APPROFONDIMENTO
HIV story
Libertá di Parola 2/2020 ——
N°
Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)
Da mesi l’attenzione mediatica è tutta concentrata sull’emergenza sanitaria da Covid-19, tanto da rischiare di far perdere di vista altre malattie, che devono continuare ad essere il più possibile evitate. Ne sono un esempio le malattie sessualmente trasmissibili, tra cui la "regina" per pericolosità e trasmissibilità è rappresentata dal virus HIV. Vi raccontiamo com’è cambiato, come si cura e come si convive con lui. a pagina 7
CODICE A S-BARRE
Storia di Valentino, una sigaretta per un taglio in meno a pagina 6
INVIATI NEL MONDO
Il mio Natale “alternativo” con i bambini di Betlemme a pagina 11
PANKA LIBRI
Due chiacchiere con Fabio Franzin, il poeta del popolo a pagina 12
PANKA AMBIENTE
L’estate in città all’epoca del Covid Cultura e divertimento senza assembramenti di Milena Bidinost «Un’Estate a Pordenone che rispetta le regole e la prudenza, in linea con i consigli e le norme anti assembramenti. Allo stesso tempo garantiamo comunque spazi di socializzazione, tempo libero e appagamento culturale. L'organizzazione di questa offerta di qualità è lo specchio di una città che vuole vivere e continuare a crescere». Così parlava il sindaco Alessandro Ciria-
ni ad inizio del mese di luglio, annunciando il programma dell’Estate a Pordenone, la carrellata di eventi ed iniziative promosse dal Comune in collaborazione con il territorio, che ha di fatto inaugurato l’estate Covid free in città: due mesi di appuntamenti in cui si è fatto di necessità virtù, pur di non rinunciare a "vivere" come sempre cultura e divertimenti. Location centrale è sta-
ta piazza XX Settembre, trasformata in una sorta di "piazza arena", con tutt’intorno location satelliti altrettanto "curate" sotto l’aspetto della sicurezza che la normativa richiede. A settembre nemmeno Pordenonelegge si è tirata indietro, reinventandosi un’edizione "responsabile", salvando la qualità della manifestazione e non tradendo l’affetto del suo pubblico. Quindi l'iniziativa unica nel nord est che ha rispolverato un evergreen, il cinema all’aperto, versione Drive in Pordenone, con proiezioni che proseguiranno fino alla fine di ottobre. Va in archivio, in altre parole, un’estate in convivenza con l’emergenza sanitaria come mai l’avremmo voluta vivere, ma che ha restituito ai pordenonesi momenti di socializzazione, tra cultura e divertimento, dopo i duri mesi del lockdown.
Difendiamo il Tagliamento, il Re dei fiumi alpini a pagina 13
NON SOLO SPORT
Jacopo, 17 anni ed una passione che va oltre la malattia: l'Hockey in carrozzina a pagina 14
IL TEMA
La Festa in Piassa che non c’è stata È il tradizionale appuntamento pordenonese di fine estate, tra i grandi assenti del 2020 a causa dell’emergenza Covid-19. «A me il suo ricordo, solo per quest'anno, basta: lo celebro e lo rievoco con voi» di R75 Sapete cosa mi mancherà di questa estate in emergenza Covid-19? L’incontro di paese, di quartiere, che nel mio caso si chiama "Festa in Piassa". Tornando indietro negli anni, perché altro non si può fare, mi riaffiorano ricordi che hanno lasciato un segno indelebile perché appartenenti a quella tradizione del mio quartiere alla quale non ci si poteva sottrarre. Ogni anno, l’inizio della festa è anticipato dalle voci che abitualmente circolano sulle date, sulla du-
rata o sugli intrattenimenti e le competizioni sportive. Una cosa è certa ed è rimasta immutata per la nostra sagra: decreta la fine dell’estate e delle ferie, l’inizio del conto alla rovescia per il rientro a scuola ed è sempre accompagnata da uno o due giorni di pioggia tanto da farne un detto locale: "Se non piove, non è più la Festa in Piassa". Parte integrante sono anche le lamentele di chi ne farebbe volentieri a meno, per la
musica fino a tarda sera e per le macchine che occupano tutti i parcheggi quasi ad arrivare fino dentro casa, e gli irriducibili, ovvero coloro che non si "arrendono" alla chiusura dei chioschi e nel loro rientro a casa si fanno sentire da tutto il quartiere. Da giovane per me il bello della festa era la possibilità di ritrovare gli amici dopo il periodo di ferie e raccontarsi le vacanze, rivedere persone che non abitavano più nel quar-
Pordenonelegge che ha vinto la paura Un successo la 21^ edizione del festival: meno eventi in presenza, più collegamenti web ed il coinvolgimento di altri sette comuni di Milena Bidinost Un festival diffuso, con meno luoghi in città, ma più territorio; con meno autori e meno incontri, ma ancora più collegato al resto del mondo attraverso i social e per la prima volta anche attraverso una web tv dedicata. Soprattutto una manifestazione coraggiosa che non ha voluto rinunciare alla sua natura di festa del libro con e tra gli autori, grazie ai suoi eventi in presenza, e che ha vinto la sfida del Covid e delle "regole" di sicurezza per prevenirlo, anche grazie ad un pubblico responsabile che ha animato il centro cittadino per cinque giorni. Sono stati questi gli ingredienti della
21^ªedizione di Pordenonelegge, svoltasi da mercoledì 16 a domenica 20 settembre. La Fondazione Pordenonelegge, organizzatrice della manifestazione, con il suo presidente Michelangelo Agrusti, il suo direttore Michela Zin, e i tre curatori del festival,Gian Mario Villalta (direttore artistico), Alberto Garlini e Valentina Gasparet, sono riusciti nella sfida, che quest’anno è stata davvero complessa. L’ipotesi iniziale era quella di proporre un festival solamente da remoto, poi la scelta di stare come ogni anno sul territorio, tra le persone, portando il profumo del libro e il piacere del
contatto "responsabile" per l’appunto tra chi lo scrive e chi lo legge. Ben 141 gli eventi in presenza, in questa maratona della cultura di respiro internazionale, oltre 250 i protagonisti al festival con 30 anteprime editoriali; 70 gli eventi ripresi per il palinsesto della
tiere perché magari si erano trasferite all’estero, incontrare ragazzi di altre compagnie e l’interazione di generazioni diverse. Punto focale della festa era l’ingresso, ovvero la "passerella" che si faceva percorrendo il vialetto che dal cancello portava ai chioschi lungo il quale si iniziava a salutare tutti, con il rischio, dopo l’ennesimo "ciao", di salutare anche coloro che non si conosceva. Comunque siano andate quelle estati rimane sempre vivo il ricordo delle ore trascorse che volavano spensieratamente, chiacchierando e ridendo con perso-
PNlegge TV, una ventina le location di un festival "diffuso" fra il centro storico cittadino e i sette Comuni coinvolti nella provincia di Pordenone (Azzano Decimo, Casarsa, Cordenons, Maniago, Sacile, S. Vito al Tagliamento, Spilimbergo). La prima scommessa vinta è stata quella della PNlegge web TV, il canale di comunicazione che ha garantito la fruizione del festival anche da remoto a tutti, con una media di sei eventi proposti ogni giorno in diretta streaming, e con oltre quaranta incontri da proporre nelle settimane successive al festival in differita, insieme a interviste, approfondimenti e altri contenuti "extra", prolungando
ne di diverse generazioni ed estrazione sociali. Il tempo trascorreva così velocemente che eravamo sempre gli ultimi ad uscire. A tutti piaceva rimanere in quella bolla di benessere e quasi sempre era difficile lasciarci. I saluti si prolungavano all’infinito e spesso continuavano anche a distanza. La situazione che si creava era paradossale: si trascorreva del tempo con persone sconosciute che il giorno dopo, spesso, non riconoscevi anche per l’effetto
dell’alcol; ma tutti eravamo attratti da questo benessere e da questa magia che caratterizza le sagre paesane. Manifestazioni di questo carattere aiutano ad evadere dal quotidiano senza richiedere sforzi particolari. Il 2020 è stato senza Festa in Piassa ma a me il suo ricordo, solo per quest'anno, basta. Con piacere celebro e rievoco con voi quelle belle sensazioni anche alla faccia dei suoi detrattori! in questo modo il rapporto della Festa del libro ed il suo pubblico. Il primo bilancio di Pordenonelegge 2020 poggia proprio sul grande impegno profuso nella PNlegge TV, in sinergia con Videe riprese televisive, e su numeri importanti. I primi dati comunicati riguardano le prime tre giornate del festival con 481mila visualizzazioni per la pagina facebook di Pordenonelegge (sette volte di più dell’edizione dello scorso anno) e con ben 251 mila visualizzazione degli eventi della PNlegge web TV (contando la messa online del palinsesto TV su youtube, facebook e sul sito del festival). Il gesto scaramantico scelto come immagine simbolo dell’edizione 2020 – una guanto giallo che fa le corna – ha portato bene, dimostrando che la cultura è un "vaccino contro la paura", capace di trovare strade sempre nuove, glissando gli ostacoli, per arrivare comunque e sempre alla mente e nell’animo di chi la cultura la fa e soprattutto di chi la cerca.
