente con i tanti impegni di lavoro e i numerosi hobby. «Mi piace fare sport – ci facciamo raccontare da Mario tanto per rompere

il ghiaccio - gioco a tennis, a golf, a calcetto ogni tanto. In estate mi piace andare per mare, sempre abbastanza vicino alla costa, con la mia barca a motore da 9 metri. Viaggio molto spesso e soprattutto per affari, prevalentemente negli Stati Uniti e in Canada». Quando non prende l’aereo, il nostro imprenditore viaggia in auto, con la sua Aston Martin Rapide. «E’ stata una spesa “folle” – ammette - che mi sono concesso per dimenticare che siamo in tempo di crisi. Tanto per dare dei numeri, le dico che è un 6.000 di cilindrata, ha quasi 500 cavalli e sfiora i trecento km l'ora. Il prezzo? E' meglio che non glielo dica. Okay, l'ho pagata un po' più di 200.000 euro, full-optional, ma le ripeto che considero folle questa spesa». Viene da chiedersi che cosa ne se possa fare di un’auto così potente, su strade in cui il limite massimo è di 130 km orari. «Il motore ha un suono stupendo – risponde e poi di tanto in tanto vado in Germania per lavoro in auto e nelle autostrade tedesche i

limiti riguardano solo alcuni tratti critici, per il resto, traffico permettendo, si può correre». A questo punto la domanda non la possiamo più evitare e chiediamo a bruciapelo: «Lei si considera ricco?». «Tutto è relativo – esordisce a questo punto -. Voglio dire che sono ricco rispetto alla maggior parte dei contribuenti, ma rispetto ad altri, pochi a dire il vero, sono uno “sfigato”. Un ricco per me è qualcuno che può permettersi spese anche molto ingenti senza pensarci due volte. Se dovessi fissare un limite minimo per definire un vero ricco – azzarda - direi che deve avere un reddito imponibile di almeno 2 milioni di euro l'anno». Mario, il nostro imprenditore di euro come detto ne è arrivati a dichiarare fin sotto il milione. Definisce per questo il suo stile di vita “equilibrato, rispetto alle sue possibilità”. Chiarito questo passaggio, passiamo alle note dolenti. «Dal 2008, 2009 si parla di crisi – gli chiediamo quindi ad un certo punto – Ma per lei la crisi c’è davvero?». «La noto soprattutto in-

torno a me – ci dice ma non ne sono seriamente preoccupato. Credo che oltre alla crisi, ci sia soprattutto la paura della crisi. Personalmente, mi è capitato di rinviare degli acquisti, ma non per motivi strettamente economici. E poi, noto che siamo in crisi per il fatto che c'è una caduta dei consumi che si riflette in un rallentamento delle attività, compresa la mia». Nulla tuttavia per il momento di tanto preoccupante da indurre Mario ad un radicale cambiamento nel suo stile di vita. «Non adotto particolari accorgimenti per risparmiare – confessa infatti – e continuo a togliermi dei piccoli sfizi per provare soddisfazione e, come ho detto, per dimenticare che c'è la crisi: acquisto dei vini particolarmente pregiati, ad esempio».


Dirigente reddito 350.000 Euro Dirigente con reddito di 350.000 euro. Patrimonio finanziario di 800.000 euro di cui 30.000 in conto corrente. Auto di 320 Kw a benzina con la quale percorre 20.000 km annui (consumo pari a 10 km con 1 litro). Premio assicurativo RC auto di 2.091 euro. Abitazione principale di 200 mq, con rendita (al lordo della rivalutazione del 5%) pari a 1.800 euro. Seconda casa di 80 mq con rendita (al lordo della rivalutazione del 5%) pari a 700 euro.

Pensionato reddito 220.000 Euro Pensionato con Pensione di 220.000 euro. Patrimonio finanziario di 650.000 euro di cui 20.000 in conto corrente. Auto di 225 Kw a benzina con la quale percorre 20.000 km annui (consumo pari a 10 km con 1 litro). Premio assicurativo RC auto di 1.512 euro annui. Abitazione principale di 150 mq e con rendita (al lordo della rivalutazione del 5%) pari a 1.324 euro. Seconda casa di 80 mq e con rendita di 893 euro. Elaborazione: Ufficio Studi CGIA di Mestre

MANOVRE FISCALI 2011: MAGGIORE TASSAZIONE Rispetto al 2010 Descrizione Contributo solidarietà (DL 138/2011) Stima aggravio introduzione tassazione 20% sulle rendite finanziarie (DL 138/2011)

835

Imposta di bollo dossier titoli

(DL 201/2011)

Addizionale erariale tassa automobilistica Accisa sul carburante

(DL 201/2011)

IMU Prima abitazione

(DL 201/2011)

IMU seconda abitazione a disposizione Tributo comunale sui servizi Incrementi aliquota IVA

(DL 98/2011 e DL 201/2011)

2013 830

0

1.327

1.327

1.327

646

736

1.121

1.121

950

2.700

2.700

2.700

82

336

338

338

952

952

952

-53

-53

-53

84

84

0

(DL 201/2011)

(DL 201/2011)

Maggiore tassazione dopo le Manovre Monti-Berlusconi

2014

830

(DL 201/2011)

(DL 138/2011 e DL 201/2011)

Addizionale regionale IRPEF

120

870

2.226

2.669

1.020

1.020

1.020

1.039

3.653

8.719

10.545

10.176

MANOVRE FISCALI 2011:MAGGIORE TASSAZIONE rispetto al 2010 2011

Descrizione Contributo di solidarietà

(DL 201/2011)

Stima aggravio tassazione ritenute interessi attivi Imposta di bollo dossier titoli

Accisa sul carburante

(DL 201/2011)*

IMU Prima abitazione

(DL 201/2011)

IMU Seconda abitazione a disposizione Tributo comunale sui servizi Incrementi aliquota IVA

(DL 138/2011)

(DL 201/2011)

Addizionale erariale tassa automobilistica

(DL 98/2011 e DL 201/2011)

(DL 201/2011)

(DL 201/2011)

Maggiore tassazione dopo le Manovre Monti-Berlusconi

Calano le vendite e a comprare restano i ricchi dell’ultima ora

concessionaria di Sacile - ci sono le persone che sono nate ricche e quelle invece che lo sono diventate. Appurato questo c'è da dire che con la crisi anche i ricchi stanno più attenti a concedersi beni di lusso. Ciò avvien e

di Luca Gaspardis lusso per pochi e il sogno di tanti: la rossa di Maranello. La Ferrari, si sa, si è conquistata il podio della notorietà nella Formula Uno, ma non di rado la si vede sfrecciare anche per le vie cittadine. E’ un investimento da centinaia di milioni di euro, poco meno se ci si accontenta dell’usato, senza contare i costi di mantenimento. Chi se la può comprare di questi tempi? «Innanzitutto serve fare una distinzione – spiega Enzo Zaghet titolare dell’omonima

