LDP 1/2021

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APPROFONDIMENTO

Letture

Libertá di Parola 1/2021 ——

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

In un anno segnato dalla pandemia di Covid gli italiani hanno letto di più ma, rispetto ai numeri preemergenza, sono cambiati i modi della fruizione e degli acquisti di libri. Le stesse pratiche culturali – letture, ascolti, visioni – si sono trasferite nella sfera virtuale, laddove prima avvenivano in presenza e nella socialità. Anche i nostri Ragazzi si sono dati alla lettura, scegliendo gli autori di casa nostra. a pagina 7

CODICE A S-BARRE

Carcere e Covid-19, ancora più disagi per i detenuti a pagina 6

INVIATI NEL MONDO

Volontario in un paese lontano, il meraviglioso Nepal a pagina 11

PANKAUNI

Esperienze di studio e passioni di vita dopo la maturità a pagina 12

PANKA NEWS

Pandemia, la natura si è ripresa i suoi spazi? Animali selvatici e domestici in tempo di Covid-19 di Milena Bidinost Il lockdown totale lo scorso anno e le restrizioni agli spostamenti che sono poi continuate a causa dalla pandemia di Covid-19, hanno costretto l’intero paese a restare in casa o a ridurre massicciamente gli spostamenti della maggior parte delle persone. Questa assenza forzata dell’uomo, soprattutto durante il lockdown, ha permesso agli animali selvatici di muoversi e spostarsi “indisturbatamente” in paesi e città; contemporaneamente

ha cambiato anche le abitudini degli animali che in casa con l’uomo già ci vivevano. È successo a causa di una maggiore presenza dei loro padroni, magari impegnati nello smart working, oppure della loro assenza nel caso di ricoveri in ospedale o impossibilità a seguirli nelle loro necessità in caso di quarantena. Le misure restrittive imposte durante la pandemia sono un elemento che ha influenzato la fauna selvatica. Questo periodo è stato ribat-

tezzato da alcuni ricercatori “antropausa”, un neologismo usato per indicare la sospensione di molte attività antropiche. Anche in Italia, durante il lockdown, diversi media hanno pubblicato fotografie e video di animali selvatici a spasso per le strade cittadine, spesso accompagnati dallo slogan “la natura si riprende i suoi spazi”. È stato davvero così nel nostro territorio? Come vanno interpretate quelle immagini? Sul fronte degli animali domestici, invece, la pandemia ha fatto registrare un aumento della richiesta di animali domestici, una fenomeno che può essere collegato sia al desiderio di accogliere in casa cani, gatti o altri animali, sia al fatto di poterlo fare con più tranquillità per via dei lunghi periodi che si trascorrono in casa a causa della pandemia da coronavirus. Che conseguenze ha comportato per i nostri amici a quattro zampe?

HIV DAY 2020, un’edizione tutta social in epoca di Covid-19 a pagina 13

NON SOLO SPORT

Tra fisico, mente e spirito: lo yoga, l’arte antica del prendersi cura si sé a pagina 14


IL TEMA

La natura e i lockdown, cos’é cambiato Le tante sfaccettature di un ambiente che evolve, non solamente per il Covid-19 di Mauro Caldana, naturalista Pare che i confinamenti da Coronavirus abbiano migliorato la salubrità della “casa comune”, almeno per certi aspetti. Con le strade deserte, di certo non servivano i rilevatori dello smog per capire che l’aria era più pulita. E poi quei “silenzi assordanti”, addirittura in centro città, consentivano un certo relax agli apparati uditivo e respiratorio, nell’ordinarietà vittime d’insulti non da poco. In molti hanno goduto anche di un certo benessere mentale, con più tempo per riflettere serenamente. Tante persone si sono chieste se anche la fauna selvatica sia stata avvantaggiata dalla riduzione delle attività umane: in certi casi, pochi a dire il vero, sembrerebbe di sì. Intanto, è stato constatato che la riduzione del traffico stradale ha evitato molti investimenti. Qualche video girato col telefonino ci ha mostrato comportamenti inaspettati e

sorprendenti. Però attenzione, non sono da associare a quelli che girano sui social da anni, che mostrano cinghiali in visita alla periferia della città; il pascolo dei cervi in pianura; le scorribande dei lupi tra le greggi; i bagni delle nutrie nei fiumi urbani; le spennature tra le case delle prede da parte dello sparviere; le becchettate degli aironi guardabuoi sui prati urbani. Questi avvicinamenti non sono giustificati dalla pandemia, ma

Animali da compagnia alle prese con i loro padroncini e con lo stress da pandemia I nostri amici cani e gatti sono stati più utili a noi di quanto noi lo siamo stati per loro Il parere del veterinario di Giorgio Achino Come vivono la pandemia i nostri animali domestici? A volte mi piacerebbe avere il dono del dottor Dolittle (il protagonista di una serie di libri per bambini di Hugh Lofting) il cui talento era quello di riuscire a parlare con gli animali. Vorrei avere quel dono, per dialogare con loro rispetto (e non solamente) a questo periodo nefasto. Non credo che la pandemia da Covid-19 li abbia toccati direttamente, ma, di sicuro, come al solito, sono stati utili a noi, più di quanto noi lo siamo stati per

loro. I nostri amici a quattro zampe sono stati per noi la giusta motivazione per uscire a fare quattro passi fuori di casa; ci hanno tenuto compagnia a chi la solitudine da lockdown l’ha vissuta veramente. Abbiamo sentito un nostro amico veterinario per capire e scoprire come, dal suo punto di vista, gli animali possano aver vissuto questo periodo. Tommaso Padovese, giovane professionista del Portogruarese, ci dice che mai, come in questo periodo, il lavoro in ambulatorio è

cresciuto esponenzialmente. Tanti sono stati gli interventi legati alla necessità di avere una maggior conoscenza del proprio animale: altrettanti quelli che presentavano una bassa necessità clinica. La maggior parte degli interventi erano dovuti a dubbi, ansie e problematiche che mai prima d’ora erano stati presi in considerazione; insomma a fronte di una maggior esposizione al contatto con i nostri animali c’è stato un aumento delle problematiche che sono emerse. «Tutto ciò non è

dai cambiamenti ambientali generati dall’uomo, prima di tutto la riduzione degli spazi vitali, per causa di un’agricoltura che vuole prendersi ogni spazio. Video girati realmente in tempo di pandemia, sono stati quelli dell’anatra disorientata, ma guardinga, che zampettava sulla strada deserta, con al seguito una lunga fila di pulcini; i cervi al crepuscolo, che prima facevano capolino dal bosco e poi sono usciti sulla strada e tra le case, in un silenzio sconosciuto; l’asfalto stradale, in prossimità di aree umide, senza i soliti anfibi spiaccicati. Poco reali sembrerebbero essere i video di alcuni animali di fiume e di mare, dai pesci ai cetacei, ad esempio i delfini, che volevano testimoniare un calo dell’invadenza dei natanti a motore che, in realtà, è stato quasi impercettibile. Chissà se i delfini ripresi addirittura tra i moli di Venezia, in un mare placido e trasparente, rappresentano veramente il luogo citaun male - dice il veterinario perché questo ci permette di stare a maggior contatto con la nostra clientela umana e di conoscere stili di pensiero, e abitudini, potendo così veicolare meglio alcuni concetti che altrimenti mai avremmopotuto trasmettere». Di sicuro, aumentando la possibilità del padrone di stare a casa, la questione da prendere in seria considerazione è lo spazio. Infatti i nostri animali con noi condividono un territorio che per la maggior parte del tempo rimane a loro disposizione (quando siamo al lavoro) e che improvvisamente hanno dovuto condividere 24 ore su 24 con noi. Se dal nostro punto di vista questo non comporta un grosso problema (anzi è solo un vantaggio a livello di compagnia) non è detto che dal punto di vista dell’animale valga allo stesso modo. «Infatti - dice Padovese - dobbiamo considerare che i nostri animali hanno delle precise esigenze che devono essere tenute fortemente in considerazione, soprattutto dal loro punto di vista. Paradossalmente i cani hanno goduto maggiormente della


to, nel periodo pandemico. Dati approfonditi sugli effetti dei lockdown sugli animali selvatici, conseguenti alla pandemia da Coronavirus, li sapremmo quando diversi ricercatori metteranno a disposizione i risultati di vari studi intrapresi. In fatto di Coronavirus, un discorso a sé riguarda gli animali domestici, di numerosi generi, fra tutti cani e gatti, che hanno avuto un incremento di qualche decina di unità percentuale, giustificato da una solitudine umana ordinaria e diffusa, sommata a quella imposta dai distanziamenti anti-contagio. Vivendo i tempi della pandemia, ho fatto diverse considerazioni, una voglio sottolinearla: ho notato che l’impossibilità di uscire dai comuni di residenza, ha indotto molti di noi a passeggiare lungo le vie del proprio paese, a Cordenons nelle risorgive del Vinchiaruzzo e nei magredi, a Pordenone lungo i camminamenti dei vari parchi urbani. C’è da augurarsi che il piacere, il relax, il benessere fisico derivato da ciò, possano contribuire a farci conoscere meglio le bellezze naturalistiche e a responsabilizzarci in loro favore, per una migliore conservazione e salvaguardia. presenza del loro padrone in casa, poiché è indiscusso che un cane è felice quando sta con il proprio padrone. Il problema nasce quando il padrone torna ad una condizione di vita normale, lasciando il proprio cane (soprattutto se è cucciolo) in una condizione di solitudine alla quale non è stato abituato. Ecco che si richiede l’intervento del veterinario - aggiunge - per un problema che apparentemente scaturisce dal soggetto animale, ma che è causato da quello umano. Diametralmente opposta è la situazione dei gatti - continua il veterinario - che invece soffrono l’altissima esposizione al proprio padrone in un territorio (soprattutto per quelli che non possono usufruire di uno spazio esterno) ed in una modalità a volte soffocante per l’animale. La risultante è un numero elevato di casi di cistiti da stress. Come spesso dico - conclude - avere un animale è un’opportunità splendida per ragionare in maniera diversa: ricordiamoci che ragionare da cani (o da gatti) in questo caso è un bene».

