APPROFONDIMENTO
Giovani e lavoro
Libertá di Parola 1/2014 ——
N°
Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)
PROGETTO TOP di Stefano Venuto Si è conclusa a gennaio la seconda tranche del progetto Top (Teen Opportunities Project), educativa di strada a Pordenone, rivolta a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 28 anni, che ha visto tra i protagonisti anche l'associazione I Ragazzi della Panchina. E' tempo quindi di bilanci, una fotografia di quanto è emerso in questi 15 mesi di attività. Il progetto infatti è stato attivato in due trance temporali: la prima da ottobre 2012 ad agosto 2013, la seconda da ottobre 2013 a gennaio 2014. Il progetto, finanziato dal Comune di Pordenone, è stato gestito operativamente nella prima trance dalla Coop. Soc. Itaca di Pordenone, nella seconda da I Ragazzi della Panchina. Gli
educatori impiegati sono stati due, con a disposizione 15 ore settimanali ognuno. Le azioni si sono sviluppate in tre aree di intervento: la prima in strada, nei luoghi di aggregazione informale; la seconda con gli adulti significativi; la terza nelle scuole. Per far capire la portata dell’intervento di Top vi evidenziamo i dati principali: utilizzati due cellulari attivi 24 ore su 24, 7 giorni su 7; presenti sui social network quali Facebook, Ask e utilizzazione mail dedicata; totali sms ricevuti 7605 (507 sms in media al mese) ad ognuno dei quali si è data una o più risposte immediate; 337 i ragazzi diversi che hanno scritto; l'87% dei contatti è all’interno del target 14-18 anni; sono stati incontrati 2550 ragazzi tra scuola, città, società sportive, parrocchie. I temi trattati negli incontri e negli sms sono stati principalmente
Gli effetti della fase negativa della crisi economica ancora in corso si sono riflessi in un peggioramento diffuso del mercato del lavoro. Sono diminuiti gli occupati, è cresciuta la disoccupazione, resta difficile la condizione giovanile. Proprio su quest'ultima abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione in questo numero di Ldp. Come affrontano il mondo del lavoro oggi i giovani della provincia? a pagina 9
: amore, sessualità, identità, sostanze, amicizia e relazioni, lavoro e legalità. Quasi 40 i ragazzi inviati ai servizi specialistici ed altrettanti accompagnati fisicamente degli educatori. Coinvolti nella rete di progetto anche: il Consultorio, il Dipartimento per le dipendenze, le scuole di ogni ordine e grado, l’Alcologia, le cooperative e le associazioni e la Prefettura. Da tutto questo lavoro, è emersa la fotografia di una generazione che necessita di una profonda vicinanza e prossimità e che delinea un’immagine del mondo adulto bisognoso di cambiamento, di un punto di vista nuovo. Top è l’unica azione di politiche giovanili calata sul territorio a Pordenone, l’unica che traduce, depura, straghetta, collega, stimola, condivide, mette in rete, sta al centro, tra i ragazzi e il mondo adulto/istituzionale.
IL TEMA
Cro di Aviano, lavorare per i malati a pagina 2
codice a s-barre
Redazione in carcere, prosegue il progetto di LDP a pagina 4
INVIATI NEL MONDO
In Argentina, assieme ad un popolo che non vuole dimenticare a pagina 13
PANKAKULTURA
Razzismo e seconde generazioni di immigrati al centro de "Il dialogo creativo" a pagina 14
NON SOLO SPORT
La Nazionale under 20 ospite del Pordenone Rugby a pag. 16
il tema
Dentro il cuore di una professione: lavorare al Cro di Aviano Tra i reparti dell'oncologia, nasce una domanda: chi sono questi operatori e perché dedicano la vita agli altri? a cura della redazione Inaspettato, ma anche un po’ temuto, il verdetto delle analisi a cui mi ero sottoposto in ospedale si riassumeva in una sola parola: linfoma. Mi pareva, che ci fossero delle stranezze quando sono andato a prendere l’esito degli esami! Infatti, allo sportello per il ritiro dei referti, tutti arrivavano, ricevevano la busta con i risultati e se ne andavano. A me invece l’infermiera mi disse di attendere un attimo perché la dottoressa mi doveva parlare. Da qui ho cominciato a pensare a un responso diverso dal “niente da segnalare”. La dottoressa è sbucata da una porta che poi ho capito essere quella del suo ambulatorio ed ufficio e mi ha invitato ad entrare. Era stata lei pochi giorni prima ad avermi praticato un laborioso prelievo di tessuto dei noduli che avevo sotto la pelle, ed ora toccava a lei chiudere il cerchio con me. Dopo una stretta di mano ha esordito dicendo che non
erano arrivate buone notizie dal laboratorio, che i miei non erano dei semplici noduli ingrossati, ma un linfoma e che bisognava approfondire le analisi per sapere di che tipo fosse e quanto era già diffuso nel corpo. Porca miseria che notizia, secca e ben assestata! Qualche domanda, qualche risposta e poi via. Sono uscito da quel posto che ero un’altra persona con un’altra
QUEI VOLONTARI CHE SI PRENDONO CURA DEI PAZIENTI L'Associazione “Angolo” compie 20 anni. E' parte attiva nella ricerca di una medicina sempre più “umana” di Sara Roccuto L'associazione “Angolo Onlus” (Associazione nazionale guariti o lungovivneti oncologici) compie quest'anno vent'anni. Abbiamo incontrato l'attuale presidente, Marilena Bongiovanni, che la guida dal 2007. «Io appartengo ad un volontariato particolare – inizia a raccontare - perché
sono un ex paziente oncologico. Quando hai a che fare con la malattia le cose sono due: o la rifiuti e in un momento in cui hai superato il problema non vuoi più avere a che fare con questo mondo, oppure non puoi più farne a meno». Bongiovanni si è iscritta a quest'associazione
vita davanti. E infatti da li è partito un bailamme di analisi, approfondimenti ed esiti da attendere uno più importante dell’altro. Grazie al cielo, mano a mano che la mia cartella clinica si inspessiva di referti, il linfoma si rivelava sempre più “abbordabile”, terapeuticamente parlando. Ed infatti i primi buoni risultati non sono tardati a venire, ed ora a seguito di altre, questa volta, buone notizie, posso parlarne con leggerezza. Devo dire però che mentre visitavo reparti e ambulatori vari, non per pellegrinaggio come è facile intuire, una curiosità mi è sempre venuta a margine dei rapporti con gli operatori. Mentre eseguivano il loro lavoro io ne studiavo i movimenti, guardavo le loro facce e le loro espressioni, cercando di capire se erano come noi, che non abbiamo niente a che fare con il mondo dell’oncologia, o se avevano qualcosa di diverso, e se questa eventuale di-
versità è riconoscibile tra loro come un marchio di fabbrica. Sprattutto osservavo i volontari che vivono ogni giorno in mezzo e in aiuto ai malati. La mia domanda era: ma come e perché si sceglie di operare volontariamente o professionalmente in una realtà così forte, perché non in ambienti meno impegnativi come impatto emotivo dove è più facile vivere? Certo molti sono al loro posto per aver avuto una opportunità lavorativa, ma poi comunque ci restano come quelli che lo fanno per scelta. Però a questo punto ci dobbiamo intendere! Non tutti i malati oncologici rappresentano quel tipo di malato che siamo abituati ad identificare in chi ha una forma tumorale. Giornalmente la struttura del Cro è letteralmente invasa da frequentatori occasionali, saltuari e pendolari che si sottopongono a terapie varie, è un fenomeno di massa e la maggioranza vive la propria vita senza grossi patemi, ci sono patologie che invalidano la vita molto di più. Ciò nonostante come tutti sappiamo ci sono anche i meno fortunati ed i casi estremi. Con difficoltà non solo legate ai pazienti ma anche ai familiari, lungamente messi alla frusta e con incerti equilibri psicologici. Lavorare in questo mondo e dover dare anche risposte ai pazienti, quando molti di noi non vogliono neanche sentire parlare delle domande, avvalora il fatto che non è una scelta di vita comune.
perché un giorno, nel 2005, le capitò sotto mano un trafiletto trovato su La Repubblica in cui si citava "Angolo". In quel periodo stava seguendo una cura chemioterapica e nell'articolo si parlava di guariti oncologici. «Mi sono detta – dice la presidente :quest'associazione fa per me, mi iscrivo subito». Tra l'oncologia e il volontariato, ci spiega, il rapporto è strettissimo ed è nato da quando questa branchia della medicina ha cominciato a svilupparsi: è stata l'oncologia ad aver portato per prima avanti il tema dell'umanizzazione della medicina. Quando si è cominciato a parlare di oncologia non erano infatti molte le tecniche per venire incontro ai pazienti ed è per questo che si è iniziato a riconoscere la necessità di un supporto al malato che andasse al di là
dei tecnicismi. “Angolo” nasce ad Aviano sotto la spinta del dottor Umberto Tirelli e oggi è un'associazione nazionale diffusa in varie città con lo scopo di dare supporto ai nuovi pazienti, fornendo loro contatti per “second opinion” (la possibilità, per i pazienti e per i medici curanti, di rivolgersi ad uno specialista per avere un parere tecnicoscientifico su un quadro clinico), dando loro supporto logistico con volontari dedicati agli spostamenti dall'ospedale agli aeroporti, ma non solo. «Ci battiamo molto per l'integrazione con il territorio – fa sapere Bongiovanni -. Il 60% dei pazienti arriva qui da fuori regione e vogliamo far conoscere il Cro come un posto ospitale, far conoscere l'accoglienza della gente di Aviano. Oggi succede un po' meno, ma fino a qualche
Biblioteca pazienti: informazioni e testimonianze su un male curabile Truccolo: «Il Cro non è un luogo di morte. Lavorare qui significa incontrare anche tanta voglia di vivere» di Sara Roccuto Ivana Truccolo è la responsabile della biblioteca scientifica per i pazienti del Cro di Aviano. Il Cro è un Istituto di ricerca oncologico e cerca di coniugare ricerca e cura. Anche per questo all'interno della biblioteca il materiale a disposizione è molto ampio: lungo i piani dell'ospedale sono dislocati circa 3-4 mila testi di narrativa a disposizione dei pazienti e all'interno della biblioteca pazienti è possibile trovare materiale specifico sulla malattia e materiale informativo. La biblioteca ospita anche una sezione dedicata alle testimonianze di malattia, perché all'interno del Cro si è consolidata una tradizione nel dar vita alle storie dei pazienti. Questa tradizione da due anni è stata rafforzata con un concorso letterario per i pazienti legato alla medicina narrativa che si concretizza poi in una pubblicazione. E' proprio a partire da questa esperienza che Truccolo ci
spiega cosa significa per lei lavorare al Cro. «Nel 2002 – racconta - abbiamo iniziato a realizzare degli incontri per presentare le raccolte realizzate con gli scritti dei pazienti. Gli speacker che avevamo invitato a parlare hanno cominciato subito a parlare della morte. Eppure i racconti che stavamo presentando parlavano di un altro mondo,
parlavano di speranza e di vita. E' vero il cancro è una parola dura ed è anche una realtà difficile, ma dire che è maligno non vuol dire che è incurabile. Ci sono momenti – prosegue - che non sono piacevoli, ma, senza voler banalizzare, in questo ospedale vi è anche una grande intensità di vita ed è quella la cosa più importante. Da que-
tempo fa chi veniva ricoverato al Cro veniva visto come un poveraccio». La presidente di “Angolo", per farci meglio capire cosa significa parlare di accoglienza quando si ha a che fare con la malattia, ci racconta del suo ingresso
in ospedale, quando è arrivata dalla Sicilia a Verona, dove doveva essere operata. «Mi sono presentata alle 7 di mattina all'ospedale – spiega - dopo aver viaggiato tutta la notte con mio marito e quando sono arrivata la
responsabile della struttura mi ha accolto dicendomi: “Signora, benvenuta, ma lei ha fatto colazione?”. Mi ha quindi apparecchiato subito la colazione in una saletta. In quel momento- prosegue - non ho pensato “ecco, qui mi guariranno”, ma “qui si prenderanno cura di me”. E' stato quello il mio primo impatto con questa struttura, ed è un pensiero importante che ancora mi porto dentro». Per questo i volontari di “Angolo” all'interno del Cro partecipano in modo attivo ai tavoli di lavoro paritari assieme ai medici, collaboratori e pazienti per fornire idee e stimoli capaci di permettere alla struttura di migliorarsi, dando vita a un'idea di volontariato che studia, ricerca, si interroga sul miglior modo di accompagnare i pazienti nel loro cammino di guarigione.
sto punto di vista non è diverso che lavorare da altre parti». La biblioteca organizza molte iniziative in collaborazione con le associazioni accreditate con il Cro, attorno alle quali ruotano circa 200-250 volontari attivi, ma non solo. «Due volte alla settimana – spiega la bibliotecaria - vengono qui due patronati per fornire ai pazienti un supporto nel capire quali sono i loro diritti e per aiutarli nel compilare eventuale documentazione. E' un tema che li interessa molto, a volte capita che ci sia chi scopre dopo un anno di aver diritto a determinate agevolazioni ». Uno degli aspetti su cui si lavora è infatti proprio quello di potenziare il circolo delle informazioni, sia sulle attività che vengono svolte e che possono essere interessanti per i pazienti, sia sull'accesso a informazioni sicure. Per questo, ci spiega Truccolo, è nato “Cigno” (l'acronimo di Come Immaginare la Gestione di una Nuova Oncologia, raggiungibile dall'indirizzo http:// www.cignoweb.it), ovvero un database consultabile via web anche da casa dove sono stati raccolti circa mille opuscoli e circa 2500 pagine di informazioni sugli autori degli stessi e le varie associazioni di riferimento. «In particolare in Italia c'è un gap tra la ricerca di informazioni ed offerta – conclude la bibliotecaria -. Andando su Google e cercando qualcosa sui tumori si finisce col trovare di tutto e di più. Il nostro è un progetto ambizioso per raccogliere materiale informativo di qualità».