2012

s i a per la maggiore rigidità dei controlli fiscali e in termini di studi di settore (ovvero lo stile di vita che una persona può permettersi paragonato alla sua dichiarazione dei redditi n.d.r), sia che per la diffidenza di investire liquidità in beni superflui». Tra i clienti della concessionaria, nata nel 1969 con il marchio Alfa Romeo ed entrata a far parte dal 1985 dell’organizzazione Ineco

2013

2014

2.552

6.088

6.088

6.088

0

1.169

1.169

1.169

646

596

911

911

0

800

800

800

82

336

338

338

647

647

647

-67

-67

-67

69

69

0

(DL 201/2011)

(DL 138/2011 e DL 201/2011)

Addizionale regionale IRPEF

Rossa di Maranello, sempre più un sogno per pochi Con la crisi che attanaglia l'Italia di questi tempi e che riduce la disponibilità finanziaria dei cittadini, o per lo meno della maggior parte di questi, i ricchi, quelli che di soldi ne guadagnano davvero tanti continuano a concedersi gli stessi lussi di una volta? E’ una domanda che ci siamo posti, per dare risposta alla quale, abbiamo pensato bene di andare a prendere come esempio quello che per antonomasia è da sempre ritenuto un

2012

2011

84

603

1.531

1.835

670

591

591

591

4.033

10.763

12.077

12.380

Auto Spa, con il prestigioso marchio della Ferrari e, successivamente, della Maserati, ci sono poi come detto quelli che Zaghet definisce «gli arricchiti dell’ultima ora che vogliono togliersi la soddisfazione di

regalarsi un sogno. Questo tipo di persone a quanto vedo la crisi la sentono di meno, perché hanno una percezione diversa del denaro». Da ultimo e in via di estinzione ci sono “gli esibizionisti” o gli “snob” che dir si voglia: i classici “figli di papà” che un tempo la macchina di lusso se la compravano a occhi chiusi, ma che ora con la stretta ai portafogli due conti in tasca sono costretti a farseli anche loro.


IL VISIONARIO Diversamente poveri

Ricchi da morire Case, yachts, gioielli. La fiera di un lusso che non sarà mai eterno di Emanuela Greggio Si è da poco svolta a Verona la fiera del lusso “Luxury & Yachts”, e la “filosofia” che ha fatto da sfondo all’esposizione è stata: “Lusso come eccellenza, come esclusività, come bellezza, come stravaganza, lusso come appagamento dei propri gusti”. In sostanza, l’essenza del lusso. L’altra sera ero a cena con il titolare di un’azienda di medie dimensioni, un signore distinto a modo e di buoni prin-

cipi, che ha esposto in questa fiera uno dei suoi prodotti di uso comune impreziosito da intarsi d’oro e di platino, e divenuto quindi per definizione “un prodotto di lusso”. E’ stato naturale soffermarsi a riflettere su chi del lusso ha fatto la base della propria vita. Mi raccontava che ha avuto modo di pre-

Flash mob dei “Diversamente Poveri” in mattinata di fronte a palazzo Chigi, per protestare contro il caro benzina. Un centinaio di Ferrari hanno colorato di rosso la piazza, facendo rombare per dieci minuti i potentissimi motori della scuderia di Maranello. «È inutile che facciamo miracoli per non pagare le tasse, ha detto ai nostri microfoni il portavoce dei DP, se poi lo Stato ci spreme colpendoci sulla benzina. Lei ha idea di quanto consumi il Testarossa che ho

intestato a mia nonna? E lo yacht, crede che vada ad acqua di mare?» I motori si surriscaldano per un attimo quando da un’Alfa 33 di passaggio parte un sonoro «A stronziiiii!!» É infine giallo sul mancato arrivo di Lapo, annunciato dagli organizzatori con il suo Ferrari mimetico a solidarizzare con i manifestanti. «È bloccato in autostrada - chiarisce infine il solito portavoce. - No no, non è colpa dei No Tav. Ha finito la benzina».

stare la propria opera in un’abitazione a Cortina, che si sviluppa in modo sotterraneo per 3000 mq, 1000 mq per piano e per ben 3 volte. C’era la sala fitness, il solarium, la piscina e addirittura la possibilità di direzionare il moto ondoso dell’acqua. Ci sono voluti esperti, geologi e non so cos’altro per architettare un’abitazione sotterranea di questo tipo. Se penso che le case a Cortina viaggiano sui 20.000 euro a mq e faccio due calcoli, raggiungo cifre che non riesco nemmeno a pronunciare e devo fermarmi a contare gli zero. Mi diceva questo signore che dopo una prima fase di stupore e di apprezzamento per questa abitazione come autentico gioiello di architettura, ingegneria, cura di ogni dettag l i o , anche il più superfluo, è seguito un secondo momento di smarrimento e di repulsione. Mi ha guardata fissa negli occ h i e mi h a det-

to: «Ma hanno bisogno di tutto questo per stare bene? Ma lo sanno che poi lasciamo tutto qui?». Da lì sono partite alcune mie personali riflessioni. Il lusso, la ricchezza, la fama, quando raggiungono questi impressionanti livelli arrivano a trasmettere a chi guarda dall’esterno, un senso di onnipotenza e immortalità. Sembra che davvero questi Titani del Dio Denaro e della Fama, siano “per sempre”, e non possano essere colpiti da ciò che di comune interessa la vita di ciascuno di noi, non da ultima la morte. Mi ha presa una sensazione strana ascoltando la voce del Big Luciano nella pubblicità della Nutella. Anche a lui la notorietà e la ricchezza hanno dato un senso di eterno. E quando canta “buongiorno a questo giorno che si sveglia oggi con te, buon giorno al latte ed al caffè, buon giorno a chi non c’è”, ho davvero creduto che lui ci sia ancora. E mi son dovuta concentrare per ricordare che è morto. Come se la mia mente invaghita e confusa dalla manifestazione di tanta opulenza e tanta notorietà abbia potuto pensare che i grandi e i ricchi non possono morire!