Cultura e divertimento in sicurezza, la città non ha rinunciato agli eventi estivi Cuore pulsante è stata l’"arena covid free" di piazza XX Settembre. Tra gli altri, anche l’area del castello di Torre, il cinema a piazzetta Calderani, i musei e tanti altri angoli cittadini di Laura Venerus Che strana estate! Ma, per fortuna, anche quest’anno ci sono stati gli eventi promossi dal Comune di Pordenone per poter vivere la città durante i mesi estivi. Una "concessione" non scontata, considerate le restrizioni imposte dal Coronavirus. Infatti, non è stato un percorso semplice, soprattutto per le regole stringenti che hanno imposto controlli, prenotazioni e verifiche per ogni evento promosso e organizzato. Tanto che, l’iniziale progetto di trasformare piazza XX Settembre in una "piazza ristorante" s’è dovuto mettere in un cassetto per le notevoli regole che le normative impongono. Ma non ci si è lasciati scoraggiare e il progetto è stato prontamente trasformato in una "piazza arena": dai primi di luglio fino a settembre c’è stato un susseguirsi di appuntamenti che hanno permesso comunque di vivere l’estate pordenonese. Tanta musica, grandi concerti e incontri d’attualità, spettacoli per i piccoli e le famiglie. Il cuore pulsante è l’arena "covid free" di piazza XX Settembre (inaugurata sabato 18 luglio con la notte musicale rosa), pensata per godersi gli spettacoli in piena sicurezza. Tutti gli eventi in piazza, gratuiti, hanno previsto la prenotazione obbligatoria a cura di Sviluppo e territorio, partner principale del Comune. Incontri e spettacoli si sono svolti sul "palco" della Casa del Mutilato. La piazza è stata allestita con 400 sedie per oltre 200 posti a sedere, distanziati. A disposizione in un’area dedicata la casettabar aperta durante gli eventi. Ma non c’è stata soltanto piazza XX Settembre. Un posticino speciale è stato riservato all’arena realizzata ai piedi del castello di Torre dove, nel giardino, si sono susseguiti tanti eventi speciali: i Papu per tutto luglio, il concerto all’alba a Ferragosto con
Fadiesis (appuntamento alle 6.09 e posti esauriti) e il teatro amatoriale di Fita. Piazzetta Calderari è stata la casa del cinema con Cinemazero e le proiezioni sotto le stelle, con chicca il 26 agosto con la proiezione del documentario "Sulle strade del Rinascimento con il Pordenone", docufilm inedito sul più grande pittore friulano del Rinascimento, Giovanni Antonio de' Sacchis, regia di Piergiorgio Grizzo, in collaborazione con Associazione Lucescrittura, Comune di Pordenone e Cinemazero. In questa strana estate sono stati anche altri i punti nevralgici dove s’è potuto organizzare eventi covid-free: l’ex convento di San Francesco per un paio di domeniche è stato cornice dei concerti-aperitivo organizzati dall’assessorato alla cultura di Pordenone con il conservatorio Tomadini di Udine, nelle biblioteche di quartiere letture animate ispirate all’Africa, a cura dell’associazione culturale Thesis e Ortoteatro, è inoltre stato organizzato il festival Polinote Musica in città!.
E ancora, sempre Ortoteatro ha portato in scena la fantasia e la fiaba con spettacoli, burattini, attori e racconti per famiglie e bambini in piazza e nei quartieri. Tra gli altri eventi, le mostre al Paff, a palazzo Ricchieri e al museo di storia naturale, l’Open jazz e la residenza estiva della Gustav Mahler Jungerorchester con concerti al teatro Verdi, le storiche rassegne Music in village e Pordenone blues festival. Assolutamente Covidfree è l’iniziativa di Drive in Pordenone, unico nel nordest, nata dall'organizzazione dell'Italian Baja, con il vulcanico Mauro Tavella e Andrea Vignola, con il supporto dell’Interporto e il patrocinio del Comune: la programmazione prosegue fino a fine ottobre (info su www.driveinpordenone.it).
RUBRICHE
Dal buio alla luce, i miei giorni in terapia intensiva
d’urgenza, ovvero il mio polmone sinistro era collassato a causa di un’infezione. Terapia intensiva. 28 aprile ora imprecisata. Luce. Due braccia mi stanno trattenendo come se istintivamente al mio risveglio me ne volessi andare; sopra di me un controsoffitto a cassettoni. L’infermiere allerta i colleghi con un chiaro: si è risvegliato! Ancora una volta sono bloccato, ma questa volta da tutte le canule che ho addosso. L’infermiere mi asciuga le lacrime che questa volta scendono copiose. È
tutta una sorpresa! Dove sono, chi sono loro, perché sono vestiti come dei cyborg; mi attraversano la testa le immagini delle terapie intensive ai telegiornali. Okay. Ora ricordo. L’infermiere mi chiama per nome e mi spiega cos’è successo. Con la mano destra cerco di dire che non ho capito bene. Tutto questo non lo definirei un miracolo ma non la chiamerei solo fortuna perché sarebbe limitativo. La giusta collocazione sta nel mezzo ed è per me difficile da spiegare. L’intensità emotiva che ho provato è stata una scoperta inaspettata, dolorosa ma indelebile. Buio. Luce. Buio. Luce. Buio. Luce. I giorni si sono susseguiti in un silenzio irreale accompagnato solamente dal rumore del dolore che mi opprimeva come un masso sul petto. Non riuscivo a pensare ad altro. Ancora oggi mi chiedo perché io non abbia proferito parola per i tre giorni successivi a tal punto che un’infermiera mi credeva sordomuto. La mia testa mi diceva di uscire da quell’incubo facendomi una pera. E invece no. Ho deciso di no. Luce. Comunque prosegua, di una cosa sono sicuro: grazie a questa esperienza traumatica la decisione giusta è stata presa. Dopo quattro mesi posso ancora raccontarla ed è già un bene.
una succulenta grigliata con la maestria dei cuochi Claudio e Giuseppe, fini armeggiatori di forchettoni e coltelli. Non contenti di fare soltanto la griglia, le signore hanno apparecchiato tavoli con antipasti di polenta e formaggi accompagnati da salami nostrani, nell’attesa della grigliata abbiamo riempito il momento di pausa prelibando i nostri palati con una deliziosa insalata di riso. Non dimentichiamo che la giornata è stata allietata dal simpatico intrattenitore ed amico Mario che con le sue gag e musiche ci ha fatto divertire. Il pranzo
è stato completato con meravigliose torte che hanno fatto la loro apparizione sui tavoli a fine convito, il tutto accompagnato da bevande analcoliche. La bellezza di questo incontro è stata di essere felici condividendo momenti di gioia, di aggregazione e di amicizia. Siamo stati tutti sereni e grati all’amico Moreno per averci ospitati nel suo grazioso rifugio, ubicato in un luogo meraviglioso delle nostre terre. Questo momento di enormi emozioni e di fratellanza, è stato un ulteriore conferma che tutto si può festeggiare in salute e sobrietà.
«Mi sono sentito male a casa, ho chiamato il 118, poi non ricordo più niente. Vi racconto il mio incubo» di R75 27 aprile 2020 ore 22.32. Sono sotto due piumoni: freddo, sudore fanno compagnia al vibrare del mio corpo. Adesso passa, adesso passa. Credetemi, di situazioni strane, border line tra vita e morte ne ho passate, ma questa no, non passa! Okay, chiamo il 118. In tutta la mia vita una sensazione così non l’ho mai provata. Riesco a dire soltanto: sto male, sto malissimo venite per favore. Buio. Il tragitto trascorre in una totale incoscienza. L’asfalto pordenonese sembra una tavola da bigliardo e solo al pronto soccorso uno scossone alla sedia a rotelle mi risveglia. Bla Bla. Non capisco nulla di quello che mi dicono. In un momento di lucidità estemporanea capisco che le mie condizioni sono realmente gravi. Non riesco a reagire. Sono bloccato. Il
desiderio di piangere è forte ma niente, nessuna lacrima. La penna bic per firmare il consenso alle cure d’urgenza non sta nelle mie debolissime dita. Le ultime parole che sento, dalla voce ferma della dottoressa, sono: velociveloci, non si può più aspettare. Buio. Vengo operato per una apicectomia polmonare sinistra torascopica in regime
Famiglie in festa al lago di Redona Un pranzo tra gli amici della comunità terapeutica del SerD di Maniago per condividere la gioia in una giornata di sole di Olimpio Biasoni, Servitore Insegnante Club 198 Maniago Mai dire mai, nella vita ogni giorno è una sorpresa, ogni giorno è una rinascita. Chi avrebbe mai immaginato di riuscire ad accogliere una meravigliosa compagnia in un sabato di giugno per trascorrere insieme in spensieratezza un momento di stupenda aggregazione. Sabato 22 giugno, sul cucuzzolo di Pecol con vista lago di Redona, in un anfiteatro naturale formato da spigolosi crinali circostanti, si sono dati appuntamento le famiglie della comunità tera-
peutica del SerD di Maniago, assieme alle dottoresse Maria Grazia Borghese e Jenny Collavino per trascorrere una giornata in allegria. Il giorno albeggiava con un forte temporale, preannunciando una non bella giornata. Fortunatamente, con il trascorrere delle ore, si è trasformata in una splendida e calda giornata di sole. I componenti delle famiglie che frequentano il dispensario Alcologico del SerD di Maniago hanno ben pensato di organizzare
I giovani e il Covid-19: «Il lockdown ci ha fatto riflettere» Molti si sono riconciliati con la famiglia, altri hanno acuito il bisogno di indipendenza: in tutti c’è stata la voglia di riprendersi la libertà di M.P. La ripartenza post quarantena per me è stata gratificante. Intanto mi ritengo molto fortunato per quanto riguarda l’ambito lavorativo, perché appena hanno dato il via libera al settore della ristorazione, ho ricominciato a lavorare fin da subito nel bar in cui lavoravo prima dell’emergenza sanitaria. Purtroppo, mio malgrado, non tutti hanno avuto questo privilegio, alcuni sono rimasti senza lavoro, soprattutto parecchie persone che lavorano nel mio stesso settore, a causa del distanziamento interpersonale che ha limitato il numero dei posti in quasi tutti i locali e di conseguenza ha portato molti titolari a ridurre il numero del personale necessario. Sono una persona che ha il costante bisogno di stare all’aria aperta, e quindi io come anche altri miei amici durante la quarantena
ci sentivamo un po' "soffocare". Quindi per quanto mi riguarda ho cercato di trovare diversi modi per passare il tempo e tenermi mentalmente e fisicamente impegnato, ad esempio praticavo attività fisica a casa, leggevo e cercavo di acculturarmi il più possibile, soprattutto ascoltavo tantissima musica, perché era una delle poche cose che riusciva "a far volare" la mia mente tramite l'immaginazione e a trasportarla in un altro posto quando fisicamente non potevamo muover-