PROGETTO CAMPUS E' in fase di realizzazione all'interno dell'area del Cro il “Progetto Campus”. La volontà è quella di avere a disposizione uno spazio per dare ospitalità a corsi di formazione per professionisti e ricercatori provenienti anche da fuori regione. L'idea è di creare un campus in stile americano, dove agli studenti è data la possibilità di alloggiare all'interno dell'area. Un contenitore, in altre parole, all'interno del quale proporre conferenze e corsi aperti anche alla popolazione e ai pazienti, per poter consolidare il rapporto con il territorio attraverso momenti di formazione legati alla prevenzione della malattia in senso lato.
L’impotenza di essere padre dietro le sbarre «Vedo crescere da lontano mio figlio che oggi ha 18 mesi e soffro, ma ho al mio fianco una famiglia che aspetta il mio ritorno a casa» di Peter Antonio Severino Guzman Tante persone giudicano i detenuti solo per il fatto che si trovano in carcere e non perché sanno effettivamente cosa hanno fatto o chi sono. Io mi trovo qua dentro, ho visto tante cose e ne ho sentite ancora di più, ma ce n'é una di cui quasi nessuno parla: la sofferenza che c’è tra un detenuto ed i suoi familiari. Oramai io sono dietro alle sbarre da circa sedici mesi e devo dire che ancora non mi sono abituato al fatto di vedere la mia famiglia venire a trovarmi ogni fine settimana. Si fanno circa 250 chilometri per non far mancare la figura paterna a mio figlio che ha 18 mesi. Credetemi, ogni santo sabato mi sveglio super contento perché so che arriveranno, ma allo stesso tem-
po tanto triste perché li vedrò così poco che quel poco non ci basterà per raccontare come vanno le cose in casa e i particolari della crescita del bambino. Il tempo insieme passa veloce e alla fine, quando ci dobbiamo salutare perché se ne devono andare ed io devo ritornare alla mia solitudine abituale, rimango con ancora più voglia di prima di sapere e di stare con loro. Vedere mio figlio crescere fra un colloquio e l’altro, fra una foto e l’altra, mi dà una sensazione di impotenza e vado avanti con la consapevolezza che non potrò vedere mai più i suoi primi passi, il suo primo dentino, sentire la sua prima parola, le notti in bianco assieme a mia moglie perché sta male,
Improvvisarsi pittori in carcere
Il progetto realizzato nella sala polivalente della Casa circondariale di Pordenone di L.D. Quest'anno noi detenuti del Castello di Pordenone, grazie alle varie iniziative di reinserimento promosse dal direttore Alberto Quagliotto unitamente ai vertici di vigilanza, abbiamo avuto l’opportunità di affrescare le pareti della sala polivalente. Durante tutto il tempo siamo stati affiancati e consigliati dal maestro Vico Calabrò, noto artista veneto. Ognuno di noi ha rappresentato un proprio soggetto, un ricordo, un luogo caro, la nostalgia di qualcosa. Io invece, mi diletto già da tempo a disegnare fiori e foglie in un mondo vegetale frutto di fantasia, in bianco e nero,
surreale e infinito. Così, per la prima volta con colori e pennelli, ho trasferito sul muro della sala tutto il mio mondo fantastico, come esplosione di primavera perenne. E' stata un’esperienza interessante e costruttiva che ci ha trascinati fuori da questa realtà, da queste barriere motivati tutti a credere in quello che facevamo, con il maestro Calabrò che con infinita pazienza certosina dispensava aiuti e consigli. Per questo ringrazio ancora il maestro, la dirigenza, gli educatori penitenziari che ci hanno dato questa opportunità costruttiva e lo spazio per realizzarla.
il suo primo giorno d’asilo, il suo primo compleanno e una serie di cose infinite, tutto con la certezza che oramai le ho perse per sempre. Vedo mia moglie venire qua e devo dire che è una donna molto brava, tant’è vero che nonostante i problemi che loro hanno fuori dal carcere, cerca sempre di non farmi pesare niente. È sempre sorridente anche se tante volte mi accorgo che in verità non lo è, che lo fa solo per darmi forza e coraggio per sopportare ciò che sto subendo ora. Infatti lei non mi dice mai le brutte cose, perché non vuole darmi più preoccupazioni di quelle che ho già. Anche se a volte è così evidente che c’è qualcosa che non va ed è impossibile che io non me ne accorga. Da parte mia posso solo cercare di confortarla e trasmetterle l’allegria e la carica che l’aiuti a sopportare tutto. Anche per questo ringrazio tanto la sua famiglia per l’appoggio che mi ha dato fino ad ora. Quando
mi hanno arrestato avevo paura che tutti mi avrebbero abbandonato ed invece ho avuto la straordinaria sorpresa che tante persone mi hanno scritto o mi sono venute a trovare, come ha fatto mio suocero, gli amici e i familiari, tanto da parte di mia moglie, che dalla mia. C’è poi anche mio cognato che si sobbarca l’impegno di accompagnare da me mia moglie e mio figlio ogni sabato e mia suocera e la zia del bambino che si occupano di lui, per consentire a mia moglie di andare a lavorare. Li ringrazio tutti quanti, senza di loro non ce l’avrei fatta ad arrivare fino a qui. So che quando avrò finito questa detenzione avrò una famiglia che mi aspetta, ne ho la certezza. E non desidero altro che di poter ricambiare tutto il prima possibile. Con questa consapevolezza, che tutto andrà bene e che presto ritornerò al loro fianco e a quello di mio figlio, il fine pena sarà un ricominciare di nuovo a vivere.
LA FORTEZZA «Come il tenente de “Il deserto dei Tartari” trascorrerò tanto tempo dentro questo carcere e mi chiedo che uomo sarò una volta fuori» di Marco Z. Sono rinchiuso in una fortezza, il Castello di Pordenone; questo luogo segnerà in modo indelebile la mia vita. Questo pensiero mi ha fatto venire alla mente il protagonista di un romanzo letto anni fa “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Il protagonista da giovane tenente di prima nomina viene assegnato ad una fortezza ai confini del regno, dove trascorrerà tutta la carriera. Qualcosa lo lega a quel luogo, l’attesa di un evento che dia senso a tutti gli anni trascorsi li. Alla fine i nemici arrivano, il momento tanto
atteso è giunto, ma lui, che ora è il vice comandante della fortezza, vecchio e malato viene inviato nelle retrovie. Paragonarmi a questo personaggio è ardito, io sono legato alla mia fortezza da un reato che ho commesso, ma mi chiedo come uscirò da qui, vecchio e sconfitto come lui o con la forza di vivere ancora la mia vita? Quanto mi segnerà questa fortezza negli affetti, il lavoro, le cose che amavo quando ero libero? Mi segnerà in maniera forte ed indelebile, ma farò di tutto per non farmi annientare.
Prosegue, dopo il lancio avvenuto nel numero precedente di Ldp, il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codice a sbarre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.
LETTERA APERTA A MIA FIGLIA «Prometto che mi farò perdonare gli errori commessi, dovessi impegnarmi una vita intera» di Nadir Piccola mia non so da dove iniziare per dirti quanti sentimenti provo per te e quanto male sto senza di te. Il tuo papà si trova qui perché ha fatto delle cose un po' brutte. Quello che più mi fa male è che non ti sarò vicino quando inizierai a camminare e neanche adesso quando la notte ti svegli per farti cullare. Io spero, anzi devo, riuscire a recuperare tutto il tempo che abbiamo perso e una volta che sarò con te non ci sarà più niente al mondo che ci potrà dividere. Sarà un po'
difficile ricucire il rapporto con la tua mamma e tornare ad essere una famiglia, ma l'unica cosa che conta è che ti staremo vicini lo stesso. Spero che lei ti abbia parlato un po' di me e che ti abbia letto le lettere che ti ho scritto. Credo che un giorno andremo a giocare insieme, voglio fare le trecce ai tuoi bellissimi capelli e darti dei consigli. Ho cercato di venire da te il giorno che sei nata, ma purtroppo non è stato possibile. Ti ho visto un mese dopo e quello è stato per me il gior-
«Dentro quella divisa c'è sempre l'uomo»
L'agente penitenziario visto da un detenuto Ho letto l’articolo dell’anonimo agente penitenziario pubblicato nel precedente numero di Ldp. E voglio rispondergli. Lui, parlando di sé, parlava di “carcerite”. Questa caratteristica la percepiamo di lui anche noi detenuti. E' la trasformazione di un animo ancora giovane, eppure frustrato. All’interno del carcere i nomi personali degli agenti sono proibiti per ragioni di sicurezza, perciò i detenuti usano dare dei sopranomi. Da noi ce né uno che chiamiamo zio Fester: è l’agente anziano. Lui per me è l'esempio di questa “trasformazione”. Per quanto infatti ognuno di questi agenti penitenziari abbia una propria vita e le proprie realizzazioni
personali, dentro al cercere il loro lavoro è un calarsi giornaliero in un mondo fatto di desolazione e miserie umane alquanto degradante. L’anzianità di sevizio porta in loro l’invisibile, ma percepibile qualità di porsi all'interno del carcere come un “cuscinetto ammortizzatore”, con il valore aggiunto del calore umano che permette loro di vedere non solo il detenuto, ma dietro ad esso la persona. Perché quella che l’agente ha chiamato “carcerite” io la voglio chiamare maturità. Il mio grazie non vuole fermarsi solo al poliziotto, ma arrivare all’uomo, perché quel ruolo a volte invisibile è invece riconosciuto, sentito e rispettato dal detenuto.
mattbuck
no più bello della mia vita. Appena ti ho vista, piccola mia, ho iniziato a tremare tutto quanto e quando ti ho presa tra le braccia ho sentito il mio cuore battere a mille. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata e quando sarò fuori, non mi allontanerò mai più da te: te lo prometto cambierà tutto quanto. Io e la tua mamma ci siamo voluti bene, ma ci sono stati degli ostacoli e dei problemi. Un giorno quando sarai grande capirai, ma comunque sia noi siamo la tua famiglia. Se ci siamo divisi è tutta colpa mia e del mondo in cui vivo. I miei sentimenti per te non riesco a descriverteli: io senza di te non so come sarei diventato, sei il mio angelo. Ho tanta nostalgia e mi manca stringerti tra le mie braccia e darti ogni sera il bacio della buona notte, leggerti tante belle fiabe ed essere presente ad ogni tuo compleanno
e in ogni esperienza che fai. Vorrei tanto seguire i tuoi primi passi e vederti cadere e rialzare di nuovo. Posso capire che tu sia arrabbiata con me, ma farò di tutto per rimediare agli sbagli che ho fatto e recuperare la tua fiducia. Quando sarai grande capirai che le persone possono sbagliare, ma anche che a loro si può perdonare. Arriverò da te anche trascinandomi se tu lo vorrai, l'unica cosa che mi importa è farmi perdonare e che tu sappia che, anche se non sono presente fisicamente, con il pensiero e con il mio cuore non ti ho mai abbandonata. Sei la luce dei miei occhi, che mi fa guardare avanti ogni giorno e resistere in un posto come questo. Queste parole vengono dal profondo del mio cuore, sei il mio grande tesoro e lo sarai per sempre. Un grande abbraccio con tanto affetto. Il tuo papà.