IL VISIONARIO IMU-NITÀ Le organizzazioni mafiose presenti sul territorio nazionale hanno inviato un documento unitario al Governo in cui chiedono di essere esentati, al pari delle confessioni religiose, dal pagamento dell’Imu. «Questa nuova imposta - si legge nel documento - rischia di mettere in ginocchio un’intera economia ed è a nostro avviso vessatoria nei confronti di chi, sia esso commerciante o piccolo imprenditore, versa già a noi con regolarità il pizzo. Questo ulteriore balzello lo metterebbe

in ginocchio, costringendolo a scegliere, in questo momento di crisi, tra noi e lo Stato, con conseguenti danni per entrambi». Le mafie stimano in un miliardo di euro l’anno il mancato introito conseguente all’introduzione dell’Imu e minacciano «di aumentare il prezzo della cocaina all’ingrosso e se necessario di indire una serie di scioperi nei cantieri delle opere pubbliche da noi controllati. È in gioco il futuro delle nostre famiglie, dei nostri figli, del nostro Paese».


PANKANEWS

Dati 2011, un'eccezionale vetrina del territorio E’ stata totale la presenza alla conferenza stampa di febbraio di media e istituzioni di Stefano Venuto Mercoledì 8 febbraio conferenza stampa del’associazione “I Ragazzi della Panchina”di presentazione del rendiconto delle attività 2011, le prospettive 2012 e le questioni aperte. Erano presenti per giornali e televisioni: Messaggero Veneto, Gazzettino, Ufficio stampa Comune di Pordenone, Ufficio stampa Coop Itaca; RAI Regione, Tele Pordenone, Pn Box, Triveneta FVG. Ci hanno contattati telefonicamente ed acquisito i dati via mail: Il Friuli, Il Popolo, Il Momento, ANSA e Video Regione. Ospiti presenti all’incontro: per il Comune di Pordenone: il sindaco Claudio Pedrotti, l’assessore Vincenzo Romor, l’assessore Flavio Moro, il responsabile Servizi sociali Giovanni Di Prima e la collaboratrice Monia Guarino. Per l’Ass6: i direttore sanitario Mario Casini, il primario del Dipartimento per le diSono state ben 233 le persone che nel corso del 2011 hanno varcato la soglia dell’oramai ex sede di viale Grigoletti 11 a Pordenone. Una casa che, lo ricordiamo, ci hanno costretto in fretta e furia a lasciare a metà dicembre, senza un’alternativa pronta ad accoglierci. Ebbene, di quelle 233 persone, 109 non sono seguite da nessun servizio, né associazione. In 244 giorni di apertura della casa di viale Grigoletti le presenze totali sono state 5687, per una media giornaliera di 23 persone. La lettura di questi dati deve necessariamente partire da una considerazione: le persone che hanno varcato la soglia della sede nell’anno 2011 non venivano per ottenere qualcosa di materiale in cambio. Il ritorno era piuttosto di tipo relazionale. La sede de “I Ragazzi della Panchina” si presentava principalmente come un luogo dove veniva data dignità ad un problema. Per gli operatori avere un approccio etico alle problematiche delle dipendenze

pendenze Roberta Sabbion, il referente del Ser.T per “I Ragazzi della Panchina” Alessandro Zamai, il coordinatore “Genius Loci” Francesco Stoppa, il responsabile servizio promozione ed educazione alla salute Virgilio Beacco. Per la Questura di Pordenone: il responsabile ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico Francesco De Zorzi, due poliziotti di quartiere. Per la Prefettura di Pordenone il referente dell’Urp Silvano Romanin, il presidente del Tribunale di Pordenone Francesco Pedoja. Per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Pordenone: Sara Rizzardo. C’erano poi il direttore della Casa circondariale di Pordenone Alberto Quagliotto e il presidente della Cooperativa Itaca Leo Tomarchio. Il motivo di questo elenco non vuole avere il fine di una autocelebrazione. Come abbiamo

molte volte detto durante la conferenza i numeri da soli vogliono dire tutto e significano niente! Così questo elenco. Il significato vero è la territorialità. Ciò che sta “dietro” a queste rappresentanze, vale per noi la possibilità di informare e coinvolgere direttamente gli amministratori sul potenziale espresso dalla nostra associazione sul territorio e al tempo stesso di informare i cittadini perché sappiano dell’impegno ai risultati che anche per loro l’associazione e l’intera rete cercano di mettere in atto. Indubbiamente la presenza di così tante televisioni, giornali ed autorità ci rallegra, perché è indicativo di come siamo stati capaci negli anni di far diventare centrale un problema, quello delle dipendenze da sostanze, per l’intera comunità cittadina, evitando di relegarlo come spesso accade all’inter-

Senza sede, persone abbandonate a loro stesse per le strade Chiusa la casa di viale Grigoletti, le difficoltà de “I Ragazzi della Panchina” a proseguire la azione di monitoraggio e recupero del disagio sociale di Stefano Venuto significa proprio questo: agire secondo una logica non rivendicativa e non basata su vantaggi materiali, ma piuttosto relazionali; porsi nella prospettiva di un cambiamento in termini comunitari e culturali. Questo approccio permette anche al Dipartimento per le Dipendenze dell’ospedale civile cittadino, con il quale esiste una stretta col-

laborazione, di ottimizzare il lavoro sulla singola persona. L’approccio alle dipendenze dell’associazione consiste nel lavorare non solo sul singolo utilizzatore di sostanze, ma anche e soprattutto sul contesto, per dare modo a chi vive il problema di sentirsi parte del mondo in cui abita e di mettere in atto, di conseguenza, tutta una serie di modifiche

no di un rimbalzo senza soluzione di continuità tra denunce, tribunali e carcere. Siamo soddisfatti perché se il primo obiettivo dell’associazione è quello di porsi come anello di congiunzione, come ponte da percorrere per legare la “strada” alle istituzioni, ci sentiamo di aver fatto un bel passo avanti in questa direzione.

I NUMERI Totali presenze 5687 Giorni di apertura 244 Media giornaliera 23 Contatti diversi 233 In carico al Ser.T 63 Non in carico ad alcun servizio 109 In carico al C.S.M. 6 Stranieri 14 Operatori 6 Mondo istituzionale ed amici 35

al suo modus operandi verso il miglioramento. Oggi più che mai, la mancanza di una sede demolisce la possibilità di lavorare in questo senso, in quanto non c’è una sistematicità quotidiana di ragionamento con i ragazzi, un luogo visibile e raggiungibile da chicchessia, un lavoro in prospettiva con la città. L’importanza della metodologia di lavoro dell’associazione si evidenzia ulteriormente nel numero di persone non in carico ad alcun servizio che hanno scelto di frequentare la sede: a queste gli operatori fornivano piani relazionali adeguati per fare in modo che solitudine, disagio, dipendenza, non portassero ad un crollo personale e conseguentemente sociale. Oggi queste 109 persone non sono più seguite da nessun’altra struttura pubblica o privata. Senza la sede de “I Ragazzi della Panchina” sono tutte sul territorio completamente irraggiungibili, non contenibili, se non in ultima istanza dalle forza dell’ordine.