Come inventarsi un lavoro Esercizio creativo e provocatorio di Anonimo Naoniano AAA dirigente aziendale cercasi. Quante volte ti è capitato di leggere questo annuncio? Ed ogni volta pensi di avere tutti i requisiti necessari, gli studi e la laurea sono ottimi ma.... ti manca l'esperienza. E se non sei il candidato ideale, quali sono le alternative? Accettare lavori sottopagati e/o de-mansionati che molto probabilmente sono pure precari, oppure fare più di un anno di stage senza retribuzione? Nella migliore delle ipotesi, per qualche spicciolo purtroppo questa è la cruda realtà. Qualcuno ha adottato una soluzione bizzarra ed originale, ma che può rivelarsi in perfetta sintonia con le tue aspettative future. Aprire una rete di spaccio. Sì! In questo caso dovresti allargare senz'altro il
tuo modo di vedere le cose. All'inizio avrai qualche difficoltà con i contatti, ma questo è il primo passo da fare per avviare l'attività. Una volta creati i contatti puoi davvero iniziare. Intanto devi pensare l'attività come ad una catena di gestione modello Burger King, Lidl ecc. Il tutto va considerato come un'esperienza temporanea; il tuo obbiettivo non è entrare nel consiglio di amministrazione, devi pensarti come un responsabile di zona. Qual è il primo obbiettivo? Fidelizzare i clienti e fare in modo che i tuoi punti vendita (i pusher) abbiano sempre un prodotto di alta qualità; questo ti permette sia di poter imporre dei prezzi un po' più alti sia di avere una clientela selezionata e riser-
ci di casa. A tanti miei coetanei quel periodo è servito a riconciliarsi con la propria famiglia, a riscoprire effettivamente il vero valore della parola "famiglia" che da più di qualcuno era stato trascurato per motivi quali la mancanza di tempo e la distanza, mentre ad altri è servito a capire
vata. La riservatezza infatti è molto importante in questo genere di attività. Devi inoltre instaurare un rapporto di fiducia con i responsabili del punto vendita e garantire loro entrate dignitose, se vuoi che si impegnino e che l'attività abbia successo. Una volta create le basi, bisogna entrare nei dettagli: per avere un prodotto di qualità ti servono anche degli assaggiatori, qualcuno che possa garantire la qualità del prodotto. Dev'essere qualche vecchio mestierante che sa fare la sua parte e tenere la bocca chiusa, fondamentale per non avere troppa pubblicità e fastidi futuri. Di sicuro ti verrà da pensare: “Ma con tutti questi casini perché anche gli assaggiatori? Non potrei farlo direttamente io? Taglierei anche le spese”. È vivamente sconsigliato! Innanzitutto perché si creerebbe un conflitto di interessi e poi, non riusciresti più a gestire l'intera faccenda con il necessario distacco. Devi mettere in conto sia i danni alle tue casse sia i problemi fisici che ne deri-
che con i propri genitori non riescono più a viverci insieme e quindi a motivarli nel cercare una propria indipendenza. Sorprendentemente, nonostante la paura nei confronti del Covid-19 derivata dal non sapere bene cosa ci aspetta, ho potuto notare che nelle persone, specialmente tra i giovani, è prevalsa la voglia di uscire e di rivedere gli amici, la voglia di riprendersi una libertà che è venuta a mancare durante il periodo del lockdown. Noi esseri umani ci costituiamo in relazione agli altri, ma oggi questa relazione è venuta a mancare, basti pensare a come la comunicazione tra le persone sia sempre più limitata a causa di uno schermo, per non parlare della possibilità di sperimentare la relazione senza il tatto, l’olfatto e quindi senza la possibilità di abbracciare, baciare, stare a fianco, scambiarsi sguardi, oggetti, gesti. Questi aspetti, sommati alla situazione generale, rischiano per un verso di incidere pesantemente sui processi di crescita dei giovani e per l’altro di aumentare le disuguaglianze sociali. Penso che per salvare il futuro dei giovani sia fondamentale capire quali esigenze ci aspettano in futuro, perché le cose stanno cambiando velocemente e non possiamo permetterci il lusso di rimanere indietro. verebbero. Il rapporto costibenefici verrebbe alterato. Chiarito questo punto, il lavoro ha margini di utile buoni ma, mi raccomando, mantieni un basso profilo e non farti prendere dalla smania del guadagno. Un basso profilo è basilare per non avere intoppi e rischiare la chiusura dell'attività. Bene! adesso disponi di tutte le informazioni necessarie e puoi iniziare. Buona fortuna! Un ultimo consiglio: non affezionarti troppo a questo lavoro, ricorda che è un'esperienza temporanea mai potrà essere un'attività di lunga durata. E se le cose dovessero andare davvero male? Ti sei comunque arricchito con un'esperienza. Non prendermi sul serio, la mia è solo una provocazione e non di certo una istigazione allo spaccio! Il nodo centrale resta il lavoro e le sue problematiche. I working poors aumentano e il lavoro è sempre più sottopagato e precarizzato. Se non cambiamo queste dinamiche non riusciremo ad avere un futuro dignitoso per tutti.
Prosegue la redazione del nostro giornale all'interno del carcere di Pordenone. “Codice a s-barre” è uno spazio gestito interamentedai detenuti. Tutti i testi nel nostro blog: www.iragazzidellapanchina.it
È un taglio in meno Valentino aveva un passato di dolore e si faceva del male. «Diventammo amici grazie ad una sigaretta e mi raccontò la sua storia» di Francesco Valentino, lo chiamo così anche se questo non è il suo vero nome, oggi dovrebbe avere 45 anni. Povero ragazzo, in passato ha sbagliato, ma ne ha passate tante, troppe. In carcere, ogni giorno si tagliava con la lametta, non aveva uno strato di
il più giovane. C'erano persone rassegnate alla loro pena dell'ergastolo che mi dissero: «Ciccio, quello è scemo, la galera gli sta facendo male». Reagii. «Dite che siete stati uomini d'onore, o forse lo siete ancora, ma non vi dispiace per un uomo che sta male»,
pelle liscia sulle braccia. Per ogni cosa reagiva così, non c'erano farmaci che lo potessero fermare dal compiere questi atti di autolesionismo. La vita di Valentino è stata molto particolare. Era dentro per omicidio, soffriva perchè era stato abbandonato da tutti. Ogni giorno lo vedevo andare giù in infermeria per farsi curare le braccia piene di sangue. Mi prendeva il cuore, perchè i suoi occhi erano pieni di sofferenza. Si sentiva solo, abbandonato, nella sua cella pulitissima e ordinata. Era da solo in cella, nessuno voleva andare con lui. Un giorno, parlando all'aria con i miei compagni, mi venne il coraggio di dire «Perchè non aiutiamo questo ragazzo che sta soffrendo?». Parlo di "coraggio" perchè io, all'epoca, in quel carcere ero
risposi quel giorno. Aspettai e qualche tempo dopo proposi a dei compagni che percepivo più "stabili" di cominciare a dare a Valentino un po' di tabacco a testa. «Ti avvicini tu a quel pazzo?», mi dissero loro, ed io accettai di andarci a parlare. Una volta nella sua cella, dissi a Valentino: «Con permesso, ti posso parlare?». «Dimmi, dimmi. Ci sono problemi?», mi rispose con l'aria rabbiosa. «No, assolutamente. Domani vuoi farti due passi all'aria con me?». Valentino a quel punto si bloccò. «Okay», disse dopo averci pensato un po'. «Accetti un po' di tabacco? Senza offesa», gli chiesi e lui accettò. Io allora passai per ogni cella chiedendo se, gentilmente, dall'indomani potevano iniziare ad aiutare Valentino dandogli un po' di tabacco a testa. La maggior
parte dei detenuti fu d'accordo. Potreste pensare che questa non fosse una soluzione al problema di Valentino, ma sicuramente era un taglio in meno sul suo corpo: era un fumatore e fumare teneva a freno la sua agitazione. Una mattina io e Valentino ci incontrammo all'aria, dove facevamo il passeggio. Portai dei bicchieri di plastica con del caffè e glielo offrii. Rimase meravigliato e cominciò a raccontarmi la sua storia. «Sai ciccio - mi disse - sono stato abbandonato da tutti i miei famigliari. Stanno tutti bene, pensa che mia sorella gira con il Ferrari». Poi mi parlava di una ragazza di cui era innamorato e mi diceva che aveva due occhi come il mare. «Stavo con lei ed ero felice, non mi mancava nulla» continuò. Aveva l'espressione di un bambino di dieci anni mentre raccontava. Valentino era in carcere perchè in passato aveva fatto parte della 'Ndrangheta: aveva tolto la vita ad un boss, perchè questi l'aveva violentato da che era ancora un bambino usandolo fino a distruggergli la vita. «Io a quell'uomo gli sputerò sulla tomba» diceva. Valentino aveva perso il suo onore; i parenti affiliati non credevano che venisse violentato da questo boss, perchè un boss non può avere certe debolezze per la mentalità chiusa che c'è in quell'ambiente. Perchè l'onore - che di onore non c'è nulla - dalle nostre parti trionfa. Valentino era il suo
soprannome. La voce era girata. Era stato il boss che aveva ammazzato a metterglielo perchè lo voleva tutto per sè, mentre non gli consentiva di stare con la sua donna. Da quanto so ad oggi, Valentino fu poi trasferito in un altro carcere dove si trovava almeno fino allo scorso anno: stava meglio e non si tagliava più. Detto da altri detenuti, cammina con il pannolone, perchè se la faceva addosso. Spero di cuore che il mio amico riprenda la sua vita in mano e se ne faccia un'altra, perchè la galera è fatta di alti e bassi e spero che trovi persone che lo possano aiutare. A Valentino hanno di fatto tolto la vita. Non condivo che si tolga la vita ad un altro essere umano, uccidendolo, ma nemmeno che ad un essere umano si tolga la felicità per nascondere un uomo d'onore, come certe persone si definiscono, impedendogli di essere libero, di amare la sua ragazza. Spero che il mio amico rinasca perchè già ha pagato abbastanza, anche vista la giovane età che aveva quando è entrato in carcere. Il tabacco non è stato d'aiuto, perchè non lo può mai essere. Dato però che lui in quel periodo si tagliava in continuazione per me è come se avvesse respirato un po' di pace. E spero di avere dimostrato in quel modo a certi uomini, che il mio amico non era "Valentino", ma un uomo con la sua dignità come tutti dovremmo essere e con un nome proprio, quello che – una volta diventati amici - usavo io per chiamarlo. Ho percepito il dolore e la sensibilità di questo ragazzo che per decenni è stato vittima di un sistema malato e contorto, perchè trovare la pace in certi ambienti non è facile. Sono anni che la cerco anche io. Se qualche lettore è stato vittima di una situazione del genere, reagisca. La pace e soprattutto la libertà sono un vostro diritto. Non reagite come ha fatto il mio amico, facendovi del male; ma nel modo giusto. Parlatene, perchè la violenza porta alla distruzione. Aprirsi con le persone giuste chiedendo aiuto porta a farvi trovare uno spiraglio di luce. Non c'è cosa più bella della vita, anche con mille problemi. Cercate qualuno che vi aiuti a capirlo.