I BLU
Mi vedi, mi osservi Ti osservo ogni giorno, con quel vestito blu sempre uguale. Odio quel vestito, con troppe cinture e troppe tasche… Tasche gonfie di sogni infranti, di giudizi pesanti. Le porte sbattute, le luci abbaglianti con i tuoi umori contrastanti. Ti vedo tornare e tornare. Con i tuoi occhi sempre diversi mi ascolti senza che io ti parli. Tornare e si fa sera… Con le tasche sgonfie, i capelli canuti, gli occhi velati, le porte accostate e le luci discrete. Tra di noi le sbarre di questo blindo blu, buona sera zio Fester, buona sera…
Jollyroger
LA VITA DI UN CONSUMATORE TRA LE MURA DI CASA «Litigi, bugie, disperazione: così ho fatto vivere mia madre. Così vivo anch'io, assieme a lei» di Mauro Paludetto Ho scelto di trattare questo delicato argomento perché, come accade alla quasi to-
talità delle persone che consumano sostanze in maniera problematica, ho vissuto e
vivo ogni giorno dei problemi enormi all’interno delle mura di casa e nei rapporti con i famigliari più stretti, ed in particolar modo con mia madre. Cercando di scavare nel mio passato e nella mia storia. Sicuramente di fondamentale importanza, in negativo, è stata la tragica scomparsa di mio padre. E’ morto nel 1979 all’età di 40 anni per “mano” della tubercolosi. Chiaramente il “clima” famigliare era teso. Mi sento di dire che una forma di depressione sia iniziata da lì, per diventare un problema costante e sempre crescente per il resto della mia esistenza. Ma i problemi veri sono iniziati all’età di circa 14 anni, quando ho iniziato ad usare sostanze. Le lotte con mia mamma sono diventate la normalità, lei assolutamente sconvolta dai miei atteggiamenti menefreghisti e privi di rispetto, io completamente assorbito dalle sostanze e dalle loro regole di vita. Certamente dopo molti anni passati vivendo queste situazioni, le stanchezze si sono fatte sempre più forti e le possibilità di affrontare, capire, sopportare, “tenere duro”, si sono ridotte a zero, mentre a tutta potenza sono emerse le incomprensioni, le rabbie, i non detti,
le paure, le lontananze, le offese. Per aggiungere dramma al dramma nel 1997 ho contratto il virus dell’Hiv. La situazione era diventata insopportabile ed io, tra alti e bassi, sicuramente non contribuivo a rendere migliore la vita di nessuno. Il punto peggiore è stato raggiunto quando mia mamma mi ha detto: «Beate le mamme che vanno a trovare i propri figli in cimitero». Non c’era nulla da fare, la sostanza veniva prima di tutto, comandava ogni mio pensiero ed azione, verso l’autodistruzione. Sono arrivato al punto di chiedere a mia madre di accompagnarmi a prendere la dose e di darmi i soldi per comprala! Stavo talmente male che lei, non posso nemmeno immaginare con quale forza, mi ha dato i soldi e mi ha accompagnato. Una volta presa la sostanza mi sono “bucato” in macchina con a fianco mia mamma. Ci siamo guardati ed abbiamo iniziato a piangere, lei con gli occhi della disperazione, io, falso come solo un tossico sa essere, promettevo che era l’ultima volta e che sarei andato a disintossicarmi cambiando vita. Parole false come il rispetto che avevo per me stesso e per lei. Se sono ancora vivo è
cuni anni, la sua presenza costante e sempre discreta al nostro fianco ci dà il coraggio di affrontare ogni giorno con una speranza rinnovata. Ci fa sentire come è dolce e rassicurante sentirsi in famiglia”. Firmato: Una mamma di Cuneo, in “Accoglietevi!”, Caritas italiana 2004. In questi giorni ho ritrovato il ritaglio di giornale con questo articolo e ci ho riflettuto. A volte pensiamo che le cose andrebbero meglio se... e poniamo tanti se fuori di noi. La politica per esempio. Sicuramente se la
politica fosse come dovrebbe, molte cose andrebbero meglio, ma non ci è dato di cambiarla con un tocco di bacchetta magica (anzi neppure col voto, a quanto sembra!). Se la finanza, se i mass media, se la scuola... Tutto vero, purtroppo. L’Unione Europea ci ha sbattuto all’ultimo posto per libertà d’informazione, siamo invece molto avanti per quanto riguarda corruzione, evasione fiscale e simili. La società è sempre più povera e priva di risorse, sia materiali che ideali. Il lavoro scarseg-
l'angolo della franca
La storia siamo noi Aprire le porte all'altro e andargli incontro. La via per resistere alla crisi si chiama solidarietà di Franca Merlo "Davide aveva appena sei mesi quando mio marito venne accolto in una comunità per un lungo periodo di disintossicazione. Vivevamo, mio figlio ed io, in un piccolo paese in cui mi ero trasferita per cercare lavoro e forse anche per fuggire da una serie di disavventure che avevano sconvolto la mia vita. Dopo qualche lavoretto saltuario avrei potuto finalmente avere un’occupazione stabile presso una Cooperativa in una città vicina. Ma come fare con Davide così piccolo e la mia famiglia d’origine lontana da noi? Il nostro alloggio si trovava in una modesta palazzina condominiale; sul nostro pianerottolo viveva una coppia con un bimbo un po’ più grande di Davide. Ho
sempre pensato che Tiziana fosse dotata di un’intuizione e una sensibilità non comuni. Aveva parole e sguardi attenti e premurosi e fu proprio lei, dopo qualche mese e lunghe chiacchierate, a propormi di occuparsi di Davide se avessi deciso di accettare il nuovo lavoro. La sua disponibilità era totale: non avrebbe chiesto nulla per questo impegno. Mi offrì la sua collaborazione con una tale naturalezza e in modo così disinteressato che mi sentii quasi disorientata. Finalmente però mi sentivo meno disperata e sola. Accettai. Davide ed io, attraverso lei e la sua famiglia, sperimentammo così con meraviglia e gratitudine il significato della parola gratuità. Ancora adesso che sono passati al-
solo per merito di mia mamma. Non mi hai mai cacciato di casa, ho sempre trovato un letto su cui stendermi e dormire, un piatto caldo da mangiare e se mi paragono a tante persone, non posso che sentirmi infinitamente fortunato e non posso far altro che ringraziarla infinitamente. 35 anni di dipendenza si segnano nel fisico ma soprattutto negli atteggiamenti, nel modo di pensare e fare le cose; spostano i limiti del giusto e dello sbagliato decisamente verso l’attitudine allo sbaglio. A differenza di qualche anno fa ora ci provo, ho consapevolezza, non dico più che quella è la normalità ed anche i piccoli passi verso il meglio fanno la differenza. In conclusione mi sento di dire che, se in una famiglia entrano problematiche legate al consumo di droghe, difficilmente i rapporti famigliari si riusciranno a mantenere intatti. Ci saranno sofferenza e disagio e più gli anni scorrono senza che nulla cambi e più difficile sarà recuperare la situazione. Mi spiace per tutte le mamme che hanno sofferto, che soffrono e che soffriranno ancora. Mi spiace per tutti i figli che, come me, non sono stati in grado di farle soffrire di meno.
gia, i piccoli imprenditori si suicidano. E noi come singoli di fronte a tutto questo, ci sentiamo piccoli e impotenti. Forte è la tentazione di aspettare delle risposte solo dagli addetti ai lavori, esimendoci dal fare qualcosa in proprio. Eppure tutti possiamo fare qualcosa. La solidarietà è possibile a tutti e getta ponti, crea relazioni, che possono anche diffondersi e costruire un tessuto sociale migliore, almeno nel proprio piccolo. E’ possibile aprire il cuore e la porta di casa, bussare alle case degli altri, accorgerci, dialogare. Ogni tanto qualcosa come un episodio o una canzone, viene a ricordarci che siamo tutti coinvolti nel sociale, sempre, per il solo fatto di esserci. E’ quanto esprimeva Francesco De Gregori parecchi anni fa, nella canzone La storia: “La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. E poi la gente, perché è la gente che fa la storia, quando si tratta di scegliere e di andare te la ritrovi tutta con gli occhi aperti che sanno benissimo cosa fare, quelli che hanno letto un milione di libri insieme a quelli che non sanno nemmeno parlare... La storia siamo noi...”
«Ho una figlia, è per lei che preferisco vivere male che non vivere affatto» Una vita difficile, la depressione ma anche la forza di andare di Tina C’è l'aria che odora di pioggia oggi e sento l'avvicinarsi di una nuova depressione. E’ da tanto che sono disperata e non ho più una spalla su cui piangere! I miei amici son quasi tutti morti e quelli che restano sono distanti,sia di testa che di strada. Sto uscendo da una tossicodipendenza che dura da 15 anni, di anni io ne ho 30 e sono stanca di tutto. Mi sento come se ne avessi vissuti 90 o più, anche per aver passato un anno ai domiciliari per falsificazione di ricette mediche. E’ stata molto dura, anche a causa della disintossicazione improvvisa, che é stata lacerante,seppur
finalmente io stia riuscendo a farcela. Ma a che prezzo? Tutto questo dolore é paralizzante, ho paura del mio autolesionismo che cresce sempre di più. Quando sto male, mi brucio con le sigarette e mi faccio ustioni del terzo grado che spesso fan infezione e devo prendere gli antibiotici. Ho avuto anche l'endocardite a seguito della quale ho ancora il cuore ingrossato e spesso,troppo spesso,vorrei che questo cuore straziato smettesse di battere: a dire il vero qualche volta lo fa e spero sempre di morire. Ma, avendo una figlia, come posso farle questo? Suicidarmi: pro-
NOI, SCHIAVI DEL POLITICALLY CORRECT Quando ciò che pensiamo non si può proprio dire, perchè in società è più trendy usare termini garbati Ferdinando Parigi In nome del "politically correct" ci hanno condotto educatamente e con grande correttezza fino all'orlo del baratro politico ed economico, nonché proprio dentro il baratro del degrado e dell'ingiustizia sociale. In nome del “politically correct”, per paura di sembrare “incorrect”, dovremmo obbedire a quanti ci insegnano che bisogna “vivere l'Europa come una risorsa”: malgrado l'euro abbia stroncato il 50% del nostro potere d'acquisto e malgrado noi si debba obbedire anche alla più bizzarra e assurda Direttiva europea. In nome del “politically correct”, una minoranza di persone omosessuali si è imposta e ha obbligato tutti gli altri ad accettare le
adozioni da parte dei gay, facendo sentire scemo chi è contro, fregandosene del diritto di un bambino appena nato di avere le dolci coccole di una mamma femmina e l'affettuosa guida di un papà maschio, di non essere emarginato e deriso dai propri coetanei, di non crescere con un'idea stravolta del mondo e della vita, non dico in termini morali, ma anche soltanto in termini biologici, o semplicemente logici. Ormai c'è un divario enorme tra quello che la gente pensa e dice ogni giorno e quello che i media e la politica ci obbligano a pensare e dire. E' ancora ammesso l'uso della parola “etica” ma è ormai desueto, assurdo, fuori moda e blasfemo pronuncia-
vocarle un dolore grande come persone importanti della mia vita lo hanno provocato a me, morendo? Sono sempre stata circondata dai suicidi e credo che se qualcuno provasse quello che sento io si sarebbe già suicidato da un pezzo! Speranze non ne ho, voglia di ricominciare nemmeno e sento che la vita é stata solo dolore da sempre, da quando ero una bambina “rapita” dagli assistenti sociali a soli quattro anni e lasciata oltre due anni in un istituto di suore. Poi sono andata in affidamento e sono stata adottata, ma la mia infanzia é stata rubata, l'adolescenza é stato un delirio ,ero pazza e incontenibile e me la sono bruciata. Ora mi sento vecchia e non ho più un identità per l'ennesima volta. Sono scampata alla morte in diverse occasioni: overdose, endocardite, un investimento sulle strisce pedonali, e le notti a Padova tra eroina, cocaina,gang,prostitute e neri. Ora vorrei solo esser scesa da questo treno qualche tappa fa, ma con una figlia adolescente é meglio vivere male che non vivere affatto. re la parola “morale”. (Meno male che sul nostro giornale è ancora permesso citarla). E’ ammesso il razzismo storico, accanito, implacabile dei neri verso i bianchi, ma è obbligatorio, sui media, in politica e in pubblico, usare il termine “afro-americano” anziché il semplice e comunissimo termine “nero”. Un altro esempio: mentre quando siamo al bar diciamo “il marocchino” per indicare al nostro amico chi tra quei due tizi ha compiuto una determinata azione o gesto per la strada, quando siamo in pubblico dobbiamo obbedire al “politically correct”, ai canoni della moda, e utilizzare il garbatissimo “nordafricano” o “magrebino”. Siamo all’assurdo, al grottesco, e chi legge questo articolo lo sa, o lo deve riconoscere, perché l’evidenza dei fatti, della nostra vita quotidiana, è schiacciante. Allora io penso che, se oggi è fuori luogo, è inopportuno o poco “trendy” usare espressioni come “ragioni morali”, se oggi è inconcepibile pronunciare la parola “negro”, se è obbligatorio accettare che due gay adottino ed educhino, secondo i loro canoni, una creatura appena nata, ebbene domani magari sarà vietato dire che gli uomini sono maschi e che le donne sono femmine.