RUBRICA LIBRI

Sono venuto per servire Il libro di don Andrea Gallo e Loris Mazzetti per le edizioni Aliberti recensione di Fabio Passador Loris Mazzetti, regista e giornalista, è capostruttura di Rai Tre, ha realizzato con Enzo Biagi “Il Fatto” e con Fabio Fazio “Che tempo che fa”. Nel libro ”Sono venuto per servire”, edizioni Aliberti 2010, scritto a quattro mani con il protagonista, racconta del prete “scomodo” Andrea Gallo. Lo fa proponendo al lettore una conversazione amichevole, dove segue la storia del fondatore della comunità di San Benedetto al Porto, dalla sua infanzia, alla sua scelta di stare con gli “ultimi”. Mentre leggo, la considerazione che mi faccio è la stessa sulla quale riflette l’autore: “Peccato don che lei sia un prete, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro il leader”. E Don Gallo, con il suo immancabile sigaro tra le labbra credo risponderebbe serenamente: “Io ho solo seguito le impronte lasciate da altri”. Apostrofato in ogni modo: chierico rosso, prete comunista, protettore dei tossici, don Andrea Gallo non si scalfisce, anzi, ci tiene a precisare che lui è anche amico delle prostitute, dei deviati, dei migranti, insomma di tutti coloro che stanno ai margini della società. Questo è il suo impegno alla Comunità di San Benedetto al Porto, dove, racconta, lavora di notte, perché solo in quelle ore gli ultimi sono ben visibili, mentre durante il giorno si mimetizzano. C’è l’osteria “A’Lanterna”, dove lavorano i ragazzi che lui ha aiutato ad uscire dal tunnel della droga e che lo circondano ogni qualvolta entra per salutarli. A quindici anni, come volontario, entra nella Marina: “Perché ho sempre amato il porto – dice - considerando che il porto è il luogo che accoglie chiunque. Era il 1943, in piena seconda Guerra Mondiale, l’anno in cui scoppiò l’8 settembre e suo fratello Bernardo era tenente dei pionieri in partenza per il fronte russo, il cui reparto fu trasferito a Milano dopo i bombardamenti per ripulire le macerie. Con la caduta di Mussolini Gallo entra a far parte della Resistenza, dove il giovane cominciò a prendere per la prima

volta coscienza delle parole “democrazia” e “liberazione”. Ed è proprio da lì che nasce l’uomo che noi tutti conosciamo, nome di battaglia “Nan”, diminutivo di Nasan, che in genovese significa nasone. Il suo ricordo dopo la liberazione va al momento delle prime elezioni libere, quelle in cui anche le donne votarono per la prima volta, come sua madre e le sue zie. La sua famiglia era povera, il padre analfabeta, reduce della Grande Guerra, faceva il ferroviere, ma insegnò tanto ad Andrea. Cresciuto in una famiglia profondamente cattolica, ma non bigotta, la madre gli ricordava sempre la figura di don Giovanni Bosco, colui che stava con i po-

veri e i contadini, segnando così quel percorso di impegno civile e di fede. L’esperienza che tuttavia finì per cambiare per sempre il prete di Genova fu sicuramente la sua missione in Brasile, dal quale decise di tornare quando capì che la chiesa locale era complice della dittatura dei militari. Riprese così gli studi universitari ad Ivrea, dove incontrò l’attuale

segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone. Nell’intervista Gallo ricorda quindi i suoi contrasti durante le lezioni o alla festa del Primo maggio, che organizzò con un foulard rosso al collo, e di come, spesso, finiva convocato dal rettore. E poi il suo ritorno a Genova, non senza problemi, dopo aver prestato opera in un carcere. E’ così che nasce il don Gallo che ora noi conosciamo: quello schierato a favore della legalizzazione delle droghe leggere, colui che lotta per i diritti dei migranti e dei transessuali, il prete che condanna l’accanimento terapeutico sui malati terminali e che marcia insieme al popolo antiglobalizzazione durante i tragici giorni di Genova nel 2001. Il prete che difende i valori della democrazia, che si definisce senza paura di retorica, ancora antifascista, uno dei pochi amici di Fabrizio De André, che ha incontrato nella sua vita tutte e tutti coloro che lottano contro le ingiustizie e ha dato loro una voce.

LA COMUNITA' SAN BENEDETTO AL PORTO La comunità di San Benedetto al Porto (Ge) inizia le proprie attività nel 1975 nei locali di una canonica messa a disposizione da don Federico Rebora. Si costituisce come associazione il 2 marzo 1983, promuovendo e cofondando con il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca). In essa vengono accolti tutti coloro che si trovano in situazione di disagio, in particolar modo le persone dipendenti da sostanze e soggetti con disturbi psichiatrici. La San Benedetto collabora attivamente con i servizi pubblici ed i Ser.T, anche in territorio piemontese, dove si trovano alcune comunità residenziali associate. L'azione che questa comunità svolge non vuole essere né assistenziale né sostitutiva: il suo scopo è piuttosto quello di offrire una forma di emancipazione da ogni tipo di dipendenza, all'interno di una partecipazione e confronto sociale critici con il sociale e con il politico. All'interno del progetto avviato da don Andrea Gallo c'è l'osteria

A'Lanterna. Qui lavorano alcuni degli ospiti della comunità. Vi è quindi un caloroso angolo dove poter assaggiare le migliori specialità di pesce. La libreria, assieme all'osteria, costituisce inoltre quell'opportunità di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, così come la tipografia e il negozio di abbigliamento, tutti uniti sotto la sigla della società cooperativa sociale Onlus La Lanterna. In un quartiere della città, la San Benedetto gestisce poi lo sportello informativo Sans Papiers. E’ questo un servizio mirato soprattutto a cittadini immigrati, ma fondamentalmente aperto a tutti coloro che sono in cerca di una consulenza gratuita. Inoltre si è costi-

tuita una compagnia teatrale chiamata Il Teatro degli Zingari che, oltre a proporre degli spettacoli figurativi, organizza anche corsi di musica e balli africani. Ed è infine perché a tutto il mondo si vuole rivolgere, la Sambe, come la chiamano a Genova, è presente anche nella Repubblica Dominicana, dove un gruppo di autoctoni ed italiani ha fondato una Ong che si occupa di sviluppo sostenibile insieme alle comunità locali, promuovendo azioni di assistenza umanitaria, educazione ambientale, culturale e formativa.