L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————
HIV, il virus dimenticato di Margherita Errico, presidente NPS Italia Onlus Il virus dell’HIV con i suoi oltre 30 anni di storia alle spalle si può considerare anche come la cartina di tornasole del comportamento sociale e sessuale dei nostri tempi strettamente connesso alle paure ataviche e ai pregiudizi più o meno tipici di alcune aree geografiche del mondo. Per altri versi dal punto di vista degli attivisti come me, invece, si tratta di corsi e ricorsi storici che si ripresentano a seconda delle evoluzioni scientifico/cliniche in ambito infettivologico. Le persone con HIV hanno visto cambiare il loro volto più e più volte, dal punto di vista fisico in assenza di terapie antiretrovirali si è passati da un volto simboleggiante spesso la morte ad un volto segnato dalla lipodistrofia/ lipoatrofia con l’arrivo dei primi farmaci, fenomeni questi che sono poi piano piano scomparsi con tecniche chirurgiche e con il passaggio a farmaci antiretrovirali a più basso impatto metabolico. In parallelo a ciò, le persone con HIV hanno visto cambiare anche il loro ruolo sociale da persone con pochi mesi di vita a persone che si sono riappropriate del proprio futuro sia dal punto di vista lavorativo che familiare e sessuale,con delle progettualità uguali a quelle delle persone non HIV positive. L’andamento di questi cambiamenti però, a parer mio non è stato conosciuto di pari passo tra la popolazione generale, perché lo stigma e la discriminazione sono rimaste sempre allo stesso livello a causa soprattutto del silenzio che ha regnato intorno a questa infezione, ma soprattutto a causa del silenzio che ha avvolto le persone con HIV e tutti i cambiamenti di cui ho scritto poc’anzi perché delle persone con HIV non si è mai parlato, facendo troppo spesso confusione tra la persona e il virus stesso. Dal punto di vista delle associazioni, essendo io presidente del Network Persone Sieropositive dal 2011, ma attivista sin dal 1997, i cambiamenti sono stati a mio avviso ancora più complessi. Agli inizi le persone con HIV si rivolgevano a noi per qualsiasi problema che poteva andare dal rapporto col medico alla comunicazione della propria sieropositività al proprio partner, poi periodi in cui i gruppi di auto-aiuto erano richiesti e frequentati con impegno e passione, poi ancora periodi in cui le
consulenze legali per le pratiche pensionistiche erano all’ordine del giorno. Al giorno d'oggi le persone con HIV al massimo fanno una telefonata in associazione per risolvere un’urgenza, non sono più disponibili a farsi coinvolgere attivamente in ciò che fa l’associazione e preferiscono restare dietro uno schermo per paura di essere discriminati e/o perdere il lavoro per il quale, oggi più che mai, c’è molta più apprensione. La grande conquista che abbiamo raggiunto noi persone con HIV è anche quella lavorativa perché siamo finalmente a tutti gli effetti da anni parte del sistema culturale e produttivo e a questo traguardo nessuno è disposto a rinunciare, anzi dico di più, traguardo cui nessuno deve rinunciare per nessun motivo! Le associazioni sono anche cambiate al loro stesso interno e nei confronti l’una dell’altra e non sono cambiate sempre in meglio. Noi attivisti da un lato siamo diventati esperti e veri e propri lavoratori del terzo settore con competenze così specifiche che ormai anche i clinici su alcuni aspetti si consultano con noi o si lavora assieme sugli aspetti psicosociali come ad esempio oggi nel gruppo ICONA (Italian Cohort of Antoretroviral naive patients) dove siamo presenti per aiutare a disegnare studi clinici e studi psico sociali in HIV allargando lo spettro di osservazione su ciò che vive e su ciò che è una persona con una patologia infettiva come l’HIV. Col passare del tempo le associazioni di lotta all’Aids si sono anche specializzate ognuna in un settore particolare come il diritto alla salute e la lotta allo stigma, la tutela dei consumatori di sostanze con HIV, la tutela delle persone detenute con HIV, la tutela delle persone Lgbtq con HIV, i minori con HIV, l’aggiornamento e l’innovazione terapeutica, la prevenzione primaria e secondaria etc… ma in tutta onestà questo non ha aiutato le associazioni a superare i particolarismi e ad avere azioni coordinate e comuni nel tempo; forse solo adesso a causa dell’emergenza Covid, dove tutte le patologie sono state messe ancora più all’angolo di prima, impareremo a fare quadrato per la tutela della nostra salute …è un’ipotesi o una speranza? Si vedrà.
Non esiste solamente il Coronavirus
che modo potremo convivere con il COVID-19. Risulta quindi fondamentale ricordare a tutti che esistono anche altre malattie oltre il COVID e che queste devono essere il più possibile evitate. Il paradigma di tali patologie è rappresentato dalle malattie sessualmente trasmissibili che sono in costante ascesa negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani ed i giovani adulti, ricordando che non si tratta solo di adolescenti ma di persone fino a 40 anni ed oltre. Tra le malattie sessualmente trasmissibili (sifilide, clamidia, herpes genitale, gonorrea ed HPV) non dobbiamo e non
possiamo dimenticare l’infezione da HIV che delle malattie sessualmente trasmissibili rappresenta "la regina”"per importanza e pericolosità se non per numero di infetti. I dati epidemiologici più recenti, puntualmente elaborati con cadenza annuale dal Centro Operativo AIDS (COA) sono molto preoccupanti. Infatti, intanto testimoniano il fatto che i nuovi casi di HIV, da almeno 5 anni tendono ad essere stabili senza calare (vedi figura 1). Questo determina un dato di incidenza media in Italia di 4,7 casi per 100000 abitanti (rispetto ad una media europea di 5,1). Il dato in FVG del 2019 risulta apparentemente migliore ovvero di 2,3 per 100000 abitanti. Speriamo, tuttavia, che il dato del FVG non sia in realtà una sottostima del dato reale. Non possiamo infatti trascurare che i dati epidemiologici si basano, per ovvi motivi, sulle diagnosi effettivamente eseguite. Come è ben noto per tutte le malattie infettive, ma soprattutto per le malattie sessualmente trasmissibili, ancora di più per quelle asintomatiche, come l’HIV nei primi anni, vige il principio dell’"iceberg" ovvero i casi effettivamente diagnosticati rappresentano solo la "punta dell’iceberg" il che fa sottointendere che vi sia un "mondo sommerso" molto più ampio. Purtroppo tale timore pare confermato dalle motivazioni che hanno portato ad eseguire la diagnosi di HIV
non lei per gli altri". Il mio sistema immunitario era ridotto all’osso e qualsiasi virus o batterio per me era pericoloso. Dopo un primo momento di sconforto e smarrimento, passata la polmonite, ripresi in mano la mia vita e con un sorriso sulle labbra volli vivere al meglio il tempo che mi restava. Non cominciai a fare festa, ma volevo andarmene via in pace con me stessa. Questo atteggiamento in un certo senso mi ha premiato:
ora sono qui a raccontarvelo. In questa nuova avventura ho conosciuto il mio attuale marito (sierodiscordante cioè negativo) che, nonostante il destino prospettatomi allora, decise di affrontare questa avventura con me fino in fondo. In un certo qual modo è stato premiato anche lui, visto che nel frattempo ci siamo sposati e stiamo ancora insieme. In questi lunghi ventisette anni ho attraversato tutte le fasi che questa patologia pre-
Le malattie sessualmente trasmissibili sono in costante crescita: in cima a queste per importanza e pericolosità c'è l'infezione da HIV di Massimo Crapis, responsabile S. S. Malattie Infettive ASFO In questo periodo dominato dalle informazioni inerenti la pandemia da COVID-19 pare quasi fuori luogo pensare di parlare di qualcos’altro. In realtà uno dei tanti effetti collaterali indiretti della pandemia è proprio quello di averci fatto dimenticare che esistono tante altre patologie. Infettive e non infettive. L’egemonia mediatica conquistata dall’infezione da Coronavirus in tutte le sue declinazioni comporta tutta una serie di potenziali effetti collaterali infatti. Quelli psicologici sono forse i più preoccupanti ed i più pericolosi. Molte sono le forme di potenziale reazione psicologica ed una di queste, soprattutto potenzialmente diffusa tra i giovani ed i giovani adulti (età compresa tra i 20 ed i 40 anni), appare essere quella della perdita dei freni inibitori. Parafrasando è come se uno pensasse che, siccome il mondo sta per finire, allora tanto vale fare tutto prima che questo accada senza tenere in considerazione delle potenziali con-
seguenze, tanto… In realtà il battage mediatico porta con sé tanti messaggi fuorvianti, ed uno di questi è proprio quello relativo alla pericolosità del virus soprattutto nella popolazione con età inferiore ai 60 anni. Ci sono ormai tutta una serie di dati molto solidi che mettono in evidenza che la letalità di COVID 19 sotto i 60 anni è del 0,9% ovvero meno di una persona su 100 rischia di morire. Diverso invece lo scenario al di sopra dei 70 anni dove la letalità oscilla tra il 20 e più del 30%. Questo vuol significare che il mondo esisterà anche dopo il COVID o, comunque, in qual-
I miei ventisette anni di vita assieme al virus «Nel 1993 ricevetti la diagnosi di positività: poche le prospettive di vita. Oggi le persone positive all'HIV che si curano non sono più infettive. Un tempo era inimmaginabile» di Ada Moznich La diagnosi di positività all’HIV l’ho ricevuta all’inizio di ottobre del ’93, dopo un ricovero per una polmonite atipica. Con i medici affrontai i problemi che avrei dovuto incontrare nel futuro. Erano gli anni bui dell’Aids, non c’erano farmaci che potessero debellare il virus, ma solo terapie per gestire le infezioni
che questo causava. In ogni caso il verdetto non sarebbe cambiato, ma solo rimandato, e la mia aspettativa di vita in quel momento era circa di tre anni. Ricordo ancora una frase che mi disse il medico allora, in mezzo ad altre migliaia di informazioni: "Si ricordi, signora, che ora gli altri sono più pericolosi per lei che
come riportato dai dati COA (vd figura 2) dove al primo posto vi è il sospetto di patologia HIV-correlata o sintomi HIV-correlati. Se si considera che i sintomi e le patologie HIV-correlate si manifestano in media 5-10 anni dopo aver contratto l’infezione, appare evidente il concetto dell’"iceberg". Risulta pertanto fondamentale comprendere le cause di ciò. Alla base di tutto vi è il pregiudizio. Sono ancora molti che pensano che il virus dell’HIV colpisca solo persone che "se lo sono cercato" (stigma sociale) o che comunque hanno dei fattori di rischio ben precisi. In particolare molti pensano che solo tossicodipendenti, prostitute o maschi che fanno sesso con altri maschi (MSM) siano le principali categorie di rischio. Tale modo di pensare, oltre che fare emergere una grande ignoranza di fondo (diciamo che chi lo pensa non si è aggiornato dagli anni 90 in poi) portano ad un terribile conseguenza... ovvero la non corretta percezione del rischio di ognuno.