Volontari in campo per aiutare i proprietari in difficoltà nella gestione dei loro animali domestici Per le famiglie in quarantena l’associazione LEIDAA ha messo in campo una task force che si occupa dei loro amici a quattro zampe di Chiara Inguì La pandemia da Covid -19 da oltre un anno mette in difficoltà le famiglie, soprattutto quelle costrette alla quarantena perché contagiate dal virus: con esse a cambiare abitudini sono costretti anche i loro amici a quattro zampe. L’Associazione LEIDAA (Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente) a partire dal mese di marzo 2020 si è messa a disposizione, con i propri volontari sparsi in tutta Italia, per aiutare le famiglie in isolamento o quarantena a causa del Covid -19 nella gestione dei propri animali e nel rispetto delle prescrizioni anticontagio. In Friuli Venezia Giulia è stata istituita una task force, coordinata dall’avvocato pordenonese Alessandra Marchi, che vede centinaia di volontari dislocati a Pordenone, Udine, Trieste e Gorizia ma anche in numerosi altri comuni, impegnati a portare a passeggio i cani delle famiglie impossibilitate ad uscire, oppure accompagnando gli animali

dal veterinario, se necessario, finanche ospitandoli nelle proprie abitazioni in caso di ricovero ospedaliero o in attesa di adozione quando il familiare ha perso la battaglia contro il Covid. Inoltre, LEIDAA sta donando cibo in molte strutture del Friuli Venezia Giulia cogliendo l’occasione per conoscere gli animali ospitati, ma soprattutto per farli conoscere. Quella del volontario LEIDAA è insostituibile, è presente laddove le istituzioni non arrivano e, in un solo gesto, aiuta le persone e gli animali. Le famiglie ci affidano gli animali e loro si affidano a noi, capiscono quando arriva l’ora della passeggiata stringendo con noi un particolare legame affettivo tanto da rendere difficile il separarsi da loro. Ho conosciuto LEIDAA tramite un servizio del telegiornale regionale e mi sono subito attivata per contattare l’associazione rendendomi disponibile. Le particolari condizioni di vita del periodo hanno sicuramente influito

sul desiderio di rendermi utile soprattutto perché, avendo degli animali domestici potrei averne io stessa bisogno. Rendermi utile nei confronti di chi si trova in questa condizione è venuto spontaneo: ciò che può sembrare scontato, può condizionare molto la vita nel momento in cui viene meno, e talvolta non si comprende davvero fintanto che non lo si sperimenta in prima persona. Altrettanto vero è che serve davvero poco per rendersi utili. In questo caso è sufficiente un’ora del proprio tempo, a volte meno, per contribuire alla serenità di un cane e della sua famiglia. Spesso mi sono soffermata a riflettere sul gesto di fiducia da parte delle famiglie che mettono il proprio animale nelle mani di persone sconosciute, fidandosi ed affidandosi allo stesso tempo. Potrebbe sembrare riduttivo, ma affidare il proprio animale – che diviene parte della famiglia – nelle mani di un’altra persona è un gesto di grandissima fiducia. Ciò implica necessariamente un forte senso di responsabilità nel volontario, che dev’essere cosciente di questi aspetti molto importanti. Come già riportato nella prima parte dell’articolo, è vero che si crea un legame con i cani che accompagniamo a passeggiare, soprattutto quando si riesce a dare una continuità e l’isolamento della famiglia si protrae nel tempo. Certamente è gratificante vedere quanto sono felici di passeggiare nel caso in cui siano cani che da subito si lasciano andare senza problemi, ma anche nel caso ci mettano un po’ di tempo a sciogliersi mostrando man mano di voler allungare le passeggiate. Essere di aiuto agli altri può avere quindi varie sfaccettature, a volte tutto sta nel trovare la propria dimensione e il proprio spazio.


RUBRICHE

Pandemia, andrà davvero tutto bene?

focata dalla burocrazia, che garantisca le stesse prestazioni a prescindere dal luogo? Perché in alcune aree del Paese la situazione è parecchio triste. Per non farci mancare nulla si è tenuto sempre un atteggiamento ambiguo sulle misure da prendere. Un giorno si grida “Si alle chiusure!” un altro si vuol aprire tutto. Ci sono stati sindaci che han fatto ritarda-

re le zone rosse, causando un aumento dei contagi. C'è anche chi non si è fermato mai, zona rossa o no: l'industria bellica, ha continuato a sfornare armi. Adesso l'umore generale non è dei migliori, la gente si è stancata e si sente spesso parlare di un ritorno alla normalità. Ma di quale normalità parliamo? Il contraccolpo economico causato dal virus ha messo in evidenza la fragilità del tessuto sociale. Le stime fatte dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico sulla ripresa post virus (che prevedevano un calo del 7-8% del PIL), erano ottimistiche e vanno riviste al ribasso. Le disuguaglianze, create da un trentennio di economia liberista sempre più sfrenata ed aggressiva, sono esplose in questo anno. La povertà è aumentata, molti se la passano peggio rispetto ad un anno fa; la Caritas ha dovuto sostenere un numero di persone sempre crescente, le richieste di pacchi alimentari riguardano sempre più famiglie. Non è andata meglio con la scuola. Se la Didattica a distanza ha finito per penalizzare alcuni (per mancanze diverse), alla fine saranno due anni di scuola persi per tutti; quanto peserà questo sul futuro dei ragazzi? E il riferimento non è solo la scuola. In questo periodo “oscuro” il tanto criticato e dileggiato (i casi dei furbetti sono ben amplificati) Reddito di Cittadinanza ha consentito a molte persone

Prima, la pornografia era giornaletti “sporchi” e cinema sordidi. Poi ci fu l’avvento delle videocassette. Poi quello dei DVD, che diede impulso al mercato pornografico. Con Internet, “l’universo del porno” è dilagato, è nato il porno universale. Un portale come PornHub ospita oltre tre milioni di video. Nel 2019, le visite a PornHub, sito “pioniere” dal 2005, ma uguale o più piccolo di altri, sono state più di 42.000.000.000. Sono numeri enormi, dietro ai quali girano interessi di vario genere. Tre milioni di video in un solo sito vuol dire che un esercito di uomini e di donne ogni giorno si esibisce in “numeri” che avrebbero lasciato allibito anche il più intraprendente tra noi, qualche anno fa, ma che oggi sono all’ordine del minuto, in questa società ormai vecchia, stanca, malata, cinica, pervertita. Così è. Io stesso, sono un fruitore, seppure

superficiale, di certe produzioni. Credo che il 110% degli uomini e delle donne abbia conosciuto e frequenti, più o meno assiduamente, il porno offerto gratis dal web. Ma solo una parte minima di questi lo ammette. Del resto, lo trovo naturale: la nostra parte bestiale trova stimolante, vedere immagini esplicite. Ma bisogna considerare che esiste una cosa che ormai è proibito nominare, che si chiama morale. Quando vengo a sapere, ad esempio, che moltissimi ragazzi scelgono la morosa in base a “quello che sa fare” o no, mi prende una tristezza senza fine. Una volta, la morosa uno se la sceglieva perché era carina, o perché era in gamba, o ti capiva. Adesso, l’interrogativo è: “Lucia, della terza B, sarà abbastanza “abile” per diventare la mia morosa?”. La pornografia allontana da noi l’idea di un atto sessuale compiuto come

«Senza un vero cambio di strategia e una presa di coscienza rispetto alla tutela dell'Ambiente, tra qualche anno saremo daccapo» di Celox Dopo più di un anno siamo ancora alle prese con il Covid-19, le sue variabili, i vaccini, le zone rosse e tutto lo strascico di problemi a seguire che si creano. Hanno iniziato con gli elogi fasulli dell'Organizzazione mondiale della Sanità sulla nostra capacità di risposta come Paese, dopo c'è stata una gestione che definire poco efficiente è un eufemismo. Ma per quante attenuanti si possano concedere all'imprevedibile, c'erano tutte le informazioni e direttive per avere almeno il personale sanitario dotato di attrezzature adatte ed efficienti e con un minimo di preparazione. A completare il quadro, sono state fatte delle scelte poco realistiche, come il cercare di far profitto su salute-sanità e le continue spinte alla privatizzazione. Veniamo da un ventennio di tagli e politiche di austerità, che si sono fatte più stringenti dopo la crisi 20082009. Da quando c'è la pandemia gli operatori sanitari sono sotto pressione ed hanno avuto oltre 250 decessi causa

virus. Il personale sanitario è ridotto all'osso, le paghe non vedono aumenti da un bel po', non c'è ricambio del personale da anni. Il Covid ha finito col dirottare attenzioni e personale il quale, essendo ridotto ai minimi termini, ha dovuto sacrificare altre cure e prevenzioni. Quanto è importante avere una sanità pubblica efficiente e non sof-