PANKA ROCK

Photo by Simone Di Luca

Caparezza: «Sono leader solo di me stesso» Il cantante pugliese, in concerto a Pordenone, si racconta tra libertà di pensiero e sogni

si deve pensare per essere tale? Mah non lo so. In realtà per me il fatto di riuscire ad esercitare il pensiero è già una libertà, perché tante volte non si riesce ad esprimere neanche i pareri, soprattutto quando si è in una posizione come la mia, in cui tutto quello che dico ha un seguito, si ha paura a prendere una posizione.

Los Angeles e Miami. È un evento che considera come una consacrazione finale e punto d’arrivo? No per me è stata solo una esperienza, che tra l’altro non credo mi abbia fatto esplodere come fenomeno. E’ successo solo per la semplice voglia di andare li, a fare tre date per arricchire il mio bagaglio personale.

L’industria del divertimento non ha scrupoli, sarà la piaga del futuro? Lo è già, è la piaga del presente. Tra l’altro è una piaga in cui spesso hanno tentato di infilarmi dentro, forse per anestetizzare quello che dico, però ho cercato di rimanervi fuori.

Guardando a tutta la sua carriera c’è qualcosa che non rifarebbe? Tante cose non rifarei, però a volte penso che quello che ho fatto e che sul momento avevo considerato un errore, alla fine sia comunque servito. La vita non è fatta di soli passi giusti, ma anche di passi falsi, e non credo che sarei quello che sono senza di loro.

Caparezza lo scorso ottobre è stato una delle star dell’Hit Week, il più grande festival di musica italiana in America, esibendosi a New York,

Un sogno nel cassetto? Avere un cassetto pieno di sogni.

di Guerrino Faggiani Michele Salvemini in arte Caparezza, ha fatto tappa al forum di Pordenone lo scorso fine febbraio. Il nome gli deriva da "capa rezza", ovvero "testa riccia" in dialetto di Molfetta, paese natale dell’artista. Grazie all’Azalea Promotion che ha gestito l’evento siamo riusciti ad incontrarlo per scambiare qualche battuta e saperne di più su di lui. La sua carriera è stata una escalation di eventi sempre più importanti, da rapper a conduttore fino a diventare uno dei maggiori fenomeni musicali italiani, ora che altro verrà? Il dimenticatoio! A parte gli scherzi, non lo so cosa succederà, mi sorprendo sempre di continuare con la musica e di avere questo seguito, non era nelle mie intenzioni diventare

un leader. Come ho anche già scritto non sarei proprio contento a capo di un movimento: non mi ci vedo, non fa per me. Pur sapendo di dare la possibilità a diverse persone, che si identificano sotto una unica bandiera, di esprimersi attraverso quello che faccio, io comunque quando si tratta di rappresentare resto un passo indietro. Sono leader solo di me stesso, e non lo faccio neanche bene perché a volte mi disobbedisco. È convinto di avere il talento che tutti dicono? No, assolutamente. Anzi mi preoccupa. E’ come diceva Oscar Wild: «Quando tutti sono d’accordo con me, io penso di avere torto». Di lei si dice che è un pensatore libero, in che maniera

Photo by Simone Di Luca

LIBERI PENSATORI Se c’è una cosa che ho notato nei personaggi che piacevolmente ho avuto modo di conoscere tramite le interviste per Ldp, è che coloro che godono di appellativi come pensatori liberi, liberi pensatori e via dicendo, hanno in comune oltre alla fama di alternativi anche un buon umore di fondo, quasi una spensieratezza che li stacca dai caratteri della maggioranza delle persone. Anche se magari con problemi esistenziali e fragili emotivamente, loro comunque prendono la vita in questo modo. Anche Caparezza è di questo genotipo di persona. Per dire le cose non disdegnano la strada del-

la battuta, la loro indole di fondo è che “messa là” con un sorriso è sempre meglio che con la serietà. Sono persone con cui è facile parlare ed intendersi perché alla fine, con questo atteggiamento, risultano brillanti non noiosi e positivi, in una parola: gagliardi. Dunque il buon umore è una costante, e allora se anche noi vogliamo provare ad essere liberi pensatori, cominciamo proprio da lì, con il tirarci su il morale e farci una bella risata. Meglio allenarsi tra quattro mura però, lontano da occhi indiscreti altrimenti più probabile che da liberi pensatori si passi da liberi andati.


NON SOLO SPORT

Atletica Pordenone, quando lo sport va incontro ai giovani Dal 2011 con la presidenza Tropeano il rilancio della società di Guerrino Faggiani Le persone di buona volontà possono raccogliere sfide in ogni momento, anche se esulano dalle loro competenze professionali. Così ha fatto Pietro Tropeano, responsabile del Day Hospital del nostro ospedale Santa Maria Degli Angeli e presidente del Circolo di Pordenone, quando nell’aprile del 2011 ha accettato di assumere la presidenza dell’Asd Atletica Pordenone, società storica che quest’anno è al suo trentesimo anniversario. Il suo compito era rilanciare la società sportiva dallo stato di flessione in cui si trovava. È riuscito a ritagliarsi il tempo per fare anche questo signor Tropeano? Non è stato facile in effetti, ma mi affascinava l’idea di un’avventura simile. Con l’appoggio dei nostri fratelli dell’Equipe, l’altra società di atletica di Pordenone, e la nomina di due vice presidenti, alla fine sono riuscito a delineare un assetto societario in grado di reggere gli impegni e di avere ragazzi che facciano sport. Noi non cerchiamo infatti atleti per vincere. Certo che se ci sono ci fa piacere, ma il nostro compito è prima di tutto quello di portare lo sport ai ragazzi. A tal fine il prossimo aprile organizzeremo un importante incontro sul tema “L’atletica va a scuola” rivolto ai 600 alunni della elementare Pasolini di Pordenone. Accompagneremo inoltre i ragazzi per due giornate al campo d’atletica, facendo testare loro tutte le specialità. In questo modo potremo verificare attitudini ed eventuali interessi a proseguire nello sport. È un evento che ripeteremo ogni anno con una scuola diversa e che per noi è importante perché è la missione della nostra società: non caccia ai campioni dunque ma semmai crearne da zero attingendo dal primo bacino d’utenza che sono le scuole di Pordenone. Recentemente c’è stato un aumento degli stanziamenti

pubblici sul fronte dell’atletica pordenonese. Come mai secondo lei tanta attenzione adesso? Credo sia dovuto alla crescente consapevolezza della necessità di salvaguardare tutto ciò che ruota attorno ai giovani, e nella comprensione che investire nello sport e

nelle società sportive significa investire proprio per loro. E poi io dico che comunque gli enti erogatori devono essere stimolati, nessuno ti dà niente per niente, e vanno stimolati con obiettivi e progetti seri. Non si otterrà 100, si otterrà 2 o 15 ma intanto con quelli si inizia il percorso.