Se si valuta infatti la realtà si vedrà che il vero identikit del paziente a rischio di HIV è una persona giovane adulta che ha una vita sessualmente attiva (di qualsiasi genere o inclinazione essa sia) e poco di più. Ne consegue che risulta fondamentale stressare il concetto di prevenzione soprattutto nei comportamenti sessuali, ricordando che un utilizzo consapevole di metodi barriera (profilattico maschile – condom – o profilattico femminile – femdom -) sono strumenti essenziali e probabilmente unici per evitare di acquisire l’infezione da HIV e, più in generale, di tutte le malattie sessualmente trasmissibili. Certo rimane pur sempre l’astinenza… ma noi siamo scienza, non fantascienza! Quanto sopra, giova ricordare, va considerato in quanto il COVID-19 passerà, in qualche modo, mentre l’HIV e le malattie sessualmente trasmissibili, rimarranno una piaga con cui ci troveremo a combattere ancora per moltissimi anni.
sentava nel tempo. Dopo due anni dalla diagnosi l’HIV presentò il conto salato ed entrai in Aids conclamato. L’Aids non è una malattia come comunemente si pensa, ma una sindrome, cioè a causa dell’HIV il sistema immunitario è debolissimo, e questo fa si che tu ti ammali di diverse altre patologie. Io cominciai con un brutto virus che mi rosicchiava la retina dell’occhio destro fino a portamelo via e danneggiando quello sinistro, ancora oggi ha lasciato le sue cicatrice e faccio fatica a vedere bene. Si sommarono poi altre patologie ai polmoni e allo stomaco. Ogni ricovero in ospedale sembrava l’ultimo, nel senso che nessuno aveva la certezza che sarei tornata a casa. Tenni duro, con le poche forze che avevo, finché sono arrivati i nuovi farmaci. Da lì si apriva un altro capitolo, la grande scommessa delle terapie. I medici mi dissero che mi avrebbero aiutato e allungato la vita per almeno, oppure forse, altri dieci anni. All’inizio la terapia
era formata da circa diciotto pillole da prendere ogni giorno nelle diverse ore della giornata con effetti collaterali a volte non troppo gradevoli. Grazie alla ricerca, nel tempo si sono ridotte di numero fino ad arrivare, ad oggi, a una compressa al giorno e con pochi effetti collaterali. Ora la ricerca ci dice che le persone positive, che si curano, non sono più infettive per gli altri e possono avere rapporti sessuali non protetti, cosa inimmaginabile all’inizio, ma ancora incomprensibile per la gente comune. Per questo il mio impegno nell’attivismo comprende la difesa delle persone HIV-positive e anche il dare una corretta informazione e combattere lo stigma facendo capire che è meglio sapere e curarsi (se avete un dubbio fate il test) che continuare nell’ignoranza e alimentare i contagi. La mia esperienza mi ha insegnato che la vita ti stupisce in continuazione, se non dai niente per scontato. Ultima cosa: mio marito è ancora negativo.
Farmaci innovativi, ma i pregiudizi rimangono La qualità della vita delle persone con HIV negli anni è migliorata: «A dodici anni dalla mia diagnosi, sono diventata anche mamma» di D.R. Sono una donna, 40 anni compiuti a settembre e madre da poco più di un mese. Sono HIV+ da dodici anni e proprio in quell’agosto del 2008 ho scoperto la mia infezione. La diagnosi fu come un’aggressione fisica tanto da ritrovarmi rannicchiata sulla sedia con le mani che mi coprivano testa e volto. Non mi fu comunicata con violenza, ma in una lingua che non era la mia lingua madre. Non erano più gli anni ‘90, era il 2008 ma ero divenuta HIV+. Avevo 27 anni e a quell’età la salute è intoccabile. Stavo ricostruendo la mia vita molto lontana da casa e avevo trovato un lavoro soddisfacente, una mansarda dove vivere in centro città, un gruppo di amici ed una persona cara. Dopo qualche mese di assestamento arriva la nefasta diagnosi di Tubercolosi in HIV. Ho sempre sostenuto che la causa sia adducibile ad un errore medico: a migliaia di chilometri di distanza, nessun clinico sa che l’area geografica da cui provengo è stata un bacino della tubercolosi. Sarebbe bastata una profilassi per evitare che perdessi il lavoro e la casa. Dopo dodici anni da quell’agosto sono madre di Amalia, figlia di una coppia di sierodiscordanti. Dopo la TBC ho iniziato subito la terapia antiretrovirale e così poco dopo la mia carica virale è stata soppressa e lo è ancora dopo più di dieci anni. Si tratta si un "outcome clinico" che ,se per la medicina vuol dire solo che il virus nel mio corpo
è presente in quantità non rilevabili agli strumenti oggi disponibili, nella vita quotidiana di ogni paziente si traduce in possibilità di ogni tipo. Per me questo ha significato progettualità, convivenze, viaggi, cambi lavoro, mia figlia. Grazie a tutte le nuove evidenze scientifiche, Amalia è nata da un rapporto non protetto ed è venuta al mondo con un parto naturale. Volevo vivere il travaglio, sentirla nascere, accoglierla da subito tra le mie braccia, come una mamma normale. Lo desideravo e l’ho ottenuto. Ma non è ancora abbastanza. Nonostante le attuali evidenze scientifiche, alcuni ospedali hanno ancora posizioni molto conservative e a causa di queste, diversamente da quanto raccomandato dalle linee guida per un paziente come me, ho vissuto il travaglio come una neo infetta, con infusioni continue e costanti di un farmaco per evitare la trasmissione materno-fetale. Di contro, come invece le linee guida italiane supportano, Amalia ha dovuto fare una profilassi di quattro settimane. Grazie alle ART (terapia antiretrovirale) oggi è possibile un controllo duraturo della replicazione virale con riduzione della mortalità e morbilità della malattia. Ma per tutti gli altri bisogni, identitari, relazionali, di genitorialità e di vecchiaia, abbiamo bisogno di molte altre evidenze scientifiche perché la qualità della nostra vita (QoL) sia quanto più possibile paragonabile alla popolazione generale.