L'America premia una spietata caricatura della Città eterna “La grande bellezza” vince l'Oscar, ma ritrae la parte più deteriore della nostra capitale di Ferdinando Parigi Non volevo vedere il film perché mi sembrava troppo osannato. Ma ero davanti alla Tv quando è iniziato. Mi è subito sembrato di trovarmi di fronte a un capolavoro che appartiene già alla mitologia del Cinema, anche se la seconda metà dell'opera secondo me è inutile, perché è vuota di sostanza e costruita al solo scopo di compiacere la giuria, rappresentando personaggi "estremi" e improbabili. Il film manca di una trama vera e propria, è
un continuo susseguirsi di episodi che si svolgono a Roma, la Città Eterna, la Città Fatale, la culla della Civiltà, quella che fu la Capitale di un Im-
pero ed oggi è la Capitale di una nazione stanca e malata, con un passato anche glorioso, un presente piuttosto disastrato e un futuro che nessuno di noi può né vuole immaginare. "La grande bellezza” è il ritratto splendido di un soggetto marcio, triste, squallido. Il protagonista del film, Jep Gambardella, interpretato dall’ineguagliabile Toni Servillo, è uno scrittore fallito, eppure convoglia su di sé la cieca adorazione di uno stuolo di personaggi grotteschi, assurdi, allucinanti. Gente ricca, a volte facoltosa o addirittura di nobile censo, eppure profondamente ed intimamente infelice, quindi poverissima. Di questa fauna Jep è il leader, involontario e incontrastato. Jep si trova "perfettamente a
disagio", in mezzo a questa umanità assurda, è consapevole che si tratta di gente totalmente vuota, tuttavia con palese opportunismo galleggia alla grande su questo "mare" ed è probabilmente l'unico in grado di capire l'assurdità del tutto. Roma è decadente per antonomasia, lo è fin dai tempi antichi. E' un concentrato di potenti e gente strana, di tipi umani molto variegati. I romani sono abituati a veder passare di tutto. Ministri, attori, persone note ed influenti, si mischiano a barboni "storici", sfaccendati, comuni cittadini, turisti provenienti da ogni dove, abbagliati dalla bellezza delle antiche vestigia e "basiti" di fronte a tanta varietà. I protagonisti de "La grande bellezza" sono la "summa" di tutto questo ma a dire il vero Roma non è tutta qui, non è sempre così cinica, così amorale, così vanamente edonista. Il film ha vinto l'Oscar per aver ritratto la parte più deteriore della nostra capitale, e per averne fatto una spietata caricatura non del tutto rispondente alla realtà.
La grande bruttezza Non è facile da scovare, ma è ovunque, dentro e fuori l'animo umano. Nelle relazioni è spesso ben nascosta di Paolo Facchin In questo periodo dove l'occhio di bue della felicità è puntato sul film Oscar "La grande bellezza", sono stato tentato di puntare il riflettore sulla bruttezza. Le bruttezze del mondo sono come il mercato di paese? Si sa sempre dove sono e sempre chi ci ritrovi? Magari. Sarebbe facile individuarle ed evitarle. Invece la bruttezza, come certe malattie, non ti da segnali. Quando t'accorgi d'essa potrebbe essere già tardi. Potrebbe averti contaminato. Nella fanciullezza è più facile sentire i battiti della bruttezza, sia quella esteriore che quella interiore. Il bimbo, con una coscienza ancora attaccata all'impalcatura della vita, è
sailko
privo di filtri e ti butta lì, sul selciato dalla spontaneità, la verità nuda e cruda e, spesso, con quel sadico inconscio da dente da latte. Poi, alzandosi l'asticella dell'età, una persona deve elevarsi di più per celare la bruttezza che un suo simile emana. C'è quella evidente allo specchio. Lì, chi ha i mezzi corregge le proprie imperfezioni affidandosi al bisturi per non avere più timore di recitare il mantra fiabesco “Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più bello del reame?”. Contento lui, contenti tutti. Ma ammettere d'essere brutto non è semplice. Soprattutto quando la bruttezza ha una fisiognomica assente o ben nascosta.
Quando ti parla d'amore, ma in realtà ti picchia con gesti e parole, per arrivare a veri e propri lividi. Bruttezza d'un rapporto che naviga su mari sconquassati dal possesso, generante lividi che a volte possono venire tramandati di generazione in generazione semplicemente perché così è stato sempre visto fare e sempre fatto. La bruttezza a volte si presenta con rose rosse e una fede al dito entro il cui perimetro non si deve uscire se si vuole sopravvivere. Ma la bruttezza può avere anche il volto d'una gru che deturperà il paesaggio o d'un tombino che vomita acqua sporca d'inciviltà, di una scritta contro qualcuno sui muri
dell'esistenza che spesso ci si scorda di imbiancare, o d'un erba cresciuta troppo in un parco pubblico. Essa può essere un grande contenitore di consumismo messo insieme senza alcuna logica, centri commerciali, dove nel tempo libero la famigliola va in gita, anche a costo zero, messa in riga da questo post crisi economica del guardare ma non toccare. La bruttezza può anche affollare l'inconscio e urlarci d'essere magri, sempre magri vomitando il mondo perché non ce lo meritiamo troppo o non ce lo meritiamo affatto. La bruttezza è lo sguardo d'un obice che scorre sui gasdotti dell'esistenza.
L'APPROFONDIMENTO ————————————————————————
GIOVANI LAVORO CRISI FUTURO di Milena Bidinost Oggi, anche in provincia di Pordenone la precarietà del mercato del lavoro non si misura più in anni, ma in mesi o addirittura in settimane. Significa che il temine “flessibilità” che un tempo riguardava solo alcuni settori, è diventato trasversale. Il protrarsi della crisi del mercato, che è anche crisi occupazionale, anche da noi ha mutato le logiche della domanda e dell'offerta. Citando i dati emersi durante l'ottavo congresso della Cgil tenutosi l’11 e 12 marzo scorso alla Casa dello studente di Pordenone con il titolo “Il lavoro decide il futuro”, sul territorio nel giro degli ultimi cinque anni si sono formati 700 mila occupati in meno e una disoccupazione in crescita del + 109%, pari a 6.100 persone che ad oggi non hanno lavoro. La cassa integrazione nello stesso periodo, 20082013, ha segnato il +390%.
Una crisi che si è aggravata nel corso dell'ultimo anno. Secondo i dati dell'Ires Fvg, infatti, solo 2013 la provincia ha perso quasi 5 mila posti di lavoro. Sono crollati i contratti a tempo indeterminato (solo l’11% del totale) e c'è stato uno spostamento del mercato del lavoro verso forme autonome atipiche e precarie, con il 75% delle assunzioni che avviene in forma di contratto a termine o di lavoro interinale. Inoltre tra il 2008 e il 2013 il tasso di disoccupazione è raddoppiato, passando dal 3,9% al 7,9%; la cassa integrazione, quintuplicata rispetto al 2008 e aumentata del 16% tra il 2012 e il 2013, è agli sgoccioli in molte aziende. E’ questo un quadro complessivo, che fa stare poco tranquilli per il futuro. Al suo interno ci sta una delle fasce più a rischio sul fronte occupazionale, ovvero quella dei giovani, che in al-
cune ricerche va dai 18 e i 25 anni, in altre dai 18 e i 35: in entrambi i casi la percezione è di grande precarietà rispetto al futuro. Il sondaggio d’opinione condotto ancora nel 2011 dalla società di studi e ricerche Tolomeo di Trieste su un campione di 500 giovani tra i 18 e i 30 anni residenti in provincia di Pordenone offre una panoramica, seppur datata, dell’orizzonte che si stava aprendo sulle nuove generazioni. Nel nostro dossier che seguirà, abbiamo invece fatto il punto sull’oggi. Ebbene nel 2011, tre anni fa appena, il 42% degli intervistati riteneva che nei successivi cinque anni avrebbe lavorato ancora nello stesso posto di lavoro, mentre un quarto pensava che avrebbe svolto lo stesso tipo di lavoro, ma in un altro ufficio (o azienda). Chi aveva un contratto a tempo indeterminato aveva ancora una prospetti-
va futura di sostanziale stabilità: l’88% riteneva infatti che nei successivi cinque anni avrebbe continuato ad avere un posto di lavoro fisso e a tempo indeterminato. Il 38% di chi già viveva allora la dimensione della precarietà invece temeva che si sarebbe protratta anche in futuro. Il 56% dei giovani di Pordenone si sentiva già allora precario: esisteva cioè una quota di essi che viveva questa sensazione pur avendo un lavoro stabile, quasi che questa dimensione prescindesse dall’effettiva condizione contrattuale e lavorativa. Il metodo migliore per trovare lavoro secondo i giovani di Pordenone era attraverso amici o conoscenti (31% delle risposte); più in generale, il 35% degli intervistati si affidava ad enti/agenzie, il 20% ad Internet o ai giornali continua a pag. 12
Frieda
giovani alla rinc Parola d'ordine: flessibilità Aumenta l'età di chi cerca lavoro. Il settore trainante resta il manifatturiero. La fotografia scattata dall'ufficio stampa dell'Agenzia per il Lavoro Umana Le Agenzie per il lavoro, conosciute anche come Aziende di lavoro interinale o Agenzie di somministrazione lavoro, sono enti, pubblici e/o privati, che effettuano attività di collocamento al lavoro previa autorizzazione rilasciata dalla Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Da anni fungono da ponte tra le persone in cerca di occupazione e il mercato del lavoro. Per questo il lavoro in somministrazione può essere considerato un termometro del cambiamento economico ed occupazionale. Abbiamo chiesto quindi all'agenzia Umana, presente a Pordenone in Via Molinari 11, di tracciare una fotografia del lavoro giovanile, tra i 18 e i 35 anni, oggi in provincia. I giovani costituiscono una parte importante dei lavoratori in somministrazione: in generale qual'è l'età media alla quale, nel caso di Umana, sono rivolte le offerte delle aziende? Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un progressivo aumento dell’età media dei nostri dipendenti “in missione”, che oggi si attesta intorno ai 33 anni. La somministrazione, per le sue caratteristiche di flessibilità, può essere utilizzata sia per l’inserimento di risorse giovani che di persone con esperienza alla ricerca di una nuova opportunità lavorativa, portatori in molti casi di un’esperienza consolidata ed immediatamente impiegabile. Negli ultimi anni, a fronte di un regolare aumento delle missioni, abbiamo assistito ad una crescita percentuale degli over 40, che oggi rappresentano il 28% dei dipen-
denti di Umana, con un 8% di ultracinquantenni. Che cosa ricercano i giovani della provincia? Al primo incontro con la nostra filiale, cercano innanzitutto di trovare il lavoro per il quale hanno studiato. In alcuni casi però non c’è un’immediata corrispondenza tra il percorso di studi scelto, magari privilegiando i propri interessi, e l’offerta di lavoro del territorio. Sempre al primo approccio, molti guardano più il tipo di contratto offerto (che magari conoscono poco) che non le opportunità future offerte da una determinata azienda. In seconda battuta, una volta spiegato il nostro ruolo di Agenzia per il Lavoro, che ci vede come “manager” delle persone che si rivolgono a noi, i giovani offrono maggiore disponibilità e dimostrano desiderio di mettersi in gioco: è un atteggiamento molto apprezzato dalle aziende. Che cosa chiedono le aziende? Negli ultimi mesi la maggior parte delle richieste arrivate alla nostra agenzia dalle aziende del pordenonese ha riguardato il settore manifatturiero, sia per profili generici che specializzati: ingegneri, progettisti, addetti a tornio e fresa, manutentori, elettricisti i più comuni. Segue, come numero di richieste, il settore del commercio: store manager, addetti alle vendite, cassieri le figure più ricercate. Altro profilo di interesse è stato poi l’impiegato amministrativo, soprattutto addetti all’ufficio paghe/fatture, contabili, assistenti di direzione, addetti al front e back office. Diver-
se richieste anche da parte del settore, molto variegato, dei servizi, dal mondo dell’Ict fino all’assistenza familiare, badanti e baby sitter. Quali sono i requisiti formativi ed esperienziali maggiormente richiesti? Il panorama, anche all’interno dello stesso settore o territorio, è molto diversificato e soprattutto è sempre più soggetto a rapide evoluzioni. Tra i nostri clienti vi sono aziende appartenenti a tutti i settori, ognuna con proprie specifiche necessità che variano con l'applicazione di nuove tecnologie e con il fluttuare della richiesta dei prodotti, sia nel nostro paese ma in particolare all'estero. Le professionalità legate all'Ict, all'accoglienza turistica, alla progettazione, alla cura e al benessere dalla persona, alla vendita e all'innovazione in genere sono ancora molto ben recepite. Il Made in Italy d'eccellenza continua a funzionare, per cui c'è richiesta di profili produttivi e gestionali. Le nostre aziende clienti continuano a chiederci giovani con buone basi tecniche acquisite a scuola, buona conoscenza almeno dell'inglese, con competenze relazionali che consentano loro di ben integrarsi velocemente in un team. Piacciono i giovani positivi, curiosi ma propositivi, quelli che ascoltano e poi fanno, per intenderci, meglio se sorprendendo. Per quella che è la nostra esperienza è sempre ben visto chi ha lavorato anche durante gli anni di studi: stare sul campo insegna il ritmo del lavoro, abitua al rispetto dei ruoli, stimola ad agire per priorità e a finalizzare
gli obiettivi. E non importa a questo punto se si è fatto il cameriere, la segretaria, l’operaio o l'organizzatore di serate: le competenze trasversali valgono per tutti. Che tipologia di contratto viene offerta ai giovani? In quanto Agenzia per il Lavoro, noi proponiamo i contratti di somministrazione a tempo determinato, a tempo indeterminato e l’apprendistato, utilizzato in staff leasing (tempo indeterminato). Il lavoro proposto da Umana è centrato sulla “buona flessibilità”, riconosciuta da tutte le parti sociale: tutelato, basato su contratti di lavoro regolari e sul rispetto della persona. La somministrazione, a tempo determinato o indeterminato, è infatti gestita dall’Agenzia in base ai principi di parità di retribuzione e piene tutele per tutti gli aspetti del rapporto di
Pordenone: ass calo, i giovani e
Secondo gli ultimi studi condotti dall i comuni di Pordenone, Cordenons, P rino confrontando i dati fino all'ultim città capoluogo si è registrata una ri comunale di residenti appartenenti che necessita di ulteriori informazion che fa riflettere già così. Al 31 dicem none di età compresa tra i 18 e i 34 a loro rappresentava la fascia di età co ti il 5,1% delle cancellazioni all'anag quali città, della Provincia, del paes siano emigrati, ma va tenuto present ni per l'estero del 2012 è stata di ita fasce giovanili sono in costante calo mente. A titolo di esempio, dal 2011 comuni dell'Ambito Urbano tra i 18 e i 25 e i 34 anni del 16,3%.