I giovani stanno rispondendo a questi sforzi e quali i vostri programmi futuri? Si c’è una bella risposta specialmente nella palestra indoor che alla sera è frequentata da decine e decine di atleti, quindi le nuove strutture fanno da richiamo. Per quanto riguarda l’agonismo, grazie all’aiuto tecnico dell’Equipe, abbiamo un gruppo già consolidato di una ventina di ragazzi che parteciperanno alle varie manifestazioni in regione e nel Triveneto, ed eventualmente a qualche campionato nazionale. Per quanto riguarda l’educazione allo sport investiremo tanto nelle scuole. In futuro avvieremo anche un progetto per i meno giovani, ovvero per quelli come lei o me che si mettono una maglietta e vanno a correre, ma questo lo vedremo con il tempo, perché non posso dirle ogni cosa altrimenti le svelo tutte le nostre carte. Va bene è giusto, non si guarda le carte degli altri. Allora diamo solo appuntamento a breve anche ai meno giovani, sempre al campo Mario Agosti, per una sana sgambata - e qui lo dico e qui lo nego - magari con aiuto da parte di tecnici. Grazie signor Tropeano e tanti auguri alla Asd Atletica Pordenone per i suoi progetti.

IL CAMPO "MARIO AGOSTI" Se fate un giro per Pordenone non troverete nessun cartello che indichi la via per raggiungerlo. Anzi, ben pochi sanno che cos’è, anche se tutti lo vediamo passandogli accanto in treno nei pressi della stazione, percorrendo la lunga curva parabolica. È il campo di atletica della nostra città, che ora dispone anche di un impianto indoor. E’ quest’ultimo un piccolo gioiello, l’unico in Italia realizzato sospeso dal suolo, al di sopra delle gradinate del campo, al quale una parte di esso gli fa da tetto. Motivo di soddisfazione per l’amministrazione della nostra città, è il fatto che tutta la progettazione dell’impianto sia stata eseguita dai tecnici del Comune di Pordenone, con l’architetto Guido Lutman in prima fila, che si è pre-

stato anche a seguire i lavori di realizzazione dell’opera. Non secondario motivo d’orgoglio è poi il fatto che la struttura sia stata costruita in dieci mesi, a suffragio della buona organizzazione messa in campo dagli addetti e del buon lavoro generale. La ristrutturazione del campo Mario Agosti e l’impianto indoor sono nati da un sogno di Ezio Rover, presidente dell’Atletica provinciale, condiviso con pochi intimi. Per renderlo concreto e realizzabile sono intervenute la Regione Friuli Venezia Giulia e il Comune di Pordenone, che in egual misura hanno coperto l’oltre milione e mezzo di euro necessario alla realizzazione dell’opera. Grazie all’impegno di Elio De Anna nelle vesti di assessore regionale allo Sport per la Regione e di Sergio Bolzonello, all’e-

poca sindaco della città e titolare della delega allo Sport. Come sempre un sogno realizzato porta con sé aria nuova e vita nuova. Da qui è nato il “1° Meeting Indoor Città di Pordenone”, che si è svolto a gennaio. Infatti in occasione della ricorrenza del proprio trentennale di vita, l’associazione dilettantistica Atletica Pordenone in collaborazione con l’Equipe, ha portato sulla pista del neo impianto una specialità difficile come le corse ad ostacoli, facendo incrociare tra loro le migliori scarpette chiodate italiane della specialità. Per la sua completa consacrazione anche a livello ufficiale però manca una dettaglio: i cartelli stradali che indichino la direzione per raggiungerlo


Primo meeting indoor in città

L’azzurra Caravelli regala alla sua Pordenone un record La prima edizione del meeting indoor di atletica leggera “Città di Pordenone”, che si è disputato l’ultimo sabato di gennaio nel nuovo impianto del campo d'atletica “Mario Agosti”, ha rappresentato una

novità assoluta nel panorama sportivo pordenonese e ha avuto come testimonial d’eccezione Pietro Mennea. L’evento ha proposto note interessanti e risultati lusinghieri per gli atleti chiamati a ga-

reggiare nel nuovo impianto cittadino, sui 60 metri ostacoli. A cominciare proprio dall’azzurra pordenonese Marzia Caravelli, portacolori del Cus Cagliari e ostacolista di vertice in ambito nazionale. La Caravelli ha onorato la prova in città con il suo nuovo primato personale, andando a vincere in 8”06, abbassando così il suo precedente record di 3 centesimi. Un risultato che è stato un successo, perché oltre ad essere stato il suo terzo “personale stagionale”, era anche la terza prestazione mondiale assoluta del 2012, nonché la conferma del tempo di qualificazione per i mondiali indoor di Istanbul. Bello rivederla così determinata nella sua azione, con tali riscontri cronometrici già ad inizio di stagione. Sul versante maschile invece, è stato l’altro azzurro Emanuele Abate, atleta delle Fiamme Oro, ad impressionare per la determinazione. Nonostante fosse al debutto stagionale, Abate ha vinto la concorrenza staccando subito alla prima uscita un 7”76 che promette molto bene per la stagione entrante, in quanto distante di soli due centesimi dal biglietto per Istanbul, appunta-

mento cruciale della stagione indoor. Anche tra le categorie giovanili non sono mancate le buone prestazioni. Da segnalare tra i cadetti l’ottimo 8”47 di Bekiri, della Triveneto Ts. Dunque gli sforzi organizzativi hanno trovato giustizia nelle prestazioni degli atleti, i tempi confortano l’impianto e indicano che quella del “Mario Agosti” è una pista veloce, buona per chi è in cerca di soddisfazioni o di conferme. Auguriamoci che si sparga la voce, così oltre alla fruizione dell’impianto da parte dei nostri ragazzi, potremo avere in città ancora atleti di vertice e assistere a gare di questo livello. (g.f.)