La pornografia ieri e oggi «Uccide la libido autentica per dare spazio al più sfrenato (e improduttivo) auto-erotismo» di Ferdinando Parigi


di vivere. Draghi ha già annunciato tagli ai sussidi; come se la vedranno dopo molti di loro? L'ambiente? Immaginate solo quanta plastica e materiale non riciclabile sono stati prodotti e aggiungete tutto quello che si è accumulato in questo anno. Morale: si chiuderanno entrambi gli occhi e si metteranno da parte le leggi ambientali per eliminare tutto. La pandemia non ha intaccato solo la produzione, ma tutta la filiera compreso raccolta, distribuzione e via dicendo. Gli effetti nefasti del virus non sono neanche emersi tutti. Confindustria “affila le armi” e chiede la fine del blocco dei licenziamenti, che nel momento in cui scriviamo è protratto fino a giugno. Quanti avranno nuovamente un lavoro? E per quanto tempo? Quante attività hanno chiuso e non riapriranno? Anche le (magre) pensioni, che non vedranno aumenti per i prossimi tre anni ed anzi, rischiano di subire tagli. Non saranno certo i vaccini a farci tornare alla normalità. Se non ci sarà un vero cambio di strategia economica, sociale e politica, ma anche una presa di coscienza individuale e collettiva, sul vivere, pensare ed agire con l'ambiente e non contro, tra qualche anno, saremo da capo; un nuovo virus, con ancora più varianti e più difficile da debellare. Non sto inventando nulla; questo dice la storia, la grande maestra inascoltata. culmine di una passione amorosa e ci avvicina ai Bonobo, quella specie di scimmie che vive al puro scopo di procurarsi piacere sessuale. La pornografia uccide la libido autentica -quella che si genera vis-à-vis, e che - in fondo - favorisce la perpetuazione della specie umana per dare spazio al più sfrenato (e improduttivo) auto-erotismo. Negli anni ‘80, pochi avevano il coraggio di chiedere all’edicolante una rivista porno. Oggi, moltissimi guardano volentieri un video in cui una donna viene ripetutamente presa a ceffoni (divertendosi un mondo). Anziché insorgere contro questa tendenza, molte venerano Siffredi, ormai un eroe nazionale, mandando in pezzi tutto quello che le donne degli anni 60, 70, 80, 90 affermavano. “Io sono mia!”, dicevano. Adesso possono dire: “Io sono di chiunque!”. Peccato.

Il corso di formazione che mi ha fatto ritornare il sorriso «Non avrei mai pensato che qualificarmi come assistente alla manutenzione del verde potesse darmi una soddisfazione che non provavo da tempo» di R75 Vi voglio raccontare la mia esperienza che nasce da un’opportunità concessami dall’assistente sociale, ovvero quella di potermi qualificare come assistente alla manutenzione delle aree verdi con un corso di 600 ore tra lezioni in aula e pratica. Ho potuto e voluto cogliere un’opportunità che ha caratteristiche dell’inimmaginabile soprattutto per me che partivo dagli arresti domiciliari e da una situazione di indigenza. Un’opportunità che ha posto delle basi per un cambiamento possibile, che spero sfoci in una opportunità lavorativa. Ho potuto ri-incontrare persone, relazionarmi con qualcuno. Non scorderò mai il primo giorno in cui la mascherina copriva il mio sorriso che non voleva proprio lasciare il mio viso. Sono partito un po’ prevenuto nei confronti del corso, non credevo fosse così specifico e formativo. Soprattutto non credevo che suscitasse in me un interesse che non provavo da un sacco di tempo. Quell’interesse ha fatto sì che quel sorriso io c’è l’abbia ancora stampato in viso, nonostante le tante ore di stage, ore di lavo-

ro in cui riaffioravano ricordi di esperienze passate, in cui condividevo le esperienze dei miei compagni, ore in cui ho sperimentato accoglienza e non giudizio. Quindi posso solo parlare bene di questa esperienza, che mi sono giocata fino in fondo, che non ho lasciato in balia degli eventi, per ottenere anche il meglio da me. Tutto ciò ha fatto sì che io abbia dovuto prendere delle decisioni che non avrei mai preso in precedenza: il controllo delle mie emozioni, del mio modo di pormi anche nei confronti di chi una volta non avrei mai considerato come persona. Per la prima volta mi sono relazionato con quella parte di me più difficile da controllare: il mio umore. Ho sempre fatto il bello e cattivo tempo nelle relazioni con gli altri. Chi ha fatto uso di eroina mi può capire benissimo e, se ci ripenso, mi pare di aver vissuto un sogno, dal quale mi sono risvegliato grazie a questa opportunità che non capita spesso nella vita e che ho colto nel momento giusto. Mi è servita per uscire da un periodo della mia vita che non rinnego, ma che oggi

rifiuto. La mia vita è stata appesa ad un filo che per non so quale motivo non si è mai spezzato e grazie al quale ho vissuto meglio e al meglio questa opportunità. Quello che ho riscoperto è stato il trovare il gusto nel leggere, scrivere, far domande e nel fare il proprio dovere. Ho provato una soddisfazione personale che era ormai lontana da un sacco di tempo (lungi dal pensare che sia sufficiente a farmi sedere), ma fondamentale per tirarmi fuori il sorriso dal mattino fino a sera. In conclusione, posso dirvi che questa esperienza deve essere presa con serietà e consapevolezza. Questa è un’esperienza che da fuori presta il fianco a discriminazione e ad emarginazione, perché può essere associata alla povertà, ad una realtà cioè che pochi vogliono vedere e pochissimi vogliono raccontare. Io però posso dirvi con assoluta certezza e con il sorriso che è un’opportunità che non va denigrata, perché la ritengo positiva e d’aiuto. A me non resta altro che consigliarvi di non lasciar passare occasioni del genere, perché grazie ad esse potete ritrovare il sorriso.


CODICE A S-BARRE

La pandemia in carcere La quarantena quando si entra e per tutti le limitazioni alle visite da parte dei famigliari di Claudio La prima ondata della pandemia da Covid-19 l'ho vissuta all'esterno del carcere. Dalla fine di settembre del 2020 mi trovo all'interno della struttura carceraria di Pordenone. Per quanto riguarda la mia vicenda giudiziaria, non provo nessun rimorso, né senso di colpa, ma molta rabbia. Sono vittima di una condanna ingiusta che ho cercato di Le origini della mia famiglia affondano nell'alta Valle del But, una delle valli della Carnia. Mio padre e mia madre per motivi di lavoro si conobbero in Svizzera. È lì che, negli anni Sessanta, nacqui io, a Basilea. I miei genitori, dopo qualche anno di duro lavoro e sacrifici, riuscirono a mettere da parte qualche soldo e fecero rientro in Italia. Ci trasferimmo a Porcia e mesi dopo nacque mia sorella. Mia madre si chiamava Ingrid. Con lei ho sempre avuto un ottimo rapporto a differenza di quello che ho avuto e che ho tuttora con mio padre. Io e

dimostrare in tutte le sedi e in tutte le forme consentite dalla legge, tentando di provare la mia non colpevolezza. Purtroppo però non è servito a nulla. Ora sono qui, in carcere, dove si vive tra stati di umore alti e bassi e dove le giornate sono sempre tutte uguali, accompagnate dal rumore insopportabile della battitura e dal suono fastidioso delle

Le mie origini in mente tutte le cose che interessavano a mio padre, fregandosene altamente dei desideri degli altri componenti della famiglia: specialmente ad agosto, quando ogni anno dovevamo per forza andare a Timau a trovare rinchiuse con me. Tutti noi detenuti, quando effettuiamo le chiamate e ritorniamo in stanza, cosa che succede ogni giorno, siamo in un lago di lacrime. Sentiamo la mancanza dei nostri cari. Siamo e sono sempre in uno stato di ansia, con la mente sempre combattuta tra i pensieri dovuti alla distanza dai nostri amori che abbiamo a casa e che ci aspettano fuori dal carcere. In stanza, parliamo sempre delle nostre famiglie e abbiamo paura di restare da soli. Da uomo e da papà, questa rappresenta una sensazione veramente forte che ci si sente dentro e a causa della quale ogni giorno ci sono pianti e tanta tristezza. Ci dicono che dobbiamo reagire, ma non è facile perché tutti noi in stanza vorremmo risolvere tutto, pagare per gli sbagli che abbiamo fatto, ma che questo succedesse con la possibilità di stare vicino alla famiglia. Perché la famiglia è molto importante per qualsia-

si persona. Ciò che ho sempre pensato e condiviso con i miei compagni di cella è che avere una famiglia fuori che ci ama e che ci aspetta è una cosa stupenda. Preghiamo sempre per loro e per noi che arrivi il prima possibile il giorno di riabbracciarci e di condividere tutto come prima, anche se per noi e per loro essere qui in carcere resterà una ferita tanto grande da ricucire. Ho 47 anni e vorrei rientrare dalla mia famiglia, tornare a lavorare, seguire con mia moglie i bambini dei quali sento tanto la mancanza, così come tantissimo mi manca mia moglie, nonché dare una mano a mia mamma che sta aiutando la mia famiglia ad andare avanti. Vorrei tanto cominciare a ricambiare tutto quello che mia mamma ha fatto e sta facendo. Lei ha 71 anni. Mi manca tanto e ho il desiderio di abbracciarla e ringraziarla per tutto l'amore che ci trasmette.

di Thomas lui passavamo lunghi periodi senza che ci scambiassimo una parola, un buongiorno; mia madre invece mi faceva anche da sorella e amica. Su di lei potevo contare per qualsiasi cosa e ci scambiavamo consigli. Mi vengono