corsa del lavoro La ricerca è sempre più social Lo dice lo studio della Fondazione Solidalis e diRanstad di Milano. Ecco come i giovani italiani tra i 18 e i 30 anni utilizzano i social network per cercare lavoro Manske
lavoro (contributi, permessi, ferie, malattia, ecc.). Posto che primi passi nel mondo del lavoro richiedono, oggi più di ieri, adattabilità, raccomandiamo sempre di non accettare situazioni irregolari o poco chiare. Come si è mosso negli ultimi tempi il mercato del lavoro locale? Il momento economico è senza dubbio complesso: negli ultimi anni, le aziende hanno dovuto navigare a vista, anche per quanto riguarda le assunzioni. Non è semplice generalizzare l’andamento del lavoro degli ultimi anni, ma come Agenzia abbiamo osservato che proprio le aziende che hanno saputo per prime utilizzare gli strumenti della flessibilità, sono riuscite a reagire meglio alle oscillazioni del mercato, e sono tornate a competere.
sunzioni in emigrano
l'Ambito Urbano 6.5 che comprende Porcia, Roveredo in Piano e San Quimo censimento del 2012, nella sola iduzione delle iscrizioni all'anagrafe alle fasce d'età giovanili. E' un dato ni per essere meglio interpretato, ma mbre 2012 i residenti in città di Pordeanni erano 8.940. Dal 2010 al 2012 la on maggiore flessione: c'è stato infatgrafe. Non è possibile stabilire verso se o addirittura dell'estero, i giovani te che circa il 65% delle cancellazioaliani. Gli avviamenti al lavoro delle o e si stanno precarizzando ulterioral 2012 le assunzioni di residenti nei e i 24 anni sono calate del 11,8%, tra
Le Agenzie per il lavoro conservano un ruolo da protagonisti, ma in Italia chi ha meno di 30 anni e vuole lavorare si rivolge al web, consultando i siti dedicati alla domanda e all'offerta di lavoro, i siti aziendali e – ultimi ma non troppo – i social network. Su Linkedin (primo per gradimento ed efficacia) e su Facebook le pagine e i profili aziendali, che le imprese curano e aggiornano dedicandovi sempre più tempo e risorse, sono gli spazi da monitorare per poter intercettare gli annunci giusti. Proporsi per le posizioni in linea con il proprio profilo non è una perdita di tempo: 1 volta su 4 le candidature ottengono risposta. E' quanto è emerso dalla ricerca “Dalla scuola al lavoro, attraverso i social”, realizzata dalla Fondazione Sodalitas e Randstad, Agenzia del lavoro, di Milano. I dati sono stati presentati a Milano l'ottobre scorso e sono pubblicati nel sito della Fondazione. Il campione. La ricerca è stata condotta su un campione di 700 giovani: donne nel 63,8% dei casi, uomini per il restante 36,2%, soprattutto tra i 26 e i 30 anni (il 64,8%), ma anche tra i 22 e i 25 anni (25,2%) e tra i 18 e i 21 anni (10%). Il profilo formativo dei rispondenti è di livello medioalto: il 32,7% ha conseguito una laurea di primo livello; il 41,5% una laurea di secondo livello (o vecchio ordinamento); l'8% un master o un dottorato di ricerca. Il canali della ricerca di lavoro. Il social network più utilizzato tra i giovani italiani under 30 risulta Facebook (85,6%), cui seguono Linkedin (53,5%) e Twitter (19,6%). Quando però bisogna cerca-
re lavoro è a Linkedin che ci si rivolge nella maggior parte dei casi (77,3%). Facebook (21%) e Twitter (1,7%) sono avvertiti molto meno come spazi da monitorare a questo scopo. Le offerte disponibili sui social sono rivolte soprattutto a professionisti con molta esperienza (63,3%) più che a profili junior (31,3%) o a giovani senza esperienza (5,5%). I social nella loro totalità però, per quanto utilizzati in misura sempre maggiore per intercettare le offerte delle aziende, non sono ancora la prima scelta dei giovani. A loro sono preferiti i siti dedicati alla domanda e offerta di lavoro (86,7%), le agenzie per il lavoro (84,3%), i siti aziendali (70,4%) e i portali che le aziende dedicano completamente alle opportunità di carriera al proprio interno (56,2%). Come cercare lavoro sui social. Chi utilizza i social network per cercare lavoro (il 47,2% del campione) li ritiene canali efficaci nel 52,4% dei casi. Vanno monitorate soprattutto le pagine e i profili aziendali (84,5%), più che i gruppi (42,2%) o gli spazi di discussione su temi e competenze vicine alla propria formazione (28,3%). Una volta individuati i contesti e gli annunci giusti, inviare la propria candidatura può dare soddisfazione. Oltre a chi (il 63,3% del campione) si è semplicemente proposto per una offerte di lavoro non avendo ancora avuto riscontri, c'è chi grazie ai social è stato contattato per dei colloqui (26,6%), ha trovato uno stage (4%), ha potuto accedere ad uno stage che poi è proseguito (1,6%) oppure ha trovato direttamente lavoro (4,4%).
Identikit dei candidati social. Linkedin è frequentato soprattutto da donne (54,2%) anche se in misura minore rispetto agli altri social, ed attrae persone con un profilo formativo più alto. Lo utilizza soprattutto, chi è in possesso di una laurea di secondo livello (51,5%). Chi si candida attraverso Linkedin ottiene riscontri con una frequenza maggiore (31,6%) rispetto a Facebook (22,4%) e Twitter (0%). Facebook è ritenuto efficace dai diplomati (38,6%) in misura molto maggiore rispetto agli altri canali (Linkedin 5,5%; Twitter 14,3%) ed è il social con la percentuale più alta di candidati che, dopo aver risposto ad un annuncio, hanno ottenuto subito un inserimento (il 6,6%, contro il 2,7% su Linkedin e lo 0% su Twitter). Twitter è frequentato soprattutto da uomini (57,1%) in possesso di una laurea di primo livello (71,4%). Mentre su Linkedin risultano più numerose le offerte di lavoro per professionisti con molta esperienza (53,5%), su Twitter ci si imbatte soprattutto in ricerche per profili junior (57,1%), ma l'esperienza non risulta soddisfacente.
Danielebaj
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e il 10% selezionava a caso le aziende. Quasi il 30% degli intervistati affermava di aver trovato il primo lavoro in meno di un mese dal termine degli studi, mentre un altro 30% aveva dovuto attendere da 1 a 6 mesi per poter iniziare a lavorare. In generale il 59% degli intervistati riteneva che sarebbe stato meglio spostarsi dalla zona di residenza per trovare un buon lavoro. Il giovane pordenonese però preferiva lo spostamento all’interno dei confini nazionali piuttosto che all’estero. Appariva in altre parole consapevole della necessità di spostarsi per realizzarsi, ma era poco disponibile a farlo anche a fronte di offerte economiche medio alte. Potendo scegliere, il settore più ambito dai giovani era quello relativo al commercio, al turismo e alla ristorazione (22% delle risposte), seguito da quello legato al mondo dell’industria e delle costruzioni (19%). L’idea di diventare in futuro un imprenditore piaceva al 55% degli intervistati, anche se questa possibilità era considerata difficile da realizzare nel nostro Paese. Quanto alle aspettative per il futuro la tranquillità e la sicurezza del posto fisso era l’aspetto più sentito tra gli intervistati: solo il 25% infatti guardava a trovare stimoli nel lavoro, il 16 % alla possibilità di mettere a frutto i propri studi. Pessimisti (il 90%) sul futuro prossimo, gli under 30 pordenonesi condividevano l’idea che la generazione dei propri genitori fosse stata più fortunata perché più tutelata. In generale i giovani d’oggi percepiscono di avere davanti a loro un futuro in cui occuperanno una posizione sociale ed economica peggiore rispetto a quella che, alla loro età era stata della generazione dei propri genitori.
Provincia, Progetti giovani, Informagiovani e Centri per l’impiego fanno rete
La sperimentazione è partita a marzo a San Vito al Tagliamento. Si punta a creare un palazzo del Welfare La Provincia di Pordenone, attraverso il suo settore delle Politiche del lavoro e Politiche sociali e giovanili della Provincia dal mese scorso si è fatta promotrice di un progetto, che punta a intensificare la rete tra l’ente, i Progetti giovani e Informagiovani del territorio. L’obiettivo comune è quello di promuovere l'autonomia dei più giovani, facilitandone l'ingresso nel mondo del lavoro attraverso attività, iniziative e progetti dedicati. L’iniziativa è stata presentata a marzo nella sede dell'ente e coinvolge anche gli operatori dei cinque Centri per l'Impiego provinciali. Coordinata dal dirigente dei due servizi provinciali, Gianfranco Marino, consiste nella costruzione di un percorso comune fra i diversi attori che operano sul territorio pordenonese, volto alla programmazione,
promozione e valutazione di proposte congiunte che puntino allo sviluppo di progetti, eventi ed iniziative dedicate espressamente ai giovani, «in vista dell'imminente attuazione – ha sottolineato il Dirigente – di “Garanzia Giovani”, iniziativa che vedrà tutti i nostri servizi impegnati a garantire quelle azioni che possano offrire la possibilità a tutti coloro che hanno assolto l'obbligo scolastico e sono disoccupati, di poter accedere al mercato del lavoro. Una vera e propria "presa in carico" dei ragazzi e delle ragazze in cerca di un'occupazione. “Fare rete” si sta concretizzando a San Vito al Tagliamento, dove nelle scorse settimane è stato riaperto il Centro per l'Impiego al piano terra dell'ex essicatoio Bozzoli (in via Fabrici, 29), già sede del Centro
di Aggregazione Giovanile, dell’Ufficio Informagiovani e dei Servizi sociali dell'Ambito distrettuale 6.2 Sanvitese. Una sperimentazione, quella che punta a costituire un vero e proprio palazzo del Welfare, che potrebbe essere presto adottata anche nell'area del Maniaghese. «L'iniziativa – ha spiegato in occasione dell’incontro il presidente della Provincia Alessandro Ciriani – nasce dalla necessità di far conoscere adeguatamente le misure messe in campo per difendere il lavoro e rafforzare la rete tra i servizi in questo momento di forte crisi economica». «Sono dell'idea che solo facendo sinergia e migliorando la collaborazione fra tutti i soggetti direttamente interessati – afferma Ciriani – dalla Provincia ai servizi propriamente dedicati ai giovani, dalle agenzie interinali alle associazioni di impresa e categoria si possano ricercare le azioni e i progetti giusti da attivare per far fronte alle richieste dei nostri ragazzi, alcuni dei quali sono alla ricerca della prima occupazione mentre, purtroppo, molti altri sono quelli che un lavoro l'avevano e l'hanno perso». Un “fare rete” quanto mai necessario alla luce dei dati sulla disoccupazione giovanile e, visto che, nel corso dell’incontro, è emerso come, a rivolgersi agli Informagiovani provinciali per ottenere informazioni utili alla ricerca di una occupazione, siano sempre più anche le persone adulte.
“Garanzia Giovani”, il Friuli Venezia Giulia farà da apripista E' il progetto europeo rivolto all'inserimento nel mondo del lavoro dei giovani tra i 15 e i 25 anni. La prima Regione ad attuarlo sarà la nostra «La Regione Friuli Venezia Giulia sarà la prima a sperimentare “Garanzia Giovani", la misura europea introdotta dal Governo per facilitare l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, una volta completati gli studi». Lo ha annunciato, a marzo sulla stampa locale, il governatore Debora Serracchiani. Il progetto "Garanzia giovani" promuoverà tirocini e apprendistati in cooperazione con strutture pubbliche e private presenti in regione. Da noi partirà a maggio, con 12 milioni di euro
di finanziamento anticipati dalla Regione. Il 2014 sarà infatti l'anno di avvio del programma europeo “Youth Guarantee”, un percorso che prevede una serie di misure, a livello nazionale e territoriale, volte a facilitare la presa in carico dei giovani tra 15 e 25 anni per offrire loro opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro. Come si legge sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali “Il Piano italiano di attuazione della Garanzia Giovani è stato predisposto dalla Struttura di
Missione, istituita presso il Ministero stesso ed è stato condiviso con le parti sociali, le associazioni di giovani, del Terzo Settore. Attualmente è all'attenzione della Commissione Europea per per l'erogazione dei finanziamenti e l'avvio delle azioni previste. Nel corso del primo trimestre del 2014 verrà realizzata la piattaforma tecnologica per la registrazione dei giovani al progetto e verranno formalizzati i protocolli operativi con le Regioni, alle quali spetterà l'attuazione del Piano”.