penna, finché Mennea ha messo a disposizione la sua, assicurandosi però che alla fine tornasse nel suo taschino, e ha scritto la sua mail. Poi è toccato al signore scriverla, che ha voluto aggiungere anche l’indirizzo. Leggevo lettera per lettera mentre lo scriveva. «E-n-z-o D-e-l F-o-r.. Enzo Del Forno? Lei è Enzo Del Forno??». L’uomo non è riuscito a rispondere senza un sorriso. «Si, sono io». «Ecco perché! - mi sono illuminato - ora si spiega perché vi conoscete». Quel signore era il sette volte primatista italiano di salto in alto e nostro azzurro di punta negli anni Settanta, con un limite personale di 2”22 allora inattaccabile primato italiano: uno degli ultimi alfieri dell’arte dello scavalcamento ventrale

dell’asticella, ora abbandonato per il più noto Fosbury. Lo seguivo da ragazzo e scoprirlo di colpo davanti a me è stata una bellissima sorpresa. Un piacere spedire loro le foto ed essermi fatto da tramite per un ricordo che a loro detta terranno tra le cose care. Non solo belle sorprese però quel giorno. Al saluto con Mennea infatti, c’è stato un clamoroso colpo di scena. Nella foto si svela tutto: vedete quanto alto è lui? Ma non è così. Si è messo in posa salendo su un gradino. Proprio allo scatto stavo dicendo al fotografo che Mennea stava barando. «Ma ti rendi conto? - gli dicevo - Il grande Pietro Mennea esempio di correttezza lealtà e tutto il resto.. che bara? Ma è il crollo di un mito!”. (g.f.)

Tra i presenti anche Mennea e Del Forno Per caso dietro le quinte mi son sento chiedere: «Ci fai una foto?» L'arrivo a Pordenone di Pietro Mennea in occasione del Meeting è stata per me una buona occasione per incontrarlo di persona. Avevamo dei precedenti in comune, non sportivi ben inteso ma di lavoro. Si trattava di un’intervista telefonica che gli feci la scorsa estate e che fu poi pubblicata nel numero di settembre di Libertà di Parola. In quell’occasione visto il mezzo di comunicazione che fui costretto, per ragioni di distanza, ad utilizzare, non si era potuti andare oltre ad una conversazione via cavo, senza quindi nemmeno la canonica stretta di mano. L’occasione per rimediare alla lacuna però è arrivata a gennaio con la sua visita in città. All’incontro come biglietto da visita ho

portato una copia cartacea dell’Ldp dove si parlava di lui. Copia che ha messo da parte assieme ad altri suoi effetti. Durante le gare Mennea era continuamente coinvolto in premiazioni, incontri e pubbliche relazioni. Un lavoro vero e proprio quello del testimonial con pochi momenti di pausa. Ed è stato proprio durate uno di questi suoi break che nel mio girovagare con la macchina fotografica in cerca di scatti, l’ho incontrato assieme ad un altro signore, brizzolato faccia pulita in ottima forma, che vedendomi mi ha chiesto: «Ci fai una foto?». « Certo, stringetevi un po’», ho risposto io. Qualche scatto e poi l’inevitabile domanda: «Ma a chi le mando?». Entrambi si sono messi alla ricerca di carta e


L’arte di fare l’orto, la passione del mangiare sano

gli uomini è un organismo vivente con i suoi alti e bassi. Molti usano il telo nero per evitare di togliere erbacce, va bene? È consentito anche nel biologico, ma ci sono altri sistemi di pacciamatura, per esempio con la paglia, che è più naturale, protegge meglio il terreno ed è bella esteticamente. A proposito, in mezzo alle cuiere si possono piantare anche dei fiori, come le tagete, che attirano alcuni insetti e respingono quelli nocivi.

Valerio Salvador, imprenditore agricolo, ci svela i segreti del mestiere di Elisa Cozzarini Dalla preparazione del terreno all’uso sapiente dell’acqua: fare l’orto è un’arte che si impara solo sperimentando e scoprendo che non c’è mai un’unica soluzione. Ne abbiamo parlato con Valerio Salvador, imprenditore agricolo che da trent’anni pratica il biologico. Valerio, ci dai qualche consiglio per partire con il piede giusto? Per prima cosa bisogna decidere come posizionare le cuiere, termine intraducibile in italiano: sono le parcelle di terra da coltivare. È importante che le piante ricevano luce da mattina a sera, vanno posizionate in direzione nord-sud, facendo attenzione che vicino non ci siano alberi o muretti a fare ombra, anche per poche ore al giorno. Ricordo che le piante da frutto, come i pomodori o i peperoni, hanno bisogno sempre di luce. Fatte le cuiere si inizia a seminare, giusto? Eh no, prima la terra va lavorata. Qui dobbiamo sfatare un mito: si pensa di doverla rivoltare in profondità, invece la parte superiore del terreno, quella esposta all’aria e alla luce, è la più fertile, e non va buttata sotto. Altrimenti è come se servissi una torta alla panna montata con la panna nel fondo. Una forca a quattro denti va benissimo per smuovere la terra in superficie, sminuzzarla e farle pren-

dere aria. A questo punto si passa alla concimazione, che nella coltivazione ecocompatibile usa letame ben maturo o altri compost non chimici. Un consiglio a chi fa l’orto è di fare anche il compost, per fertilizzare il terreno in modo naturale. E importante è non coltivate la terra quando è bagnata. Finalmente è l’ora della semina… Sì, facendo attenzione a come distribuiamo i semini: non bisogna ammucchiarli, perché hanno bisogno di spazio vitale per diventare piantine. Per distribuire in modo uniforme quelli più fini, come i semi dell’insalata, consiglio di mescolarli con un po’ di sabbia. Quelli della zucchina, invece, sono più grandi e vanno messi in buchetti uno o due alla volta, tenendo presente che, se nascono due piante molto vicine, una va tolta, altrimenti non ci sarà spazio quando cresceranno. Dopo aver seminato, si bagna, usando uno spruzzo delicato,

che non smuova il terreno e non sposti i semi. A questo punto aspettiamo che nascano le piantine… Adesso è necessario bagnare, quando serve, possibilmente al mattino o nelle ore fresche della giornata. L’acqua è veicolo di vita, ma anche di morte, se in eccesso. Se dosata nel modo giusto, invece, ci saranno meno rischi di malattie, ma queste sono cose che si imparano solo facendole, allenando l’occhio a vedere come sta la pianta, che come