«In carcere in un altro Paese, posso incontrare i miei cari solamente in video chiamata» di Vladimir lavorare nella campagna e nel bosco del mio paese. A una festa ho conosciuto un ragazza, che poi è diventata mia moglie: da innamorati abbiamo formato famiglia sposandoci e dando poi alla luce tre stupendi bambini, che adesso hanno 17 anni il maschio, 13 anni l’altro e 7 la nostra principessa. Io ho sempre lavorato per la famiglia e per portare a casa tutto il necessario per farli stare bene. Sono oramai due anni che sono qui in carcere, lontano dalla famiglia che mi manca tantissimo come succede a tutte quelle persone che sono

territorio che di fatto impediscono il movimento delle persone tra comune e comune con la conseguenza che per molto tempo puoi non vedere i tuoi familiari. All'inizio del mese di febbraio ci hanno fatto firmare il consenso scritto alla somministrazione del vaccino anti Covid-19 con il quale venivamo informati delle controindicazioni e del fatto che il vaccino prevede che entro novanta giorni venga fatto il richiamo. A metà febbraio ci siamo sottoposti al vaccino con Astrazeneca. La gran parte dei detenuti si sono vaccinati, alcuni si sono rifiutati, soprattutto tra gli extracomunitari, per il timore delle controindicazioni. In questo momento, siamo in attesa di sottoporci alla seconda dose. i suoi genitori. E non c'erano scuse. Questo andò avanti fino a quando non sono riuscito a trovarmi un lavoro. Mia sorella, invece, trovò lavoro e, dopo aver frequentato corsi di specializzazione, si diplomò, conobbe nel frattempo il suo attuale marito e uscì dalla casa familiare. Mia madre venne a mancare nel 2009 a causa di una improvvisa malattia e così io e mio padre siamo rimasti da soli ad affrontare la vita quotidiana fatta da continui litigi che non sto nemmeno ad elencare. Mi servirebbe un'intera enciclopedia.

«Mia madre era una amica, con mio padre tutto un litigio»

Mi manca la famiglia

Mio papà è venuto a mancare quando io ero piccolo. Io sono cresciuto con mia mamma, che non ha mai voluto risposarsi. All’età di 13 anni circa sono andato a lavorare in campagna con lei, e questo fino a quando ho compiuto i 17 anni: avevo trovato lavoro nei boschi del mio paese. Tutta la legna che si tagliava, la portavo a destinazione con i miei cavalli. Questo lavoro mi permetteva di portare a casa i soldi per la mia famiglia. A 20 anni, e fino ai 21, sono andato a fare il militare. Quando sono ritornato a casa, ho ripreso a

chiavi. Così trascorre il tempo un detenuto dentro il carcere di Pordenone. Non esistono giorni feriali, né festivi. C'è poi il problema dell'eccessivo numero dei componenti le celle, un annoso problema nazionale sul quale l’Unione Europea ha richiamato e sanzionato in più occasioni lo Stato italiano, che però è rimasto sordo. La pandemia all'interno del carcere ha portato parecchio disagio anche a noi detenuti. Durante il periodo di quarantena di quattordici giorni che si trascorre in una cella isolata non è consentito ricevere visite da parte dei familiari. Terminato questo periodo, ci si scontra con le limitazioni previste in base alle zone arancione o rossa in vigore in quel momento sul


L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————

Leggere in quarantena di Milena Bidinost Stando al rapporto sullo stato dell’editoria italiana 2020, prodotto dall’Associazione italiana editori (AIED) e riferito alla situazione dell’anno precedente, il 2019 si era chiuso con un più che lusinghiero +4,8% a valore per i canali trade. Soprattutto con un sorprendente +3,4% in termini di copie vendute. Come rilevava la stessa AIED, era la prima volta che accadeva dall’inizio della lunga crisi che aveva preso il via nel 2010. Per la prima volta da quasi un decennio il settore dell’editoria era tornato a un valore di fatturato trade assai prossimo a quello del 2011 (1,422 vs 1,433 miliardi di euro). Ma la sera del 9 marzo 2020 arriva per l’Italia l’annuncio del lockdown, disposto per contrastare la diffusione del Covid-19. Il Paese chiude, si ferma tranne che per i servizi essenziali fino al 3 maggio. Tutto da quel momento cambia. Cos’è successo, quali sono gli effetti della pandemia su editori, librai, autori e lettori? A scattare per noi una fotografia di quest’ultimo anno e mezzo è Giacinto Bevilacqua, giornalista ed editore, unico titolare di Alba Edizioni, casa editrice nata nel 2013 a Meduna di Livenza, in provincia di Treviso, con all’attivo un centinaio di titoli. Di ampio respiro le sue proposte: dalla storia locale alla storia del ciclismo, settori da cui la casa editrice è inizialmente partita, fino ad abbracciare branche diverse, dalla narrativa di impegno sociale alla poesia, dalla cucina alle tradizioni, dalla narrativa per l’infanzia al multimediale, al calcio e alla fotografia. «Il 2020 è stato un anno difficilissimo per l’editoria, messa spalle al muro dalla pandemia e dalle conseguenti, ma spesso incomprensibili, scelte governative – racconta Bevilacqua -. Non ha trovato spiegazione, per esempio, la chiusura prolungata di biblioteche e librerie, culle del sapere, attività che avrebbero dovuto rimanere aperte con orgoglio, attenendosi alle ovvie misure di cautela. Non parliamo dei cosiddetti ristori e contentini, distribuiti a macchia di leopardo e senza sollievo per le piccole e piccolissime realtà editoriali. In città, lo scorso anno, è andata in scena un’edizione surreale di Pordenonelegge senza pubblico, di fatto sottraendo all’editoria locale la bombola d’ossigeno nel

momento più critico. Tuttavia, subita la sbandata primaverile e mal digerito il divieto di organizzare presentazioni, gli editori hanno trovato le contromosse per rimanere a galla, sebbene a caro prezzo e a danno del mondo della cultura». La chiusura delle librerie è stato un colpo basso per librai, editori e lettori. In un anno segnato dalla pandemia di Covid gli italiani hanno letto di più ma, rispetto ai numeri pre-emergenza, sono cambiati profondamente i modi della fruizione e degli acquisti di libri «Naturalmente ha subito un notevole incremento il mercato online che è una sorta di surrogato della normale e ottimale circolazione del sapere – osserva Bevilacqua -. L’annullamento di pressoché tutti gli eventi fieristici e il ridimensionamento di quelli che, con coraggio come Pordenonelegge ci hanno provato comunque, ha impedito l’incontro con gli operatori (autori, editori ecc.) e fra gli appassionati della lettura». E ancora: «Anche i puristi hanno conosciuto lo strumento del commercio online con le sue potenzialità e i suoi limiti. Credo che l’editoria locale, essendo ben radicata sul territorio, abbia sofferto meno di quella nazionale e più generalista. Oltretutto l’editoria locale è formata da medi e microeditori, dalla struttura aziendale generalmente snella. Temo che a fare i conti con danni permanenti, più che gli editori, saranno i librai. In generale l’unica regola certa è che la qualità premia sempre». La forzata restrizione fra le mura domestiche e, in molti casi, la perdita del lavoro, degli hobby, della socialità tradizionale ha creato un fenome interessante tra gli autori dilettanti. «Li ha spinti a tirare fuori dal cassetto i loro progetti editoriali – spiega -. La conseguenza è stata una sovrabbondante richiesta di pubblicazione che, però, nulla ha a che vedere con la qualità. Del resto è noto che in Italia gli scrittori superano di gran lunga i lettori». L’anno che stiamo affrontando come sarà? «Il 2021 rimane un anno di attesa, di preparazione – afferma Bevilacqua -. Con l’estate inizierà quello sperato rimbalzo che ci auguriamo condurrà a un 2022 di rinnovato interesse e impulso per tutte le attività della cultura e dello spettacolo».


Una guida per Pordenone, itinerari a tutto tondo

Il volume scritto da Elisa Cozzarini per Odòs è un viaggio originale e completo alla scoperta dei luoghi, della storia, dei personaggi e degli eventi del territorio di Giorgio Achino “Pordenone. Una Guida” è l’ultima fatica di Elisa Cozzarini, giornalista e scrittrice pordenonese, nonché firma inconfondibile di LdP. Il suo impegno ambientalistico e la sua attenta penna l’hanno portata a scrivere una guida innovativa pubblicata dall’editore friulano “Odòs” come la numero venti della collana “Incentro”. L’autrice racconta e coinvolge il lettore, con spirito indipendente e appassionato, nel viaggio alla scoperta della propria città rintracciata, approfondita ed elaborata grazie alla sua personale rete di amicizie umane e professionali. Fa tutto ciò, seguendo un sogno intimo che è anche un appello pubblico: «Mi piacerebbe che la città ritrovasse il suo coraggio di innovare e diventasse una piccola Copenaghen». La guida, come detto, è un viaggio che si

muove sulle corde di gusto ed emozione di chi le scrive, con passo contemporaneo e attento. Innovativa ma ricca di memoria, la guida è fede-

Un nuovo caso per il commissario Tonelli In “Polvere e cenere” ritorna il personaggio nato dalla fantasia dello scrittore pordenonese Gianni Zanolin di Riccardo Bianchet Leggendo “Polvere e cenere” del pordenonese Gianni Zanolin, viene facile seguire il protagonista del libro, il commissario Tonelli, nelle sue traversie all’interno della provincia di Pordenone. Zanolin, già autore di altri scritti tra i quali uno dei più conosciuti è “Non erano i bambini”, ha già dimostrato di saper scrivere in modo coinvolgente e affascinante. È capace di tenere per mano il lettore accompagnandolo nei pensieri, oserei dire “filosofici”, più intimi del protagonista, oltre

le alla struttura del manuale di viaggio classico, ma con lo sguardo preparato e laterale dell’autrice che ne fa una sorta di quaderno di viaggio.