INVIATI NEL MONDO
Argentina, viaggio nella memoria
«Da Buenos Aires alla Patagonia incontriamo un popolo che non vuole dimenticare i drammi della dittatura» di Fabio Passador Questo che vi racconto non è il viaggio di un turista per caso, è il mio terzo viaggio nella terra dell’argento. La novità è stata che l’ho condiviso con un ospite speciale: mia madre, alla sua prima esperienza nel Continente sudamericano. Qui abbiamo fatto riposare la mente e riempito l’anima. Un viaggio meraviglioso, dal quale, a detta di molti, siamo tornati più belli, sia dentro che fuori. Erano passati quattro anni dalla mia ultima visita in solitaria e la prima sensazione, scesi dall’aereo, è stata quella di un ritorno a casa. Buenos Aires non è cambiata. Mentre affrontiamo l’Avenida Genaral Paz, che dall’aeroporto circumnaviga la capitale, ne riconosco i luoghi. Arriviamo nel quartiere Belgrano, a nord del centro, ed il traffico è asfissiante e caotico, ma spezzato dagli alberi in fiore del Jacarandà, che dona un color viola alle strade eleganti del quartiere e di tutta la città. Ad aspettarci ci sono Fabio e Livia, due carissimi amici che si sono appena trasferiti nella loro Buenos Aires, dopo 25 anni trascorsi in Italia e con i quali abbiamo vissuto quell’esperienza fantastica che è stata l’Associazione argentina “Vientos
del Sur”. Il buon clima (la primavera argentina è una stagione ideale per visitarla), ci aiuta a girare la città, i suoi parchi immensi e le sue periferie. Raggiungiamo la periferia sud, Turdera, una città nella città, con il suo carattere popolare, fatta di case basse, strade perpendicolari ed un formicaio di persone. L’occasione è un pranzo da amici e parenti di Fabio e Livia, a base di "asado", il classico pranzo di carne bovina, specialità tipica argentina. Abbiamo quindi appuntamento all’inaugurazione di un centro culturale dal marcato orientamento peronista. Intitolato ad un militante popolare desaparecido durante la dittatura civico-militare che l’Argentina ha vissuto tra gli anni 1976 e 1982, rappresenta il punto di riferimento per i giovani del quartiere. La loro presenza è davvero significativa, tra tamburi che suonano e giovani ragazze che ballano in quella che da queste parti viene chiamata "murga". Siamo poi passati alla Esma, il più importante centro di detenzione clandestina del paese, dove vennero torturate e fatte sparire circa 5 mila persone. E’ ora luogo di memoria attiva, sede delle più importanti sigle che lavorano per i diritti umani, come le Madri de Plaza de Mayo, H.I.J.O.S. e Abuelas de Plaza de Mayo. Qui ora ci lavorano Fabio e molti amici che ho incontrato, impegnati nella trasformazione di un luogo di sofferenza e morte in luogo di vita, memoria e lotta. Continuando lungo l’immenso fiume del Rio de La Plata, si trova un altro luogo simbolo il Par-
que de la Memoria, dove un grande muro riporta tutti i nomi delle persone scomparse durante la dittatura, alcune installazioni artistiche ed una crono storia illustrata da una segnaletica che rappresenta le fasi di quel piano malefico messo in atto dai militari. Immancabile la nostra presenza all’appuntamento in Plaza de Mayo per la marcia delle madri dei desaparecidos, che ogni giovedì, dal 1977, si ritrovano a ricordare i loro figli, accompagnate da gente che arriva da tutto il mondo. Salutiamo la capitale per spingerci più a nord, a Santa Fe, dove ad ospitarci c’è Micaela, una graziosa studentessa universitaria che non conoscevamo se non via web. Ne è nata subito una bella amicizia. La città non è invitante, ma il nostro obiettivo era quello di visitare la mensa infantile in uno dei quartieri più disagiati, dove da anni un gruppo di persone, tra cui Carlos, la moglie Maria e i loro quattro figli, si dedicano nell’offrire un luogo sicuro ai bambini, che vi possono trovare un pasto caldo nelle pause scolastiche ed un punto di riferimento che li tiene lontani dalla spirale di violenza e povertà che caratterizzano le situazioni di degrado sociale. Saliamo poi verso nord ovest, a Corboba, la seconda città più importante del paese, dall’industria fiorente e sede dell’università più antica del continente. Ad aspettarci ci sono due ragazzi conosciuti in Italia: Andrea e Miguel, che ci ospitano in una cittadina a mezz’ora dalla “docta”.Entrambi sono docenti universitari e amanti della natura, del buon cibo e dell’impegno verso gli altri. Visitata la città, ci diamo alle escursioni tra le sinuose e affascinan-
ti montagne della Sierra de Cordoba: visitiamo luoghi unici come San Marcos Sierras, un paesino nato nel mezzo di una valle silenziosa, dove il rumore che ti accompagna è quello della musica reggae e degli zoccoli dei cavalli che attraversano la piazza abbellita da sculture fatte a mano. E' popolato soprattutto da hippy ed artisti, un’oasi di pace e natura. Decidiamo di avventurarci sulle mulattiere montane fino alla cima, da dove il panorama sull’intera catena montuosa è da cartolina. Il viaggio prosegue all’insegna della natura verso Chilecito, nella provincia de La Rioja, dove ci aspetta la prima tappa senza contatti ed amici.
Qui ci “adeguiamo” alla vita del turista classico: hotel, piscina e due visite guidate nei parchi naturali di Talampaya e Ischigualasto e sul Cerro Famatina. Ultima tappa è in Patagonia, a Villa Pehuenia, una tranquilla località turistica a pochi passi dal confine con il Cile. Qui d’inverno si scia, mentre d’estate, grazie ad una natura incredibilmente selvaggia, si possono praticare diverse attività sportive, come il rafting lungo il Rio Aluminé, che ho voluto personalmente sperimentare. Siamo saliti per la prima volta sul cratere di un vulcano ed abbracciato il tronco del Pehuen, l’albero sacro del popolo nativo dei Mapuche. Se abbracciato, dona energia ed i semi dei suoi fiori, se strofinati, portano fortuna eterna.
PANKAKULTURA
Razzismo e seconde generazioni di immigrati, focus in città A marzo si è conclusa la seconda edizione de “Il dialogo creativo” di Elisa Cozzarini Con "Il dialogo creativo", Pordenone inaugura una nuova manifestazione culturale in città. Data l'abbondanza di eventi, ce n'era proprio bisogno? La risposta dei cittadini, italiani e stranieri, alle prime due edizioni (la seconda è terminata il 6 marzo) dimostra di sì: è emersa una chiara volontà di confrontarsi, a volte anche in modo acceso, su temi di bruciante attualità, come il razzismo e i diritti di cittadinanza per i figli degli immigrati, le cosiddette “seconde generazioni”. L'idea alla base dell'iniziativa, voluta dall'Assessorato alla Cultura del Comune, con la
cooperativa per il commercio equo e solidale L'Altrametà e la Biblioteca civica, nasce da un dato di fatto: oggi il 16% degli abitanti del capoluogo friulano è straniero. Le due comunità più numerose provengono dal Ghana e dalla Romania e rappresentano ciascuna il 20% di presenze all'interno della popolazione immigrata. Seguono l'Albania, con il 15,5%, il Bangladesh (circa 5%), Marocco, Ucraina e Moldavia (ognuna attorno al 3%). Alla luce di questi numeri, la rassegna promuove una riflessione aperta sulle trasformazioni epocali portate dal fenome-
Seconde generazioni di Elisa Cozzarini È un pubblico composto da molti giovani quello che ha partecipato agli incontri delle prime due edizioni de "Il dia-
logo creativo". Si tratta di un primo risultato di questa iniziativa, in linea con le indicazioni della nuova programmazione
no migratorio, una delle questioni più cruciali per la definizione dell'identità e del futuro non solo di Pordenone, ma dell'Italia. La scommessa è dare vita, con “Il dialogo creativo” a un'esperienza innovativa, a mezza via tra un laboratorio democratico e una classica rassegna culturale, un luogo di partecipazione, aperto all'incontro tra persone di culture e religioni diverse, accomunate dal fatto di vivere oggi nella stessa città o provincia. La seconda edizione della rassegna ha messo al centro il dibattito su connessioni, relazioni e legami che, nell'era della globalizzazione, inevitabilmente vanno oltre i confini, a partire dal nucleo più intimo per ciascuno, la famiglia. In particolare, si è parlato della fragilità delle famiglie africane alla prova della migrazione, tenendo presente che la crisi della famiglia è una caratteristica del nostro tempo e non riguarda solo gli stranieri. Ospiti speciali sono stati l'ex calciatore Lilian Thuram, oggi impegnato nella lotta al razzismo e per l'educazione delle giovani generazioni alla multiculturalità e la scrittrice Taiye Selasi, una dei giudici di Masterpiece, il primo talent show di Rai3 per aspiranti scrittori. Selasi, con mamma nigeriana e padre ghanese, vive a Roma e si definisce "Afropolitan", un termine che europea. La richiesta, infatti, è allargare l'audience delle proposte culturali coinvolgendo chi, solitamente, non vi partecipa, in particolare i giovani e gli stranieri. Il tema della cittadinanza è quello che più sta a cuore ai giovani figli di stranieri, ragazzi con origini asiatiche, sudamericane, africane, che crescono e studiano in Italia, parlano i nostri dialetti, spesso non sono mai stati nel Paese d'origine dei genitori e a volte non ne parlano nemmeno la lingua. Ma per ottenere la cittadinanza italiana, al compimento del 18° anno di età si sottopongono a un iter burocratico lungo e complesso, che non sempre termina con esiti positivi, con relativi problemi di inserimento sociale e di identità. Oltre la
lei stessa ha inventato per esprimere l'eredità culturale africana, attraverso una lente cosmopolita. Nel 2013 è uscito in Italia il suo primo romanzo "La bellezza delle cose fragili" (Einaudi), la storia di una famiglia divisa tra il Ghana, gli Stati Uniti, l'Europa, in cui ogni legame sembra polverizzato, dilaniato dall'emigrazione e dalla lontananza. Parlare di famiglia porta ad affrontare il tema delle radici culturali, soprattutto per i giovani figli di immigrati, la cui identità sta a cavallo tra due o più culture. Da quest'anno "Il dialogo creativo" ha ottenuto il patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia e ha allargato le sue collaborazioni all'associazione culturale Thesis, che realizza il festival Dedica, alla Caritas diocesana e alla cooperativa Abitamondo, con l'obiettivo di creare una rete tra i soggetti che a Pordenone operano sui temi dell'intercultura.
Info: ildialogocreativo@gmail.com Facebook: Il dialogo creativo Twitter: #dialogocreativo www.comune.pordenone.it
cittadinanza, quindi, i ragazzi sentono sempre più il bisogno di trovare risposte su chi sono, a quale paese appartengono. Sul tema hanno portato le loro esperienze molto diverse Said Chaibi, nato in Italia 23 anni fa da genitori marocchini, oggi consigliere comunale a Treviso, ed Ermir Budla, albanese, arrivato in Italia a 15 anni, impiegato in uno studio legale a Udine. E si è parlato del talento di Meryem Moussamih, nata in Marocco e arrivata in Italia da bambina. A soli 13 anni, scrivendo in un italiano impeccabile, Meryem ha vinto un premio letterario al concorso "Lingua Madre" e un suo racconto è stato inserito in un'antologia presentata al Salone del Libro di Torino nel 2013.