Coronavirus Vs HIV Emergenza sanitaria da Covid, le ricadute negative (e positive) sui servizi ai pazienti HIV di Mario Cascio L’emergenza COVID ha avuto un impatto senza precedenti sulle nostre vite e anche sul nostro sistema sanitario, con forti ripercussioni nell’erogazione dei servizi sanitari per altre patologie non direttamente collegate a virus, come nel caso dell’HIV. Ci sono state ripercussioni in ogni aspetto della cura dell’HIV, dalla diagnostica, ai trattamenti, alla prevenzione. Ancora oggi non è possibile avere un quadro completo delle ripercussioni nel medio e lungo termine che l’emergenza COVID inevitabilmente avrà sulla comunità HIV. Le misure di contenimento quali il lockdown, il distanziamento sociale e le restrizioni nei movimenti, necessarie a contenere la diffusione del virus, insieme al fatto che molti medici e operatori sanitari in forza lavoro negli ambulatori HIV sono stati a loro volta chiamati a prestare servizio nei reparti COVID, hanno comportato che, in quei mesi, la maggior parte dei servizi dedicati alle persone con HIV in cura sono stati interrotti e rimandati a futura data o fortemente ridimensionati, sollevando non poche preoccupazioni. Tra questi: i La redazione di LdP & I Ragazzi della Panchina sono orgogliosi di appoggiare e promuovere insieme a Nps Italia Onlus il progetto di promozione del self test HIV. Il progetto, di cui l'Associazione è referente per il Fvg, è inserito in una più ampia campagna nazionale che vede coinvolte anche Sicilia, Puglia, Campania, Lombardia. La Presidente di Nps Italia Onlus Margherita Errico sottolinea come «l’emergenza COVID-19 abbia fatto emergere nuove esigenze da parte delle persone con HIV che si sono rivolte alla nostra associazione, tra cui quella di ridurre il rischio di esposizione al COVID-19 attraverso la presenza in ospedale per la prescrizione e il ritiro dei farmaci. Allo stesso tempo ci è stata segnalata la necessità di ridurre il sovraccarico di lavoro da parte dei reparti di malattie infettive/ambulatori impegnati anche in ambito COVID-19. Pertanto come associazione di
programmati prelievi ematici di routine, le visite di controllo, le visite specialistiche, la diagnostica e cura delle epatiti. I test per HIV, epatiti e per altre malattie sessualmente trasmesse e i servizi PrEP sono stati totalmente interrotti eccetto che per le emergenze, intaccando uno dei pilastri della prevenzione. Le attività e molti dei servizi offerte dalle associazioni dei pazienti sono
state anch’esse interrotte o ridimensionate, come nel caso dei vari checkpoint presenti in Italia. Ancora oggi non c’è stato un pieno ritorno alla situazione pre-COVID, in particolare le visite specialistiche per concomitanti patologie. Un’alta percentuale di persone che vivono con l’HIV oggi in Italia ha un’età superiore ai 50 anni e spesso sono af-
fette anche da comorbosità quali problemi cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione e problemi respiratori che i dati clinici attualmente disponibili indicano come fattori di rischio di complicanze da COVID. Allo stesso tempo, l’emergenza COVID ci ha presentato anche delle opportunità. Le restrizioni imposte dal lockdown, dalle norme sul distanziamento sociale e
Campagna di sensibilizzazione all'autotest
dalle restrizioni sui movimenti hanno spinto sia il pubblico che il privato a trovare soluzioni alternative che potessero sopperire al vuoto lasciato nei servizi. L’uso della tecnologia in alcuni ambulatori HIV ha permesso una certa continuità nella comunicazione tra medico e paziente e in molti centri la prescrizione degli antiretrovirali è stata fatta per periodi più lunghi, evitando alle persone in cura di doversi recare spesso in ospedale e un peso minore per gli operatori dei reparti di infettivologia, spesso chiamati a turni di lavoro nei reparti covid. Le associazioni dei pazienti sono state in prima linea, accogliendo le domande e i bisogni dei loro assistiti, mettendo in atto strategie e fornendo servizi "creativi" che potessero rispondere alle emergenti esigenze. Le conseguenze di tipo psicologico derivanti dall’isolamento sociale hanno spinto le associazioni a fornire servizi nuovi quali il supporto psicologico e il counselling online. L’uso delle piattaforme online ha permesso inoltre un servizio di informazione sullo stato attuale dei servizi sanitari disponibili, sui rischi legati al COVID per le PLHIV (persone che vivono con l’HIV) e sui servizi offerti dalle associazioni, quali per esempio la consegna gratuita dei farmaci antiretrovirali a domicilio. Particolare importanza ha avuto il servizio offerto da alcune associazioni sul territorio di spedizione o consegna di autotest per HIV con possibilità di un counselling pre e post-test e di linkage to care. persone con HIV sentiamo l’esigenza di offrire questi servizi che possano sia sopperire alla riduzione dell’offerta del test HIV sia garantire maggiore sicurezza riducendo il rischio di esposizione a COVID-19 delle persone con HIV nel ritiro dei farmaci Arv». Il Progettto si svolge attraverso precise azioni grazie ai referenti regionali presenti nelle regioni che promuovono l’informazione/ counselling sulla gestione dei servizi di volta in volta disponibili nella cura delle persone con HIV e sull’interazione tra HIV e COVID-19. Queste azioni sono: la consegna gratuita a domicilio dei self test HIV su specifica richiesta con relativo counseling pre e post test ed eventuale linkage to care, e consegna di condoms su richiesta ed infine alla consegna a domicilio dei farmaci Arv, gestione della burocrazia delle prescrizioni e ritiro in osservanza della normativa sulla privacy.
INVIATI NEL MAONDO
A Betlemme non solo per una stella Piccoli racconti di un Natale trascorso in Terra Santa, frammenti di un’esperienza umana che ha lasciato in cuore una gioia immensa di Rachele Passare un Natale "alternativo"; ecco uno degli obiettivi e lo stato d'animo con il quale ho affrontato la mia esperienza a Betlemme, in Terra Santa. Un viaggio in cui ho fatto la volontaria all'ospedale pediatrico Caritas Baby Hospital di Betlemme, un viaggio nel quale in valigia, oltre alle cose necessarie, ho voluto portare alcuni piccoli strumenti per donare attimi di spensieratezza e felicità ai piccoli pazienti: palloncini, bolle di sapone, marionette, pongo, colori, piccole cose che i bambini hanno accolto con allegria. Fin da subito ho sperimentato l’accoglienza del popolo arabo. Con semplicità, infatti, la gente che ho conosciuto mi ha messo subito a disposizione ciò che aveva e soprattutto ciò che era. Ho, ancora, particolarmente a cuore l’accoglienza della famiglia che mi ha ospitato a Betlemme, con tanto d’intrattenimento serale con trucchi di magia, lezioni di arabo e italiano, assaggi culinari della loro tradizione, regali di Natale sotto l’albero. Uno degli episodi più calorosi di accoglienza che ho vissuto è stato quando un lunedì pomeriggio sono andata al centro per bambine sorde, "Effeta". Sono stata accolta in uno stanzone grande e vuoto, ma l'impressione è stata quella di essere in un posto così stretto se penso a quanto le bambine stavano addosso a me e alle mie compagne
di viaggio abbracciandoci: «Marhabà! Marhabà! What’s your name?» ci urlavano, sembrava di essere l’incarnazione del loro amico ideale. Allo stesso modo sono stata accolta tra i corridoi dell’ospedale, un posto pieno di infermiere che rubavano i palloncini per i loro bambini e ci offrivano caffè, come anche al Day Nursery (l’asilo nido per i bambini dei dipendenti dell’ospedale), dove il fatto di essere straniero lo senti solo tu perché per i bambini, al massimo, se non rispondi in arabo è perché hai problemi di udito. Da questi modi di rapportasi ho capito che, proprio come in famiglia, gli arabi non si fanno riguardo: se entri in casa prendi the
e biscotti, se sbagli strada ti suonano il clacson, se è domenica ti fermano a pranzo, se hai bisogno ti aiutano, se non capisci fa lo stesso. Così, in poco tempo, il senso di stranezza di stare in una terra diversa dalla propria si attenua, fino a diventare un po' la normalità. Camminare ogni mattina lungo il muro per raggiungere l’ospedale o fare la fila al checkpoint per andare a Gerusalemme entra a far parte della quotidianità. Dall’Italia, per esempio, può sembrare sconvolgente vedere una cittadina invasa da militari e poliziotti, ma per l’arrivo del patriarca la vigilia di Natale a Betlemme funziona così. Nulla di più normale che trovare un kalashnikov a ogni angolo di strada e nulla di più naturale che augurare un buon Natale al giovanotto che lo tiene in mano. Alla fine, questi ragazzi avevano circa la mia età. Me ne sono resa conto un giorno, ad esempio, quando, mentre pranzavo a Gerusalemme, in una pasticceria vicina arrivò un gruppo di soldati in pausa pranzo, che, nella confusione generale per procurarsi le ciambelle, finì per imbrattarsi le divise di zucchero a velo. Così un’altra sensazione che ho avuto è stata quella che la gente fosse molto paziente per riuscire a sopportare la situazione in cui si trova. Con fortezza tutti riescono a continuare la loro vita e le loro attività. Anche se da un giorno all’altro tra la casa e il lavoro trovi un muro invalicabile, tutte le mattine attendi in fila di riuscire a passare il checkpoint. Con pazienza i bambini ripetevano lentamente, forte e scandendo bene le parole in arabo, nella speranza che capissi il senso delle costruzioni in pongo che facevamo in-
sieme. La fortezza, invece, stava nelle ragazze sorde che, con la soddisfazione di chi si è impegnato molto, riuscivano a cantare in coro e, anche nel completo silenzio, ballavano la zumba con una carica indescrivibile. Tutti questi piccoli racconti fanno parte di una storia ben più ricca che, come ogni storia che si rispetti, possiede una trama che si svela lentamente e sorprende sempre. È nata come un viaggio d’estate che poi qualche razzo ha trasformato in un viaggio d’inverno, a Natale. Prima di partire molte cose non erano state del tutto decise e molte sono cambiate all’ultimo, però poi quello di cui avevo bisogno è arrivato, e la trama ha proseguito con naturalezza. Per quanto la mia storia a Betlemme sia stata piena di imprevisti, la storia della Palestina è molto più travagliata di questo mio trafiletto. Sappiamo tutti che in quelle terre, così belle, c’è una situazione estremamente precaria, che può cambiare da un momento all’altro. Vi posso assicurare, però, che questo luogo, una volta conosciuto, resta nel cuore donando una gioia enorme.