Altri consigli? Attenzione alle consociazioni: il pomodoro non sta bene vicino al cetriolo, mentre con il cavolo cappuccio va d’accordo. E di anno in anno va praticata la rotazione, quindi dove c’era una pianta da frutto si possono mettere o piante da foglia, o radici (come le carote), un bulbo (la cipolla per esempio) o piante da fiore, come il cavolfiore. Semplificando, sono queste le grandi famiglie delle piante dell’orto. Chi volesse approfondire e sperimentare, il lunedì pomeriggio alla Casa San Giuseppe di Vallenoncello, Valerio collabora al progetto dell’orto sociale biologico “Le cuiere di San Giuseppe”, un’iniziativa della cooperativa Abitamondo e Caritas. www.lecuieredisangiuseppe. blogspot.com

Chilometro ZERO Chi ha un orto in città è custode di un tesoro, un pezzo di terra salvato dalla cementificazione. Oggi lo mette a frutto per sé, un giorno servirà alle generazioni future, perché di cemento non si vive. Così, mentre attorno alle città spuntano come funghi centri commerciali, capannoni e palazzine, si diffondono anche le esperienze di chi resiste e fa orti urbani e sociali, a Pordenone come nel resto d’Italia ed Europa.Gli orti sono oasi di sviluppo lento, in cui il tempo è ancora segnato dal passaggio delle stagioni e non porta in tavola, per esempio, le fragole a Natale o il vino del Cile. Il consumo di frutta e verdura di stagione, a chilometro zero, fa bene all’ambiente perché fa risparmia-

re tonnellate di emissioni di Co2, responsabili del cambiamento climatico, che servirebbero per il trasporto dei prodotti.E per chi non ha un pezzo di terra, ci sono altre soluzioni, come i gruppi di acquisto solidale o i farmer’s market di Campagna Amica di Coldiretti, associazione di agricoltori che più delle altre è impegnata nella promozione della filiera agricola italiana, come garanzia di qualità e sicurezza alimentare. Sul sito www.friuliveneziagiulia. coldiretti.it è disponibile il calendario dei mercati contadini. A Pordenone ha aperto in dicembre anche la “Bottega di Campagna Amica”, in via della Motta, la prima in provincia e seconda in regione dopo Grado.assessore regionale allo. (e.c.)


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009

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Pino Roveredo Penna in mano, foglio davanti agli occhi, cuore e cervello per riempire gli spazi, colorarli. Toscano, non di origine ma fedele compagno tra le labbra, a profumare parole da sentire o leggere.

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Gino Dain Probabilmente l’unica persona al mondo capace di arrivare così vicino alla morte da poterla guardare in faccia per dirle: “..ci vediamo un’altra volta!” Non basterebbe un libro per raccontare tutte le cose che ha combinato e che sta facendo, ma per noi resta Ginetto, finissimo rappresentante di una generazione di fenomeni

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Guerrino Faggiani Se è vero che della nascita non ci si ricorda nulla, chiedetelo a lui, vi saprà raccontare ogni secondo, è rinato nel 2007! Da cinque anni con la Panka cavalca la vita, non tanto per saltare gli ostacoli, ma proprio per abbatterli

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Manuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili

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Fabio Passador Attualmente panchinaro di lusso! Come ogni giocatore di calcio dal baricentro basso, non gli si può chiedere di aspettare i cross in area per colpire di testa, ma offre dinamismo, scatto breve e bruciante, dribbling secco e magnifici assist

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Elisa Cozzarini Bici gialla per passare inosservata, capello corto per non rischiare mai di non osservare. Fedelissima firma di LDP, presenza eterea in una fossa di leoni.

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Stefano Venuto Mimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 19.00!

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Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”

Andrea Picco Sceglie di vivere anche lavorativamente la sua Gorizia perché, a pochi metri di distanza, la benzina costa molto meno! Se la storia è partenza e slancio verso il futuro, lui la rappresenta per questo luogo, indelebilmente

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Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia

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Franco De Marchi Frate mancato, tra i fondatori degli RdP, poeta cambusiere per sua stessa ammissione si è lavato qualche volta il viso con gli occhiali da sole su. Oltre agli occhiali c'è una cosa da cui è inseparabile: la... polemica

Direttore Editoriale Pino Roveredo Capo Redattore Guerrino Faggiani Redazione Andrea Picco, Franca Merlo, Ada Moznich, Frabco De Marchi, Pia Covre, Ferdinando Parigi, Manuele Celotto, Fabio Passador, Luca Gaspardis, Stefano Venuto, Elisa Cozzarini Editore Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Viale Grigoletti 11, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto Impaginazione Ada Moznich Stampa Grafoteca Group S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione Foto a pagina 2, 4, 5, 6, 7, 9 e 12 da sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Main_Page Foto a pagina 8 e 14 di Fabio Passador Foto a pagina 15 di Simone Di Luca Chi vuole scrivere, segnalare, chiedere o semplicemente conoscerci, contatti la redazione di LDP: info@iragazzidellapanchina.it Questo giornale é stato reso possibile grazie al contributo della Fondazazione CRUP attraverso il Comune di Pordenone Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Viale Grigoletti 11, 33170 Pordenone Tel. 0434 363217 email: info@iragazzidellapanchina.it www.iragazzidellapanchina.it

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Franca Merlo Presidentessa onoraria dell’Associazione affronta la vita come una eterna sperimentazione. Oggi è a Londra, più avanti.. si vedrà. Non manca mai di commentare il blog, non manca mai di sentirsi Panchinara, ovunque sia.

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Luca Gaspardis E’ il più piccolo della compagnia ma non certo per l’altezza! Quando ci ha incontrati per la prima volta sembrava impaurito anche della sua ombra, adesso è diventato un fiume in piena! Siamo sicuri che abbia molte cose da dare, anche se per ora non ricorda dove le ha messe!

Direttore Responsabile Milena Bidinost

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Ferdinando Parigi Voce tonante, eleganza innata, modi da gentiluomo che si trovano raramente, la nostra nuova penna si fa sempre notare, tanto che le sue mail sembrano lettere direttamente uscite da un romanzo dell’800

Per le donazioni: Codice IBAN: IT 69 R 08356 12500 000000019539 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede dei Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 14:00 alle 19:00


Umido Plastica Vetro Lattine I ragazzi della panchina campagna per la sensibilizzazione e integrazione sociale DEI RAGAZZI DELLA PANCHINA CON IL PATROCINIO del comune di pordenone


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