Elisa propone otto itinerari che comprendono in andata e ritorno il centro e la periferia della nostra città facendo scoprire al lettore le diverse sfaccettature della città. L’immersione è globale e troviamo tutto lo spettro culturale, artistico, progettuale ed industriale pordenonese. Un viaggio a tutto tondo che parte dai festival culturali passando attraverso l’industria, da quando nell’800 Pordenone fu definita la “Manchester del Friuli” per lo sviluppo del tessile fino ad arrivare alla Rex della famiglia Zanussi; racconta dal design agli innumerevoli personaggi che costellano il panorama pordenonese come Antonio Zuccheri che ha esposto al Moma, Emanuele Barison, fumettista autore di Diabolik, Tex, Zagor, il regista e fumettista Giulio De Vita, ricordando anche che Pordenone è

che nelle sue relazioni sentimentali. Con una scrittura semplice e lineare, ma allo stesso tempo emozionante, permette al lettore di insinuarsi nel mondo della pubblica sicurezza, “mostrando” quello che accade nel cuore delle operazioni di Polizia, in particolare della Questura di Pordenone. Un lavoro per niente facile quello di Vidal Tonelli. In “Polvere e cenere” si trova dinanzi un notaio che, nascondendo il suo vero intento, denuncia la scomparsa della moglie milionaria. Così inizia l’indagine. Nel sontuoso ed elegante attico della signora emergono particolari che suggeriscono venga condiviso con un’enigmatica ragazza giapponese. Analisi accurate portano a rivelare un giro di denaro basato sul trasporto di droga. Uno stile di vita, quello della moglie del notaio, molto diverso dall’impalcatura su cui sembra essere stato costruito. Dunque il commissario, assieme ai suoi fidati collaboratori, fa luce sul passato della donna scomparsa e viene a conoscenza di alcuni dettagli scioccanti:

è connessa ad una fabbrica del mobile usata come copertura per il contrabbando di droga tra Sicilia e Friuli. Entreranno in scena due elementi/personaggi fondamentali che porteranno Tonelli a comprendere che un nuovo potere sta formandosi nella sua città e che ha deciso di provocarlo. Così si trova costretto a reagire e ad affrontare una sfida per la quale verrà esposto ad un rischio mortale. La storia di questo libro è collocata in


stata la capitale italiana del punk con la band The Great Complotto e ha visto emergere gruppi come i Tre Allegri Ragazzi Morti e i Prozac+. Cozzarini nel suo peregrinare si immerge in storie e aneddoti, leggende e fascinazioni personali che creano percorsi inconsueti e attenti anche al “sentimento” dei luoghi. Felice l’idea dei focus colorati in mezzo al racconto che approfondiscono un personaggio, una vicenda, un percorso alternativo. Da segnalare, tra le escursioni “top” e seguendo una delle anime dell’autrice (“l’interazione tra noi e la natura”), gli itinerari fluviali fuori città, da Pinzano alle pozze di Tramonti di Sopra e dell’Arzino, passando per il sito palafitticolo di Palù. “Pordenone. Una guida” si chiude con “Il meglio di”, un vademecum dei consigli dell’autrice su cultura e intrattenimento, shopping e moda per piccoli e grandi – dall’abbigliamento all’accessoristica, dalla gourmandise ai gioielli, dai giocattoli all’arredamento – e ancora sul buon mangiare lento e fast con i ristoranti e le osterie, le birrerie e gli street food, i caffè e le pasticcerie che meritano almeno un passaggio. Ricco il cartellone degli eventi e dei festival segnalati dentro e fuori porta, durante tutto l’anno; e preziosi i suggerimenti su dove alloggiare con soluzioni per tutte le tasche. una città che Zanolin ama e sembra essere consapevole di non conoscere pienamente, se non per la dimensione fisica. Ma è proprio la consapevolezza di quest’ultima a donare al lettore pordenonese un legame tangibile con il libro. Tra le pagine di questo racconto, si riconoscono e distinguono molteplici elementi della provincia, tra cui edifici, ristoranti e bar, vicoli e viali conosciuti anche ai passanti non abituali, e lo stile descrittivo che utilizza l’autore fa apprezzare intensamente le peculiarità storiche di Pordenone, creando una connessione intima tra queste e il lettore. “Polvere e Cenere” pubblicato da L’Omino Rosso è un libro che consiglierei a tutti coloro che desiderano una lettura piacevole senza dover attingere a particolari metodi di interpretazione, essendo questo un testo poliziesco scorrevole ma avvincente allo stesso tempo. Nonostante il genere non sia tra i miei preferiti, la storia mi ha coinvolto sin dalle prime pagine ed è una cosa che mi succede raramente.

In una Berlino anni Ottanta, mentre il muro cade una figlia cerca sua madre Ne "Il silenzio di Veronika” la purliliese Mariapia De Conto scandaglia l'animo umano in seno a eventi tanto epocali quanto sconvolgenti che hanno cambiato il corso della storia di Antonio Zani Un paio d'anni fa, la pandemia nemmeno ci passava per l'anticamera del cervello, tuttalpiù ci si ricordava della “spagnola” di inizio Novecento oppure se ne poteva leggere sui romanzi di José Saramago (cecità) o di Albert Camus (la peste) senza dimenticare il grande Alessandro Manzoni e la peste descritta nei suoi celeberrimi “I promessi sposi”. Noi gente di popolo ci aspettavamo orizzonti non molto luminosi, ma nemmeno così tetri e demolitori come poi invece sono stati. In quel tardo autunno “pre Covid”, variopinto dalle mille tonalità con le quali la natura si veste e si trasmuta poco prima di volgere al proprio omega, ebbi il piacere di conoscere Mariapia De Conto. Andai da lei che manco immaginavo fosse persona colta e scrittrice ben consolidata nel mondo letterario italiano. Ci siamo conosciuti per tutt'altri motivi. Lei stava cercando un manutentore del verde capace e gli fu consigliato di contattare me. Fu tra gli arbusti e le fioriture tardive del suo casale di periferia che iniziammo a conoscerci vicendevolmente; si giunse alla condivisa passione per la letteratura di livello e piano piano lei, con molta eleganza e semplicità, si schiuse alla mia curiosità parlandomi di lei e dei suoi romanzi. Mariapia De Conto, docente di materie letterarie in pensione, organizzatrice di eventi culturali e scrittrice, vive tra le antiche mura del borgo medioevale di Porcia, è donna impegnata nell'ambito dell'ecologia e naturalista convinta, una sensibilità spiccata la sua ben custodita da una personalità forte e decisa. Scrive per diletto storie psicologicamente coinvolgenti ben inserite nei contesti che di volta in volta la sua talentuosa penna imprime sulla carta. Parlammo molto della sua ultima fatica “Il silenzio di Veronika” edito da Santi Quaranta, il romanzo di una vicenda umana

ambientata in una Berlino che era ed è avanguardia culturale ed artistica e che l’autrice ama visceralmente a ridosso dell'epoca che vide la caduta del muro e lo sgretolamento del sistema della “Guerra fredda USA - URSS”. È in quell'epoca di disorientamento, di gioia, di rabbia, di illusioni forti e disillusioni atroci che l'autrice colloca una vicenda umana segnata dal corso di quegli imponenti e cataclismatici eventi. La storia narra le vicende di Petra, ua ragazzina che vive al di là del muro a est, oltre “la cortina di ferro”, e che alla caduta del famigerato muro che divideva in due Berlino, si vede sparire la madre Veronika che fugge, scappa oltre il muro e scompare la-

sciandola sola con il padre, non dando più sue notizie. Petra dovrà fare i conti con un'adolescenza senza il supporto e l'amore di sua madre, ma senza mai perdere la caparbietà e l'ostinazione di ritrovare un giorno la figura materna. Da queste vicissitudini De Conto fa emergere i rapporti umani più delicati e gli affetti più profondi, nondimeno i lutti da elaborare che ne sono conseguenti. Va a scandagliare l'animo umano in seno ad eventi tanto epocali quanto sconvolgenti che hanno letteralmente cambiato il corso della storia. De Conto con il suo stile delicato e profondo va ad incastonare con indiscusso talento storia collettiva con storia individuale, scansionando di volta in volta i sentimenti dell'animo umano. Ne nasce un romanzo importante e vibrante, nel quale è la vischiosità della menzogna, soprattutto della delazione, ad inorridire i cuori e le coscienze, dove i lunghi “veleni del muro” continuano a corrompere anime spezzandole, creando “un muro dentro”, portando a riflettere che forse il male in sé non è opera di persone malvagie, perverse ed abbruttite, bensì una malattia della quotidianità, una malattia comune e, se vogliamo, in fondo pure “banale”.


Riflessioni sulla quotidianità che spesso diamo per scontata “Manuale malincomico”, l’esordio letterario di Odette Copat in uno stile leggero, sobrio, spesso ironico, eppure molto profondo di Antonio Zani La serata era di quelle belle, di quelle che trasudano la classica dolcezza malinconica di quei dì di fine estate, quando i raggi del sole volgendo al desio laggiù all'orizzonte dietro le ultime vette dei monti prendono quel tipico colore rossastro tingendo di rosa le nubi che spaccano l'azzurro scuro in mille ventri di lucertola. Eravamo invitati alla presentazione “prima” del libro di Odette Copat “Manuale malincomico”, il suo esordio nel mondo letterario, alla periferia della città, giù a sud-ovest, al limitare delle lande venete, dove i brulli greti friulani cedono il passo alla pianura della marca. Arrivammo in un casale di campagna che infondeva tutta l'atmosfera di un'epoca arcaica, l'aria pareva intrisa di “Belle Époque”, era una bella sensazione. C'era già gente, si stava preparando la location. Chiedemmo dell'autrice, che si presentò in modo solare, semplice. Era emozionata, non avrebbe mai pensato di scrivere un libro suo. Scambiammo due chiacchiere, seduti tra le panche, fu un'in-

tervista informale: ne venne fuori che lei, Odette, giovane e fascinosa donna che lavora nel mondo dell'autismo e per diletto e quasi per caso fa la blogger, da sempre ha coltivato la passione per le “belle lettere” tant'è che si è pure ritagliata uno spazio come giornalista in una testata del nostro Nord-est. Odette, tutta emozionata, ci raccontò di come siano nati questi racconti messi in libro. Fu il caso. In una serata udinese tra scrittori, qualcuno accennò alla sua bravura e Massimiliano

Santarossa, scrittore, incuriosito la contattò, lesse le sue pagine e la incoraggiò a pubblicarle. Questa raccolta di racconti brevi suddivisa nelle quattro stagioni della natura, più una quinta aggiunta al sopravvenire dell'inaspettata ondata pandemica, discorre di fatti e momenti di tutti i giorni, di quei frammenti del nostro tempo che troppe volte lasciamo trascorrere automaticamente senza analizzare, senza farci caso e darci un senso classificandoli come scontati, di routine. Ecco, è qui che Odette focalizza le sue riflessioni; sul tutto che sembra scontato ma che in fondo mai lo è, analizzando tutto ciò che è parte dei nostri giorni, della nostra quotidianità. Nella quinta stagione, quella dedicata alla pandemia, fa infine emergere come tutto ciò che noi diamo per scontato, spesso sia basato su fondamenta facilmente sgretolabili, insicure. Ci fa riflettere su come la pandemia ci abbia messi inesorabilmente tutti in discussione, spazzando via come per un soffio di vento innumerevoli nostre piccole certezze,

facendoci sentire in fondo quanto noi si sia vulnerabili. La scrittura leggera, sobria e spesso ironica dell'autrice pare a volte navigare nella superficie delle cose, ma al contrario va in modo delicato e raffinato molto in profondità, cercando e dimostrando come frangenti e situazioni che spesso banalizziamo in realtà abbiano un loro senso ben determinato nelle nostre esistenze quotidiane. La serata proseguì con Odette che rispondeva ed interagiva con il pubblico in modo bello, scorrevole e colloquiale, come in ultima analisi liscio, piacevole ed orecchiabile è la sua opera prima “Manuale malincomico”. Quella sera di fine estate, ascoltando ed osservando Odette, mentre le ultime lingue dei raggi solari che si spegnevano sulle mattonelle vivide del cascinale e tra le foglie degli alberi che già viravano alle splendide e malinconiche tonalità autunnali, avevo quasi la sensazione che “Manuale malincomico” ed Odette fossero la stessa cosa. In fondo, credo proprio sia così.

verso quel genere. Per rendere più articolata e vivace la serata abbiamo deciso che ognuna delle componenti cucini e porti un piatto legato al luogo nel quale il libro è ambientato e, se possibile, anche al periodo storico. Abbiamo aggiunto anche l'elemento della cucina perché era una passione importante che ci legava. In questo modo la serata, in cui si discute del libro è anche un motivo per imparare ad assaporare nuove ricette, ad ampliare le nostre conoscenze oltre il libro. Il libro

quindi è proprio un motivo di crescita, ma anche di divertimento. Dopo alcuni anni in cui le scelte di ognuno di noi hanno spaziato tra interessi e gusti personali, abbiamo deciso di leggere ogni anno dei classici. Abbiamo iniziato da quelli italiani e sicuramente è stata una scelta che ci ha permesso di ampliare ancora di più le nostre conoscenze e arricchire le serate. Infatti prima di partire dalla trama o dalle peculiarità del libro facciamo anche un piccolo approfondimento sull'autore in questione e sul libro che sempre dovrebbe essere patrimonio delle biblioteche di ognuno. Inoltre rileggere alcuni libri in età diverse si è rivelato quasi come leggere un nuovo libro, con la consapevolezza che un classico è uno scrigno senza fondo che può essere riaperto e scoperto sempre in maniera diversa ed inesauribile, fonte di significati e stimoli.

Libri da legge e condividere tra amiche La pandemia è un tempo di “sospensione” per molte attività aggregative che fino all'inizio dello scorso anno facevano parte del vivere quotidiano. La cultura nei suoi momenti di incontro è tra gli ambiti del vivere che ha subìto più di una sospensione: è successo anche nel caso di iniziative spontanee, come i club del libro.

di P.T. Un club del libro è una preziosa occasione per stare insieme e chiacchierare di libri. Sicuramente ci sono vari tipi di club con regole diverse e proprie, il club di cui faccio parte è composto da otto donne, che hanno in comune oltre al fatto di conoscersi da qualche anno, l'amore per la lettura e per la condivisione del tempo insieme. Ci incontriamo una volta al

mese a rotazione, a casa di una delle componenti, dopo aver letto tutte lo stesso libro. La scelta del libro viene fatta dalla persona che ospita la serata e quindi è una scelta individuale e basata sui propri gusti e interessi, questo è un elemento importante perché a volte leggi libri che non avresti mai scelto, che si rivelano una bella scoperta o confermano il disinteresse


INVIATI NEL MONDO

Viaggio in Nepal, paese sicuro e in cui si respira serenità e gentilezza «Nella Casa Famiglia dell’associazione Friuli Mandi Nepal Namastè, tra canti, risate e balli» di Christian Pettenello Nel 2015 decisi di provare a capire cosa significa essere un volontario in un paese lontano da casa. Dopo il terremoto che nell’aprile di quell’anno colpì il Nepal e il successivo embargo da parte dell’India, ho pensato che quel paese fosse la meta ideale. Ho cominciato così la mia ricerca su Internet e ho scoperto una piccola associazione onlus che opera nel sociale in Nepal: Friuli Mandi Nepal Namasté. Mi sono messo in contatto con loro ed è iniziato il mio viaggio. Ho trascorso il mio soggiorno in Nepal tra dicembre e gennaio. L’arrivo è stato semplice, il visto si fa direttamente nel piccolo aeroporto di Kathmandu e mentre passi il check-in sembra ancora tutto tranquillo. All’uscita dall’aeroporto comincia la frenesia di una grande città, con voci straniere che si mescolano ai clacson incessanti delle vetture. Per fortuna Santosh, il responsabile della Casa Famiglia dove sarei stato ospite, era lì ad attendermi. Ho trascorso la prima notte a Bhaktapur, la città che ospita tre grandi piazze su cui si

affacciano templi imponenti, sintesi della più straordinaria architettura sacra di tutto il paese. In Nepal mi sentivo tornato indietro di molti anni, ad esempio nei ristoranti a Kathmandu non avevano gas per cucinare e fuori dalla città spesso mancava la corrente elettrica e si cucinava con la legna. Alcune scuole erano chiuse, in quanto mancava la benzina per gli autobus oppure si trovava solamente a caro prezzo al mercato nero. Il giorno dopo il mio arrivo, Santosh è venuto a prendermi in motorino e siamo andati alla Casa Famiglia nel paese di Mulpani, a dieci km a est di Kathmandu, dove sarei rimasto per due settimane. La Casa Famiglia è uno dei progetti dell’associazione Friuli Mandi Nepal Namastè, che opera nel sociale costruendo e finanziando scuole e, per l’appunto, anche un orfanotrofio, che a noi piace

chiamare Casa Famiglia, per garantire ai bambini orfani un adeguato sostegno, una casa e un’istruzione. È bastato qualche minuto per fare amicizia con i ragazzi e le ragazze, i loro sorrisi sono irresistibili e la loro curiosità ha fin da subito avuto la meglio sulla mia timidezza. In Nepal i ragazzi vanno a scuola sei giorni su sette, solo il sabato è un giorno festivo, ma hanno un sacco di vacanze durante l’anno per via delle numerosissime festività religiose. In una giornata tipo, al mattino facevamo colazione assieme con riso bollito e verdure, poi loro andavano a scuola e io avevo il pomeriggio libero. I ragazzi tornavano verso le 16 e ci radunavamo tutti assieme in una stanza per fare i compiti, chiacchierare, giocare, ballare (ai nepalesi piace un sacco ballare e cantare!), divertirci tra le risate assieme a questo nuovo grande fratellone con la barba che si ritrovavano come compagno di giochi. In Nepal più dell’80% delle persone sono induiste, ma ci sono anche buddhisti,

musulmani, animisti e cristiani. Quando c’è una festività religiosa, tutti festeggiano. Siamo così andati a fare una passeggiata al tempio di Changu Narayan, a sei chilometri dalla Casa Famiglia. Il tempio è considerato uno dei più antichi del Nepal e si trova posizionato sulla cima di una collina circondata da una spettacolare foresta di pini. Il tempio è dedicato a Visnu, una delle divinità più significative per gli induisti. Il Nepal è un paese molto sicuro, il posto ideale dove fare trekking sia per la gentilezza e la disponibilità delle persone che si incontrano, sia per le bellezze architettoniche e naturalistiche che si possono osservare. È anche un paese di donne, si incontrano ovunque, in campagna lungo i sentieri mentre trasportano le ceste cariche di raccolto o in città nei mercati davanti e dietro le bancarelle dove vendono, scelgono e comprano. Vestono con colori sgargianti, stanno a viso scoperto e hanno capelli neri lucidissimi, splendidi. Una ragione in più per affermare la sicurezza e la serenità che si respira in questo paese. Le giornate sono sempre state asciutte e soleggiate, ma di notte faceva molto freddo e nelle case non c’è riscaldamento, né acqua calda. Nella Casa Famiglia si dormiva con molte coperte e il risveglio era sempre una sfida con quel brivido che si prova nell’indossare i vestiti freddi. Forse vi state chiedendo come si festeggia il Natale e il capodanno in Nepal? Non si festeggiano! Il calendario nepalese è circa 56 anni più avanti di quello gregoriano, lì sono nel 2072, a metà del mese di Poush. Per gli induisti il Natale è un giorno come un altro se non fosse per il fatto che tutti i bambini, appena ti vedono, in quanto occidentale, esclamano “Merry Christmas!”. Se volete consocere altri miei viaggi, seguite la pagina facebook “Il Viaggiatore Vegano”.