PANKA LIBRI
Franzin, il poeta che scava nella vita della gente comune La sua poesia dialettale scruta nelle anonime stanze dove si consuma la quotidianità di chi non ha voce di Antonio Zani L'appuntamento è in un anonimo locale di un paesino di periferia lontano dalle frenesie della città e dei suoi frequentatori abituali, volti a rincorrere chimere e sempre più assetati di guadagno. Ci incontriamo all'imbrunire in un afoso giorno di fine estate, un cenno, un "ciao, un dove ci mettiamo? Qui fuori? Così si fuma?". Ci sediamo, incrociamo gli sguardi, lui è un uomo pacato, sicuro, disincantato, semplice, lo noto dagli atteggiamenti e dagli sguardi, dagli occhi vivi, stanchi, profondi, che fanno da specchio all'anima di poeta qual è quest'uomo non più giovane ma nemmeno ancora vecchio. Ordiniamo ed iniziamo a parlare, voglio capire di più di lui, della sua poesia, sono assetato di conoscenza e lui mi fa entrare delicatamente nel suo mondo di versi. Fabio Franzin, noto poeta - di lui se ne sono occupati in passato la Rai e su di lui hanno scritto testate giornalistiche del calibro del "Corriere della Sera" è un'artista che scrive usando il dialetto veneto. «Sono nato a Milano – racconta - e trasferitomi con la famiglia qui in Veneto ancora bambino ho dovuto impararlo per comunicare con i ragazzini miei coetanei e compagni di giochi». Già all'epoca quest’uomo semplice dimostrava di avere dentro di lui il germe dell'integrazione sociale. Faccio la sua conoscenza grazie
ad una serata di poesia organizzata dall’associazione culturale "Porto dei Benandanti" che opera nel portogruarese. Si tratta di un gruppo di persone che promuovono la poesia e che hanno creato il festival itinerante denominato "Notturni diversi" per avvicinare la gente alla cultura messa in versi. Il tema di questa edizione, la sedicesima, è ispirato alle parole di una scena di "Amarcord", capolavoro cinematografico di Federico Fellini. Tra gli aspetti che vogliono evidenziare c'è la forte collaborazione ed amicizia del grande regista romagnolo con notissimi poeti quali Tonino Guerra, Andrea Zanzotto e Nico Naldini (cugino di Pier Paolo Pasolini). Incontro Fabio Franzin a Ca' Borghesaleo, Teglio Veneto, piccolo borgo sperso nel bel mezzo delle campagne pianeggianti dell'alto Veneto. Vita da operaio, con tutti gli annessi e connessi del caso, Fabio da sempre coltiva la passione per la "gentil scrittura"; gli chiedo quando ha iniziato, lui mi dice: «Ho sempre scritto, ma ho iniziato a pubblicare tardi, verso i ven-
ticinque anni». Com'è nata la prima raccolta di versi? «Non mi ritenevo all'altezza – risponde umilmente - non ho titoli di studio, sono un semplice operaio, poi un giorno lessi un libro di Grazia Deledda e notai che nemmeno lei ne aveva». Bella questa riflessione che lo ha spronato a mettersi in gioco con le pubblicazioni, un modo per dire che le emozioni e le riflessioni sono un patrimonio dell'anima e non un bagaglio scolastico. Fabio ha partecipato a diversi concorsi di poesia, sia nazionali che d'oltreconfine, molti li ha pure vinti. Tra i massimi esponenti della poesia dialettale italiana, spesso è pure invitato come membro di giuria ai vari concorsi del settore. La sua poesia non è frivola, anzi, la trovo dura, schietta, realistica, sanguinante, è espressione del popolo e dei patimenti di vita della gente comune, della classe operaia; Fabio sta da questa parte della barricata, dà voce alle tragedie umane di chi risalto mediatico non ne ha. Parla delle vicende quotidiane, dell'operaio sfruttato e malpagato, di coloro che un lavoro non lo hanno più, della miseria umana, parla del falso perbenismo, della cultura dell'apparire imposta
dal potere e dell'agonizzante cultura dell'essere che sempre più sta scomparendo immolata dai media di potere sul cinico e calcolatore altare del mondialismo e delle multinazionali. Ecco, lui guarda dentro le piccole cose, scruta minuziosamente nelle anonime stanze dove si consuma la vita di chi non ha voce. Con Fabio parliamo di questo nostro momento storico-sociale ed io accenno a dire che solo la cultura e la consapevolezza ci possono salvare, ci possono ridare una identità ed un posto decoroso in questa società post-moderna che tende a svilire gli individui per creare consumatori lobotomizzati. Lo osservo, lui mi ascolta e fa cenni di assenso, poi aggiunge: «C'è in atto qualcosa che non mi piace, la gente non scende più in piazza come un tempo, sembra già plagiata, la cultura risveglia ma speriamo non sia già troppo tardi; c'è malessere, tanto malessere e molto diffuso». Fabio mi guarda dritto negli occhi e aggiunge: «Guardati attorno ed ascolta, non lo senti pure tu questo immenso urlo muto?». Si Fabio, lo sento pure io e pure da tanto, servono anime come te per provare un'arroccata e strenua difesa contro i sinistri tentacoli del potere che cercano in ogni modo di stritolarci spegnendo le nostre menti. Il sole intanto è calato verso occidente, s'è fatto tardi, ora di andare, ci alziamo, ci salutiamo, ci diamo entrambi la possibilità di rincontrarci. Salgo in auto e parto verso casa; mi riscopro più ricco, più appagato, soddisfatto, anche più sereno e determinato. Grazie Fabio, c'è necessità di uomini come te, le forti personalità sono il veleno giusto contro il potere costituito. Fabio Franzin è la prova che non tutti hanno già deposto le armi ma c'è ancora chi nonostante tutto continua a lottare e a me "è dolce vagar" in questo mare di belle sensazioni.
PANKA AMBIENTE
Attacco al Re dei fiumi alpini, il Tagliamento Uno degli ultimi corsi d'acqua quasi del tutto risparmiato dall'attività dell'uomo di Elisa Cozzarini Ho scoperto di abitare accanto a uno degli ambienti fluviali più interessanti e belli d'Europa quando, diversi anni fa, un amico è venuto a trovarmi dalla Lombardia e mi ha chiesto di portarlo sul Tagliamento. Da allora, non mi sono mai più allontanata dalle sue acque. Il 9 maggio di quest'anno, al termine del lockdown per il contenimento della pandemia da coronavirus, quando ancora si poteva uscire dai confini comunali solo per fare sport, ho preso la bicicletta e sono andata in riva al "Re dei fiumi alpini", nella spiaggia di Tabine. Non ho sentito la fatica delle salite e, appena passato l'ossario germanico, iniziando la discesa verso il ponte di Pinzano, mi sono fermata a guardare il fiume che scorreva, nei suoi rami che a ogni stagione si
intrecciano in modo diverso. Ho provato una grande gioia, di fronte alla meraviglia della natura, al turchese dell'acqua tra le ghiaie chiare e i boschetti verde acceso. Proprio qui, da anni, si parla di grandi opere che stravolgerebbero l'ambiente: dall'autostrada Cimpello Gemona alle casse di espansione (ormai defunte) alle recenti dighe mobili
che dovrebbero contenere le piene e salvare la pianura dove si è edificato a ridosso del fiume - da possibili alluvioni. Il proseguimento dell'autostrada è stato annunciato dalla Regione in vista dell'arrivo dei fondi europei del Recovery Fund, senza considerare che i fondi sono vincolati al finanziamento di opere verdi, sostenibili non solo a parole. Pensare che il medio corso del Tagliamento è al centro dell'attenzione di studiosi
da tutta Europa, interessati a comprendere le dinamiche fluviali di uno degli ultimi corsi d'acqua il cui alveo è stato quasi del tutto risparmiato da interventi antropici. Di fronte alle sfide del cambiamento climatico, infatti, la tendenza è quella di restituire il più possibile spazio ai fiumi, come migliore difesa dalle alluvioni. Di qui l'importanza di cono-
Il Meduna, un luogo “magico” «Sempre più persone non lo rispettano, abbandonando rifiuti in giro dopo grigliate e serate estive sul greto» di Mattia All'età di circa sette anni frequentavo un gruppo di amici della mia scuola con i quali passavo la maggior parte del tempo libero a zonzo nei dintorni di Borgomeduna, il nostro piccolo quartiere. Ogni tanto ci si organizzava per uscire in bicicletta ad esplorare le zone circostanti che fino ad allora ci erano sconosciute. Durante una delle nostre uscite ci siamo diretti verso i campi di Villanova vecchia, dove ai tempi abitava un nostro amico che conosceva abbastanza bene il posto; quel giorno lui ci ha fatto da guida in direzione di un luogo a dir poco affascinante in cui tutt'ora trascorro buona parte del-
le mie giornate estive: il fiume Meduna. Il Meduna per me e per altre persone è un luogo magico, è il posto più vicino a casa dove avere un "contatto" con la natura, dove riesco a rilassarmi, dove posso svuotare la testa da quelli che sono i brutti pensieri, dove ascoltando il vento soffiare tra gli alberi e lo scroscio dell'acqua del torrente riesco a ritrovare la mia pace interiore e per l'insieme di questi motivi è un luogo da rispettare e che bisogna trattare con cura. Purtroppo negli ultimi anni molte persone "esterne" hanno cominciato a frequentare il posto, mancandogli di rispetto. Lo fanno, ad esem-
pio, organizzando grigliate o serate al termine delle quali non si prendono la briga di tenere pulito il luogo: lasciano a terra bottiglie di vetro o confezioni vuote in giro per la spiaggia, non si portano via i sacchi buttando in giro i rifiuti, non lasciano il fiume come lo hanno trovato, lo trattano quasi come una discarica. Questo insieme di atteggiamenti, soprattutto negli ultimi anni, è andato a degradare le condizioni del greto del Meduna che per tanti di noi paesani è considerato come un luogo di ritrovo dove trascorrere dei bei momenti sia in solitudine che in compagnia, un luogo che è diventato quasi come
scerne le dinamiche naturali. Sulla base degli studi sul Tagliamento, sono stati avviati progetti di rinaturalizzazione di fiumi alpini in diverse parti d'Europa. Qualche tempo fa è stata lanciata, sulla piattaforma online change.org, una petizione per il riconoscimento del Tagliamento come Patrimonio Unesco. Mentre scrivo, le adesioni hanno superato quota tredicimila e continueranno a crescere, segno dell'attenzione che i cittadini hanno verso il loro fiume, di cà e di là da l'aghe. Hanno preso posizione anche personaggi famosi come Mario Tozzi, Licia Colò e Luca Mercalli. L'assessore all'Ambiente della Regione, per rispondere a tanta pressione, ha avviato il riconoscimento del fiume non come "Patrimonio" ma come "Riserva Man and Biosphere", che pone al centro l'interazione tra uomo e ambiente. Sarebbe bello se si cominciasse dal riconoscere il valore del Tagliamento nel suo medio corso e, per la difesa della pianura dalle alluvioni, si arrestasse il consumo di suolo e si avviasse un percorso per individuare aree da rinaturalizzare a valle, restituendo spazio al fiume. Non basta magnificare la bellezza del fiume, bisogna conoscerlo e gestirlo in modo oculato, dalle Alpi all'Adriatico. una seconda casa. Nell'ultimo anno io e dei miei amici, quando impegni e tempo ce lo permettono, abbiamo preso l'iniziativa di recarci al fiume con i sacchi della spazzatura per raccogliere i rifiuti abbandonati da altri; spesso lasciamo li questi sacchi anche perché li usino altre persone, così da tenere pulita la zona. Purtroppo non serve a molto, perché questa iniziativa dovrebbe essere presa in considerazione da tutti quelli che frequentano il posto. Al momento stiamo valutando una soluzione alternativa per risolvere questa problematica, anche se, affinché qualcosa cambi, dovremo fare affidamento sul buon senso delle persone che frequentano il fiume, che purtroppo molto spesso viene a mancare. Quindi cari lettori, se avete dei consigli su quali soluzioni si potrebbero adottare per risolvere queste problematiche sono ben accetti, perché il Meduna potrebbe essere la casa di tutti e tutti dovrebbero dargli il rispetto che merita un posto cosi splendido.