PANKA LIBRI
Quando l'amicizia è capace di superare ogni diversità La “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico”, raccontata da Sepùlveda recensione di Onorina “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico”: il titolo di questo libro di Luis Sepùlveda introduce già il lettore al senso della storia, quella dell'amicizia tra un gatto dal profilo greco, un topo e il loro padrone di casa, Max. Mi fa sognare ad occhi aperti. Scorrendo le pagine, sogno l’amicizia, la solidarietà e la buona volontà. Penso che tra ognuno di noi ci possa essere affinità ed affetto. Il gattino diventa cieco, ma l’amicizia con il topolino diventa la sua luce e la sua vita e illumina la nebbia che ha oscurato le sue iridi. I due amici sono miti e riconoscenti a Max, colui che ha dato loro tanto. Immersa nella lettura, mi com-
paiono davanti agli occhi un gatto che non è solo un gatto ma ha un nome, Mix, ed un topo piccolissimo che desidera anche lui un nome, Mex. Questo nome lo fa sentire grande, anche se è un topo piccolissimo. Grande è soprattutto la collaborazione tra questi esseri diversi per specie, ma in fondo in fondo uguali nel sentire. Ad un certo punto, venne il giorno del primo giorno di lavoro di Max, che lui aspettava da tempo. Mix e Mex lo accompagnano, fuori ci sono il sole e i primi fiori bianchi. Mex è esaltato e racconta tutto quello che vede al suo amico Mix: era diventato infatti i suoi occhi, come si fa tra amici che condividono so-
gni e speranze, esprimendo tenacia e volontà e il voler proseguire insieme affrontando ostacoli ed accontentandosi di piccole e grandi cose. Il gatto Mix aveva conosciuto colui che divenne poi il suo grande amico, quando, appisolato sotto il termosifone, si era ritrovato accanto questo piccolo topo grigio con una riga bianca dalla nuca al sedere. Il topino pensava di imbrogliare il gatto, facendogli credere di essere una lumaca. Mix da parte sua ricordava quando Max, il padrone, costernato si chiedeva chi avesse rovesciato le crocchette buone, buone buonissime e si trovava il suo gatto a pancia in su che si prendeva la colpa. Il gatto ed il topo avevano infatti scelto la via della tenerezza, della sincerità, della condivisione e della comprensione. Uno aveva ancora la prestanza, l’altro gli faceva da occhio nel mondo che li circondava. Pagine delicate queste scritte da Sepùlveda, cariche di valori. Vorrei che questi messaggi fossero capiti da noi “grandi”, perché io ho capito che è molto facile parlare male del mondo e della gente, ma siamo noi il
mondo, io devo fare la mia parte cosciente di quello che faccio. Se poi riuscissi a trasmettere ad un'altra persona i miei sentimenti avrei già fatto tanto. I giorni trascorrono, tra tramonti infuocati e notti gelide. I due amici ricordano tutte le avventure passate insieme, Mix ha avuto un destino triste però ha trovato quello che molti di noi non riusciamo a trovare. Si parla tanto di questa vita di lotte e frenesia. Questo trio ci insegna il significato della dolcezza e del silenzio. Loro non si sono accorti dei peli che diventavano grigi, l’importante è stato l'essere sempre uniti nell'amicizia sincera.
EVENTO
OTTAVIO SGUBIN, IL PITTORE DEGLI ULTIMI Si chiude il 30 aprile a Pordenone la mostra dedicata a Don Gallo
E' in corso all'ex convento di Pordenone la mostra pittorica del friulano Ottavio Sgubin “Il silenzio degli ultimi. Grandi tele dal 1988 al 2013” dedicata all'amico don Andrea Gallo, il prete di strada scomparso il 22 maggio 2013. Barboni, homeless, clochard, hobo sono i
protagonisti di questa extempore che resterà aperta fino al 30 aprile. E' promossa dall’Associazione Thesis Pordenone e dal Comune, con il patrocinio di Caritas Diocesana, Comunità San Benedetto, Centro di ascolto “Ernesto Balducci”, Libera, Gruppo Abele.
Sgubin è il pittore dei Poveri, dei senza voce, dei senza dimora. Con la sua arte policroma scende nei “bassi” della storia, nelle strade, nelle periferie delle “metropoli” opulente, nelle stazioni dove i cittadini “sudditi” di una strategia strisciante di un Pianeta che si sta distruggendo a forza di forsennati consumi e smisurate miserie, transitano “di corsa”, senza comunicare, senza guardarsi negli occhi. I quadri di Sgubin lanciano un messaggio a chi si ferma: “mia cara Gente rallentate, gente rallentate. Costruite una democrazia fuori da una meccanica elettorale”. Lasciamole parlare queste artistiche tele. Ascoltiamo il loro linguaggio. Questa originale Mostra può essere la
sede in cui scegliamo che tipo di Società e di Vita vogliamo. Sgubin ci stimola a scoprire nel mondo dei poveri una luce che fa vedere all’intelligenza certi contenuti, che difficilmente si vedono senza tale luce. Il mondo dei poveri: realtà che fa pensare. Chi pensa, a partire dal mondo dei poveri, pensa in vista della loro liberazione. A partire dai poveri si può conoscere meglio Cristo, e questo Cristo meglio conosciuto rinvia al luogo dei Poveri di tutto il mondo. Nei quadri di Sgubin c’è il mondo immenso della Povertà dove convergono e si richiamano reciprocamente poveri e Gesù di Nazareth. Don Andrea Gallo
NON SOLO SPORT Nei giorni antecedenti la partita Italia-Scozia, valida per il torneo di rugby “Sei Nazioni” Under 20, che si è giocata a Fontanafredda io e Alan abbiamo incontrato due degli azzurrini, alle prese con gli allenamenti ed ospiti assieme al resto della squadra della società Pordenone Rugby. I due sono Filippo Buscema e Giacomo De Santis, entrambi diciannovenni ed entrami di Roma. Giovanissimi, ma già dei professionisti. E' stato questo il primo pensiero che ci è nato di fronte alla loro serietà di persone e di sportivi. Essa traspariva dai loro modi semplici e gentili e dalla disponibilità dimostrata nei nostri confronti. Giacomo, Filippo cominciamo da qui: come avete iniziato a giocare a rugby? Giacomo: Fin da quando ero piccolo il rugby mi ha molto appassionato. Mio fratello già giocava e grazie a lui mi sono avvicinato a questa disciplina. Quando avevo sei anni ho iniziato a giocare e da lì in poi sono sempre rimasto fedele alla palla ovale. Filippo: Anch'io ho cominciato da giovane. E' stato mio padre ad iniziarmi allo sport, perché anche lui lo praticava.
Rugby azzurro, aspettando la partita Italia-Scozia Under 20 A confronto con Filippo Buscema e Giacomo De Santis, rugbisti della Nazionale di Alain Sacilotto e Andrea Lenardon
Qual'è la filosofia di questo sport? G. Il rispetto. Per esempio, in partita può succedere di tutto, ma alla fine il terzo tempo c'è sempre, si festeggia, si sta insieme ai tifosi e all'altra squadra.
Quel fair play che va oltre il campo da gioco Stefano Moruzzi e Alberto Turrin, presidente e vice del Pordenone di Alain Sacilotto e Andrea Lenardon Nonostante la consistente mole di lavoro pre ItaliaScozia a cui sono stati sottoposti in questi giorni, Stefano Moruzzi e Alberto Turrin, rispettivamente presidente e vice-presidente nonché direttore sportivo della società Pordenone Rugby, sono stati disponibilissimi ad incontrarci. Abbiamo così passato con loro e con alcuni giocatori della Nazionale Under 20 un po' di tempo all'interno della Club House "Il Nido della Civetta", quartier generale e cuore pulsante della società. Il Pordenone Rugby è stato fondato nel 1978. Ad oggi conta 310 tesserati,
dei quali gli atleti sono circa 260 suddivisi nelle diverse fasce d'età, dagli Under 8 fino agli Old (Quei de na' volta). Il numero di tesserati è in continuo aumento, parallelamente alla diffusione di questa disciplina sportiva nel territorio. Tutte le diverse squadre militanti nei vari campionati stanno ottenendo buoni risultati, soprattutto i seniores attualmente primi nel loro campionato. Ciò che però più conta per la società è che nel tempo si sia riuscito a garantire un ricambio generazionale. Il Pordenone Rugby sta cercando di impegnarsi anche sul versante
diversamente da altri sport, la birra è ammessa sugli spalti e una famiglia può tranquillamente andare allo stadio senza dovere aver paura di possibili disordini. Come si viene selezionati per giocare in Nazionale? G. Ci sono inizialmente delle selezioni regionali e a seguire delle altre interregionali. In seguito i migliori entrano in due accademie: in quella zonale a circa 16-17 anni, in quella nazionale a 18-19. Da quest'ultima accademia vengono scelti i componenti della Nazionale che si confronteranno con le selezioni degli altri Stati.
F. C'è una mentalità di rispetto condivisa dai giocatori, dagli arbitri e dai tifosi. Nel rugby non ci sono gli Ultrà, è presente una correttezza di fondo, si avverte un rigore e un rispetto caratteristici della mentalità anglosassone. Ad esempio,
Quanti sacrifici bisogna fare per giocare a rugby e raggiungere un buon livello come il vostro e qual'è, secondo voi, il segreto per essere un buon rugbista? F. La vita di un rugbista è abbastanza impegnativa, ma se ci si sa organizzare e si riesce ad incastrare tutto, si può anche continuare a uscire con gli amici e avere la ragazza. L'importante è non avere tanti grilli per la testa. Diciamo che Balotelli nel rugby non ce stà. G. Per me è impegnativo perché essendo ancora in quin-
femminile, Stefano ci spiega che in questo momento ci sono circa 15 ragazze, molto brave, che hanno anche vinto un prestigioso trofeo a Tarvisio contro una squadra tedesca. I numeri delle iscritte, tuttavia, al momento non consentono ancora di raggiungere l'obiettivo societario di creare una squadra femminile che possa partecipare alla Coppa Italia. Un altro tema che è stato trattato nel nostro incontro, e che testimonia la sensibilità della società, è quello della disabilità. «Il Pordenone Rugby – raccontano presidente e vice - per quanto possibile, è attento e va incontro alle persone disabili che desiderano accostarsi allo sport. Ciò fa crescere la società e, anche all'interno dello spogliatoio stesso, è un valore aggiunto per il gruppo e per i singoli nel praticare il rispetto e l'accoglienza reciproci». Ci ha
colpito molto la gentilezza di questi due “omoni”, la semplicità con la quale ci hanno parlato del piccolo ma grande miracolo che è il Pordenone Rugby. In un periodo storico in cui, al centro del panorama sportivo, dominano soprattutto le questioni economiche, le scommesse e gli illeciti, ci ha fatto molto piacere sentire parlare di una filosofia basata prima di tutto sull'attenzione verso l'atleta come individuo. La prima finalità della società è proprio questa: creare adulti con principi etici prima ancora che giocatori o campioni, trasmettere loro, attraverso la disciplina e il fair play che contraddistingue il rugby, un'impostazione se-
G. Un giocatore molto forte che rispecchia il mio ruolo e al quale mi ispiro è Coran Smith, tre quarti centro della Nazionale Neozelandese. Anche secondo me i migliori sono stati Wilkinson e Lomu.
ta superiore passo la mattina scuola e ogni pomeriggio ad allenamento. Abbiamo solo un giorno di riposo a settimana, sabato o domenica in funzione di quando abbiamo il match. Il segreto per essere un buon rugbista è quello di saper sacrificare un po' di cose, non mollare mai e continuare ad inseguire il proprio sogno impegnandosi ogni giorno. Anche l'aspetto economico non permette facilmente di progettare il futuro, per cui molti di noi studiano ancora e nel rugby c'è un tasso di scolarizzazione molto alto. Ciò che conta di più è la passione per lo sport in sé.
e in Nazionale, gioco come mediano d'apertura. Secondo me al momento attuale in questo ruolo il più forte è il neozelandese Dan Carter. A mio avviso i giocatori più forti di tutti i tempi sono Jonny Wilkinson, l'apertura dell'Inghlterra, e Jonah Lomu, tre quarti ala della Nuova Zelanda.
Tra i giocatori dell'Italia, vecchi e nuovi, chi è invece il più forte? G. Probabilmente l'udinese Alessandro Zanni. F.: Sono d'accordo, anche secondo me Zanni è un grande giocatore. Com'è la vostra realtà di Under20? Qual'è la Nazionale più forte e c'è molta differenza tra la vostra squadra e la Nazionale maggiore? F. La nostra è una buona squadra, sicuramente non
Com'è la realtà del rugby in Italia? G. Sicuramente è in crescita, ma siamo ancora molto lontani da stati come la Francia o l'Inghilterra sia per strutture che per mentalità, questo fa si che in Italia ci siano molti meno tesserati e quindi che il bacino di potenziali giocatori per le serie più alte e per la Nazionale sia più limitato. F. Ad esempio nel nostro campionato, quello d'eccellenza, ci sono solo dodici squadre. Un ultima domanda. Le ragazze, quando dite loro che giocate a rugby, come reagiscono? F. Direi che questa cosa crea in loro un certa curiosità, anche se a dirla tutta se ti capita di incontrare una calciofila il rugby e i rugbisti perdono tutto il loro fascino
Chi è secondo voi il giocatore di rugby più forte di tutti i tempi e qual'è il vostro idolo sportivo? F.: Nella Capitolina, il mio club, ria per affrontare la vita. «La palla ovale utilizzata in questo sport – spiega Stefano – ha rimbalzi imprevedibili. La stessa cosa vale nella vita di tutti i giorni: anch'essa è imprevedibile, per questo bisogna essere attenti e pronti ad affrontarla in ogni momento». «Il rugby è uno sport molto antico – aggiunge Alberto - che insegna valori non solo sportivi, ma più in generale di relazione con gli altri. Le regole di comportamento che devono essere rispettate gli uni verso gli altri dentro e fuori dal campo di gioco, contribuiscono alla formazione della persona attraverso la condivisione di
abbiamo paura di incontrare nessuno, ma in Europa la squadra più temibile è l'Inghilterra, che è anche l'attuale Campione del Mondo. G. Si, l'Inghilterra sicuramente, poi nel resto del mondo anche l'Australia, il Sud Africa e la Nuova Zelanda. Tra noi e la Nazionale maggiore c'è tanta differenza, soprattutto a livello fisico il divario di livello è molto elevato.
un codice etico. Nonostante i problemi e le difficoltà che la nostra società sportiva incontra – prosegue - la mission che abbiamo è questa e tutte le scelte sono orientate nella direzione del suo raggiungimento». Tra Stefano e Alberto c'è una bella sintonia, una comunione di intenti che dimostra come la società abbia ben chiaro quale strada percorrere. Quando chiediamo in quale modo cercano di formare gli individui ci rispondono che l'idea è quella di partire da delle regole che servono come base e che loro, adulti, dirigenti e allenatori, per primi devono rispettare per dare l'esempio ai ragazzi. «Credo che in una società come la nostra l'idea del furbo, di prendere delle scorciatoie – riflette Stefano - debba essere accantonata. Qui puntiamo a formare un
certo stile di comportamento, dove il rispetto sta alla base di tutto. Questo percorso di crescita inizia dalla dimensione scolastica: se un ragazzo che gioca nella nostra società non va bene a scuola, si allena ma non gioca le partite fino a che non rientra con i voti. Per noi la scuola e la formazione infatti sono fondamentali». Chiediamo ai due intervistati quanto lavoro ci sta dietro all'organizzazione di un evento come quello in corso in questi giorni di febbraio a Pordenone e provincia. «Per quanto grande sia la mole di lavoro – rispondono all'unisono presidente e vice – essa ci viene ripagata grazie al grande valore che ha la presenza della Nazionale nel nostro territorio, in termini di visibilità e prestigio ma soprattutto di testimonianza per i nostri ragazzi e per il pubblico. E' una vetrina di alto livello sportivo dei valori che caratterizzano questa disciplina e dell'impegno che la nostra società da anni sta mettendo nella promozione degli stessi sul proprio territorio».
Torneo 6 Nazioni Lo scorso 21 febbraio allo stadio Tonon di Fontanafredda, di fronte a non meno di 2 mila persone, si è disputata la partita ItaliaScozia Under 20, conclusasi con la vittoria della squadra azzurra di Alessandro Troncon. L'organizzazione del match-evento è stata della società Pordenone Rugby. Il match era valido per il Sei Nazioni 2014, 15ªª edizione del torneo rugbistico che vede annualmente confrontarsi le Nazionali di Francia, Galles, Inghilterra, Irlanda, Italia e Scozia. Nella forma attuale la competizione ha inizio nel 2000 con l’ammissione dell’Italia. Già dal 1883 però le quattro Home Union (Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda) si sfidavano per la supremazia del rugby europeo nel The Championship. Nel 1910 con l’ammissione della Francia, il torneo prese il nome di Cinque Nazioni.
IL PERSONAGGIO
Robert Dennison
RICORDANDO MANDELA, L'EROE DELL'ANTI-APARTHEID Unì bianchi e neri, parlando di perdono e riconciliazione di Emanuele Celotto Pochi mesi fa, il 5 dicembre 2013, moriva Nelson Mandela, padre del nuovo Sudafrica democratico. I suoi “guai” iniziano poco dopo i 20 anni. Viene espulso dall’università per aver guidato una manifestazione. Torna al villaggio natio e si trova davanti ad un matrimonio combinato; scappa a Johannesburg e vive facendo lavori vari. Lì vede l’ingiustizia e lo sfruttamento a cui è sottoposta la popolazione nera. Già gli anni ’30 erano stati un periodo duro per i neri con deportazioni e leggi segregazioniste, ma col passare degli anni le cose peggiorano. Nel ‘44 Mandela, insieme ad altri, fonda la lega giovanile dell’A.N.C. e
completa anche gli studi di legge. Apre uno studio legale dove offrirà assistenza a basso costo o gratuita alla popolazione nera. Cresce la sua voglia di metter fine all’apartheid: inizia così una campagna non violenta con scioperi e manifestazioni. Le repressioni aumentano ed il suo partito (l’A.N.C.) viene messo al bando. In quel periodo appoggia la lotta armata compiendo alcune azioni di sabotaggio. Viene arrestato varie volte (la prima nel ’52) e nel ’62, con l’accusa di alto tradimento, viene condannato a 5 anni di carcere, pena che sconterà per intero. Successivamente viene imprigionato a Robben Island quando ha 46 anni. E' un regime carcerario di estrema durezza e la cella 466 diverrà per parecchi anni la sua dimora. Inizia per lui un nuovo periodo di lotta, per migliorare e rendere più umane le condizioni dei detenuti. Intanto il tempo passa, ma il mondo non si dimentica di lui. Le crescenti pressioni internazionali ed il progressivo abbandono della lotta armata da parte dell’A.N.C. (dive-
nuto definitivo nel ’90) permette alle parti di incontrarsi. Nelson Mandela è finalmente e definitivamente libero l’11 febbraio 2000. Ha 71 anni, il mondo è nel frattempo completamente diverso, ma la sua vita ricomincia in quel momento. Gli anni del carcere hanno forgiato lo spirito e la volontà, ma lui li ha sfruttati anche per imparare l’inglese e l’afrikaner attraverso i libri ed assimilando bene il gergo parlato. L’A.N.C. non è più al bando e, dopo un anno, Mandela ne diventa presidente. Farà parte del governo di coalizione e guiderà insieme a De Kleerk il periodo di transizione verso un Sudafrica democratico. Riceverà insieme a lui, nel 1993, il Nobel per la pace. Si candida e vince le elezioni del 1994. Come presidente vuole portare il paese verso la democrazia, ma sa che il compito non è facile; povertà e disoccupazione sono preoccupanti e l’economia e le forze di polizia sono in mano alla comunità bianca. Lui sorprende molti parlando di perdono e riconciliazione dopo le vessazioni subite, ma si guadagna il rispetto del mondo. Il Sudafrica è riammesso nell’O.N.U. e dopo anni di esclusione, il paese torna a far parte anche delle competizioni sportive internazionali, ospitando i mondiali di rugby del 1995. Sarà un banco di prova per il paese, ma proprio lo sport ed in particolare l’occasione di quei mondiali diverrà uno dei motori dell’integrazione. Mandela capisce di essere davanti ad un’occasione storica: riavvicinare due mondi che per decenni hanno vissuto separatamente. La nazionale di rugby del Sudafrica (gli Springbooks) era diventata col tempo sinonimo di apartheid ed era invisa alla maggioranza nera che tifava contro (Mandela compreso) e preferiva il calcio. Farà una grande promozione sia all’evento che per la squadra ed il motto “Una squadra una nazione” diverrà un collante. L’entusiasmo ed il tifo di una nazione intera spingerà gli Springbooks oltre i loro limiti; per la prima volta il Sudafrica diventa campione mondiale di rugby (batterà gli All Blaks in finale). Il successo dell’evento sarà un buon viatico per ottenere i mondiali 2010 fortemente voluti da Mandela. Dopo la fine del mandato il suo partito continuerà a governare, mentre lui si occuperà di associazioni umanitarie
e/o per i diritti civili. Gli fu dedicato un mega concerto al radio city hall di New York, per il giorno del suo novantunesimo compleanno, tenuto da un gran numero di artisti. Mandela annuncerà il suo ritiro dalla scena politica nel giugno 2004. Il suo mandato presidenziale non fu esente da errori, in primis, come lui stesso ammise, quello di avere fatto poco per contrastare il problema dell’Hiv-Aids, in quanto non prevenne la serietà del problema. Secondo me, la cosa più grande che quest'uomo fece fu di cercare di unire una nazione parlando di perdono e riconciliazione dopo aver passato oltre un quarto di secolo in un buco di 3m x 2m. Un film che spiega bene uno spezzone della sua storia di presidente è “Invictus”. E' il titolo di una poesia che per tanto tempo gli diede la forza di resistere, anche quando tutto gli diceva di mollare.
INVICTUS
di William Ernest Henley Dal profondo della notte che mi avvolge, Nera come un pozzo da un polo all' altro, Ringrazio qualunque Dio esista Per la mia anima invincibile. Nella feroce morsa delle circostanze Non ho arretrato, né gridato. Sotto le randellate della sorte Il mio capo è sanguinante, ma non chino. Oltre questo luogo d'ira e lacrime Incombe il solo Orrore delle ombre Eppure la minaccia degli anni Mi trova e mi troverà senza paura. Non importa quanto stretto sia il passaggio, Quanto carica di punizioni la sentenza, Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima.
Hanno collaborato a questo numero
LDP - LIBERTÁ DI PAROLA Giornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009 Direttore Responsabile Milena Bidinost
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Pino Roveredo Penna in mano, foglio davanti agli occhi, cuore e cervello per riempire gli spazi, colorarli. Toscano, non di origine ma fedele compagno tra le labbra, a profumare parole da sentire o leggere.
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Guerrino Faggiani Se è vero che della nascita non ci si ricorda nulla, chiedetelo a lui, vi saprà raccontare ogni secondo, è rinato nel 2007! Da cinque anni con la Panka cavalca la vita, non tanto per saltare gli ostacoli, ma proprio per abbatterli
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Sara Racutto IInformatica ma soprattutto collegata, in rete ma mai nel sacco! Nonostante le infinite ore passate davanti allo schermo, trova sempre il tempo per delle belle uscite culturali, perché tra esser impegnata ed impegnarsi, passa una bella differenza.
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Ada Moznich Delle quote rosa lei se ne infischia, non le servono! Essere presidente donna di un’associazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci servirebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costano..!”
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Manuele Celotto Scrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante questo difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricordo di antichi fasti e disavventure inenarrabili
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Mauro Paludetto Durante qualche giornata afosa, nel tentativo di un refrigerio si tuffa con tanto di carpiatura, ma non c’è acqua ad attenderlo… Per lo stile voto 8, ingresso in acqua 2, punti totali (in fronte) 10! Disponibile con tutti e tutti disponibili alla sua disponibilità, resta in credito finanziario all’infinito, ma con il sorriso stampato guarda al domani, e via..
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Andrea Lenardon Tirocinante, educatore, psicologo, operatore psichiatrico, giocatore di calcetto da tavolo, giocatore di Ping Pong, amico. Si arriva alla Panchina per un motivo, si fanno mille altre cose, si vivono mille mondi, diventi mille vite. Il tirocinio finisce ed un po’ non finisce mai, se ne andrà dalla Panka ed un po’ non se ne andrà mai.
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Direttore Editoriale Pino Roveredo Capo Redattore Guerrino Faggiani Capo Redattore Codice a S-Barre Cristina Colautti Redazione Franca Merlo, Tina, Ferdinando Parigi, Emanuele Celotto, Ada Moznich, Andrea Lenardon, Alain Sacilotto, Mauro Paludetto, Sara Rocutto, Paolo Facchin, D.L., Peter Antonio Severino Guzman, Nadir, Stefano Venuto, Marco Z., Fabio Passador, Elisa Cozzarini, Onorina. Editore Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone
Milena Bidinost Il direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immergersi nella bolgia dell’Associazione con delicatezza e costanza, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un articolo! Ma confidiamo nella sua amicizia
Creazione grafica Maurizio Poletto
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Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Via Selvatico 26, 33170 Pordenone Tel. 0434 082271 email: info@iragazzidellapanchina.it panka.pn@gmail.com www.iragazzidellapanchina.it FB: La Panka Pordenone Youtube: Pankinari
Alain Sacilotto Avete presente l'espressione "Bronsa coverta"? Eccola qua la nostra nuova penna! La sua timidezza nasconde un infuocata sete di sapere! Dietro ogni ostacolo c'è un domani, dentro ogni persona ci può essere una miniera di gemme preziose. Lui ne è l'esempio: forza, coraggio, acume e personalità da vendere. Del resto solo così si può essere amanti del verde evidenziatore e innamorati fedelmente dei colori Giallo-Blu del Parma Calcio. Che dire... Chapeau!
mpaginazione Ada Moznich Stampa Grafoteca Group S.r.l. Via Amman 33 33084 Cordenons PN Fotografie A cura della redazione Foto a pagina 5,8,9,11,12 e 18 dal sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Main_Page Foto a pagina 2 e 3 Guerrino Faggiani Foto a pagina 13 di Fabio Passador Foto a pagina 14 di Elisa Cozzarini
Per le donazioni: Codice IBAN: IT 69 R 08356 12500 000000019539 Per il 5X1000 codice fiscale: 91045500930 La sede dei Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 14:00 alle 19:00
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Stefano Venuto Mimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 19.00!
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Ferdinando Parigi Voce tonante, eleganza innata, modi da gentiluomo che si trovano raramente, la nostra nuova penna si fa sempre notare, tanto che le sue mail sembrano lettere direttamente uscite da un romanzo dell’800
Franca Merlo Presidentessa onoraria dell’Associazione affronta la vita come una eterna sperimentazione. Oggi è a Londra, più avanti.. si vedrà. Non manca mai di commentare il blog, non manca mai di sentirsi Panchinara, ovunque sia.
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Elisa Cozzarini Bici gialla per passare inosservata, capello corto per non rischiare mai di non osservare. Fedelissima firma di LDP, presenza eterea in una fossa di leoni.
La vita e' come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo jimmorrison
I ragazzi della panchina campagna per la sensibilizzazione e integrazione sociale DE I RAGAZZI DELLA PANCHINA CON IL PATROCINIO del comune di pordenone