PANKAUNI

Cosa voglio fare da grande, studiare o lavorare? «A 19 anni è arduo sapere qual è la cosa giusta: io l’ho capito chiedendomi cosa avevo sempre amato fare fin da piccola» di Lele “O tutto o niente”, questa era la scelta. Scegliere per il “niente” mi avrebbe portata a lavorare, ad avere uno stipendio e un’indipendenza per lo meno economica, cosa non da poco visto che avrebbe significato anche la possibilità di un’indipendenza abitativa e, quindi, di un distacco, l’inizio di una nuova fase della mia vita. Il “tutto” equivaleva invece a grandi responsabilità, a dover scegliere la giusta università e ad ancora tanto studio. Ho sempre creduto che a 19 anni dover scegliere cosa vuoi fare per il resto della tua vita sia un compito arduo, soprattutto se nel corso della tua vita hai cambiato idea molte volte. Per me la scelta, più si avvicinava, più si faceva difficile. In quinta superiore, un anno fa

quindi, non sapevo nemmeno se avrei scelto di studiare oppure di lavorare. L’unico modo era iniziare a cercare di affrontare delle domande

a cui era giunto il momento di rispondere o per lo meno cercare di togliermi un po’ di confusione (forse sarebbe meglio parlare di coraggio?). Con queste premesse sono arrivata a chiedermi qual era la cosa che fin da piccola amavo fare di più: era il “creare”. Quando ero piccola ho sempre amato dare agli oggetti quotidiani altri scopi, altre soluzioni rispetto a quelli per i quali erano nati: allora, mi sono detta, perché non andare a fare design? È una professione che attraversa gli ultimi due secoli e di cui credo non si possa farne a meno, quotidianamente. L’università che ho scelto però è a numero chiuso, entravano 160 persone sulle 600 che tentavano di fare il test. C’erano ragazzi che provavano

La passione per la Storia antica «Ho amato questa materia da quando ero ancora al liceo. Mi affascina analizzare un momento storico e le sue connessioni con le altre discipline» di Selene Mazzocco “Chi non impara dalla storia è condannato a ripeterla”, diceva Wiston Churchill. Questa frase molto potente è il fulcro per cui la passione per la storia diventa una ricerca quotidiana, sulla quale basare lo studio e il lavoro di una vita intera. Le scienze teoretiche mi hanno sempre affascinato, dissetando la naturale e innata curiosità umana, permettendo di scoprire cosa si cela veramente dietro agli eventi storici di massima importanza. La mia grandissima passione

per la Storia antica e la conseguente necessità di diventare ricercatrice in questo ambito nasce dal bisogno di analizzare un particolare momento storico e riuscire a identificare i vari collegamenti tra le discipline; per esempio come sottoporre ad una attenta e accurata valutazione di una serie di pittogrammi murali dell’età del bronzo possa collegarsi con la storia dell’arte, filosofia dell’arte e iconografia, e come ci possa mostrare il modo in cui le persone di

migliaia di anni fa vivevano e si adattavano al territorio da loro occupato. Il processo mentale dietro la creazione di un suddetto artefatto è importante per comprendere le fondazioni della loro società e ciò mi stimola a perseguire e cercare di comprenderla al meglio e a fondo. La passione per lo studio della Storia mi ha permesso di entrare nella facoltà di Storia Antica dell’Università Ca’ Foscari, ma nasce in tempi precedenti; mi resi conto della naturale incli-

ad entrarci da anni. Andai a fare il test, avevo zero aspettative per quanto riguardava l’esisto eppure, entrai. Provai gioia, stupore e soddisfazione confezionate ad arte con un po’ d’ansia per ciò che ancora non sapevo potesse accadere. In molti credono che design significhi per forza oggetti super particolari e all’avanguardia. In verità tutto ciò che ci circonda è opera di un designer. È spettacolare poter creare dando sfogo alla propria fantasia, anche se questo implica parecchio studio teorico, che non mi aspettavo, però come in qualsiasi lavoro se non ci sono le basi non c’è un gran futuro. Dalla penna che usiamo per scrivere o lo spazzolino che usiamo per lavarci i denti, al letto, alla porta di casa tutto passa per le mani e la mente di un designer che compie numerosi passi: la bozza dell’idea, il primo disegno, il disegno fatto in scala per far sì che si possa creare un modellino prima della vera e propria realizzazione. Ore e ore investite a rivedere, ripensare lo stesso modellino per far incontrare estetica, funzionalità al margine di errore millesimale. È duro ma molto bello questo mio viaggio che spero vivamente di portare a compimento riuscendo a superare i diversi ostacoli che sicuramente incontrerò; ma la sfida è il piccante che da gusto alla mia vita. nazione per essa lavorando con la Fai (Fondo Artistico Italiano) in associazione con il mio liceo, quando condussi diverse visite guidate del Palazzo Ricchieri di Pordenone. La raccolta di quadri di varie epoche lì esposte, l’architettura del palazzo stesso e la sua storia si dipanarono di fronte a me in una lunga e minuziosa ricerca, e renderla interessante e accattivante è stata la motrice del mio lavoro. Con la conseguente assunzione presso Iat Sacile (ufficio turistico del Comune di Sacile) e il successivo studio della storia dello stesso paese, si è consolidata in me la necessità di comprendere le gloriose origini della già stabilita cultura tradizionale e territoriale, orlata di preziosi avvenimenti, personaggi storici che potrebbero essere soggetti di libri interi e decisioni che avranno un grande impatto sul corso del tempo verso il futuro e il nostro mondo contemporaneo.


PANKA NEWS

HIV DAY, la sensibilizzazione corre sul web Per l’edizione 2020 della giornata mondiale contro l’AIDS, in epoca Covid I Ragazzi della Panchina hanno realizzato una campagna di comunicazione social ispirata agli anni ‘80-’90 di Sara Lenardon Che il 2020 sia stato un anno particolare lo sappiamo e lo abbiamo sperimentato tutti; che, nonostante il marasma mondiale, l’Associazione I Ragazzi della Panchina non abbia rinunciato all’appuntamento annuale dell’HIV Day in molti invece non lo sanno. Ebbene sì, anche rispetto alla tradizionale giornata mondiale contro l’AIDS denominata “HIV DAY – Non Solo 1° Dicembre”, la Panka non si è arresa all’emergenza pandemica. A differenza delle passate, è stata un’edizione inedita e ad oggi mai sperimentata sul fronte della campagna di informazione e sensibilizzazione alla tematica dell’HIV che abbiamo scelto. È questo un argomento che ancora oggi è fonte di discussione nel panorama sociale. Il significato profondo che da anni accompagna la modalità di promozione dell’evento, che lo scorso anno è stato realizzato tra il 21 novembre e l'8 dicembre è il seguente: non è alzando lo sguardo sul problema solo il 1° dicembre che si può sperare di poter capire,

affrontare, risolvere un problema sanitario e sociale così profondo. È solo attraverso la quotidianità, fatta di comportamenti corretti, di buona informazione, di abbattimento dello stigma, che si può tentare di migliorare la situazione attuale che riporta ancora dei dati allarmanti: in Italia ogni due ore una persona scopre di essere positiva all’HIV. Ecco che, pur mantenendo i medesimi obiettivi di sempre, oltre alla consueta scelta di affissione dei manifesti in vari luoghi della città di Pordenone, per l’HIV Day 2020 si è deciso di lavorare ad una campagna di sensibilizzazione online tra-

mite varie piattaforme digitali. L’uso dei device, dall’anno scorso più che mai, si è reso utile e spendibile anche rispetto ad iniziative correlate alle tematiche sociali; in tal senso, con il supporto di un Motion Designer sono state create quattro clip animate che, il 1° Dicembre, sono state diffuse seguendo una programmazione temporale cadenzata che potesse produrre l’effetto catena tipico dell’uscita video sui social. Le clip riprendevano e animavano la grafica dei cartelloni e trattavano specifici contenuti attraverso una formula smart e divertente grazie all’idea

d’ispirazione, ovvero i giochi online degli anni ’80-’90 nei quali tutti avrebbero potuto riconoscersi e immedesimarsi. La componente relazionale e “diretta” con la cittadinanza ha sempre caratterizzato la campagna dell'HIV Day della Panka, ma nonostante la distanza fisica necessaria l’équipe ha cercato un modo per arrivare alle persone, seppur differentemente, attraverso una porta sino ad ora inesplorata ma che, rivolti al futuro, potrebbe esser considerata come una modalità vincente ed efficace per il raggiungimento dello scopo. Il 2020 ha insegnato e ricordato a tutti, dai più piccoli ai più grandi, quanto sia infima la parola “virus”, ecco perché, cavalcando l’idea che l’attenzione sia bene non abbassarla mai in ottica protettiva e preventiva, parlare di AIDS, ancora oggi è importante. Lo slogan della campagna è stato: “Per l’AIDS siamo tutti uguali - Proteggersi sempre, discriminare mai”. L’impianto grafico scelto è stato fortemente impattante, rappresentato da elementi che identificano le informazioni sbagliate, gli stigmi, le paure generate dalla non conoscenza, dal pensiero che “non è un mio problema”. Ecco allora la risposta al problema, un preservativo sorridente! Se la persona sa come proteggersi fa un gesto d’amore e rispetto verso sé stessa, verso gli altri e ha la possibilità di contribuire enormemente alla lotta contro la diffusione del contagio. Per rivedere le clip potete andare sul nostro profilo facebook, instagram e sul nostro canale youtube.


L'INTERVISTA

Lo yoga, il mezzo antico per migliorare la qualità della vita È una disciplina molto praticata, che non si è fermata nemmeno durante la pandemia di Giorgio Achino I motivi per cui le persone si avvicinano allo yoga sono innumerevoli. Alcuni ambiscono a ottenere una condizione ottimale dell'apparato fisico, riducendo dolori articolari e muscolari, disturbi funzionali, stati di tensione; al fine di ritrovare agilità, energia e ritardare persino i segni del tempo che passa. Altri desiderano incontrare un metodo per acquietare la mente, altri confidano di scoprire un qualcosa che li aiuti a prendersi cura di se stessi, o altro. Ma la verità è che lo yoga è tutto questo e molto di più. Scopriamolo con Alberto Soriani, psicologo, psicoterapeuta e insegnante al Centro Yoga di Portogruaro. Perché le persone si avvicinano allo yoga? Nel momento in cui inizi non puoi nemmeno immaginare fin dove ti può accompagnare. È sorprendente come questa disciplina antica di millenni risponda in modo concreto e preciso alle esigenze e ai problemi dell’uomo moderno. Non è un caso che lo yoga stia crescendo in modo esponenziale in tutto il mondo, solo in Italia è praticato da oltre 2,5 milioni di persone. Lo yoga utilizza pratiche fisiche e mentali per portare l’individuo al suo stato di benessere integrale e a vivere in modo presente riuscendo a gioire e gustare la vita. Lo yoga è di fatto un mezzo che ci permette di migliorare la qualità della nostra vita influendo positivamente sul nostro quotidiano. La pandemia da Covid-19 ha imposto chiusure che vi hanno spinti a sperimentare le lezioni on line. Come sta andando? Abitualmente i nostri corsi di yoga si svolgono in presenza, ma in seguito alla chiusura delle palestre causa Covid-19 abbiamo deciso di spostarci on-line, ormai da più di un anno. Vogliamo mantenere la costanza nella pratica e vivo quel senso di comunità e aggregazione che caratteriz-

za la nostra associazione. Abbiamo scelto la modalità della diretta perché se proprio non possiamo essere assieme nello stesso spazio almeno possiamo essere nello stesso tempo. Gli incontri hanno avuto un ampissima adesione e siamo molto orgogliosi di continuare a fare qualcosa per la salute e in qualche modo anche compagnia durante questi mesi di distanziamento sociale. Come andrebbe scelto un percorso yoga? Scegliere un corso di yoga non è facile. Innanzitutto la cosa che consiglio è provarne alcuni. Praticamente tutte le scuole di yoga offrono un incontro di prova spesso gratuito. Il più delle volte non è sufficiente per prendere una decisione, ma perlomeno si raccolgono le prime impressioni. Le cose da tenere d’occhio sono due: il maestro e il tipo di yoga proposto. Intanto l’insegnante deve avere una certa esperienza e una preparazione certificata, anche se questo non è sempre facile da scoprire. In secondo luogo è importante scegliere quale tipo di yoga è più adatto a noi. Esistono molte tradizioni yoga, tutte molto efficaci, ad esempio nella nostra associazione pratichiamo in prevalenza yoga Integrale e Ha Tha yoga, che in occidente sono i tipi più comuni.

Qualche consiglio per praticarlo a casa? Per poter praticare a casa in autonomia è importante una cosa: avere cognizione di ciò che ci si presta a fare. Per il resto serve poco altro: abbigliamento comodo e magari un tappetino. Una seduta di yoga ha una sequenza ben strutturata, non è il caso di improvvisare, il rischio di incappare in infortuni o comunque restare insoddisfatti esiste. Chiaramente per seguire un corso online servono anche i supporti tecnici, quindi un computer o uno smartphone. Inoltre è importante trovare uno spazio adeguato per lo svolgimento della pratica dello yoga, ovvero un posto tranquillo, riservato in cui ci

sentiamo al sicuro e che ci garantisca di non essere disturbati per tutto il tempo che vogliamo dedicare a noi stessi. Come si svolge solitamente una lezione di yoga? Una seduta classica dovrebbe prevedere all’inizio uno spazio per portare l’allievo in una condizione di maggiore attenzione e relax. Poi dovrebbe prevedere un momento di preparazione per riscaldare i muscoli e di sciogliere le articolazioni. Dopo la seduta di yoga prevede le posizioni vere e proprie, e cioè gli asana, in cui si possono inserire tecniche specifiche di respirazione. Il dettame fondamentale della pratica negli esercizi si riassume in tre parole sanscrite: sthira sukham asanam. Ovvero: la posizione deve essere comoda, stabile e piacevole. Sul finale c’è anche il momento del rilassamento guidato e, come conclusione della seduta, un momento di concentrazione o eventualmente di meditazione. Succede spesso che ci siano persone che si avvicinano allo yoga perché sono particolarmente provate nella vita, e ricercano il proprio centro? Sì! Come premessa c’è da dire che lo yoga è giunto a noi proprio per merito delle straordinarie potenzialità che contiene. Sostanzialmente queste potenzialità riguardano l’aspetto salutistico. Lo yoga è un potente antistress che calma i ritmi mentali e scioglie quelle tensioni fisiche che denotano contratture non solo a livello fisico ma anche a livello mentale. Induce uno stato di calma che avvicina alla magnifica esperienza dei silenzi interiori.


Hanno collaborato a questo numero

LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada de I Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost Capo Redattore Giorgio Achino

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Celox Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili.

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Milena Bidinost Per noi avere a che fare con una giornalista di professione non è mai facile: “Milena sai che ho sentito dire che.. vabbè dai, non importa”. Per lei avere a che fare con gli articoli che escono dalla Panka non è mai facile: “Scusate ma non credo che questa cosa si possa scrivere così perché giornalisticamente.. vabbè dai, non importa”. Milena, la mediazione è un’arte! Ben arrivata al MoMA!

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Giorgio Achino Teatrante per diletto adesso applica la tecnica in Panka. A tutti dice: “Sarò chi vuoi, nella tua personale rappresentazione della vita”; palco e Panka si confondono. Benarrivato in questo teatro! Sempre in scena Giorgio

Editore Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Fiume 8, 33170 Pordenone Creazione grafica Maurizio Poletto Impaginazione Ada Moznich Stampa Faros Group s.r.l. Via Gorizia,2 33077 Sacile PN Fotografie A cura della redazione. Foto a pagina 1 e 2 di Sergio Vaccher. fotografo naturalista Foto a pagina 3, 4, 5, 7 e 12 dal sito: https://pixabay.com/it/ Foto a pagina 8, 9 e 10 a cura degli scrittori Foto a pagina 11 di Christian Pettenello Foto a pagina 14 di Alberto Soriani

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Chiara Zorzi S: ”Chiara, guarda che bella frase che ho scritto!” C: ”bella ma non si scrive così...” S: ”ok non è perfetta ma il senso poetico...” C: ”...si bello, ma non si scrive così in Italiano!” S: ”Quindi?” C: “tienila, ma non è giusta!”. Quando scorri, la consapevolezza del limite, che scorre con te, è vitale. Grazie Chiara

Redazione Mauro Caldana, Chiara Inguì, Celox, Ferdinando Parigi, R75, Claudio, Thomas, Vladimir, Riccardo Bianchet, Antonio Zani, P.T., Christian Pettenello, Lele, Selene Mazzocco, Sara Lenardon, Chiara Zorzi.

Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”

Associazione I Ragazzi della Panchina ONLUS Via Fiume 8, 33170 Pordenone Tel. 0434 371310 email: panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Instagram: panka_pordenone Youtube: I Ragazzi della Panchina Per le donazioni: Codice IBAN BCC: IT69R0835612500000000019539 Codice IBAN Credit Agricol Friuladria: IT80M0533612501000030666575 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930

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Ferdinando Parigi Voce tonante, eleganza innata, modi da gentiluomo che si trovano raramente, la nostra nuova penna si fa sempre notare, tanto che le sue mail sembrano lettere direttamente uscite da un romanzo dell’800

Antonio Zani Quando una persona legge molto, quando poi si accorge che scrivere gli riesce, quando è costretto a fare attività fisica ma non gli riesce e non ne ha voglia, quando in tutto questo conosce la Panka, allora che fa? La risposta è Libertà di Parola! Dopo una gavetta alle rubriche ora spazia anche in altre pagine, ma non ti preoccupare Antonio, sempre senza correre!

La sede de I Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al giovedì dalle ore 13:00 alle 17.30 e il venerdì dalle 13.00 alle 16.00

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Sara Lenardon Seguendo le orme del fratello decide di fare il tirocinio da noi. Pazza. Per cui perfetta. Ginnasta di professione, studentessa per cultura, panchinara per passione. Scrive il suo primo articolo dall’altra parte del mondo, adesso scrive perché da noi ha scoperto un altro mondo.


QUESTO LUNGO VIAGGIO IMMOBILE CHE CHIAMIAMO LEGGERE GUY GOFFETTE

I RAGAZZI DELLA PANCHINA CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA


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