NON SOLO SPORT
Dal quad all’hockey in carrozzina, seguendo le ali della passione «Se ti appassioni a qualcosa non ti preoccupi di cosa potrà essere di te domani, di come evolverà la malattia, ma ti immergi anima e corpo nel presente, preoccupandoti solo di renderlo più pieno e significativo possibile» di Jacopo Verardo Mi chiamo Jacopo, ho 17 anni, studio al liceo LeoMajor e ho una grande passione da sempre, lo sport. Le mie prime esperienze sportive risalgono a quando avevo l’età di quattro anni. Galeotta fu per me la prima volta che andai a vedere le minimoto. Vedendo le moto danzare tra le curve della pista, ho pensato che prima o poi ne avrei guidata una. L’istruttore disse che per poter guidare la moto bisognava prima imparare ad andare in bici senza rotelle. Il mio desiderio era talmente grande che una settimana dopo sapevo andare senza rotelle, ma non rividi più la pista di minimoto. I miei genitori avevano notato in me poca forza muscolare e, dopo varie indagini, mi è stata diagnosticata la distrofia muscolare di Duchenne: è una malattia degenerativa che colpisce tutti i muscoli del corpo, anche gli organi vitali come il cuore e i polmoni. Essendo piccolo, non mi resi immediatamente conto delle sfide che avrei dovuto affrontare e delle rinunce che avrei dovuto fare. Col tempo mi resi conto che la mia prestanza muscolare mi avrebbe lentamente abbandonato, capii che avrei dovuto reinventare il modo di concepire lo sport, a meno che non volessi rinunciare a questa mia grande passione. I momenti di sconforto non sono mancati, ma la voglia di continuare a vivere pienamente, senza rinunciare alle esperienze significative della vita, è stata assai maggiore. Così mi dedicai al quad che, provvisto di quattro ruote, mi permise di guidarlo fino a che le forze mi furono sufficienti. Sapevo ormai che il tempo per questa passione sarebbe stato limitato. Lasciato il quad, conobbi i miei due compagni di viaggio: la carrozzina e il wheelchair hockey. Ho inizia-
to a giocare a wheelchair hockey a undici anni. Fu amore a prima vista. Se ti appassioni a qualcosa non ti preoccupi di cosa potrà essere di te domani, di come evolverà la malattia, ma ti immergi anima e corpo nel presente, preoccupandoti solo di renderlo più pieno e significativo possibile. Quindi questo è il mio consiglio: appassionatevi! Oggi gioco nella squadra dei Friul Falcons. Grazie a questa disciplina disputo partite in tutta Italia e questo mi permette di viaggiare e scoprire posti nuovi. Cinque sono i giocatori per squadra. A seconda delle proprie possibilità fisiche, a ogni giocatore viene dato un punteggio, da 0,5 a 5. La squadra schierata in campo non può superare il punteggio di 11,5. Tutti quindi, indipendentemente dalla condizione fisica, possono contribuire al gioco, offrendo pari opportunità a tutti quanti i componenti. I giocatori sono suddivisi in due ruoli: mazza e stick (attrezzo inserito nella parte bassa
anteriore della carrozzina, utilizzato da coloro che non riescono ad usare con le proprie mani una mazza). Lo stick ha il compito di difendere e proteggere il portatore di palla, mentre la mazza ha il compito di portare palla e segnare. Velocità massima consentita 12 km/h. Prima di ogni partita l’arbitro si occupa di controllare che le carrozzine siano a norma di regolamento. Se si superano i limiti di velocità scatta il cartellino rosso. Non è affatto piacevole, ahimè, anch’io ho provato questa brutta sensazione. Cosa si prova giocando? Il mix di emozioni è intenso e complesso,
come per tutte le discipline si assapora gioia, rabbia, tristezza. Ma la felicità che provo prima, durante e dopo supera ogni paura. Subentrano orgoglio, voglia di vincere, senso della sfida, soprattutto con noi stessi, competizione e rispetto verso gli avversari, voglia di dare il massimo e condividere con tutti le emozioni che ogni esperienza trasmette, compreso il coinvolgimento del pubblico. Sono tanti anni che pratico questa disciplina, ma certe emozioni mi accompagnano fin dalla prima volta quasi come un rito, infatti tutt’ora non manca la costante "ansietta" pre partita, tipica di ogni sportivo, che, una volta iniziato il gioco si trasforma in adrenalina pura. Quando entro in campo, con lo sguardo assorto nei miei pensieri per trovare la concentrazione giusta, in realtà nascondo una grande tensione che, al fischio dell’arbitro si dissolve immediatamente; la mia attenzione è rivolta alla partita e tutto ciò che provo lo controllo con la concentrazione, non esistono più paure, tensioni e ansie. Gioco per dare il meglio. Con l’esperienza che vi porto vorrei stimolare una riflessione sulla potenza dello sport ed evidenziare le opportunità che la disabilità può offrire e non sempre e solo ai limiti che questa impone. Nonostante la forza fisica del disabile sia spesso limitante, ciò non significa che sia debole anche interiormente, al contrario è alimentato dalla voglia di realizzarsi, di superare i propri limiti e mettersi in gioco nelle esperienze di vita, esattamente come gli altri. L’ostacolo più grande per un disabile non è la propria condizione, ma la difficoltà nel dover abbattere le barriere mentali delle persone che vengono in contatto con noi nel nostro percorso di vita.
Hanno collaborato a questo numero
LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada de I Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost Capo Redattore Giorgio Achino
——————————————
Anonimo Naoniano Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili.
——————————————
——————————————
Milena Bidinost Per noi avere a che fare con una giornalista di professione non è mai facile: “Milena sai che ho sentito dire che.. vabbè dai, non importa”. Per lei avere a che fare con gli articoli che escono dalla Panka non è mai facile: “Scusate ma non credo che questa cosa si possa scrivere così perché giornalisticamente.. vabbè dai, non importa”. Milena, la mediazione è un’arte! Ben arrivata al MoMA!
——————————————
Giorgio Achino Teatrante per diletto adesso applica la tecnica in Panka. A tutti dice: "Sarò chi vuoi, nella tua personale rappresentazione della vita"; palco e Panka si confondono. Benarrivato in questo teatro! Sempre in scena Giorgio
——————————————
——————————————
Elisa Cozzarini Liberata dai fardelli del dover fare per gli altri si è messa in proprio, così può scrivere, leggere, scrivere, progettare, scrivere, studiare, scrivere. Non manca di farlo anche per la Panka perché, se è vero che il futuro è, appunto, tutto da scrivere, quello che sei lo ritrovi nei posti che abiti.
Creazione grafica Maurizio Poletto
Stampa Faros Group s.r.l. Via Gorizia,2 33077 Sacile PN
Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”
Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora spazia anche in altre pagine, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!
Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Fiume 8, 33170 Pordenone
Impaginazione Ada Moznich
——————————————
Chiara Zorzi S: "Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!" C: ”bella ma non si scrive così...” S: "ok non è perfetta ma il senso poetico..." C: "...si bello, ma non si scrive così in Italiano!" S: "Quindi?" C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara
Redazione R75, Laura Venerus, Olimpio Biasoni, M.P., Anonimo naoniano, Francesco, Margherita Errico, Massimo Crapis, Ada Moznich, D.R., Mario Cascio, Rachele, Antonio Zani, Elisa Cozzarini, Mattia, Jacopo Verardo, Chiara Zorzi.
Fotografie A cura della redazione. Foto a pagina 1 di Ada Moznich Foto a pagina 2 a cura dell'Associazione Festa in Piassa Foto a pagina 3 di Ubaldo Pianezzola Foto a pagina 1, 4,6 e 9 dal sito: https://pixabay.com/it/ Foto a pagina 11 Rachele Foto a pagina 12 a cura dell'Associazione culturale Porto dei Beneandanti Foto a pagina 13 Elisa Cozzarini Foto a pagina 14 Jacopo Veranrdo Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Fiume 8, 33170 Pordenone Tel. 0434 371310 email: panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Instagram: panka_pordenone Youtube: Pankinari Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Credit Agricol Friuladria: IT80M0533612501000030666575 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al giovedì dalle ore 13:00 alle 17.30 e il venerdì dalle 13.00 alle 16.00
——————————————
Margherita Errico Attivista, presidente, insegnante, buddista, napoletana che parla anche il russo. Amante dei gatti e della Toscana, tanto da comprare una casa e andarci a vivere. È una donna che non si tira in dietro di fronte a niente, neanche alla sua malattia e al raccontarla. Per la Panka è il riferimento per tutte le questioni sull'HIV, ma soprattutto è una grande amica.
HIV, PROTEGGERSI SEMPRE DISCRIMINARE MAI
LE PERSONE CON HIV CHE SEGUONO CORRETTAMENTE UNA TERAPIA ANTIRETROVIRALE EFFICACE POSSONO RAGGIUNGERE UN LIVELLO DI VIRUS PRESENTE NEL SANGUE TALMENTE BASSO DA RENDERE IL VIRUS STESSO NON TRASMISSIBILE PER VIA SESSUALE AD ALTRE PERSONE
I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA